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In Cina e Asia – Pechino condanna blogger australiano alla pena di morte sospesa
Pechino condanna blogger australiano alal pena di morte sospesa
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L'articolo In Cina e Asia – Pechino condanna blogger australiano alla pena di morte sospesa proviene da China Files.
UNA SFIDA AMBIZIOSA: IL PROGETTO EUROPEO “@ON”, GUIDATO DALLA DIREZIIONE INVESTIGATIVA ANTIMAFIA (DIA) ITALIANA
Nel numero di gennaio 2024 di Polizia Moderna, il mensile della Polizia di Stato, un approfondito articolo di Renzo Nisi (Capo del III Reparto relazioni internazionali a fini investigativi della Dia) che tratta della rete internazionale di polizia @ON, guidata dalla italiana Direzione Investigativa Antimafia (DIA).
Il progetto europeo denominato "@ON" mira a creare una rete tra le forze di polizia coinvolte, fornendo loro informazioni rapide sulle formazioni criminali internazionali su cui stanno indagando. Ciò avviene attraverso il canale sicuro “Siena” di Europol e la creazione di un database internazionale relativo alla criminalità organizzata.
La Rete @ON annovera 45 forze di polizia di 38 paesi diversi (vedi la nota in fondo). In qualità di capofila, la Dia si impegna nello sviluppo del progetto in maniera più strategica per il contrasto alla criminalità organizzata, concretizzandone gli interventi nella vera e propria attività di indagine attraverso l'utilizzo delle potenzialità disponibili.
L’Italia e la Dia sono in prima linea in questo senso, mettendo a disposizione conoscenze e competenze per contrastare efficacemente la criminalità organizzata in tutte le sue forme. Una sfida ambiziosa, che il Paese e la Dia hanno già raccolto e sono determinati a portarla a compimento.
La Direzione Investigativa Antimafia punta sulla cooperazione internazionale contro la criminalità organizzata non solo sul fronte operativo ma anche attraverso un'operazione più proattiva di educazione delle Forze di Polizia partner straniere, per sensibilizzare sulla criminalità transnazionale e sulla criminalità di tipo mafioso. Nell'ottobre 2013 è stata adottata la Risoluzione del Parlamento Europeo sulla criminalità organizzata e sul riciclaggio di denaro. Ciò ha portato alla creazione della Rete Operativa Antimafia @ON, una rete progettata per rispondere a specifiche esigenze di intelligence e ricevere informazioni europee e italiana in contrasto alla criminalità transnazionale di tipo mafioso.
La Rete @ON collabora con Europol e il Servizio di Cooperazione Internazionale (Scip) della Direzione Centrale di Polizia Criminale del Ministero dell’Interno, attuando quello che viene denominato il “Metodo Falcone”: centralizzare le informazioni sui gruppi criminali organizzati e snellire le procedure per gli investigatori. La Rete @ON si propone inoltre di sviluppare un approccio “amministrativo” per il contrasto alla criminalità organizzata e di tipo mafioso, recuperando i fondi criminali illecitamente acquisiti.
Il documento della Commissione Europea "Strategia dell'Ue per la lotta alla criminalità organizzata 2021-2025" delinea gli obiettivi e gli obiettivi della Rete @ON e del progetto ISF4@ON. L’obiettivo è intensificare la repressione delle strutture della criminalità organizzata, concentrandosi sui gruppi che rappresentano maggiori rischi per la sicurezza e gli individui europei. In sintesi, il documento:
• sottolinea la necessità di un efficace scambio di informazioni tra le autorità contraccettive e quelle giudiziarie per una lotta efficace contro la criminalità organizzata,
• espande, modernizza e finanzia la Piattaforma multidisciplinare europea per la lotta alla criminalità (EMPACT), una struttura che riunisce tutte le autorità europee e nazionali per identificare e combattere le attività criminali prioritarie,
• aggiungerà al quadro "Prum" per lo scambio di informazioni sul DNA, le impronte digitali e l'immatricolazione dei veicoli,
• prevede un codice di cooperazione di polizia dell'UE per sostituire il mosaico di diversi strumenti e accordi di cooperazione multilaterale,
• tende a rendere i sistemi di informazione interoperabili per la gestione del sospetto, delle frontiere e della migrazione entro il 2023,
• migliora la cooperazione dell'UE per contrastare tipologie specifiche di reati,
• esamina le norme UE rispetto agli impatti ambientali,
• crea un accordo a livello europeo per contrastare la contraffazione, in particolare quella dei dispositivi medici,
• presenta misure contro il commercio illegale di beni culturali,
• riesamina il quadro normativo dell'UE sulla confisca dei proventi, sviluppa norme anti-corruzione, e valuta la normativa anti-corruzione dell'UE.
