PRIVACYDAILY
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Un angolo di Palestina nel cuore di Garbatella
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di M.M.
Giovedì 21 e venerdì 22 alla Villetta Social Lab di Roma, nel cuore del quartiere Garbatella, l’appuntamento con Beit Al Falastini, in arabo la casa palestinese. L’evento è organizzato da Assopace Palestina, Amnesty International Italia e il Movimento degli Studenti Palestinesi, fondato nel giugno del 2023, in precedenza conosciuti come Giovani Palestinesi di Roma. Le due giorni sono dedicati alla scoperta della cultura palestinese attraverso l’arte come mezzo di resistenza culturale.
Nella prima giornata, il 21 settembre, ci saranno – tra i vari ospiti – lo scrittore e giornalista palestinese Ramzy Baroud, direttore del Palestinian Chronicle, che presenterà il suo libro L’ultima terra. A seguire, si confronteranno in un dibattito aperto Triestino Marinello, Professore ordinario presso l’Università John Moores di Liverpool, Tina Marinari, coordinatrice Amnesty International Italia e Luisa Morgantini, presidente di Assopace Palestina e già vice Presidente del Parlamento Europeo. Sarà anche un’occasione per accendere un riflettore sullo studente italo palestinese Khaled El Quasi, che si trova in stato di arresto presso le carceri israeliane dallo scorso 31 agosto. La detenzione amministrativa israeliana è da tempo sotto i riflettori della comunità internazionale. Amnesty International, nel suo ultimo rapporto parla di 5mila prigionieri politici detenuti in Israele, tra i quali almeno 1260 sono in carcere senza accusa né processo. In conclusione, la proiezione di due documentari: Mate Superb di Hamdi Alhroud e Ave Maria di Basil Khalil.
ZeroCalcare
La seconda giornata, venerdì 22 settembre, ospiterà Federica Stagni, ricercatrice della Normale Superiore, e Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che discuteranno sul libro Dieci miti su Israele di Ilan Pappé. L’artista Michele Rech, conosciuto come ZeroCalcare e Diletta Ballotti, attivista digitale, parleranno del rapporto tra arte e resistenza insieme ad una rappresentante dei ragazzi di Gaza FreeStyle. Saranno accompagnati dalla danza tradizionale palestinese e dalle note elettriche della dj Mary Gehnyei. L’evento Beit Al Falastini vuole mostrare una Palestina attraverso gli occhi di noi palestinesi nati in diaspora. La Palestina non è solo un muro lungo oltre 730 km, ma anche fervore e resistenza culturale. Sotto il peso dell’occupazione militare, la resistenza culturale diventa un’arma potentissima”, dichiara la Presidente degli Studenti Palestinesi, Maya Issa.
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L'articolo Un angolo di Palestina nel cuore di Garbatella proviene da Pagine Esteri.
Maronno Winchester reshared this.
“Cybersecurity e Digitalizzazione: evoluzioni normative e fattori abilitanti per competere in Europa”
Ne ho parlato oggi intervenendo al convegno “Cybersecurity e Digitalizzazione: evoluzioni normative e fattori abilitanti per competere in Europa”
Ministero dell'Istruzione
Domani, giovedì 21 settembre, a Roma, dalle ore 10.00, presso la Sala “Aldo Moro” del MIM, si svolgerà l’evento #BackToSchool 2023.Telegram
Le risorse e l’immagine del governo passano per il taglio della spesa pubblica
L’economia ristagna, lo spread cresce e, tra assalti alle banche, minacce alle compagnie aeree e corteggiamenti delle destre nazionaliste di Marine Le Pen e di Alice Weider, l’Italia sta assistendo passivamente all’erosione di quella credibilità internazionale che partner europei e mercati internazionali ci avevano inaspettatamente riservato. C’è solo una mossa che consentirebbe al governo guidato da Giorgia Meloni di mettere un po’ di fieno nella cascina dei conti pubblici e di guadagnarsi il rispetto del mondo: avviare un serio ed inflessibile piano di tagli alla spesa pubblica.
Portiamo in spalla un fardello ormai prossimo ai 2900 miliardi e non c’è osservatore nazionale o internazionale che non sostenga che l’unica cosa seria da fare sarebbe alleggerirlo. Nessun governo ha mai osato tanto. Se ad osare, col beneplacito dei leader della maggioranza, fosse il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti il governo Meloni si guadagnerebbe il rispetto del mondo, Istituzioni europee comprese, e la fiducia degli investitori internazionali.
Non solo. Come scrive oggi l’Istituto Bruno Leoni, tagliare la spesa pubblica sarebbe anche l’unico modo per reperire le risorse necessarie a quel taglio radicale delle tasse che il centrodestra promise in campagna elettorale e che con tutta evidenza risulta oggi impossibile. “Le forze dell’attuale maggioranza – scrive l’Istituto intitolato allo studioso liberale – hanno puntato molto su una riforma fiscale dirompente. Non si può fare? Si potrebbe, ma al prezzo di tagli significativi e ponderati alla spesa pubblica”. La Fondazione Luigi Einaudi si associa a tale auspicio.
L'articolo Le risorse e l’immagine del governo passano per il taglio della spesa pubblica proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
“AAA, umanità cercasi. Un pugno di like vale di più della vita di un uomo.”
Ne scrivo oggi su Huffington Post nella rubrica Governare il Futuro Qui il link all’articolo huffingtonpost.it/rubriche/gov…
Weekly Chronicles #46
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Privacy vs sicurezza pubblica, l’eterno dilemma?
Come bilanciare le necessità di sicurezza pubblica con la nostra privacy? È giusto riempire le nostre città di telecamere? Quando è troppo o quando è poco? Sono alcune delle domande che mi sono state fatte da un giornalista del Sole24Ore parlando proprio del tema della criminalità e della videosorveglianza.
In verità ritengo che non ci sia nulla da bilanciare. Se pensiamo alla sicurezza pubblica come alla protezione dell’incolumità fisica delle persone, allora siamo messi male.
La videosorveglianza non ha alcun impatto reale sulla criminalità violenta. Un criminale violento, per definizione, non teme la legge e non teme punizioni, o non sarebbe tale. Sono molto recenti gli episodi di stupri e accoltellamenti in pieno giorno e in zone trafficatissime e sorvegliatissime come la Stazione Centrale di Milano.
Anche il web è pieno zeppo di video di criminali che noncuranti di telecamere e smartphone commettono reati violenti come rapine senza batter ciglio (un esempio). Altri, i più folli, si filmano addirittura da soli mentre ammazzano passanti innocenti per sport (un esempio).
Togliamoci dalla testa la funzione preventiva della videosorveglianza; esiste solo sui libri. Non funziona, se non limitatamente in casi molto specifici. Questo studio evidenzia infatti come i crimini non violenti e pianificati, come i piccoli furti commessi dai borseggiatori, sono parzialmente influenzati dalla presenza di telecamere (-20% di borseggi nel campione osservato). Tuttavia, lo stesso studio afferma senza ombra di dubbio che i crimini legati a droga o commessi da persone violente (quindi non pianificati, come uno stupro) non sono affatto influenzati dalla presenza di telecamere.
Riempire le nostre città di telecamere non ha senso.
Ciò detto, dobbiamo riconoscere che l’utilità delle telecamere riguarda esclusivamente l’amministrazione della giustizia. Il video è una prova che può essere usata in giudizio per ottenere un ristoro (in un mondo ideale) o perseguire il criminale.
Il bilanciamento allora, è presto fatto.
