Crescono morti e infortuni sul lavoro l l'interferenza
"Sono anni che il punto di vista assunto sul lavoro è quello delle associazioni datoriali e molti pensano, per combattere morti e infortuni, a una sorta di sistema premiante per le aziende virtuose in materia di salute e sicurezza attribuendo loro ulteriori e massicci sgravi fiscali. Eppure, anni di aiuti alle imprese non sono serviti a salvaguardare l’occupazione e a rendere sicuro il lavoro, siamo allora certi che l’aiuto economico e fiscale sia lo strumento giusto per imporre pratiche e culture della sicurezza?"
Di tutto si parla, fuorché di Europa
La Commissione europea ha presentato una bozza di riforma della governance economica delle istituzioni comunitarie. Il Parlamento europeo ha approvato la riforma dei Trattati, compreso il famigerato Patto di stabilità. Il consiglio dell’Unione europea e il Parlamento europeo hanno siglato un nuovo Patto migrazioni e asilo. Mario Draghi ha avuto dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, l’incarico di mettere a punto un progetto sulla competitività dell’industria comunitaria. La guerra in Ucraina e il possibile disimpegno americano dalla Nato rendono quantomai urgente il tema della Difesa comune europea. Il Green Deal mostra luci e ombre e richiede con tutta evidenza una revisione strategica anche alla luce delle sue implicite conseguenze geopolitiche…
Sono tutti temi recenti. Temi che incombono sul futuro dell’Unione e che toccano direttamente l’interesse nazionale degli Stati membri. Temi che, se la politica fosse una cosa seria, verrebbero sviscerati dai partiti nella campagna elettorale per le elezioni europee di giugno. E invece… Invece, di tutto si parla tranne che di questi argomenti.
Si parla molto di chi, non si parla affatto di cosa. Si attende l’annuncio della candidatura di Giorgia Meloni al pari di quello di Elly Schlein in ossequio ad un antico malcostume che vede i leader politici nazionali concorrere ad incarichi che non andranno a ricoprire. Mentre, ed anche questo è un antico malcostume tipicamente italiano, chi verrà eletto a Bruxelles impegnerà le proprie migliori energie non nell’attuare politiche europee all’europarlamento, ma nel tentativo di rientrare al più presto in patria con la casacca del parlamentare nazionale. La logica è quella domestica. Una logica politicistica, per cui l’unica cosa che conta è la conta. La conta in sé: la conta dei voti che i singoli partiti otterranno e i conseguenti rapporti di forza nelle e tra le coalizioni. I voti intesi come fine ultimo delle elezioni, non come mezzo per realizzare delle politiche precise.
Poi, certo, entrando nel vivo la campagna elettorale si occuperà anche di Europa. Ma c’è da credere che la maggior parte dei leader e dei singoli candidati lo faranno alimentando il latente euroscetticismo dell’elettorato. Soprattutto quello di centrodestra. Si farà così un danno, un danno di immagine, all’Europa e si impedirà all’elettore di esprimere il proprio voto sulla base di un ponderato esame delle singole posizioni relative ai temi imprescindibili oggi al vaglio delle istituzioni europee. Come se non ci riguardassero. Come se l’Europa non fossimo noi.
Formiche.net
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Raymond Aron, lungimiranza di un liberale realista
Quando, alla fine degli anni ’60, esplose la contestazione studentesca con quel che seguì in tutta Europa, negli ambienti della parigina Rive Gauche era diffuso uno slogan: “Meglio aver torto con Sartre piuttosto che aver ragione con Aron”. Oggi nessuno vorrebbe sottoscrivere una affermazione del genere. Mentre il ricordo di Jean-Paul Sartre è ridotto al rango di testimonianza delle illusioni delle prime generazioni del dopoguerra, la considerazione per il pensiero di Raymond Aron (1905-83) è andata crescendo e consolidandosi nel tempo, un po’ ovunque. E ciò sia pure attraverso “letture” diverse della sua speculazione.
Come fa notare Agostino Carrino nel recente saggio Raymond Aron (IBL Libri, pagg. 172, euro 14) di “letture” se ne potrebbero individuare almeno tre: neokantiana, neoaristotelica e machiavelliano-tocquevilliana. Ma io credo che al di là delle etichette il carattere immediatamente riconoscibile della speculazione aroniana sia il realismo politico. Egli infatti si è formato sul pensiero dei grandi maestri del realismo, da Machiavelli a Tocqueville fino a Weber. E ciò anche se l’incontro intellettuale per lui più stimolante e denso di conseguenze fu proprio quello con Max Weber (1864-1920), avvenuto nella Germania weimariana dell’inizio degli anni ’30.
Aron era giunto a Berlino da Parigi con un dottorato e un bagaglio di frequentazioni intellettuali – da Sartre a Nizan, da Lagache a Marrou – varie e interdisciplinari. A Berlino scoprì la filosofia tedesca: le sue letture oscillarono attorno a due poli: Husserl e Heidegger da una parte, e i sociologi, la scuola neokantiana, Rickert e Weber, dall’altra parte. Weber, che proveniva dal neokantismo, lo affascinò per la sua visione della storia universale, l’attenzione all’epistemologia, le riflessioni sulla condizione esistenziale dell’individuo. In tarda età, ricordando quell’esperienza, egli avrebbe scritto che “leggendo Max Weber” gli sembra di sentire “i frastuoni, gli scricchiolii della nostra civiltà”.
La lezione weberiana, soprattutto, gli fece scoprire due imperativi ai quali egli, Aron, avrebbe sempre conformato la propria condotta di studioso e di commentatore: da un lato, la volontà di osservare e cogliere la verità nel reale e, dall’altro lato, l’intenzione di agire come uno spectateur engagé. In Germania potè assistere alla fine della Repubblica di Weimar, una repubblica – come si disse allora – senza repubblicani: una repubblica – lo avrebbe scritto nelle sue memorie – dominata da una intellighenzia di sinistra che “odiava troppo il capitalismo e non temeva abbastanza il nazismo” per assumersi la difesa del regime. L’avvento al potere di Hitler cominciò a farlo riflettere: rimase colpito dalla naturalezza o indifferenza con cui i tedeschi accoglievano il brulicare di uniformi brune nella capitale.
A quell’epoca Aron si professava ancora progressista, temeva contatti e collusioni con la destra, continuava a frequentare i colleghi di studio impegnati a sinistra. Poi, a chi gli rimproverava certi ambigui compagni di viaggio, avrebbe risposto: “Si scelgono gli avversari, non si scelgono gli alleati”. Rientrato in Francia, il recupero del patriottismo dell’infanzia e della famiglia in opposizione al pacifismo e al mal definito socialismo era cosa fatta. Gli anni in Germania avevano avuto grande peso nella sua educazione politica perché si era reso conto che la politica è irriducibile alla morale. Il nazismo gli aveva mostrato la “potenza delle forze irrazionali” e Weber gli fece capire che bisognava prestare attenzione non tanto alle “proprie intenzioni” quanto alle “conseguenze delle proprie scelte”.
Nel ’38 Aron pubblicò un libro di grande interesse: Introduzione alla filosofia della storia. Accanto alla teorizzazione del relativismo storico e al rigetto di ogni concezione deterministica del divenire, vi sosteneva una tesi che ne chiarisce le scelte intellettuali. Per poter “pensare politicamente” in una società – osservava – è necessario optare prima fra l’accettazione e il rifiuto del tipo di società nella quale si vive. Aron optò in favore della società democratico-liberale e l’intera sua produzione è divenuta una sorta di filosofia della libertà, un inno alla libertà.
Come ben dimostra Carrino, Aron può essere definito “un liberale realista”, nemico di ogni dogmatismo ideologico. Le sue opere – dal celeberrimo L’oppio degli intellettuali (1953), impietoso saggio di critica al comunismo e alle utopie progressiste, pubblicato un anno prima del discorso di Kruscev al XX congresso del Pcus, fino alle ultime, tra cui mi piace ricordare il bellissimo In difesa di un’Europa decadente (1977) – sottintendono questa scelta di campo in favore della vecchia cara Europa, minacciata dal pericolo di autodistruzione da quando il morbo del “sinistrismo” si era impadronito della sua classe intellettuale impedendole equità e chiarezza di giudizio.
Per Aron l’anticomunismo fu un punto fermo: “lo professo senza rimorsi”, scrisse. Lucido e impietoso analista della politica, Aron in fondo, malgrado la sua vicinanza al gollismo da un certo momento in poi, non svolse mai attività politica vera e propria, neppure come consigliere di un principe. Eppure, il peso delle sue teorie si è fatto sentire e continuerà a farsi sentire.
La schiera dei suoi allievi e continuatori è molto nutrita: da Jean-Claude Casanova, che dirige la bella rivista Commentaire fondata da Aron nel ’76, a Pierre Manent, dal grande storico François Furet ad Alain Besançon sino alla figlia Dominique Schnapper, sociologa e politologa di fama internazionale. Non fu per caso – mi sembra – che Henry Kissinger gli inviò una copia dei suoi ricordi apponendovi questa dedica: “To my teacher”, al mio maestro. Meglio non si sarebbe potuto omaggiare un pensatore come lui che novello Tocqueville ci aiuta non soltanto a penetrare nei recessi più segreti del nostro tempo, ma anche a liberarci dai cascami ideologici del secolo passato.
