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La trappola incombente di Biden in Ucraina


Sono in atto tre grandi fattori che daranno forma alle prospettive della guerra in Ucraina. Ognuno di questi influenza gli altri in modi potenzialmente rinforzanti. Insieme, potrebbero presto creare una dinamica che potrebbe limitare notevolmente la capacità dell’amministrazione Biden di guidare gli eventi verso i risultati desiderati. Il primo è il corso degli sviluppi sul […]

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L’America continua il dominio dello spazio con le sue imprese private


Può darsi che non stia andando proprio bene alle ultime missioni spaziali di Elon Musk. Può succedere. A fine mese scorso, una batteria di 21 satelliti per le connessioni telefoniche dirette lanciata con un Falcon 9 potrebbe avere avuto qualche problema. Non certo allo stadio recuperabile B1076 al suo terzo volo, tornato sulla piattaforma semovente […]

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Dopo i Rafale, gli F-35. La decisione greca e quel viaggio in Italia


La visita italiana del capo della forze armate greche, generale Kostantinos Floros, ricevuto dal Capo di Stato Maggiore della Difesa Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone porta in dote una serie di riflessioni tecniche tarate sul Mediterraneo, che potrebbero a

La visita italiana del capo della forze armate greche, generale Kostantinos Floros, ricevuto dal Capo di Stato Maggiore della Difesa Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone porta in dote una serie di riflessioni tecniche tarate sul Mediterraneo, che potrebbero avere anche un altro filo comune: gli F-35. A breve si terrà la riunione finale al ministero della Difesa greco dove si deciderà se Atene proporrà a Lockheed Martin di calcolare nella sua risposta l’inclusione di programmi di sicurezza, approvvigionamento e informazioni (SSI – Security, Supply, Information) e infrastrutture con la partecipazione dell’industria della difesa greca. È questa l’anticamera per ricevere gli F-35 entro il 2028. E l’Italia (con Cameri) rientrerebbe nel cerchio che si dovesse chiudere tra Washington e Atene.

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Al centro dell’incontro ci sono state una serie di riflessioni sia sull’interesse congiunto della sicurezza in quegli spazi geostrategici condivisi, sia le rispettive posizioni sui dossier militari maggiormente significativi in proiezione Ue e Nato. La visita è proseguita presso il Comando Operativo di Vertice Interforze (Covi) ove, accolto dal Generale di Corpo d’Armata Francesco Paolo Figliuolo, e presso il quartier generale dell’ Eunavfor Med – Irini, operazione a guida Europea alla quale partecipano 23 Stati Membri dell’Ue e nell’ambito della quale la Grecia svolge un ruolo particolarmente attivo.

Sulla quasi certezza relativamente all’arrivo di venti F-35 in Grecia il governo ellenico pare non nutrire più dubbi, come osservato dal ministro della Difesa, Nikos Panagiotopoulos, secondo cui almeno una flotta di F-35 opererà nell’area balcanica ma il Paese che li acquisirà non sarà la Turchia. Il ministro, pochi giorni fa, ha dichiarato che il primo caccia del primo lotto di F-35 per la Grecia arriverà nel 2028. Lo scorso 8 febbraio il presidente della commissione per le relazioni estere del Senato degli Stati Uniti, Bob Menendez, aveva approvato la vendita degli aerei alla Grecia, aprendo le porte al conseguente iter burocratico, compresa la ratifica del trattato di difesa.

La Grecia ha già acquistato dalla Francia 18 caccia Rafale per sostituire progressivamente i vecchi Mirage, al contempo sta terminando l’aggiornamento in modalità Viper dei suoi F-16.

Anfibi

Nel frattempo dal Dipartimento di Stato arriva il via libera alla possibile vendita alla Grecia di veicoli d’assalto anfibi (Aav), attraverso il programma Foreign Military Sales (Fms): è un contratto del valore di 268 milioni di dollari. Il Dipartimento di Stato ha definito la Grecia un alleato critico della Nato che svolge un ruolo importante per la stabilità politica e il progresso economico in Europa. Nello specifico si tratta di sessantatré veicoli anfibi d’assalto per il personale (AAVP-7A1), nove veicoli anfibi per il comando d’assalto (AAVC-7A1), quattro veicoli anfibi per il recupero d’assalto (AAVR-7A1) e sessantatré mitragliatrici. Sono inclusi anche i lanciagranate MK-19, i sistemi di osservazione termica M36E T1 (Tss), il supporto per la fornitura (ricambi), le attrezzature di supporto (inclusi kit speciali/strumenti/kit migliorati (Eaak), manuali tecnici, dati tecnici, (Cets), strumenti integrati Accounting Support Management Services (Ils), Riparazione di componenti obsoleti, Servizi di calibrazione, Follow Up Support (Fos).

La nuova fornitura americana permetterà alla Grecia di far fronte alle nuove minacce attuali e future, fornendo un’effettiva capacità di proteggere gli interessi e le infrastrutture marittime a sostegno della sua posizione strategica sul fianco meridionale della Nato.

Triplice

A suggellare questa nuova veste ellenica si registra anche il rafforzamento della partnership militare tra Grecia, Israele e Cipro che puntano a rafforzare la cooperazione e i legami tra le loro forze armate, poiché è convinzione dei tre Paesi che le nuove sfide si affronteranno solo con un’azione multilaterale tra Paesi che condividono il diritto internazionale. In particolare Tel Aviv e Nicosia hanno siglato un programma bilaterale di cooperazione per la difesa tra la guardia nazionale e le forze armate israeliane (Idf) a Tel Aviv, nonché un corrispondente programma tripartito con le forze di difesa greche per il 2023. I tre Paesi si definiscono come fattori di stabilità e sicurezza nel Mediterraneo orientale e oltre.

Il riferimento è principalmente al tema della sicurezza energetica, delle infrastrutture esistenti (Tap), di quelle future (EastMed) e dei giacimenti nel Mediterraneo orientale in cui operano primari players mondiali, come Exxon ed Eni.


formiche.net/2023/03/rafale-f-…



Per i giudici austriaci il videogioco Fifa è gioco d’azzardo. Vero o falso, salvaguardiamo i più piccoli


Lo scorso 26 febbraio il tribunale distrettuale di Hermagor ha deciso che alcune delle funzionalità di Fifa, uno dei più popolari videogiochi di calcio di tutti i tempi prodotto dalla EA – Electronic Arts con centinaia di milioni di giocatori in tutto il mondo devono essere considerate a tutti gli effetti gioco d’azzardo con tutte... Continue reading →


FuoriLegge


Non c’è nessuno che sostenga la giustizia italiana funzioni bene. Ci si può ben spingere a parlare di bancarotta. Ma le cose possono andare peggio, fino a giungere alla bancarotta culturale che si coglie nelle parole di chi crede che se non funziona la gi

Non c’è nessuno che sostenga la giustizia italiana funzioni bene. Ci si può ben spingere a parlare di bancarotta. Ma le cose possono andare peggio, fino a giungere alla bancarotta culturale che si coglie nelle parole di chi crede che se non funziona la giustizia giudicante si possa rimediare applicando le pene senza giudizio. Sembra severità, ma è solo severamente fuori dalla civiltà del diritto.

Dice il procuratore aggiunto di Napoli che quanti vengono arrestati, ad esempio dopo le violenze dei giorni scorsi, sta in carcere pochi giorni e non teme la pena, perché il processo ha tempi lunghi, sicché servono misure cautelari più severe. No, servono giudizi più celeri. Aggiunge: <<Il principio della presunzione di innocenza, che capisco e rispetto, presuppone tempi rapidi per il processo. Paesi con ricorso limitato al carcere preventivo arrivano a sentenza in 6 mesi, non in 5 anni>>. Fa piacere che capisca e rispetti un principio iscritto nella Costituzione e in un paio di fondamentali trattati internazionali, è incoraggiante, ma gli sfugge un dettaglio: senza quel principio non c’è giustizia possibile, senza quello i tribunali possono pure chiudere e si passa ai guardiani della morale, esecutori invasati, per ideologia o misticismo, del dispotismo. Senza si è fuori legge.

Il punto, comunque, è far funzionare la giustizia in tempi ragionevoli. Per ottenere questo risultato, possibile da agguantare anche perché considerato normale fra i Paesi civilizzati, non è che si debbano fare leggi settoriali o stringere qualche bullone, ma agire sul modo stesso in cui la macchina penale è concepita:

1. a processo deve arrivare la minoranza dei casi, non la pressoché totalità, in che significa rendere convenienti riti e pene alternative;

2. la procura non deve essere obbligata a procedere anche quando sa che sarà una perdita di tempo, quindi via l’obbligatorietà dell’azione penale;

3. le carriere, di accusatori e giudici, devono essere separate non per un puntiglio culturale, ma perché è il solo modo per valutare l’efficienza di ciascuno, senza che la cosa vada a finire sul tavolo di un Csm che eleggono uniti, dividendosi in correnti, cordate e camarille.

Il che ci porta nel campo della politica. Se si prendono le cose scritte da Carlo Nordio, nel corso di molti anni, si trova tanto di quel che serve. Molto bene. Se si prendono le scelte, in materia penale, fin qui fatte dal governo di cui Nordio fa parte si trova l’esatto contrario. Molto male. Naturale che non sarebbe stato neanche immaginabile trovare lo scrittore in tutti gli atti, lo è meno che si debba fare affidamento alla speranza nel cercarcelo. Ma questa è la logica della politica, dove Nordio arriva forte di un invidiabile bagaglio culturale, ma privo di forza propria. Siamo solo all’inizio, entro maggio è promesso l’arrivo, in Consiglio dei ministri, di un pacchetto di riforme. Attenderemo che venga fuori la legge. Ma è onesto avvisare subito: una cosa sono i testi licenziati dai ministri, altra il risultato dei lavori parlamentari. Vero che la politica è l’arte del compromesso, ma conta il risultato, altrimenti ci si è solo compromessi.

Basta avere chiaro che tutto dipende da un solo punto: la separazione delle carriere. Ci si può incaponire sulla disciplina delle intercettazioni telefoniche e ambientali, ad esempio, ma il momento della verità consiste nel far dipendere il successo (e la carriera) di un procuratore non dalla conferenza stampa a fine indagini, ma dal verdetto. Scritto da non colleghi. Idem per la ricorribilità delle assoluzioni: Nordio ha ragione, è illogico volere riprocessare un assolto, ma l’assurdo si estingue quando le procure smetteranno di ricorrere in automatico, non rispondendone, e cominceranno ad essere responsabili dei risultati. Senza il cardine della separazione le ruote delle riforme correranno senza meta in direzioni diverse.

Meno processi, più responsabilità di ciascuno, tempi ridotti, certezza della pena. L’alternativa è la certezza del penoso.

La Ragione

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PODCAST. L’Iraq 20 anni dopo l’invasione Usa : “Devastato da corruzione e povertà”


Intervista alla giornalista Paola Nurnberg, in questi giorni a Baghdad per il ventesimo anniversario dell'attacco americano al paese arabo. L'Iraq del 2023 è un paese senza servizi pubblici, instabile, che deve fare i conti con una corruzione capillare ch

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 20 marzo 2023 – Venti anni fa gli Stati uniti, con l’aiuto della Gran Bretagna, lanciarono l’attacco contro l’Iraq che provocò la caduta di Saddam Hussein e diede inizio a una lunga e sanguinosa occupazione militare che causò centinaia di migliaia di morti e feriti e distruzioni immense. Nel 2023 le condizioni di vita nel paese arabo sono molto difficili. Gran parte della popolazione è povera nonostante l’Iraq sia tra i maggiori esportatori di petrolio. Mancano i servizi pubblici. La corruzione dilaga e regna l’instabilità politica. I giovani non hanno fiducia nello Stato. Ne abbiamo parlato con la giornalista Paola Nurnberg* in questi giorni a Baghdad.
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6047131*Paola Nurnberg è una giornalista della radio/tv Svizzera. E’ stata inviata in molti paesi del mondo e scenari di guerra.

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.

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Stranieri, o meglio detenuti


Stranieri, o meglio detenuti 6045776
Il Giappone è in continuo calo demografico e ha bisogno di attrarre cittadini stranieri. Ma le regole per gli irregolari (compresi coloro a cui è scaduto il visto) sono durissime. E nei centri di detenzione dedicati non sono rare le tragedie. Tratto dal nuovo ebook di China Files: "Demografia asiatica"

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In Cina e Asia – Prima della visita, Xi riafferma la partnership con la Russia


In Cina e Asia – Prima della visita, Xi riafferma la partnership con la Russia xi jinping vladimir putin
I titoli di oggi:

Huawei ha sostituito migliaia di componenti vietate dagli Usa
Scoperto DNA animale a Wuhan. L'Oms chiede spiegazioni
Il disaccoppiamento dalla Cina mette a rischio i brevetti congiunti
La Cina introduce linee guida contro le molestie sul lavoro
Tik Tok: possibile spionaggio di giornalisti, gli Usa indagano
Corea del Nord: nuovi lanci di missili balistici e "800 mila nuove reclute nell'esercito"

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L’Iraq vent’anni dopo


Gli artefici dell’invasione dell’Iraq nel 2003 avevano il grandioso progetto di trasformare il Medio Oriente in favore degli interessi statunitensi. Due decenni dopo, è evidente come quell’impresa sia stata un fallimento non solo per quell’obiettivo, ma a

di Joost Hiltermann – International Crisis Group –

Traduzione di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 19 marzo 2023 – Alimentata da un gruppo di ideologi noti come i “neoconservatori”, l’invasione statunitense dell’Iraq del 2003 fu la prima mossa dell’amministrazione Bush per riprogettare il Medio Oriente. Benché fosse giustificata come la risposta al supposto coinvolgimento del leader iracheno Saddam Hussein nell’attacco agli Stati Uniti dell’11 settembre e alla sua presunta capacità di produrre armi biologiche o altre armi di distruzione di massa, le sue finalità poi documentate erano più ampie. Gli “architetti della guerra” desideravano farne una regione più amichevole nei confronti degli interessi statunitensi, isolare l’Iran, e, facendo fuori uno dei membri del fronte arabo “del rifiuto”, rifilare una “Pax israeliana” ai Palestinesi – che avevano cercato un’altra volta, con una seconda Intifada iniziata nel 2000, di ribellarsi alla legge militare israeliana. C’erano anche altri motivi in gioco: dimostrare il potere statunitense dopo l’attacco dell’11 settembre esercitando la sua forza bruta e, secondo alcuni neoconservatori, provare che una missione di “democraticizzazione” poteva contrastare il fascino dei movimenti islamisti nella regione.

Se l’impresa iniziò con tracotanza e ambizione, finì tra le lacrime. Gli obiettivi irreali dei suoi fautori combinati con la legge delle conseguenze indesiderate finirono per mettere in luce la loro ignoranza e la loro arroganza. Piuttosto che far germogliare la democrazia in Medio Oriente, l’invasione provocò un vuoto di sicurezza nel cuore della regione. Scatenò un Iran intenzionato a vendicarsi del sostegno di Washington allo Shah e alla “guerra imposta” dal regime di Hussein, lanciata nel 1980 per spegnere la Rivoluzione Islamica. Infiammò l’ascesa del dibattito settario, che contribuì a trasformare la polarizzazione politica irachena in tre anni di brutale guerra civile. Ridusse in brandelli il mito della potenza militare degli Stati Uniti e la sua reputazione, dopo la Guerra Fredda, di unica superpotenza, la sola capace di imporre la sua volontà ben oltre le proprie coste. Generò una nuova ondata di gruppi jihadisti, culminata nella nascita dello Stato Islamico di Iraq e Siria, l’Isis, che non solo sfruttò il caos che si era creato sulla scia dell’invasione americana ma successivamente lo rese ancora più drammatico. L’offensiva dell’Isis nel 2014 ha riportato le truppe statunitensi in Iraq anni dopo che Washington aveva cercato di lavarsi le mani dei disordini che aveva creato nella regione. Ultimo ma sicuramente non meno importante, l’invasione del 2003 si concluse con la beffa delle due motivazioni che Bush aveva addotto per giustificarla pubblicamente: gli investigatori non trovarono né le armi di distruzione di massa in Iraq né le prove di una connessione tra il regime di Saddam Hussein e gli attacchi dell’11 settembre.

