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INTERVISTA. Tony Abu Akleh: «Gli Usa hanno tradito Shireen. Vogliamo dirlo a Biden»


Parla il fratello della giornalista Shireen uccisa due mesi fa a Jenin, conferrma l'intenzione della famiglia di incontrare il presidente americano dopo che gli esperti statunitensi hanno di fatto assolto Israele dalle sue responsabilità L'articolo INTER

di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 11 luglio 2022 – Si chiama Anton ma per tutti è Tony. E da due mesi è il portavoce della sua famiglia, Abu Akleh, che non si rassegna e chiede giustizia per sua sorella Shireen, nota giornalista palestinese, con passaporto statunitense, uccisa sul colpo due mesi fa, l’11 maggio, da un proiettile mentre per la sua emittente, Al Jazeera, seguiva un’incursione di reparti speciali dell’esercito israeliano a Jenin. Tony rispondendo alle nostre domande non nasconde il suo stato d’animo, un misto di frustrazione e delusione. «Le inchieste svolte dalla Cnn e altri giornali americani – ci dice – come dall’Autorità nazionale palestinese e dall’Onu non lasciano dubbi: dicono tutte che Shireen è stata uccisa da spari giunti dagli israeliani. E a nostro avviso sono stati intenzionali. Ci aspettavamo perciò che gli Stati uniti, di cui siamo cittadini, affermassero in maniera netta e chiara che mia sorella, una civile innocente, una giornalista, è stata colpita da spari israeliani mentre svolgeva il suo lavoro di informazione e che la sua morte è un crimine non può restare impunito. E invece…».

Tony non ha peli sulla lingua: «quella che hanno svolto una settimana fa gli esperti americani – spiega – sul proiettile che ha ucciso Shireen non è stata una perizia ma un’operazione politica. Non hanno riferito i risultati di una indagine tecnica, come ci aspettavamo. Piuttosto hanno emesso un comunicato politico per salvaguardare Israele e gli interessi americani. Ma noi non ci rassegneremo». Tony ci ripete che gli Abu Akleh faranno il possibile per ottenere un’indagine internazionale. E che sono intenzionati ad incontrare Joe Biden quando la prossima settimana sarà in Israele e nei Territori palestinesi occupati. «L’ambasciata Usa tace, non abbiamo più avuto contatti dal giorno precedente a quello della cosiddetta perizia» prosegue «per gli Stati uniti la faccenda è chiusa, per noi no! Shireen avrà giustizia».

Gli Abu Akleh hanno indirizzato una lettera all’Amministrazione Biden in cui definiscono l’uccisione di Shireen non un incidente causato da un proiettile vagante, come sostengono Israele e gli Stati uniti, bensì un «omicidio extragiudiziale» eseguito da soldati israeliani. Rivolgendosi al presidente americano, aggiungono che «la sua Amministrazione ha completamente fallito nel soddisfare le aspettative minime di una famiglia in lutto…gli Stati uniti si sono mossi per la cancellazione di qualsiasi illecito da parte delle forze israeliane» e non hanno condotto proprie indagini ma si sono limitati a «riassumere e adottare l’indagine delle autorità israeliane». «La sua Amministrazione – concludono – ha ritenuto necessario perpetuare la conclusione infondata e dannosa che l’omicidio non sia stato intenzionale, scegliendo apparentemente l’opportunità politica rispetto alla responsabilità effettiva per l’uccisione di un cittadino statunitense da parte di un governo straniero». Alla fine della lettera chiedono a Biden di incontrarli.

Non si può escludere del tutto che questo incontro possa avvenire. Forse non sarà più di una stretta di mano e qualche frase di cordoglio da parte del presidente Usa. Ma la possibilità è remota. Biden arriverà mercoledì in Israele non per accusarlo dell’omicidio di una giornalista ma per rassicurarlo della protezione militare americana e dell’alleanza con Washington. Non solo. Potrebbe avere in tasca un’intesa preliminare per la normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e l’Arabia saudita. E dovrebbe dare la sua benedizione al programma di difesa aerea integrata tra Israele e i suoi alleati arabi contro l’Iran. Proprio con Teheran al centro dei suoi pensieri, Biden visiterà alcuni apparati di sicurezza israeliani presso la base aerea di Palmachim, una batteria missilistica Iron Dome, il sistema di difesa laser Iron Beam.

Venerdì incontrerà a Betlemme il presidente dell’Anp Abu Mazen al quale non garantirà alcun appoggio politico ma solo un pacchetto di misure economiche e qualche gesto simbolico. Biden quindi andrà all’aeroporto Ben Gurion da dove partirà per l’Arabia saudita dove parteciperà al vertice del GCC+3 a Gedda con i leader del Consiglio di cooperazione del Golfo: Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati insieme a Iraq, Egitto e Giordania. Pagine Esteri

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EGITTO. Il “Dialogo nazionale” secondo il dittatore Al Sisi


Proposto dal Presidente egiziano e inaugurato il 5 luglio, dovrebbe permettere ai partiti di opposizione di confrontarsi pubblicamente con il governo, sottoponendogli critiche e proposte di riforme politiche. Secondo molti critici, si tratta solo di un te

di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 11 luglio 2022 – Il 5 luglio scorso in Egitto è stato ufficialmente inaugurato il cosiddetto “dialogo nazionale”. Da un’idea del Presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi, nasce una piattaforma pubblica che accoglierà rappresentanti della società civile e della politica all’interno della quale si potranno discutere i problemi politici, economici e sociali del Paese. L’obiettivo, secondo le intenzioni dichiarate da Al Sisi, è riaprire un dialogo con i partiti di opposizione e ricevere da loro critiche e proposte di riforme per governare l’Egitto. Una drastica “riforma politica” in quello che Al Sisi ha battezzato come “l’anno della società civile”. “Vogliamo che l’opposizione critichi il nostro lavoro e dica ciò che gli piace, ed è mio dovere rispondere”, così lo ha descritto il suo ideatore.

La proposta era stata lanciata dal Presidente egiziano nell’aprile scorso, nel bel mezzo del banchetto annuale dell’”Iftar della famiglia egiziana”. Durante il pranzo, Al Sisi aveva rivolto un appello a tutti i partiti politici e le correnti giovanili del Paese – eccezion fatta per i Fratelli Musulmani, pochi giorni prima confermati da un tribunale egiziano nella lista dei gruppi terroristici per altri cinque anni – a elaborare insieme, attraverso un dialogo tra maggioranza e opposizione, un nuovo “piano d’azione nazionale”. L’Egitto, aveva dichiarato il Presidente, “accoglie tutti e le differenze d’opinione non rovinano la causa della Nazione”.