Il Giornale
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Muoiono pazienti nell’ospedale Nasser, sotto il controllo completo dell’esercito israeliano
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AGGIORNAMENTI
Ore 12
Il Ministero della Sanità ha fatto sapere che un quinto paziente dell’ospedale Nasser è morto a causa della mancanza di elettricità, che non consente l’utilizzo dei macchinari medici essenziali per la sopravvivenza delle persone in terapia intensiva.
Pagine Esteri, 16 febbraio 2024. L’esercito israeliano ha preso il totale controllo dell’ospedale Nasser a Khan Younis. Sei pazienti di terapia intensiva e tre neonati potrebbero morire da un momento all’altro a causa della mancanza di energia elettrica dovuta all’embargo israeliano durato settimane. Il Ministro della Sanità palestinese ha fatto sapere che i generatori hanno smesso di funzionare e che l’alimentazione elettrica è completamente interrotta. Questo significa che tutti i macchinari, compresi i respiratori e le incubatrici, hanno smesso di funzionare. Sono già quattro, secondo fonti mediche, i pazienti morti questa mattina nel reparto di terapia intensiva a causa della mancanza di ossigeno.
Il Ministero ha aggiunto che ritiene Israele responsabile della vita dei pazienti e dello staff medico, dato che l’ospedale è sotto il completo controllo dell’esercito. Aggiungendo che due donne, in queste ore, hanno partorito in condizioni “disumane”, senza acqua, cibo né supporto medico adeguato, mentre l’esercito sta trasformando l’edificio del reparto maternità in una sala operativa militare, costringendo tutti i pazienti a lasciare l’ala dell’ospedale.
Il Ministero palestinese ha fatto appello alla comunità internazionale, perché “intervenga per salvare i pazienti e i medici dell’ospedale Nasser prima che sia troppo tardi“.
Il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, ha dichiarato che fino ad ora non sono state trovate prove che dimostrino che Hamas abbia nascosto ostaggi nella struttura sanitaria. In realtà, secondo il quotidiano israeliano Haaretz, i militari non starebbero cercando persone vive ma solo i corpi di alcuni ostaggi morti a Gaza, secondo informazioni che affermano di aver ricevuto da un prigioniero palestinese sotto interrogatorio.
In tarda mattinata l’esercito ha fatto sapere di aver arrestato decine di persone all’interno dell’ospedale, definendole “terroristi di Hamas”. Tra i fermati ci sarebbero anche medici che lavorano nella struttura.
Hamas ha dichiarato di non aver mai utilizzato l’ospedale a scopi militari e ha sottolineato di aver più volte chiesto all’ONU e alle organizzazioni internazionali di formare una commissione di inchiesta indipendente che potesse verificare le accuse accedendo liberamente al nosocomio. A tale richiesta non sarebbe mai seguita una risposta.
Intanto, nelle ultime 24 ore, sono state 112 le persone uccise nella Striscia di Gaza e 157 i feriti. Il totale delle vittime è salito a 28.775 persone.
LEGGI LE NOTIZIE DELL’ASSEDIO DELL’OSPEDALE NASSER
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In Cina e Asia – Tour di Wang Yi in Europa. Tappe in Germania, Spagna e Francia
I titoli di oggi: Tour di Wang Yi in Europa. Tappe in Germania, Spagna e Francia Finanza, Micheal Burry scommette su big tech cinesi nonostante calo delle azioni Spring festival, per i giovani è l’occasione per cambiare tradizioni Cina, tour di Wang Yi in Europa. Tappe in Germania, Spagna e Francia Capodanno lunare, Shanghai “importa” manodopera dalle zone rurali per sostenere ...
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28 ONG esortano le autorità di protezione dei dati dell'UE a respingere il "paga o va bene" su Meta Il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB) emetterà presto quello che probabilmente sarà il suo parere più significativo fino ad oggi
L’ingiustizia economica si sta radicando nel mondo arabo
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di Nur Arafeh* – carnegie-mec.org
(traduzione di Federica Riccardi, foto di Adelita Mead)
Il malcontento socio-economico è aumentato in diversi paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Nel 2019 si è registrata un’ondata di proteste in paesi, tra cui Sudan, Iraq, Libano, Marocco, Giordania e Algeria, che non hanno vissuto le rivolte arabe del 2010-2011. Oltre a rivendicare cambiamenti nei loro sistemi politici, i manifestanti chiedevano una revisione completa dei sistemi economici, denunciando l’impennata dei prezzi, le disparità di ricchezza, l’appropriazione delle risorse e dei flussi di rendita da parte delle élite e l’assenza di giustizia economica.
Il Medio Oriente e il Nord Africa sono caratterizzati da una disuguaglianza economica eccezionalmente elevata rispetto ad altre regioni del mondo. La pandemia COVID-19, la guerra in Ucraina e le conseguenti crisi del debito, del cibo e dell’energia che hanno colpito la regione hanno ulteriormente esacerbato le disparità socioeconomiche. Ciò ha lasciato i segmenti più vulnerabili ed emarginati della popolazione a fronteggiare la scarsità di cibo, le fluttuazioni dei prezzi, l’aumento delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici, la scarsità d’acqua, il degrado del territorio e la limitata spesa governativa per i servizi pubblici. La lotta alle disuguaglianze non è stata una priorità dei governi della regione. Tuttavia, dovrebbe esserlo, viste le implicazioni per la crescita economica, la coesione sociale e il potenziale indebolimento delle istituzioni rappresentative e il conseguente consolidamento dei regimi populisti.
LA REGIONE PIÙ DISEGUALE DEL MONDO
La regione del Medio Oriente e del Nord Africa è tra le più diseguali al mondo. Uno studio, che ha cercato di misurare l’entità e l’evoluzione della concentrazione del reddito nella regione tra il 1990 e il 2016, ha rilevato che circa il 64% del reddito totale è andato al 10% dei percettori di reddito, rispetto al 37% dell’Europa occidentale, al 47% degli Stati Uniti e al 55% del Brasile. Nel frattempo, il 50% della popolazione della regione ha ricevuto solo il 9% del reddito complessivo, rispetto al 18% in Europa.
Questi alti livelli di concentrazione del reddito derivano sia dalla disuguaglianza all’interno dei paesi che tra i paesi stessi, in particolare tra gli stati più ricchi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) e altri stati con popolazioni più numerose. Tuttavia, anche escludendo i paesi del CCG dall’analisi, i livelli di disuguaglianza rimangono molto elevati, con il 10% dei percettori di reddito che riceve più del 50% del reddito regionale totale per tutto il periodo 1990-2016. Il divario di reddito è evidente anche se si guarda al coefficiente Gini in Medio Oriente e Nord Africa, che misura il grado di disuguaglianza economica nei paesi. Tra il 2015 e il 2020, il coefficiente Gini è rimasto nell’intervallo tra il 65% e il 75% in diversi paesi arabi, con il 100% che riflette la massima iniquità.
Queste tendenze dei livelli di disuguaglianza sono state associate a una contrazione della classe media nella regione. La dimensione della classe media ha iniziato a diminuire intorno al 2013 ed è scesa al di sotto del 40% negli ultimi anni, mentre i paesi, soprattutto quelli a basso e medio reddito (LMIC), sono alle prese, tra le tante sfide, con ricorrenti crisi del debito, austerità, aumento dei livelli di povertà, servizi pubblici sottofinanziati, distribuzione ineguale delle risorse, conflitti, aumento dell’economia informale, alti tassi di disoccupazione, sistemi fiscali iniqui e cambiamenti climatici.
Queste disuguaglianze si sono ulteriormente aggravate e consolidate durante la pandemia COVID-19, che ha colpito in modo sproporzionato le comunità più vulnerabili, tra cui i poveri, i rifugiati e coloro impegnati nel settore informale. Mentre 16 milioni di persone sono state spinte in condizione di povertà durante la pandemia, facendo salire il numero totale di indigenti nella regione a oltre 116 milioni, la metà più povera della popolazione del Medio Oriente e del Nord Africa ha visto la propria ricchezza ridursi di un terzo. Il residente medio della regione, a sua volta, ha visto una diminuzione della propria ricchezza di circa il 28%.
Nel frattempo, i ricchi della regione hanno aumentato il loro controllo su beni e società finanziarie. Tra il 2019 e il 2022 la loro ricchezza netta è aumentata del 60%, mentre i miliardari hanno beneficiato di un incremento del 22% del patrimonio, a testimonianza dell’acuirsi del divario in Medio Oriente e Nord Africa a seguito della pandemia.
Ad esempio, mentre il crollo economico e finanziario del Libano dal 2019 ha fatto cadere in povertà il 60% della popolazione, la ricchezza netta delle persone più ricche del Paese è quasi raddoppiata tra il 2020 e il 2022. Allo stesso modo, mentre l’Egitto è alle prese con una crisi del debito e del costo della vita, i ricchi hanno visto la loro ricchezza aumentare di oltre la metà nello stesso periodo, proprio come in Giordania. Secondo il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite per l’Asia occidentale, i paesi arabi rappresentano la metà dei sedici paesi del mondo che, dopo la pandemia, hanno registrato l’aumento più significativo della disuguaglianza in termini di distribuzione della ricchezza.
L’estremo livello di concentrazione della ricchezza nella regione è evidenziato dal fatto che la ricchezza combinata dei tre individui più facoltosi della regione, pari a 26,3 miliardi di dollari durante la pandemia, ha superato la ricchezza totale dei 222,5 milioni di cittadini più indigenti, pari a 25,5 miliardi di dollari.
