“Adam Smith a trecento anni dalla nascita”, del prof. Infantino la prima lezione della Scuola di Liberalismo
Nell’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi si è svolta questa sera la prima lezione della Scuola di Liberalismo 2024, “Adam Smith a trecento anni dalla nascita. Alle origini delle scienze sociali” a cura del professore Lorenzo Infantino. Nelle quasi due ore di lezione di fronte a numerosi partecipanti, in sala e da remoto, il professore ha ripercorso tutta l’opera del filosofo ed economista scozzese.
“Le biblioteche sono piene di scritti dedicati all’opera di Adam Smith”, ha spiegato Infantino. “Il maggior numero di commentatori si è soffermato sulla Ricchezza delle nazioni, molti meno sono stati coloro che hanno rivolto la loro attenzione ai Sentimenti morali, ancor meno sono stati gli studiosi che hanno preso in considerazione i saggi postumi. A proposito di questi ultimi Joseph A. Schumpeter ha scritto: «Oso dire che chi non conosce questi saggi non può avere un’idea adeguata della statura di Smith».”
Smith sosteneva che: “Nessuno può raggiungere i propri scopi senza interagire e senza collaborare con gli altri”. Per il professor Infantino questa è la spiegazione della “società aperta”, che si basa sul presupposto che ogni azione umana intenzionale determini conseguenze in intenzionali. È quella che il filosofo scozzese chiamava “la mano invisibile del mercato”. La teoria della mano invisibile attraversa tutta l’opera di Smith. La pagina in cui l’autore fa ricorso a questa metafora è la più importante della Ricchezza delle nazioni. Essa infatti contiene una premessa senza cui non è possibile avere contezza della funzione del mercato e da cui si giunge a una teoria della limitazione del potere e all’indicazione dell’habitat normativo della Grande Società.
Al termine della lezione è seguito un dibattito con gli iscritti, segno che il professor Infantino ha stimolato la curiosità dei presenti.
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Dalla drone diplomacy alla Kaan diplomacy, le ambizioni turche sul nuovo caccia
Mercoledì 21 febbraio, la base aerea di Akinci ha ospitato il primo volo del “Kaan”, il prototipo turco di caccia di quinta generazione. Culmine di un processo avviato nel dicembre 2010, quando Ankara ha aperto il programma di sviluppo del velivolo da combattimento. Nell’agosto 2011 è stato poi firmato un contratto di progettazione concettuale tra il governo e l’azienda Turkish Aerospace Industries, a cui è seguito un contratto di sviluppo firmato nell’agosto 2016. Fino al primo volo di prova di pochi giorni fa, a cui seguirà la costruzione di altri cinque prototipi.
Il programma mira a mettere in campo un aereo da combattimento di quinta generazione per soddisfare i requisiti dell’aeronautica militare turca oltre il 2030 (le previsioni sono quelle di mantenerlo in servizio fino al 2037), sostituendo la flotta di F-16 del Paese. Non a caso, il caccia Kaan dovrebbe incorporare la maggior parte delle caratteristiche di un aereo standard di quinta generazione, come la bassa osservabilità, gli alloggiamenti interni per le armi, la fusione dei sensori, i collegamenti dati avanzati e i sistemi di comunicazione. Tutte presenti nei sistemi F-35, dal cui programma Ankara è però esclusa da Washington, dopo la decisione turca di acquistare i sistemi di difesa antiaerea S-400 prodotti dalla Federazione Russa. Spingendo così la Turchia a sviluppare autonomamente capacità multiruolo di quel calibro.
Un aspetto interessante del progetto Kaan è quello “autarchico”: la Turchia mira a diventare uno dei pochi Paesi a possedere l’intera catena del valore per la produzione di aerei da combattimento avanzati, che comprende tecnologia, infrastrutture, risorse umane e capacità produttive. Un aspetto sempre più importante alla luce della frammentazione geopolitica del mondo odierno, dove la disruption delle supply chain è un evento tutt’altro che improbabile, i cui effetti sono in grado di pesare tantissimo. Soprattutto nel campo dell’industria della difesa. Russia docet.
Ma per Ankara, le connotazioni geopolitiche dietro allo sviluppo di un caccia di quinta generazione non si limitano alla tutela delle linee di rifornimento logistiche dei materiali. Il progetto Kaan è anzi una forte opportunità di proiezione esterna: attraverso l’esportazione di un velivolo dalle simili capacità (anche se ridotte rispetto alla versione originale, come da prassi in alcune versioni di sistemi d’arma destinate all’export) la Turchia potrebbe riuscire ad assicurarsi importanti introiti da reinvestire in nuovi progetti, ma anche a creare o a rafforzare la propria posizione diplomatica con gli altri attori coinvolti.
D’altronde, non sarebbe la prima volta. Il Paese guidato da Recep Tayyip Erdoğan ha già dimostrato di saper sfruttare abilmente le proprie capacità nella dimensione unmanned, portando avanti una vera e propria drone diplomacy che gli ha permesso di sviluppare connessioni con vari attori e posizioni d’interesse in vari teatri. Dalla Libia all’Azerbaigian, arrivando fino all’Ucraina.
Non a caso, la scorsa settimana l’ambasciatore di Kyiv in Turchia ad Ankara Vasyl Bodnar ha dichiarato che il suo Paese sta monitorando da vicino lo sviluppo del caccia di quinta generazione made in Turkey, aggiungendo che: “Noi non solo acquisteremo il caccia Kaan, ma lo utilizzeremo, e sappiamo dove verrà impiegato”.
Ma le ambizioni di Ankara si spingono ancora più a Est, verso il continente asiatico. Agli occhi della Turchia, Paesi come Pakistan, Malesia, Indonesia e Kazakistan (che hanno già acquistato in precedenza materiale militare turco) rappresentano possibili acquirenti del nuovo sistema di caccia multiruolo agli occhi del complesso militare-industriale anatolico. Cercando di proporsi come una valida alternativa a Mosca in quel mercato.