Una svolta sotto i migliori auspici quella che aveva annunciato Al Sisi in primavera e che adesso sembrerebbe prendere forma. La riapertura al dialogo ha richiesto un’organizzazione scrupolosa. Il risultato è un apparato complesso in cui le diverse voci del Paese saranno chiamate a confrontarsi secondo le regole di uno Statuto di 19 articoli.

A regolare il dialogo sarà la National Training Academy, un’istituzione di formazione politica diretta dallo stesso Al Sisi. Gli ordini del giorno saranno stabiliti dal coordinatore generale del dialogo nazionale. Per ricoprire l’incarico è stato nominato il capo del sindacato dei giornalisti egiziani, Diaa Rashwan. Una scelta accolta felicemente da molti commentatori in Egitto come prova di un progetto serio e neutrale. E’ stato Rashwan a eleggere, dopo varie consultazioni politiche, i 19 membri del consiglio del dialogo nazionale: tra di loro senatori, avvocati, giornalisti, femministe. Il loro compito sarà quello di selezionare le proposte da portare direttamente alle orecchie di Al Sisi. Per il dialogo nazionale è necessaria, infine, una segreteria tecnica, presieduta da Mahmoud Fawzy, già segretario generale del governo del Consiglio supremo per la regolamentazione dei media.

Il fulcro di questa raffinata organizzazione saranno, di fatto, le sessioni di dibattito pubblico. Queste si terranno presso la National Training Academy di Al Sisi nelle date stabilite dal coordinatore generale. Ufficialmente, tutti sono invitati a candidarsi al dialogo e a partecipare alle sessioni di discussione. Sul sito della Conferenza Nazionale della Gioventù è, infatti, disponibile un modulo che i cittadini possono compilare per registrarsi al dialogo: finora, sarebbero pervenute oltre 700.000 candidature. Non è chiaro, tuttavia, quanti comuni cittadini prenderanno parte al dialogo, e in quali modalità.

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Diverse sono state le reazioni dei partiti a questa improvvisa apertura al dialogo con le opposizioni. Alcune formazioni politiche, tra le quali Al-Wafd e il National Progressive Unionist Party, hanno aderito entusiasticamente al progetto. Secondo l’ex candidato alla presidenza del governo, Hamdeen Sabahi, si tratta di un passo avanti: “Il dialogo può consentire il ripristino della pluralità di voci in Egitto, di sapere come essere d’accordo e come dissentire, anche se, affinché il dialogo abbia successo, deve essere organizzato dalla Presidenza”, ha dichiarato a The Africa Report.

Tarek Fahmy, professore di scienze politiche all’Università del Cairo, ha detto ad Al Monitor: “Ci sono diverse condizioni che devono essere soddisfatte affinché il dialogo nazionale possa raccogliere i suoi frutti. Il principale tra questi è che la questione venga presa sul serio”. Attraverso “la partecipazione di tutte le forze politiche, ad eccezione dei Fratelli musulmani”, “il dialogo nazionale alla fine avrà luogo ed è importante che ci siano meccanismi esecutivi affinché si svolga senza intoppi”, secondo lo studioso.

Più cauta è stata la risposta di altri partiti. Dopo diverse consultazioni avvenute nel mese di maggio, serie criticità sono state avanzate dal Movimento Civile Democratico, che riunisce al suo interno sette partiti di opposizione, che ha comunque accettato l’invito al dialogo. “Negli ultimi otto anni, le voci dei partiti politici liberali” ha dichiarato ad Al Monitor il giornalista Khaled Dawoud, ex segretario generale del Partito della Costituzione liberale, “Sono stati messi a tacere in seguito alla detenzione di un numero significativo dei loro membri per le loro opinioni politiche e ideologiche; è giunto il momento di consentire ai partiti liberali di impegnarsi politicamente”.

Non tutti si sono lasciati trascinare dall’entusiasmo per il dialogo politico in Egitto. E’ un’impressione comune, anche al di fuori dei confini egiziani, che le intenzioni reali di Al Sisi non nascano dall’improvviso desiderio di trasformare il suo regime autoritario in un governo democratico. Secondo molti studiosi e analisti, il “nuovo corso” di dialogo politico che la Presidenza del Cairo sembra voler aprire deriva piuttosto dal tentativo di smacchiarsi la coscienza dei propri crimini davanti alla comunità internazionale. La svolta avviene, del resto, in un periodo di estrema difficoltà e di bisogno per l’Egitto, prostrato dalla crisi economica, dal rincaro di materie prime e carburante. Un’immagine edulcorata potrebbe giovare nelle relazioni internazionali – come l’impressione di una distensione del regime potrebbe alleggerire gli animi di un popolo impoverito e arrabbiato.

Il governo vuole fare un carnevale per mostrare al mondo che abbiamo una democrazia, mentre il regime ha le sue impronte su molti crimini contro il popolo e continua ad arrestare, torturare e detenere egiziani“, ha dichiarato a The Africa Report un vecchio componente dei Socialisti Rivoluzionari, tra i partiti che guidarono la rivoluzione del 2011.

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Proprio sulla questione dei detenuti politici in Egitto, il Movimento civile democratico e diverse organizzazioni per i diritti umani, tra le quali Amnesty International e Human Rights Watch, hanno iniziato a fare pressione all’indomani dell’annuncio dell’apertura al dialogo da parte di Al Sisi. Sono, infatti, decine di migliaia i prigionieri per reati d’opinione attualmente rinchiusi nelle carceri egiziane.