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Lo Stato dovrebbe rinunciare a ogni pretesa di sorveglianza nelle strade pubbliche e incentivare invece la diffusione privata di telecamere possedute dai cittadini. La diffusione capillare di telecamere sarebbe bilanciata dalla decentralizzazione del possesso e quindi del potere di controllo che ne deriva.
Le forze dell’ordine ne potrebbero comunque usufruire. Non è fuori dal mondo: la polizia già usa strumenti privati per coadiuvare le indagini. Ad esempio, l’accesso ai tabulati telefonici dei servizi di telecomunicazione o ai sistemi di tracciamento GPS di Google. Lo stesso può farsi per le videoregistrazioni.
Per un approfondimento sul tema vi rimando a questo articolo che scrissi nel 2021, ma ancora attualissimo:
Di tutto questo ne parleremo anche la prossima settimana durante la Privacy Week, il festival della privacy e delle nuove tecnologie. Vi consiglio tantissimo di registrarvi sul sito e seguire lo streaming!
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Anche l’Online Safety Bill è quasi legge
La legge inglese contro la pedopornografia e contro “contenuti illegali” potenzialmente pericolosi è stata approvata dal parlamento e presto sarà legge. L’Online Safety Bill è una legge che in qualche modo riunisce le finalità dei Regolamenti europei Digital Services Act (in vigore) e Chatcontrol (in discussione).
Ha lo scopo di “migliorare la sicurezza di Internet”, di mitigare il rischio derivante dalla diffusione di contenuti illegali e di proteggere i minori online — qualsiasi cosa voglia dire.
Tra le varie cose, obbligherà le aziende che offrono servizi di comunicazione a introdurre algoritmi e misure tecniche per sorvegliare proattivamente comunicazioni, video e immagini inviate attraverso i loro servizi. Le conseguenze potrebbero essere devastanti per tutte le aziende che offrono servizi di comunicazione cifrate end-to-end, trovandosi a dover decidere se rispettare la legge o tutelare i loro utenti.
Non è un caso che Signal, famosa organizzazione no profit che sviluppa l’omonimo sistema di comunicazione privacy-friendly, abbia già affermato tempo fa che avrebbe cessato l’erogazione dei servizi nel Regno Unito se la legge fosse passata.
Vedremo che succederà ora che la legge, in effetti, è quasi passata.
Offuscare la tua casa su Google Maps
Mi sono da poco trasferito e ho notato che, nonostante io viva in una piccola stradina laterale di un piccolo paese di periferia, la macchina spiona di Google Maps non mi ha risparmiato. Devo ammettere che non sono abituato ad avere casa mia esposta così a tutto il mondo, e la cosa mi ha turbato abbastanza.
Allora, non mi restava che chiedere a Google di offuscare tutto. Il processo è abbastanza semplice ma non tutti lo conoscono. Ecco una breve guida:
- Apri Google Maps: vai al sito web di Google Maps o apri l'app sul tuo smartphone
- Localizza la tua casa: Inserisci il tuo indirizzo nella barra di ricerca o naviga manualmente fino alla tua casa
- Passa alla vista stradale:
- Su Desktop: Clicca e trascina l’omino giallo (trovato nell'angolo in basso a destra) sulla strada davanti alla casa
- Su Mobile: Tocca la posizione e seleziona l'opzione Vista Stradale
- Identifica l'Area da offuscare:
- Su Desktop: Naviga fino alla vista che mostra chiaramente la tua casa
- Su Mobile: Pizzica per ingrandire o scivola per regolare la vista fino a quando la tua casa è visibile e centrata
- Clicca su “Segnala un problema”:
- Tocca l'icona del menu a tre punti (solitamente nell'angolo in alto a destra) e seleziona "Segnala un problema."
Compila il modulo:
- Trascina il riquadro rosso sulla tua casa per specificare l'area che desideri sfocare.
- Ti verrà chiesto perché vuoi sfocare l'immagine. Scegli l'opzione "la mia casa" e fornisci dettagli aggiuntivi se necessario.
Weekly Memes
Weekly Quote
“If you only read the books that everyone else is reading, you can only think what everyone else is thinking.”
Haruki Murakami
English version
Privacy vs. Security, the Eternal Dilemma
How to balance the needs of public security with our privacy? Is it right to fill our cities with cameras? When is it too much or too little? These are some of the questions I was asked by a journalist, discussing the topics of crime and video surveillance.
In truth, I believe there's nothing to balance. Video surveillance has no real impact on violent crime. A criminal, by definition, does not fear the law and does not fear punishment, or they wouldn't be a criminal. Violent criminals, in particular, are not particularly sensitive.
Moreover, the web is full of videos showing criminals committing violent crimes like robberies without a care for cameras and smartphones (an example). Others, the most insane and violent ones, even film themselves killing innocent passersby for sport (an example).
Let's dispel the notion that video surveillance has a preventive function; it only exists in books. It doesn't work.
That being said, we must acknowledge that the utility of cameras is solely related to the administration of justice. Video is evidence that can be used in court to seek redress (in an ideal world) or to prosecute the criminal.
The balance is then easily struck.
The state should abandon any claims to surveillance and instead encourage the private proliferation of cameras owned by citizens. This way, the widespread use of cameras would be balanced by the decentralization of ownership and thus the power of control that derives from it.
Law enforcement could still make use of them. It's not far-fetched; the police already use private tools to assist in investigations. For example, access to phone call records from telecommunications services or GPS tracking systems from Google. The same can be done for video recordings.
We will also discuss all of this next week during Privacy Week, the privacy and new technologies festival. I highly recommend registering on the website and following the livestream!
The Online Safety Bill is almost law
The English law against child pornography and potentially dangerous "illegal content" has been approved by parliament and will soon become law. The Online Safety Bill is a law that somehow combines the purposes of the European Regulations Digital Services Act (in effect) and Chatcontrol (under discussion).
Its purpose is to "improve Internet safety," mitigate the risk arising from the spread of illegal content, and protect minors online—whatever that may mean.
Among other things, it will compel companies offering communication services to introduce algorithms and technical measures to proactively monitor communications, videos, and images sent through their services. The consequences could be devastating for all companies that offer end-to-end encrypted communication services, as they will have to decide whether to comply with the law or protect their users.
It's no accident that Signal, a well-known nonprofit organization that develops the privacy-friendly communication system of the same name, stated some time ago that it would cease providing services in the UK if the law were passed.
We'll see what happens now that the law is, in fact, almost passed.
Blur Your House on Google Maps
I recently moved and noticed that, despite living on a small side street in a small suburban town, Google Maps' spying car did not spare me. I must admit I'm not used to having my house exposed to the whole world, and it bothered me quite a bit.
So, all that was left for me to do was to ask Google to blur everything. The process is quite simple, but not everyone is aware of it. Here's a brief guide:
- Open Google Maps: Go to the Google Maps website or open the app on your smartphone.
- Locate your house: Enter your address in the search bar or manually navigate to your house.
- Switch to street view: On Desktop: Click and drag the yellow figure (usually found in the lower right corner) onto the street in front of your house. On Mobile: Tap the location and select Street View.
- Identify the Area to Blur: On Desktop: Navigate to the view that clearly shows your house. On Mobile: Pinch to zoom in or slide to adjust the view until your house is visible and centered.
- Click "Report a Problem": Tap the three-dot menu icon (usually in the upper right corner) and select "Report a Problem."
- Drag the red box over your house to specify the area you want to blur. You'll be asked why you want to blur the image. Choose the option "my home" and provide additional details if necessary.