Ministero dell'Istruzione
Con riferimento a notizie di stampa, il #MIM precisa che nelle nuove Linee guida sull’educazione alla cittadinanza, che sono in via di elaborazione, sarà contenuta la seguente dizione: “È opportuno evitare l’utilizzo dello smartphone (cellulare) nell…Telegram
A Singapore Pechino mostra il suo nuovo elicottero per l’export
La Cina ha esposto al Singapore airshow 2024 il suo elicottero d’attacco Z-10 Me. È la prima volta che Pechino mostra questa tecnologia al di fuori del suo territorio nazionale. Il fatto che abbia deciso di farlo a Singapore, anche in occasione della limitata presenza di prodotti statunitensi all’air show, non è un caso. Il mezzo è stato rivelato in Cina nel 2021 e, a oggi, le Forze armate di Pechino dovrebbero essere dotate di non meno di duecento esemplari.
L’elicottero
Il Z-10 Me è un elicottero d’attacco dotato di una avanzata configurazione di armamenti offensivi e contromisure difensive. Il mezzo può portare une munizionamento esplosivo per il suo cannoncino da 23mm e un serbatoio sganciabile da 280 chili. Il velivolo può essere armato con missili guidati Cr5 e missili aria-aria M-502KG e TY-90, oltre a essere dotato di un sistema radar, un missile approach warning system e sistemi ad infrarossi direzionali che fanno da contromisura peri missili a ricerca di calore.
L’aquila e il dragone
Questa manifestazione è parte delle meccaniche da guerra fredda con cui Pechino sta provando a proporsi come alternativa agli Stati Uniti. Da un lato vogliono diventare più forti nella produzione e nell’esportazione di sistema d’arma. Dall’altro, più velatamente, cercano d proporsi come garante della sicurezza dell’Asia orientale. L’elicottero, in apparenza molto simile al AH-64 Apache americano, potrebbe risultare conveniente per buona parte delle aviazioni asiatiche grazie alla differenza di prezzo con il suo corrispondente americano. A confermare quest’apparenza di guerra di soft power l’unica manifestazione americana all’Airshow è stato un sorvolo ravvicinato con un bombardiere B-52. Non essendo il bombardiere fra i mezzi acquistabili si intuisce la funzione puramente comunicativa dell’evento. Nessun membro della delegazione americana, guidata dal vicesegretario per le acquisizioni dell’aeronautica Andrew Hunter, ha parlato con la stampa, avendo, probabilmente, compreso l’errore strategico di presentarsi alla manifestazione in maniera così poco prorompente.
L’orso e il dragone
Un’altra funzione dell’evento potrebbe essere quella di prendere il posto dell’altro venditore di elicotteri d’attacco, la Russia. Pechino potrebbe stare tentando di sfruttare la finestra di opportunità prodotta dall’ insicurezza del mercato riguardo le armi di Mosca. L’istanza è la conseguenza della performance mediocre delle forze armate russe nel teatro ucraino. Presentandosi come provider alternativo, cosa che sta facendo anche l’Occidente, la Cina potrebbe rafforzare le sue entrate e insieme potenziare la sua posizione in Asia rendendo i paesi della sua area strategica dipendenti da lei nell’autonomia militare. Un esempio di questo meccanismo sono i recenti accordi con le forze armate pachistane che acquisteranno un numero non specificato di elicotteri.
Ministero dell'Istruzione
Al via la seconda edizione dei Campionati Nazionali di Imprenditorialità, organizzata da Junior Achievement - Young Enterprise Italy ETS, in collaborazione con il #MIM.Telegram
Export militare, arriva l’ok del Senato alla modifica della 185
Arriva dal Senato l’approvazione del disegno di legge del governo che modifica la legge 185 sull’import-export della difesa. Con la decisione a Palazzo Madama, il provvedimento passa ora alla Camera dei deputati, dove dovrà passare la verifica della commissione Difesa prima di passare definitivamente in Aula. La principale riforma vede la reintroduzione presso la presidenza del Consiglio dei ministri del Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd), soppresso nel 1993. L’organo si occuperà di formulare gli indirizzi generali per l’applicazione della stessa legge 185, e in generale delle politiche di scambio nel settore della difesa. Una misura che, come riportato dalla legge stessa, segue “l’esigenza dello sviluppo tecnologico e industriale connesso alla politica di difesa e di produzione degli armamenti”.
Faranno parte del Cisd, che sarà presieduto direttamente dal presidente del Consiglio, i ministri degli Affari esteri, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e delle finanze, delle Imprese e del Made in Italy. Le funzioni di segretario saranno svolte dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con funzioni di segretario e alle sue riunioni potranno essere invitati di volta in volta anche altri ministri, qualora interessati al dossier in corso di valutazione.
La misura è stata ripetutamente invocata diverse volte dall’intero settore, con l’obiettivo di portare la responsabilità di una materia delicata come l’import-export militare sotto l’autorità politica più elevata. L’obiettivo di riunire la materia in un comitato di ministri ad hoc è rendere quella che adesso è una responsabilità, anche personale, di una sola figura – nella fattispecie il direttore dell’Uama – una responsabilità invece condivisa a livello politico. Una volta effettuata questa decisione dall’esecutivo, l’Uama potrebbe semplicemente occuparsi di rilasciare le dovute documentazioni e supervisionare la corretta applicazione amministrativa delle misure previste dalla legge.
Al momento, infatti, il ministro plenipotenziario che guida l’Uama ha una responsabilità diretta circa le decisioni da prendere sulla possibilità o meno di esportare (o importare) da un determinato Paese. Spetta a questo funzionario, dunque, una decisione molto delicata e un esame molto approfondito sull’aderenza di potenziali partner commerciali internazionali ai prerequisiti legali previsti dalla legge italiana, primo fra tutto il rispetto dei diritti umani. Compito non facile e potenzialmente foriero di implicazioni enormi.
Una modifica come quella prevista dal nuovo disegno di legge permetterebbe invece di accelerare i procedimenti sui permessi all’esportazione di sistemi d’arma, settore su cui si basa non solo la sostenibilità finanziaria del settore della difesa, ma l’economia stessa del Paese. Quasi il 70% del fatturato industriale del settore, infatti, dipende dall’export, un fatturato che vale 17 miliardi di euro, più o meno un intero punto percentuale di Pil.