Anatomia di un fallimento

L’Iraq sotto il regime dell’apparato brutale del partito baathista di Saddam Hussein e le sue agenzie di sicurezza non era un posto piacevole, eppure la gioia che la sua caduta provocò in molti Iracheni – curdi e sciiti in particolare – svanì ben presto. L’ambivalenza della situazione diventò palese molto presto dopo la “liberazione” del 2003, quando durante una visita a Baghdad mi venne chiesto da alcuni speranzosi abitanti, che avevano bene accolto l’arrivo delle truppe statunitensi, perché i soldati non avessero ripristinato l’ordine pubblico, lasciando, invece, che le bande saccheggiassero i palazzi governativi e rubassero beni inestimabili dai musei e dalla libreria nazionale. Questi Iracheni trovavano incomprensibile che l’esercito degli Stati Uniti potesse permettere un tale caos; lo interpretavano come un segnale di cattive intenzioni – un tentativo di estendere i domini dell’impero mediante la distruzione. Il parere del Segretario americano alla Difesa Donald Rumsfeld che “la libertà porta disordine” non li tranquillizzava. Erano piuttosto infuriati dai frequenti riferimenti dei media occidentali alla “caduta di Baghdad”, che inevitabilmente portava alla memoria il sacco della città nel 1258 da parte dei Mongoli, quando questa era il centro dell’impero degli Abbassidi e del fermento culturale dell’epoca, una cosa ben diversa rispetto alla “caduta del regime”. I loro sentimenti anti-invasione di stampo nazionalista arabo erano molto diffusi in Medio Oriente, dove il regime deposto aveva goduto di un supporto popolare significativo per la sua resistenza all’agenda statunitense. (Molti erano inconsapevoli o chiudevano gli occhi davanti a quanto avveniva nelle prigioni di Saddam Hussein).

Vent’anni dopo, è chiaro come l’invasione fu un fallimento terribile sotto molti punti di vista, non solo per la mancanza di pianificazione dell’impresa ma anche per la serie di conseguenti disastri che la segnarono. Gli Stati Uniti, quasi dal “partenza-via”, persero i cuori e le menti di molte delle persone che erano venuti a liberare. Queste ultime finirono per appoggiare, con vari gradi di entusiasmo, le azioni di una piccola minoranza che gravitava intorno a forme di resistenza molto più violenta verso quella che, giustamente, definivano una “occupazione” – uno status confermato dalla Croce Rossa Internazionale, garante delle Convenzioni di Ginevra del 1949, e dagli stessi Stati Uniti. Qualsiasi protezione internazionale la presenza americana potesse offrire ai civili iracheni, essa determinò anche un livello di dominazione straniera che finì per andare male alla maggior parte di loro.

Nel giro di poche settimane, molti errori furono commessi. Iniziarono con l’instaurazione di un proconsole americano, L. Paul “Jerry” Bremer, dotato di ampi poteri e limitata conoscenza del Paese. Poi venne lo smantellamento dell’esercito da parte sua, anche se di tutta la miriade di apparati di sicurezza iracheni, l’esercito era quello che aveva mostrato meno di tutti lealtà al vecchio regime e aveva un corpo di ufficiali che avrebbe potuto essere riformato per offrire sicurezza a tutto il Paese.

Un altro sbaglio madornale fu la purga degli ex membri del partito baathista dallo Stato, una mossa spinta dal desiderio di vendetta dei partiti sciiti, che cercavano di ottenere il potere. Per come la portarono avanti gli Stati Uniti, la de-baathificazione fu indiscriminata, con la rimozione di tutti gli ufficiali degli alti livelli del partito; ma finì per essere selettiva, visto che i partiti islamisti successivamente perdonarono molti dei baathisti sciiti (tranne alcuni che erano stati gli scagnozzi del regime) e diedero loro alcune posizioni di potere nel nuovo ordine, ma non i baathisti sunniti.

A coronare il tutto, la creazione di una struttura di governo sul modello del sistema della muhasasa libanese, con la rappresentazione politica delle comunità etnico-confessionali sulla base della loro presunta proporzione demografica. Una tale risoluzione potrebbe incoraggiare una politica guidata dal consenso popolare, ma contrasta una governance effettiva: chiunque ha una poltrona, ma nessuno può prendere decisioni. Questo genera ogni forma di corruzione, poiché i politici elargiscono protezione ai loro elettori, e le loro controparti non possono opporsi, per paura che crolli tutto il sistema. Insieme al fallimento nel fermare il saccheggio del Paese, queste azioni furono i peccati originali dell’occupazione.

Un racconto di due temi

I due temi principali degli ultimi due decenni, comunque, sono stati: primo, come gli Stati Uniti, di concerto con gli esuli di ritorno, definirono sempre l’Iraq come comprendente tre comunità principali – i curdi, gli arabi sciiti e gli arabi sunniti – e relegarono quest’ultimo gruppo, in un unico conglomerato indifferenziato, ad essere quello degli sconfitti ufficiali. L’Iraq divenne un caso emblematico di come l’esclusione – in questo caso dei sunniti privati di potere sotto quello che emerse come il dominio sciita islamista – generi rancore, che accumulandosi può provocare violenza.

Con i Sunniti allontanati dal potere, nel disordine prosperò una ribellione guidata dal movimento di Al-Qaeda in Iraq (AQI), che gli Stati Uniti non furono in grado di contenere e, probabilmente, poco interessati a fermare. Non volendo restare impantanata in quella regione un giorno di più, Washington aveva portato buona parte delle sue truppe fuori dal Paese entro la fine del 2011, per tornarci appena tre anni più tardi quando l’Isis (che derivava dall’AQI), conquistò territori in Siria e in Iraq. Oggi, l’Isis può essere stato soppresso con mezzi militari, ma si continua a covare rancore, alimentato da una governance negligente, scarsa rappresentazione politica e scarsa protezione. Gli abitanti di Falluja, Ramadi, di quello che resta di Mosul e una miriade di altre piccole città a ovest e nord-ovest sono stati, in effetti, incolpati di tutte le depredazioni del vecchio regime. I membri rimanenti dell’Isis, intanto, nascondendosi in terreni accidentati, portano avanti operazioni locali aspettando il giorno in cui il potere di Baghdad si risveglierà di nuovo.

Il secondo leitmotif è come l’occupazione statunitense abbia permesso all’Iran di diffondere la sua influenza in Iraq – attraverso leader politici simpatizzanti e milizie per procura – fino ai confini con l’Arabia Saudita, la Giordania e la Siria, suggerendo una vittoria tardiva dell’Iran nella Guerra del 1980-88. Il destino dell’Iran in quel conflitto gli offre oggi il pretesto per usare l’Iraq come profondità strategica davanti a un mondo arabo ostile, e gli regala anche l’occasione di un regolamento di conti. Teheran aveva avvertito che i limiti al suo potere sulla regione erano già stati allentati dopo che l’invasione statunitense dell’ottobre 2001 in Afghanistan aveva allontanato I talebani, un altro dei suoi rivali.

L’ascesa dell’Iran in Iraq e in maniera più estesa in tutto il Medio Oriente è spesso attribuita a un’aspirazione all’egemonia regionale. Potrebbe effettivamente nutrire simili ambizioni. E si potrebbe a ragione replicare che l’Iran ha provato una spiccata capacità di sfruttare le condizioni favorevoli che gli si sono presentate. Ha aiutato Hezbollah a insediarsi in Libano in risposta all’invasione israeliana del Paese nel 1982, cosa che non danneggiò soltanto i rifugiati palestinesi ma anche la popolazione in maggioranza sciita. Ha esteso la sua influenza in Iraq grazie all’invasione statunitense. E’ venuto in soccorso dell’alleato siriano Bashar al-Assad quando il suo regime ha vacillato davanti alle proteste popolari e all’insurrezione armata nel 2011. Infine, ha dato man forte ai ribelli houthi in Yemen in seguito al fallimentare ma duraturo intervento militare dei sauditi nel 2015. In Iraq, Libano e Yemen, l’Iran ha beneficiato anche della presenza di gruppi islamisti sciiti desiderosi di approdare al potere nazionale grazie al suo aiuto.

Per contenere l’Iran sarà necessario farlo confrontare con una serie di condizioni locali “sfavorevoli”. La ricostruzione degli stati arabi basata sulla legittimazione popolare, incluso l’Iraq, potrebbe essere il cambiamento più significativo in questo senso. Nel 2011, otto anni dopo l’invasione dell’Iraq, Tunisini, Egiziani, Libanesi, Siriani, Yemeniti, Bahreiniti e altri hanno mostrato come può essere la restaurazione dell’ordine politico regionale quando viene realizzata dal basso. I regimi minacciati, tuttavia, hanno represso con la forza i manifestanti nelle piazze, mentre i poteri regionali come l’Iran, i Paesi del Golfo Arabo e la Turchia hanno stravolto i loro sforzi, specialmente in Siria. Questi cambiamenti hanno reso gli esiti di quella stagione di speranza nella regione tanto tragici quanto quelli vissuti dagli Iracheni dopo il 2003, se non di più. Eppure, dei modi per raggiungere una governance più promettente che non preveda un intervento esterno né un’insurrezione interna si possono immaginare, e l’Iraq, che ha mantenuto una certa coerenza nazionale a vent’anni dall’invasione, può essere capace di proporre delle idee realizzabili, perché almeno ha goduto di qualche sviluppo positivo anche come risultato dell’invasione degli Stati Uniti.

Ancora qui

Al contrario delle previsioni di alcuni osservatori (e, in qualche caso, anche dei loro desideri), l’invasione non ha comportato la fine dell’Iraq. I confini si sono dimostrati stabili e il nazionalismo iracheno si è ripreso nonostante un’iniziale esplosione di sentimenti anti-nazionali. (I curdi sono riusciti a ottenere una maggiore autonomia, ma non la completa indipendenza alla quale ambiscono da tempo.) La società irachena è arrivata a godere di una modica libertà. Il Paese ha un sistema multipartitico per la prima volta nella sua storia, elezioni parlamentari ripetute e relativamente trasparenti, e una stampa libera (ma facilmente soggetta a intimidazioni). Nell’attuale sistema politico iracheno, nessun leader autoritario può agire senza restrizioni. Ma proprio la debolezza del centro, guidato da una classe politica corrotta incapace di dare anche solo una parvenza di buon governo, se da una parte ha reso possibili queste importanti caratteristiche ha anche permesso l’ascesa di milizie predatorie e di intrusioni ripetute dei vicini Iran e Turchia.

In che modo questi risultati equivalgano a un vantaggio per gli Stati Uniti, nonostante la grande spesa in termini di sangue e denaro, nessuno sa dirlo, con le uniche eccezioni ben immaginabili dell’industria delle armi e di altri interessi corporativi. C’è chi sosteneva già prima della guerra che la spedizione proposta dall’amministrazione Bush fosse mal concepita, basata sulla cattive informazioni fornite da un piccolo gruppo di esuli iracheni, con le loro agende molto ristrette. In quanto tale, non avrebbe mai potuto avere successo, anche se la forza occupante fosse stata meno disastrosamente incompetente di quanto si sia nei fatti rivelata.

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PRIVACY DAILY 72/2023


Gli Stati Uniti stanno valutando la possibilità di vietare completamente l’uso di TikTok, ma è improbabile che l’Europa segua la stessa strada. Così ha dichiarato Theo Bertram, vicepresidente delle relazioni governative e delle politiche pubbliche per l’Europa di TikTok. “Quando si parla di libertà di parola per il pubblico, credo che le regole siano chiare.... Continue reading →


Guerra in Ucraina: l’incriminazione di Putin è solo propaganda?


La gran parte della stampa italiana, e non solo, si occupa con estrema ampiezza della cosiddetta «incriminazione» di Putin. Si tratta indubbiamente di una notizia abbastanza clamorosa e unica nel suo genere anche se, a ben vedere, non poi così inattesa e nemmeno così imprevedibile. Per capirci, la Corte penale internazionale dell’Aja è stata istituita […]

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Schlein e Landini sfidano Meloni


Incassa il 94,2 per cento dei voti, Maurizio Landini. Con questa votazione quasi bulgara il 19° congresso nazionale della CGIL conferma per altri quattro anni Landini alla guida del sindacato tradizionalmente schierato a sinistra. Ed è subito un segnale chiaro, inequivocabile quello che arriva da Rimini. Prevedibile, anche. All’attuale inquilino di palazzo Chigi Landini […]

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Non solo #Mastodon, ma anche #PeerTube #PixelFed #Friendica e #Funkwhale: i social media decentralizzati aumentano mentre Twitter si scioglie. @Matt_on_tech intervista @tchambers


Mastodon è solo l'inizio: il Fediverso sta arrivando con PeerTube, PixelFed, Friendica e Funkwhale

@Che succede nel Fediverso?

la maggior parte delle aziende che cercano di supportare i social media decentralizzati stanno aggiungendo il supporto per #ActivityPub o, in alcuni casi, costruendo nuove piattaforme per un futuro decentralizzato. Si dice che Meta stia lavorando sul proprio social network decentralizzato, nome in codice P92 , che si dice includa il supporto ActivityPub. WordPress , Flipboard e Mozilla hanno tutte funzionalità annunciate che si integrano con il Fediverso.

Qui è disponibile l'intervista di @Matthew S. Smith a @Tim Chambers

in reply to skariko

skariko@feddit.it purtroppo @tchambers@indieweb.social l'ha tralasciato. Non so se perché non lo conosce, perché non lo ritiene meritevole di una menzione o semplicemente perché non gli piace. Ma sta di fatto che ora, stando dentro a questa conversazione, anche lui è finito su Lemmy 😂

@fediverso@feddit.it

feddit.it/comment/53924



Esprimiamo piena solidarietà all'Anpi che l'altro giorno ha subito un atto intimidatorio da parte di “Blocco studentesco” responsabile di uno striscione ap


La Corte dell’Aja, il mandato d’arresto per Putin e le carenze dell’Italia. Di @vitalbaa su @domanigiornale


Chiarimenti sui mandati di arresto nei confronti Vladimir Vladimirovich Putin e Maria Alekseyevna Lvova-Belova e sull'anomala "gestione" dell'attuale governo in merito ai crimini contro l’umanità. Il post di @Vitalba

@Politica interna, europea e internazionale


  • La Corte penale internazionale ha emesso due mandati di arresto nei confronti di Putin e Maria Alekseyevna Lvova-Belova per deportazione illegale e trasferimento illegale di bambini dall’Ucraina alla Federazione russa. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha dichiarato: «Le decisioni della Corte non hanno alcun significato per il nostro paese, nemmeno dal punto di vista legale».
  • È vero che la Russia non ha mai ratificato lo Statuto di Roma, quindi non accetta la giurisdizione della Cpi, né ha l’obbligo giuridico di cooperare con essa. Ma il mandato della Corte si traduce comunque nella “condanna” di Putin a non muoversi dalla Russia.
  • E il ruolo dell’Italia? Il governo ha eliminato i crimini contro l’umanità. Non se comprende il motivo, salvo ipotizzare che qualche esponente tema un’imputazione per crimini contro l’umanità riguardo, ad esempio, alla gestione dei migranti.


A proposito di quest'ultima scelta...

Non se comprende il motivo, salvo ipotizzare, come ha fatto in una intervista Chantal Meloni, professoressa di Diritto penale internazionale, che qualche esponente del governo tema un’imputazione per crimini contro l’umanità riguardo, ad esempio, alla gestione dei migranti.

In ogni caso, quest’eliminazione è un fatto molto grave, specie in un momento in cui l’Italia dovrebbe mostrarsi allineata alla comunità internazionale anche introducendo nel proprio ordinamento tutti i crimini connessi alla guerra voluta da Putin.



Oggi spiego il mandato d’arresto per Putin; perché riguarda per ora solo la deportazione di bambini; quali effetti può produrre, perché non è vero che non ne abbia.

Spiego pure come e perché l’Italia non si sta adeguando allo Statuto della Corte dell’Aja, dato che ha cancellato i crimini contro l'umanità dal codice sui reati universali in via di approvazione.

editorialedomani.it/fatti/la-c…




Parigi: il prefetto ha commissariato il Sindaco per ottenere i dati anagrafici dei netturbini di Parigi e chiederne la precettazione. Di @DavidLibeau


La precettazione dei netturbini parigini è iniziata a seguito della mobilitazione contro la riforma delle pensioni. Dopo il rifiuto del sindaco di Parigi, si apprende dalla stampa che il prefetto di Parigi ha recuperato i recapiti degli operatori per precettarli. Il metodo solleva interrogativi.

@Pirati Europei

Oltre alle condizioni di urgenza e violazione del buon ordine o della salute, è chiaramente specificato che è necessario un ordinanza per precettare qualsiasi bene o servizio. Nel caso dei netturbini di Parigi, sono i loro dati personali che sono stati trasmessi alla prefettura. Il problema è che sembra difficile qualificare l'elenco degli agenti di servizio come un bene. In ogni caso, questo solleva delle domande.

Recentemente la CNIL ha richiamato le regole per la cessione dei fascicoli quando Camaieu è stata messa in vendita. La CNIL ha precisato ad esempio che ciò era possibile ma che informare le persone era importante.

Nel caso dei netturbini la situazione è tanto più complessa in quanto non vi è stato ordine di precettazione se non dopo la trasmissione dell'elenco dei 4000 agenti della città di Parigi. Le disposizioni del Codice generale degli enti locali sulla requisizione non sono state aggiornate dal GDPR e sembrano piuttosto obsolete.