Sei palestinesi uccisi a Jenin, Gerico e Gaza. Israele ha usato anche droni kamikaze
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AGGIORNAMENTO
Un palestinese di 19 anni, Durgam Al Akhras, è stato ucciso dall’esercito israeliano questa mattina nel campo profughi di Aqabat Jabr (Gerico). I soldati hanno circondato una casa e arrestato due giovani. Subito dopo sono cominciate le proteste della popolazione del campo. Dozzine di ragazzi hanno lanciari pietre contro le forze israeliane che hanno risposto sparando ad altezza d’uomo. Al-Akhras è stato colpito alla testa ed è morto poco dopo.
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della redazione
Pagine Esteri, 20 settembre 2023 – Nelle ultime 24 ore quattro palestinesi sono stati uccisi e circa 30 feriti (alcuni sono gravi) dal fuoco dei soldati israeliani e da droni kamikaze nel campo profughi di Jenin. Il quinto è stato colpito ieri pomeriggio durante una manifestazione a ridosso delle linee tra Gaza e Israele ed è morto poco dopo all’ospedale. Il
Mahmoud as-Saadi, 23 anni, Mahmoud Ararawi, 24 anni, Raafat Khamaiseh, 22 anni, e Atta Musa, 29 anni, tutti combattenti, sono stati uccisi nel raid militare più sanguinoso da quello del 3 e 4 luglio scorsi, sempre nel campo profughi di Jenin, in cui morirono 12 palestinesi e un soldato israeliano (colpito, si è poi appreso, da fuoco amico). Le brigate combattenti palestinesi hanno risposto all’incursione con un intenso fuoco di sbarramento con armi automatiche. Non ci sono stati feriti tra i soldati israeliani.
L’esercito ha detto di aver utilizzato anche il Rafael SPIKE FireFly, un drone suicida, contro i palestinesi. Mentre le truppe si ritiravano dal campo profughi, un veicolo militare è stato messo fuori uso da una bomba sul ciglio della strada. Successivamente è stato trasportato via.
Sempre ieri, è stato ucciso dal fuoco dei soldati un palestinese di 25 anni, Yusef Radwan, durante una manifestazione di protesta lungo le linee tra Gaza e Israele. Altri 11 sono rimasti feriti, uno è in gravi condizioni.
Almeno 185 palestinesi, tra i quali civili innocenti, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est sono stati uccisi dall’inizio dell’anno, la maggior parte durante raid dell’esercito o dai coloni israeliani. Gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania dall’inizio dell’anno hanno causato la morte di 27 coloni e civili e di tre soldati. Pagine Esteri
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In Cina e Asia – Cina e Russia insieme contro "la campagna lanciata dall’Occidente”
Cina e Russia insieme contro "la campagna lanciata dall'Occidente"
Camere di commercio Usa e Ue pessimiste sulla Cina
Biden invita a tenere testa alla Cina, ma apre alla collaborazione
Crisi immobiliare, Sunac e Country Garden ottengono respiro dai creditori
Cina, donna condannata a morte per traffico di bambini negli anni '90
Hong Kong: Pechino rafforza il controllo sui consolati stranieri
L'India risponde al Canada: "accuse assurde intorno alla morte del militante Sikh"
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Cinque palestinesi uccisi a Jenin e Gaza. Israele ha usato anche droni kamikaze
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della redazione
Pagine Esteri, 20 settembre 2023 – Nelle ultime ore quattro palestinesi sono stati uccisi e circa 30 feriti (alcuni sono gravi) dal fuoco dei soldati israeliani e da droni kamikaze nel campo profughi di Jenin. Un quinto è stato colpito ieri pomeriggio durante una manifestazione a ridosso delle linee tra Gaza e Israele ed è morto poco dopo all’ospedale.
Mahmoud as-Saadi, 23 anni, Mahmoud Ararawi, 24 anni, Raafat Khamaiseh, 22 anni, e Atta Musa, 29 anni, tutti combattenti, sono stati uccisi nel raid militare più sanguinoso da quello del 3 e 4 luglio scorsi, sempre nel campo profughi di Jenin, in cui morirono 12 palestinesi e un soldato israeliano (colpito, si è poi appreso, da fuoco amico). Le brigate combattenti palestinesi hanno risposto all’incursione con un intenso fuoco di sbarramento con armi automatiche. Non ci sono stati feriti tra i soldati israeliani.
L’esercito ha detto di aver utilizzato anche il Rafael SPIKE FireFly, un drone suicida, contro i palestinesi. Mentre le truppe si ritiravano dal campo profughi, un veicolo militare è stato messo fuori uso da una bomba sul ciglio della strada. Successivamente è stato trasportato via.
Sempre ieri, è stato ucciso dal fuoco dei soldati un palestinese di 25 anni, Yusef Radwan, durante una manifestazione di protesta lungo le linee tra Gaza e Israele. Altri 11 sono rimasti feriti, uno è in gravi condizioni.
Almeno 185 palestinesi, tra i quali civili innocenti, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est sono stati uccisi dall’inizio dell’anno, la maggior parte durante raid dell’esercito o dai coloni israeliani. Gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania dall’inizio dell’anno hanno causato la morte di 27 coloni e civili e di tre soldati. Pagine Esteri
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“Cybersecurity e Digitalizzazione: evoluzioni normative e fattori abilitanti per competere in Europa”
Oggi a partire dalle 15 interverrò al Convegno “Cybersecurity e Digitalizzazione: evoluzioni normative e fattori abilitanti per competere in Europa” organizzato da CSQA per discutere dei rapporti tra GDPR e Cybersecurity, con uno speciale focus sul tema delle certificazioni
PRIVACYDAILY
Future of Privacy Forum and Leading Companies Release Best Practices for AI in Employment Relationships
Expert Working Group Focused on AI in Employment Launches Best Practices that Promote Non-Discrimination, Human Oversight, Transparency, and Additional Protections.
Today, the Future of Privacy Forum (FPF), with ADP, Indeed, LinkedIn, and Workday — leading hiring and employment software developers — released Best Practices for AI and Workplace Assessment Technologies. The Best Practices guide makes key recommendations for organizations as they develop, deploy, or increasingly rely on artificial intelligence (AI) tools in their hiring and employment decisions.
Organizations are incorporating AI tools into their hiring and employment practices at an unprecedented rate. When guided by a framework centered on responsible and ethical use, AI hiring tools can help match candidates with relevant opportunities and inform organizations’ decisions about who to recruit, hire, and promote. However, AI tools present risks that, if not addressed, can impact job candidates and hiring organizations and pose challenges for regulators and other stakeholders.
FPF and the AI working group recommend:
- Developers and deployers should have clearly defined responsibilities regarding AI hiring tools’ operation and oversight;
- Organizations should not secretly use AI tools to hire, terminate, and take other actions that have consequential impacts;
- AI hiring tools should be tested to ensure they are fit for their intended purposes and assessed for bias;
- AI tools should not be used in a manner that harmfully discriminates, and organizations should implement anti-discrimination protections that go beyond laws and regulations as needed;
- Organizations should not use facial characterization and emotion inference technologies in the hiring process absent public disclosures supporting the tools’ efficacy, fairness, and fitness for purpose;
- Organizations should implement AI governance frameworks informed by the NIST AI Risk Management Framework;
- Organizations should not claim that AI hiring tools are “bias-free;” and
- AI hiring tools should be designed and operated with informed human oversight and engagement.
“When properly designed and utilized, AI must process vast amounts of personal data fairly and ethically, keeping in mind the legal obligations organizations have to those with disabilities and people from underrepresented, marginalized and multi-marginalized communities. This is why developers and deployers of AI in the employment context should use these Best Practices to show their commitment to ethical, responsible, and human-centered AI tools in compliance with civil rights, employment and privacy laws.”