L’Italia, inoltre, non è l’unico Paese che sta rivedendo le proprie regole sulle esportazioni della Difesa. Anche Tokyo e Berlino hanno di recente messo mano alle proprie norme, un segnale dell’importanza rivestita dalla materia e, in particolare, dell’impatto che le norme sull’export militare ha sui programmi congiunti internazionali. In particolare, il governo Fumio Kishida ha reso possibile per il Giappone esportare materiale d’armamento, attrezzature militari e tecnologie di difesa prodotte nel Paese del Sol levante sia verso i Paesi proprietari delle licenze, sia verso le Nazioni che si difendono da un’invasione. La decisione ancora non ricomprende il caso di prodotti co-sviluppati con partner internazionali a Paesi terzi, mancando un accordo tra i vari partiti di maggioranza, e in questo senso un progetto come il Global Combat Air Programme per sviluppare, insieme a Italia e Regno Unito, il caccia di sesta generazione resta per ora escluso dalla possibilità di esportazione da parte di Tokyo. Infatti, eliminare il divieto di esportare prodotti co-sviluppati ad altri Paesi rappresenterebbe un boost sostanziale alla sostenibilità dei progetti non solo per il Giappone, ma in generale per lo sviluppo dell’intero programma. Permetterebbe, infatti, al consorzio Gcap di avere nel Giappone un partner cruciale per la sua presenza nell’Indo-Pacifico, diventando una potenziale piattaforma per l’esportazione del sistema a Paesi partner come Australia o Corea del Sud.
Una ratio simile è stata seguita dalla ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, che nel corso della sua visita in Israele aveva rivelato l’intenzione del governo federale di rimuovere il veto che impedisce l’esportazione di Eurofighter all’Arabia Saudita. Una decisione che segnò un importante cambio di passo in generale per il futuro dei progetti congiunti europei. Le restrizioni tedesche, infatti, sono state criticate a lungo dai Paesi partner dei diversi programmi, considerati delle limitazioni all’appetibilità dei sistemi per il timore dei Paesi acquirenti di rischiare di rimanere senza pezzi di ricambio per i propri velivoli, spingendoli potenzialmente ad affidarsi ad altri fornitori. Adesso, con la riapertura da parte di Berlino, i programmi congiunti, a partire dai caccia Eurofighter e Tornado (a cui partecipa anche l’industria italiana), potrebbero vedere allargarsi la lista di ordini, con una nuova spinta sui mercati globali.
Anche in questo caso il tema delle regole sulle esportazioni militari legate ai programmi congiunti riguarda da vicino anche i programmi di prossima generazione, con Berlino che è impegnata, insieme alla Francia, nella realizzazione del caccia di sesta generazione Fcas. Progetti all’avanguardia come Gcap, Fcas o l’Eurofigher richiedono investimenti massicci per essere sviluppati e infine prodotti, e i soli mercati interni dei Paesi partner non basta a ripagare gli investimenti.
Sono un medico americano a Gaza. Non ho visto una guerra ma l’annientamento
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di Irfan Galaria* – Los Angeles Times
(Traduzione di Federica Riccardi, foto di archivio)
Pagine Esteri, 22 febbraio 2024 – A fine gennaio ho lasciato la mia casa in Virginia, dove lavoro come chirurgo plastico e ricostruttivo, e mi sono unito a un gruppo di medici e infermieri in viaggio verso l’Egitto con l’organizzazione umanitaria MedGlobal per fare il volontario a Gaza. Ho lavorato in altre zone di guerra. Ma ciò a cui ho assistito nei 10 giorni successivi a Gaza non era una guerra, era l’annientamento. Almeno 28.000 palestinesi sono stati uccisi dai bombardamenti di Israele su Gaza.
Dal Cairo, capitale dell’Egitto, abbiamo guidato per 12 ore verso est fino al confine di Rafah. Abbiamo superato chilometri di camion di aiuti umanitari parcheggiati perché non potevano entrare a Gaza. A parte la mia squadra e altri inviati delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, c’erano pochissime altre persone.
Entrare nel sud di Gaza il 29 gennaio, dove molti sono fuggiti dal nord, è sembrato come le prime pagine di un romanzo distopico. Le nostre orecchie erano stordite dal costante ronzio di quelli che mi hanno detto essere i droni di sorveglianza che giravano costantemente. I nostri nasi sono stati investiti dalla puzza di 1 milione di sfollati che vivevano in prossimità senza servizi igienici adeguati. I nostri occhi si sono persi nel mare di tende. Abbiamo alloggiato in una guest house a Rafah. La prima notte è stata fredda e molti di noi non sono riusciti a dormire. Siamo rimasti sul balcone ad ascoltare le bombe e a vedere il fumo che saliva da Khan Yunis.
Quando ci siamo avvicinati all’Ospedale Europeo di Gaza, il giorno dopo, c’erano file di tende che costeggiavano e bloccavano le strade. Molti palestinesi si sono avvicinati a questo e altri ospedali sperando che rappresentassero un rifugio dalla violenza – si sbagliavano.
La gente si è riversata anche all’interno dell’ospedale: ha vissuto nei corridoi, nei vani delle delle scale e persino nei ripostigli. Le corsie, un tempo ampie, progettate dall’Unione Europea per accogliere la circolazione del personale medico, delle barelle e delle attrezzature, erano ora ridotte a un passaggio a fila indiana. Ai lati, coperte appese al soffitto delimitavano piccole aree per intere famiglie, offrendo un briciolo di privacy. Un ospedale progettato per ospitare circa 300 pazienti stava ora lottando per assisterne più di 1.000 con altre centinaia di persone in cerca di rifugio.
Il numero di chirurghi locali disponibili era limitato. Ci è stato detto che molti sono stati uccisi o arrestati, e che non si sa dove si trovino e nemmeno se siano ancora vivi. Altri erano intrappolati nelle aree occupate del nord o in luoghi vicini da dove era troppo rischioso recarsi in ospedale. Era rimasto solo un chirurgo plastico locale, che copriva l’ospedale 24 ore su 24, 7 giorni su 7. La sua casa era stata distrutta, quindi viveva nell’ospedale ed era in grado di infilare tutti i suoi effetti personali in due piccole borse. Questa storia è diventata fin troppo comune tra il personale dell’ospedale rimasto. Quel chirurgo era fortunato, perché sua moglie e sua figlia erano ancora vive, mentre quasi tutti gli altri erano in lutto per la perdita dei loro cari.