Se fossimo nel contesto di una requisizione, la base della legalità del sindaco di Parigi sarebbe stata probabilmente l'obbligo legale. Tuttavia, un considerando del GDPR sulle richieste delle pubbliche autorità mette in dubbio la legittimità dell'operazione poiché il considerando 31 in questione indica che richieste di questo tipo «non dovrebbero riguardare la totalità di un fascicolo» .

Se la trasmissione dei dati fosse rientrata nell'ambito di applicazione di questo considerando, ciò significherebbe potenzialmente che la richiesta di tutti i nomi e gli indirizzi degli incaricati del servizio di pulizia avrebbe potuto porre un problema in quanto si sarebbe potuto ritenere che riguardasse l'intero fascicolo . Ciò sarebbe rimasto a discrezione della CNIL in quanto autorità di controllo.

Qui è disponibile l'intero post, in francese, di @David Libeau

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Per fare cose di fretta, ho eliminato per errore una parte del disco del PC. Ma la colpa non è solo mia: il programma che ho usato è disegnato male.


In Your Eyes zine ricerca collaboratori


Crescere, in tutti i sensi, è di per sé un fatto positivo ma qualche problema in fondo lo crea sempre.

Così come per le mamme, che devono che devono costantemente rinnovare il guardaroba dei figli per adeguare l’abbigliamento al loro sviluppo fisico, anche per In Your Eyes la costante crescita di contatti riscontrata negli ultimi anni comporta il dover affrontare un “piacevole” problema: quello di far fronte alle numerose richieste di recensione che ci pervengono ogni giorno.

iyezine.com/collabora

Massiargo reshared this.



🧨 Interview with Ed Hanssen


Ed Hanssen. I started my projectmailartbooks by sending selfmade blanc little booklets made of wrappingpaper to artists I knew and that expanded very rapidly into a huge mailartproject.

iyezine.com/en/ed-hanssen



Oggi, #18marzo, si celebra la Giornata nazionale in memoria delle vittime del #coronavirus, istituita formalmente il 17 marzo 2021.


Etiopia, visita di Antony Blinken per la normalizzazione economica dopo 2 anni di guerra genocida in Tigray


L’Etiopia ha accolto mercoledì 15 marzo il segretario di stato americano Antony Blinken, in visita in Africa per questioni diplomatiche: prima in Niger poi nel secondo Paese più popoloso del continente africano. Lo avevamo già segnalato nel precedente agg

L’Etiopia ha accolto mercoledì 15 marzo il segretario di stato americano Antony Blinken, in visita in Africa per questioni diplomatiche: prima in Niger poi nel secondo Paese più popoloso del continente africano.

Lo avevamo già segnalato nel precedente aggiornamento sulle tematiche che avrebbe trattato: questioni generali (sicurezza alimentare, clima e transizione energetica giusta, diaspora africana, e salute globale). Nello specifico dell’ Etiopia la “giustizia di transizione”, tema centrale sul post guerra dai risvolti genocidi iniziata il 3 novembre 2020 e conclusasi formalmente con un accordo di tregua firmato tra le parti il 2 novembre a Pretoria con la mediazione dell’ Unione Africana e degli USA come osservatori.

Gli USA dal gennaio 2022 avevano messo in esecutivo la sanzione di espellere dall’ AGOA – African Growth and Opportunity Act – l’Etiopia perché in violazione del regolamento visto che il governo etiope risulta mandante del suo esercito in Tigray chè stato implicato in crimini di guerra e contro l’umanità.

Martedì 14 marzo, un giorno prima che Blinken avesse l’incontro con i rappresentanti del governo etiope, il dipartimento di stato USA si è sentito in dovere di emanare una nota indicante il bilancio sul supporto monetario, economico fornito all’Etiopia.

Il comunicato apre con una premessa:

“Il 2 novembre 2022, sotto gli auspici dell’Unione africana e con l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo, le Nazioni Unite e gli Stati Uniti in qualità di osservatori, il governo dell’Etiopia e il Fronte popolare di liberazione del Tigray hanno firmato l’”Accordo per una pace duratura attraverso un Cessazione permanente delle ostilità” (COHA), ponendo fine al conflitto scoppiato nel novembre 2020. Il COHA è in vigore e in fase di attuazione.”

Il Dipartimento di Stato americano ha affermato che negli ultimi 2 anni ha fornito all’Etiopia circa 3,16 miliardi di dollari in assistenza umanitaria.

La dichiarazione però non includeva i motivi sul perché nello stato regionale del Tigray oggi, dopo 5 mesi dall’accordo di Pretoria, le persone stiano ancora soffrendo e morendo per mancanza di medicinali e aiuti alimentari. Il report ONU della Commissione Internazionale di Esperti di Diritti Umani per l’Etiopia – ICHREE, in precedenza, aveva denunciato il governo e le sue politiche di aver creato un blocco “de facto” sull’accesso umanitario in Tigray.

Il Segretario di Stato USA durante l’incontro ha anche annunciato che gli Stati Uniti forniranno per l’anno in corso 331 milioni di dollari in assistenza umanitaria all’Etiopia.

Blinken ha dichiarato su Twitter che lui e il vice di Abiy Ahmed Ali, Demeke Mekonen Hassen, hanno discusso:

“…sui progressi compiuti nell’attuazione dell’accordo sulla cessazione delle ostilità e sulla necessità di un accesso senza ostacoli da parte degli osservatori internazionali dei diritti umani alle aree colpite dal conflitto, nonché sull’importante ruolo regionale dell’Etiopia.”

In un altro tweet ha aggiunto di aver incontrato il PM Abiy Ahmed e di aver discusso:

“La necessità di responsabilità per raggiungere una pace duratura. Ha anche deciso di rivitalizzare la nostra solida partnership.”

L’Etiopia oggi si trova sull’orlo del baratro economico dilaniata dalla guerra. Funzionari americani nel campo per il rilancio delle relazioni hanno dichiarato che impedire al governo etiope di ottenere aiuti economici estremamente necessari dopo la firma di un accordo di pace, potrebbe in ultima analisi minare la fragile pace e la stabilità generale del paese. Solo l’assistenza internazionale come i prestiti del Fondo monetario internazionale e la ristrutturazione del debito possono aiutare a riparare l’economia dilaniata dalla guerra: questa la posizione degli Stati Uniti.

Di veduta diversa sono le tante organizzazioni sulla tutela dei diritti umani, parte della società civile e diaspora globale che invece credono che si debba dare la priorità alla responsabilità e alla giustizia verso criminali e crimini perpetrati su milioni di persone in Tigray e nel resto del nord Etiopia, nelle regioni Amhara e Afar.

Diversi funzionari umanitari e non, tra cui il capo dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) Samantha Power, hanno sostenuto nei dibattiti politici interni che l’amministrazione deve ottenere maggiori impegni dal governo etiope sui diritti umani e la responsabilità per i crimini di guerra e altre atrocità. Questo come premessa e prima di accettare l’apertura completa di nuove vie economiche e commerciali. Questa tematica si scontra profondamente con il controverso atto di “giustizia transitoria” che vorrebbe perseguire il governo etiope in maniera interna come Stato Sovrano e supportato da USA ed Europa.

“Non dovremmo scambiare i nostri valori di lunga data sui diritti umani con la stabilità percepita a breve termine nell’Africa orientale”, ha affermato Cameron Hudson, esperto di politica africana degli Stati Uniti presso il Center for Strategic and International Studies.

“La domanda è quanto questa amministrazione [USA] pensa di poter ottenere in tutta la regione senza avere l’Etiopia come partner strategico?”

Alcuna risposta e commento sono arrivati da USAID, il Dipartimento di Stato che ha rifiutato di commentare e l’ambasciata etiope a Washington non ha risposto sulla questione proposta da Foreign Post.

Nonostante alcuni progressi importanti, ma parziali per la sopravvivenza dei civili in Tigray che ha portato la stipula dell’accordo di tregua, milioni di persone e sfollati interni risultano ancora sopravvivere nell’incertezza e nell’insicurezza. Gran parte del Tigray rimane tagliata fuori dall’accesso ai servizi sociali di base come l’assistenza sanitaria, le banche, le telecomunicazioni e l’energia. Centinaia di dipendenti pubblici non hanno ricevuto lo stipendio da 30 mesi e rimangono scoperti anche per i 5 mesi dopo l’accordo.

Una testimonianza peculiare di questo stato di grave sussistenza del popolo tigrino l’ha fornita MSF che abbiamo riportato in un precedente aggiornamento.

Il Segretario Blinken nella sua visita in Etiopia ha incontrato anche Daniel Bekele, presidente della Commissione Diritti Umani Etiope e stretto alleato del Premier Abiy Ahmed.

Bekele ha dichiarato:

“Ho avuto una discussione positiva e fruttuosa con il Segretario americano con particolare enfasi sull’importanza di processi e meccanismi conformi con l’Etiopia sulla giustizia di transizione incentrati sulla vittima e diritti umani.”

Il ricercatore Tekehaymanot G. Weldemichel ha espresso chiaramente le preoccupazioni sulla “giustizia di transizione” e sugli attori che dovranno gestirla.

Tekehaymanot ha il dottorato di ricerca. in geografia umana presso l’Università norvegese di scienza e tecnologia. La sua ricerca si concentra sulle politiche e le politiche ambientali. Attualmente è ricercatore post-dottorato presso l’Università norvegese di scienza e tecnologia, dove studia la traduzione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite in politiche e pratiche.

Ne citiamo le parole pubblicate recentemente su TGHAT:

“Sembra esserci un profondo malinteso sulla nozione di giustizia interna e sui meccanismi di responsabilità. Sebbene sia importante rafforzare e incoraggiare i meccanismi nazionali, il passaggio alla sostituzione di meccanismi internazionali indipendenti è molto problematico per due ragioni fondamentali. In primo luogo, nessuna istituzione in Etiopia oggi è immune dall’influenza degli autori dei crimini.

Istituzioni come la Commissione etiope per i diritti umani non sono altro che le braccia estese del regime etiope. Daniel Bekele e la commissione che dirige hanno continuamente negato e minimizzato l’entità delle violazioni dei diritti umani, in particolare nei confronti dell’etnia tigrina durante la guerra del Tigray.

Non possono quindi voltarsi e presentarsi come arbitri e giudici. Secondo, presentare la crisi del Tigray come una questione interna e pretendere di dipendere dai meccanismi interni di giustizia e responsabilità significa inquadrare male la natura del problema e sopravvalutare la capacità del meccanismo interno, anche se ve ne fossero di efficaci.

La domanda rimane: in che modo anche i meccanismi interni più capaci e imparziali riterranno gli attori stranieri come l’Eritrea responsabili dei crimini commessi dalle sue truppe nel Tigray? Si noti che nonostante le numerose segnalazioni di atrocità da parte delle forze eritree, né il regime eritreo né quello etiope hanno riconosciuto alcun crimine commesso dalle truppe eritree.”

La visita diplomatica di Blinken e della sua delegazione ha portato ad incontrarsi e a discutere con funzionari di governo e delle realtà che sono mandanti, implicate nei crimini della guerra nel Tigray come descritto nel rapporto ONU della ICHREE.

Il segretario ha fatto intendere che gli USA supportano e credano alle tesi di queste realtà umanitarie che si sono apertamente schierate con il governo.

“Sono commosso dall’impegno dei leader e dei sostenitori dei diritti umani ad Addis. Accolgo con favore i loro sforzi per sostenere il dialogo inclusivo e un processo di giustizia di transizione incentrato sulle vittime per sanare le divisioni del paese e fornire pace e sicurezza a tutti gli etiopi.”

I discorsi sulla “giustizia di transizione incentrata sulle vittime” e sui “progressi” nell’attuazione dell’Accordo sulla cessazione delle ostilità (CoHA) avrebbero avuto senso se le voci dei membri della comunità del Tigray avessero avuto presenza e voce in quelle sedi.

Nessuna delle organizzazioni per i diritti umani con sede ad Addis rappresenta le voci della popolazione fortemente colpita del Tigray.

Le voci dei tigrini che lavoravano in quelle organizzazioni sono state represse come quelle del resto degli etiopi di etnia tigrina in altri contesti. Sulla popolazione tigrina infatti sono state perpetrate attività di profilazione etnica, rimozione dalle cariche amministrative e a migliaia sono stati arrestati e detenuti illegalmente in campi di prigionia dichiarati illegali e in violazione del diritto umanitario internazionale.

Quello che hanno portato alla luce queste testimonianze è che l’accordo di tregua ha ancor più ammutolito e spinto al silenzio le voci del Tigray, facendo prendere mandato di parola solo al governo centrale.

Senza l’accesso nella regione da parte degli organismi per i diritti umani e dei media, qualunque cosa affermi il regime etiope viene accettata come vera.

Mehari Taddele Maru , studioso della School of Transnational Governance presso l’Istituto Universitario Europeo ha dichiarato:

“Se l’AU – African Union e le due parti [governo federale e TPLF, rappresentanti del Tigray] avessero pubblicato un rapporto sull’attuazione dell’accordo di Pretoria, avremmo una chiara traccia della litania di impegni non attuati. Ora c’è l’opportunità con la visita del Segretario Antony Blinken di coinvolgere le parti per fare pressione su una riflessione delle realtà sul campo.”

Nella conferenza stampa di mercoledì 15 marzo, il segretario americano ha evitato puntualmente di rispondere alle domande di un giornalista di AddisStandard sul processo di determinazione del genocidio e se è contrario al tentativo del governo etiope di porre fine al mandato della Commissione internazionale degli esperti dei diritti umani dell’Etiopia (ICHREE).

E’ innegabile la volontà diplomatica degli USA ad impegnarsi con l’Etiopia e quella parte dell’ Africa per scongiurare l’egemonia antagonista di altri concorrenti.

C’è da sottolineare anche la preoccupante facilità con cui la delegazione americana ha intrattenuto discussioni diplomatiche sulla giustizia e responsabilità dei crimini e della guerra genocida per cui sono morte più di 600.000 persone direttamente ed indirettamente per le bombe, per i massacri e per le scelte politiche di bloccare l’accesso umanitario e isolare la regione in un blackout elettrico e comunicativo senza servizi di base per 2 anni.

Per altro è innegabile l’avvallo degli USA nel sostenere l’impunità dando più peso alla priorità e stabilità economica, come strategia per cercare di strappare Etiopia e altre aree del Corno d’Africa dalle mani di altri attori come Cina, Russia.

Per altro anche Isaias Afwerki, presidente del regime della Corea del Nord Africana, l’Eritrea, aveva negato in pubblica piazza in Kenya i crimini del suo esercito perpetuati in Tigray sulla popolazione civile. Lo stesso dittatore eritreo che in interviste e dichiarazioni recenti ha rinnovato la sua scelta di opporsi all’occidente, USA ed Europa, e al sistema colonialistico perpetrato in Eritrea.

Eritrea alleata militarmente in maniera ufficiosa con l’Etiopia nella guerra del Tigray, il cui governo etiope nel 2021 aveva dato vita alla creazione del movimento “dal basso” del popolo etiope per rivendicare il panafricanismo con lo slogan verso gli Stati Uniti “Hands off Ethiopia” [Giù le mani dall’Etiopia]. Molti osservatori già a quei tempi avevano indicato questo movimento, in cui era coinvolta anche la diaspora in America, come strumento di distrazione di massa per poter sviare dal confronto sulla responsabilità governativa e militare etiope e degli alleati verso i crimini di guerra perpetrati in Tigray.

C’è da lavorare ancora molto per la giustizia per tutte le vittime che porterà verso la vera stabilità e la vera pace interetnica e unitaria del popolo etiope.

Sicuramente in Tigray, in Amhara e Afar la priorità va data sì alla tutela dei diritti umani, ma soprattutto al rispetto di ogni altro singolo punto dell’accordo di tregua: in primis fornitura e supporto umanitario incondizionato e totale.


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Etiopia, le grosse lacune del supporto umanitario in Tigray dopo 5 mesi di tregua


La guerra genocida che ha coinvolto il nord Etiopia dal 3 novembre 2020, il 2 novembre 2022, dopo 2 anni si è fermata per la firma di un accordo di cessazione ostilità firmato a Pretoria. Con la mediazione dell’ Unione Africana, il governo federale etiope

La guerra genocida che ha coinvolto il nord Etiopia dal 3 novembre 2020, il 2 novembre 2022, dopo 2 anni si è fermata per la firma di un accordo di cessazione ostilità firmato a Pretoria.

Con la mediazione dell’ Unione Africana, il governo federale etiope e i rappresentanti del Tigray, i membri del partito del TPLF – Tigray People’s Liberation Front hanno siglato l’accordo di tregua.

Un punto fondamentale era l’accesso immediato e incondizionato al supporto umanitario per i milioni di persone martoriate e sfollate dalla guerra.

Dopo ormai 5 mesi le consegne di materiale alimentare e igienico sanitario sta considerevolmente rallentando.

Riguardo all’accordo di cessazione ostilità, manca un trasparente ed aggiornamenti sul sistema di monitoraggio. Monitoraggio che serve a constatare i progressi di quanto pattuito nell’accordo: compito assegnato alla gestione dell’Unione Africana – UA.