Le proposte che sono state redatte dai partiti di opposizione nel loro contenuto e nella ridondanza danno un’idea della situazione sociale e politica e del grado di esasperazione raggiunto nel Paese. Tra i suggerimenti, o meglio gli spunti di discussione, si legge: “Dovrebbe essere definito un calendario per il lavoro della Commissione della grazia, insieme all’annuncio di una sede della Commissione dove le famiglie possano presentare le loro domande di liberazione dei propri cari”; “Amnistia per tutti i casi politici, come quelli accusati di pubblicazione di notizie false e uso improprio dei social media, manifestazioni e raduni”; “Prevenire e criminalizzare l’arresto delle famiglie dei ricercati come strumento di ricatto e vendetta, insieme al loro rilascio immediato”; “Amnistia per i detenuti condannati in un tribunale militare con accuse politiche”; “Indagine su episodi di tortura e processo di valutazione delle sentenze giudiziarie emesse dal 24 luglio 2013 in tutti i casi politici”; “Fine della revoca della cittadinanza egiziana come strumento punitivo per i presunti dissidenti”. Insieme a questi punti, anche proposte di riforme economiche, democratiche e altri aspetti relativi alla tutela dei diritti umani in Egitto. Richieste che recano in sé drammatiche denunce – e che adesso, alla luce del nuovo clima di “dialogo politico”, il Presidente egiziano apparentemente non potrà ignorare nella sua agenda.

Anche Reporters Sans Frontières (RSF) ha colto l’occasione dell’annuncio del dialogo politico per fare pressione sul governo Al Sisi: “RSF chiede al governo egiziano di sbloccare i siti web di notizie e di rilasciare i giornalisti incarcerati nel “dialogo nazionale” che inizia oggi”, si legge in un comunicato del 5 luglio sul sito dell’organizzazione. “Questo dialogo nazionale deve portare a risultati concreti, compreso lo sblocco dei siti di notizie e il rilascio di tutti i giornalisti e blogger”, secondo Sabrina Bennoui, capo dell’ufficio Medio Oriente di RSF. Si intuisce scetticismo da parte di RSF, che, ripercorrendo i primi nove mesi del piano quinquennale annunciato nel settembre 2021 da Al Sisi come “Strategia per i diritti umani”, precisa: “Da allora, cinque giornalisti sono stati rilasciati e uno è stato messo in detenzione, con il risultato che il numero di giornalisti detenuti in Egitto è ora pari a 22. I tribunali egiziani hanno anche denunciato due blogger, Mohamed Oxygen e Alaa Abdel Fattah, e due giornalisti, Hisham Fouad e Alia Awad”. Dati che ancora non permettono di concedere molta fiducia al governo del Cairo in fatto di libertà d’espressione.

Perplessità sono state espresse anche da altre organizzazioni di attivisti. Ferma la denuncia di Human Rights Watch: “L’Egitto sotto il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi sta vivendo una delle peggiori crisi dei diritti umani da molti decenni. Il governo ha cercato di mascherare gli abusi ma non ha preso misure serie per affrontare la crisi. Decine di migliaia di critici del governo, inclusi giornalisti, attivisti pacifici e difensori dei diritti umani, rimangono incarcerati con accuse abusive di “terrorismo”, molti in una lunga detenzione preventiva. Le autorità molestano e trattengono i parenti dei dissidenti all’estero”.

Resta, dunque, da aspettare e stare a vedere in che cosa si tradurrà questo “dialogo nazionale” voluto da Al Sisi e valutare che non sia, come nei presagi del dissidente anonimo dei Socialisti Rivoluzionari, soltanto “un carnevale”, una celebrazione della farsa e del grottesco. Proprio nei giorni dell’apertura del “dialogo”, arriva l’accusa alle autorità egiziane da parte di Amnesty e Human Rights Watch di aver manomesso le indagini sulla morte del ricercatore Ayman Hadhoud, 48 anni, secondo le organizzazioni torturato e ucciso in carcere. E’ del 7 luglio, inoltre, la notizia dell’arresto della blogger e attivista Aya Kamal el-Din, prelevata dalla propria abitazione nella giornata di domenica e, secondo quanto riferito dal suo avvocato, comparsa in una stazione di polizia del Cairo solo due giorni dopo. Un’utente egiziana ha commentato sarcasticamente la notizia sui social scrivendo che l’arresto di Aya Kamal el-Din era un passo necessario ad “aprire la via del dialogo nazionale”.

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Draghi in questo mondo di oscuri vacanzieri del pensiero


La politica è confronto, ma per confrontarsi bisogna avere un 'altro' (pensante) con cui farlo. In assenza del quale Draghi propone e agisce: o stai con lui o ti attacchi

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Governo e M5S: … e la quadra verrà


Draghi darà soddisfazione apparente a Conte, e gli consentirà una via d’uscita per salvare un minimo la faccia

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Da quasi 7 anni ho un PC portatile Acer, Aspire V3-572G, indubbiamente ormai un po' vetusto, senza lode e con qualche infamia. Quando fu comprato, era...


La piaga di Ottana


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For several months, the international community seemed to have forgotten Libya and the decade-long instability that has been ravaging the largest energy-exporting country in North Africa since 2011.


La Schengen digitale di Colao


Entro il 2023 Colao vuole creare i primi tasselli di una "Schengen digitale", con ID digitale e app IO, sul modello Green Pass. Un passo in più verso il monopolio di Stato delle esperienze umane.

Il ministro Vittorio Colao ha dichiarato in questi giorni che la “trasformazione digitale” della pubblica amministrazione, coi fondi del PNRR, sta andando a gonfie vele, e che entro il 2023 prevede anche di creare i primi tasselli di una “Schengen digitale” capitanata dall’Italia, fino al 2026 - anno in cui prevede di conseguire una piena “cittadinanza digitale”.

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L’idea è di arrivare a creare un ecosistema di servizi, pagamenti e documenti digitali, senza frontiere, al cui centro ci sarebbe un portafoglio digitale europeo - uno strumento di identità digitale omnicomprensivo, con cui poter gestire tutti i documenti e attributi necessari per essere cittadini digitali: patente, carta d’identità, fascicolo sanitario elettronico, pagamenti digitali, servizi e molto altro.

Secondo l’idea di Colao già il prossimo anno potremo gestire i nostri documenti in forma digitale, in modo analogo al Green Pass: verrà erogato un QR code dalla pubblica amministrazione e sarà verificabile in tempo reale da forze dell’ordine e ogni altro ente pubblico grazie a una “banca dati nazionale per i controlli” (così l’ha chiamata Colao).

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Abominio scolastico


Il test Invalsi del 2022 e il dato inquietante che riguarda i ragazzi che stanno ora sostenendo la maturità… Dai test Invalsi del 2022 risulta in maniera chiara che la metà dei ragazzi che in questo momento stanno facendo gli esami di maturità non sarebbe

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Il test Invalsi del 2022 e il dato inquietante che riguarda i ragazzi che stanno ora sostenendo la maturità…


Dai test Invalsi del 2022 risulta in maniera chiara che la metà dei ragazzi che in questo momento stanno facendo gli esami di maturità non sarebbe dovuto essere ammesso, perché insufficiente in italiano e/o in matematica. Lasciamo perdere le lingue straniere.

