EPPO, LO STRUMENTO GIUDIZIARIO DELL’UNIONE EUROPEA CONTRO LE TRUFFE AL BILANCIO
L’Unione Europea si è dotata di uno strumento giudiziario per contrastare le truffe al suo bilancio. Si chiama European Public Prosecutor’s Office (in sigla EPPO).
È responsabile delle indagini, del perseguimento e dell'incriminazione dei reati che ledono gli interessi finanziari dell'UE (reati economici e finanziari, come l'uso improprio di fondi, il riciclaggio di denaro, la frode IVA e la corruzione). 22 paesi dell'UE hanno deciso di aderire all'EPPO e di partecipare alla cooperazione rafforzata, tra questi l’Italia. 36 uffici decentrati dell'EPPO sono ubicati in tutti i paesi dell'UE partecipanti.
La sede di Palermo ha recentemente delegato la Direzione Investigativa Antimafia (#DIA) alla esecuzione di un provvedimento di sequestro preventivo, emesso dal giudice per le indagini preliminari (G.I.P.) del Tribunale di Enna nei confronti di una donna, legata da rapporti parentali con persone appartenenti alla criminalità organizzata peloritana, ritenuta responsabile del reato di truffa aggravata ai danni dell’U.E.
La stessa donna era stata già raggiunta da analogo sequestro lo scorso ottobre in seguito all’attività di verifica da parte della DIA nei confronti di un elenco di società controindicate all’ottenimento di contributi pubblici, ma che avevano richiesto l’accesso ai finanziamenti del decreto “Cura Italia”. Allora la somma indebitamente percepita e di conseguenza “sottoposta a vincolo” è stata pari ad Euro 245.000,00 circa.
Le successive investigazioni hanno evidenziato come, al fine di ottenere il riconoscimento di benefici economici di cui al Fondo Europeo Agricolo di Sviluppo Rurale (F.E.A.S.R.), l’indagata avrebbe indicato nelle fraudolente Domande Uniche di Pagamento, relative agli anni 2016-2021, la disponibilità di superfici agrarie di cui non poteva legittimamente disporre, riuscendo ad ottenere dall’Ag.E.A. ulteriori finanziamenti pari a circa 405.000 euro, oggetto della misura cautelare patrimoniale in parola che ha interessato un agriturismo con struttura ricettiva riconducibile all’indagata.
Per saperne di più su EPPO
Mozilla Rivoluziona la Navigazione: L'estensione MemoryCache porta l'Intelligenza Artificiale direttamente nel tuo Browser! | Red Hot Cyber
"Esplora la rivoluzionaria estensione di Mozilla, MemoryCache, che porta un'esperienza di navigazione personalizzata grazie all'Intelligenza Artificiale. Questa innovativa estensione analizza e impara dai contenuti che visualizzi, offrendoti risposte alle domande basate sui tuoi interessi."
Emily Fox likes this.
In quali modi il Fediverso può reagire all’irruzione di Threads?
Meta anche in Europa ha lanciato Threads, uno spin-off dedicato agli utenti di Instagram che si presnta sotto forma di una piattaforma di microblogging simile a Twitter. Threads è predisposto per far parte del Fediverso, dal momento che può interoperare attraverso il protocollo ActivityPub, lo stesso utilizzato da Mastodon, Friendica o Pixelfed. Al momento solo alcuni utenti…
like this
macfranc reshared this.
Salvare l’Ucraina per salvare l’Europa
Più che mai negli ultimi cinque anni, governare l’Unione europea è diventato l’arte di pensare l’impensabile. Se all’inizio del suo mandato qualcuno avesse detto a Ursula von der Leyen quali decisioni aspettavano la sua Commissione a Bruxelles, probabilmente neanche lei ci avrebbe creduto. Non avrebbe mai creduto che lei stessa avrebbe messo sul tavolo dei leader di 27 Paesi — quindi fatto approvare in tempi brevi — un eurobond da 800 miliardi di euro, di cui l’Italia ha una fetta di un quarto con il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Non avrebbe creduto che l’Unione europea, le sue istituzioni e i suoi governi, avrebbero fornito aiuti per oltre cento miliardi in un anno e mezzo all’Ucraina aggredita dalla Russia. Né avrebbe creduto che avrebbe aperto i negoziati per l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione, come il Consiglio europeo ha deciso ieri.
Probabilmente Von der Leyen e Christine Lagarde, la presidente della Banca centrale europea, non immaginavano neanche che avrebbero rivisto un’inflazione a doppia cifra nei nostri Paesi, quindi l’aumento dei tassi d’interesse più rapido della storia recente, eppure nessuna crisi finanziaria.
Non è troppo dire che la sopravvivenza dell’Unione europea ora sarebbe in dubbio, se i suoi leader di questi anni non avessero saputo pensare l’impensabile. E poi non avessero saputo realizzarlo, di fronte a una successione di minacce. Ma proprio per questo il rischio più grande adesso è pensare di aver fatto il più. Perché malgrado le enormi innovazioni politiche e istituzionali recenti, malgrado l’aver smentito i profeti di sventura e gli euroscettici, il difficile inizia adesso. E non inizia necessariamente sotto i migliori auspici.
I leader dell’Unione europea, a Bruxelles e nelle capitali, devono ancora iniziare a fare i conti con alcune delle contraddizioni del sistema. Quelle che riguardano l’Ucraina sono le più evidenti. Abbiamo annunciato al mondo che stiamo parlando con il governo di Kiev dell’ingresso nell’Unione in un futuro imprecisabile, ma nell’immediato non ne abbiamo tratto le conseguenze. In concreto, in marzo scorso ci eravamo impegnati a fornire all’Ucraina un milione di pezzi d’artiglieria entro un anno. Invece, a soli quattro mesi dalla scadenza, i Paesi europei hanno inviato meno della metà dei quantitativi promessi e gli ultimi ordini di munizioni collocati dai governi attraverso l’Agenzia europea della difesa — secondo Reuters — sono di appena 60 mila pezzi da 155 millimetri: abbastanza per resistere nelle trincee dell’Ucraina per una settimana, non di più. Non abbiamo accresciuto la nostra capacità di produzione di artiglieria, così importante in questa guerra. Ma senza un numero sufficiente di proiettili per respingere l’esercito russo, nessun negoziato di adesione di Kiev sarà mai credibile.
È forse tempo che i leader europei spieghino alle opinioni pubbliche che occorre difendere l’Ucraina non solo in nome dei valori, ma soprattutto dei nostri interessi. Se quella guerra fosse persa — qualunque forma dovesse prendere una sconfitta, e ce ne sono diverse possibili — allora un’ombra si stenderebbe direttamente sul futuro dell’Unione europea. Vladimir Putin non ha mai fatto mistero di volerla disgregare in nome della sua idea zarista di impero. E se l’aggressività del Cremlino non viene respinta, la sicurezza europea sarà sempre un’illusione.
Per questo si fatica a comprendere perché i governi dell’Unione sembrino riluttanti a prepararsi alle sfide che pure sono ben visibili all’orizzonte. Durante l’attuale vertice a Bruxelles o tra qualche settimana, troveranno senz’altro il modo di sbloccare i 50 miliardi di euro già impegnati per il governo di Kiev. Già, ma dopo? Non è troppo tardi per prepararsi a uno scenario nel quale Donald Trump torna alla Casa Bianca, ritira il sostegno all’Ucraina o addirittura ritira gli Stati Uniti dalla Nato. Allo stesso modo, non è tardi per prepararsi a vedere l’antieuropeo Geert Wilders come premier di un Paese fondatore quale l’Olanda e poi ad assistere a un successo dei sovranisti alle europee di giugno prossimo. In base agli attuali sondaggi di Politico Europe, il gruppo di destra euroscettica «Identità e democrazia» (per intendersi, quello di Marine Le Pen, Alternative für Deutschland e Matteo Salvini) sarebbe terzo nell’emiciclo di Strasburgo dopo popolari e socialisti.
L’avverarsi di questi scenari non è sicuro, per fortuna. Ma è plausibile e l’Europa non può correre il rischio di lasciarsi sorprendere dagli eventi ancora una volta. Chi crede nell’Unione quale nostro spazio politico del presente e del futuro, deve abbandonare tutte le ambiguità e iniziare a prepararsi adesso. Serve un salto in avanti nella difesa e nella sicurezza. Serve una strategia molto più efficace per isolare e disinnescare le quinte colonne e i sabotatori interni dell’Europa, siano essi l’ungherese Viktor Orbán oggi o l’olandese Wilders domani. Serve che i governi dei principali Paesi smettano di sprecare energie per controllarsi a vicenda, per estrarre piccoli vantaggi gli uni dagli altri logorandosi su piccole regole interne, per minime ripicche e inutili rivalità. Il tempo di lavorare alle prossime svolte è ora. Domani potrebbe mancarci.
L'articolo Salvare l’Ucraina per salvare l’Europa proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Usa: il Congresso approva una legge che vieta ai presidenti il ritiro dalla Nato
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Redazione
Pagine Esteri, 15 dicembre 2023 – Il Congresso federale degli Stati Uniti ha approvato questa settimana un disegno di legge che prevede il divieto per qualsiasi presidente di revocare unilateralmente l’adesione del paese all’Alleanza Atlantica senza la previa approvazione da parte del Senato o un atto del Congresso.
Il provvedimento bipartisan, promosso dal senatore democratico Tim Kaine della Virginia e dal repubblicano Marco Rubio della Florida, è stato incluso nell’annuale legge di bilancio della Difesa (National Defense Authorization Act) e approvato dalla Camera dei Rappresentanti, e in attesa della firma del presidente Joe Biden.
Secondo il senatore Kaine il disegno di legge «ribadisce il sostegno degli Stati Uniti a questa cruciale alleanza, fondamentale per la nostra sicurezza nazionale. Invia anche un forte messaggio agli autocrati di tutto il mondo che il mondo libero rimane unito». Rubio ha dichiarato invece che la misura rappresenta uno strumento diretto a permettere al Congresso di supervisionare l’operato dei presidenti.
La disposizione sottolinea l’impegno del Congresso nei confronti della Nato, che è stata oggetto di dure critiche da parte dell’ex presidente Donald Trump durante il suo mandato alla Casa Bianca. Il tycoon si è spesso scagliato contro la Nato e aveva ventilato la possibilità di un’uscita degli Stati Uniti dall’alleanza militare che pure controllano. Una proposta che è tornata al centro del dibattito politico anche nel corso dell’attuale campagna elettorale. Nel programma del candidato repubblicano di destra radicale, infatti, si legge: «dobbiamo portare a termine il processo iniziato sotto la mia amministrazione per rivalutare radicalmente lo scopo e la missione della Nato».
Ed è proprio per evitare un eventuale colpo di testa del miliardario, che tutti i sondaggi danno come vincente alle prossime elezioni presidenziali – le inchieste assegnano a Trump il 47% delle preferenze nei cosiddetti “Swing States” contro il 42% dell’attuale presidente – che il Congresso ha voluto varare un dispositivo legislativo ad hoc.
Dopo un periodo di decadenza, l’Alleanza Atlantica ha assunto una rinnovata importanza durante la presidenza di Joe Biden grazie all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio dello scorso anno e recentemente ha cominciato a stendere i suoi tentacoli anche in Asia. Pagine Esteri
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo Usa: il Congresso approva una legge che vieta ai presidenti il ritiro dalla Nato proviene da Pagine Esteri.