Manca ancora tutto per la maggior parte delle aree rurali dello stato regionale del Tigray.

Manca anche un monitoraggio ufficiale da parte dell’UA di tali attività che ne indichi aggiornamenti costanti e trasparenza.

Recentemente abbiamo segnalato su Focus on Africa le gravi condizioni di vita e le denunce degli IDP, degli sfollati interni.



Di seguito riportiamo le dichiarazioni di MSF- Medici Senza Frontiere (giovedì 9 marzo 2023) che indicano da una parte il suo gran lavoro per supportare la popolazione e le persone nelle aree di Shire e Shiraro e dall’altra le grosse lacune, le tante mancanze sia logistiche sia materiali per quanto riguarda strutture sanitarie e farmaci.

Nel novembre 2022, MSF – Medici Senza Frontiere ha riavviato le attività medico-umanitarie nella zona nord-occidentale del Tigray.

MSF fornisce servizi sia alle comunità ospitanti che agli sfollati interni a Shire e Shiraro.
Ecco cosa stiamo facendo.

A Shire, MSF sta supportando l’unica struttura sanitaria secondaria funzionante nel nord-ovest, mentre a Shiraro stiamo sostenendo un centro sanitario completo.

Il nostro sostegno all’ospedale di Shire e al centro sanitario di Shiraro si concentra sui programmi nutrizionali per i bambini, sulla salute materna e infantile, nonché sulla salute sessuale e riproduttiva, inclusa la risposta alla violenza sessuale.

Supportiamo anche la prevenzione e il controllo delle infezioni.

Inoltre, il mese scorso, le équipe di MSF nel nord-ovest del Tigray hanno fornito più di 6.300 visite, curando 2.300 pazienti affetti da malaria.

È stata fornita assistenza a oltre 200 vittime di violenze sessuali, probabilmente solo una frazione di coloro che attualmente necessitano di cure.

Gestiamo anche cliniche mobili e supportiamo postazioni sanitarie e centri sanitari, fornendo forniture mediche e riferimenti.

In queste aree, i bisogni sono immensi e l’accesso all’assistenza sanitaria è fortemente limitato poiché le persone devono fare viaggi lunghi o difficili per raggiungere le strutture sanitarie.

Dopo la fine dei combattimenti attivi nell’area, le persone che sono fuggite nelle zone rurali o nelle foreste in cerca di sicurezza stanno gradualmente tornando nelle piccole città e nelle aree urbane. Tuttavia, i raccolti sono andati perduti e ci sono pochi strumenti o semi da piantare.

Molte strutture sanitarie non funzionano perché gli edifici sono stati parzialmente distrutti e/o saccheggiati.

Alcuni hanno ricevuto rifornimenti insufficienti, altri nessun rifornimento, mentre i bisogni rimangono considerevoli.

Significa un accesso inadeguato all’assistenza sanitaria nel Tigray:

  • Le donne incinte faticano ad accedere al sostegno pre e post parto o ad un luogo sicuro dove partorire
  • I bambini non dispongono di servizi di base come le cure preventive di routine e le vaccinazioni
  • Le persone con malattie croniche non possono ricevere farmaci

I nostri team segnalano enormi carenze di articoli medici, anche forniture salvavita come

  • alimentazione terapeutica
  • anestesia per intervento chirurgico
  • farmaci contro la malaria e apparecchiature per i test

Le équipe di MSF stanno ora tornando a Mekele, con l’obiettivo di aumentare l’accesso all’assistenza sanitaria primaria e secondaria salvavita, in particolare per la popolazione che vive nelle zone remote e di difficile accesso del Tigray.


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Etiopia, la stabilità economica non può sostituire giustizia e responsabilità per le vittime di guerra


Nella guerra dai risvolti genocidi iniziata in Tigray il 3 novembre 2020 e perdurata per 2 anni, la svolta è arrivata il 2 novembre 2022 quando a Pretoria, Sud Africa, rappresentanti del governo etiope e del Tigray hanno siglato un accordo di cessazione o

Nella guerra dai risvolti genocidi iniziata in Tigray il 3 novembre 2020 e perdurata per 2 anni, la svolta è arrivata il 2 novembre 2022 quando a Pretoria, Sud Africa, rappresentanti del governo etiope e del Tigray hanno siglato un accordo di cessazione ostilità.

Per il governo una veloce “azione di polizia” per fermare, bloccare il partito TPLF – Tigray People’s Liberation Front, tutti i suoi membri e i sostenitori etichettati come dissidenti.

Vera e propria guerra in cui l’esercito federale etiope, l’ENDF e le forze speciali regionali amhara, la milizia fano e gli eritrei invasori del suolo etiope fin dall’inizio, hanno perpetrato sistematicamente crimini sulla popolazione civili: si è parlato di fame e stupri come armi di guerra, abusi di genere su base etnica sulle donne di ogni età di etnia tigrina, repressione con arresti di massa e detenzione illegale in violazione del diritto umanitario internazionale. Anche le forze tigrine si sono macchiate di crimini sui civili portando il conflitto a sconfinare nelle vicine regioni Amhara e Afar nel giugno 2021. Tutt’ oggi non si hanno notizie di che fine abbiano fatto quelle decine di migliaia di tigrini arrestati.

Oggi le stime parlano di più di 600.000 morti per azioni dirette della guerra, bombe, attacchi aerei e droni e persone uccise indirettamente per privazione di supporto alimentare, umanitario ed igienico/sanitario.

La guerra in Tigray è stata recentemente descritta come una tra le più atroci e brutali degli ultimi decenni.

Guerra combattuta nello stato regionale del Tigray completamente isolato dal resto del mondo ed in totale blackout elettrico e comunicativo. Solo dopo 2 anni, dopo la stipula dell’accordo si sono visti parziale riattivazione dei servizi base. Parzialmente riattivata la linea telefonica ed internet. Riaperte diverse filiali della banca centrale etiope, ma ancora in quasi totale mancanza di contante.

In marzo 2021 il Segretario americano Antony Blinken aveva emesso uno dei primi comunicati in cui dichiarava “pulizia etnica” in Tigray. Dopo 1 anno fu condiviso il report da HRW e Amnesty in cui confermavano i crimini di guerra e contro l’umanità.

Nel giugno 2021 Pekka Haavisto, inviato speciale dell’ Unione Europea, aveva dichiarato che durante i colloqui a porte chiuse insieme ai leader etiopi, questi avevano detto che “spazzeranno via i Tigrini per 100 anni”.

Gli USA avevano avviato anche un iter legale per confutare se dichiarare genocidio in Tigray.

Nel dicembre 2021 bloccarono l’attività per dare spazio alla “diplomazia”.

Ci volle quasi un anno perché arrivasse il novembre 2022 per la cessazione delle ostilità ed i tavoli negoziali di tregua mediati dall’Unione Africana.

In quei 2 anni tutte le forze in gioco hanno perpetrato crimini, come ha sottolineato il report ICHREE, International Commission of Human Rights Expert on Ethiopia. Anche durante e dopo la firma dell’accordo di Pretoria sono stati commessi crimini sui civili in Tigray. Il blocco dell’accesso umanitario che doveva essere supportato dal piano di tregua va a rilento ed in alcune zone è ancora ai blocchi di partenza causa occupazione eritrea. Le “forze esterne” che dovevano ritirarsi, amhara ed eritrei, sono ancora presenti in gran parte i primi nel Tigray occidentale rivendicato sotto la loro giurisdizione, i secondi decentrati in zone periferiche. Ai tavoli negoziali per la tregua della guerra regionale, non è stato invitata l’Eritrea, pedina e protagonista in prima linea fin dall’inizio.

Il 28 febbraio viene condiviso un appello congiunto di 60 organizzazioni per i diritti umani e della società civile per chiedere giustizia e responsabilità per le vittime della guerra genocida.

La società civile si è detta allarmata riguardo all’annuncio del 15 febbraio da parte del vice primo ministro dell’Etiopia al Consiglio esecutivo dell’Unione africana, secondo cui il governo etiope intende presentare una risoluzione alla prossima sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per porre fine al mandato della Commissione internazionale di esperti in diritti umani sull’Etiopia (ICHREE).

Durante la 52a Sessione ordinaria del Consiglio per i diritti umani dell’ONU è stato dichiarato che l’Eritrea non ha compiuto alcun passo per stabilire meccanismi di responsabilità per le violazioni dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario commesse dal suo esercito nel contesto del conflitto del Tigray in linea con il Joint Investigation Team (JIT) dell’UNHCHR e l’Ethiopian Human Rights Commissione. Il governo eritreo ha “respinto questo rapporto della SIC e ha permesso agli autori dell’esercito di agire impunemente”, ha affermato, osservando che “non vi è alcuna reale prospettiva che il sistema giudiziario nazionale chieda conto degli autori”. Aggiungendo e confermando che il ritiro dei soldati risulta parziale e lento.

La commissione ONU ha sottolineato la necessità di monitoraggio riguardo al piano attuativo sulla tregua.

D’altro canto il dittatore della Corea del Nord africana Isaias Afwerki aveva precedentemente negato platealmente in Kenya i crimini del suo esercito nei confronti del popolo tigrino.

Il governo etiope come ha bloccato “de facto” gli aiuti umanitari per volontà politiche, ha tentato più volte con ogni mezzo diplomatico e politico in sede nazionale ed internazionale, con il supporto degli alleati in sede ONU, di bloccare la commissione investigativa ICHREE, denunciando l’occidente di ingerenza e rivendicando che sono questioni interne da risolvere come Stato Sovrano.

A gennaio, 2 mesi dopo la firma dell’accordo di Pretoria, il governo etiope pubblica la bozza del piano per la “giustizia di transizione”.

Tadesse Simie Metekia , etiope esperto di crimini internazionali e giustizia di transizione, è un buon primo passo, ma sottolinea che “non sono sicuro che il Paese sia pronto ad attuare qualsiasi forma di giustizia di transizione in un modo accettabile per la maggioranza degli etiopi o conforme agli standard internazionali”.


Approfondimento: Etiopia, Perseguire Crimini Contro l’Umanità: Dov’é La Legge?


Secondo Metekia, il governo afferma che utilizzerà il documento “Opzioni politiche per la giustizia di transizione” per una campagna di sensibilizzazione e consultazione pubblica in tutto il paese da metà marzo all’inizio di giugno 2023. Pensa però che il lasso di tempo sia troppo breve, data l’enormità del compito e le risorse necessarie. Metekia dichiara anche che i precedenti sforzi di giustizia di transizione in Etiopia sono falliti e che si dovrebbero trarre lezioni da questo.


NOTE sul sistema di giustizia di transizione in Etiopia

  • en.wikipedia.org/wiki/1958%E2%…
  • youtube.com/watch?v=qvYp1qm0DE…
  • L’attuale Premier etiope in carica dal 2018 ha adottato una serie di misure per affrontare le ingiustizie del passato e le gravi violazioni dei diritti umani, tra cui l’istituzione di una commissione di riconciliazione.A questa commissione è stato affidato il mandato di valutare, identificare e riconoscere gravi violazioni dei diritti umani, ingiustizie, lamentele e fallimenti e costruire una pace e una democrazia sostenibili basate sulla riconciliazione. Tuttavia, il mandato operativo triennale della Commissione è scaduto nel febbraio 2022, senza risultati. [Fonte: “Policy Options for Transitional Justice”]

Per quanto riguarda la non ingerenza è un diritto rivendicarla, ma per il discorso della tutela dei diritti umani, della giustizia e della responsabilità dei crimini nella guerra genocida in Etiopia… è come se Putin rivendicasse l’utilizzo di una sua commissione per i diritti umani per indagare i crimini perpetrati dal suo stesso esercito in Ucraina: la dissonanza è lampante.

Mentre il governo americano, motivato dalle tante violazioni dei diritti umani causati dalla guerra nel nord Etiopia, ha escluso l’Etiopia dall’African Growth and Opportunity Act (AGOA) a partire dal 1 gennaio 2022. Infatti l’idoneità dei Paesi nel rientrare nell’AGOA è subordinato al fatto che non devono essere coinvolti in crimini di guerra e contro l’umanità come invece è implicato il governo etiope.

Gli stessi USA invieranno il Segretario Antony Blinken in Africa, in Niger ed Etiopia, dal 14 al 17 marzo 2023. Il segretario incontrerà anche il presidente della Commissione dell’Unione africana Moussa Faki Mahamat per discutere le priorità globali e regionali condivise e dare seguito agli impegni del vertice dei leader USA-Africa in materia di sicurezza alimentare, clima e transizione energetica giusta, diaspora africana, e salute globale.

Il 15 marzo il Segretario visiterà Addis Abeba, in Etiopia, dove discuterà dell’attuazione dell’accordo di cessazione delle ostilità per far avanzare la pace e promuovere la “giustizia di transizione” nell’Etiopia settentrionale. Incontrerà inoltre i partner umanitari e gli attori della società civile per discutere della fornitura di assistenza umanitaria, della sicurezza alimentare e dei diritti umani.

Potrebbe arrivare alla fine del mese di marzo l’annuncio se l’Etiopia sarà o meno reintegrata nell’AGOA. Visti i tempi della giustizia, questo denota che gli USA potrebbero con un colpo di spugna accantonare la ricerca di responsabilità dei crimini per favorire gli accordi economici. Il tempo ci risponderà.

“Gli Stati Uniti molto probabilmente conoscono la natura dei crimini e la misura in cui il governo dell’Etiopia ai massimi livelli ha ordinato la violenza sui propri civili” ha detto un ex alto funzionario statunitense a conoscenza della questione, che ha parlato in condizione di anonimato a FP – Foreign Policy

Aggiungendo:

“Le uccisioni di massa non rimangono mai sepolte. Tutti nella comunità delle vittime e nella comunità della prevenzione delle atrocità ricorderanno quali politici statunitensi hanno fatto questo appello per ignorare le proprie informazioni e andare avanti con questi pacchetti economici”.

Il Prof. Mehari Taddele Maru riguardo al supporto del piano di “giustizia di transizione” etiope da parte americana ha dichiarato:

“Relegare la responsabilità degli autori di crimini atroci al circo della “giustizia di transizione” eseguita ad Addis si fa beffe dei milioni di vittime massacrate intenzionalmente, deliberatamente affamate, sistematicamente sfollate e violentate selvaggiamente.”

Il 6 marzo anche 3 collettivi ed organizzazioni tigrine per lo sviluppo e la stabilità del Tigray ( Alliance of Civili Society Organizations of Tigray (ACSOT), Tigray Human Rights Advocacy Network (THRAN), Tigray Universities Scholars Association (TUSA) ) hanno emesso il loro appello per l’estensione del mandato dell’ICHEE e delle sue continue indagini sulle violazioni dei diritti umani.

Le bombe si sono placate, ma rimane l’incertezza sulla supervisione dell’attuazione dell’accordo di tregua in parallelo alla guerra diplomatica per la giustizia e responsabilità che determina non di meno rallentamenti e tensioni sul piano del supporto concreto e reale a milioni di persone in Tigray.


Foto credit: Photo Source: © J. Countess via Getty Images


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Migranti: dopo Cutro, la maggioranza prepara una nuova stretta sui permessi di soggiorno. Di @vitalbaa su @valigiablu


Il decreto Cutro, approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 9 marzo, tra le altre cose, ha disposto una stretta sui permessi speciali per gli immigrati. Siccome alcuni commenti, politici e non, paiono un po’ confusi, può essere utile un chiarimento, mostrando la direzione nella quale sta andando la maggioranza di governo

@poliverso

Perché allora questi provvedimenti? In mancanza di risposte certe, sorge un ragionevole dubbio. Ovvero che il governo non intenda rinunciare alla presenza di immigrati irregolari: del resto, l’esistenza di un nemico da combattere è la cifra della sua narrazione, variamente declinata. Peraltro, più irregolari si creano, più rimpatri andrebbero effettuati. Invece, l’Italia ne fa pochi rispetto al numero di coloro i quali ne dovrebbe essere oggetto, data la difficoltà di stringere accordi con i paesi di provenienza.

Qui continua l'articolo di @Vitalba su @Valigia Blu

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Etiopia, la disastrosa situazione degli sfollati in Tigray nonostante l’accordo di cessazione ostilità


La guerra genocida inizita il 3 novmebre 2020 in Tigray, regione settentrionale in Etiopia e descritta dal governo centrale come veloce “azione di polizia” per fermare e bloccare tutti i membri “dissidenti” del partito TPLF – Tigray People’s Liberation Fr

La guerra genocida inizita il 3 novmebre 2020 in Tigray, regione settentrionale in Etiopia e descritta dal governo centrale come veloce “azione di polizia” per fermare e bloccare tutti i membri “dissidenti” del partito TPLF – Tigray People’s Liberation Front, si è placata con un accordo di cessazione ostilità, di tregua firmato a Pretoria il 2 novembre 2022.