Ho iniziato a lavorare immediatamente, eseguendo da 10 a 12 interventi al giorno, lavorando dalle 14 alle 16 ore di seguito. La sala operatoria tremava spesso a causa degli incessanti bombardamenti, che a volte avvenivano a intervalli di 30 secondi. Abbiamo operato in ambienti non sterili che sarebbero stati impensabili negli Stati Uniti. Avevamo un accesso limitato alle attrezzature mediche più importanti. Ogni giorno eseguivamo amputazioni di braccia e gambe, usando una sega Gigli, uno strumento dell’epoca della Guerra Civile, essenzialmente un segmento di filo spinato. Molte amputazioni si sarebbero potute evitare se avessimo avuto accesso ad attrezzature mediche standard. È stata una lotta cercare di curare tutti i feriti all’interno delle strutture di un sistema sanitario che è completamente collassato.
Ho ascoltato i miei pazienti che mi sussurravano le loro storie, mentre li portavo in sala operatoria per l’intervento. La maggior parte di loro stava dormendo nelle proprie case, quando sono state bombardate. Non potevo fare a meno di pensare che i più fortunati erano morti all’istante, per la forza dell’esplosione o per essere stati sepolti dalle macerie. I sopravvissuti hanno dovuto affrontare ore di interventi chirurgici e diversi passaggi in sala operatoria, mentre piangevano la perdita dei figli e dei coniugi. I loro corpi erano pieni di schegge che dovevano essere estratte chirurgicamente dalla carne, un pezzo alla volta.
Ho smesso di tenere il conto di quanti nuovi orfani avevo operato. Dopo l’intervento venivano messi da qualche parte in ospedale, senza sapere Il racconto del dottor Irfan Galaria: “Ho smesso di tenere il conto di quanti nuovi orfani avevo operato. Dopo l’intervento venivano messi da qualche parte in ospedale, senza sapere chi si sarebbe preso cura di loro o come sarebbero sopravvissuti. In un’occasione, un gruppo di bambini, tutti di età compresa tra i 5 e gli 8 anni, sono stati portati al pronto soccorso dai loro genitori. Tutti erano stati colpiti da singoli colpi di cecchino alla testa. Queste famiglie stavano tornando alle loro case a Khan Yunis, a circa 2,5 miglia dall’ospedale, dopo che i carri armati israeliani si erano ritirati. Ma a quanto pare i cecchini erano rimasti indietro. Nessuno di questi bambini è sopravvissuto.
L’ultimo giorno, mentre tornavo alla guest house dove la gente del posto sapeva che alloggiavano gli stranieri, un ragazzino si è avvicinato e mi ha offerto un piccolo regalo. Era un sasso della spiaggia, con un’iscrizione in arabo scritta con un pennarello: “Da Gaza, con amore, nonostante il dolore”. Mentre stavamo sul balcone a guardare Rafah per l’ultima volta, sentivamo i droni, i bombardamenti e le raffiche di mitragliatrice, ma questa volta c’era qualcosa di diverso: I suoni erano più forti, le esplosioni più vicine.
Questa settimana, le forze israeliane hanno fatto irruzione in un altro grande ospedale di Gaza e stanno pianificando un’offensiva di terra a Rafah. Mi sento incredibilmente in colpa per essere riuscito a partire mentre milioni di persone sono costrette a sopportare l’incubo di Gaza. Come americano, penso ai dollari delle nostre tasse che pagano le armi che probabilmente hanno ferito i miei pazienti. Già cacciate dalle loro case, queste persone non hanno un altro posto dove andare. Pagine Esteri
*Irfan Galaria è un medico con uno studio di chirurgia plastica e ricostruttiva a Chantilly, Va.
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In Cina e in Asia – Biden dice stop alla presenza delle gru cinesi nei porti degli Usa
I titoli di oggi: Biden dice stop alla presenza delle gru cinesi nei porti degli Stati Uniti Ucraina, l’Ue annuncia sanziona per la prima volta aziende cinesi Wang Yi chiede a Macron di rafforzare il commercio tra Cina e Francia Nelle aziende cinesi arrivano le milizie armate Il costo per crescere un figlio in Cina è il più alto al ...
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…e di lavoro si muore …ancora di più l La Città di Sotto
"Ufficialmente sono 1.041 le denunce di incidenti mortali sul posto di lavoro arrivate all’Inail in tutto il 2023. Vittime che aumentano a 1.466 se come riferimento prendiamo i dati dell’Osservatorio nazionale di Bologna, una fotografia indipendente che monitora e registra tutti i morti sul lavoro in Italia, anche quelli che non dispongono di un’assicurazione."
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Riciclaggio da Riga a Berlino attraverso Malta. Perquisizioni anche in Italia
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Oltre 100 perquisizioni in un'operazione su larga scala contro una rete criminale russo-eurasiatica e un istituto finanziario con sede a Malta presumibilmente coinvolto in servizi di riciclaggio di denaro svolte dalle autorità nazionali di Lettonia, Germania, Francia, Italia e Malta hanno effettuato. Per l'Italia hanno svolto le attività la Procura della Repubblica di Roma e la Guardia di Finanza - Nucleo Polizia Economica e Finanziaria di Roma. Quattro i sospetti che sono stati arrestati durante la giornata di azione sostenuta da #Eurojust ed #Europol. Potenziali sospettati e testimoni sono stati interrogati anche in Lettonia, Germania, Estonia e Malta.
Nel corso delle azioni sono stati impiegati oltre 460 agenti di polizia per effettuare le perquisizioni. La Germania ha inoltre schierato quattro agenti per supportare le indagini e le perquisizioni in Lettonia e Malta. Oltre agli arresti sono stati sequestrati diversi conti bancari e proprietà.
Dalla fine del 2015 l'istituto finanziario maltese ha riciclato almeno 4,5 milioni di euro in procedimenti criminali. La somma totale del denaro riciclato potrebbe ammontare a decine di milioni di euro. L'istituto finanziario e il gruppo criminale organizzato dietro di esso offrivano servizi di riciclaggio di denaro attraverso una rete di false imprese e individui che erano amministratori registrati, senza svolgere alcuna attività commerciale reale.