Non è una novità di quest’anno. Non c’entrano niente né il Covid, né la didattica a distanza, che sono solo scuse. Questo è il fallimento della scuola italiana. Anche perché lo spirito della scuola pubblica consiste – ed è sanissimo – nell’idea che l’istruzione, intesa come consegna di strumenti critici e culturali, serva a ciascuno per uscire da una condizione di eventuale svantaggio che può essere geografico, economico o culturale.

La scuola pubblica serve per colmare questi svantaggi e, ove possibile, annullarli. Invece, vediamo l’esatto opposto, perché prendiamo i risultati degli Invalsi 2022, troviamo che la metà dei maturandi dovrebbe essere bocciato e, invece, verranno tutti promossi. Ovviamente, lo stesso discorso vale anche per le altre classi: ho preso i maturandi per esemplificare.

Se io prendo l’insieme di questi ragazzi, la metà non è preparata. Ma non è mica così in tutta Italia. In italiano raggiunge e supera la sufficienza il 63% degli studenti del nord-est, il 60% nel nord-ovest, il 51% nel centro Italia, il 40% al sud e il 38% al sud e nelle isole.

In matematica dovrebbero essere bocciati, perché non raggiungono la sufficienza sempre la metà dei ragazzi. Però raggiunge e supera la sufficienza il 73% nel nord-ovest, il 75% nel nord-est, il 59% in centro, il 50% al sud e il 33% nel sud e nelle isole.

Tutto questo è profondamente ingiusto. Se poi si prendono questi dati, disaggregandoli ulteriormente per area della città o centro-provincia si scopre sempre la stessa regola. Più si è in una condizione avvantaggiata, più si è in una condizione socialmente, culturalmente ed economicamente più protetta e più si hanno a disposizione delle scuole che ti consegnano quantomeno la capacità di saper leggere e far di conto. Più si è in una condizione svantaggiata, più in quella condizione si rimane.

Poi, non c’è dubbio che c’è ci siano tantissimi docenti che fanno col cuore e con l’anima oltre, che con il cervello, il loro mestiere, ma ce ne sono tanti altri che sono lì solo per prendere lo stipendio. Ci sono ragazzi che studiano, che sono volenterosi, che si impegnano e ce ne sono altri che sono lì che aspettano la promozione e la avranno tutti.

Il problema non è cercare di chi è responsabilità. Il tema è questo schifo di scuola conferma le distanze sociali. È una scuola classista, non meritocratica e non selettiva.

Chi l’ha voluta? La vogliono le famiglie, la vogliono i cittadini italiani, la vogliono quelli che votano la classe politica che non indovina un congiuntivo nemmeno per scherzo, la vogliono quelli che votano una classe politica che non vuole e non sa fare di conto, sa fare solo debito. L’Italia che vota tutto questo è l’Italia che chiede la promozione per il proprio figlio, perché lo ritiene un incapace: non vorrete mica sfidarlo, misurarlo, sottoporlo ad una competizione, altrimenti perde.

E, invece, non è vero! Quei ragazzi meriterebbero maggiore fiducia, meriterebbero di essere sfidati, sottoposti a competizione, ma prepararti prima. E quelli che non si vogliono preparare, devono essere bocciati prima.

La severità a scuola serve ad agevolare la vita, mentre il lassismo a scuola serve a renderla una schifezza, una corsa al ribasso. Viviamo in un mondo aperto e, checché se ne dica, la concorrenza esiste. Sì, forse per una generazione il figlio del farmacista farà il farmacista, quello del notaio il notaio, quello del meccanico il meccanico.

Ma dopo finisce, perché il benessere rende sempre meno desiderosi di sacrificarsi. È questo che desideriamo? Perché questo è esattamente quello che il sistema scolastico sta preparando e lo sta preparando per le zone meno avvantaggiate del nostro Paese e, in special modo, per il sud per le aree meno ricche.

Complimenti per la performance! A me sembra un abominio.

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Boris il russo fra Russia e caduta


Simpatie e contraddizioni di Jhonson Non ha quel nome per caso, semmai è il cognome ad avere basi meno solide. Boris, per la precisione: Alexander Boris, si chiama in quel modo perché di origini anche russe, oltre che turche e musulmane. Di lui si possono

Simpatie e contraddizioni di Jhonson


Non ha quel nome per caso, semmai è il cognome ad avere basi meno solide. Boris, per la precisione: Alexander Boris, si chiama in quel modo perché di origini anche russe, oltre che turche e musulmane. Di lui si possono dire molte cose, ma “russofobo” proprio no. Il bisnonno paterno, di cognome faceva Kemal. Ali Kemal, ministro dell’impero ottomano.

Fu suo figlio, il nonno di Boris, a cambiare il cognome di una famiglia imparentata con la nobiltà tedesca ed inglese, usando quello di Johnson. Lui, Boris, è americano, nato a New York. In queste ore il suo governo vacilla, ma nel suo dna e nelle sue contraddizioni c’è un pezzo importante di storia europea.

Esageratamente simpatico, anche nel suo essere bugiardo. Qualcuno lo ricorderà a Roma, in occasione di un vertice, nel mentre elenca i sette colli capitolini, ma non riesce a ricordarne uno. Davanti a lui il nostro presidente della Repubblica e quello del Consiglio, che non è non sappiamo aiutarlo, è che non sarebbero arrivati a sei. Perché Johnson ha una cultura classica a prova di bomba, capace di recitare in greco (antico) e latino. Laureato a Oxford, in lettere classiche. Ma quando lo prendono a fare il giornalista, al The Times, redige un pezzo su scavi archeologici, inventando citazioni e attribuendole a casaccio, allo scopo di rendere più accattivante l’articolo. Licenziato. Riesce a farsi assumere altrove.

Il padre di Boris è stato a lungo parlamentare europeo conservatore. Super europeista, al punto di essere uno degli animatori del “Club del Coccodrillo”, dal nome del ristorante dove s’incontravano. Su quella posizione si trova anche il figlio, fin quando non crede il vento tiri per Brexit.