Il report di UNHCR del 23 febbraio 2023 riguarda gli sfollati interni, gli internally displaced person (IDP) che si sono creati come conseguenza di tale guerra.

Report versione PDF : UNHCR-Ethiopia-Protection-Monitoring-and-Solutions-PMS-Report1-Mekelle-February-2023

AGGIORNAMENTO 9 marzo 2023:

Per dovere di cornaca, come redazione di Focus on Africa, abbiamo caricato la su citata copia in pdf in quanto dopo la visione sul servizio Reliefweb (servizio di archivio ufficiale) di UNOCHA, tal report risulta rimosso.

Fortunatamente anche il servizio WebArchive ci viene in aiuto perché ha tenuto traccia (snapshot del 6 marzo 2023, ore 19:05:39) della pagina web in cui era stato pubblicato il rapporto: web.archive.org/web/2023030619…

Contesto degli sfollati interni in Tigray


UNHCR indica che nel 2022 più di 200.000 sfollati interni sono tornati al loro luogo di origine nella regione del Tigray e oltre 33.000 sono stati assistiti dall’UNHCR e dai partner con denaro contante, NFI (Emergency Shelter/Non-Food Items) e mezzi di trasporto.

Genta Afeshum, Gulo Mekeda e Hawzen woredas [distretti] nella zona nord-orientale del Tigray sono stati selezionati [come luoghi] per l’implementazione pilota dei nuovi strumenti di monitoraggio e soluzioni di protezione (PMS) dell’UNHCR a causa della loro elevata popolazione di sfollati rimpatriati.

Questi strumenti includono un’indagine su informatori chiave, discussioni di focus group (FGD), mappatura delle strutture e liste di controllo osservative. Gli obiettivi del PMS includono la valutazione della durabilità dei ritorni, la coesione sociale tra le comunità e le questioni abitative, fondiarie e immobiliari (HLP). Il conteggio delle risposte dei partecipanti durante le discussioni aiuta a generare dati quantitativi e aiuterà a tenere traccia delle tendenze nei diversi cicli di raccolta dei dati.

Il Report di UNHCR è tratto da una serie di 7 discussioni di focus group (FGD) con 66 sfollati rimpatriati originari dei 3 distretti sopra citati, 55% donne e 45% uomini.

Quando è stato chiesto a queste persone perché fossero tornati, l’86% ha risposto perché non stavano ricevendo supporto umanitario nell’area di accoglienza.

Dopo il loro ritorno ai luoghi d’origine, non hanno ricevuto ancora supporto umanitario.

La principale esigenza, necessità citata dal 100% del gruppo è stata “cibo”. Con il 43% salute ed educazione per i bambini.

2919 case completamente distrutte e 830 parzialmente danneggiate.

Il 95% delle 126 scuole primarie e l’86% delle superiori completamente distrutte.

Il 94% (61) delle 71 strutture sanitarie dei 3 distretti completamente distrutto, mentre il 10% parzialmente.

Dei 2019 bacini, riserve e punti per l’acqua, il 63% è stato distrutto, il 37% parzialmente: senza acqua non c’è vita.

Distrutto il 100% degli uffici pubblici.

A Kokob Tsibah:

  • interi villaggi sfollati – 34 sepolti il giorno della visita d’osservazione
  • 11 torturati
  • 150 sopravvissuti *identificati* GBV – Gender Based Violence (1,5% pop.)
  • 120 HIV+ (sieropositivi) noti senza farmaci.
  • Tutto il bestiame, i raccolti, i depositi di grano, le attrezzature saccheggiate o distrutte.
  • Carenza acuta di cibo/WASH.

Hadnet

  • Nessun rimpatriato ha ricevuto aiuti dal 2022
  • raccolti, bestiame, strutture agricole distrutte o danneggiate
  • UXO non chiarito nei campi
  • Nessuna assistenza sanitaria
  • Le donne incinte devono camminare un giorno per farsi curare ad Adigrat
  • Carenza acuta di cibo/WASH.

Fatsi

  • Gli sfollati interni sono rientrati perché non c’erano aiuti ad Adigrat.
  • L’esercito eritreo è sistemato appena fuori città, occupando una scuola
  • Nessuna amministrazione
  • Centro sanitario distrutto
  • Famiglie divise tra Adigrat e Fatsi
  • Donne capofamiglia particolarmente vulnerabili

Città di Hawzen

  • sfollati rimpatriati per mancanza di aiuti a Mekelle
  • mancanza acuta di cibo, WASH, carenza di vestiti
  • La maggior parte delle proprietà saccheggiate
  • Fortemente colpito dalla violenza di genere

Si parla di Adigrat e Mekellé come città di riferimento e di consegna, immagazzinamento degli aiuti umanitari per gli sfollati del Tigray orientale perché le loro aree di origine sono inaccessibili al comparto umanitario.

Da considerare che a Mekellé, capitale della regione tigrina, sono presenti oggi 300.000 IDP che attendono ed hanno denunciato a loro volta la mancanza di supporto umanitario.



Le realtà che dovrebbero monitorare e quelle che dovrebbero dare trasparenza ed aggiornamenti dal campo si fanno attendere: la principale motivazione di non accesso nei distretti è l’occupazione eritrea. La causa del mancato aggiornamento da parte dei partners umanitari non è dato sapere, se sia per mancanza di accesso o di fondi. Il risultato finale è che centinaia di migliaia di persone in Tigray ad oggi sono in balia degli eventi.


Credit foto di testa: IOM/Kaye Viray – Una scuola trasformata in un sito per sfollati a Shire, nella regione del Tigray in Etiopia, ospita migliaia di sfollati interni.


tommasin.org/blog/2023-03-08/e…

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Etiopia, ancora blocchi sugli aiuti umanitari nel Tigray


Il 3 novembre 2020 in Etiopia è scoppiata una guerra. Per il governo centrale una veloce “azione di polizia” per fermare il “ribelle” partito del TPLF – Tigray People’s Liberation Front e tutti i suoi membri. Per il popolo del Tigray, regione settentriona

Il 3 novembre 2020 in Etiopia è scoppiata una guerra. Per il governo centrale una veloce “azione di polizia” per fermare il “ribelle” partito del TPLF – Tigray People’s Liberation Front e tutti i suoi membri.

Per il popolo del Tigray, regione settentrionale etiope, è iniziata una vera e propria guerra genocida inb cui sono stati perpetrati crimini di guerra e contro l’umanità.

Le stime, analizzate e condivise dal Prof. Jan Nyssen e dal suo team dell’Università Ghent in Belgio, oggi parlano di più di 600.000 vittime, di civili uccisi dalle bombe, dai massacri o dalla mancanza di cibo e cure mediche. Arresti e deportazioni di massa su base etnica. Pulizia etnica confermata da parte delle forze speciali amhara e milizia Fano, alleati dell’esercito etiope, che nel Tigray occidentale hanno sfollato i residenti rivendicando quel territorio giuridicamente e storicmente amhara. Fame e stupri come armi di guerra. Conflitto che è descritto come “guerra civile” tra le più atroci del XIX secolo, ma si dovrebbe parlare di guerra regionale in quanto i soldati eritrei, alleati informalmente dell’ ENDF e delle forze amhara, hanno invaso l’Etiopia ed erano presenti fin dal primo giorno, anche se il governo etiope ha negato per mesi la loro presenza. Esercito eritreo che ha combattuto con truppe e cadetti somali addestrati in Eritrea, ignari di andare a morire in prima linea per una guerra non loro.

Oggi la disputa territoriale del Tigray occidentale è nodo di tensioni e parte dell’ accordo di cessazioni ostilità siglato il 2 novembre a Pretoria, Sud Africa. Molti sfollati tigrini fuggiti in Sudan hanno paura di tornare nelle proprie case o in quel che ne resta, proprio per l’attuale occupazione.

Oltre alla risoluzione della disputa territoriale, parte dell’accordo prevede il ritiro delle “forze esterne” dal Tigray e l’accesso capillare ed immediato del supporto e della consegna di materiale umanitario e salvavita ai più di 6 milioni di persone residenti la regione tigrina.

Il report della ICHREE aveva denunciato tutte le forze in gioco di aver commesso crimini verso strutture e persone civili. Il governo centrale ha creato con scelte politiche ben precise un blocco “de facto” all’accesso umanitario in Tigray.

L’accordo di Pretoria è un patto per una cessazione ostilità, non di pura pace: la pace dovrebbe esserne la principale conseguenza, come obiettivo ultimo.

La priorità dell’accordo di Pretoria ha avviato un cessate il fuoco per dare maniera, tra le altre cose, di poter far operare in sicurezza l’accesso del supporto salvavita verso tutti i civili in difficoltà.

La guerra combattuta in Tigray in un totale isolamento, blackout elettrico e comunicativo, dal resto del mondo, ha bloccato i servizi di base indispensabili alla sopravvivenza delle persone. Oltre la mancanza di carburante che ha bloccato anche le ambulanze per soccorsi e per distribuzione medicinali, c’è stato il blocco dei conti correnti bancari.

Se all’inizio di novembre 2022, grazie all’accordo, l’accesso umanitario ha iniziato le consegne nei grossi centri del Tigray come Mekelle e Shire, ad oggi sembra che ci sia un rallentamento delle forniture umanitarie, come dimostrano i dati in seguito.

Martedì 21 febbraio Patrick Youssef, direttore regionale della ICRC – Croce Rossa Internazionale ha dichiarato:

“La pace è tornata nel nord Etiopia , ma permangono enormi bisogni umanitari. Sto visitando Tigray , dove il conflitto ha causato immense sofferenze alla popolazione. Le conseguenze umanitarie sono gravi. E sono necessari più aiuti per proteggere e assistere le persone colpite. Mekelle”

Domenica 5 marzo 2023, inoltre, il Dr. Fasika, medico dell’ Ayder Hospital ha segnalato che il COVID sta riprendendo piede a Mekelle, la capitale tigrina in cui risiedono anche 300.000 sfollati interni, IDP, di cui abbiamo dato aggiornamento in un precedente articolo: denunciano di non aver ricevuto gli aiuti umanitari necessari da più di 3 mesi dalla firma dell’accordo di tregua.


Approfondimento: Etiopia, 54.000 sfollati ad Abiy Addi senza cibo, medicinali e altre zone del Tigray senza aiuti


Per il resto del mondo è stata una buona notizia l’accordo di Pretoria. Dopo 2 anni di guerra genocida e crimini di guerra e contro l’umanità subìti dai civili è stata veramente un’ottima notizia l’accordo per una tregua. Purtroppo però manca ancora tutto. Le linee telefoniche in molte aree regionali hanno ripreso a funzionare come la linea internet, ma molto lentamente. Anche diverse filiali della banca centrale etiope hanno riaperto. Purtroppo però, come notizie ed aggiornamenti da nostre fonti dirette, non erogano ancora contanti anche se la banca centrale aveva dichiarato di aver inviato qualche milione di birr alle filiali nella regione.

“Oggi, non un mese fa, in Adwa le banche non hanno soldi, sono aperte ma non erogano denaro, la popolazione continua a non mangiare!!!”

Un paio di foto che arrivano da Mekelle fanno comprendere bene la situazione di catastrofe umanitaria in atto. Tra persone che scaricano sacchi di granaglie, donne che cercano di recuperare da terra ogni singolo chicco.
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Molti medici hanno iniziato a licenziarsi per cercare altri posti di lavoro dopo che la guerra li ha lasciati senza stipendio. Molti non riuscendo a far fronte alla propria quotidianità senza soldi, non hanno più la forza di fronteggiare la loro crisi personale e quindi non hanno più la capacità nemmeno di seguire i loro pazienti. Crisi nella crisi.

Giovedì 2 marzo il Professor Jan Nyssen ci ha fornito un nuovo aggiornamento sulla situazione umanitaria attuale. Ha condiviso la mappa del report USAID del 23 febbraio che da un significativo chiarimento della grave situazione in cui stanno vivendo milioni di persone oggi.

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Venerdì 3 marzo il ricercatore belga torna con un ulteriore aggiornamento e analisi approfondita e con dati.

“Facendo seguito al nostro messaggio di ieri sul blocco de facto del Tigray (vedi sotto), ho ricevuto questo feedback da un deputato britannico ed ex ministro:

“Purtroppo, non sono riuscito a trovare una copertura mediatica contemporanea che riportasse o riflettesse l’affermazione che continua il blocco de facto degli aiuti umanitari. Al contrario, tutti i rapporti recenti riguardano un costante miglioramento dell’accesso.»

Il nostro amico Tim Vanden Bempt lo ha cercato e ha analizzato i fatti.

E, in effetti, non sembra esserci alcuna notizia mediatica (internazionale), ma i rapporti delle Nazioni Unite (distribuzione di cibo) affermano chiaramente che è ancora in corso un blocco [di movimento] molto ampio sul terreno, sia per quanto riguarda la mancanza di accesso al Tigray (una strada è davvero aperta) e all’accessibilità all’interno del Tigray (a causa della mancanza di denaro e della grande presenza di soldati eritrei e amhara).

La logica conseguenza è quindi che, secondo UN Ethiopia, nel Tigray è stato raggiunto solo il 16% dei beneficiari della risposta alimentare (contro l’80% nella regione di Amhara e il 98% nella regione di Afar!

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Dettagli sull’accesso al Tigray


Due delle quattro strade utilizzate per gli aiuti umanitari sono bloccate dalle forze e dalle milizie Amhara (Gondar – Humera – Shire e Kombolcha – Mekelle) e una non è adatta ai mezzi pesanti (Gondar – May Tsebri – Shire).

Ciò lascia la lunga rotta desertica Semera – Mekelle come unica opzione per rifornire il Tigray (non solo a Mekelle ma anche il lontano hub di Shire), come evidenziato anche dal progresso della distribuzione alimentare (progressi da Est a Ovest) e dalla capacità di stoccaggio del hub

(Note di riunione del Logistics Cluster Addis Abeba logcluster.org/ops/eth20a).

Le scorte nell’hub di Shire si stanno gradualmente esaurendo di nuovo.

Spazio disponibile negli hub di magazzino:

  • 17/01: 60% a Mekelle, 30% a Shire
  • 24/01: 60% a Mekelle, 48% a Shire
  • 31/01: 63% a Mekelle, 83% a Shire
  • 07/02: 63% a Mekelle, 79% a Shire
  • 14/02: 71% a Mekelle, 79% a Shire”

L’ulteriore distribuzione di quei volumi di aiuti che potrebbero raggiungere i magazzini di Shire e Mekelle, è nuovamente ostacolata dall’enorme mancanza di denaro per pagare la logistica, nonché dall’inaccessibilità dovuta alla presenza di soldati eritrei e amhara.

18 gennaio 2023: blocco parziale di beni e servizi commerciali


Dettagli riportati dagli aggiornamenti del Food Cluster:

fscluster.org/sites/default/fi…

Tutti i partner di supporto alimentare devono continuare a fare affidamento sui voli umanitari per portare denaro nella regione mentre i servizi bancari, riprendendo gradualmente nelle principali città, non sono ancora del tutto funzionanti. Ai partner è richiesta una notevole quantità di denaro per coprire i costi operativi quotidiani e i crediti precedenti, garantendo che l’assistenza continui senza interruzioni.

E’ fondamentale è fondamentale (oltre alla piena ripresa dei servizi essenziali, inclusi banche, comunicazioni e altri fattori abilitanti) supportare i partner nel fornire un’assistenza tempestiva e adeguata alle popolazioni più colpite con risorse limitate, rafforzando/ripristinando le strutture di governo locale nonché i collegamenti tra le autorità a tutti i livelli, assicurando che i dipendenti pubblici, non essendo stati pagati per più di 18 mesi, ricevano i loro stipendi. Tutto questo è importante anche per far riprendere il flusso illimitato di forniture commerciali nel Tigray in tutte le parti della regione.

25 gennaio 2023 e 1 febbraio 2023: blocco parziale dei servizi commerciali


Dettagli riportati dagli aggiornamenti del Food Cluster:

https://fscluster.org/sites/default/files/documents/round_3_2022_food_cluster_tigray_crisis_response_weekly_dashboard_25_january_2023_final.pdf

https://fscluster.org/sites/default/files/documents/round_3_2022_food_cluster_tigray_crisis_response_weekly_dashboard_01_february_2023_final.pdf

Tutti i partner alimentari in quel periodo dovevano continuare a fare affidamento sui voli umanitari per portare denaro nella regione mentre i servizi bancari, riprendendo gradualmente nelle principali città, non erano ancora del tutto funzionanti. Ai partner era richiesta una notevole quantità di denaro per coprire i costi operativi quotidiani e i crediti precedenti, garantendo che l’assistenza continui senza interruzioni.