BRASILE. Ignorati i veti di Lula, il Congresso segue la linea Bolsonaro
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
Pagine Esteri, 15 dicembre 2023. Il Congresso brasiliano ha approvato una nuova legge contenente una serie di misure anti-indigene estreme, annullando gran parte dei veti che il Presidente Lula aveva posto sugli elementi più gravi.
Queste misure, che ora diventano legge, costituiscono “l’attacco più grave e feroce ai diritti indigeni degli ultimi decenni” secondo Survival International.
Il Congresso è dominato dalla lobby mineraria e dell’agrobusiness e da ricchi proprietari terrieri alleati dell’ex Presidente Bolsonaro, nonostante questo sia stato sconfitto dal Presidente Lula alle ultime elezioni di un anno fa.
Con la nuova legge, trafficanti di legname, allevatori e altri che hanno invaso illegalmente i territori indigeni potranno restare a distruggere le foreste fino a quando quelle terre non saranno ufficialmente demarcate – un processo che normalmente richiede decenni.
Molti popoli indigeni potrebbero non poter fare mai più ritorno alla loro terra perché la legge riconosce anche il Marco Temporal (limite temporale), nonostante la Corte Suprema del paese lo abbia respinto solo pochi mesi fa giudicandolo anticostituzionale. Il Marco Temporal è uno stratagemma pro-business che afferma che i popoli indigeni che non possono provare che nell’ottobre 1988 (quando fu promulgata la Costituzione brasiliana) abitavano nelle loro terre non vedranno più riconosciuti i loro diritti su di esse.
L’Associazione dei popoli indigeni del Brasile, APIB, ha annunciato che farà nuovamente ricorso alla Corte Suprema.
“Questa legge fa a pezzi molte delle protezioni legali sulle terre indigene garantite dalla Costituzione, e le butta nella spazzatura” ha dichiarato oggi la Direttrice generale di Survival International, Caroline Pearce. “Dà a grandi aziende e bande criminali che stanno dietro la maggior parte della deforestazione e delle attività minerarie in Brasile ancora più libertà di invadere i territori indigeni e di farvi ciò che vogliono. Segna la rovina di gran parte dell’Amazzonia e di tutte le foreste del Brasile.”
“Questa legge è assolutamente disastrosa per le tribù incontattate del Brasile – che, quando le loro terre vengono invase, sono tra i popoli più vulnerabili del pianeta – e per tutti i popoli indigeni del paese. Questi popoli continueranno a resistere con la stessa determinazione che hanno dimostrato durante il regime genocida di Bolsonaro. E i loro alleati in tutto il mondo, come Survival, continueranno a restare con forza al loro fianco. Permettere che tutto questo passi incontrastato annullerebbe decenni di graduali progressi nel riconoscimento dei diritti indigeni.”
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo BRASILE. Ignorati i veti di Lula, il Congresso segue la linea Bolsonaro proviene da Pagine Esteri.
Non solo difesa, ecco il valore aggiunto del Gcap per Roma, Londra e Tokyo. L’analisi di Borsari
La firma del trattato per l’istituzione dell’Organizzazione Governativa Internazionale del Gcap (Gcap International Government Organization – Gigo) tra Italia, Giappone e Regno Unito consolida ulteriormente il percorso fatto dall’annuncio, esattamente un anno fa, della coalizione trilaterale tra Roma, Tokyo, e Londra per la creazione di un caccia stealth di sesta generazione, e ne certifica definitivamente la solidità a livello politico.
Questo è un passaggio chiave poiché inaugura ufficialmente la cornice politico-istituzionale all’interno della quale si svilupperà il progetto, con l’organismo cardine – la Gigo – che dovrà guidarne le varie fasi e coordinare gli attori coinvolti sul piano industriale nonché su quello militare. Questo ruolo include, ovviamente, anche limare eventuali difficoltà o visioni divergenti, dalla fase di progettazione e sperimentazione, alla suddivisione del lavoro, alla gestione delle risorse, e così via. Questo aspetto è cruciale dato che si tratta di un progetto senza precedenti, tanto ambizioso quanto complesso, in virtù della sua natura multinazionale e degli approcci – oltre che degli interessi – propri dei singoli Paesi coinvolti.
I tre Paesi hanno già stanziato fondi dedicati nell’ordine complessivo di alcuni miliardi di euro in un orizzonte di breve-medio termine (Londra e Roma attualmente pianificano di spenderne – molto ottimisticamente – rispettivamente circa 10 e 7,7 da qui al 2035) e si apprestano ora ad intensificare la cooperazione a livello industriale per poter lanciare la fase di sviluppo vera e propria nel 2025. A tal proposito è doveroso notare come l’Italia, sia a livello di industria che di forze armate, si stia muovendo velocemente nell’ambito della sensoristica e dell’elettronica avanzate che caratterizzeranno il Gcap, con importanti accordi di collaborazione tra le imprese dei tre paesi nel dominio ISANKE & ICS (Integrated Sensing And Non Kinetic Effects & Integrated Communication System) e la “Gcap Acceleration Initiative” lanciata dalla Difesa per raccogliere le migliori proposte dall’industria nazionale su diverse capacità, tra cui sistemi ottici e laser, intelligenza artificiale (AI) applicata, sistemi di propulsione, gestione di sistemi autonomi e sistemi di missione, cybersecurity e molti altri.
Nel complesso, il valore aggiunto del progetto sta nella possibilità di rinforzare la cooperazione internazionale nel campo della difesa, bilanciare costi altrimenti proibitivi per i singoli Paesi – con evidenti implicazioni per la successiva attrattività del Gcap sul mercato, e rivitalizzare l’industria nazionale della difesa nonché l’economia grazie agli effetti a cascata in termini di tecnologie avanzate, expertise e internazionalizzazione per le imprese e la comunità scientifica.
Alla luce di ciò, è sempre più evidente la forte connotazione geostrategica che assume il programma Gcap, dato che il suo impatto andrà ben oltre la dimensione della difesa, interessando tutto il sistema paese, e influenzandone altresì il posizionamento internazionale con un focus crescente sulla connessione strategica tra teatro Europeo e Indopacifico. Ciò risulta ancor più importante alla luce della crescente attenzione di paesi come la Cina alla creazione di un caccia di sesta generazione. Al contempo, la sfida per Italia, Giappone e Regno Unito, sarà quella di garantire una collaborazione efficace in tutte le fasi del progetto, assicurare le risorse necessarie (le stime attuali andranno quasi certamente riviste al rialzo) e rispettare una scadenza – il 2035 – per l’iniziale operatività certamente molto ambiziosa.
E/OS su Redmi Note 5 Pro
GAZA. Popolazione alla fame, prezzi alle stelle. Gli aiuti vengono distribuiti solo in parte
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
della redazione
Pagine Esteri, 15 dicembre 2023 – La gente di Gaza non ha più pane, deve fare i conti con prezzi che sono aumentati anche di 50 volte e spesso deve macellare asini per sfamarsi. Ciò mentre i camion con gli aiuti alimentari ed umanitari della Mezzaluna rossa e delle Nazioni unite non riescono a raggiungere numerose aree della Striscia di Gaza, in particolare a nord, a causa dei bombardamenti israeliani. L’ufficio umanitario delle Nazioni Unite Ocha ha comunicato che alcune distribuzioni limitate di aiuti sono avvenute nell’area di Rafah, vicino al confine con l’Egitto, dove si stima che viva quasi la metà della popolazione di Gaza di 2,3 milioni di abitanti.
“Nel resto della Striscia di Gaza, la distribuzione degli aiuti è in gran parte interrotta, a causa dell’intensità delle ostilità e delle restrizioni alla circolazione lungo le strade principali”, si legge in un comunicato.
Secondo i civili palestinesi, spingere la popolazione di Gaza alla fame sarebbe uno degli obiettivi dell’offensiva militare israeliana. “Gli israeliani ci hanno costretto a lasciare le nostre case, poi le hanno distrutte e ci hanno portato al sud dove possiamo morire sotto le loro bombe o di fame”, ha dichiarato uno sfollato a giornalisti locali. Philippe Lazzarini, capo dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, Unrwa, ha detto che persone affamate fermano i camion degli aiuti per prendere cibo e mangiarlo subito.
Youssef Fares, giornalista di Jabalia, nel nord, dice che i beni di base, come la farina, sono ormai così difficili da trovare che i prezzi sono aumentati da 50 a 100 volte rispetto a prima della guerra. “Stamattina sono andato in cerca di un pezzo di pane e non l’ho trovato. Al mercato sono rimaste solo caramelle per i bambini e qualche barattolo di fagioli, il cui prezzo è salito di 50 volte”, ha scritto su Facebook. “Ho visto qualcuno che macellava un asino per darlo ai membri della sua famiglia”, ha aggiunto.
Tutti i camion degli aiuti entrano a Gaza attraverso il valico di Rafah con l’Egitto, ma prima devono essere ispezionati da Israele. Da quando le consegne sono iniziate il 20 ottobre, le ispezioni avvengono al valico di Nitzana tra Israele ed Egitto, costringendo i camion a fare il giro da Rafah a Nitzana e ritorno. Ciò causa forti ritardi nell’ingresso degli aiuti nella Striscia.
Mercoledì sono entrati a Gaza 152 camion di aiuti, rispetto ai circa 100 del giorno precedente, ma è solo una frazione di ciò che è necessario per affrontare la catastrofe umanitaria in corso. Due giorni fa Israele ha avviato ulteriori ispezioni al valico di Kerem Shalom. Potrebbe fare una differenza significativa se Israele lasciasse passare i camion direttamente a Kerem Shalom, ma ha scelto di non farlo.
Dal 7 ottobre, giorno dell’attacco compiuto dal movimento islamico Hamas nel sud di Israele (1200 morti, in maggioranza civili), i bombardamenti e l’offensiva di terra delle forze armate israeliane hanno provocato circa 19mila morti tra i palestinesi, in prevalenza civili, tra cui migliaia di bambini e donne. Pagine Esteri
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo GAZA. Popolazione alla fame, prezzi alle stelle. Gli aiuti vengono distribuiti solo in parte proviene da Pagine Esteri.
I salari in Italia fermi da trent'anni, grazie alla concertazione tra governi e Cgil Cisl Uil | Contropiano
"In Italia i salari reali sono sostanzialmente al palo da trent'anni, la forza lavoro è in rapido invecchiamento secondo l’Inapp (Istituto Nazionale per le Politiche Pubbliche).
Perché è dal 1992 che i salari di lavoratrici e lavoratori italiani sono rimasti al palo? Gli europeisti hanno la coda di paglia e tendono sempre a svicolare sul fatto che l’adesione dell'Italia al Trattato di Maastricht avviò le politiche di austerità e impose il blocco dei salari."
Dal Consiglio europeo, piccoli passi verso la difesa comune. L’analisi di Politi
Un quadro normativo per il settore industriale della difesa europea: lo prevede la bozza dedicata alla sicurezza e alla difesa delle conclusioni del Consiglio europeo, con l’obiettivo di coordinare gli acquisti congiunti e aumentare l’interoperabilità e la capacità produttiva dell’industria europea della difesa. Formiche.net ne ha discusso con Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation.