A esito del referendum, per dire, il padre ha cambiato cittadinanza, per restare europeo. Boris aveva cambiato posizione, per restare in vetta. E qui si apre la contraddizione politica, che prescinde totalmente dai rimproveri d’incoerenza o altre facezie non commestibili: cavalca alla grande Brexit, la usa anche per far fuori Theresa May e prenderle il posto, mentre ora è uno dei più determinati e netti interpreti della linea anti Putin, però lo stesso Putin aveva dato una mano eccome, a Brexit.

Si era pronunciato a favore dell’elezione di Obama, ma all’arrivo del virus prende la posizione di Trump e Bolsonaro: chi se ne frega, è un’influenza. Un negazionista. Ma mentre quei due restano appiccicati a quel che dissero, Boris realizza che è una cretinata e cambia: chiusure e vaccinazioni. E Uk è in testa alla partenza (noi sorpassiamo in corsa), un buon successo. Così lo scapigliato viene ammirato da gente che la pensa all’opposto. Poi lo beccano a far festini. Lui ammette, ma con l’aria di dire: che sarà mai.

Salva la ghirba dalla sfiducia interna al partito conservatore, ma perde ministri. Vince le elezioni politiche (anche grazie ai labouristi, che si fanno guidare da un antisemita socialista della prima metà del secolo scorso) e perde tutto il resto. Procedendo con la Brexit ideologica rischia di sfasciare l’intero Regno Unito.

E ora s’appresta al capolinea, sfiduciato dai suoi. Il tutto senza mai smarrire ironia e una piacioneria così smodata da essere a sua volta piacevole. Ed è questo il punto: Boris ha capito e interiorizzato la politica al debutto di questo secolo, vivendola come palestra di trasformismo e protagonismo. Ma all’appuntamento con la storia si presenta puntuale: Putin deve perdere. Ed è a quel punto che ti dici: magari tutti i populisti trasformisti fossero così.

La Ragione

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📰 Il bollettino di #MonitoraPA 📰
Dopo la presa di posizione del Garante, ancora nuove email e qualche interessante fenomeno di emulazione!

monitora-pa.it/2022/07/07/1311…

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#NotiziePerLaScuola

PATHS Summer School, dal 12 al 14 luglio: tre giorni di esperienze immersive, webinar e laboratori di rinnovamento della didattica della Filosofia per la scuola del futuro con docenti, dirigenti, esperti, accademici.

Info ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/paths-…

Iscrivetevi per rimanere sempre aggiornati ▶️ miur.gov.it/web/guest/iscrizio…


t.me/Miur_Social/3472



Motherboard sta pubblicando parti del codice per l'app di messaggistica crittografata Anom, che è stata segretamente gestita dall'FBI per monitorare la criminalità organizzata su scala globale.
Di Joseph #Cox su #Vice
vice.com/en/article/v7veg8/ano…
#Vice #Cox


Cieco e nano


Follemente corretto Che, da tempo, il politicamente corretto stia evolvendo in follemente corretto lo sapevo. È questo, del resto, il motivo per cui ho cominciato a scriverne su “LaRagione” (vedi articolo di martedì scorso). Di vere e proprie follie ne ho

Follemente corretto


Che, da tempo, il politicamente corretto stia evolvendo in follemente corretto lo sapevo. È questo, del resto, il motivo per cui ho cominciato a scriverne su “LaRagione” (vedi articolo di martedì scorso).

Di vere e proprie follie ne ho scovate decine, soprattutto nei Paesi di lingua inglese, a partire dagli Stati Uniti. Per esempio che non si può vendere uno shampoo per capelli “normali”, perché altrimenti qualcuno potrebbe sentirsi anormale se compra uno shampoo per capelli secchi.

Però qualche giorno fa, girovagando su Internet, mi sono imbattuto in un caso che supera tutti quelli che avevo incontrato e catalogato (sì, ho questa perversione, faccio collezione di follie).

Ebbene, si tratta di questo: in un breve editoriale pubblicato sul portale dell’Università di Padova, uno studioso che si occupa di biologia evoluzionistica racconta che sta per pubblicare negli Stati Uniti un testo di argomento scientifico (l’evoluzione) e che la correttrice di bozze della casa editrice gli ha chiesto di cambiare alcune parole.

Due in particolare: “cieco” e “nano”, in quanto offensive per i non vedenti e le persone di bassa statura. La solita ipocrisia degli eufemismi, penserete voi. E invece no. Lo studioso nel suo libro usava l’aggettivo “cieco” per parlare della selezione naturale che è cieca (cioè non segue un piano). E usava la parola “nano” per parlare di una specie particolare di elefanti, detti elefanti nani, le cui dimensioni ridotte possono essere vantaggiose in quanto abitanti di isole piccole.

Ho pensato a uno scherzo. Magari lo studioso in questione non esiste o è un dottorando burlone che si diverte a prenderci in giro o vuole denigrare gli Stati Uniti. Quindi ho controllato: in realtà lo studioso in questione esiste, si chiama Telmo Pievani, ha studiato in Italia e negli Stati Uniti, attualmente è docente ordinario di Filosofia delle scienze biologiche, ha incarichi nazionali e internazionali prestigiosi, un mare di pubblicazioni, un curriculum accademico splendido.

Quindi la mia ipotesi era sbagliata: non siamo davanti a uno scherzo. Dobbiamo trovare un’altra spiegazione. Se una correttrice di bozze non capisce che “evoluzione cieca” e “elefante nano” sono espressioni che non possono offendere nessuno, una ragione deve esserci. Ma quale può essere? È a questo punto che mi sono tornati in mente alcuni studi recenti che, come sociologo che per trent’anni ha lavorato con gli psicologi, mi avevano molto incuriosito.

Secondo questi studi il quoziente intellettivo (QI) dei cittadini dei Paesi sviluppati sarebbe aumentato sistematicamente per più di mezzo secolo (dagli anni Quaranta alla fine degli anni Novanta del secolo scorso) ma nel nuovo millennio sarebbe in diminuzione. Il primo effetto (aumento QI) viene chiamato effetto Flynn, il secondo (diminuzione QI) viene chiamato effetto Flynn inverso o retrogrado.

Ho sempre guardato con scetticismo a questo tipo di studi, pieni di insidie statistico-matematiche. Ma, dopo aver appreso quel che è capitato al professor Pievani, sono meno scettico.

E se fosse proprio così, che stiamo diventando meno intelligenti? Dopotutto quel che la correttrice di bozze ha manifestato è una totale mancanza di ironia. E la letteratura scientifica su una cosa è concorde: l’ironia è la testimone migliore dell’intelligenza.