8 febbraio 2023: blocco parziale dell’area (zona centrale, orientale e nord-occidentale (forze eritree), zona nord-occidentale (forze Amhara)


Dettagli riportati dagli aggiornamenti del Food Cluster:

https://fscluster.org/sites/default/files/documents/round_3_2022_food_cluster_tigray_crisis_response_weekly_dashboard_08_february_2023_final.pdf

Sebbene lo spazio umanitario continui a migliorare nel Tigray, alcuni woreda (distretti) (ad esempio, Egela (centrale), Erob e Gulo Mekeda (orientale); Dima, la città di May Tsebri, Tahtay Adiyabo e Tselemti (nordoccidentale) rimangono parzialmente inaccessibili con accesso a/ da alcune aree che continuano a rappresentare una sfida per i partner e le comunità a causa della presenza e dei movimenti di attori armati nelle aree contese lungo i confini internazionali e regionali.

15 febbraio 2023 e 22 febbraio 2023: blocco parziale dell’area (zona centrale, orientale, occidentale e nord-occidentale (forze eritree), zona nord-occidentale e occidentale (forze Amhara)


Dettagli riportati dagli aggiornamenti del Food Cluster:

https://fscluster.org/sites/default/files/documents/round_3_2022_food_cluster_tigray_crisis_response_weekly_dashboard_15_february_2023_final.pdf

https://fscluster.org/sites/default/files/documents/round_3_2022_food_cluster_tigray_crisis_response_weekly_dashboard_22_february_2023_final_0.pdf

Mentre lo spazio umanitario è migliorato nel Tigray, alcune aree di Erob (est), città di Zalambessa (Zala Anbesa) (est), Egela (centro), Dima (nord ovest), Tahtay Adiyabo (nord ovest), Ofla (sud) e Zata (sud ) rimangono inaccessibili ai partner alimentari a causa della presenza e dei movimenti di attori armati lungo i confini internazionali e regionali; il movimento di forniture umanitarie verso le parti meridionali delle zone nord-occidentali e meridionali è attualmente molto limitato con accesso solo dalla regione di Amhara; e Western Zone è inaccessibile per la maggior parte dei partner.”

Il Professor Nyssen conclude:

“Ciò conferma quello che sentiamo dai nostri contatti sul campo. Il blocco stradale de facto attorno al Tigray continua ad essere attuato, con solo due corridoi umanitari accessibili, oltre all’accesso aereo. Per quanto riguarda l’insicurezza alimentare, la maggior parte del Tigray continua a trovarsi sotto lo status IPC «4 – Emergency» (con alto tasso di mortalità per fame). Prima della guerra lo status era «1 – Minima insicurezza alimentare».”


Immagine di testa: © UNOCHA/Saviano Abreu – Una famiglia di Samre, nel Tigray sud occidentale, ha camminato per due giorni per raggiungere un campo per sfollati a Mekelle.



Mastodon.social: un errore di configurazione ha portato alla perdita di dati


Come parte dell'espansione dell'hardware e del software di Mastodon, un server di archiviazione è stato visibile a tutti gli utenti per diverse settimane.

@Che succede nel Fediverso?

La causa di una fuga di dati su Mastodon non è stata un'intrusione esterna, ma una configurazione insufficiente del server Mastodon per l'archiviazione dei dati dell'utente. Ciò ha reso teoricamente possibile per ogni utente del servizio visualizzare i dati caricati su files.mastodon.social. Mastodon ha scoperto il bug il 24 febbraio e lo ha risolto entro 30 minuti. Tuttavia, la falla esisteva dall'inizio di febbraio perché l'infrastruttura era stata aggiornata in quel momento, scrive il provider in una e-mail.

L'articolo di Heise continua qui

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in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

Considerato che anche certe aziende multimilionarie hanno avuto bug da bambini delle elementari, nessuno griderà allo scandalo

it.phhsnews.com/huge-macos-bug…



Etiopia, mancanza di aiuti adeguati agli sfollati interni (IDP) in Tigray


Sono passati ormai più di 3 mesi dalla firma dell’accordo di cessazione ostilità siglato a Pretoria il 3 novembre 2022 tra governo etiope e rappresentanti del TPLF – Tigray People’s Liberation Front. Guerra genocida iniziata il 3 novembre 2020, nel silenz

Sono passati ormai più di 3 mesi dalla firma dell’accordo di cessazione ostilità siglato a Pretoria il 3 novembre 2022 tra governo etiope e rappresentanti del TPLF – Tigray People’s Liberation Front. Guerra genocida iniziata il 3 novembre 2020, nel silenzio del mondo che ignorerà la tragedia.

L’accordo ha prodotto una tregua per quanto riguarda un cessate il fuoco militare da parte di tutte le forze coinvolte nella guerra genocida definita una tra le più atroci dell’ ultimo secolo.

Le stime prodotte dal Professor Jan Nyssen e dal suo team di ricerca dell’ Università di Gand, parlano di 600.000 vittime tra i civili, dirette per massacri, bombardamenti ed indirette per blocco all’accesso umanitario, mancanza di cibo, medicinali e supporto medico.

Lo “scoop” sul numero di vittime prodotte dalla guerra genocida in Tigray per alcuni media mainstream in Italia arriva solo nei primi mesi del 2023.

Il professor Nyssen però con il suo team avevano già prodotto delle stime nel marzo 2022, stime riportate su Focus On Africa.

Sono 13 milioni invece le persone stimate dall’ ONU dipendenti dal supporto umanitario nel nord Etiopia, Tigray, Afar e regione Amhara.

L’accesso umanitario è stato bloccato “de facto” per scelte politiche in Tigray.

Oggi a viverne le atroci conseguenze sono i superstiti, le persone.

L’accordo di Pretoria ha prodotto una tregua che fortunatamente ha sbloccato parte dell’accesso alla consegna di materiale, cibo e medicinali. Si sono riattivate in alcune zone le linee telefoniche e internet, ma ci sono ancora grossi problemi nelle comunicazioni di molte aree: più di 6 milioni di persone in Tigray hanno vissuto 2 anni di guerra isolati dal mondo senza telefoni, elettricità e servizi di base bloccati. I conti correnti bloccati sono stati riattivati, ma ci sono segnalazione di ancora grossi disagi per il ritiro di contanti.

Nonostante l’accordo indichi esplicitamente che le “forze esterne” devono ritirarsi, come le forze Amhara che sono presenti nel Tigray occidentale, le truppe eritree, nonostante un parziale ritiro, stanno ancora occupando altre aree regionali.

Si sono rese protagoniste anche dopo la stipula dell’accordo di aver perpetrato abusi, violenze e crimini sulle persone di etnia tigrina. Ad Irob, woreda [distretto] del Tigray orientale, recentemente sono state denunciate per aver bloccato l’accesso ad un comparto umanitario. Le persone in Irob infatti sono tutto’ oggi sotto assedio degli eritrei. Irob è una delle due minoranze etniche più piccole tra l’ottantina di gruppi presenti in Etiopia.

Pochi giorni prima dell’accordo di cessazione ostilità per il Tigray, i soldati della vicina Eritrea lo scorso autunno hanno massacrato più di 300 abitanti del villaggio nel corso di una settimana, secondo testimoni e parenti delle vittime, riporta l’1 marzo il Washington Post in un suo articolo di approfondimento.

Zalambessa, luogo di confine tra Etiopia ed Eritrea, se già nell’agosto 2013 riportava ancora segni della guerra del 1998/2000 ma vissuta e con residenti, oggi, dopo i 2 anni di guerra genocida risulta svuotata, distrutta e deserta. Una città fantasma.

La comunità Irob rischia di soccombere.

FOTO

A pagare le conseguenze delle guerre non sono i governanti, i politici, ma sempre e solo la povera gente, i civili, le persone.


In questo caso gli sfollati interni in Tigray hanno denunciato che, nonostante l’accordo di Pretoria, gli IDP nella regione, compresi coloro che si sono rifugiati nelle capitale Mekelle, non hanno ricevuto aiuti umanitari adeguati.

Il 2 febbraio UNOCHA ha affermato che:

“Più di 4,5 milioni di persone o l’83% del totale di 5,4 milioni di persone bisognose di aiuti nella regione sono state assistite con cibo al 18 gennaio in due turni di distribuzione”, afferma il rapporto, aggiungendo che “più di 162.000 di quelli assistiti erano sfollati.”

Tuttavia gli sfollati presenti a Mekelle, la capitale tigrina, affermano che da 3 mesi non hanno ricevuto alcun aiuto.

Addis Standard riporta la testimonianza ricevuta da Solomon Kiros, 47 anni, che insieme ai suoi otto membri della famiglia, è stato sfollato dalla zona est, Adigoshu e ora si è rifugiato a Mekelle, campo di fortuna di Seba Kare.

Solomon ha dichiarato che:

“Non abbiamo rifugi adeguati, né abbiamo gli utensili necessari; siamo davvero in una brutta situazione. La maggior parte degli sfollati non vuole dipendere dagli aiuti umanitari, piuttosto vuole aiutarsi economicamente e assicurarsi il proprio cibo se devono essere riportati nei propri villaggi. In linea con l’ accordo di pace, il governo deve riportarci nelle nostre case perché finiscano le sofferenze”.

Samuel Teklehaimanot è un altro IDP fuggito dalla guerra da Kafta Humera a Mekelle insieme ai suoi sette membri della famiglia il 10 novembre 2020. Quel territorio si trova nel Tigray occidentale, rivendicato dalle governo regionale Amhara come giuridicamente e storicamente sotto il loro controllo. Il Tigray occidentale è stato scenario di pulizia etnica da parte delle forze e milizie amhara nei confronti dei residenti tigrini. Oggi le tensioni e la rivendicazione di quel territorio è parte dell’accordo di tregua e non ancora risolto.

Samuel attualmente è ospitato nella scuola elementare di Adi-Hawsi.

Samuel ha dichiarato che lui e la sua famiglia insieme ad altri sfollati non hanno ricevuto gli aiuti in tempo.

“Questo è il terzo mese di attesa per gli aiuti umanitari”

Aggiungendo

“Anche se abbiamo segnalato i nostri reclami al Distretto e alle autorità del Tigray, fino ad ora non c’è nulla di nuovo, dicono sempre che ci daranno presto”

Solomon Tsegay (PhD), vicedirettore degli sfollati interni di Mekelle, ha confermato che gli IDP – Internally Displaced Person, non hanno ricevuto alcun aiuto negli ultimi tre mesi tranne che nel primo turno.

“Sulla base delle lezioni che avevamo tratto dal primo round, abbiamo compilato correttamente i dati degli sfollati interni e li abbiamo inviati al Programma alimentare mondiale (WFP), ma i funzionari del WFP stanno invece utilizzando i dati raccolti da loro stessi con il metodo di tracciamento dei dati (DTM ),”

Sottolineando:

“Ci sono 184.000 nuovi sfollati solo a Mekelle, ma le agenzie umanitarie ci hanno fornito aiuti solo per 139.850 persone. Ci sono 44.150 persone che sono fuori dalle quote che ci vengono fornite.”

Già a gennaio 2023 avevamo segnalato le gravi problematiche di sopravvivenza degli IDP in Tigray:

Etiopia, 54.000 sfollati ad Abiy Addi senza cibo, medicinali e altre zone del Tigray senza aiuti

Secondo i dati del centro per sfollati di Mekelle, attualmente ci sono 300.000 sfollati solo a Mekelle.


Credit foto: Bambini all’interno del campo per sfollati di Abiy Addi. Foto: Fornita ad Addis Standard da fonti sul campo


tommasin.org/blog/2023-03-01/e…



Etiopia, rimandata a tempo indeterminato visita in Tigray del Segretario delle Nazioni Unite Guterres


La visita in Tigray del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che avrebbe dovuto svolgersi lunedì prossimo, 20 febbraio 2023, è stata sospesa a tempo indeterminato per ragioni sconosciute: questo quanto dichiarato da Tigrai Television

La visita in Tigray del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che avrebbe dovuto svolgersi lunedì prossimo, 20 febbraio 2023, è stata sospesa a tempo indeterminato per ragioni sconosciute: questo quanto dichiarato da Tigrai Television che riporta la notizia di una sua fonte.

Antonio Guterres si era recato precedentemente in Etiopia per presenziare all’ IGF – Internet Governance Forum dove si era incontrato anche con il Premier Abiy Ahmed Ali. Il Segretario dell’ONU in quel contesto ha ribadito il suo pieno sostegno all’attuazione dell’accordo di cessazione delle ostilità (COHA) e alla dichiarazione sulle modalità per la sua attuazione, che è stata mediata dall’Unione Africana.

Il Segretario ONU, nella sua seconda visita in Etiopia dalla firma dell’accordo di pace avvenuta a Pretoria il 3 novembre, si trova ora nella capitale dell’Etiopia, Addis Abeba, per partecipare al vertice dell’Unione Africana.

Sarebbe poi dovuto volare in Tigrai, a Mekelle, per esaminare le distruzioni causate dalla guerra di due anni e la situazione umanitaria sul terreno. Come riporta Tigrai TV, si sarebbe dovuto spostare in seguito nelle regioni confinanti, Amhara e Afar, anch’esse territori con la sua gente che hanno subìto le atrocità del conflitto. La causa dell’annullamento non è nota.

La guerra è iniziata il 3 novembre 2020 in Tigray ed è stata combattuta nel totale isolamento territoriale regionale e in un blackout elettrico e delle comunicazioni (telefono, internet) tagliando via dal resto del mondo lo stato regionale etiope. Il blackout comunicativo è stato il più lungo della storia, la guerra genocida è stata dichiarata una delle più atroci del XIX secolo con una stima di più di 600.000 vittime. Tutte le forze sul campo, i membri del TPLF – Tigray People’s Liberation Front con il TDF – Tigray Defence Forces e l’esercito federale con gli alleati, forze speciali regionali amhara, milizia Fano e l’esercito invasore eritreo sono state denunciate responsabili di crimini. Il governo etiope è stato accusato di aver creato un blocco “de facto” all’accesso umanitario. Le truppe eritree non sono state mai ufficialmente “invitate” alla guerra dal governo etiope, ma si sono macchiate di crimini sistematici sui civili in Tigray, cosa che recentemente il leader eritreo Isaias Afwerki ha negato pubblicamente.


Foto: Il segretario generale António Guterres delle Nazioni Unite, a sinistra, stringe la mano al primo ministro etiope Abiy Ahmed ad Addis Abeba nel 2019. Credit: EPA, via Shutterstock


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Etiopia, l’accordo di tregua non ferma violenze e abusi dei soldati eritrei in Tigray


Etiopia, venerdì 10 febbraio il comitato congiunto di monitoraggio per l’attuazione dell’accordo sulla cessazione ostilità (COH) ha tenuto una riunione presso l’Unione Africana nella sede di Addis Abeba. Il comitato si è espresso positivo per i progressi

Etiopia, venerdì 10 febbraio il comitato congiunto di monitoraggio per l’attuazione dell’accordo sulla cessazione ostilità (COH) ha tenuto una riunione presso l’Unione Africana nella sede di Addis Abeba.

Il comitato si è espresso positivo per i progressi compiuti dalle parti, rappresentanti del governo etiope e dello stato regionale del Tigray per rispettare l’accordo di Pretoria.

Tuttavia ha espresso perplessità e fatto appello per la riapertura delle scuole i Tigray (tra emergenza COVID19 e guerra genocida i ragazzi ed i bambini sono 3 anni ormai che non hanno avuto la possibilità di frequentare le lezioni). Ha esortato anche per la riapertura delle strade per garantire un accesso senza ostacoli per il trasporto e la consegna di materiale umanitario e merci.

Sabato 11 febbraio l’UNOCHA ha riferito che 613.000 persone nel Tigray hanno ricevuto cibo durante l’ultimo ciclo di distribuzione, pari all’11% della popolazione presa come target. Per Afar e Amhara, è rispettivamente l’89% e il 61% della popolazione bisognosa di supporto.

Ethiopia Food Cluster ha sottolineato nel suo report che i residenti delle zone del Tigray orientale, dovrebbero sconfinare nelle aree limitrofe per poter accedere e recuperare il materiale umanitario:

“L’accesso umanitario nella regione, in particolare nelle aree di confine, nelle aree lontane dalle strade principali e nei luoghi che richiedono spostamenti transfrontalieri, continua a rappresentare una sfida per la risposta alimentare. A causa dei vincoli di accesso che hanno ostacolato la spedizione di cibo, alcune comunità (sia ospiti che sfollati) della città di Zala Anbesa, Aheferom, Emba Sieneti, Erob e Gulo Mekeda woreda hanno ricevuto le loro razioni alimentari nelle vicine woreda, tra cui Bizet, Adigrat e Hawzen.“

Il Comitato ha invitato l’Unione Africana ad “intensificare il proprio sostegno al disarmo [delle forze del Tigray n.d.r.], alla smobilitazione e al reinserimento” come da linee guida dell’accordo di tregua.

Lunedì 13 febbraio il Dott. Hagos Godefay ha dichiarato che il Comitato per l’istituzione del governo ad interim del Tigray presieduto dal generale Tadesse Woreda ha tenuto la mattina dello stesso giorno discussioni preliminari con i leader dei partiti politici del Tigray sulla formazione del governo ad interim del Tigray.