Attuare con urgenza le misure esistenti per facilitare e coordinare gli acquisti congiunti e per aumentare l’interoperabilità e la capacità produttiva dell’industria europea della difesa per ricostituire le scorte degli Stati membri, in particolare alla luce del sostegno da fornire all’Ucraina. Questa una delle richieste contenuta nel capitolo sicurezza e difesa delle conclusioni del Consiglio europeo. A questo punto il passo successivo è la difesa comune europea. Ma quando?
C’è una parolina che mi ha colpito della bozza, ovvero standardizzazione: è interessante che leader ancora alle prese con questa bozza abbiano deciso di introdurre questa parola per un passaggio puramente burocratico. Quindi nessuno va a toccare i programmi di armamento in quanto oggetti che poi finiscono nelle mani di una forza armata, però questa parola riguarda le procedure ed è chiaro che se si standardizzano le procedure si facilita la vita a valle.
Un punto di partenza o serviva dell’altro?
Dopo 40 anni di guerra fredda avrebbe già dovuto esser fatta: non pretendo già da oggi l’esercito europeo ma almeno standardizzare i sistemi d’arma e per ora siamo ancora molto lontani. Come si fa a mettere d’accordo 27 voci sull’unanimità? Già con il consenso è complicato, figuriamoci con l’unanimità. Non nascondo che dei passi in avanti siano stati compiuti, come il lavoro enorme sui sistemi radio che oggi si parlano fra loro.
Perché la seconda guerra nel giro di 600 giorni non ha stimolato un’accelerazione su certi processi?
Il problema è che nessuno vuole ridurre i margini di guadagno e mentre durante la guerra fredda sostenevamo che diversità dei sistemi d’arma complicava la pianificazione tattico-operativa del nemico, oggi vediamo che i russi reggono benissimo l’assalto degli ucraini, che tra le altre cose non hanno sistemi standardizzati. Per cui mantenere questa diversità di sistemi operativi è un incubo.
Questa iniziativa contenuta nelle conclusioni del Consiglio europeo quali vantaggi può portare all’Italia che nel suo background ha competenze, imprese e cervelli in quel settore che rappresenta una fetta importante di Pil?
In primis bisognerà valutare se quelle conclusioni presenti nella bozza verranno poi approvate. In quel caso questo tipo di accordo non dico che sarebbe un toccasana, per un sistema come quello tedesco caotico, ma certamente dovrebbe snellire, ad una condizione però: che quando poi si va a negoziare sul concreto ognuno negozi con le unghie e con i denti il meglio che ha. Se gli italiani, come gli altri, non negoziano il meglio di quello che possono offrire come procedure e concetti, allora si uniformano su una specie di ircocervo.
Una chiusura sull’Ucraina: si aspettava qualcosa di più dal Consiglio europeo?
Innanzitutto vorrei contestare alcune affermazioni apparse sulla stampa internazionale secondo cui le esitazioni a sostenere Kiyv sarebbero europee: falso. Sono tanto per cominciare degli americani e, a loro a rimorchio, anche di parte degli europei. Biden fin dall’inizio ha avuto il braccino corto con gli ucraini, tanto è vero che quando Olaf Scholz è stato pungolato dagli americani, ha promesso di mandare i suoi carri armati Leopard solo quando gli Usa avrebbero mandato gli Abrams. Questi ultimi non si sono ancora visti in Ucraina, mentre i Leopard sì: pochi, maledetti e vecchi ma sono arrivati. Quindi le esitazioni sono di tanta parte dei Paesi euro-atlantici. Certo c’è chi è più garibaldino e chi frena di più per ovvi motivi.
Ora è arrivata Gaza…
Che naturalmente ha tolto visibilità comunicativa all’Ucraina. Ma anche se non ci fosse stata Gaza, la fase attuale di stanchezza si sarebbe manifestata ugualmente, anche perché i Paesi hanno finito le scorte. È chiaro che i Paesi occidentali devono tenere duro sul principio che non ci sono cambi di territorio se non concordati tra le parti. Non ci sono perché in quel caso si aprirebbe un vaso di Pandora in tutta Europa, anche a danno dei russi.
In Cina e Asia – Allerta meteo, 100 feriti sulla metro di Pechino
Allerta meteo, 100 feriti sulla metro di Pechino
Xinjiang, critiche al rapporto commissionato da Volkswagen sul lavoro forzato
Italia, Giappone e Regno Unito svi
L'articolo In Cina e Asia – Allerta meteo, 100 feriti sulla metro di Pechino proviene da China Files.
Ax-3 di Axiom Space, così l’Italia gioca la carta dell’economia spaziale. Il messaggio di Meloni
Buongiorno a tutti,
non potevo far mancare il mio contributo alla presentazione di un progetto alla quale il Governo tiene molto e che rappresenta uno dei tanti tasselli del coinvolgimento del Sistema Italia nella missione Ax-3 di Axiom Space, che sarà lanciata a gennaio 2024 e che porterà gli astronauti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale per proseguire la ricerca in microgravità.
È una missione estremamente importante che consentirà all’Italia di rafforzare la sua posizione nell’ambito dell’economia spaziale e delle attività in orbita bassa e permetterà alla nostra comunità scientifica, accademica ed industriale di fare grandi progressi.
È un progetto che coinvolge la Presidenza del Consiglio, più Ministeri, l’Agenzia spaziale italiana, il mondo accademico e la filiera spaziale italiana.
Sarà il colonnello dell’Aeronautica militare, Walter Villadei, che è lì con voi e al quale rivolgo un grande in bocca al lupo, ad essere il nostro portabandiera in questa missione. Ma al colonnello Villadei spetta anche un altro compito: essere Ambasciatore della candidatura della cucina italiana a patrimonio culturale immateriale dell’umanità. L’Italia sarà, infatti, protagonista di questa missione anche con i suoi prodotti di qualità, con il suo cibo, amato e apprezzato in tutto il mondo.
Grazie alla collaborazione con due grandi aziende italiane, come Barilla e Rana, che ringrazio, il colonnello Villadei e tutti gli astronauti gusteranno la cucina italiana sia in orbita sia nel periodo di quarantena che precederà il lancio. Per la prima volta, arriveranno così nello spazio le nostre eccellenze e un prodotto iconico come la pasta. E nello spazio i nostri prodotti saranno utilizzati per la ricerca legata ai bisogni all’alimentazione degli astronauti in condizioni estreme.
Siamo molto orgogliosi di questa iniziativa, esempio concreto di come sia possibile coniugare la nostra tradizione con l’innovazione, l’amore per le proprie radici con il desiderio di andare oltre gli orizzonti conosciuti. E portare quell’identità nel futuro.
Grazie al ministro Lollobrigida, all’Ambasciatrice Zappia, al colonnello Villadei, a tutti coloro che hanno reso possibile questo progetto, che ci unisce tutti nel nome dell’Italia e nell’orgoglio di essere ciò che siamo.
RICICLAGGIO ATTRAVERSO FALSI NOLEGGI DI AUTO: AZIONE CONGIUNTA ITALIA - GERMANIA
L’indagine è iniziata nel 2019 e si è sviluppata sull’asse Germania-Italia. Ad operare le Procure della Repubblica di Cagliari e Napoli e i comandi della Guardia di Finanza dei due capoluoghi, mentre sul fronte tedesco è stata impegnata la Procura di Colonia, con il supporto dell'Ufficio investigativo doganale di Stoccarda, della Questura di Colonia e dell'Ufficio investigativo fiscale di Colonia.
In cabina di regia Eurojust, l’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale.
Nel mirino il riciclaggio di denaro su larga scala, attraverso il falso noleggio a lungo termine di auto, principalmente di lusso.
Sono state arrestate nei due paesi 8 persone (6 in carcere, 2 ai domiciliari), indagate per aver utilizzato un'agenzia di noleggio auto per riciclare i proventi del traffico di droga, dell'estorsione e delle scommesse illegali. Sono stati sequestrati, oltre ad un complesso immobiliare, quasi un centinaio di veicoli.
L’agenzia di autonoleggio era registrata in Germania, diretta da un soggetto campano incensurato, residente stabilmente in Germania col proprio nucleo familiare il quale, attraverso la ditta estera intestata alla consorte e con la collaborazione della figlia, produceva falsi contratti di noleggio a lungo termine (oltre 150 veicoli per periodi da tre a quattro anni), per auto di lusso immatricolate in Germania che venivano consegnate a clienti italiani, che pagavano le loro rate mensili con i proventi di attività criminali.
Eurojust ha favorito tra gli investigatori dei due paesi la creazione di una squadra investigativa comune (JIT) sin dal 2020 ed ha organizzato sei riunioni di coordinamento per preparare la giornata d'azione svoltasi questa settimana.
Oltre agli arresti e al sequestro dei veicoli e dell'agenzia di autonoleggio, sono stati congelati 14 conti bancari tedeschi per un totale di 142.000 euro. Sequestrati anche 25mila euro in contanti, oltre a gioielli e orologi. È stato sequestrato anche un conto bancario italiano
👉Per saperne di più sulle Squadre Investigative Comuni (JIT): europol.europa.eu/partners-col…
Emily Fox likes this.
Sustanalytics – Cop28 e Cina: contraddizioni e novità della diplomazia climatica made in Bejing
Poche variazioni sul tema nel sillabario cinese della diplomazia climatica alla Cop28. Ma tra le novità arriva un nuovo inviato per il clima e uno slancio (all'indietro?) verso il compromesso crescita-sostenibilità. La nuova puntata con la rubrica dedicata ad ambiente, energia e cambiamenti climatici in Asia
L'articolo Sustanalytics – Cop28 e Cina: contraddizioni e novità della diplomazia climatica made in Bejing proviene da China Files.
Emily Fox likes this.
Maronno Winchester reshared this.
FPF Publishes New Report: A Conversation on Privacy, Safety, and Security in Australia: Themes and Takeaways
On October 27, 2023, the Future of Privacy Forum (“FPF”), in partnership with the UNSW Allens Hub for Technology, Law and Innovation (“Allens Hub”), convened a multidisciplinary meeting of experts on technology, privacy, safety, and security in Sydney, NSW, Australia to discuss benefits, challenges, and unanswered questions associated with the Australian eSafety Commissioner’s (“eSafety”) forthcoming industry standards for the regulation of certain online content. Today, FPF publishes a report summarizing broad themes and takeaways gleaned from this discussion, “A Conversation on Privacy, Safety, and Security in Australia: Themes and Takeaways.”
Australia’s Online Safety Act of 2021 (“Online Safety Act”) mandates the development of industry codes or standards to provide appropriate community safeguards with respect to certain online content, including child sexual exploitation material, pro-terror material, crime and violence material, and drug-related material. Through September 2023, the eSafety has registered six industry codes that cover: Social Media Services, App Distribution Services, Hosting Services, Internet Carriage Services, Equipment, and Internet Search Engine Services. In May 2023, however, the Commissioner rejected proposed codes for relevant electronic services (“RES”) and designated internet services (“DIS”) on account that they “do[] not provide appropriate community safeguards.” Under the Online Safety Act, the rejection of the RES and DIS codes by the Office of the eSafety Commissioner initiated a process in which the Commissioner drafted industry standards for these sectors. A draft of the industry standards was published on November 20, 2023, and is open for public comment until December 21, 2023.