La Ragione

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L’euro e l’inflazione


Dannazione che fu L’euro chiuse la dannazione dell’inflazione e assicurò stabilità monetaria. Per noi fu la fine della più iniqua delle tasse. Al contrario che in altre parti dell’Euro-area, però, i salari si sono da noi fermati. Perché s’è fermata la cre

Dannazione che fu


L’euro chiuse la dannazione dell’inflazione e assicurò stabilità monetaria. Per noi fu la fine della più iniqua delle tasse. Al contrario che in altre parti dell’Euro-area, però, i salari si sono da noi fermati. Perché s’è fermata la crescita. Inchiodata da arretratezze cui sembriamo affezionati. Ora l’inflazione ricompare, spinta dall’esterno. Sarà domata, se non si commetteranno i vecchi errori. Servono riforme e soldi che vadano a investimenti, non all’assistenzialismo.

La prima volta della moneta unica


Questo luglio si è tornato a parlare di inflazione. Dopo circa un trentennio di quiete caratterizzato da una sostanziale stabilità dei prezzi, si è osservato un rapido e ripido incremento dell’inflazione. Quest’ultima, passata dal 4,8% di gennaio agli 8 punti percentuali di fine giugno, ha raggiunto il valore più alto da quando è stato introdotto l’euro nel nostro Paese.

Se la perdita di potere d’acquisto rappresenta una novità per la moneta unica, lo stesso non si può dire per la lira. Il vecchio conio, come evidenziato dal primo grafico, ha conosciuto un lungo periodo di crisi (dal 1972 al 1985) caratterizzato da un’inflazione stabilmente e abbondantemente sopra il 10%, con un picco massimo del 21,2% raggiunto nel 1980.

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Dal 1985 in poi assistiamo a un decremento abbastanza costante dell’inflazione che nel 1999, in concomitanza con l’introduzione dell’euro come valuta contabile, giunge all’1,70%. L’esordio dell’euro come denaro contante avviene nel 2002, anno nel quale l’inflazione si attesta al 2,50%. Negli anni successivi la moneta unica si conferma una valuta stabile e abbastanza forte, capace di mantenere bassi (sempre sotto al 3,5% fino al 2022) i livelli dell’inflazione.

L’aumento sopraggiunto quest’anno, dunque, rappresenta un’assoluta novità e costringe gli esperti a domandarsi quale sia la migliore strategia possibile per arginare gli effetti negativi della perdita del potere di acquisto. I sindacati spingono per un adeguamento dei salari ai prezzi correnti, trovando però opposizione da parte della Banca d’Italia che teme che questo tipo di soluzione finirebbe per spingere ancora più in alto l’inflazione, innescando una spirale salari-prezzi come quella degli anni Settanta e Ottanta.

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Il terzo grafico, che mette a confronto l’andamento dell’inflazione con il livello dello stipendio medio negli ultimi 30 anni (stipendio nominale, non corretto per il livello dei prezzi), sembrerebbe dare qualche supporto all’istanza dei sindacati in quanto all’aumento del salario parrebbe corrispondere addirittura un decremento dell’inflazione.

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Tuttavia, dato che sia il valore dell’inflazione che quello dello stipendio medio vengono influenzati da un complesso sistema di variabili, la relazione apparente tra questi due termini potrebbe essere casuale o legata all’influenza di altre variabili in grado di incidere su entrambi i valori in maniera opposta.

Inoltre, va sottolineato come il livello degli stipendi in oggetto sia rimasto sostanzialmente stabile lungo tutto il trentennio e che anzi, trattandosi di stipendi nominali, il loro valore reale (confrontato quindi con l’indice del livello dei prezzi) sia addirittura diminuito nel corso del tempo.

È dunque plausibile che negli scorsi 30 anni si sia verificata una riduzione del valore dei salari reali accompagnata da tassi di inflazione decrescenti e una produttività stagnante.

Oggi la situazione appare più complessa: il valore reale degli stipendi continua a decrescere, però l’inflazione è in forte ascesa. Sarà necessario quindi incrementare la produttività al fine di non scivolare nella stagflazione.

a cura di Luca Ricolfi e Luca Princivalle (Fondazione David Hume) su La Ragione

L'articolo L’euro e l’inflazione proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Aumentare gli Stipendi si deve e si Può..
today.it/economia/aumento-stip…
#Lavoro #stipendi




Questa mattina si è svolta la presentazione dei risultati delle prove #INVALSI2022 presso l'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma.

All’evento è intervenuto il Ministro Patrizio Bianchi.

Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/invals…


t.me/Miur_Social/3471



IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO DI ITALO CALVINO


#rileggiamoli
Di questo libro Italo Calvino ha detto: “Questo romanzo è il primo che ho scritto. … Al tempo in cui l'ho scritto, creare una letteratura della Resistenza era ancora un problema aperto, scrivere il romanzo della Resistenza si poneva come un imperativo; … ogni volta che si è stati testimoni o attori d'un'epoca storica ci si sente presi da una responsabilità speciale …

iyezine.com/il-sentiero-dei-ni…





#NotiziePerLaScuola

Al via la presentazione telematica delle istanze di scioglimento delle riserve nelle GaE e nelle GPS e di conferma dei servizi nelle GPS.

Info ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/gradua…

Iscrivetevi per rimanere sempre aggiornati ▶️ miur.gov.it/web/guest/iscrizio…


t.me/Miur_Social/3469





Appena atterrata da Londra,controllo passaporti: per tutti dura pochi secondi, per me no. Agente legge attentamente sullo schermo qualcosa.