Giovedì 16 febbraio Tigrai TV segnala che:

“La morte di madri e bambini ad Axum è aumentata anche dopo l’accordo di pace, Saint Merry Hospital”

Lo stesso giorno arriva la notizia condivisa da Addis Standard che i funzionari della regione del Tigray hanno annunciato un piano per istituire un’amministrazione regionale ad interim (IRA) “inclusiva, democratica e trasparente” entro un breve periodo di tempo come pattuito nell’accordo di tregua firmato tra il governo federale e le autorità del Tigray a Pretoria il 3 novembre 2022.

Tedesse ha affermato:

“Sotto ogni aspetto, il processo per l’istituzione dell’IRA sarà democratico, inclusivo e trasparente. Membri dell’esercito, dei partiti politici e degli studiosi saranno coinvolti in questo processo.”

Prima dell’avvio del governo ad interim, gli studiosi del Tigray si confronteranno su come dovrebbe essere istituito nei prossimi giorni e prima che il comitato annunci l’istituzione dell’IRA in meno di una settimana.

Muluwork Kidanemariam, uno dei nove membri del comitato, che era a capo della commissione elettorale del Tigray durante le elezioni regionali del 2020, da parte sua ha ribadito quanto affermato dal tenente generale Tadesse. Ha aggiunto che lo scopo dell’istituzione dell’amministrazione ad interim era risolvere i gravi problemi che la regione sta attualmente affrontando.

Gatechew Reda, rappresentante del Tigray, l’aveva anticipato con le sue dichiarazioni, venerdì 3 febbraio durante le discussioni con il Primo Ministro Abiy Ahmed Ali:

“è in corso una transizione che mira a risolvere le questioni politiche relative all’accordo [di cessazione ostilità] e che tiene conto delle esigenze politiche del popolo del Tigray. Sarà condotta in modo che affronti e risolva in maniera particolare una volta per tutte le questioni che hanno portato alla guerra e in un modo che soddisfi le aspirazioni del popolo tigrino.”

Secondo l’accordo un altro punto fondamentale era l’accesso ed il supporto umanitario incondizionato e non vincolato o bloccato. Cosa che in alcune aree dello stato regionale tigrino non è stato rispettato causa l’occupazione ancora costante di “forze esterne”, le truppe dell’Eritrea, che se in parte si sono mobilitate per ritirarsi, molte altre unità si sono solo trasferite e decentralizzate in zone periferiche delle grandi città.

Le truppe eritree ancora protagoniste di violenze ed abusi


Nella metà di febbraio 2023, 3 mesi e mezzo dopo la firma dell’accordo di Pretoria, continuano ad arrivare segnalazioni di abusi, violenze e repressione da parte dei soldati eritrei sui civili etiopi di etnia tigrina.

Infatti la BBC porta alla luce la testimonianza di una donna che durante il giorno in cui i rappresentanti federali e regionali si stringevano le mani per l’accordo di cessazione ostilità, nel Tigray nord orientale Letay ha trascorso la notte nascosta sotto un ponte con colpi di mortaio che cadevano ed esplodevano tutt’intorno a lei. Era sola ed era appena sopravvissuta allo stupro di un soldato eritreo.

“Dopo che è successo, sono rimasta incosciente per molto tempo prima di riprendere i sensi. Ho dovuto nascondermi finché non se ne sono andati.”

Secondo i dati del Tigray Health Bureau ufficiale, a novembre e dicembre 2022, dopo la firma dell’accordo, sono stati segnalati 852 casi di stupro nei centri istituiti per aiutare i sopravvissuti.

Anche gli operatori per i diritti umani e le organizzazioni umanitarie che operano nel Tigray hanno continuato a documentare casi di violenza sessuale.

Adiama, che viene dalla città di Zalambesa nel Tigray nord-orientale, ha detto alla BBC di essere stata aggredita sessualmente da un soldato eritreo alla fine di gennaio.

“C’erano quattro di loro, ma solo uno mi ha violentato. Avevano persino intenzione di uccidermi, ma se ne sono andati dopo che sono stata violentato”.

Suor Mulu Mesfin, che ha lavorato con i sopravvissuti allo stupro dall’inizio del conflitto nel più grande ospedale del Tigray nella capitale regionale Mekelle, ha inviato un messaggio vocale alla BBC mentre attraversava un reparto:

“Ci sono molti sopravvissuti nel mio centro. Provengono da diverse parti del Tigray. La maggior parte di loro sono nuovi casi che sono stati stuprati negli ultimi 1 o 2 mesi”.

Si allinea con la testimonianza indiretta ricevuta dalla redazione di Focus On Africa pochi giorni fa, per cui una donna nei giorni di festeggiamento del Capodanno etiope, settembre 2022, recatasi col marito all’ospedale di Mekelle per essere assistita al parto, invece della solita degenza post parto in ospedale, i medici l’hanno rimandata subito a casa. La motivazione era far spazio, concedere nuovi posti letto alle decine di donne e ragazze abusate e stuprate in stato di gravidanza che si presentavano da molte aree della regione tigrina a Mekellé per essere aiutate.

Martedì 14 febbraio un servizio di Tigrai TV riporta testimonianze di civili tigrini di Gulo Mekeda (Gulomahda), Tigray orientale.

“Residenti di Fatsi indicano che le forze eritree continuano a commettere atrocità nel Tigrai orientale”

Mercoledì 15 febbraio la film maker Joanne M Hodgesuna condivide un tweet in cui indica che una donna sfollata con la forza da Samaz (un villaggio a ovest di Zalambessa) ha confermato che soldati eritrei hanno il controllo sui kebeles nel distretto di Gulomakeda e stanno sfollando i residenti, scavando trincee e armando ordigni esplosivi.

Testimoni della minoranza etnica di Irob


Tesfaye Awala, presidente della Irob Anina Civil Society (IACS), un’organizzazione basata sulla diaspora ha dichiarato a The New Humanitarian che:

“Gli eritrei occupano ancora metà di Irob.”

Tesfaye crede che l’Eritrea stia cercando di “cancellare” la comunità Irob e stabilire una zona cuscinetto militare nei loro altipiani strategici.


Approfondimento: Tigray, rischiano di sparire le minoranze etniche Irob e Kunama


Un sacerdote che ha aiutato le donne sopravvissute allo stupro ad accedere a cure mediche, ha testimoniato che le donne stanno ancora fuggendo da Irob. Le vittime hanno camminato per giorni per evitare i blocchi stradali eritrei diretti a Dawhan, la capitale di Irob.

Un rifugiato Kunama ha detto a The New Humanitarian che continuano ad arrivare segnalazioni di rapimenti da parte di soldati eritrei intorno a Sheraro. La città è vicina al campo di Shimelba, che ha ospitato i rifugiati di Kunama fino a quando non è stato bruciato nel dicembre 2020 mentre era sotto il controllo delle forze eritree.

Le dichiarazioni del leader eritreo


Il dittatore della Corea del Nord africana, Isaias Afewerki in una conferenza congiunta con il Presidente Ruto in Kenya, ha detto che i crimini perpetuati dal suo esercito che ha invaso il Tigray dall’inizio del 2020, sono tutte “fantasie” e “disinformazione” dei media e della comunità occidentale.


Approfondimento: Etiopia, il dittatore eritreo Isaias Afewerki nega i crimini e violazione dei diritti in Tigray


Isaias Afwerki accusa gli USA di supporto al TPLF


Domenica 12 febbraio, in un’ intervista esclusiva di 90 minuti alla Eri TV trasmessa in streaming, il dittatore Afewerki ha accusato gli Stati Uniti di sostenere i combattenti del Tigray dall’inizio della guerra. Secondo il leader eritreo l’accordo firmato tra il governo etiope e le autorità del Tigray a Pretoria, in Sudafrica, nel novembre 2022 è stato organizzato dagli Stati Uniti per salvare le forze del Tigray dalla sconfitta sul campo di battaglia.

Commentando ulteriormente:

“Loro [i leader del TPLF] hanno viaggiato da Mekelle a Gibuti a bordo di un aereo statunitense, e poi da Gibuti a Pretoria dove hanno ricevuto un documento da firmare. Tutto è stato fatto da Washington. Obasanjo, Uhuru, African Union erano tutti accompagnatori”, ha detto il presidente, aggiungendo che “il documento è stato preparato e consegnato loro da Washington”.

Sottolioneando:

“È positivo che abbiano firmato; lascia che sia implementato, non possiamo dire questo e quello se non vediamo le sue implementazioni”

Specificando anche:

“I leader del TPLF non conoscevano le loro capacità. Il gruppo di Washington che li istruisce e li stimola non è migliore. Il calcolo sbagliato di Washington è ciò che ha rafforzato la fiducia del TPLF [per iniziare la guerra]”

“Siamo entrati in guerra in risposta alla guerra sfrenata e all’aggressione del TPLF. I nostri paesi, le nostre terre, la nostra gente e la nostra regione avevano bisogno di pace”.

Tuttavia, ha ammesso per la prima volta che centinaia di migliaia di persone sono morte nel conflitto e che “il danno era invisibile in qualsiasi parte del mondo”, ma ha reso il TPLF responsabile di tutta la devastazione.

Delegazione USA presente ad Addis Abeba


Martedì 14 febbraio un comunicato del Dipartimento di Stato Americano ha annunciato che una delegazione di alto livello del governo degli Stati Uniti era in viaggio ad Addis Abeba presente dal 14 al 19 febbraio per incontri con funzionari governativi etiopi a margine del vertice dell’Unione Africana.

“La delegazione degli Stati Uniti rafforzerà l’impegno degli Stati Uniti per promuovere la sicurezza alimentare e metterà in evidenza il lavoro in corso attraverso l’iniziativa Feed the Future del governo degli Stati Uniti e gli sforzi per intensificare il lavoro sull’agricoltura resiliente ai cambiamenti climatici e sulla salute del suolo, compreso il lavoro imminente sulla “Visione per colture adattate e Suoli” (VACS).”

Tigray, 2 anni di guerra, tra le più sanguinose del XIX secolo


Il Professor Jan Nyssen ed il suo team dell’università in Belgio, hanno stimato che la guerra genocida iniziata in Tigray il 3 novembre 2020 avrebbe prodotto più di 600.000 vittime: conflitto tra i più sanguinosi del XIX secolo.

Ha anche affermato che:

“Si è voluto convertire il Tigray in un nuovo Biafra. Privare la popolazione civile del cibo è un crimine di guerra, ma sembra che nessuno ne risponderà.”

L’accordo di tregua porterà alla giustizia?


Il fragilissimo accordo di cessazione ostilità ad oggi sembra fare difficoltà sul piano della giustizia: dare piena responsabilità a crimini e criminali. Guerra diplomatica ancora attiva tra il governo etiope e la denuncia di “non ingerenza” da parte di USA ed Europa nelle “questioni interne” da gestire come Stato Sovrano.

Le organizzazioni per i diritti umani hanno da tempo documentato le atrocità commesse contro i civili etiopi di etnia tigrina.


Approfondimento: Etiopia, report ONU sui crimini di guerra e violazione dei diritti umani in Tigray


Mercoledì 15 febbraio Demeke Mekonnen Hassen, ministro degli Esteri etiope, ha avvertito che le indagini sostenute dalle Nazioni Unite per far luce sulle violazioni dei diritti umani nel Tigray potrebbero “minare” i progressi sull’accordo di pace firmato lo scorso anno.

“ICHREE potrebbe minare il processo di pace guidato dall’UA e l’attuazione dell’accordo di pace di Pretoria con una retorica incendiaria. Potrebbe anche minare gli sforzi delle istituzioni nazionali.”

Contesto


La guerra iniziata nello stato regionale del Tigray e sconfinata nel giugno 2021 anche in Amhara ed Afar, ha prodotto centinaia di migliaia di morti, report di agenzie ONU avevano stimato 13 milioni di persone dipendenti dal supporto umanitario. La guerra si è combattuta nel totale isolamento blackout elettrico e delle comunicazioni (telefoni ed internet) dal resto del mondo, con il blocco dei servizi di base (conti correnti bloccati) e con l’ostracizzazione dalla regione dei media da parte del governo federale. Ad oggi, anche se sono ripartiti i voli per il Tigray, i media non possono accedere per provare a documentare cosa è accaduto sul campo, provando a sfruttare un territorio e prove ormai contaminati da 2 anni di conflitto dai risvolti genocidi.

La redazione di Focus On Africa nell’ ottobre del 2022 si è fatta portavoce dell’appello per parte della società civile e della diaspora in Italia, quest’ultima inascoltata dalle istituzioni, per chiedere trasparenza, verità e giustizia. Dopo 5 mesi ancora in attesa di risposta da parte degli organi competenti.


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Etiopia, il dittatore eritreo Isaias Afewerki nega i crimini e violazione dei diritti in Tigray


Isaias Afwerki, il dittatore eritreo della Corea del Nord africana, in conferenza stampa congiunta col Presidente Ruto a Nairobi, Kenya, ha eluso le domande dei giornalisti sul fatto che il suo esercito rimanga ad occupare aree della vicina regione etiope

Isaias Afwerki, il dittatore eritreo della Corea del Nord africana, in conferenza stampa congiunta col Presidente Ruto a Nairobi, Kenya, ha eluso le domande dei giornalisti sul fatto che il suo esercito rimanga ad occupare aree della vicina regione etiope del Tigray, tre mesi dopo la firma di un accordo di tregua che ne prevedeva il ritiro.

Alla domanda di un giornalista queste le parole di Isaias Afwerki:

“Parli di ritiro o non ritiro, abbiamo detto che non ha senso.”

Aggiungendo:

“Non provocarci per arrivare a un malinteso. Perché ci preoccupiamo per le truppe eritree che ci sono o non ci sono, uscite o non uscite?”

Sulla questione di crimini e violazione dei diritti sulla popolazione civile in Tigray, Isaias ha platealmente negato il coinvolgimento delle sue truppe:

“Tutti parlano di violazioni dei diritti umani qua e là – stupro, saccheggio – questa è una fantasia”

Ha anche dichiarato ai giornalisti che tutte le affermazioni sulle sue truppe erano “bugie inventate”.

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Contesto


La guerra genocida è scoppiata nello stato regionale del Tigray, Etiopia, il 3 novembre 2020 e perdurata 2 anni, per arrivare alla firma dell’ accordo di “cessazione ostilità” a Pretoria il 3 novembre 2022. Guerra condotta per l’ “unità e la sicurezza nazionale” dell’Etiopia dal governo di Abiy Ahmed, dal suo esercito e dagli alleati, forze regionali Ahmara, milizie Fano e l’esercito invasore eritreo. Guerra finalizzata a bloccare con una veloce “azione di polizia” tutti i membri del partito TPLF – Tigray People’s Liberation Front ritenuti dissidenti. Recenti stime hanno dichiarato più di 600.000 morti. Una guerra in cui si sono perpetrati crimini di guerra a contro l’umanità.

Il report della commissione investigativa ONU ha denunciato tutte le forze di aver commesso crimini sui civili.

Il governo etiope in particolare è stato accusato di aver bloccato l’accesso umanitario in Tigray.

Le truppe eritree si sono sentite in dovere di invadere un Paese come l’Etiopia per loro stessa difesa.

Pensiamo cosa accadrebbe però se l’Ucraina invadesse la Russia per difendersi?

Le truppe eritree sono state coinvolte tacitamente dal governo etiope, o per meglio dire, non è mai stato ufficializzato formalmente un’alleanza nella guerra genocida tra Eritrea ed Etiopia, ma ci sono state solo ambigue dichiarazioni.

Una cosa certa è che fin dall’inizio il governo del Nobel per la pace Abiy Ahmed Ali, ha sempre e ripetutamente negato la presenza degli eritrei nel Tigray. Solo dopo mesi di pressioni internazionali, in sede parlamentare ad inizio 2021 ha dovuto confessare.

Quando le notizie sulla loro presenza e sui crimini che hanno commesso in Tigray sono diventate innegabili, il governo etiope ha cercato di giustificare l’ invasione. Abiy Ahmed Ali una volta ha detto che l’Eritrea è entrata nel Tigray perché l’Etiopia non era in grado di difendere i propri confini a causa del presunto attacco del TPLF all’esercito etiope. In altri casi, il governo etiope ha espresso apertamente la sua gratitudine alle forze eritree per aver aiutato l’Etiopia a “mantenere la sua unità e integrità territoriale”.

L’esercito eritreo infatti si è macchiato di crimini denunciati dalle principali agenzie umanitarie internazionali e di aver perpetrato sistematicamente violazioni ed abusi sui civili etiopi in Tigray: stupri, massacri, saccheggio e distruzione di ospedali.

Un caso eclatante è il massacro di Axum confutato e confermato dal report congiunto di Amnesty Int. e HRW – Human Rights Watch che hanno rivelato che le truppe eritree sono andate porta a porta in una follia omicida che è durata due giorni. Uccisi centinaia di giovani, spesso uomini, residenti della città. Confermato in parte anche dalla Commissione Diritti Umani Etiope.