Questi alti livelli di iniquità sono ulteriormente aggravati dall’impennata del debito nella regione. A ciò si aggiungono la riduzione dello spazio fiscale, gli alti tassi di inflazione, le svalutazioni monetarie e la crisi del costo della vita, che hanno caratterizzato il Medio Oriente e il Nord Africa (in particolare i paesi a basso reddito) negli ultimi anni, soprattutto dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina.
PERCHÉ LA DISUGUAGLIANZA È IMPORTANTE
Affrontare la disuguaglianza dovrebbe essere una preoccupazione cruciale per i paesi della regione, che hanno però ampiamente trascurato il problema. Il motivo per cui è prioritario ridurre le disuguaglianze è che riguardano la giustizia sociale, ma anche perché le disparità socioeconomiche hanno profonde conseguenze economiche, sociali e politiche che influenzeranno lo sviluppo a lungo termine del Medio Oriente e del Nord Africa.
La disuguaglianza economica è un fattore causale strutturale dell’instabilità globale e delle crisi finanziarie. È stato dimostrato che si traduce in strutture economiche instabili e meno efficienti, che soffocano la crescita economica e la partecipazione delle persone al mercato del lavoro. Poiché i ricchi, che detengono una quota maggiore di reddito, tendono a spendere una parte minore del loro reddito rispetto ai poveri, la distribuzione ineguale del reddito finisce per diminuire la domanda aggregata e può quindi ostacolare la crescita economica. La disuguaglianza economica pregiudica anche gli sforzi di riduzione della povertà e porta alla perdita del potenziale produttivo e a un’allocazione inefficiente delle risorse.
Sul fronte sociale, questi divari economici sono riconosciuti per i loro effetti sulla mobilità sociale, portando alla trasmissione di opportunità diseguali da una generazione all’altra. Inoltre, crea trappole della povertà, in cui gli individui che si trovano all’estremità inferiore dello spettro di reddito rimangono intrappolati in un ciclo di indigenza, poiché l’assenza di risorse porta a ulteriori limitazioni delle stesse.
In particolare, in Medio Oriente e Nord Africa, la concentrazione del reddito e della ricchezza nelle mani di pochi ha portato all’emergere di una società duale, in cui una categoria di persone può accedere a servizi privati di buona qualità, come l’istruzione, la sanità e altri servizi di base, mentre un’altra può accedere solo a servizi di base di qualità molto inferiore, solitamente forniti in modo inadeguato dal settore pubblico. Creando scissioni all’interno della società, la disuguaglianza economica erode il senso di comunità, riduce la coesione sociale e alimenta tensioni e conflitti, aprendo la strada alla disintegrazione della società, ai disordini politici e a una generale precarietà.
Combattere l’elevata disuguaglianza è fondamentale anche perché, con le fratture che crea all’interno dell’economia e della società, è stata associata all’emergere di plutonomie, sistemi in cui un piccolo segmento ricco della popolazione beneficia principalmente della crescita economica. Poiché la distribuzione del reddito e della ricchezza determina in larga misura la distribuzione del potere nei sistemi politici, questo porta a due risultati.
In primo luogo, si crea un circolo vizioso in cui la disuguaglianza economica porta alla disuguaglianza politica, permettendo ai ricchi di usare il potere politico per radicare i loro interessi economici nelle istituzioni sociali e proteggere così il loro status, il che non fa che rafforzare ulteriormente le disuguaglianze economiche. Questo fenomeno viene talvolta definito “trappola della disuguaglianza“, che permette di evitare che i ricchi scivolino verso il basso nella scala socioeconomica, impedendo al contempo la mobilità verso l’alto degli indigenti.
Un secondo risultato è che la disuguaglianza politica, in un momento in cui le disparità economiche sono più accentuate, mette sempre più a rischio le istituzioni rappresentative ed erode la fiducia nelle istituzioni pubbliche. Diversi studi hanno infatti dimostrato che la disuguaglianza economica tende a rafforzare il potere autocratico ed è uno dei fattori chiave alla base del malcontento popolare e del crescente populismo nel mondo. Di conseguenza, si potrebbe ipotizzare che in Medio Oriente e in Nord Africa l’aumento della disuguaglianza possa essere un fattore trainante dell’ondata degli uomini forti in politica e del crescente successo di figure populiste che capitalizzano il risentimento e la frustrazione della popolazione.
Senza politiche efficaci, gli attuali alti livelli di disuguaglianza non solo persisteranno, ma molto probabilmente aumenteranno ulteriormente. Il cambiamento climatico rischia di esacerbare questa tendenza, poiché colpirà in modo sproporzionato i poveri e i più vulnerabili, che sopporteranno il peso dell’aumento delle temperature, del degrado dei terreni e dei problemi legati alla disponibilità e ai prezzi del cibo. Anche l’intelligenza artificiale, le tecnologie digitali emergenti e l’automazione potrebbero aggravare le disuguaglianze, in quanto potrebbero aumentare in modo sproporzionato i guadagni dei lavoratori ad alto reddito e dei proprietari di capitali.
Pertanto, è della massima urgenza affrontare la disuguaglianza nella regione intraprendendo serie riforme strutturali radicate nel perseguimento della giustizia economica. Una riforma urgente, tra le tante, prevede l’ampliamento dello spazio fiscale e il potenziamento della mobilitazione delle risorse interne, soprattutto allargando la base imponibile e rendendo il sistema fiscale più progressivo per garantire una struttura fiscale più equa. La diversificazione delle fonti di finanziamento pubblico consentirebbe agli stati di aumentare la spesa per la sicurezza sociale, l’assistenza sociale e l’istruzione, che sarebbero fondamentali per migliorare il benessere sociale e combattere le diverse dimensioni della disuguaglianza.
In assenza di tali riforme, e in presenza di un continuo disinteresse dei governi per il problema della disuguaglianza, si profila all’orizzonte una crisi significativa per la regione.
LINK ORIGINALE
carnegie-mec.org/2024/02/02/ec…
*Nur Arafeh è borsista presso il Malcolm H. Kerr Carnegie Middle East Center, dove il suo lavoro si concentra sull’economia politica della regione MENA, sulle relazioni tra imprese e Stati, sulle strategie di costruzione della pace, sul nesso sviluppo-sicurezza e sulle questioni tra Palestina e Israele.
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Ma scusa, caro Draghi, tu sai che l’Europa è piccola e debole e la getti in una guerra a rischio nucleare con la Russia?
A causa della guerra in Ucraina, l'Europa è più debole e piccola di prima.
Alessandro Orsini
Un'agenzia di credito tedesca guadagna milioni grazie alla manipolazione illegale dei clienti L'azienda utilizza disegni manipolativi per impedire alle persone di ottenere una copia gratuita dei loro dati in conformità con la legge
Chi è Carmine Masiello, nuovo capo di Stato maggiore dell’Esercito
Sarà il generale Carmine Masiello il nuovo capo di Stato maggiore dell’Esercito. L’avvicendamento con il generale Pietro Serino avverrà nel giro di un paio di settimane, con la scadenza del mandato triennale (fissata al 27 febbraio). La nomina da parte del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro Guido Crosetto. Sulla tabella di marcia di Serino il compito di guidare l’Esercito in un contesto complesso per la Difesa italiana, nel contrasto a minacce in rapida evoluzione, in vista soprattutto del processo di modernizzazione dei sistemi e delle dottrine dell’Esercito per il prossimo futuro, a partire dalla modernizzazione delle piattaforme e dei sistemi d’arma nel nuovo paradigma del multidominio.
Il profilo
Nato il 28 giugno 1963 a Casagiove, in provincia di Caserta, il generale Masiello è sottocapo di Stato maggiore della Difesa. In precedenza è stato vice direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza dal 2018. Dal 2016 al 2018 è stato consigliere militare del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Ufficiale di artiglieria, ha iniziato la sua carriera nel 185º reggimento artiglieria paracadutisti Folgore. Tra gli incarichi svolti, è stato capo Ufficio generale del capo di Stato maggiore dell’Esercito dal 2011 al 2015, e successivamente della Difesa fino al 2016. Tra i ruoli operativi, il generale Masiello ha comandato il Regional Command West in Afghanistan dall’aprile al settembre 2011, e la brigata paracadutisti Folgore, dove in precedenza aveva comandato il 185º Reggimento paracadutisti ricognizione acquisizione obiettivi “Folgore”
L’eredità
Serino prenderà il posto del generale Serino, arrivato a palazzo Esercito nel 2021, dopo tre anni come capo di gabinetto del ministro della Difesa da ottobre 2018, con Elisabetta Trenta e poi Lorenzo Guerini. Serino lascerà il vertice della Forza armata in un momento di profonda modernizzazione per l’intera Difesa italiana, e in particolare per la dimensione terrestre. La guerra in Ucraina ha riportato l’attenzione sull’importanza che le forze di terra ancora rivestono all’interno della pianificazione operativa dei conflitti, ma le nuove tecnologie impiegate sui campi di battaglia dell’Europa orientale sottolineano al contempo l’importanza di avere messi terrestri moderni e dotati delle nuove tecnologie all’avanguardia per essere interconnessi e capaci di agire nel multidominio.