IL DESERTO DEI TARTARI DI DINO BUZZATI


Pubblicato nel 1940, “Il deserto dei Tartari” narra le vicende del tenente Giovanni Drogo, inviato a prestare servizio nell’isolata e inutile Fortezza Bastiani, a sorvegliare un deserto da cui non arriva mai alcun nemico. Consumerà la sua esistenza aspettando la guerra, l’azione, il giorno in cui potrà farsi valere e rimarrà invischiato in questa vana attesa anche quando avrà la possibilità di andarsene.

iyezine.com/il-deserto-dei-tar…

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CRISIS BENOIT, EL CULTO DE LA MUERTE (SLAUGHTERHOUSE RECORDS, 2022)


Un cimitero in piena notte illuminato da una gigantesca luna piena, un'orda di zombi affamati di carne viva che fuoriescono dalle tombe, pronti a seminare il panico in città e scatenare l'apocalisse.

iyezine.com/crisis-benoit



I nuovi diritti vanno scritti in Costituzione


Questa sentenza ci ha ricordato che la tutela dei diritti civili non è una linea retta verso il progresso. A momenti storici di forte espansione delle libertà e dei diritti si alternano epoche reazionarie, che pongono in pericolo secoli di lotte democrati

Sgomento e precarietà. Sono questi i sentimenti che ha suscitato l’overruling di Roe vs Wade. Dopo quasi cinquant’anni, è caduta una delle sentenze storiche della Corte Suprema americana. Il diritto all’aborto non è previsto in Costituzione, né è sedimentato nella storia e nella tradizione degli Stati Uniti d’America. Questa è l’argomentazione con cui i sei giudici conservatori, guidati dal Justice Alito, hanno segnato uno spartiacque sulla strada per la tutela dei diritti fondamentali.

Il fatto era stato preannunciato. Circa un mese prima della sentenza, una fuori uscita di notizie, senza precedenti nella storia della Corte, parlava di overruling. Già allora vi furono veementi reazioni di molte donne, timorose di perdere quanto conquistato nel corso del tempo. Gli stati nazionali potranno ora vietare o consentire l’aborto, incidendo in modo irreversibile sulla libertà di autodeterminazione.

La tesi della Corte Suprema è che le decisioni sull’aborto debbano essere rimesse al gioco democratico, dove maggioranza e minoranza si confrontano. Qui risiede il carattere miope e reazionario della pronuncia. In una democrazia liberale i diritti fondamentali non sono alla mercé della maggioranza. Nessuno in Italia può essere privato della libertà personale, se non alle condizioni previste all’art. 13 Cost., quand’anche tutti gli altri cinquantanove milioni di cittadini lo volessero.

“Crediamo in una Costituzione che ponga dei limiti al principio maggioritario”, affermano nella dissenting opinion i tre giudici rimasti in minoranza.

Questa sentenza ci ha ricordato che la tutela dei diritti civili non è una linea retta verso il progresso. A momenti storici di forte espansione delle libertà e dei diritti si alternano epoche reazionarie, che pongono in pericolo secoli di lotte democratiche.

Una tutela però esiste: è la lettera della Costituzione. I nuovi diritti vanno scritti nella Carta fondamentale al fine di prevenire che la storia torni indietro. Questa funzione compete al Parlamento. Sono i rappresentanti dei cittadini a dover sancire i nuovi diritti fondamentali. Lasciare decisioni così cruciali ai giudici è un profondo errore, perché un diritto, riconosciuto mediante un’interpretazione evolutiva, verrà meno mediante una mera interpretazione di segno contrario.

L’integrazione del testo costituzionale ad opera del Parlamento garantirà i nuovi diritti e assicurerà il necessario dibattito politico al riguardo. Piero Calamandrei diceva: “la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”. Il Parlamento agisca prima che l’aria manchi.

L'articolo I nuovi diritti vanno scritti in Costituzione proviene da ilcaffeonline.



The Cleopatras Bikini Grill


Le Cleopatras sono, in un mondo nelle quali troppo spesso queste latitano, una vera e propria garanzia.

Le vedi agli eventi che "contano", le senti dal vivo e ti fanno la solita - ma niente affatto scontata - grandissima impressione. Insomma sono come la Y10, piacciono alla gente che piace.

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione.

🔸 Via libera alla legge di riforma della formazione e del reclutamento dei docenti

🔸 L’inaugurazione dell’anno scolastico 2022/2023 il 23 settembre a Grugliasco (TO)

🔸 Valorizzazione delle eccellenze, elenco dei soggetti accreditati

🔸 Scuola estiva V edizione, “La pratica filosofica per lo sviluppo sostenibile. Siamo quel che mangiamo”

🔸 Educazione all'immagine, avviso pubblico per la selezione di progetti innovativi per la promozione di nuove metodologie didattiche

🔸 #Maturità2022, il ripasso con il podcast didattico #Maturadio

Per conoscere notizie e approfondimenti di questa settimana dal mondo della scuola ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/newsle…

Iscrivetevi per rimanere sempre aggiornati ▶️ miur.gov.it/web/guest/iscrizio…



𝐏𝐀𝐋𝐄𝐑𝐌𝐎, 𝐋𝐀 𝐂𝐇𝐈𝐄𝐒𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐆𝐀𝐍𝐂𝐈𝐀 𝐄 𝐋𝐀 𝐁𝐔𝐂𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐀𝐋𝐕𝐄𝐙𝐙𝐀


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All’interno del quartiere arabo della Kalsa, la Chiesa di Santa Maria degli Angeli, meglio conosciuta col nome di “Gancia”, ossia ospizio per malati e forestieri, è un complesso architettonico risalente al 1490 ed edificata dai frati francescani.

Un pò prima di entrare nella Chiesa, sul muro esterno vi è una curiosa lastra di marmo scavata affiancata da una lapide che ne commemora l’evento, essa è la "𝐁𝐮𝐜𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐒𝐚𝐥𝐯𝐞𝐳𝐳𝐚".

Nell'Aprile del 1860 gli antiborbonici insorgono a #Palermo contro il Re napoletano. La sommossa, scoppiata a pochi passi dalla Chiesa della Gancia in quel che un tempo veniva definito il quartiere degli “scopari” (famoso per le vivacissime zuffe tra donne), viene soffocata nel sangue. Due dei capi rivolta scampati al massacro, per sfuggire alla cattura da parte dei gendarmi borbonici, si rifugiano nella cripta della chiesa, tra le sepolture dei frati del convento.

Dopo cinque giorni senza né cibo né acqua i due insorti, attraverso una breccia sul muro del convento, riescono ad attirare l’attenzione di una donna che d’accordo con alcune comari mette in scena una grande rissa, distogliendo in questo modo l’attenzione dei gendarmi. In un attimo la stradina si trasforma in teatro di urla e spinte e i due fuggiaschi, approfittando di questo sotterfugio, allargano la breccia nel muro riuscendo a scappare indisturbati. Da quel momento la breccia nel muro della Gancia prese il nome di “𝐁𝐔𝐂𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐀𝐋𝐕𝐄𝐙𝐙𝐀“.




Forse un annetto fa, un po' per curiosità e un po' perché immaginavo già che potrebbe essere stato qualcosa di comodo, ho sviluppato un marginale inte...