Amber Ezzell, FPF Policy Counsel“The intersection between hiring, employment, and AI tools presents complex opportunities and challenges for organizations, particularly concerning issues of equity and fairness in the workplace. Our Best Practices will guide U.S. companies as they create and use AI technologies that impact workers, ensuring that they address key issues regarding non-discrimination, responsible AI governance, transparency, data security and privacy, human oversight, and alternative review procedures.”
John Verdi, Senior Vice President of Policy at FPF
Leading policy frameworks, including the NIST’s AI Risk Management Framework (AI RMF), Civil Rights Principles for Hiring Assessment Technologies, the Data and Trust Alliance’s initiative Algorithmic Safety: Mitigating Bias in Workforce Decisions, and more, helped inform the Best Practices guide.
“AI tools can help candidates discover and describe their skills and find new opportunities that match their experience. The Best Practices assist organizations in instituting guardrails around using AI systems responsibly and ethically.”
Jack Berkowitz, ADP’s Chief Data Officer“The use of automated technology in the workplace can result in better matches for both job seekers and employers, increased access to diverse candidates and a broader pool of applicants, and greater access to hiring tools for small to mid-sized businesses. These Best Practices provide concrete guidance for using the tools responsibly.”
Trey Causey, Indeed’s Head of Responsible AI“We know that a responsible and principled approach to AI can lead to more transparency and better matching of job seeker skills to employer needs. The Best Practices are a real step forward and reflect the accountability needed to ensure these technologies continue to power opportunity for all members of the global workforce.”
Sue Duke, LinkedIn’s VP of Global Public Policy“Since 2019, Workday has partnered with government officials and thought leaders like the Future of Privacy Forum to advance smart safeguards that cultivate trust and drive responsible AI. We’re proud to have co-developed these Best Practices, which offer policymakers a roadmap to responsible AI in the workplace and call on other organizations to join us in endorsing them.”
Chandler Morse, Workday’s Vice President of Public Policy
While existing anti-discrimination laws can apply to the use of AI tools for hiring, the AI governance field is still maturing. FPF’s Best Practices engages the broader AI governance field in the ethical use and development of AI for employment. The guide may also be updated to reflect developing AI regulatory requirements, frameworks, and technical standards.
Read the full Best Practices Guide Here
Anche quest’anno le scuole hanno animato, assieme a tanti ospiti, la cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico, #TuttiAScuola.
Potete rivivere i momenti più belli della giornata in questo video ▶️ youtube.com/watch?v=IVMY0bWK7y…
Ministero dell'Istruzione
Anche quest’anno le scuole hanno animato, assieme a tanti ospiti, la cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico, #TuttiAScuola. Potete rivivere i momenti più belli della giornata in questo video ▶️ https://www.youtube.com/watch?v=IVMY0bWK7yoTelegram
Il 10 ottobre EDRi esporrà davanti al Parlamento Europeo un grande collage di tutte le foto utilizzando l'hashtag CELEBRATEENCRYPTION su Twitter, Facebook, Mastodon e Instagram
Per partecipare all'iniziativa #CelebrateEncryption, promossa da @EDRi condividi sui social media le foto di te e dei tuoi amici che promuovono la privacy e celebrano la crittografia. Qui puoi trovare alcune idee.
E scrivi nel commento perché la crittografia è importante per te!
#CELEBRATEENCRYPTION
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La stanchezza dell’Occidente
Spetterà agli esperti militari valutare i rapporti di forza, gli equilibri sul terreno, nel momento in cui l’inverno rallenterà l’offensiva ucraina. Ciò che appare al momento plausibile è che — a meno di clamorose e poco probabili novità sul fronte diplomatico — la guerra russo-ucraina continuerà anche nel prossimo anno. Ciò obbliga a interrogarsi sulla saldezza futura del fronte occidentale, sulla capacità delle democrazie americana ed europee di continuare a sostenere la resistenza ucraina all’invasione. Se quel sostegno venisse meno si aprirebbe la strada alla vittoria russa. Negli Stati Uniti, una parte dei repubblicani è favorevole ad abbandonare
l’Ucraina al suo destino e Joe Biden potrebbe essere in grave difficoltà se le elezioni del novembre 2024 si tenessero con la guerra ancora in atto.
L’Europa non è da meno.
La stanchezza dell’opinione pubblica è palpabile e registrata dai sondaggi. La principale causa è che il prolungarsi del conflitto ha fatto evaporare, per molti europei, la drammaticità, e il senso di pericolo, che tutti avevano avvertito nelle sue fasi iniziali. L’assuefazione del pubblico amplia la libertà di manovra delle forze — assai visibili in Francia, in Germania, in Italia — che sono sempre state schierate con Putin. O per una autentica vicinanza al regime russo o, più semplicemente, per anti americanismo. Non avendo potuto conquistare subito l’Ucraina, avendo dovuto ripiegare su una guerra di posizione, è sulla stanchezza occidentale e sulla volubilità delle nostre opinioni pubbliche che Putin conta per conquistare l’agognato
trofeo o, nella peggiore delle ipotesi (dal suo punto di vista), per mantenere il controllo dei territori conquistati. Disponendo di una riserva illimitata di uomini e molte più risorse, se l’Ucraina fosse privata del sostegno occidentale, Putin riuscirebbe a schiacciare quello che considera un insetto.
Se ciò avvenisse, il mondo occidentale, e l’Europa per prima, si troverebbero in guai molto seri. Non solo assisteremmo alla tragedia della popolazione ucraina esposta alle vendette di un potere spietato, privo di vincoli che possano impedire rappresaglie efferate. Ma dovremmo anche affrontare un radicale cambiamento degli equilibri geopolitici. Ci sarebbe una immediata e irrimediabile perdita di credibilità della Nato e degli Stati Uniti. La Russia eserciterebbe a quel punto pressioni difficilmente contrastabili per spingere le democrazie europee ad accettarne influenza e diktat. In un tempo forse piuttosto breve la qualità della vita pubblica delle democrazie europee cambierebbe. Perché esse dovrebbero fare i conti, anche nella loro vita interna, con il potere russo. Un grande pensatore politico, Alexis de Tocqueville, nell’Ottocento, sosteneva che le democrazie, per la loro volubilità, sono assai meno attrezzate dei regimi autoritari a tenere una linea coerente di politica estera. È ciò su cui conta Putin per spuntarla in Ucraina. La tesi di Tocqueville è stata spesso contestata. Si è notato che, nonostante la loro apparente fragilità, le democrazie sono in grado di contare, nei momenti di crisi, su una riserva di legittimità e di consenso interno normalmente superiore a quella a cui può attingere un regime autoritario. Si è visto, soprattutto, che, se coinvolte in guerre, le democrazie sono in grado di mettere in campo risorse ,e una volontà di combattere da parte
della popolazione, che i regimi autoritari non possono nemmeno sognarsi. La determinazione degli ucraini nella resistenza ai russi sta lì a testimoniare, del resto, quanta verità in ciò ci sia. Però è anche vero che una cosa è combattere per la «propria» vita e quella dei propri cari, per la «propria» libertà, per la «propria» terra, un’altra cosa è rimanere impegnati in uno sforzo prolungato nel tempo di sostegno a un popolo combattente. E se, almeno in questi casi, la tesi di Tocqueville fosse corretta?