Esercito 4.0
Il generale Serino lascia in eredità anche il concept paper Esercito 4.0, presentato a settembre 2022, nel quale si indicano i prossimi passi per l’evoluzione della Forza armata. “Lo scoppio di una guerra convenzionale a poche centinaia di chilometri dai nostri confini ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica la rinnovata esigenza di assicurare alla Difesa uno strumento terrestre credibile, efficace, pronto e, se necessario, in grado di combattere in ambienti in continua evoluzione”, spiega infatti l’ex capo di Sme nel teso. Il documento individua cinque macro-aree su cui concentrare risorse e impegno nel medio periodo: manovra a contatto, in profondità e nella terza dimensione, difesa integrata e logistica distribuita. “Tale sviluppo non potrà prescindere dalla consapevolezza dell’ingresso ‘prepotente’ nella condotta delle operazioni dei nuovi domini cyber e spazio, nonché della combinazione di opportunità e insidie che li caratterizza”.
Prossimi programmi
Tra principali programmi che dovranno essere portati avanti dal generale Masiello, spicca quello della modernizzazione della componente da combattimento pesante, dai mezzi corazzati per la fanteria fino ai carri armati. L’Italia, infatti, sta modernizzando i propri carri Ariete e a partire da quest’anno saranno acquistati i carri armati Leopard 2A8. A questo si accompagna il progetto di sviluppo della futura generazione di piattaforme per veicoli blindati, tra le quali l’Mgcs (Main ground combat system) – progetto franco-tedesco dal quale l’Italia è rimasta finora esclusa ma sul quale ci sono da tempo gli interessi della Difesa e dell’industria di settore – nella consapevolezza, più volte segnalata anche dai vertici della Difesa, che nessun Paese europeo può farcela da solo quando si tratta di programmi d’armamento di prossima generazione. Il livello tecnologico raggiunto da tutte le piattaforme, tra cui spicca la necessaria digitalizzazione e integrazione dei singoli sistemi all’interno del più grande e complesso scenario multidominio, richiedono infatti lo sforzo congiunto di più Paesi al fine di avere strumenti efficaci e sostenibili. Questa dimensione, inoltre, per quanto riguarda il settore terrestre, non si limita ai soli carri armati, investendo direttamente anche i veicoli blindati per la fanteria, così come i sistemi di difesa contraerea terrestri e le piattaforme elicotteristiche per il supporto alle forze di terra.
Una “Legge terrestre”
Sul potenziamento della capacità di combattimento pesante dell’Esercito si concentra anche l’ultimo Documento programmatico della Difesa 2023-2025 presentato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto. Quello che emerge dai numeri e dalle impostazioni del Dpp, infatti, è lo sforzo di ammodernamento e potenziamento dello strumento militare, chiamato ad affrontare il ritorno della sfida convenzionale nell’orizzonte delle minacce, e per la quale le Forze armate devono essere messe nelle condizioni di affrontarla. Uno sforzo che segue anni di focus sui conflitti a bassa intensità e operazioni di contro-insorgenza. Tra i principali gap individuati, e da tempo segnalati dall’intero comparto militare, c’è l’adeguamento della componente pesante delle forze di terra in ogni sua parte, che infatti registra la maggior parte dei programmi di previsto avvio (budget complessivo di quattro miliardi e 623 milioni), a cominciare dall’acquisto dei carri armati da battaglia Leopard 2 e dai veicoli da combattimento per la fanteria Aics (Armored infantry combat system), che dovranno sostituire i Dardo. Due programmi che insieme valgono circa dieci miliardi di euro.
Verso un polo terrestre?
Inoltre, il ministro della Difesa ha di recente registrato come proprio nel settore terrestre l’Italia potrebbe giocare un ruolo da protagonista collaborando con le realtà industriali del Vecchio continente in vista del rafforzamento della difesa europea. Crosetto ha infatti sottolineato come tutti i governi abbiano fatto “interventi che consentono all’Italia di avere un potenziale investimento che permette alla nostra industria di consolidarsi e fare alleanze europee”. Proprio riferendosi alla scelta del carro armato tedesco Leopard, il ministro aveva auspicato la “potenziale creazione di un polo terrestre italo-franco- tedesco”.
Presentazione del libro “Epicarmo Corbino e le delizie del protezionismo”
INTERVERRANNO
ANTONIO MAGLIULO, Università di Firenze
ROBERTO RICCIUTI, Università di Verona
LUCA TEDESCO, Università Roma Tre
MODERA
SIMONE MISIANI, Università di Teramo
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LIBANO. 10 civili, tra cui cinque bambini, uccisi da raid aerei israeliani
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di Michele Giorgio
Pagine Esteri, 15 febbraio 2024 – Il movimento sciita Hezbollah ha avvertito oggi che Israele “pagherà il prezzo” dell’uccisione di 10 civili, tra cui cinque bambini, nel sud del Libano, il giorno più sanguinoso per i civili libanesi in quattro mesi di scontri lungo il confine libanese-israeliano. Sette civili sono stati uccisi a Nabatieh ieri sera, quando un attacco israeliano sulla città meridionale ha colpito un edificio a più piani. I morti appartenevano alla stessa famiglia allargata e includevano tre bambini. Altre tre civili, una donna e i suoi figli, erano stati uccisi poco prima a Suwaneh. Almeno tre i militanti di Hezbollah uccisi, tra cui, pare, un comandante militare.
Ieri una militare israeliana era stata uccisa da razzi lanciati dal Libano contro una base dell’esercito a Safed, in Galilea. Altre otto persone erano rimaste ferite.
Poco dopo jet da combattimento israeliani hanno martellato con bombe e missili il Libano del sud, prendendo di mira in particolare Nabatieh e le zone di Jubal Safi, Kfar Dunin, Basliya, Sawana e Adashit Al Qusayr.
“Il nemico pagherà il prezzo di questi crimini”, ha detto oggi un alto rappresentante di Hezbollah, Hassan Fadlallah, aggiungendo che il movimento sciita ha il “diritto legittimo di difendere il suo popolo”.
In Israele si levano alte le voci che chiedono una guerra aperta al Libano e ad Hezbollah. Il capo del Consiglio regionale di Mateh Asher, Moshe Davidovich, che è anche presidente di un forum delle città al confine settentrionale, ha chiesto al governo “di svegliarsi”. Senza sicurezza, non c’è il nord”, ha aggiunto.
Il capo del consiglio regionale di Merom HaGalil, Amit Sofer, ha invitato le forze armate a colpire con forza Hezbollah “dal confine fino al fiume Litani”. Secondo Sofer è necessario creare una zona smilitarizzata nel sud del Libano.
Hezbollah ieri aveva avvertito che gli attacchi israeliani «non rimarranno senza risposta». Secondo un suo dirigente Hashem Safieddin «Alcuni immaginano di poter raggiungere obiettivi che non sono riusciti a raggiungere, né nel 2006, né tra il 2006 e il 2023». Ma, ha aggiunto Safieddin, «ancora una volta si sbagliano…il nemico non raggiungerà nessuno dei suoi obiettivi perché la Resistenza è e sarà presente, forte e pronta, su tutti i fronti». Si è riferito alle richieste fatte dal gabinetto di guerra israeliano e all’iniziativa francese per riportare la calma al confine tra il Libano e lo Stato ebraico. Tutto questo, spiegava ieri il quotidiano di Beirut, Al Akhbar, vicino a Hezbollah, nascerebbe dall’idea che Israele sia il vincitore del conflitto in corso e che, pertanto, il movimento sciita dovrà fare concessioni perché «sconfitto». Secondo il giornale, la Francia cerca di affermare un suo ruolo di mediazione tra Israele e Hezbollah. In realtà, aggiunge, non farebbe altro che rappresentare le condizioni poste da Tel Aviv.
Nei giorni scorsi il ministro degli Esteri francese Stephane Sigourney è arrivato a Beirut, portando la proposta di Parigi. Il documento di due pagine dal titolo «Accordi di sicurezza tra Libano e Israele» punta, con un processo in tre fasi, all’applicazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che chiuse la guerra del 2006 tra Israele ed Hezbollah. In particolare, all’arretramento delle posizioni e delle armi del movimento sciita di 10 chilometri dalla Linea Blu, il confine tra i due paesi, assieme al dispiegamento di 15.000 soldati dell’esercito libanese in ogni zona a sud del fiume Litani. In cambio, Israele cesserebbe i suoi attacchi. Hezbollah vede questa proposta come una «resa totale» alle condizioni del suo nemico e rifiuta l’iniziativa francese e le altre, sostanzialmente simili, presentate da altri paesi occidentali. Pagine Esteri
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The Mourning After - Lately / Quit Bazar 7"
Pronti alla bisogna per assolvere nel migliore dei modi tale irrinunciabile esigenza ecco qui per me e per noi tutti, direttamente da quel di Sheffield, i veterani e collaudatissimi Mourning After ed il loro 7" licenziato in questi giorni dalla Rogue Records.
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Artico, Mediterraneo e non solo. Così il clima impatta sulla Difesa
Quando si parla di cambiamento climatico, la dimensione della difesa non è forse la prima che viene in mente. Tuttavia, gli impatti che l’incrementarsi delle modifiche all’ambiente terrestre hanno in tutti i livelli della sicurezza, da quello strategico fino al tattico, sono sempre più evidenti agli addetti ai lavori. Diffondere questa consapevolezza è stato l’obiettivo della conferenza “Le implicazione del cambiamento climatico sulle politiche di difesa e sicurezza” organizzato dal Centro studi militari aeronautici Giulio Douhet (Cesma) dell’Associazione arma aeronautica. Come registrato dal generale Luca Baione, rappresentante permanente d’Italia presso l’Organizzazione meteorologica mondiale, nella parte introduttiva del Concetto strategico della Nato approvato a giugno 2022 si legge: “Il cambiamento climatico è la sfida che definisce il nostro tempo, con impatti profondi sulla sicurezza alleata”. Come descritto nel documento, il cambiamento climatico ha impatti diretti anche sul modo in cui operano le forze armate, oltre che nello scenario globale. La conferenza è servita dunque ad analizzare questi impatti con una visione multidisciplinare attraverso le relazioni specialistiche del dottor Antonello Pasini, dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Cnr, del dottor Matteo Paonni, del Joint research centre della Commissione europea, e del professor Alberto Pirri, della scuola superiore Sant’Anna di Pisa.