Sono stati utilizzati gli stupri come arma di guerra su base etnica.

Questi sono alcuni dei tanti casi confermati.


Approfondimento: Tigray, abusi e schiavitù sessuale utilizzati come armi di guerra


Anche dopo la firma dell’accordo ci sono state segnalazioni di abusi e crimini commessi dai soldati eritrei in varie aree del Tigray.

Un report del Centro di coordinamento delle emergenze nel Tigray, un comitato delle autorità regionali del Tigray, le Nazioni Unite e le ONG hanno riferito che le organizzazioni della società civile del Tigray avevano documentato che le truppe eritree e la milizia armata Amhara che occupavano congiuntamente gran parte del Tigray hanno ucciso 3708 civili.

Oggi ci sono aree ancora bloccate ed inaccessibili all’accesso umanitario, nonostante l’accordo di tregua in essere da 3 mesi.

La segnalazione di Irob Anina Civil Society (IACS) ha recentemente denunciato le attività di occupazione ed ostruzionismo da parte degli eritrei nella woreda Erob, nel distretto di Irob posizionato in zona di confine nell’estremo settentrione orientale del Tigray.

Mercoledì 1 febbraio un team dell’UNOCHA si è recato a Dowhan, Irob, per una missione conoscitiva sull’ostruzione degli aiuti umanitari. Tuttavia sono stati arrestati dalle forze eritree mentre si recavano lì.

Tigray Update per mezzo social denuncia:

“Dicono di essere stati detenuti per lunghe ore prima di essere liberati per tornare. La presenza delle forze eritree è indiscutibile ma continua anche a ostacolare gli aiuti umanitari ad alcune aree del Tigray, in particolare ai distretti confinanti con Eritrea come Irob.”

E’ palese che chi nega tali fatti sta mentendo.


Durante la conferenza congiunta a Nairobi, il dittatore eritreo ha anche rifiutato di rispondere a domande sul numero di soldati eritrei uccisi durante la guerra genocida e se avesse piani in atto per la sua successione.

Implicazioni del negazionismo nel processo di pace


Uno spunto di riflessione riguardo alle implicazioni da non sottovalutare di Isaias Afewerki nel processo di pace viene data dal ricercatore Teklehaymanot G. Weldemichel, che sottolinea:

“La dichiarazione di Isayas oggi non dovrebbe essere presa alla leggera. Da un lato, implicito nell’evasione e nell’elusione c’erano desideri più profondi da parte sua di chiudere semplicemente il capitolo della guerra del Tigray e di andare avanti come se niente fosse successo. Con ciò vuole che le questioni di giustizia per le vittime e i sopravvissuti della campagna di genocidio vengano abbandonate per dare una possibilità alla pace. Isayas ha insinuato che chiedere la responsabilità per le violazioni dei diritti umani, che ha definito “bugie inventate”, è cercare di “far deragliare” il processo di pace.”

Altro punto cruciale da tenere presente è che nei tavoli di negoziato per pianificare la “cessazione delle ostilità” nel nord Etiopia, non è stata inclusa l’Eritrea.

Da considerare anche che nessuna dichiarazione chiara è ancora stata data sul ritiro dell’esercito eritreo dal Tigray dopo la firma dell’accordo di pace. Confutazioni e garanzie dovrebbero essere fornite dal team di monitoraggio dell’Unione Africana, mediatrice dei negoziati di cessazione ostilità tra governo etiope e portavoci del Tigray.

Il percorso per la pace, la giustizia e la ricostruzione, come sempre e come conseguenza di tutte le guerre, sarà molto lungo. Oggi la speranza è che forze straniere, per la soppravvivenza di milioni di persone, non cerchino di ostacolare tali obiettivi.


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Etiopia, 182 milioni di euro siglati tra la Presidente Giorgia Meloni e il Primo Ministro etiope in visita in Italia


Nell’ambito dell’Ethiopian Italian Cooperation Framework 2023-2025, annunciato durante la visita del Premier Abiy Ahmed a Roma lo scorso 6 febbraio, Italia ed Etiopia hanno firmato accordi per 140 milioni di euro [100 Milioni di credito, 40 milioni sotto

Nell’ambito dell’Ethiopian Italian Cooperation Framework 2023-2025, annunciato durante la visita del Premier Abiy Ahmed a Roma lo scorso 6 febbraio, Italia ed Etiopia hanno firmato accordi per 140 milioni di euro [100 Milioni di credito, 40 milioni sotto forma di dono e 42 milioni nel settore del caffé]

L’accordo è stato firmato dalla Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni e dal Primo Ministro Abiy Ahmed ali.

“L’accordo quadro di cooperazione ha due pilastri principali di azione: lo sviluppo economico e la creazione di posti di lavoro e l’accesso ai servizi di base. Particolare importanza è data alla formazione professionale che favorirà la creazione di posti di lavoro, ai servizi di base in particolare la sanità, l’istruzione e l’acqua e l’ambiente”

Due clausole aggiuntive per nuovi programmi.

“Minimizzazione del rischio di investimento nel settore del caffè etiope e supporto istituzionale all’Etiope Coffee Authority (ECTA)” del valore di 10,5 milioni di euro, e un’altra iniziativa, “WaSH, resilienza, energia nelle pianure etiopi” del valore di 31,5 milioni di euro sono state firmate durante il visita, del Vice Primo Ministro italiano, Antonio Tajani, e del Ministro delle finanze etiope, Ahmed Shide.

Questo porta l’importo complessivo degli accordi firmati a Roma a 182 milioni di euro, portando le iniziative di sviluppo finanziate dall’Italia in Etiopia nelle ultime settimane a 200 milioni di euro.

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Accordi anche sulla sicurezza, riattivando il precedente accordo congelato dall’ex ministro della Difesa Guerini.


Come sottolinea Paolo Lambruschi, giornalista di Avvenire, non bisogna dimenticare che è stato rimesso in opera l’accordo sulle armi:

“L’Italia ha riattivato l’accordo di cooperazione nel settore degli armamenti con l’Etiopia che con la guerra civile era stato sospeso.”

Settore della difesa, l’economia sulle armi, che non riscontra mai limiti di crescita, nonostante, o per meglio dire, grazie ai due anni di guerra genocida in Tigray. Guerra che ha prodotto più di 600.000 morti ed oggi, insieme al resto del nord Etiopia, nelle regioni Afar ed Amhara, milioni di persone ne stanno pagando le conseguenze.

Si ricorda che c’è voluta l’interrogazione parlamentare per voce della deputata Piera Aiello, appena dopo un anno di guerra genocida in pieno svolgimento, su pressione dei Giovani Tigrini Italiani, per chiedere trasparenza all’ex ministro della difesa Guerini sullo stato dell’accordo bilaterale per la difesa siglato da Elisabetta Trenta ed avviato pochi mesi prima dello scoppio della guerra in Tigray il 3 novembre 2020.

Come ricordava Antonio Mazzeo su Africa Express il 7 novembre 2020:

“Nonostante l’incalzante emergenza per la diffusione del Covid-19, la Camera dei deputati varava il testo il 5 febbraio 2020 (relatrice l’on. Mirella Emiliozzi di M5S, facente funzioni in una delle sedute l’on. Piero Fassino del Pd ), mentre il Senato della Repubblica lo approvava in via definitiva lo scorso 8 luglio (relatore il sen. Alessandro Alfieri del Pd). La legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 agosto 2020 ed è in vigore dal giorno successivo.”

Già all’inizio del 2020 c’erano segnali e tensioni molto forti che preannunciavano potenziali instabilità e la guerra come un’ipotesi di risoluzione di tale contesto in Etiopia.

L’interrogazione parlamentare ricevette risposta sintetica di e sbrigativa del Min. Guerini il 28 gennaio 2022: “Alla luce del degenerare della situazione nel Tigray rappresento che il Dicastero ha cessato ogni tipo di attività prevista dall’Accordo di cooperazione.”

Per mezzo dell’ articolo di Elisabetta Burba per Panorama riporta anche le dichiarazioni di Elisabetta Trenta, ministro predecessore di Guerini, che aveva espresso legittime perplessità.

“Una sospensione di fatto non è una sospensione ufficiale” aveva osservato l’ex ministro, che nel 2019 aveva sottoscritto l’accordo militare in questione. “Si sarebbe potuto ufficializzare la sospensione, dandole rilievo anche comunicativo, per fare in modo che la posizione del Paese fosse chiara.”

Approccio agli antipodi di quello perseguito ed esplicito della Francia quando il 13 agosto 2021 aveva sospeso il suo accordo militare con l’Etiopia e ne aveva dato comunicato di pubblico dominio e non fatto passare in sordina come dal governo italiano.

Elisabetta Trenta infatti ha aggiunto:

“Sul conflitto in Etiopia l’atteggiamento dell’Italia è sempre stato tiepido. A mio avviso sull’accordo militare occorreva un atto formale, un’interruzione formale ufficiale, in modo da fare una pressione più forte sul primo ministro Abiy Ahmed. Tra l’altro, mi piacerebbe anche sapere le modalità con cui l’accordo è stato sospeso. È stato comunicato all’Etiopia? O è stato semplicemente bloccato in attesa di sviluppi? Diciamo che da parte dell’Italia sono mancate azioni forti.”


Approfondimenti:


Lunedì 6 febbraio 2023 invece Lia Quartapelle, deputata PD, in un post social si dichiara vicinanza al Tigray e fa appello perché:

“L’Italia non deve riprendere la cooperazione militare con l’Etiopia”

Un appello poco credibile, almeno per il su citato contesto e per chi ha seguito assiduamente la tematica del conflitto in Etiopia negli ultimi 2 anni e soprattutto per la diaspora in Italia che aspetta ancora risposte ai molteplici appelli dal governo di oggi della destra di Giorgia Meloni e soprattutto da quello precedente.

Aggiornamento: per dovere di cronaca si segnala il chiarimento di smentita della deputata PD che chiarisce indicando gli atti di preoccupazione e interrogazione avanzati sotto il Gov. Draghi:


Approfondimenti:


Sono stati due anni in cui la diaspora ha atteso risposte, non ha avuto possibilità di confronto con le istituzioni.


Alcuni appelli e manifestazioni della diaspora segnalati dalla redazione di Focus On Africa:


Diaspora che ha vissuto in agonia, e per certi versi ancora oggi, e letteralmente in mancanza di comunicazioni con conoscenti e famigliari in Tigray sotto le bombe, repressione, violenze, abusi ed isolati totalmente dal resto del mondo, senza elettricità, linea telefonica e internet per 2 anni: il blackout più lungo della storia.


Approfondimento:


Il governo italiano è stato ligio alle formalità comunitarie europee e soprattutto al capofila USA di Joe Biden. Nel contempo non c’è mai stata una vera presa di posizione né da parte politica né mediatica italiana per mantenere alta l’attenzione riguardo al genocidio avvenuto in Tigray.

Oggi parte della società civile e della diaspora chiede giustizia e soprattutto trasparenza.

La redazione di Focus On Africa si è fatta portavoce nel settembre 2022 di questo particolare appello e sta ancora aspettando risposta dagli organi competenti di governo.

Il Tigray, nonostante l’accordo di “cessazione ostilità” (un cessate il fuoco, una tregua siglata dal governo centrale di Abiy e dai rappresentanti del Tigray, portavoce del TPLF – Tigray People’s Liberation Front) diverse aree dello stato regionale tigrino non sono ancora accessibili al supporto ed agli umanitari perché ancora occupate da “forze straniere”, militari eritrei nella zona, nel distretto di Erob ( Irob woreda) e nella zona occidentale tigrina, occupata e rivendicata dagli Amhara come storicamente di loro giurisdizione.

Il ritiro delle “forze straniere” dalla regione e la rivendicazione territoriale sono due punti basilari dell’accordo di Pretoria che ancora oggi, insieme all’accesso umanitario sono ago della bilancia per raggiungere o meno la stabilità del nord Etiopia, per perseguire la pace.

Un altro punto fondamentale, oltre al disarmo del TDF – Tigray Defence Forces che in buona parte è avvenuto, è anche il ripristino dei servizi di base: linea telefonica ed internet funzionante ma a basso livello, rete non ancora stabile. In molte zone rurali, la maggior parte della regione, sono ancora isolati. I conti correnti bancari, per 2 anni bloccati in toto, stanno riattivandosi

Abie Sano, presidente della Commercial Bank of Ethiopia ha annunciato:

“Grazie mille a tutti coloro che ci hanno aiutato, siamo tornati alla piena attività a MEKELE e nelle città circostanti poiché 31 filiali di CBE hanno già iniziato a operare questa mattina e altre 16 si uniranno nel pomeriggio!”

La conferma è arrivata da alcune fonti, contatti diretti in loco. Purtroppo Mekellé, per quanto importante e fulcro storico, culturale e capitale regionale, non è tutto il Tigray. Tigray che attende da molto, ha urgentemente bisogno di tutto, materiale igienico/sanitario, medicinali, cibo e acqua, oltre appunto a una stabilità sociale subordinata al rispetto dei punti dell’accordo di tregua per il bene comune, la ripresa e la ricostruzione, per la pace.

Anche le regioni Amhara e Afar prese di mezzo dal conflitto hanno milioni di sfollati interni in attesa di aiuto e supporto. Il Sudan è da due anni che accoglie circa 70.000 rifugiati tigrini scappati dalla guerra genocida e che sono impossibilitati a torrnare a casa perché ormai non esiste più o perché molti di loro sfiduciati e soprattutto impauriti dall’occupazione militare di eritrei e amhara. Le stime ONU parlavano di 13 milioni di persone nel nord etiopia in attesa e dipendenti dagli aiuti umanitari.

Punti quelli dell’accordo da perseguire e tanto sognati da milioni di etiopi che hanno sofferto per più di 2 anni subendo violenze, abusi e repressione (90% degli ospedali distrutti, e da considerare bambini e ragazzi che per 3 anni nonhanno ricevuto istruzione e non sono andati a scuola per emergenza COVID e perché distrutte dalla guerra) ma nel contempo punti anche tanto fragili e delicati che se non corrisposti con i fatti sul campo potrebbero disgregare e rompere anche quel minimo di fiducia diplomatica raggiunta negli ultimi 3 mesi.

Contesto diplomatico etiope in Europa


Il primo ministro Abiy e la sua delegazione, dopo la visita in Italia, hanno intrapreso un volo in Francia incontrandosi con il Presidente Macron.

Francia che solo dopo 27 anni, durante l’atroce commemorazione del genocidio in Rwanda, nel 21 marzo 2021 ha dichiarato per mezzo del report “La France, le Rwanda et le génocide des Tutsi (1990-1994) – Rapport remis au Président de la République” e attraverso le parole del Premier Macron, di aver avuto la responsabilità nel non aver voluto vedere i preparativi e di non aver compreso il pericolo della politica che ha consentito il genocidio di milioni di persone.

L’atteggiamento di silenzio è stato complice della carneficina e sembra in qualche maniera essere anche la politica estera italiana nei confronti di 2 anni di guerra genocida in Tigray e sconfinata in altre aree del nord Etiopia. Guerra che ha prodotto più di 600.000 vittime, persone uccise da bombe, arresti di massa su decine di migliaia di tigrini, stupri, pulizia etnica e scelte politiche che hanno prodotto blocco “de facto” del supporto umanitario.


tommasin.org/blog/2023-02-08/e…



PRIVACY DAILY 71/2023


Amazon è stata citata in giudizio per non aver avvisato i suoi clienti di New York City che erano monitorati dalla tecnologia di riconoscimento facciale. La class action ha preso di mira i minimarket Amazon Go, contestando che la tecnologia fosse stata impiegata senza previo avvertimento. Grazie a una legge del 2021, New York è... Continue reading →


Taiwan Files – Una seconda visita di Tsai negli Usa?


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Il doppio scalo di Tsai Ing-wen negli Usa e le voci su una possibile seconda visita. Le possibili reazioni di Xi. La postura di Pechino tra "due sessioni", nomine e aperture. Qualche ombra sull'esercito taiwanese. Semiconduttori e chip war. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

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Xi Jinping a Mosca: mediatore o amico senza limiti? Forse padrone


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Il leader cinese a Mosca da lunedì 20 a mercoledì 22 marzo. Dietro la manovra diplomatica ci sono anche interessi strategici. Ma il mandato d'arresto per Putin offusca i piani di Pechino, almeno in occidente

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L’immagine del disastro del lavoro | Contropiano

"Giorgia Meloni fa il suo mestiere, Landini ed i suoi da anni non fanno il loro. Fanno i furbetti, spiegano che la visita di Meloni è un riconoscimento della loro forza, aiutati in questo dalla stampa di regime che ne amplifica gli inesistenti ruggiti, ma la sostanza di tutto è solo subalternità."

contropiano.org/altro/2023/03/…