For purposes of the FPF and meeting, participants were asked to assume the existence of industry standards that satisfies the Online Safety Act’s statutory requirements. As such, the goal was not to solicit arguments about any specific approach, but rather to provide an opportunity for experts to discuss underlying opportunities and challenges in regard to the creation of industry standards, particularly in regard to partially or entirely end-to-end encrypted services. While meeting participants were not in full agreement in regard to any specific point, there were many themes that came up multiple times within the conversation as well as areas of consensus on certain points, including:
- Participants agreed broadly on the goals of the e-Safety Act and the mission of the e-Safety Commissioner
- Several participants found deficits in the length and scope of the public consultation available throughout the process
- Participants identified several potential benefits of an industry code beyond its intended scope
- Participants broadly opposed any approach that would require otherwise encrypted messaging services to utilize content hashing and/or client-side scanning
- Many participants discussed the need for unique treatment for different types of content based on distinctions in context
- Participants flagged previous cases of mission drift in regard to certain legal authorities and warned of similar evolution
- Participants flagged an important role for greater education, both for individuals as well as enforcers
- Participants supported a broad public dialogue on effective responses and solutions
- Participants identified a large number of unanswered questions in regard to the creation, implementation, and enforcement of industry codes that left much uncertainty
- Australia has played a leadership role globally on issues related to Online Safety and is likely to continue to do so
Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione della prof.ssa Rosa Faraone sul tema “Saggio sui limiti dell’autorità dello Stato”
Quattordicesimo e penultimo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si è articolato in 15 lezioni, che si sono svolte sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.
La penultima lezione si svolgerà giovedì 14 dicembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, presso l’Aula n. 6 del Dipartimento “COSPECS” (ex Magistero) dell’Università di Messina (sito in via Concezione n. 6, Messina); dell’incontro sarà altresì realizzata una diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.
La lezione sarà tenuta dalla prof.ssa Rosa Faraone (Ordinaria di Storia della Filosofia Moderna e di Storia della Storiografia filosofica presso l’Università di Messina), che relazionerà sull’opera “Saggio sui limiti dell’autorità dello Stato” di Wilhelm Von Humboldt.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.
Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.
Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM
Pippo Rao, Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina
L'articolo Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione della prof.ssa Rosa Faraone sul tema “Saggio sui limiti dell’autorità dello Stato” proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Le ultime scoperte di Perseverance, che ha superato i mille giorni di permanenza su Marte | AstroSpace
"Di recente, il rover Perseverance della NASA ha superato il mille giorni di permanenza su Marte. Con l’occasione ha anche completato l’esplorazione dell’antico delta del fiume che conserva le prove di un’antico bacino lacustre, che riempiva il cratere Jezero miliardi di anni fa."
Does social media favor Palestine over Israel?
POLITICO’s weekly transatlantic tech newsletter for global technology elites and political influencers.
By MARK SCOTT
Send tips here | Subscribe for free | View in your browser
JUST LIKE A WONKY ADVENT CALENDAR, there are only two Digital Bridge newsletters to go for 2023. I’m Mark Scott, POLITICO’s chief technology correspondent, and I bring you live footage of why my family hates it when I turn my journalism spidey senses toward domestic matters. True story.
We’ve got something for everyone this week:
— Two months into the war, there’s a lot more pro-Palestinian content than pro-Israeli material. What that tells us about social media is unclear.
— The European Union’s Artificial Intelligence Act is (kinda) done. What happens next is a case study in why Brussels isn’t good at enforcing its digital rules.
— Section 702 of the U.S. Foreign Intelligence Surveillance Act is likely to get a four-month reprieve. But will that be enough to keep it alive?
THE FOG OF A DIGITAL WAR
IT HAS BEEN JUST OVER TWO MONTHS SINCE Hamas militants attacked Israel, killing about 1,200 people and taking about 240 hostages, according to Israel. In response, Israel invaded Gaza, leaving at least 15,000 Palestinians dead, based on estimates from local health authorities in Hamas-run Gaza. The suffering, for both sides, is unimaginable — and it looks unlikely to stop anytime soon. Within this cacophony of awfulness, social media has become an an active participant — used by those supportive of Israel and Palestine alike to promote their side of the conflict; raise awareness; and, often, peddle falsehoods.
In that sense, the Gaza conflict is no different from other 21st-century wars where dominating the digital media landscape is now part of combatants’ overall strategy to win hearts and minds, engage with like-minded supporters, and count claims from opponents. But what sets the Middle East war apart — alongside this being the first real test of Elon Musk’s ownership of X, formerly Twitter — is how disproportionate the online messaging has become. It’s hard to generalize because of how unique everyone’s social media experiences have become via algorithms tailored to individual interests. But, on average, there are just much more pro-Palestinian messages on the likes of Instagram, TikTok and YouTube compared with pro-Israeli posts.
Let’s look at the stats. On TikTok, I gathered roughly 50 hashtags that were either pro-Palestinian, pro-Israeli or viewed as used by both sides. This is not a perfect science. But it’s true videos with the #StandWithPalestine hashtag garnered around 4.8 billion views, based on TikTok’s own data. In contrast, the #StandWithIsrael counterpart received just under 600 million views. Similar disparities could be seen with everything from #PrayforPalestine and #PrayforIsrael to #ProPalestine and #ProIsrael. This isn’t just a TikTok phenomenon. On other platforms like Facebook, there’s an equal asymmetry in which there’s more pro-Palestinian content being created compared to pro-Israeli material, based on Digital Bridge’s analysis via CrowdTangle, a social analytics tool owned by Meta.
Yet for me, this “hashtag comparing” doesn’t really tell us much. In response to criticism, tech giants like TikTok argue such analysis doesn’t capture the nuance of how each hashtag is used. I hate to admit it, but that’s correct. But I have different reasons than TikTok for suggesting hashtags aren’t a good proxy for tracking how the Gaza conflict is playing out online. For the companies, it’s all about context. How long someone spends on a video, they argue, is arguably more important than how many overall posts were created. It doesn’t matter if there are 20 times more pro-Palestinian posts, for instance, if pro-Israeli counter-messaging is getting more eyeballs.
And that is where my frustration lies. In the end, the volume of social media content produced is meaningless. What matters is the type of material served up to people via their online feeds. And that almost exclusively comes down to a platform’s so-called recommender systems, complex algorithms that decide what tiny fraction of the billions of pieces of content produced daily will make it in front of people’s eyeballs. Just counting hashtags isn’t going to get under the hood of those systems. What you need to do is look beyond the collective total amount of pro-Palestinian and pro-Israeli content, and figure out exactly how much of that is making it into people’s feeds.
Leaked documents and corporate whistleblowers suggest those decisions are geared toward displaying posts that people will engage with the most and, therefore, stay on each respective platform longer — generating more ad revenue. It’s an agnostic process, though one that — at least for Meta’s platforms — led to more polarizing content being served up because internal research confirmed such material was more likely to engage people than less divisive posts. It’s also an ecosystem that we have almost no information about because tech giants jealously guard these algorithms because they are the secret sauce for how, in the end, they make money.
But we can make educated guesses on how this is shaking out. Based on the volume of pro-Palestinian content compared with pro-Israeli material (itself, an imperfect science), we can surmise more people, globally, are engaging collectively with those posts — just given the sheer amount of content produced. If that’s true, we can also argue platforms’ algorithms will likely favor that content — though we have no evidence for that yet. That’s because these algorithms are geared toward displaying material that will likely engage users. If the volume of pro-Palestinian content is greater, and social media algorithms are focused on meeting people’s digital interests, then — hypothetically — it’s likely that companies’ recommender systems are over-indexing on pro-Palestinian messages to fill that need.
Yet, for now, that is just a working theory — one that companies often refute and that currently lacks quantifiable data to stand up. But compared to the “hashtag hunting” that currently dominates the debate, it’s a hypothesis based on how social media actually works.
AI ACT: SHOW ME, DON’T TELL ME
THAT AURA OF SMUGNESS THAT YOU CAN FEEL is politicians and officials in Brussels congratulating themselves for getting a political deal done on the bloc’s Artificial Intelligence Act. To be clear, no final text is yet complete, though I’m told the outstanding details are merely minor tweaks — nothing substantial. Here’s the expected timeline: The final document will be approved in the second quarter of 2024; all-out bans on certain AI uses (more on that below) take effect in early 2025; and by the summer of 2026, the entire piece of legislation is fully enforceable. In short: We’re still at least a year away from seeing any bite to what has been agreed.
First, let’s give the Europeans their due. This year has seen multiple voluntary commitments on AI governance, most notably what the White House published in July. But the EU has gone further than others by making its rulemaking mandatory. Here’s an overview (also here) of what was decided. But, in short, controversial AI-based systems like social scoring will be banned; high-risk use cases like those associated with health care will be highly regulated; almost all mundane AI systems will have minimal to no oversight; and fines range between 7 percent of a company’s yearly turnover (not revenue) for the worst abuses to 1.5 percent of annual turnover for more minor misdemeanors.
Like almost all of the bloc’s new digital legislation, officials and lawmakers have focused almost exclusively on transparency and accountability to ward off wrongdoing. Companies developing high-risk AI use cases, for example, will have to document their activities, conduct outside audits and demonstrate human oversight of how these systems are developed. When it comes to the latest so-called general-purpose AI models (those requiring computer power greater than 10ˆ25 so-called floating point operations, or, basically, only those currently developed by Alphabet and OpenAI), these systems will also have to be tested by outside groups dedicated to finding potential vulnerabilities.
So far, this all sounds pretty familiar to existing voluntary commitments that every large Western AI developer has agreed to. What’s different with the European approach is that it’s all mandatory — and comes with significant fines for wrongdoing. And that, for me, is where I turn from optimist to pessimist on what Brussels announced at the weekend. The EU’s strategy is based on a false promise that, via countries’ existing agencies and a new AI Office to be created within the European Commission, there’s enough technical skill, financial resources and regulatory capacity to both keep track of existing models and keep ahead of what is to come.
If recent history has taught us anything, that is wishful thinking. The ongoing problems of enforcing Europe’s privacy regime, known as the General Data Protection Regulation, has come down to a lack of money and expertise — coupled with intra-EU regulatory in-fighting — that has left the bloc’s data protection legislation less than the sum of its parts. Europe’s social media rules, known as the Digital Services Act, are equally heading toward similar issues. That’s even after the bloc included an ongoing company levy (estimated to be $37 million a year) to pay for oversight that, like the AI Act, is predicated on transparency and accountability as key drivers for enforcement.
For me, what has been missing from the AI Act’s victory lap are details of how this is all going to work in practice. I want budget numbers. I want figures on new regulatory hires. I want an explanation of how these agencies will push back against companies’ transparency reports that may, or may not, be accurate. Recent research shows firms are pretty opaque about how their AI models work. So far, only Spain has announced the creation of a dedicated AI regulator. Other EU countries could follow, though will likely rely on already-stretched existing agencies to do the heavy-lifting on enforcing the bloc’s new AI legislation.
The same questions swirl around how the Commission’s new AI Office will function. Nominally, this yet-to-be created body will coordinate pan-EU oversight; enforce the rules specified for general-purpose AI; and oversee an outside group of AI experts to help with its work. So far, no budget for this work has been set — at a time when Europe’s finances are already stretched. Rumors abound that funding for the AI Office may come from the bloc’s Digital Europe Program, or $8 billion fund to help digitize the Continent. Still, until that happens, I fall back to the old journalistic cliche: Show me (how this is going to work), don’t tell me.