Da quando è iniziata l’invasione, i governi dell’Unione, in accordo con la Nato, hanno tenuto la barra sufficientemente dritta (ma non dimentichiamo certe incertezze e ambiguità, per esempio di parte tedesca). Ma in democrazia ciò che davvero conta in ultima istanza è l’orientamento dell’opinione pubblica. Se cambiano umori e atteggiamenti degli elettori, cambia anche, prima o poi, la posizione dei governi. È un problema per l’America. Ed è un problema per l’Europa. Le democrazie europeo-occidentali ,protette dalla pax americana, hanno potuto godere dei benefici della pace — stabilità delle loro democrazie e benessere — dalla Seconda guerra mondiale in poi. Gli europei hanno così perduto la memoria delle tragedie della prima metà del secolo XX.
Hanno cominciato a pensare che la storia, con i suoi furori e anche le sue nefandezze, non li riguardasse più. I drammi dovuti alla ferocia umana appartenevano a mondi geograficamente e culturalmente lontani. Potevano guardare le immagini di quei drammi in televisione, comodamente seduti in poltrona. Era la variante europea della «fine della storia». Tutto ciò è comprensibile. È psicologicamente difficile per chi ha creduto di avere conquistato definitivamente una condizione di pace civile, rendersi conto che il mondo è di nuovo assai pericoloso. Anche per noi.
Le parole, in queste condizioni, cadono nel vuoto. Ricordate cosa si diceva in Europa dopo il rovinoso abbandono dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti? Si diceva, anche in Italia, che la sicurezza dell’Europa era a rischio e che era ormai venuto il momento di dare vita a una solida difesa europea. Alle parole non sono seguiti i fatti. Per la semplice ragione che le opinioni pubbliche (e anche gran parte delle classi dirigenti) non credono sul serio che i cambiamenti in
atto impongano, pur senza rinunciare alla Nato e alla partnership con gli Stati Uniti, di investire risorse significative a favore della propria sicurezza. Per dire che la stanchezza che si avverte in settori dell’opinione pubblica occidentale, ed europea in particolare, di fronte alla guerra in atto, ha ragioni storiche profonde che possono essere spiegate. Un grande storico britannico, Arnold Toynbee, in un’altra epoca, in un altro frangente anch’esso difficile per l’Europa,
osservò: historyis again on the move , la storia è di nuovo in movimento. Se noi europei ne saremo consapevoli, se manterremo, nei mesi e negli anni a venire, la necessaria lucidità, aiuteremo gli ucraini a salvarsi. E aiuteremo noi stessi.
L'articolo La stanchezza dell’Occidente proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Aggiornamento sulla detenzione in Israele di Khaled El Qaisi
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Pubblichiamo il comunicato diffuso dalla famiglia e dall’avvocato italiano dello studente universitario italo-palestinese Khaled El Qaisi arrestato lo scorso 31 agosto dalle guardie di frontiera israeliane al valico di Allenby tra Cisgiordania e Regno Hashemita della Giordania e ancora detenuto.
COMUNICATO
Lo scorso giovedì, 14 settembre, si è tenuta a Rishon Lezion a sud di Tel Aviv, l’ultima udienza conclusasi con una proroga della detenzione per altri 7 giorni, al termine dei quali si troverà nuovamente a comparire davanti al giudice il 21 settembre. Il legale, impossibilitato per legge fino alla sera di mercoledì 13 a comunicare col proprio assistito, ha finalmente potuto avere un colloquio con Khaled e il giorno successivo hanno potuto, a differenza delle altre udienze, essere contestualmente presenti in aula. Tuttavia, ad eccezione di un’altra sola visita e di una telefonata tra l’avvocato e Khaled, non ci sono notizie del suo attuale stato di salute psico-fisico.
La nostra viva preoccupazione è rivolta alla totale assenza di quei diritti quasi universalmente condivisi la cui osservanza consente di definire un processo “equo” e un arresto “non arbitrario”.
Sono 19 i giorni di detenzione in cui Khaled viene quotidianamente sottoposto a interrogatorio senza la presenza del suo difensore, è solo mentre affronta domande e pressioni poste dai poliziotti nella saletta di un carcere. Non gli è consentito conoscere gli atti che hanno determinato il suo arresto e la protrazione dello stesso; non sa chi lo accusa, per quale ragione lo faccia, cosa affermi in proposito. Anche i motivi del suo arresto appaiono assolutamente generici e privi di specificità. Inoltre, l’arresto si fonda esclusivamente su meri sospetti e non su indizi gravi di colpevolezza. Ciò che rappresenta maggior ragione di inquietudine e preoccupazione è che, se l’autorità israeliana non riuscirà ad acquisire prove per istruire un processo entro 45 giorni dall’arresto, potrebbe trovarsi costretta a revocare la detenzione penale ma potrà anche decidere di sostituirla con quella amministrativa, condizione giuridica nella quale si trovano altri 1200 palestinesi ristretti in carcere senza un’accusa formale, senza alcuna prova e senza poter conoscere le ragioni del loro trattenimento.
In considerazione della sempre più allarmante situazione di Khaled e del mancato rispetto dei suoi diritti umani si chiede che si faccia tutto il possibile per ottenerne l’immediata liberazione.
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Giappone. Il governatore di Okinawa all’ONU: “le basi Usa minacciano la pace”
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di Redazione
Pagine Esteri, 19 settembre 2023 – Il governatore della prefettura giapponese di Okinawa, Denny Tamaki, ha deciso di portare direttamente alle Nazioni Unite l’annoso scontro con il governo nazionale giapponese legato alla massiccia presenza di forze armate statunitensi sul territorio dell’isola sin dalla fine della Seconda guerra mondiale. Okinawa, pur rappresentando soltanto lo 0,6% della superficie totale del Giappone, ospita ben il 70% di tutte le forze militari statunitensi di stanza nel paese asiatico.
«Sono qui oggi per chiedere al mondo di esaminare la situazione a Okinawa» ha annunciato Tamaki durante una sessione del Consiglio per i diritti umani dell’Onu a Ginevra, sostenendo che la concentrazione di basi militari Usa nel suo territorio, che genera oltretutto problemi di ordine pubblico e criminalità, costituisca «una minaccia per la pace».
Tamaki ha richiamato l’attenzione in particolare sui lavori di bonifica per il trasferimento a Henoko della base aerea statunitense attualmente a Futenma: «I lavori procedono nonostante i cittadini di Okinawa abbiamo espresso chiaramente la loro opposizione tramite un referendum democratico» ha denunciato il governatore.
Dopo l’intervento di Tamaki, un rappresentante del governo giapponese ha difeso i lavori in corso a Henoko, ricordando il recente via libera definitivo della Corte suprema giapponese e la necessità di trasferire la base di Futenma, che si trova al centro di un’area abitata. Okinawa, che si trova nell’estremo sud del Giappone, ha perso questo mese la battaglia legale intrapresa contro il governo nazionale nel tentativo di bloccare i lavori di bonifica del sito costiero. La Corte suprema giapponese – il tribunale di più alto livello del Paese – ha respinto il 4 settembre l’appello presentato da Okinawa per fermare i lavori: il sito bonificato, che si trova a Henoko, in un’area scarsamente popolata della prefettura, dovrebbe accogliere nei prossimi anni le infrastrutture, i mezzi e il personale statunitensi attualmente di stanza nella base aerea di Futenma, sita a sua volta a Okinawa nell’area densamente popolata di Ginowan.
Okinawa, che fin dalla fine della Seconda guerra mondiale sopporta in misura sproporzionata l’onere legato alla permanenza delle forze militari statunitensi in Giappone, chiedeva però che la base fosse trasferita in un’altra prefettura del Paese, e sin dal 2015 ha negato i permessi per i lavori di bonifica per la nuova base, citando anche danni all’ambiente e alla fauna marina, oltre che numerosi casi di stupro ai danni delle abitanti.