Oldies but goodies: Web design for the planet


Questa volta ripropongo in un colpo solo sette articoli ripresi e tradotti dal progetto “Web design for the planet: una raccolta di buone pratiche per un web più ecologico”

Nathalie, un’ecologista francese che si occupa professionalmente di web, si era proposta la sfida di scrivere in 30 giorni una serie di 30 articoli che si occupassero dei temi collegati all’impatto del digitale sul nostro eco-sistema e in particolare, partendo dal concetto di “sobrietà digitale”, si era concentrata sulla progettazione eco-sostenibile di siti e applicazioni web.
Mi sembrano temi molto interessanti di cui in Italia non si parla ancora abbastanza.
Qui sotto trovate i link agli articoli che ho ripubblicato su Plume un servizio per creare blog nel Fediverso.
Buona lettura e condividete pure con sobrietà ;)


10 vantaggi di una progettazione web eco-sostenibile


Risorse per una progettazione digitale eco-sostenibile


5 modi per ridurre il peso dei video per realizzare siti web eco-sostenibili


5 modi per ridurre il peso delle immagini


Come migliorare i flussi UX (User Experience) di un sito


Come ottimizzare i font?


Come applicare il metodo di Marie Kondo ai siti web

Strafanici, il titolo del blog su cui sono ripubblicati questi articoli, è preso in prestito da una parola del dialetto triestino che significa cianfrusaglie, cose da nulla; attraverso le migrazioni di tanti friulani il termine è arrivato anche nelle periferie milanesi ed ha sempre fatto parte del mio lessico familiare 😀

@Poliverso @maupao @Le Alternative @Ninefix @Giordano @Scuola - Gruppo Fediverso @quinta mte90@mastodon.uno @Maurizio Carnago @Ed 🏳️‍🌈 @Devol :fediverso: @Goofy 📖 🍝 @Paolo Dongilli @Alexis Kauffmann @Alessandro

in reply to nilocram

wow argomento molto interessante! Ti sei meritato di essere tra i miei feed RSS! Grazie ancora!

@nilocram

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in reply to nilocram

Non c'è alcun modo per misurare gli effetti ecologici positivi di pratiche come la riduzione dei tempi di caricamento e la leggerezza del software. Sono in ultima istanza i provider a gestire e suddividere le risorse e sono loro a dover ridurre l'impatto ambientale dei datacenter e ottimizzare l'efficienza, altrimenti le risorse da noi "risparmiate" saranno cicli computazionali spesi a vuoto (differenza trascurabile) o riassegnati ad applicativi più energivori. Mentre a livello di DC si possono certamente ridurre emissioni e consumo energetico con un impatto notevolmente superiore.
Se invece controlliamo tutta la filiera il discorso cambia.

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THE QUEEN IS DEAD VOLUME 60 – ALCEU VALENCA \ LOS KINTOS \ JULIAN Y SU COMBO


In questo sessantesimo episodio di The Queen Is Dead tratteremo di un altro grande recupero dell’etichetta spagnola Vampisoul, che questa volta è arrivata fino in Brasile per riportarci il folgorante esordio solista di Alceu Valença. Sempre la Vampisoul recupera in Perù i Los Kintos, un grande gruppo che miscela ritmo cubano e musica peruviana per un risultato molto molto ballabile. Per chiudere la puntata un sette pollici dall’altissimo tasso funk nuyorican di Juliàn Y Su Combo.

iyezine.com/alceu-valenca-los-…




Il viola sarà il nuovo colore di #Mastodon!
Mastodon sta collaborando con l'agenzia di design @oak per aggiornare la homepage e il marchio. Addio social media blu, ciao viola acceso!
mastodon.social/@Mastodon/1085…
blog.joinmastodon.org/2022/06/…
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

ci sta questo viola e anche la loro motivazione (essere un pochino originali rispetto agli social principali), però quel blu mi piaceva 😔

Non so se su Mastodon sia possibile cambiare il colore principale, se non c'è spero ci pensino a metterlo, così chi preferisce il celeste o anche altri colori può farlo senza problemi



Non ci resta che Piangere!


Non ci resta che Piangere!
...e forse nemmeno quello...
La cosa difficile da fare è restare Indifferenti di Fronte a tutto quello che sta succedendo intorno a noi, è spaventosamente difficile non alzare gli occhi al cielo e urlare a squarciagola una semplicissima parola..."PERCHÉ!!!!!" perché tutto questo, perché questo Nefasto Mondo non riesce a Vivere in santa Pace, perché semplicemente non ci si impegna per risolvere i Tantissimi Problemi che Noi esseri Umani abbiamo Creato a questo Mondo...
Tanti sono i Problemi e Moltissime sono state le Parole che si sono spese per risolverli, che se si fosse veramente voluto saremmo sicuramente a buon Punto, e magari saremmo così abituati ad risolverli che forse ci sentiremmo dei Supereroi...
Ma Supereroi non siamo e non cerchiamo nemmeno di essere Migliori... siamo capaci solamente di Prendere quello di cui abbiamo Bisogno da questo Mondo senza dare nulla in cambio, abbiamo praticamente Spogliato questo Mondo di ogni risorsa Possibile, qualsiasi risorsa l'abbiamo fatta nostra e ce ne siamo impossessati per giocare a fare gli Dei in un gioco che stiamo categoricamente perdendo, questo Mondo ci ha lasciato giocare come volevamo alle nostre regole assolutamente Subdole e Ipocrite, ma piano piano ci stiamo accorgendo che la nostra partita sta volgendo al termine, ci siamo accorti solo ora che il Mondo ci sta preparando il Conto...
proprio così pensavamo di poter giocare al SUCCHIA E DISTRUGGI all'infinito ma purtroppo ad ogni Azione c'è sempre una Conseguenza... il gioco volge al termine ma, noi continuiamo a spendere e scialacquare parole di ipocrisia che non portano e non porteranno in futuro da nessuna parte.
Il Mondo ci ha Adottati probabilmente sapendo che eravamo Subdoli ed Imperfetti ma ci ha accolto nella speranza di poter un Giorno migliorare noi stessi a la nostra Permanenza ed invece, l'abbiamo complicata ed abbiamo portato la Nostra vita su questo Mondo ad un punto critico e forse di non ritorno sotto Tutti i Punti di Vista...

Civico Settanta
28-06-2022
#mondo #pensieri