Il gruppo criminale organizzato operava principalmente da Riga e Berlino. Le indagini sono state avviate nel 2021 dalle autorità lettoni dopo aver notato trasferimenti di denaro insoliti dalla Lettonia all'istituto finanziario maltese. Contemporaneamente le autorità tedesche avevano avviato indagini su flussi di denaro sospetti che coinvolgevano lo stesso istituto finanziario.
Durante la giornata dell’azione, Europol ha inviato un esperto di riciclaggio di denaro in Lettonia e ha allestito un ufficio mobile presso il centro di coordinamento di Eurojust per supportare l’operazione. Da dicembre 2021 Europol sostiene le indagini fornendo analisi operative e finanziarie e competenze operative. L'Agenzia ha inoltre sostenuto la squadra investigativa comune e ha fornito sostegno finanziario al caso.
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Ministero dell'Istruzione
Il #MIM ha sottoscritto oggi il #Contratto collettivo nazionale integrativo sulla mobilità del personale della #scuola per l’anno scolastico 2024/2025.Telegram
Ministero dell'Istruzione
Oggi #21febbraio, nella Giornata nazionale del Braille, prosegue l’attività della Biblioteca “Luigi De Gregori” del #MIM per la valorizzazione dei testi scritti con il rivoluzionario alfabeto per non vedenti e ipovedenti.Telegram
Kilonove, fabbriche di metalli pesanti l MEDIA INAF
"Secondo gli astronomi, nei giorni successivi a un evento di fusione, l’evoluzione della kilonova è essenzialmente caratterizzata dal decadimento radioattivo degli elementi più pesanti del ferro, sintetizzati durante la fusione."
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ilfattoquotidiano.it/2024/02/2…
Per Sala e Fontana l’aria migliora: “Lo dice l’Arpa”
Il confronto della qualità dell'aria tra il 2024 e lo stesso periodo del 2023? Peggioramento evidente, a Milano e in tutta la Regione. Ecco i datiSalvatore Frequente (Il Fatto Quotidiano)
imolaoggi.it/2024/02/21/bonino…
Bonino: 'piano concreto per gli Stati Uniti d'Europa contro gli egoismi nazionali' • Imola Oggi
Emma Bonino fa un appello a tutti quei partiti che si definiscono liberali e progressisti e che credono in un rafforzamento del federalismo europeoImola Oggi
imolaoggi.it/2024/02/21/elezio…
Elezioni UE, Renzi: 'cittadinanza italiana a vedova di Navalny per farla capolista' • Imola Oggi
''se ci sarà consenso sulla proposta, mi faccio volentieri da parte per lasciare il ruolo di capolista alla signora Navalny alle prossime elezioni europee''ImolaOggi
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Ministero dell'Istruzione
Il #MIM e il Comando Generale delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera bandiscono il #Concorso Nazionale "La Cittadinanza del Mare", rivolto alle studentesse e agli studenti delle scuole primarie e secondarie di I e II grado, statali e paritarie…Telegram
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Weekly Chronicles #64
Questo è il numero #64 di Privacy Chronicles, la newsletter che ti spiega l’Era dell’Informazione e come sopravvivere: tecnologia, sorveglianza di massa, privacy, sicurezza dei dati e molto altro.
Cronache della settimana
- Il social scoring è il futuro del Welfare tecnocratico
- Apple traccia i tuoi dispositivi anche se sono spenti
- Allarmi bomba: il governo indiano vieta ProtonMail… e altre 14 app
Lettere Libertarie
- Bitcoin: pura anarchia e sistema intersoggettivo distribuito
Rubrica OpSec
- Errori di OpSec: impariamo dalla storia di Eldo Kim
Il social scoring è il futuro del Welfare tecnocratico
"L'idea che dobbiamo portare avanti e studiare è quella di una tessera sanitaria a punti in modo che se conduci uno stile di vita corretto e salutare puoi guadagnare dei punti che poi ti permettono di ricevere degli incentivi".
La vita, per quelli come Bertolaso, è semplice; come un videogioco: compi le azioni giuste, aumenta il tuo personal score, vinci e salva la principessa.
E sono in molti a vederla come lui, non è certo un mistero. Da un paio d’anni in giro per l’Italia si sentono voci che sussurrano di comportamenti virtuosi, premi e punteggi — identità digitale.
Tra i primi, forse lo ricorderete, ci fu l’assessore Bugano di Bologna, quando annunciò pubblicamente il progetto di “Smart Citizen Wallet:
«Il cittadino avrà un riconoscimento se differenzia i rifiuti, se usa i mezzi pubblici, se gestisce bene l’energia, se non prende sanzioni dalla municipale, se risulta attivo con la Card cultura». Comportamenti virtuosi che corrisponderanno a un punteggio che i bolognesi potranno poi «spendere» in premi in via di definizione.»
Si scoprì solo dopo, anche grazie a un’istruttoria del Garante Privacy, che di concreto dietro all’idea di Smart Citizen Wallet non c’era ancora nulla di concreto: tutta propaganda (ma che propaganda è, quella fondata sull’idea di sorvegliare il cittadino? Eppure…).
E poi, sì, ci fu anche qualche sperimentazione — come quella fatta a Ivrea per qualche mese, con lo scopo di testare una nuova “piattaforma per l’economia comportamentale" fondata su blockchain e sponsorizzata dal governo e da TIM.
L’idea di incentivare, diciamo così, comportamenti “virtuosi” attraverso l’azione di governo, con lo scopo di creare una società perfetta, non è certo nuova. È anzi l’idea fondante che fu usata fin dal XIX secolo in poi per giustificare moralmente il sistema statale di welfare-warfare che viviamo ancora oggi.
Il social scoring, perché di questo si tratta, è l’apice dello statalismo, nonché tappa obbligata di una società tecnocratica governata da algoritmi automatizzati e logiche di vita a debito.
Non è un caso che si parli sempre di comportamenti “virtuosi” o “corretti”: sono aggettivi necessari a rafforzare l’idea della rettitudine e dignità delle persone soltanto se rispettose del pensiero egemonico collettivo. Chi decide quali comportamenti sono virtuosi? Le masse: o meglio, le masse plagiate dalla propaganda delle solite minoranze.
E se poi, come anticipato, è anche una questione di debito: il sistema finanziario occidentale fondato sul debito e sul welfare universale sta collassando su se stesso.