Secondo le previsioni, nel 2030 quasi un terzo degli otto miliardi e mezzo di umani vivrà in zone prive di accesso all’acqua. Si tratta di oltre due miliardi e mezzo di persone. Questa previsione lascia presagire le complessità che si svilupperanno da questa situazione, tra spinta alla migrazione e lotta per assicurarsi le risorse, fragilità che avranno effetti drammatici soprattutto il quadrante meridionale dello spazio euro-atlantico, con impatti profondi in tutta l’area del Mediterraneo. Dal mare nostrum all’Artico, il disgelo del Polo nord “consentirà l’avvicinamento di potenziali attori malevoli direttamente ai confini della Nato” ha sottolineato Baione, ricordando come anche sul versante tattico-operativo il clima avrà profonde conseguenze: “equipaggiamenti, sistemi e apparati soffriranno un maggiore stress dovuto al surriscaldamento delle aree d’operazione” e comporterà anche “l’esigenza di considerare dei periodi di permanenza dei contingenti militari perché sottoposti a condizioni di stress maggiori”.
Come sottolineato dal direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), l’ambasciatore Elisabetta Belloni, “il nesso fra cambiamento climatico, sicurezza e difesa ormai è un dato acquisito”, tuttavia, ha registrato l’ambasciatore, se “riflettere è certamente importante” è anche il momento di “cominciare a guardare agli strumenti che dobbiamo adottare per cercare di affrontarne le conseguenze”. “L’Intelligence – ha continuato Belloni – ha da tempo posto all’attenzione dei governi europei il tema” e già nel 2008 il rapporto dell’allora Alto rappresentante per la politica estera Javier Solana, sottolineava “l’impatto che il cambiamento climatico avrebbe avuto sulla sicurezza dei Paesi europei”. Naturalmente, l’effetto sui trend migratori è in cima alla lista di fragilità all’attenzione dei servizi di informazione, dato che il cambiamento climatico ha delle profonde implicazioni sulle condizioni di vita di numerose popolazioni che potrebbero costringerle a migrare. “Ma in realtà come Intelligence noi guardiamo moltissimo ad altri temi, ad esempio l’approvvigionamento energetico pulito” ha continuato Belloni, con “la transizione verso energie pulite [che] ci pone di fronte a dei rischi enormi, ad una competizione tecnologica che deve consentire al nostro Paese di essere al sicuro”.
“Sia come gestori della cosa pubblica, sia come gestori di aziende, abbiamo davanti un quadro dei rischi, e ci stiamo accorgendo che la dimensione geoclimatica si aggiunge come un fattore esasperante, perché quello che c’è di nuovo oggi è che i rischi si sovrappongono” ha detto il presidente dell’Ispi, Giampiero Massolo, registrando come ormai le relazioni e le interdipendenze tra Paesi non possano più basarsi esclusivamente sui confini di una cartina politica, ma “sono molto più immateriali di così, riguardano le grandi opere infrastrutturali, le grandi reti di comunicazione (come i cavi sottomarini), e le comunicazioni”. In questo quadro, il cambiamento climatico si inserisce esasperando i rischi. Allora, i Paesi europei si trovano in un momento nella necessità di mitigare i rischi del cambiamento climatico “in un momento in cui i nostri meccanismi tradizionali di meditazione stanno grippando” nel quale “il multilateralismo non è più visto come utile a risolvere le grandi crisi internazionali”. Per quanto riguarda il futuro, allora, “l’incorporazione della dimensione climatica nel discorso della difesa e sicurezza non può che rappresentare un obiettivo a cui tendere” ma rimane un discorso di lungo periodo “ci pensiamo, ma difficilmente a breve potremmo avere dei risultati concreti”.
Di quanto sia importante il ruolo del cambiamento climatico quale moltiplicatore di rischi anche a livello tattico, ne ha parlato il consigliere del ministro della Difesa, l’ambasciatore Francesco Maria Talò, prendendo in considerazione un elemento cruciale come il meteo, che sarà fortemente modificato dagli effetti della crisi ambientale: “Se n’è accorto Napoleone dopo la battaglia di Waterloo: se avesse avuto un buon servizio metereologico forse avrebbe organizzato in modo diverso la propria tattica quel giorno”. Come ricordato ancora Talò, “è stato menzionato il Concetto strategico della Nato. Nello stesso anno anche l’Unione europea ha redatto e approvato un altro documento, la Bussola strategica. Entrambi stabiliscano quanto sia cruciale tener conto del cambiamento climatico nelle nostre strategie di sicurezza”. Il fattore ambientale per la difesa non è solamente un aspetto geopolitico od operativo, ma rischia di mettere a repentaglio lo stesso strumento della difesa. “Senza difesa e sicurezza – ha ribadito Talò – la nostra crescita economica non è assicurata, [invece] sono il presupposto per la crescita nazionale e internazionale”. In questo senso bisogna investire in sicurezza, ma per farlo bisogna cominciare a tenere conto del quadro reso più complesso dal cambiamento climatico, soprattutto per quanto riguarda gli strumenti militari del futuro. “Un camion militare, un carro armato, un aereo militare, una nave” hanno un impatto maggiore rispetto a piattaforme civili “è evidente che ci sono dei costi ambientali, ma senza sicurezza non si va da nessuna parte”. Per questo, in queto quadro, “la politica deve contemperare l’agire con la saggezza”, investendo in maniera corretta, senza però lasciarsi frenare dalle complessità.
Quali sono, allora, i problemi che bisogna tenere a mente per preparare lo strumento militare a quelli che saranno i nuovi paradigmi della difesa e della sicurezza? A porre la domanda è stato il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, il generale Luca Goretti, concludendo la giornata. Alcuni esempi già esistono, come il biocarburante “per vedere se effettivamente siamo in grado di poter produrre carburante che inquini meno” consapevoli che “un aereo per andare per aria ha bisogno di un motore che gira, e per girare ha bisogno di qualche cosa che produca energia”. Altri esempi sono l’uso del fotovoltaico e di sistemi di produzione di energia pulita nelle basi militari, con l’obiettivo di “trasformare tutto il parco infrastrutturale delle Forze armate in un’infrastruttura ecosostenibile”. Quello che i militari possono fare è prepararsi “per consentire ai decisori politici e ai cittadini di essere certi che la difesa nel complesso c’è, e ci sarà anche in futuro, con strumenti utili che serviranno per poter continuare a difendere la nostra libertà”.
In Cina e Asia -Il Giappone non è più la terza economia mondiale
I titoli di oggi: Il Giappone non è più la terza economia mondiale Indonesia, Prabowo annuncia la vittoria Accuse incrociate tra Cina e Taiwan dopo la morte di due pescatori cinesi Capodanno lunare, boom di viaggi ma ancora pochi turisti stranieri India, la protesta degli agricoltori arriva a Nuova Delhi Volkswagen accusata per le operazioni in Xinjiang annuncia colloqui con ...
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Catania. La scuola pubblica in mimetica normalizza la guerra l Contropiano
"Oltre ad una scuola sempre più aziendalizzata, che plasma il mondo studentesco allo sfruttamento schiavista del lavoro e alla precarietà lavorativa, c’è anche una scuola sempre più militarizzata. Tutto questo si traduce con la normalizzazione della guerra, della militarizzazione dei territori, e delle spese militari senza limiti."
Colorado’s Approval of Global Privacy Control: Implications for Advertisers and Publishers
The privacy laws of both Colorado and California require organizations to recognize Universal Opt-Out Mechanisms (UOOMs), a tool through which a person can invoke their opt out rights broadly across all the websites they visit. While California has required responding to certain UOOMs since July 2021, the Colorado Attorney General has only recently approved their first tool – the Global Privacy Control – as valid within the scope of the state law. This sets the stage for organizations within the law’s jurisdiction to take appropriate action necessary to ensure that they are recognizing and responding to any person’s use of the GPC. Below we provide information for what organizations need to know about UOOMs going forward, including particular implementation challenges that must be addressed to avoid enforcement actions for falling afoul of the law.
Background
Governor Polis signed the Colorado Privacy Act (CPA) in July 2021, making Colorado the third state to pass a comprehensive privacy law. Among other things, the act requires the Colorado Attorney General to conduct a special process for approving Universal Opt Out Mechanisms (UOOMs) for people to use as a means of invoking their opt out rights. Under Colorado law, covered entities will be required to honor these UOOMs beginning July 1, 2024.
The Colorado AG’s office closed applications for UOOM tools on November 6, 2023. After a public comment period, the Colorado AG announced that only one tool – the Global Privacy Control (GPC) – would be acknowledged on the exclusive public list of acceptable UOOMs in Colorado.
The recognition of the GPC as a valid UOOM in Colorado leaves adtech vendors, advertisers, and publishers in a broadly similar place in both California and Colorado once enforcement begins this summer: Publishers will have to respond to valid GPC requests in both states; advertisers and vendors will have to adjust business practices accordingly. Although implementations of GPC must still satisfy the requirements of the CPA, Colorado’s decision aligns their enforcement of opt-out rights with those in California, creating momentum toward a national standard.