Il governatore della prefettura ha espresso la propria delusione durante una conferenza stampa: «Sino all’ultimo abbiamo sperato in un pronunciamento equo e neutrale. E’ davvero disdicevole», – Pagine Esteri
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Azerbaigian di nuovo all’attacco. Colpiti obiettivi armeni nel Karabakh
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della redazione
Pagine Esteri, 19 settembre 2023 – Prosegue in queste ore la presunta “operazione antiterrorismo” dell’Azerbaigian nel Karabakh cominciata, secondo le spiegazioni date da Baku, perché “un veicolo (azero) è esploso dopo aver colpito una mina precedentemente piazzata dai gruppi di ricognizione e sovversione delle forze armate armene nella regione del Karabakh, con lo scopo di compiere un atto terroristico” e un altro automezzo “che trasportava personale militare” delle truppe di Baku è esploso per lo stesso motivo. Esplosioni che avrebbero fatto diversi morti e feriti. Ora le forze azere bombardano obiettivi azeri.
L’Azerbaigian, sostenuto militarmente da Turchia e Israele, denuncia infine “la continua presenza delle forze armate armene nella regione del Karabakh” tanto da “sentirsi costretto” ad agire per garantire la sua sicurezza e quella dei cittadini azeri. L’Armenia smentisce categoricamente questa descrizione dell’accaduto e denuncia come “inaccettabili” i tentativi di coinvolgerla in un conflitto più ampio.
Il premier armeno, Nikol Pashinyan, durante una riunione governativa, ha descritto la situazione ai confini dell’Armenia come “relativamente stabile”. “Ancora una volta confermo che l’Armenia non ha un esercito nel Nagorno-Karabakh”, ha detto esortando il popolo armeno a mantenere la calma, senza agire “in modo non calcolato o avventuroso”. A Yerevan intanto centinaia di abitanti di Erevan hanno organizzato una protesta per chiedere al governo di agire. I manifestanti scandiscono anche accuse contro il primo ministro chiamandolo “traditore”.
Armenia e Azerbaigian, in passato due repubbliche della ex URSS, sono in guerra intermittente sin dagli anni Ottanta per il controllo del Nagorno Karabakh. Di recente grazie alle forniture di armi sofisticate (droni in particolare) turche e israeliane, gli azeri hanno evidenziato una superiorità militare sull’avversario tanto da conquistare nell’ultimo conflitto aperto tra i due paesi importanti porzioni di territorio. Erevan accusa Baku di ostacolare le forniture di merci e generi di prima necessità alla popolazione armena nella regione contesa. Pagine Esteri
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Non serve cercare colpevoli a tutti i costi. La tragedia di Torino vista da Alegi
La morte della piccola Laura è una di quelle tragedie che nessuno vorrebbe mai accadesse. Una vita stroncata ad appena cinque anni non può avere senso, con tutto il suo significato di potenziale umano perduto per sempre e le inevitabili domande su come sia accaduto e come si possa evitarne il ripetersi.
Proprio per questo, è necessario rispettare il dolore evitando di trasformarlo nella ricerca di un capro espiatorio, o peggio di strumentalizzarlo a sostegno di ideologie e pregiudizi. Da Lidia Ravera al Codacons fino all’ultimo profilo Twitter, si sono scatenati tuttologi, antimilitaristi, ambientalisti, rigoristi e chi più ne ha, più ne metta.
L’incidente all’MB.339 delle Frecce tricolori in decollo dall’aeroporto di Torino-Caselle è una sequenza di fatalità, individualmente improbabili. Uno stormo di uccelli attraversa il cielo dell’aeroporto mentre gli aerei decollano. Uno o più uccelli colpiscono un aereo. Un motore si spegne, costringendo un pilota a lanciarsi. L’aereo rimbalza al suolo, sfonda la rete, salta un fosso, attraversa una strada. Colpisce un’auto, dalla quale i genitori riescono a estrarre due bambini. Prima di poter tirare fuori la bimba, l’auto esplode. Come nel celebre modello interpretativo di James Reason, i buchi si sono allineati e attraverso di loro è passato il disastro.
L’inchiesta dell’Ispettorato sicurezza volo spiegherà in ogni dettaglio le cause dell’evento, senza cercare il colpevole a tutti i costi. La magistratura verificherà l’esistenza di eventuali profili penali, tentando di mantenersi al di sopra delle emozioni. Nell’attesa, che non sarà breve, si possono forse fare alcune considerazioni.
Primo, Torino non è Ramstein, perché l’impatto con uno stormo di volatili durante la fase di decollo non è paragonabile a un errore durante l’esecuzione di una figura acrobatica. Qualsiasi altro aereo in decollo da Caselle avrebbe potuto subire lo stesso incidente, così come i volatili avrebbero potuto colpire un MB.339 a Rivolto o su qualsiasi altro aeroporto. Chi propone l’accostamento tra i due incidenti non sa di cosa parla.
Secondo, gli MB.339 sono in perfette condizioni. L’anzianità del progetto non compromette l’aerodinamica, il comportamento in volo o la sicurezza. Rende soltanto più costoso e lungo ottenere i livelli di qualità necessari. È per questo che l’Aeronautica militare ne ha previsto da tempo la sostituzione con gli M-345, il cui sviluppo è in ritardo per motivi indipendenti da essa.
Terzo, l’inquinamento. Poiché il Rolls-Royce Viper 632 ha una spinta di circa 1800 chili, l’intera pattuglia “spinge” circa un quarto dei Trent Xwb di un Airbus A350. Calcolando 32 esibizioni di mezz’ora e raddoppiando prudenzialmente per la diversa concezione dei motori, l’intera stagione acrobatica incide quanto un andata-ritorno da Roma a New York. Un po’ poco per urlare allo scandalo.
Quarto, non interessano a nessuno. Dal Gran premio di Monza alla sagra della salsiccia (davvero!), le centinaia di richieste che l’Aeronautica militare riceve ogni anno, così come le centinaia di migliaia di persone che si assiepano alle loro manifestazioni, testimoniano il grande seguito delle Frecce tricolori. Sono numeri che pochi eventi pubblici italiani fanno.
Quinto, il costo. È difficile capire quali voci di spesa calcolare, separando i costi di struttura (la base) da quelli dell’attività di volo generica (che andrebbe fatta comunque) o specifica. In più, bisognerebbe conteggiare anche il valore delle Frecce tricolori come contributo alla promozione del Paese e dell’industria, nonché come strumento di reclutamento per Forze armate che da oltre vent’anni sono divenute completamente volontarie. Non è un caso che nessuna delle forze aeree di riferimento abbia chiuso la propria pattuglia acrobatica.
Sesto, l’inutilità della Pattuglia. Le Frecce tricolori non sono un’eccezione italiana ma rispecchiano una tradizione presente in tutto il mondo. Dagli Asas de Portugal agli Zhetysu, passando per Krisatki e Sarang, nel 2022 erano censite 65 pattuglie acrobatiche militari, più nove temporanee e tre in corso di approntamento, senza trascurare le sei esibizioni in coppia.
Settimo, l’aereo militare. Benché progettato per addestrare piloti militari, l’MB.339 non è un caccia o un aereo da combattimento. È del tutto improprio associarlo a Top Gun o missioni di guerra.
In conclusione, buona parte delle critiche alle Frecce tricolori sono materialmente errate e si collegano a valutazioni esterne alla loro realtà operativa e fattuale. Da un certo profilo, le obiezioni sono legate più a criteri personali che a considerazioni oggettive, e potrebbero, con la stessa assoluta legittimità, essere applicate a qualsiasi altra attività, dai musei di arte contemporanea al teatro sperimentale, dal ponte sullo Stretto alle zip line. Dall’altro, gli attacchi di questi giorni recuperano temi da sempre presenti nella retorica antimilitare e antioccidentale, collegandoli strumentalmente alla tragedia di Torino senza aggiungere nulla in termini di analisi e riflessione.