Non sarà possibile curare tutti (è già così) e sarà così necessario distinguere tra chi si merita di ricevere servizi sanitari e chi invece si merita altro, magari l’eutanasia di Stato; a prescindere dal pagamento o meno delle tasse — quelle vanno pagate comunque.
Questa cosa qua è una delle conseguenze della nascente religione transumanista che mira ad addomesticare e manipolare le masse attraverso ricatti morali algoritmicamente eseguiti. Ma chi segue regolarmente queste pagine lo sa: se ne è parlato anche al G20 del 2022; il compagno Bertolaso non inventa nulla.
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Apple traccia i tuoi dispositivi anche se sono spenti
Apple usa una tecnica chiamata "offline finding" per individuare i dispositivi degli utenti anche quando non sono connessi a Internet. Fa parte del servizio “Find My”, che da qualche anno permette di ritrovare dispositivi rubati o persi anche se spenti.
In Cina e Asia – Componenti USA e UE nei missili nordcoreani dati a Mosca
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L'Australia potenzia la sua flotta in ottica anticinese
Myanmar, tre generali condannati a morte per la resa di Laukkai
Dati, la Cina mappa le risorse dati del Paese
Microchip, nuovi fondi governativi a Smic e Huawei
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Dalla Cina agli Usa: in migliaia scappano attraverso rotta mortale
Dalla Cina agli Usa: in migliaia scappano attraverso rotta mortale. Non è facile stimare con esattezza la portata dello zouxian. Dai dati sull’immigrazione parrebbe trattarsi quantomeno di un trend in aumento: se nel 2022 l’Ecuador ha documentato l’arrivo di circa 13.000 cittadini cinesi, nei primi undici mesi del 2023 il numero è salito a oltre 45.000. Ma perché tante ...
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Brussels Privacy Symposium 2023 Report
The seventh edition of the Brussels Privacy Symposium, jointly co-organized by the Future of Privacy Forum and the Brussels Privacy Hub, took place at the U-Residence of the Vrije Universiteit Brussel campus on November 14, 2023. The Symposium presented a key opportunity for a global, interdisciplinary convening to discuss one of the most important topics facing Europe’s digital society today and in the years to come: “Understanding the EU Data Strategy Architecture: Common Threads – Points of Juncture – Incongruities.”
With the program of the Symposium, the organizers aimed to transversally explore three key topics that cut through the Data Strategy legislative package of the EU and the General Data Protection Regulation (GDPR), painting an intricate picture of interplay that leaves room for tension, convergence, and the balancing of different interests and policy goals pursued by each new law. Throughout the day, participants debated the possible paradigm shift introduced by the push for access to data in the Data Strategy Package, the network of impact assessments from the GDPR to the Digital Services Act (DSA) and EU AI Act, and debated the future of enforcement of a new set of data laws in Europe.
Attendees were welcomed by Dr Gianclaudio Malgieri, Associate Professor of Law & Technology at Leiden University and co-Director of the Brussels Privacy Hub, and Jules Polonetsky, CEO at the Future of Privacy Forum. In addition to three expert panels, the Symposium opened with Keynote addresses by Commissioner Didier Reynders, European Commissioner for Justice, and Wojciech Wiewiórowski, the European Data Protection Supervisor. Commissioner Reynders specifically highlighted that the GDPR remains the “cornerstone of the EU digital regulatory framework” when it comes to the processing of personal data, while Supervisor Wiewiórowski cautioned that “we need to ensure the data protection standards that we fought for, throughout many years, will not be adversely impacted by the new rules.” In the afternoon, attendees engaged in a brainstorming exercise in four different breakout sessions, and the Vice-Chair of the European Data Protection Board (EDPB), Irene Loizidou Nikolaidou, gave her closing remarks to end the conference.
The following Report outlines some of the most important outcomes from the day’s conversations, highlighting the ways and places in which the EU Data Strategy Package overlaps, interacts, supports, or creates tension with key provisions of the GDPR. The Report is divided into six sections: the above general introduction; the ensuing section which provides a summary of the Opening Remarks; the next three sections which provide insights into the panel discussions; and the sixth and final section which provides a brief summary of the EDPB Vice-Chair’s Closing Remarks.
Editor: Alexander Thompson
ANALISI. Gaza e la fine dell’ordine basato sulle regole
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di Agnès Camallard* – Foreign Affairs
Dopo oltre quattro mesi di conflitto, la campagna di rappresaglia di Israele contro Hamas è stata caratterizzata da una serie di crimini di guerra e violazioni del diritto internazionale. La giustificazione dichiarata da Israele per la sua guerra a Gaza è l’eliminazione di Hamas, responsabile degli orribili crimini commessi durante l’attacco del 7 ottobre in Israele: 1.139 persone, per lo più civili israeliani, uccise; altre migliaia ferite; un numero ancora imprecisato di donne e ragazze soggette a violenze sessuali; 240 persone prese in ostaggio, molte delle quali sono ancora detenute da Hamas.
In risposta, Israele ha sfollato con la forza i palestinesi, imponendo condizioni che hanno lasciato centinaia di migliaia di persone senza i bisogni umani fondamentali. Ha condotto attacchi indiscriminati, sproporzionati e diretti contro civili e “oggetti civili”, come scuole e ospedali. Circa 28.000 palestinesi sono stati uccisi, la maggior parte dei quali donne e bambini. Vaste aree di Gaza sono state polverizzate; un quinto delle infrastrutture e la maggior parte delle case sono state danneggiate o distrutte, lasciando la regione in gran parte inabitabile. Israele ha imposto un blocco prolungato, negando ai palestinesi cibo adeguato, acqua potabile, carburante, accesso a Internet, riparo e cure mediche: un’azione che equivale a una punizione collettiva. Sta detenendo i gazawi in condizioni disumane e degradanti e Israele ammette che alcuni dei detenuti sono già morti. Nel frattempo, in Cisgiordania, la violenza contro i palestinesi da parte delle forze israeliane e dei coloni è aumentata notevolmente.
Gli Stati Uniti e molti paesi occidentali hanno sostenuto Israele, fornendo assistenza militare, opponendosi agli appelli per un cessate il fuoco alle Nazioni Unite, bloccando i finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA) dei rifugiati palestinesi e respingendo il caso di genocidio del Sudafrica contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia (CIG), anche mentre la carneficina continuava a consumarsi.