What should Advertisers, Publishers, and Other Organizations Know About the GPC and UOOMs in U.S. law
1. Implementations of GPC must still satisfy the requirements of CPA
Under the CPA, UOOMs in Colorado must satisfy three categories of rules. By selecting a single UOOM tool, the Colorado AG’s office has indicated that this is the only tool “recognized in so far as the UOOM or any authorized implementations meet the requirements of [the Colorado Privacy Act].”
The first and second of these rules relate to Notice and Choice under Rule 5.03 and Default Settings under Rule 5.04. The notice and choice requirements ask UOOM vendors to ensure that the signal represents an “affirmative, freely given, and unambiguous choice to opt out” of targeted advertising and data sales. The requirements for default settings seek to ensure the choice remains a genuine opt-OUT with respect to the device. The default browser installed on the device cannot simply negate the selection in a user interface to transform the user-facing mechanism into what would appear to be an opt-IN for the user. For browsers or browser extensions that do not come pre-installed on the device and that are marketed as tools for exercising a user’s opt out rights, the consumer’s decision to install and use these tools is considered an affirmative, freely given, and unambiguous choice.
The final requirement for UOOMs in the CPA is to follow Technical Specifications under Rule 5.06. The technical specification requirements make the tool “universal” in the sense that it can automatically transmit the opt-out to multiple publishers while remaining in compliance with other requirements, like the notice and choice requirements and the default settings requirements, and without unfairly disadvantaging controllers.
It is noteworthy that the AG’s office distinguishes between “the UOOM” – the GPC in this case – and “any authorized implementations” of the UOOM. Several organizations, including FPF, expressed broad support of the GPC while correctly observing that the GPC is a protocol-level technical specification and is implementable in valid and invalid ways in user-facing tools. Actual implementations of the GPC vary significantly in their interface and functionality. However, it is not clear what is required for an implementation to be “authorized”. One may read the language to require some additional recognition by the Colorado AG’s office (which has not produced a list of authorized implementations) or instead to include those implementations recognized by the creators of the GPC, which lists several implementations that support the GPC on their website. It is even possible that “authorized implementations” may even refer to other authorized, yet-to-be-approved UOOMs and have nothing to do with the GPC.
Based on this analysis, it is technically possible for publishers to receive an invalid GPC signal originating from a tool that fails to implement other requirements of the CPA. However, discerning the validity of GPC signals as they are received may require publishers to implement otherwise invasive means, like browser fingerprinting.
2. GPC will be a multi-state enforcement priority for 2024
Despite the limitations of approving a technical specification, the decision in Colorado to recognize only the Global Privacy Control marks an alignment with California that the GPC should be a clear priority for organizations looking to avoid an enforcement action in 2024. Controllers in Colorado and businesses in California should earnestly implement appropriate means to receive these signals and respond in their advertising technology stack. Industry preparation should include some mechanism for differentiating data that has been opted-out of sale or sharing from data that has not.
The Colorado AG also indicated that the current public list (which, again, consists solely of the GPC) will be “prioritized for enforcement,” meaning publishers will likely be required to respond to GPC opt-out requests as soon as the enforcement date of July 1, 2024 rolls around. Any relevant on-going or concluded investigations in California since the AG settlement with Sephora have not resulted in publicly announced enforcement actions. However, it has remained an area of active interest, including recent discussions by the California Privacy Protection Agency (CPPA) regarding the possibility of requiring browser vendors to implement a feature allowing users to express their opt-out preferences to publishers.1
3. Novel mechanisms may still be reconsidered in upcoming years
In naming the GPC as the current exclusive UOOM recognized in Colorado, Colorado AG also indicated that this did “not exclude additional UOOMs from meeting the requirements” in the future. This could mean the other shortlisted opt out mechanisms (i.e., the OptOut Code or the Opt-Out Machine) or some tool that has not yet been developed may be able to be approved in the future. However, the process for submitting applications is uncertain. The website is no longer accepting submissions, and although it may be opened to new submissions in the future, no plans for doing so are currently public.
The Colorado AG also indicated that when it does accept new applications, it will also seek public comments on them in a similar process. The three applications listed in the shortlist each took different approaches to standardizing expression of user opt out preferences. The OptOut Code proposal focused on prepending a code to human-readable device names, the Opt-Out Machine proposed an automated email-based opt out mechanisms, and the Global Privacy Control (GPC) proposed using their HTTP-based protocol-level specification in Colorado, having already been recognized as a UOOM in California.
Challenges Ahead for Enforcement
Enforcement of the Colorado Privacy Act’s requirements for opt-outs will begin later this year. Although the Colorado AG selected the GPC, they did not reveal their rationale or respond substantively to the concerns raised during the comment process. As a result, specific enforcement techniques and investigative approaches are hard to predict. At least four enforcement challenges exist for Colorado: (1) responding to the GPC alone may not be enough to ensure compliance with the CPA, (2) confirmation of signals by controllers is not required making verification of the receipt of valid signals difficult, (3) invalid GPC signals are difficult to detect definitively, and (4) the current move toward enforcement is happening at a time of transition in the industry at large.
First, responding to the GPC alone is not enough for compliance with the CPA. Although the GPC specification includes optional requirements allowing publishers to confirm to users that they have received the GPC signal, this confirmation is not technically tied to any advertising that appears on the publisher site. In other words, it is possible for a publisher site to continue serving targeted ads while confirming to users that their GPC opt-out signal has been received, either intentionally or accidentally. The Colorado AG will need some mechanism for discerning whether any advertising displayed was targeted or not. For people who have invoked the GPC, publishers are likely to replace targeted advertising with contextual advertising, and these ads may be served by similar ad servers, making discernment challenging. (The opt-out also applies to the sale of personal data, but that would not be immediately obvious to an enforcement agency in a single web browsing session regardless of the GPC configuration.)
Second, optional confirmation requirements in the GPC specification are not strictly required by the CPA. Although confirmation may be useful for users, advertisers, and publishers seeking to test their configuration of their GPC tool of choice, their utility as part of regulatory enforcement remains unclear, and without them it is unclear how Colorado enforcement agencies will determine whether a signal has been received and responded to. It is worth noting here that California’s recently proposed revisions to the California Consumer Privacy Act (CCPA) would require businesses to display the status of the consumer’s choice.2
Third, invalid implementations of the GPC can transform the opt-out into a user-facing opt-in. Developers of privacy-oriented browsers and browser extensions have evinced a desire to make the user’s experience of setting up both the browser and the GPC as fast and easy as possible, but the legal environment is inherently complex. The installation and configuration process for these tools will be critical to ensuring that GPC signals are valid in each jurisdiction where they are intended to apply. The GPC signal does not embed information on which browser, extension or tool sent the signal. This can make it difficult for organizations seeking to determine a mechanism’s validity and investigators seeking to respond to GPC signals sent using an invalid mechanism or configuration. Investigators will also have to determine if the person covered by the signal is a Colorado resident.
Finally, enforcement of the CPA comes at a time when the industry is transitioning away from the third-party cookie and toward new advertising APIs, presenting an additional challenge for discernment of targeting information. Publishers will need to be able to connect receipt of the GPC signal to their new infrastructure for advertising APIs during this transition. Similarly, Colorado’s enforcement will need to be able to verify compliance with the CPA, including responses to valid GPC signals, during this industry transition. Many other states are considering comprehensive privacy laws, some with subtly different opt out rights. Colorado has indicated that they prefer a harmonious, multi-state approach where possible, but this possibility remains an open question as states consider new approaches to privacy.
Conclusion
Colorado’s adoption of the GPC as the only valid universal opt out mechanism, for now at least, represents a critical step for vendors, advertisers, publishers, and users. Broad alignment with California marks this as important outside of Colorado as well, particularly with other states adopting or considering comprehensive privacy laws. Although some challenges and open questions remain, covered entities should earnestly work towards compliance to be able to honor these UOOMs beginning July 1, 2024.
1 Note that this requirement may complicate the default setting requirements discussed earlier given Colorado’s differentiation between a browser that comes pre-installed on a device and one that does not.
2 See page 40, in § 7025 on Opt-out Preference Signals.
imolaoggi.it/2024/02/12/spagna…
Spagna, Von der Leyen denunciata per appropriazione indebita e distruzione di documenti pubblici • Imola Oggi
L'influentissima associazione spagnola Liberum ha annunciato di aver presentato tre denunce contro Ursula Von der LeyenImolaOggi
Oltre Icaro: il sogno transumano
Il 28 gennaio 2024 è stato impiantato il primo chip cerebrale al mondo. La notizia arriva direttamente da Elon Musk, proprietario dell’azienda che produce il chip: “The first human received an implant from Neuralink yesterday and is recovering well. Initial results show promising neuron spike detection”.
L’impianto Neuralink è un’interfaccia cervello-computer (BCI) che mira a captare e analizzare i neuroni attraverso degli elettrodi che penetrano fisicamente il cervello del paziente. Da tempo i neuroscienziati riconoscono che acquisire i segnali che arrivano direttamente dai neuroni è il segreto per decodificare il pensiero umano.
Attraverso le BCI sarà possibile controllare la tecnologia come se fosse parte di noi. Il chip Neuralink nasce per dare la possibilità a persone invalide, in particolare paraplegici, di controllare dispositivi elettronici col pensiero, come smartphone o computer. In futuro è probabile che potranno controllare anche protesi robotiche, come se fossero arti naturali.