BY THE NUMBERS
SECTION 702 EXTENSION DOESN’T SOLVE THE PROBLEM
SECTION 702 OF THE US FOREIGN INTELLIGENCE ACT SPLITS OPINION. The rules allow American security agencies to surveil foreign nationals (and, controversially, some U.S. citizens) anywhere in the world. The provisions, though, will expire on December 31 — something that both Congress and the White House don’t want to happen. Still, there are currently two competing bills to overhaul Section 702, which has become a lightning rod for privacy campaigners over claims it is used to unfairly collect reams of data on primarily non-Americans. One, via the House of Representative’s Judiciary Committee, would make it harder for data to be collected on U.S. citizens. The other, via the House Permanent Select Committee on Intelligence, would expand some of Section 702’s overall remit.
In a last-minute move, Section 702 is expected to be given a four-month extension under the U.S. National Defense Authorization Act, or must-pass legislation before the end of 2023. That would give U.S. lawmakers until April 19 to find a compromise. A lot of the controversy around Section 702 comes from some in the Republican party who believe the provisions allow for surveillance of U.S. citizens with little oversight. They cite the invalidation of two of four FISA-based warrants against Carter Page, a former Donald Trump aide, as evidence of such overreach. Importantly, no one in Washington really mentions how non-U.S. citizens — some, arguably, innocent — have similarly been caught up in such bulk surveillance.
WONK OF THE WEEK
WE’RE GOING SLIGHTLY OUT OF MY TYPICAL COMFORT ZONE this week to focus on Tim Sweeney, founder of Epic Games, the studio behind the blockbuster Fortnite. His company won a landmark competition case Monday against Google after a judge ruled the search giant had used anti-competitive practices via its Android operating system and app store to harm rivals and consumers. Google said it would appeal the decision.
Sweeney is an unlikely antitrust champion. A graduate of the University of Maryland, he stumbled into gaming while working as a software consultant in the early 1990s, before rebranding his company to Epic Games. Fortnite was created in 2017, but Sweeney has been fighting battles with both Apple (in a case that he lost on nine out of 10 charges) and Google over how these tech giants pocketed a share of revenue when users accessed the game via the firms’ dominant app stores.
“This is an example of the greatness of the American justice system,” Sweeney wrote on X, formerly Twitter. “A [billion-dollar] company challenges a [trillion-dollar] company over complex antitrust practices, and a jury of 9 citizens hears the testimony and renders a verdict.”
THEY SAID WHAT, NOW?
“If the United Kingdom is to avoid being held hostage to fortune, it is vital that ransomware becomes a more pressing political priority, and that more resources are devoted to tackling this pernicious threat to the U.K.’s national security,” Margaret Becket, chairwoman of the U.K. parliament’s joint committee on national security strategy, in response to a report highlighting the country’s vulnerabilities to such cyberattacks.
WHAT I’M READING
— The U.K. government accused groups with ties to the Kremlin of trying to interfere in the country’s democratic institutions by targeting local politicians, journalists and officials with cyberattacks. More here.
— Stanford University published its inaugural Emerging Technology Review, a deep-dive into 10 emerging technologies (and not just artificial intelligence) and their policy implications. Take a look here.
— Hausfeld, a law firm known for filing lawsuits against Big Tech firms, filed a class-action case against Google’s alleged misuse of copyrighted material from publishers, including for the company’s generative AI products. More here.
— To combat widespread misinformation, society must move away from trying to have better facts about contentious issues and focus on how these problems can be framed, often online, to portray legitimate topics in false ways, argues Kate Starbird from the University of Washington.
— A group of liberal U.S. politicians called on Joe Biden to support the EU’s digital competition overhaul and reject claims it represented an illegal barrier to trade. More here.
— More than half of Brits, 44 percent of French people, and 33 percent of Germans said they viewed social media as hurting democracy, according to a poll commissioned by Luminate, an advocacy group.
SUBSCRIBE to the POLITICO newsletter family: Brussels Playbook | London Playbook | London Playbook PM | Playbook Paris | Global Playbook | POLITICO Confidential | Sunday Crunch | EU Influence | London Influence | Digital Bridge | China Watcher | Berlin Bulletin | D.C. Playbook | D.C. Influence | All our POLITICO Pro policy morning newsletters
Emily Fox likes this.
I piani di Israele a Gaza: guerra intensa fino a fine gennaio e distruzione di Hamas nel 2024
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
della redazione
Pagine Esteri, 14 dicembre 2023 – Israele presenterà agli Stati Uniti un calendario in più fasi per quanto riguarda la guerra che sta conducendo nella Striscia di Gaza. Lo afferma la tv israeliana Canale 12 che ieri sera ha spiegato che i pesanti bombardamenti e le operazioni militari a Gaza andranno avanti fino a fine gennaio. Saranno poi seguiti dal “ritiro graduale della maggioranza delle forze a Gaza e dal loro dispiegamento sulle linee di difesa, continuando allo stesso tempo ad eliminare Hamas per tutto il 2024″.
La tv ha detto: “La settimana scorsa, Israele è entrato nel terzo mese di guerra e gli Stati Uniti stanno segnalando che il tempo sta per scadere. Il presidente Joe Biden ha persino inviato il suo consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan (in arrivo oggi), in Israele per assicurarsi che il messaggio arrivi e che i piani di Israele siano coerenti con il calendario americano”.
Gli Usa inizialmente volevano che finisse tutto entro Natale (o all’inizio di gennaio), ma alla luce della situazione attuale, Israele non vede la possibilità che ciò accada e chiederà ancora qualche settimana per completare il ritiro delle forze dalle profondità di Gaza e il loro dispiegamento sulle “linee difensive”, alcune all’interno e altre all’esterno del territorio palestinese. Le stime israeliane indicano che questa fase si estenderà approssimativamente fino alla fine del 2024 e includerà la distruzione della capacità militare di Hamas attraverso operazioni specifiche e raid mirati da parte delle forze dell’esercito di occupazione israeliano. Canale 12 ha sottolineato che “Israele si sta muovendo per mantenere il controllo della sicurezza (di Gaza) nel prossimo futuro”.
La giornalista e analista politica Dana Weiss ritiene che “questo sembra essere un calendario realistico, secondo il quale sia Israele che gli Stati Uniti possono raggiungere un accordo. Gli americani comunque attribuiscono grande importanza anche all’aspetto umanitario”.
L’attacco di Israele a Gaza cominciato oltre due mesi fa ha ucciso oltre 18.500 palestinesi, distrutto decine di migliaia di case ed edifici e sfollato 1,9 dei 2,3 milioni di civili che ora vivono ammassati nel settore meridionale della Striscia.
Dana Weiss ha aggiunto che restano i disaccordi tra Tel Aviv e Washington riguardo “il giorno dopo Hamas”. Gli Stati Uniti sembrano preoccupati per la situazione dell’Autorità Palestinese e la mancanza di volontà da parte del governo Netanyahu di trasferire i fondi (ai palestinesi) e di approvare l’ingresso dei lavoratori (palestinesi) in Israele, in contrasto con la posizione dello stesso establishment israeliano della sicurezza”. Pagine Esteri
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo I piani di Israele a Gaza: guerra intensa fino a fine gennaio e distruzione di Hamas nel 2024 proviene da Pagine Esteri.
In Cina e in Asia – Milioni di cinesi abbandonano il sistema di assicurazione sanitaria nazionale
Milioni di cinesi abbandonano il sistema di assicurazione sanitaria nazionale
Ex funzionario condannato per tangente record da 3 miliardi di yuan
La Cina supera gli Stati Uniti come Paese con più catene di caffetterie
La smart city di Xiong’an avrà un sistema di navigazione per la rete sotterranea
Nuovo rimpasto di governo in Giappone
Thailandia, condannata a 6 anni deputata del Move Forward
L'articolo In Cina e in Asia – Milioni di cinesi abbandonano il sistema di assicurazione sanitaria nazionale proviene da China Files.
Gcap, si parte. Ecco l’accordo Italia, Uk e Giappone
Italia, Regno Unito e Giappone hanno firmato un trattato internazionale per stabilire un programma aereo da combattimento volto allo sviluppo di un caccia di sesta generazione, il Global Combat Air Programme. L’accordo è stato firmato a Tokyo dai ministri della Difesa dei tre Paesi – l’italiano Guido Crosetto, il britannico Grant Shapps e il giapponese Minoru Kihara. Dovrà ora essere ratificato dai parlamenti dei tre Paesi.
Un anno fa l’annuncio
A dicembre dell’anno scorso i capi dei governi dei tre Paesi – l’italiana Giorgia Meloni, il britannico Rishi Sunak e il giapponese Fumio Kishida – avevano annunciato la fusione tra le ricerche condotte dal Giappone sul jet F-X e da Italia e Regno Unito sul Tempest. Un’intesa che prendeva atto del fatto che “la sicurezza dell’Euro-Atlantico e dell’Indo-Pacifico sono indivisibili”, aveva commentato il primo ministro britannico. Allora i tre governi avevano concordato di sviluppare insieme una piattaforma di combattimento aerea di nuova generazione entro il 2035. Nella nota comune, i capi del governo dei tre Paesi avevano sottolineato in particolare il rispettivo impegno a sostenere l’ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole, a difesa della democrazia, per cui è necessario istituire “forti partenariati di difesa e di sicurezza, sostenuti e rafforzati da una capacità di deterrenza credibile”.
I dettagli
Entrambi i quartieri generali del Global Combat Air Program e la sua controparte industriale avranno sede nel Regno Unito. Il primo amministratore delegato dell’organizzazione governativa verrà dal Giappone, mentre il primo leader dell’organizzazione imprenditoriale verrà dall’Italia. Sotto la supervisione dell’organismo di coordinamento, un consorzio formato dall’azienda aerospaziale italiana Leonardo, dalla giapponese Mitsubishi Heavy Industries e dalla britannica Bae Systems Plc punta a completare la progettazione del nuovo velivolo entro il 2027.
Le parole di Crosetto…
“Essere qui oggi rappresenta per l’Italia, e penso per tutti noi, un traguardo molto importante per il programma Gcap, e allo stesso tempo un messaggio fortissimo perché la nostra partnership è un messaggio per il resto del mondo”, ha detto Crosetto all’inizio dell’incontro trilaterale. “Viviamo in un’epoca molto complessa che è caratterizzata dalla presenza di attori aggressivi sul palcoscenico internazionale”, ha continuato il ministro della Difesa. “Una situazione di instabilità crescente, di competizione tra stati e di rapidi cambiamenti tecnologici. Ed è quindi diventato di vitale importanza rimanere un passo avanti rispetto alle minacce che crescono ogni giorno. Le nostre tre nazioni hanno relazioni antiche consolidate, basate sugli stessi valori di democrazia e libertà, rispetto dei diritti umani e lo stato di diritto. Attraverso il Gcap potremmo sviluppare ancora di più i nostri rapporti e rafforzarli nel campo della difesa”, ha concluso. Per il programma la spesa prevista dal Documento programmatico pluriennale della Difesa per il triennio 2023-2025 è passata dai 3,8 miliardi stimati lo scorso anno ai 7,7 riportati nell’ultimo documento diffuso nelle scorse settimane.
… e quelle di Shapps
“Il nostro programma di aerei da combattimento leader a livello mondiale mira a essere cruciale per la sicurezza globale e continuiamo a fare progressi estremamente positivi verso la consegna dei nuovi jet alle nostre rispettive forze aeree”, ha affermato il ministro britannico Shapps. Il jet stealth supersonico sarà dotato di un radar in grado di fornire 10.000 volte più dati rispetto ai sistemi attuali, ha affermato il governo britannico.