L’odierna complicità diplomatica nella catastrofica crisi umanitaria e dei diritti umani a Gaza è il culmine di anni di erosione dello Stato di diritto internazionale e del sistema globale dei diritti umani. Tale disintegrazione è iniziata praticamente dopo l’11 settembre, quando gli Stati Uniti hanno intrapreso la loro “guerra al terrore”, una campagna che ha normalizzato l’idea che tutto è lecito nel perseguire i “terroristi”. Per condurre la sua guerra a Gaza, Israele prende in prestito etica, strategia e tattica da questo quadro di riferimento, e lo fa con il sostegno degli Stati Uniti.
È come se le gravi lezioni morali dell’Olocausto, della Seconda guerra mondiale, fossero state dimenticate e con esse il nucleo stesso del decennale principio “Mai più”: la sua assoluta universalità, l’idea che ci protegge tutti o nessuno. Questa disintegrazione, così evidente nella distruzione di Gaza e nella risposta dell’Occidente, segna la fine dell’ordine basato sulle regole e l’inizio di una nuova era.
L’ERA DELL’UNIVERSALITÀ
L’universalità, il principio secondo cui tutti noi, senza eccezioni, siamo dotati di diritti umani in egual misura, indipendentemente da chi siamo o da dove viviamo, è al centro del sistema internazionale dei diritti umani. È stato il fondamento della Convenzione sul genocidio e della Dichiarazione universale dei diritti umani, entrambe adottate nel 1948, e ha continuato a informare nuovi strumenti per assicurare la responsabilità nel corso degli anni, tra cui la Corte penale internazionale, istituita nel 2002. Per decenni, questa infrastruttura legale ha contribuito a garantire che gli Stati rispettassero i loro obblighi in materia di diritti umani. Ha definito i movimenti per i diritti umani a livello globale e ha sostenuto le più grandi conquiste del ventesimo secolo in materia di diritti umani.
Un critico di questo sistema potrebbe obiettare che gli Stati hanno sempre reso spesso sostenuto, ma raramente applicato l’universalità. Il XX secolo abbonda di esempi di fallimenti nel sostenere la pari dignità di tutti: la violenza usata contro coloro che sostenevano la decolonizzazione, la guerra del Vietnam, i genocidi in Cambogia e in Ruanda, le guerre che hanno seguito la dissoluzione della Jugoslavia e molti altri. Tutti questi eventi testimoniano di un sistema internazionale radicato più nella disuguaglianza e nella discriminazione sistemica che nell’universalità. A ragione, si potrebbe sostenere che l’universalità non è mai stata applicata ai palestinesi che, come ha detto lo studioso palestinese americano Edward Said, dal 1948 sono invece “le vittime delle vittime, i rifugiati dei rifugiati”.
Tuttavia, il destino dell’universalità non risiede nelle mani di coloro che la tradiscono. Piuttosto, in quanto progetto perennemente ambizioso per l’umanità, la sua forza risiede innanzitutto nella sua continua proclamazione e nella sua persistente difesa. Nel corso del XX secolo, il principio di universalità ha subito innumerevoli battute d’arresto, ma la direzione generale era quella di proclamarlo, affermarlo e difenderlo. La situazione è cambiata, tuttavia, nei primi anni del XXI secolo, con lo scatenarsi della “guerra al terrore” dopo i tragici eventi dell’11 settembre.
TOGLIERSI I GUANTI
Negli ultimi 20 anni, la dottrina e i metodi della “guerra al terrorismo” sono stati adottati o imitati dai governi di tutto il mondo. Sono stati impiegati per espandere la portata e il raggio d’azione delle misure di “autodifesa” degli Stati e per dare la caccia, con minime limitazioni, a qualsiasi persona o autorità ritenuta meritevole della denominazione, vagamente definita ma ampiamente applicata, di “minaccia terroristica”.
Lo straordinario numero di morti civili a Gaza, commessi sia in nome dell’autodifesa sia per contrastare il terrorismo, è una logica conseguenza di questa prospettiva, che ha pervertito e quasi smantellato il diritto internazionale e, con esso, il principio di universalità.
Gli attacchi aerei americani in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Somalia e Siria hanno provocato vittime civili in massa. Invariabilmente, l’esercito americano affermava di aver preso le precauzioni necessarie per proteggere i civili. Ma forniva poche spiegazioni su come distinguesse esattamente i civili dai combattenti e sul perché, se distinti correttamente, fossero stati uccisi così tanti civili.
Negli ultimi 20 anni, i governi di tutto il mondo hanno adottato metodi simili. In Siria, gli incessanti bombardamenti della Russia sulle infrastrutture civili hanno causato migliaia di morti tra i civili. Eppure, nei casi documentati da Amnesty International, le autorità russe hanno affermato che le loro forze armate stavano colpendo obiettivi “terroristici”, anche quando stavano distruggendo ospedali, scuole e mercati. Anche l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022 è stata giustificata con riferimenti pretestuosi all’autodifesa e alle eccezioni al divieto dell’uso della forza. I suoi attacchi indiscriminati hanno causato migliaia di vittime civili, con le prove sempre più evidenti di crimini di diritto internazionale, come la tortura, la deportazione e il trasferimento forzato, la violenza sessuale e le uccisioni illegali. Anche la Cina ha invocato la “lotta al terrorismo” per giustificare l’ampia repressione di uiguri, kazaki e altre minoranze etniche prevalentemente musulmane nello Xinjiang, che si è tradotta in crimini contro l’umanità.
Il massiccio bombardamento di Gaza da parte di Israele ha radici storiche più profonde della “guerra al terrore”, tra cui l’espulsione di circa 750.000 palestinesi dalle loro case, avvenuta nel 1948 e nota come nakba, o catastrofe. Ma è anche una manifestazione dell’erosione del diritto internazionale avvenuta nel XXI secolo, in cui sono stati rispettati pochi o nessuno dei vincoli imposti dal sistema del secondo dopoguerra: non quelli della Carta delle Nazioni Unite, della legge internazionale sui diritti umani e nemmeno della Convenzione sul genocidio, come sostenuto dal Sudafrica.
DOV’È LA PROTESTA?