Alcuni dicono che le neurotecnologie permetteranno anche di decodificare processi cognitivi complessi, come i sogni o il “monologo interiore” (fun fact: secondo alcune ricerche solo il 30-50% delle persone posseggono un monologo interiore).
Yuval Noah Harari, storico e filosofo israeliano e autore di Homo Deus1, ha recentemente affermato che rischiamo che l’intelligenza artificiale possa arrivare a falsificare la nostra stessa realtà, a partire dai più classici “deep fake” fino ad arrivare alla moneta e poi all’economia intera.
Se all’intelligenza artificiale uniamo le potenzialità di nuove tecnologie come il VisionPro di Apple e delle futuristiche interfacce cervello-computer di Neuralink, sembra che il XXI secolo possa in effetti segnare davvero un cambio di passo verso un vero e proprio Transumanesimo.
I tempi che s'annunciano saranno titanici e tragici. Non sottovalutare l'impatto della tecnologia (e della tecnocrazia) sulla tua vita e sul tuo spirito.
Verso il transumanesimo
Il transumanesimo viene solitamente definito come un movimento intellettuale che sostiene l'uso della scienza e della tecnologia per migliorare le capacità fisiche e cognitive umane, aumentando la qualità (e longevità) della vita.
Un esempio, che oggi sembra ancora fantascientifico, sono le protesi robotiche che un giorno andranno a sostituire i nostri arti o organi, magari arrivando perfino a migliorarli. Ai suoi estremi, il transumanesimo mira a raggiungere l’immortalità (digitale o cibernetica).
Il transumanesimo può essere considerato l'ultimo step in ordine temporale di un percorso millenario che da sempre spinge l'Uomo a interrogarsi sul proprio posto nell’Universo, cercando al tempo stesso di superare i limiti della realtà materiale e della sua stessa biologia.
In effetti, l’idea che l’Uomo possa trascendere i limiti biologici e materiali attraverso una conoscenza segreta, come la capacità di decodificare i segnali derivanti dai neuroni, è molto risalente nel tempo.
Secondo lo Gnosticismo (dalla parola greca gnósis, cioè “conoscenza”), corrente filosofico-religiosa che alcuni fanno risalire a prima del Cristianesimo (giudicata poi eretica nell’XI secolo), l’Uomo avrebbe la capacità di elevare se stesso e liberare il suo spirito dalla prigionia del mondo materiale attraverso l’acquisizione della Conoscenza.
La ricerca tecnologica, in quanto ricerca fondata sulla manipolazione della realtà materiale, sarebbe quindi uno strumento per acquisire quella Conoscenza necessaria a liberare lo spirito umano dalla sua prigione biologica.
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Anche negli antichi miti classici si possono ritrovare elementi vicini al transumanesimo.
Il mito di Icaro è uno di questi: figlio di Dedalo e di Naucrate, schiava di Minosse, Icaro fu rinchiuso con il padre nel labirinto di Creta. Riuscì a fuggire volando con delle ali di cera costruite dal padre, per poi cadere verso la morte dopo essersi avvicinato troppo al Sole.
Volendo azzardare un’interpretazione allegorica del mito di Icaro, potremmo dire che il “labirinto” è un simbolo della complessità della mente umana, o magari delle limitazioni imposte dalla realtà materiale. Il labirinto è cioè il vincolo materiale che intrappola l’Uomo (Icaro) nella sua condizione, limitando anche la sua comprensione della realtà stessa.
Il volo di Icaro verso il Sole può essere invece visto come il tentativo dell’Uomo di trascendere le limitazioni materiali attraverso la tecnologia. In questo senso, il volo di Icaro rappresenta l’aspirazione di raggiungere la Conoscenza divina, rappresentata dal Sole. Al sorgere del Sole, però, le ali di Icaro iniziano a sciogliersi; lasciandolo cadere verso la morte.
Lo stesso concetto può ritrovarsi nel libro della Genesi (11, 1-9), in cui si racconta il mito della Torre di Babele, voluta da Nimrod per cercare di arrivare a toccare il “cielo” e sostituire Dio, superando così i limiti terrestri e materiali. Anche in questo caso, il tentativo fallì miseramente e l’umanità intera fu punita.
I miti antichi sembrano suggerire che il viaggio transumano verso la Conoscenza sia costellato da rischi — alcuni di questi mortali.
E se allora l’umanità si dirige verso un futuro transumano, come evoluzione e ambizione naturale della ricerca tecnologica, non possiamo certo parlarne senza approfondire le ragioni filosofiche alla base del fenomeno. Non si tratta solo di nuovi gadget scintillanti.
Come scriveva già padre Benanti nel 20191:
I profondi cambiamenti indotti dall’irruzione dell’informazione e dagli artefatti biotecnologici suscitano nuove domande sull’uomo e sulla sua identità: la questione antropologica diventa un luogo chiave dove la filosofia e la teologia si devono confrontare con nuove visioni e inedite sfide.
Un’odissea spirituale
Come detto, il transumanesimo potrebbe essere quindi visto come la continuazione di un’odissea spirituale intrapresa già dagli albori dell’umanità.
Per capire meglio alcuni aspetti di questa odissea, ho chiesto a 2, autrice di, di aiutarmi (il testo in corsivo è il suo).
Secondo Brenda, gli uomini sono esseri guidati dai miti, costantemente alla ricerca di una grande impresa che li spinga al sacrificio personale e al progresso comune. La fase attuale della nostra esistenza implica una metamorfosi che influisce non solo sulle nostre condizioni fisiche e mentali, ma anche sui nostri modelli mitici fondamentali.
L'essere umano necessita di principi astratti e di credenze condivise per organizzare e coordinare le proprie azioni. Per progredire, qualsiasi cosa significhi, è essenziale infondere e stimolare negli uomini il desiderio di aspirare a qualcosa di maggiore. Questo comporta una percezione riscattatrice delle capacità umane e un ideale utopico per il domani.
Ray Kurzweil, sacerdote della Singolarità transumanista, sostiene che ci trasformeremo in entità simili ai "corpi senza organi" descritti da Deleuze, eterni nelle nostre esistenze di silicio. Il mito della Singolarità richiama l'archetipo biblico dell'Apocalisse, prevedendo l'arrivo di una "Nuova Gerusalemme" sintetica dopo l'attuale periodo di crisi geopolitica. Il transumanesimo prende il mito cristiano della salvezza e gli dà una veste meccanica.
Il transumanesimo si configura quindi come una sorta di fede religiosa nella tecnologia, attraverso un processoche comporterà una graduale dissoluzione del confine tra natura e tecnologia, nonché tra uomo e macchina, seguendo una narrazione mitica che attinge all'archetipo biblico dell'Apocalisse.
La tecnologia non è un'attività laica, al contrario di quanto si voglia sostenere. Anzi, l’istinto religioso di chi programma e di chi innova è più vivo che mai, semplicemente celato alla vista. Non viviamo in una società laica. Non lo abbiamo mai fatto e non lo faremo mai. La tecnologia porta con sé sogni e aspirazioni che vanno ben oltre la funzionalità.
Persi nell’algoritmo
I rischi che si annidano nel prossimo futuro transumano sono molto più spirituali che materiali. Principalmente, potremmo perdere la nostra stessa umanità.
La tecnologia dell’informazione già ora pervade ogni ambito della nostra vita, fin dalla nascita. Tutto ciò che facciamo sparge nell’etere dei fili invisibili fatti di bit che sono raccolti da algoritmi di machine learning e reti neurali.
Questi sono sempre più usati per prendere decisioni automatizzate che plasmano la nostra realtà. E’ ciò che accade ad esempio con le cosiddette “filter bubble” nei social network: un algoritmo ci propone contenuti, cioè una determinata realtà, sulla base delle nostre azioni passate.
Così si instaura un feedback loop in cui la persona viene spinta a compiere determinate azioni in base alle scelte fatte in precedenza. Ciò che appare una libera scelta, è in realtà solo l’effetto di una decisione presa da una macchina al posto nostro.
Grazie a meccanismi del genere, da anni ormai il sistema globalista-tecnocratico è impegnato nel creare il consumatore perfetto delle nuove tecnologie dell’informazione.
Miliardi di persone oggi sono legate a una concezione materialistica della vita e della realtà: figli demoralizzati di un collettivismo globalista che riempie il loro vuoto identitario (soprattutto occidentale) con gadget tecnologici pensati appositamente per creare un falso senso di appagamento.
La questione più rilevante che si pone soggi è quella relativa all'anima: gran parte delle persone è stata sedotta da una visione del mondo meccanicistica, fino a convincersi dell'inesistenza dell'anima — come se fossimo meramente funzioni algoritmiche, automi biologici.
Questo è l'orrore descritto da Yuval Harari in Homo Deus. Harari ha prospettato un futuro non troppo lontano in cui un'élite ristretta e tecnologicamente avanzata domina su una popolazione relegata al ruolo di giocatori di videogiochi immersivi.
Si intravede la possibilità che le “democrazie” vengano gradualmente sostituite da società robotiche totalitarie, basate su sorveglianza assoluta e controllo mentale sistematico.
In questo tipo di società, l’Uomo — transumano, addomesticato — non avrà alcuna visione storica e sarà profondamente attaccato alle strutture della società algoritmica e tecnocratica che lo governano, vittima di infiniti feedback loop e perso all’interno di infinite realtà virtuali. Una nuova semi-vita transumana, dove l’azione è guidata esclusivamente dalla dopamina creata dagli algoritmi.