Il Gcap
Il progetto del Global combat air programme è destinato a sostituire i circa novanta caccia F-2 giapponesi e gli oltre duecento Eurofighter britannici e italiani, e prevede lo sviluppo di un sistema di combattimento aereo integrato, nel quale la piattaforma principale, l’aereo più propriamente inteso, provvisto di pilota umano, è al centro di una rete di velivoli a pilotaggio remoto con ruoli e compiti diversi, dalla ricognizione, al sostegno al combattimento, controllati dal nodo centrale e inseriti in un ecosistema capace di moltiplicare l’efficacia del sistema stesso. L’intero pacchetto capacitivo è poi inserito all’intero nella dimensione all-domain, in grado, cioè di comunicare efficacemente e in tempo reale con gli altri dispositivi militari di terra, mare, aria, spazio e cyber. Questa integrazione consentirà al jet di essere fin dalla sua concezione progettato per coordinarsi con tutti gli altri assetti militari schierabili, consentendo ai decisori di possedere un’immagine completa e costantemente aggiornata dell’area di operazioni, con un effetto moltiplicatore delle capacità di analisi dello scenario e sulle opzioni decisionali in risposta al mutare degli eventi.
Le altre aziende italiane coinvolte
Nella nota diffusa dopo l’accordo dalla Difesa italiana vengono evidenziati come risultati del programma: il vantaggio operativo per affrontare le sfide poste dai nuovi scenari attraverso lo sviluppo di un sistema di sistemi, una combinazione di velivoli pilotati e senza pilota, altamente connessi con un numero variabile di altri assetti per aumentare le loro capacità; la sovranità tecnologica e industriale; la prosperità. Infatti, livello industriale, in Italia, il programma è guidato da Leonardo It, che si avvale della collaborazione di Mbda It, Elettronica e Avio Aero, con l’obiettivo di instaurare un processo di cooperazione che coinvolgerà, oltre alle aziende leader nel settore, piccole e medie imprese, centri di ricerca e università, “formando così un network di competenze capace di mettere a sistema le eccellenze nazionali attive sia in ambito industriale che accademico”. Il Gcap “realizzerà tecnologie innovative con rilevanti ricadute in termini di occupazione, competenze e know-how per tutto l’eco-sistema industriale nazionale”, conclude la nota.
Il Niger sceglie Mosca e Pechino e rafforza l’alleanza con Mali e Burkina Faso
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 14 dicembre 2023 – Niger, Mali e Burkina Faso, i paesi del Sahel dove negli ultimi tre anni si sono imposte altrettante giunte militari grazie a colpi di stato, sembrano avviati sulla via di una collaborazione sempre più stretta.
Nei mesi scorsi, infatti, i governi militari di Niamey, Bamako e Ouagadougou hanno già firmato un accordo di cooperazione militare dopo aver espulso le truppe francesi da anni presenti sul loro territorio, indebolendo fortemente l’influenza di Parigi nell’area.
L’Alleanza degli Stati del Sahel si rafforza
Il 16 settembre i leader di Mali, Niger e Burkina Faso avevano ufficializzato la nascita dell’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes), un’iniziativa di natura diplomatica e militare diretta a «garantire l’indipendenza dei tre paesi nei confronti degli organismi regionali e internazionali».
Se all’inizio l’Aes è nata come un patto di difesa comune, diretta a unire le rispettive risorse militari per combattere i gruppi ribelli e jihadisti attivi nel Sahel – per contrastare i quali i governi precedenti avevano chiesto in passato l’intervento delle truppe francesi e dell’Onu – sembra che ora le tre giunte golpiste puntino ad allargare la cooperazione anche ad altri campi.
Recentemente i rappresentanti dei tre paesi si sono nuovamente incontrati a Bamako e al termine della riunione hanno annunciato la firma di protocolli aggiuntivi, l’istituzione di organismi istituzionali e giuridici dell’Alleanza e la «definizione delle misure politiche e del coordinamento diplomatico». I tre governi hanno affermato di voler rafforzare gli scambi commerciali, realizzare insieme progetti energetici e industriali, creare una banca di investimenti e persino una compagnia aerea comune.
Il colonnello Yevkurov firma accordi in Niger
Il Niger diventa una potenza petrolifera
Nei giorni scorsi, poi, il generale golpista Omar Abdourahamane Tchiani, salito al potere lo scorso 26 luglio, ha annunciato l’intenzione di avviare con gli altri due paesi una collaborazione di tipo anche politico e monetario. Tchiani ne ha parlato nel corso di un’intervista rilasciata all’emittente nigerina “Rts”, affermando che «oltre al campo della sicurezza, la nostra alleanza deve evolversi nel campo politico e in quello monetario».
Nell’intervista Tchiani ha informato che Niamey intende esportare già a gennaio i primi barili di greggio sfruttando il nuovo oleodotto che collegherà il giacimento nigerino di Agadem al porto di Seme, in Benin. La realizzazione dell’oleodotto, lungo 2000 km e con una capacità di 90 mila barili al giorno, è ormai in fase conclusiva ed è stata avviata a novembre grazie ai finanziamenti di PetroChina. L’infrastruttura permetterà al Nigerdi diventare una piccola potenza petrolifera aggirando almeno in parte le sanzioni imposte al paese dopo la deposizione del governo filoccidentale. Secondo il capo del settore della raffinazione del petrolio, la produzione petrolifera potrebbe generare un «quarto del Prodotto interno lordo del Paese». La Cnpc, un’impresa di proprietà del governo cinese, è inoltre impegnata nello sfruttamento del bacino del Rift di Agadem e nella costruzione del gasdotto Niger-Benin sostenuto con un investimento da 6 miliardi di dollari.
Che l’avvio della cooperazione monetaria vada in porto o meno, i tre paesi sembrano intenzionati a rompere del tutto i legami con la Cedeao – la Comunità Economica dei Paesi dell’Africa occidentale – che dopo i colpi di stato ha sospeso Bamako, Ouagadougou e Niamey dall’alleanza alla quale fino ad un certo punto Parigi chiedeva di intervenire militarmente per ripristinare i governi estromessi prima di decidere il ritiro delle proprie missioni militari dal Niger chiesta a gran voce dai golpisti.
L’annuncio del generale Tchiani è giunto dopo che domenica scorsa i leader dell’organismo regionale hanno deciso di confermare le sanzioni alla giunta golpista del Niger, che si è rifiutata di rilasciare il presidente deposto Mohamed Bazoum in cambio della loro revoca.
La rottura con Parigi e Bruxelles
Sempre la scorsa settimana i governi di Mali e Niger avevano denunciato, tramite un comunicato stampa congiunto, le convenzioni firmate con la Francia dai governi precedenti miranti al superamento della doppia imposizione fiscale e che disciplinano le norme per la tassazione dei redditi e per le successioni. La decisione di abolire le convenzioni in questione entro tre mesi – afferma la nota – risponde al «persistente atteggiamento ostile della Francia» e al «carattere squilibrato» degli accordi in questione che causano «un notevole deficit per il Mali e il Niger». Se effettivamente attuata, la misura avrà serie ripercussioni sia per i privati che per le imprese domiciliate in Francia e che svolgono attività in Mali e in Niger e viceversa.
Nelle settimane scorse, inoltre, la giunta militare del Niger ha già annunciato la cancellazione degli accordi di difesa e sicurezza siglati con l’Unione Europea, diretti a «combattere il terrorismo, la criminalità organizzata e l’immigrazione irregolare».
Già a fine novembre i golpisti avevano abrogato una legge, precedentemente concordata con la Francia e l’Unione Europea, che puniva il «traffico illecito di migranti» e bloccava il loro transito verso la Libia, spiegando che la decisione risponde alla necessità di una «decolonizzazione dall’occidente».
In un comunicato, lo scorso 4 dicembre il ministro degli Esteri di Niamey ha annunciato di voler revocare anche l’accordo stipulato con l’Ue relativo alla missione civile europea denominata Eucap Sahel Niger, attiva dal 2012 e che attualmente conta su 130 gendarmi e agenti di polizia europei, impegnati finora nell’addestramento dei militari nigerini.
Inoltre la giunta nigerina ha comunicato di aver ritirato il consenso al dispiegamento della “Missione di partenariato militare dell’Ue in Niger” (Eumpm), attualmente a guida italiana. Entro la fine di dicembre, inoltre, si concluderà il ritiro dei circa 1500 militari francesi schierati finora nel paese; secondo quanto riferito da fonti militari francesi citate dall’emittente “Rfi”, rimane da evacuare soltanto la base aérea di Niamey, dove restano circa 400 uomini. In Niger per ora rimangono 1100 militari statunitensi e 250 soldati italiani.
Manifestanti filorussi in Niger
Sempre più vicini a Mosca
Nello stesso giorno dell’annuncio sulla fine della cooperazione con l’UE, a Niamey era giunto in visita il viceministro della Difesa della Federazione Russa, il colonnello Junus-bek Yevkurov, che dopo aver fatto tappa prima in Mali, in Burkina Faso e poi in Libia è stato ricevuto dal generale Tchiani e dal Ministro della Difesa del Niger Salifou Modi con i quali ha siglato un accordo che prevede il rafforzamento della cooperazione militare fra i due paesi.
A Bamako la delegazione russa è stata ricevuta dal capo del “governo di transizione maliano”, il colonnello Assimi Goita. Al termine dei colloqui il ministro dell’Economia e delle Finanze del paese africano, Alousseni Sanou, ha riferito che con i russi si è parlato della costruzione di una rete ferroviaria, di uno stabilimento per la lavorazione dell’oro estratto nelle miniere maliane e di un accordo per la realizzazione di una centrale nucleare. La realizzazione di una centrale nucleare in Burkina Faso è stata invece al centro dei colloqui tra i rappresentanti di Mosca e la giunta di Ouagadougou.
Basta alle missioni Onu
Come se non bastasse, il 2 dicembre il Niger e il Burkina Faso hanno annunciato il proprio ritiro dal gruppo “G5 Sahel”, creato nel 2014 grazie ai finanziamenti dell’Unione Europea per coordinare la lotta contro il terrorismo jihadista. L’anno scorso era stato il Mali ad abbandonare il progetto che coinvolge ora soltanto la Mauritania e il Ciad che però hanno già informato di voler sciogliere il coordinamento ormai privo di senso.
La giunta militare di Bamako, al potere dal 2021, ha invece deciso recentemente di mettere fine a dieci anni di presenza in Mali della Missione militare dell’Onu denominata Minusma, avviata nel 2012 per contrastare l’insurrezione jihadista. L’11 dicembre i vertici della missione internazionale, nel corso di una mesta cerimonia, hanno ammainato la bandiera delle Nazioni Unite dal quartier generale delle truppe dell’Onu. Il ritiro del contingente internazionale dalle 12 basi sparse per il Mali, che ospitavano 12 mila caschi blu e 4300 dipendenti civili, dovrebbe concludersi entro il 31 dicembre proprio mentre le milizie jihadiste intensificano gli attacchi contro l’esercito e conquistano nuovi territori.