Per carità, in un Paese libero anche queste opinioni hanno pieno diritto di essere espresse. Però sarebbe meglio concentrarsi sugli atti concreti, come la sicurezza delle strade perimetrali o la pulizia degli ambienti circostanti gli aeroporti, evitando di dare l’impressione di speculazione politica. O almeno così imporrebbe il rispetto sincero per la piccola vittima.
Andrea Muccioli – Fango e risate
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Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 25 settembre 2023, Lodi
Intervengono
ANGELA MARIA ODESCALCHI
Presidente Ordine degli Avvocati di Lodi e Avvocato
GUIDO SALVINI
Magistrato presso il Tribunale di Milano
PIERO TONY
Comitato Scientific della Fondazione Luigi Einaudi
Modera
LORENZO MAGGI
Presidente di Lodi Liberale
Evento accreditato presso l’Ordine degli Avvocati di Lodi
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Washington e Teheran rilasciano prigionieri dopo lo scongelamento di 6 miliardi di dollari dell’Iran
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della redazione
(foto di archivio del progetto Pexels/RDNE Stock)
Pagine Esteri, 19 settembre 2023 – Cinque statunitensi e cinque iraniani sono stati rilasciati nell’ambito di uno scambio di prigionieri mediato dal Qatar. Gli ex detenuti Usa sono sbarcati da un aereo sulla pista dell’aeroporto internazionale di Doha dopo essere arrivati da Teheran. Successivamente sono partiti con un volo diretto negli Stati Uniti. Secondo la Press TV iraniana, due dei cinque cittadini iraniani imprigionati negli Stati uniti sono arrivati in Iran dopo aver viaggiato attraverso il Qatar. Gli altri tre liberati hanno deciso di non tornare in Iran, due di loro resteranno negli Stati Uniti e uno si recherà in un paese terzo.
Nasser Kanaani, portavoce del ministero degli Esteri iraniano, ha spiegato che i due ex prigionieri che avevano deciso di rimanere negli Stati Uniti lo hanno fatto “a causa della loro storia personale e di permanenza” negli Usa.
L’accordo tra Washington e Teheran ha permesso lo scongelamento di 6 miliardi di dollari di beni iraniani bloccati in Corea del Sud. “Fortunatamente i beni congelati dell’Iran in Corea del Sud sono stati rilasciati e, a Dio piacendo, oggi i beni inizieranno ad essere completamente controllati dal governo e dalla nazione”, ha commentato Kanaani. Successivamente il capo della banca centrale iraniana Mohammad Reza Farzin è intervenuto alla televisione di stato per confermare di aver ricevuto oltre 5,5 miliardi di euro (5,9 miliardi di dollari) su conti in Qatar.
Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha definito il rilascio di cinque detenuti americani “un’azione puramente umanitaria”. “Può certamente essere un passo in base al quale in futuro potranno essere intraprese altre azioni umanitarie”, ha aggiunto Raisi rivolgendosi a un gruppo di giornalisti dopo il suo arrivo a New York per partecipare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Nel frattempo, Joe Biden ha accolto con favore il ritorno dei cinque cittadini statunitensi e ha ringraziato gli alleati per aver contribuito a garantirne il rilascio. “Siamak Namazi, Morad Tahbaz, Emad Sharghi e due cittadini che desiderano rimanere anonimi si riuniranno presto ai loro cari… Sono grato ai nostri partner in patria e all’estero per i loro instancabili sforzi volti ad aiutarci a raggiungere questo risultato, compresi i governi di Qatar, Oman, Svizzera e Corea del Sud”, ha detto il presidente Usa che allo stesso tempo ha annunciato sanzioni contro l’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e il ministero dell’intelligence “per il loro coinvolgimento in detenzioni illegali”. “Continueremo a imporre sanzioni all’Iran per le sue azioni provocatorie nella regione”, ha affermato Biden.
Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha abbassato le aspettative che lo scambio di prigionieri porti a una svolta nel rilancio dell’accordo sul nucleare iraniano del 2015, da cui l’ex presidente Donald Trump si era ritirato nel 2018. “Non siamo impegnati su questo ma vedremo in futuro se ci saranno opportunità”, ha detto Blinken.
Non è questo il parere di Israele che invece vede lo scambio dei prigionieri e lo scongelamento dei fondi come “una vittoria per l’Iran” e un passo in avanti verso un nuovo accordo sul programma nucleare, approvato anche dagli StatiUniti. Tel Aviv vede nelle ambizioni atomiche dell’Iran l’intenzione di costruire ordigni nucleari “che saranno puntati contro Israele”. E ha più volte minacciato di bombardare e distruggere le centrali iraniane.
Teheran da parte sua respinge le accuse, afferma di voler solo produrre energia atomica a scopi civili e denuncia le sanzioni americane e internazionali alle quali la sua economia è sottoposta da molti anni.
Israele punta il dito contro l’Iran ma è l’unico Paese del Medio oriente a possedere segretamente bombe nucleari – tra 100 e 200 secondo le stime fatte da esperti internazionali – e non ha mai firmato il Trattato di non-proliferazione nucleare. Pagine Esteri.
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ARCHEOLOGIA E OCCUPAZIONE. Tell es-Sultan sito palestinese. Israele contro l’Unesco
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Pagine Esteri, 19 settembre 2023. “Siamo di fronte a un sito di grande importanza per tutta l’umanità ma gli israeliani mantengono la loro posizione. Citano il racconto biblico che non è mai stato confermato dai ritrovamenti archeologici, anzi proprio gli scavi hanno chiarito che è fondato su miti”. Questo il commento che la studiosa e storica dell’arte Carla Benelli fa alla veemente protesta delle autorità israeliane alla decisione dell’Unesco di designare il sito palestinese di Tell Es-Sultan “Sito parte del patrimonio mondiale in Palestina”.
Ascolta il Podcast.
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Transparency of landmark judgements: European Parliament wants to introduce public access to EU court documents
The EU Parliament’s Legal Affairs Committee (JURI) today unanimously voted in favour of giving the public, civil society and the media a right of access to documents, positions and arguments exchanged in court proceedings, subject to some exceptions. The proposal was originally made by MEPs René Repasi (S&D group) and Patrick Breyer (Pirate Party, Greens/EFA group). Whether the Parliament‘s amendment will become part of the reform of the Statute of the European Court of Justice will now be decided in the upcoming trilogue negotiations with the EU Council and the EU Commission.
Breyer explains: “Today‘s unanimous vote shows how great the need for a more transparent judiciary is. Regarding landmark judgements with far-reaching consequences, the public should have a right to know and discuss the positions voiced by our governments and institutions. In a democracy where freedom of the press reigns, it must be possible to hold the powerful accountable. At a time when the EU and its Court of Justice are in a crisis of confidence, transparency builds trust.
The introduction of a right of access to information complements the easening of workload proposed by the Court of Justice and does not delay it. Our proposal fully respects the Court‘s case law on the limits of access to information, for example to protect ongoing proceedings.”
18 civil society organisations have recently advocated for a right of access to information and an open judiciary. A joint statement by the European Federation of Journalists EFJ, Corporate Europe Observatory, Access Info Europe and others says: “Access to judicial documents is essential for transparency and accountability – both of which are crucial for building and maintaining trust in the judiciary and democratic processes in general. It is crucial that the public is able to see and understand the reasons for judicial decisions as well as the arguments put forward during the proceedings.”