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L’Uomo al centro dell’universo
Come può il transumanesimo, a queste condizioni, essere il prossimo step evolutivo della società umana?
Non è detto che ci aspetti per forza il futuro distopico prospettato da Harari, che certamente considera se stesso parte delle élites. Il futuro dipende da noi, non certo da un destino predeterminato. Per mitigare questi pericoli, che sono prima di tutto esistenziali e spirituali, forse abbiamo semplicemente bisogno di riscoprire un nuovo umanesimo all’interno del transumanesimo.
L'umanesimo poneva l'Uomo al centro dell'universo, con una visione antropocentrica che enfatizzava la dignità, il potenziale e il valore intrinseco dell'essere umano.
Durante il periodo umanistico venne promossa l'idea che l'umanità potesse raggiungere grandi cose attraverso la ragione, la filosofia, l'esplorazione delle arti e la riscoperta dei testi antichi. Le opere di Michelangelo e Leonardo Da Vinci ne sono un testamento. L’Uomo (e la sua libertà) era la misura di tutte le cose.
ll transumanesimo porta agli estremi l’umanesimo, fino a superare il concetto stesso di centralità umana. L'obiettivo non è più trasformare il mondo a misura d’Uomo, ma trasformare l'umano in qualcosa di più avanzato, utilizzando strumenti come l'ingegneria genetica, la cibernetica, l'intelligenza artificiale e la realtà virtuale.
L’idea stessa di un’interfaccia cervello-computer, come quella progettata e impiantata da Neuralink, dimostra la volontà di fondere Uomo e macchina.
Mentre l’umanesimo celebrava l’Uomo come centro di tutte le cose, il transumanesimo porta la “volontà di potenza”3 dell’umanesimo ai suoi grotteschi estremi: la centralità dell’Uomo nell’universo ha ceduto il passo alla centralità dei processi umani, riducendo l'Uomo a mero ingranaggio all’interno del sistema tecnologico da lui stesso creato.
Per quanto mi piaccia Ted Kaczynski, non credo che la soluzione sia un nuovo luddismo e un ritorno ai boschi. La “tecnoscienza”, per citare G. Faye, è prometeica nella propria essenza: reca in sé il meglio delle speranze e i peggiori pericoli per il genere umano.
Non è neanche detto che la “salvezza” debba essere di massa; non lo è mai. Probabilmente ci saranno persone incatenate alla tecnologia, e persone che invece sfrutteranno la tecnologia per rompere le proprie catene, come già professato dai primi Cypherpunk alla fine del secolo scorso.
Il transumanesimo di Harari, distopico e oppressivo, è necessariamente globalista e di “massa”. Il globalismo infatti predica la fine della storia, cioè un mondo pervaso da una Civiltà unica, un Popolo unico; un Governo unico. A questo si aggancia il consumismo, il gradino più basso del materialismo, che è lo strumento per addomesticare le masse, trasformandole in consumatori. In pratica: l’annullamento dei valori, delle tradizioni, della mentalità dei popoli e degli individui a favore di un’egemonia culturale scientista e materialista, fondata sulla sorveglianza di massa e sulla censura algoritmica.
Il transumanesimo globalista non ammette quindi alcuna identità (individuale o dei Popoli), né individualismo (legato al concetto di libertà-responsabilità e pensiero critico).
Continua Brenda: a Babele le persone erano unite da un obiettivo comune, da un’unica lingua, un pensiero unico, una coscienza collettiva. La coscienza collettiva non può tollerare il dissenso al suo interno. Qui giace la contraddizione dell'esistenza transumana: potremmo teoricamente vivere in eterno, ma perderemmo la nostra essenza individuale a un livello basilare.
Nel sistema globalista transumano, l’individuo si trasforma in una scatola vuota da riempire, manipolare e — in futuro — hackerare.
E allora, per non farsi hackerare bisognerà patchare le nostre vulnerabilità morali e spirituali, rivolgendo lo sguardo a valori ancestrali e umanistici che abbiamo perso di vista dietro le false promesse globaliste e progressiste: identità culturale e territorialismo (il globalismo agisce prima di tutto sul piano materiale, che va riconquistato), individualismo e, sì — anche il controllo equilibrato della tecnologia, attraverso una rinnovata spiritualità.
Abbiamo oltrepassato il panismo, il monoteismo, il deismo e addirittura l'ateismo. Ora dobbiamo "resuscitare" Dio — almeno in termini concettuali.
Secondo Harari nel corso del XXI secolo, l'umanità tenterà di impiegare le sue conoscenze per guadagnare la felicità, l'immortalità e poteri simili a quelli di Dio. Harari specula in vari modi su come questa ambizione possa essere realizzata nel futuro sulla base delle esperienze passate e del presente.
Esoterista e consulente (ex banchiere e programmatrice), impegnata a decifrare la realtà con un approccio che fonde fisica, scienza, statistica e informatica con le tradizioni millenarie, la spiritualità e l'occulto. Il testo in corsivo è il suo.
Per volontà di potenza intendo: la tendenza di ogni vita sana a perpetuarsi, ad accrescere la propria superiorità e capacità di creazione; una volontà di autoaffermazione.
Louise Lemón - Lifetime of tears
Questa opera rappresenta la piena maturità artistica e non solo per una musicista che si merita moltissimo, sia per quello che ci regala sia per le sue capacità. Louise Lemón si colloca vicino ma oltre cantanti come Pj Harvey, Lana Del Rey etc, e un giorno si parlerà di lei come oggi si parla di loro, nel frattempo riscaldiamoci qui. @Musica Agorà
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📊 #IscrizioniOnline: i Licei continuano a essere preferiti da oltre la metà delle studentesse e degli studenti che devono effettuare la scelta della Secondaria di II grado, con il 55,63% di domande effettuate sulla piattaforma #Unica.Telegram
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Il boomerang delle sanzioni. Russia e Cina aumentano le loro capacità ai danni del potere strategico degli USA l Red Hot Cyber
"Le recenti dinamiche geopolitiche stanno evidenziato un fenomeno già anticipato nel panorama tecnologico internazionale. Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti nei confronti di paesi antagonisti stanno spingendo questi ultimi verso una maggiore autonomia e indipendenza tecnologica."
Io scendo qua – Pensieri disordinati di una povera pazza
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Temo che alcuni consulenti e DPO potranno arroccarsi su posizione reattive, di pancia, elaborate come workaround in risposta al documento del Garante.Un’azienda potrebbe arrivare a misure paradossali, non tanto per eliminare il problema inteso come il rischio sottesa al trattamento, quanto per togliersi dall’impiccio se il problema viene percepito nella norma stessa.
bernieri.blogspot.com/2024/02/…
Chi vusa püsé la vaca l'è sua
Nota preliminare alla lettura: il Garante ha ragione. Non è mia intenzione confrontarmi ma ragionare e, purtroppo, lo so fare solo così. ...bernieri.blogspot.com
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Oggi #10febbraio ricorrono i 20 anni dall’istituzione del #GiornodelRicordo dedicato alla memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra.Telegram
Movie Star Junkies Boy, Life Is Chaos/Days Gone 7"
Due sono le canzoni proposte; la prima è Boy, Life Is Chaos, tesa allo spasimo come una corda che sta per spezzarsi, evocando atmosfere poeticamente decadenti da crepuscolo della repubblica di Weimar.
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Movie Star Junkies Boy, Life Is Chaos/Days Gone 7": Movie Star Junkies: una band che ho sempre seguito e apprezzato tantissimo.In Your Eyes ezine
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#Scuola, il Ministro Giuseppe Valditara ha firmato i due decreti che prevedono uno stanziamento di oltre 700 milioni di euro a favore delle scuole paritarie per l’anno scolastico 2023/2024.Telegram
Settimana delle #STEM: il webinar "La robotica educativa per l'acquisizione di competenze STEM" è rivolto ai docenti delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado statali e paritarie.
Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.
Ministero dell'Istruzione
Settimana delle #STEM: il webinar "La robotica educativa per l'acquisizione di competenze STEM" è rivolto ai docenti delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado statali e paritarie. Qui tutti i dettagli ▶️ https://www.miur.gov.Telegram
Sensibilizziamo le istituzioni ad aderire al Fediverso. Ricondividiamo l'appello di @Fedi.Tips
Numerosi governi (Francia, Germania, Svizzera, Paesi Bassi), ONG (UE, Consiglio d'Europa, W3C, ecc.), emittenti pubbliche (ZDF, BBC, affiliati PBS/NPR, ecc.) hanno creato server o account sul Fediverso.
Chiedi ai servizi pubblici del tuo paese/regione/area di seguire il loro esempio!
Il Twitter di Musk nasconde tutti i suoi account dietro una pagina di accesso, quindi non è più un canale pubblico.
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Passi avanti della Schengen militare per una UE armata nella NATO l Contropiano
"Lo scivolamento verso l’economia di guerra è cominciato dunque già da tempo, e non è il risultato di conflitti specifici, bensì della tendenza del capitale in crisi a trovare soluzioni solo nell’uso della forza. Nella distruzione e nella ricostruzione, nella cannibalizzazione di fette di mercato prima inaccessibili.
Se a ciò aggiungiamo le aspirazioni di autonomia della UE, abbiamo il quadro completo. Una corsa verso il baratro bellico di cui le spese sono tutte a carico dei settori popolari."
RungeBot
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