I jihadisti avanzano nonostante la Wagner
A fine agosto i miliziano dei “Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani” (Jnim) hanno occupato Timbuctù, infliggendo un duro colpo alle forze fedeli alla giunta militare maliana che, nel tentativo di contrastare l’offensiva jihadista, ha stretto un accordo con le milizie mercenarie russe della Wagner. La decisione ha però scatenato le proteste dei movimenti tuareg che in molte aree costituiscono l’unico baluardo efficace contro i combattenti fondamentalisti. In alcuni territori le milizie tuareg indipendentiste, riunite nel “Coordinamento dei movimenti dell’Azawad”, hanno ingaggiato violenti scontri con l’esercito regolare e i paramilitari della Wagner, che recentemente avrebbe iniziato ad operare utilizzando la denominazione di “Africa Corps”. Secondo molti analisti la compagnia mercenaria, dopo la morte dei suoi vertici in un “incidente aereo” nell’agosto scorso, sarebbe meno autonoma dal governo di Mosca rispetto alla Wagner e dovrebbe limitare le proprie attività proprio al continente africano in stretta sintonia con le esigenze politiche ed economiche del Cremlino. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo Il Niger sceglie Mosca e Pechino e rafforza l’alleanza con Mali e Burkina Faso proviene da Pagine Esteri.
Operazione Thunder. INTERPOL contrasta i reati contro la fauna selvatica e le foreste. Criminalità organizzata transnazionale e seria minaccia alla sicurezza globale
----
Del ruolo dei carabinieri forestali per la tutela della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (#CITES), abbiamo parlato nel nostro blog (leggi qui)
Ora #INTERPOL ha reso noti i risultati di una attività che ha coinvolto, dal 2 al 27 ottobre, funzionari doganali (coordinati dalla Organizzazione Mondiale delle Dogane #OMD) e di polizia e che ha consentito circa 500 arresti in tutto il mondo e più di 2.000 confische di animali e piante protetti (elefanti, rinoceronti e pangolini, legni duri tropicali).
L'operazione globale, denominata Thunder, alla sua settima edizione, è coordinata annualmente dall'INTERPOL e dall'OMD con il sostegno della CITES e del Consorzio internazionale per la lotta ai crimini contro la fauna selvatica. Quest'anno ha coinvolto ben 133 paesi. Si tratta del più alto tasso di partecipazione a tale tipo di attività, da quando la campagna annuale delle forze dell'ordine fu lanciata nel 2017.
Tra i 2.114 sequestri più di 300 kg di avorio, migliaia di uova di tartaruga, 30 tonnellate di piante, dozzine di parti del corpo di grandi felini e corni di rinoceronte, oltre a primati, uccelli e specie marine. Inoltre confiscati 2.624 metri cubi di legname, che equivalgono a 440 container.
Sono stati esaminati centinaia di pacchi, valigie, veicoli, barche e trasportatori di merci in quanto spesso utilizzati per nascondere specie selvatiche come questa tartaruga sequestrata in Thailandia
Durante l'operazione Thunder 2023 sono stati sequestrati un totale di 1.370 uccelli vivi, come questi psittacini elencati dalla CITES, intercettati dalle autorità indiane
Controlli mirati in Brasile: decine di impianti di legname sono stati ispezionati durante l'Operazione Tuono 2023
Le tendenze del traffico
I dati iniziali hanno permesso alla polizia e alle dogane di identificare alcune tendenze chiare:
- Il 60% dei casi di traffico di specie selvatiche è risultato legato a gruppi criminali organizzati transnazionali, operanti lungo rotte note anche per il contrabbando di altri prodotti illegali;
- I rettili protetti e la vita marina vengono sfruttati per la moda dei marchi di lusso;
- Le piattaforme di vendita online vengono ancora utilizzate per vendere fauna selvatica, legname e prodotti marini;
- Il legname illegale e legale viene miscelato per il trasporto in modo da rendere difficile l'individuazione del legname tagliato illegalmente;
- I gruppi della criminalità organizzata transnazionale ricorrono ad alti livelli di frode documentale, in particolare l'uso di certificazioni contraffatte e permessi CITES e il riutilizzo dei permessi.
Il segretario generale dell'INTERPOL Jürgen Stock ha dichiarato:
"Animali, uccelli e piante importanti e in via di estinzione sono messi a rischio di estinzione dai trafficanti di fauna selvatica e legname. Questi crimini spaventosi non solo privano il mondo di animali e piante unici, ma anche i paesi dei loro beni e risorse naturali.
"I costi per le comunità sono ancora maggiori, perché, come dimostra questa operazione, quasi tutti i crimini ambientali hanno legami con altre forme di criminalità, tra cui la violenza, la corruzione e la criminalità finanziaria, ma hanno anche forti legami con i gruppi della criminalità organizzata transnazionale.
"Mentre il mondo è alle prese con le conseguenze devastanti del degrado ambientale e dell'estinzione delle specie, l'INTERPOL e l'OMD stanno emergendo come leader nella salvaguardia della biodiversità e della sicurezza mondiale".
Le autorità portoghesi ispezionano un negozio di animali il cui proprietario è sospettato di essere coinvolto nella vendita illegale di specie protette
L'INTERPOL e l'OMD hanno condiviso intelligence, coordinato le indagini e messo in comune le loro risorse per consentire alla polizia e ai funzionari doganali in prima linea di individuare, identificare e arrestare i trafficanti, compresi quelli che operano online, mentre cercavano di contrabbandare animali o legname attraverso le frontiere.
I trafficanti noti ricercati attraverso il sistema di allerta Red Notice dell'INTERPOL sono stati identificati prima delle operazioni e sono stati successivamente presi di mira quando hanno attraversato le frontiere.
Centinaia di veicoli, tra cui automobili, camion e navi da carico, sono stati perquisiti ai posti di blocco in tutte le regioni. Cani da fiuto specializzati e scanner a raggi X sono stati impiegati per rilevare la fauna selvatica nascosta e le spedizioni di legname mimetizzato. Sono stati esaminati centinaia di pacchi, valigie, veicoli, barche e trasportatori di merci in quanto spesso utilizzati per nascondere le specie selvatiche trasportate.
Il Segretario Generale della CITES, Ivonne Higuero, ha dichiarato:
"I risultati dell'Operazione dimostrano ancora una volta che risposte forti e coordinate tra le parti sono fondamentali per affrontare le reti criminali transnazionali coinvolte nei crimini contro la fauna selvatica.
"Sforzi ben mirati, unificati e coordinati come quelli mobilitati attraverso questa operazione globale sono esattamente ciò di cui c'è bisogno per superare la minaccia rappresentata dai crimini contro la fauna selvatica".
Dialoghi – SOS: sfide ed evoluzione della risposta cinese alle emergenze
A vent’anni dall’esplosione della pandemia di Sars in Cina com’è evoluta la strategia della Repubblica popolare per rispondere a catastrofi naturali ed emergenze sanitarie? Dal 2003 sono tanti i tentativi avviati da Pechino per implementare un sistema tempestivo di soccorso. La parola chiave resta la“mobilitazione”. “Dialoghi” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano
L'articolo Dialoghi – SOS: sfide ed evoluzione della risposta cinese alle emergenze proviene da China Files.
Emily Fox likes this.
Denuncia GDPR contro X (Twitter) per micro-targeting illegale per gli annunci di controllo della chat X ha permesso il microtargeting politico illegale utilizzato dalla Commissione europea
Maronno Winchester reshared this.
Threads sta ufficialmente iniziando a testare l'integrazione di ActivityPub. Iniziamo a comprare il silicone, perché potrebbe essere necessario sigillare i tombini del Fediverso!
"Sarà avviato di un test in cui i post degli account Threads saranno disponibili su Mastodon e altri servizi che utilizzano il protocollo ActivityPub. Rendere i thread interoperabili darà alle persone una maggiore scelta su come interagire e aiuterà i contenuti a raggiungere più persone. Sono abbastanza ottimista su questo."
Il CEO di Meta, Mark Zuckerberg, ha annunciato che la società ha iniziato a testare i post mostrati su Mastodon e altri servizi di ActivityPub
Informa Pirata likes this.
“Colpevoli e vincenti”: alla FLE presentato il nuovo libro di Davide Giacalone, con Gelmini e Paita
“Colpevoli e vincenti. Gli occidentali contro se stessi” è il titolo del nuovo libro del direttore de La Ragione, Davide Giacalone. Il volume, edito da Rubbettino, è stato presentato questa sera nell’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi. “Viviamo nell’area più ricca, libera, sana e longeva del mondo. Eppure non si sente che parlare delle colpe occidentali, del declino, della soccombenza, della debolezza, della povertà”, ha detto Giacalone. “Ma c’è una radice profonda, in quell’antioccidentalismo degli occidentali, e va cercata nella paura della libertà, che comporta sempre una collettiva e personale responsabilità. Molti orfani delle ideologie novecentesche non apprezzano la libertà di sognare e realizzare, ma tremano alla mancanza delle false certezze. Senza le quali si vive assai meglio”.
Dopo i saluti introduttivi del presidente della Fondazione Luigi Einaudi, Giuseppe Benedetto, la senatrice di Azione, Maria Stella Gelmini, e la senatrice di Italia Viva, Raffaella Paita, hanno dato vita a un dibattito sui temi affrontati dal libro, moderate dal vicedirettore del TgLa7, Andrea Pancani.
“Ringrazio la Fondazione Einaudi e Davide Giacalone per questo libro, che ci aiuta molto perché ci dà le ragioni delle conquiste che l’occidente ha conseguito negli anni e prova, forte di questa consapevolezza, ad affrontare le sfide del presente e del futuro”, ha detto Gelmini. “Dobbiamo recuperare l’orgoglio e la consapevolezza di queste conquiste, abbandonare i populismi e riscoprire la complessità. Oggi abbiamo un appuntamento con la storia, a partire dall’Ucraina. Non si possono interrompere gli aiuti, è una battaglia fondamentale che vede di fronte la democrazia contro le autocrazie. Per troppi anni ci siamo occupati solo di politica interna e ora la politica estera ci presenta il conto: l’Ucraina, il Medio Oriente, quello che succede in Iran, tutto si tiene. Dobbiamo ripartire e riscoprire la fatica della democrazia, e dobbiamo farlo attraverso il riformismo. Ristabilire un nuovo patto di fiducia con gli elettori creando uno spartiacque tra riformisti e populisti, ovvero chi banalizza e cavalca soltanto le paure”.
Per Raffaella Paita, quello di Giacalone “è un libro di amore e di speranza verso l’occidente”, oggi però “un grande sistema burocratico si è mangiato questa speranza”. Il problema più profondo che abbiamo”, ha detto, “è quello di essere arrivati ad avere una società con logiche autorefenziali che non riesce a raggiungere i suoi obiettivi di cambiamento. E l’occidente ha rinunciato al suo primato culturale. La cancellazione della cultura è un elemento sul quale dobbiamo discutere e dobbiamo farlo in termini spietati. La sfida più importante che abbiamo davanti è quella di una grande riforma istituzionale dell’Europa, una sfida che dobbiamo legare alla competizione elettorale che avremo tra pochi mesi”.
L'articolo “Colpevoli e vincenti”: alla FLE presentato il nuovo libro di Davide Giacalone, con Gelmini e Paita proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Natali
Natale è Natale, non è la “festività di fine anno”. Molti anni prima che a qualcuno venisse la bislacca idea di assegnare a una ricorrenza il malevolo significato di volere discriminare quanti non vi si riconoscono, molto tempo prima che il politicamente sciocco pretendesse i panni del corretto, i cultori della festività religiosa lamentavano la sua desacralizzazione e la sua riduzione a festa dei consumi e dei regali. Agli uni e agli altri vada un mesto pensiero.