Background:
The European Court of Human Rights in Strasbourg has always granted public access to documents submitted to the Court. Regarding the Luxemburg EU Court of Justice, however, insights can so far only be obtained indirectly by requesting the Commission to grant access to copies of court documents it holds, with the Commission being very reluctant to do so.
The European Court of Justice decides on the interpretation and validity of European law, including its compatibility with fundamental rights. Landmark court rulings have concerned, for example, data retention, upload filters, the right to be forgotten or the purchase of government bonds by the European Central Bank (“euro bailout”).
You live in a digital neofeudalism
The Middle Ages are often invoked to describe a dark, brutal period without freedom, where the masses were at the mercy of a few feudal lords and rulers who fought over lands and resources.
They say life back then wasn't much to write home about. Fortunately, today we are much more civilized. At least, that’s what they say.
We have discovered representative democracy, expelled the cowardly monarchs who plagued us, eliminated the scourge of serfdom, and forgotten the picturesque chivalric orders with their oaths of loyalty to the rulers. But is it really so?
My impression is that representative democracy and the proliferation of eccentric ideas about social justice and social equity have actually created the conditions for the resurgence of a global digital neo-feudalism.
At the apex of this new feudal pyramid, we undoubtedly have a small but powerful elite of people with vast wealth and power who use supranational tools, both known and unknown, to exercise and manifest their will.
Among them, first and foremost, is the International Monetary Fund (IMF), a financial instrument of the United Nations and the ultimate authority for much of the world. Then there are central banks like the Federal Reserve Bank or the European Central Bank.
Lastly, we must not forget supranational administrative entities such as the World Health Organization (WHO), the aforementioned United Nations (UN), or the somewhat obscure Financial Action Task Force (FATF), which, nevertheless, has a huge impact on our lives. And how could we forget our beloved European Union and the globalist think-tank that is the World Economic Forum?
The combination of people and supranational structures makes up what we could define today as the head of the empire.
In Cina e Asia – Wang Yi in Russia per colloqui sulla sicurezza
Wang Yi in Russia per quattro giorni di colloqui sulla sicurezza
Cina-Usa: il vicrepresidente Han incontra Blinken
Cina, esercitazioni nel mar Giallo dopo quelle di Stati Uniti e alleati
Corea del Sud: leader dell'opposizione in sciopero della fame, rischia l'arresto
L'Ue nomina nuovo direttore dell'ufficio per l'Asia-Pacifico
Cina, bozza di legge solleva polemiche su rischi di abuso di potere
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IL SUD-EST ASIATICO AIUTA LA CINA NELLA CACCIA AGLI ATTIVISTI PER I DIRITTI UMANI
Il caso dell'avvocato Lu Siwei conferma come il Sud-est asiatico si sta dimostrando un’area del mondo particolarmente collaborativa quando si tratta di rimpatriare le voci scomode in Cina.
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Call for Nominations: 14th Annual Privacy Papers for Policymakers
The Future of Privacy Forum (FPF) invites privacy scholars and authors with an interest in privacy issues to submit finished papers to be considered for FPF’s 14th annual Privacy Papers for Policymakers (PPPM) Award. This award provides researchers with the opportunity to inject ideas into the current policy discussion, bringing relevant privacy research to the attention of the U.S. Congress, federal regulators, and international data protection agencies.
The award will be given to authors who have completed or published top privacy research and analytical work in the last year that is relevant to policymakers. The work should propose achievable short-term solutions or new means of analysis that could lead to real-world policy impact.
FPF is pleased to also offer a student paper award for students of undergraduate, graduate, and professional programs. Student submissions must follow the same guidelines as the general PPPM award.
We encourage you to share this opportunity with your peers and colleagues. Learn more about the Privacy Papers for Policymakers program and view previous year’s highlights and winning papers on our website.
FPF will invite winning authors to present their work at an annual event with top policymakers and privacy leaders in spring 2024 (date TBD). FPF will also publish a printed digest of the summaries of the winning papers for distribution to policymakers in the United States and abroad.
Learn more and submit your finished paper by October 20th, 2023. Please note that the deadline for student submissions is November 3rd, 2023.
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Se Salvini cerca di strappare alla Meloni la bandiera di leader “coerente” di destra
Mentre Giorgia Meloni si presentava a Lampedusa assieme alla donna che più di tutte simboleggia l’Europa (Ursula von der Leyen), Matteo Salvini si presentava a Pontida assieme alla donna che più di tutte rappresenta l’antieuropeismo (Marine Le Pen). “Noi non abbiamo cambiato opinione”: sono state queste le prime parole che il segretario leghista ha pronunciato ieri dal palco. Parole non casuali.
È così partita la campagna salviniana per strappare alla Meloni quella bandiera che, a torto o a ragione, secondo tutti gli osservatori ha rappresentato la chiave del proprio successo elettorale: la coerenza. Bandiera inevitabilmente scolorita e lacerata nel passaggio dalla demagogia degli anni trascorsi all’opposizione alle responsabilità imposte dalla funzione di governo. Bandiera che Matteo Salvini intende intestarsi grazie all’ormai rodato ruolo di leader di lotta e al tempo stesso di governo. Umberto Bossi lo fece con Silvio Berlusconi premier, Salvini lo sta facendo con Giorgia Meloni, dopo averlo fatto con Giuseppe Conte.
In vista della propria ascesa al ruolo di presidente del Consiglio, Giorgia Meloni evitò di pronunciarsi a favore di Marine Le Pen nel ballottaggio con Emmanuel Macron. Salvini, invece, lo fece. E ieri è tornato ad esibire come un valore quasi sacro il rapporto che lo lega alla leader della destra nazionalista francese, sulla cui amicizia, appunto, “non abbiamo cambiato idea”.
Nessuno, dal palco di Pontida, ieri ha pronunciato la parola “Ucraina” o evocato il nome di Vladimir Putin. Tutti hanno parlato di Europa e tutti l’hanno fatto in chiave critica oltre che in aperta contrapposizione a quelle “libertà” che sono state per vent’anni il cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi e che ieri erano con tutta evidenza il filo conduttore della kermesse leghista.
Salvini sa bene che l’atlantismo e l’europeismo di Giorgia Meloni disorientano parte non marginale della sua base elettorale e persino dei suoi eletti. “Abbiamo ormai rinunciato al cambiamento”, ha scritto ieri, con amara rassegnazione, l’intellettuale d’area Marcello Veneziani sulla Verità. Parlava a nome di una destra che c’è, Veneziani, e che si sente tradita nei propri ideali fondanti. Una destra che si ritrova nelle tesi del generale Vannacci, che non a caso Salvini intende candidare alle elezioni europee di giugno. Una destra che fatica a trovare una bussola per orientarsi nel presente a cui Mattei Salvini ha usucapito i punti di riferimento cardinali del passato abusando, come è accaduto ieri a Pontida, dei concetti di “comunità” e di “identità”, regolarmente enunciati col favore del “buon Dio”.
“Noi non siamo cambiati” era il senso del messaggio securitario agli immigrati, ma in realtà ai propri elettori, lanciato da Giorgia Meloni con l’intervento video dello scorso venerdì. “Lei è cambiata, ma noi no”, è il senso impresso da Matteo Salvini alla kermesse di Pontida.
Per i prossimi otto mesi, sarà questa la sfida. E, naturalmente, nessuno dei due avrà il coraggio di ammettere cambiamenti fisiologici, né di spiegarli con la differenza che passa tra stare all’opposizione e stare al governo. Ovvero, con la differenza che passa tra fare propaganda e fare politica.
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Piero Bosio
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