Subito dopo il 7 ottobre, i governi occidentali hanno condannato i crimini di Hamas ed espresso sostegno incondizionato a Israele, una risposta comprensibile e prevedibile all’orrore inflitto alla popolazione di uno stretto alleato. Ma avrebbero dovuto cambiare la loro retorica una volta che fosse diventato chiaro, come è rapidamente accaduto, che i bombardamenti di Israele su Gaza stavano uccidendo migliaia di civili. Tutti i governi, soprattutto quelli che hanno influenza su Israele, avrebbero dovuto denunciare pubblicamente e inequivocabilmente le azioni illegali di Israele e chiedere un cessate il fuoco, la restituzione di tutti gli ostaggi e la responsabilità per i crimini di guerra e altre violazioni da entrambe le parti.
Non è successo. Per i primi due mesi di guerra, l’amministrazione Biden ha ampiamente minimizzato la perdita di vite umane a Gaza. Non ha denunciato i bombardamenti incessanti e l’assedio devastante di Israele. Non ha riconosciuto il contesto del conflitto israelo-palestinese, compresi i 56 anni di occupazione militare israeliana, e ha invece accettato la narrazione antiterroristica di Israele.
Mentre la guerra continuava, l’amministrazione Biden ha continuato a difendere le tattiche di Israele. Ha ripetuto a pappagallo alcune affermazioni di Israele, non verificate e poi rinnegate, sulle atrocità di Hamas. Sebbene alla fine gli Stati Uniti si siano espressi più chiaramente sulla protezione dei civili palestinesi, si sono rifiutati di sostenere pubblicamente i passi fondamentali che avrebbero aiutato a salvare le loro vite. Invece, all’ONU, gli Stati Uniti hanno posto il veto alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che chiedevano pause umanitarie alla guerra. Solo il 22 dicembre hanno permesso, grazie alla loro astensione, che il Consiglio di Sicurezza adottasse una risoluzione di compromesso che chiedeva “misure urgenti per consentire immediatamente un accesso umanitario sicuro, non ostacolato e esteso” a Gaza e “le condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità”. Non ha mai preso pubblicamente in considerazione l’idea di interrompere i suoi trasferimenti di armi a Israele.
Pochi giorni dopo la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia e le sue richieste di misure provvisorie per prevenire il genocidio a Gaza, gli Stati Uniti e alcuni altri governi occidentali hanno bloccato i finanziamenti all’UNRWA, che fornisce un’ancora di salvezza alla popolazione di Gaza. Questa decisione non solo ignora gli evidenti rischi di genocidio, ma serve ad amplificarli e accelerarli. Lo status di superpotenza degli Stati Uniti e la loro influenza su Israele fanno sì che Washington sia in una posizione privilegiata per cambiare la realtà sul campo a Gaza. Più di ogni altro Paese, gli Stati Uniti possono impedire al loro stretto alleato di continuare a commettere atrocità. Ma finora hanno scelto di non farlo.
Questa linea di condotta ha un costo enorme. Come ha detto un diplomatico del G-7, “abbiamo definitivamente perso la battaglia nel Sud globale. Tutto il lavoro che abbiamo fatto con il Sud globale (sull’Ucraina) è andato perduto. … Dimenticate le regole, dimenticate l’ordine mondiale. Non ci ascolteranno mai più”.
UN CAMBIAMENTO EPOCALE
Sebbene negli anni a Gaza si siano svolte le prove generali di eventi che hanno mostrato l’estremo disprezzo del diritto internazionale, la guerra potrebbe segnare la chiusura del sipario. Il rischio di genocidio, la gravità delle violazioni commesse e le inconsistenti giustificazioni da parte dei funzionari eletti nelle democrazie occidentali fanno presagire un cambiamento epocale. L’ordine basato sulle regole che ha governato gli affari internazionali dalla fine della Seconda Guerra Mondiale è in via di estinzione e potrebbe non essere possibile tornare indietro.
Le conseguenze di questo allontanamento sono fin troppo evidenti: più instabilità, più aggressività, più conflitti e più sofferenza. L’unico freno alla violenza sarà altra violenza. La fine dell’ordine basato sulle regole porterà anche una rabbia diffusa e palpabile in tutti gli strati della società, in tutti gli angoli della terra, se non tra coloro che si trovano nella posizione di raccogliere qualunque ricompensa infangata possa essere estratta dalla rottura del sistema internazionale.
Ma si possono prendere provvedimenti per evitare questo scenario disastroso. Si comincia con l’immediata cessazione di tutte le operazioni militari sia da parte di Israele che di Hamas, con l’immediato rilascio di tutti i rimanenti ostaggi civili detenuti da Hamas e di tutti i palestinesi detenuti illegalmente da Israele, e con la rimozione dell’assedio di Gaza. Le misure provvisorie della CIG per prevenire il genocidio a Gaza devono essere pienamente applicate.
Israele e il suo più grande sostenitore, gli Stati Uniti, devono accettare che l’obiettivo militare dichiarato di distruggere Hamas ha comportato un costo spropositato per le vite e le infrastrutture civili, che con ogni probabilità non può essere giustificato dal diritto internazionale. È ora più che mai importante che il Procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI) agisca con decisione nel formulare le imputazioni per i crimini commessi da tutte le parti in conflitto.
Né le sofferenze storiche né le prospettive di pace a lungo termine in Medio Oriente, e probabilmente anche oltre, possono essere affrontate senza un processo internazionale e inclusivo che specifichi lo smantellamento del sistema di apartheid di Israele e permetta di proteggere la sicurezza e i diritti di tutte le popolazioni.
La memoria dolorosa dei torti subiti, sia di recente che nel passato, può aiutare a salvare vite umane oggi e in futuro, in Israele, nei territori palestinesi e oltre. Questo processo deve però iniziare immediatamente, perché il tempo sta per scadere. Se la storia si ripete, come spesso ci viene detto, allora dovremmo considerarci bene avvertiti. Con l’applicazione universale del diritto internazionale ormai in agonia e con nulla che possa ancora prendere il suo posto se non gli interessi nazionali brutali e la pura avidità, la rabbia diffusa può essere, e sarà, sfruttata dai molti pronti a promuovere un’instabilità ancora più ampia su scala globale.
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*AGNÈS CALLAMARD è Segretaria generale di Amnesty International. Dal 2016 al 2021 è stata relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie.
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