Due cose, però, sono giunte a ricordarci che il problema non è archiviato. Due cose accadute in due diversi e lontani palazzi istituzionali. Il presidente francese ha invitato all’Eliseo il rabbino capo di Francia perché colà accendesse la prima luce di Hanukkah, festività ebraica che ricorda la riconsacrazione del Tempio nel II secolo avanti Cristo (taluni pretendono non si scriva neanche «avanti Cristo», discriminatorio). Considerata la stagione che viviamo e il riemergere del ripugnante antisemitismo, ha fatto bene. Hanukkah non è il “Natale ebraico”, ma non è privo di significato che, nel tempo, le principali festività religiose tendono a convergere nei calendari, così come fece il Natale cristiano con le ricorrenze dell’impero romano e pagano. Non di meno ne è nata una polemica, perché in Francia la laicità è consustanziale alla Repubblica e quella luce è stata accesa nel palazzo presidenziale.
A Monfalcone c’è il problema opposto: i musulmani non hanno un luogo dove riunirsi e pregare, non c’è una moschea. Lo hanno fatto all’aperto e sono stati raggiunti da una ordinanza municipale che lo proibisce. Liberi di pregare, ma lo facciano a casa propria, ciascuno per i fatti propri. Significativo che a protestare siano stati non solo i diretti interessati, ma anche i parroci delle vicinanze. Le comunità di fede sono poco frequentate e il problema che avvertono è che siano libere ma anche che attirino i fedeli, non le ordinanze. Da noi la questione dovrebbe essere stata risolta dalla Carta che diede i natali alla Repubblica, che impone di non discriminare per fedi (art. 3) e stabilisce la libertà di culto (art. 19). Ma nulla si risolve una volta per tutte e certe questioni tornano a gola. Lo Stato laico è una conquista della nostra civiltà occidentale e, per noi italiani, una acquisizione assai sofferta, che diede i natali all’Unità stessa d’Italia (Roma divenne capitale anni dopo perché il pontefice la considerava sua e, per ‘liberarla’, si dovette mandare l’esercito). Quei due articoli della Costituzione non sono una graziosa concessione agli ‘altri’, ma una potente affermazione della nostra identità. Violarli o relativizzarli non serve a combattere altre fedi, serve a distruggere noi stessi. Ditegli di smettere.
La laicità non è la cancellazione delle fedi e dei culti, ma la loro convivenza. Il che richiede una impegnativa crescita culturale, perché non subordina la fede ad alcunché ma subordina il culto e i riti al rispetto della legge. Posso pure affiliarmi a un culto che evoca sacrifici umani, ma se provo a praticarli mi mettono – giustamente – in galera. Facciamo un esempio più scomodo: si può ben stabilire che in un culto il sacerdozio sia esclusivamente maschile, ma non si può mai farne discendere, fuori dal rito, una violazione della parità senza distinzione di genere. Lo Stato laico non regola il culto, ma il culto non può negare la laicità dello Stato. Un equilibrio delicato, che può essere messo in pericolo dall’arrivo di genti che non ne hanno vissuto la sostanza fin dalla nascita, meno secolarizzate. Un equilibrio che però non si difende negando quella loro differenza, bensì chiarendo che la legge qui prevale proprio perché non nega. Ecco perché leggi e ordinanze che negassero non sarebbero contro di ‘loro’, ma contro di noi.
Quanti sostengono che non si debba dire “Natale”, in nome della inclusività e del rispetto, non sono la punta avanzata della laicità: sono gli avanzi di un fondamentalismo che ha smarrito i fondamentali.
La Ragione
L'articolo Natali proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Non solo Leopard. Tutte le potenzialità dell’accordo tra Leonardo e Knds
Un’alleanza strategica per la difesa terrestre, in vista dei grandi programmi per i veicoli da combattimento del futuro. Questo il risultato della firma, presso la sede del Segretariato generale della Difesa, dell’intesa per lo sviluppo di una collaborazione industriale tra Leonardo e Knds, il gruppo franco-tedesco che realizza, tra gli altri, gli obici semoventi d’artiglieria PzH 2000 (già in uso presso il nostro Esercito) nonché i carri armati Leopard 2A8 che a partire dal 2024 saranno acquisiti dal nostro Paese per affiancare i carri Ariete modernizzati in versione C2. Proprio sul carro Leopard, Leonardo e Knds hanno stabilito l’implementazione congiunta del programma di approvvigionamento, all’interno del quale le due aziende collaboreranno nello sviluppo, nella costruzione e nella manutenzione del Main battle tank (Mbt) per l’Esercito italiano, oltre che nelle piattaforme di supporto. L’obiettivo dell’accordo è la creazione di un Gruppo di difesa europeo, oltre al rafforzamento della collaborazione nel campo dell’elettronica terrestre.
Verso i carri del futuro
Oltre ai programmi già in corso, l’alleanza strategica tra i due giganti ha come orizzonte la collaborazione sui programmi di sviluppo per i mezzi corazzati del futuro. L’accordo consentirà di implementare programmi di collaborazione tra le nazioni europee attraverso il rafforzamento delle proprie basi industriali e lo sviluppo della futura generazione di piattaforme per veicoli blindati, tra le quali l’Mgcs (Main ground combat system) – progetto franco-tedesco dal quale l’Italia è rimasta finora esclusa – e ha l’obiettivo congiunto di accrescere ulteriormente le capacità di produzione e sviluppo in Italia e di utilizzarle per futuri progetti europei e di export. L’iniziativa si inserisce nella consapevolezza, più volte segnalata anche dai vertici della Difesa, che nessun Paese europeo può farcela da solo quando si tratta di programmi d’armamento di prossima generazione. Il livello tecnologico raggiunto da tutte le piattaforme, tra cui spicca la necessaria digitalizzazione e integrazione dei singoli sistemi all’interno del più grande e complesso scenario multidominio, richiedono infatti lo sforzo congiunto di più Paesi al fine di avere strumenti efficaci e sostenibili. Questa dimensione, inoltre, per quanto riguarda il settore terrestre, non si limita ai soli carri armati, investendo direttamente anche i veicoli blindati per la fanteria, così come i sistemi di difesa contraerea terrestri e le piattaforme elicotteristiche per il supporto alle forze di terra.
Nel solco del Dpp
L’intesa raggiunta tra Leonardo e Knds, inoltre, è pienamente in linea sia con quanto previsto dal Piano di azione recentemente siglato dai governi di Italia e Germania, nel quale la cooperazione in materia di difesa rappresenta uno dei pilastri fondamentali della relazione tra Roma e Berlino, sia con il Documento programmatico della Difesa 2023-2025 presentato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, il quale si concentra soprattutto nel potenziamento della capacità di combattimento pesante dell’Esercito. Quello che emerge dai numeri e dalle impostazioni del Dpp, infatti, è lo sforzo di ammodernamento e potenziamento dello strumento militare, chiamato ad affrontare il ritorno della sfida convenzionale nell’orizzonte delle minacce, e per la quale le Forze armate devono essere messe nelle condizioni di affrontarla. Uno sforzo che segue anni di focus sui conflitti a bassa intensità e operazioni di contro-insorgenza. Tra i principali gap individuati, e da tempo segnalati dall’intero comparto militare, c’è l’adeguamento della componente pesante delle forze di terra in ogni sua parte, che infatti registra la maggior parte dei programmi di previsto avvio (budget complessivo di quattro miliardi e 623 milioni), a cominciare dall’acquisto dei carri armati da battaglia Leopard 2 e dai veicoli da combattimento per la fanteria Aics (Armored infantry combat system), che dovranno sostituire i Dardo. Due programmi che insieme valgono circa dieci miliardi di euro.
Verso un polo terrestre?
Sulle collaborazioni industriali quale strumento per il rafforzamento della difesa europea è intervenuto di recente anche lo stesso ministro della Difesa, che intervenendo al Forum Adnkronos al palazzo dell’Informazione, registrava come proprio nel settore terrestre l’Italia avrebbe potuto giocare un ruolo da protagonista. Crosetto ha infatti sottolineato come tutti i governi abbiano fatto “interventi che consentono all’Italia di avere un potenziale investimento che permette alla nostra industria di consolidarsi e fare alleanze europee”. Proprio riferendosi alla scelta del carro armato tedesco Leopard, il ministro aveva auspicato la “potenziale creazione di un polo terrestre italo-franco- tedesco”. L’accordo siglato da Leonardo e Knds, allora, potrebbe proprio rappresentare il primo significativo passo verso questo scenario.
European Health Data Space: EU Parliament opposes mandatory electronic patient records for all citizens, but supports granting access to sensitive health data without asking patients
Members of the European Parliament today voted in plenary by a large majority in favour of the creation of a “European Health Data Space”, which would bring together information on all medical treatment received by citizens in a remotely accessible and interconnected electronic health records system. Thanks to an amendment tabled by digital freedom fighter Patrick Breyer (Pirate Party), together with MEPs from S&D, Greens and the Left, a parliamentary majority voted at the last minute to allow Member States to give their citizens a right to object to the collection of their health records in a remotely accessible and interconnected system. Such right to opt-out exists in Germany and Austria already. The final wording of the law will need to be negotiated with the EU governments, whose mandate does not so far allow for a right to object to the collection of health data. Other amendments initiated by Breyer, according to which patients should be asked before their patient data is made available to doctors or researchers, were not supported by a majority.
”A compulsory electronic patient file with Europe-wide access entails irresponsible risks of theft, hacking or loss of the most personal treatment data and threatens to deprive patients of any control over the collection of their illnesses and disorders,” emphasises Breyer, co-lead negotiator for the Greens/European Free Alliance group in the EU Parliament’s Civil Liberties Committee. “This is nothing other than the end of medical confidentiality. Have we learnt nothing from the international hacker attacks on hospitals and other health data?
If every mental illness, addiction therapy, every potency weakness and all abortions are forcibly networked, worried patients risk being deterred from urgent medical treatment – this can make people ill and put a strain on their families! In the trilogue negotiations, I will fight to ensure that national opt-out schemes are clearly allowed for in the legislation.”
In the final vote, Breyer opposed the bill. There was no majority for amendments to the rule that patients will need to actively object to disclosing their health data to healthcare providers and researchers (opt-out). Citizens will not be asked for consent or asked verbally whether they wish to opt out.
Breyer explains: “For many patients who have little time or limited language skills, or who are older, it is too complicated to have to object in writing to a specific authority or to use digital tools to object. International standards such as the International Code of Medical Ethics of the World Medical Association or the Helsinki Declaration on the Ethical Principles of Medical Research have so far required that the patient’s consent be obtained before medical information is disclosed. An opinion poll we commissioned confirms that citizens expect to be asked for their consent before their health data is shared. Every website asks us for permission before setting a cookie, but we are not to be asked before our health data is shared? This system takes away patients’ control over their data and is unacceptable.”
According to a survey by the European Consumer Organisations (BEUC), 44% of citizens are concerned about the theft of their health data, and 40% fear unauthorised data access.
The first round of trilogue negotiations between the EU Council, EU Parliament and EU Commission is due to take place tomorrow. The Parliament‘s rapporteur wants to finalise the negotiations by 2024.
Emily Fox likes this.
Informa Pirata
Unknown parent • •