Per saperne di più:
- L’articolo sul web qui => poliziamoderna.poliziadistato.…
- Un fascicolo, in pdf, in italiano, contenente l’intero articolo scaricabile qui => poliziamoderna.poliziadistato.…
- Il documento (in pdf) della Commissione Europea, in italiano, scaricabile qui => eur-lex.europa.eu/legal-conten…
Nazioni che partecipano alla rete @ON: Francia, Germania, Spagna, Belgio e Paesi Bassi costituiscono con l’Italia il Core Group della Rete. Unitamente ad Europol sono partner: Ungheria, Austria, Romania, Australia, Malta, Svizzera, Repubblica Ceca, Slovenia, Polonia, Croazia, Georgia, Norvegia, Albania, Portogallo, Usa, Svezia, Canada, Lettonia, Lussemburgo, Lituania, Estonia, Bulgaria, Montenegro, Ucraina, Cipro, Bosnia-Erzegovina, Irlanda, Kosovo, Finlandia, Grecia, Moldova e Islanda.
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La DPA tedesca dichiara illegale lo scambio di dati tra agenzia di credito e commerciante di indirizzi vittoria di noyb in Germania in un procedimento contro l'agenzia di riferimento creditizio CRIF e il commerciante di indirizzi Acxiom
giornalismolibero.com/la-strat…
L’Italia e la riscoperta del potere marittimo. Scrive l’amm. Sanfelice di Monteforte
L’anno appena passato ci ha lasciato in eredità una serie di conflitti che hanno spaventato la nostra opinione pubblica, e l’hanno costretta a comprendere alcune verità che, per troppo tempo, erano state sottovalutate o, quanto meno, date per acquisite.
La prima di queste verità è che il nostro benessere dipende, per gran parte, dalla nostra industria manifatturiera. Siamo riusciti a migliorare la qualità di vita di una parte notevole della nostra popolazione grazie a questo indirizzo economico, che fu impostato quasi ottant’anni fa, e che ci ha reso uno dei dieci Paesi più prosperi al mondo.
La seconda verità – più precisamente il corollario di quanto visto prima – è che noi siamo un Paese di trasformazione: non avendo nel nostro territorio né alcuni cereali, né materie prime né tantomeno energia in quantità adeguata, dobbiamo importarle. Grazie a queste importazioni, possiamo anzitutto vivere, poi produrre e infine esportare prodotti finiti.
La terza e ultima verità – quella in passato più trascurata dai media – è che la nostra attività di import-export avviene per la massima parte via mare. Il commercio internazionale marittimo, quindi, è al tempo stesso la fonte primaria della nostra esistenza e dell’economia nazionale e, per converso la nostra principale vulnerabilità. Chi ci vuol male, quindi, non deve fare altro che chiudere uno dei due accessi al Mediterraneo, gli Stretti di Gibilterra e di Suez/Bab-el-Mandeb, e il gioco è fatto.
La nostra opinione pubblica e il mare
Pochi sanno che il concetto di “Potere Marittimo” è stato elaborato, per la prima volta, da un ufficiale di Marina napoletano, il comandante Giulio Rocco, il quale lo definì, nel lontano 1814, come, “nell’ordine politico una forza somma risultante da quella di una ben ordinata Marina Militare e di una numerosa Marina di Commercio” (Riflessioni sul Potere Marittimo, Lega Navale Italiana, 1911, pagina 1).
Questa definizione, ripresa mezzo secolo dopo da studiosi stranieri, indica bene la stretta connessione tra la Marina Militare e il commercio internazionale marittimo, ma non si diffuse in modo adeguato al di là dei ristretti circoli di governo. Alcuni nostri governanti, a dire il vero, avevano chiara la nostra dipendenza dal mare, tanto da istituire, poco dopo la nascita del Regno d’Italia, il Ministero della Marineria, che per decenni si occupò sia della componente marittima militare sia di quella mercantile.
Inoltre, già nel 1914 un nostro presidente del Consiglio, Antonio Salandra, dimostrò di capire bene le implicazioni strategiche di questa nostra dipendenza, tanto da affermare che, in quell’anno, “non erano venute meno le ovvie ragioni per le quali a noi era impossibile partecipare a una guerra contro Francia ed Inghilterra alleate; non l’estensione delle nostre coste indifese e delle nostre grandi città esposte; non il bisogno assoluto di rifornimenti per via di mare di cose essenziali all’economia nazionale ed alla vita stessa: grano e carbone soprattutto” (La Neutralità Italiana, Mondadori, 1928, pagg. 92-93).
Purtroppo, nel primo dopoguerra questa realtà fu trascurata, tanto che noi ci alleammo alla potenza continentale, la Germania, contro le Potenze marittime. Fu infatti, nella Seconda Guerra Mondiale, un vero miracolo che l’Italia resistesse tre anni, senza importazioni via mare di cibo e di materie prime.
Le Potenze Marittime, infatti, avevano avuto buon gioco nel tagliarci da ogni fonte di approvvigionamento oltremare, con effetti devastanti sulla nostra economia. Valga, a titolo di esempio, l’osservazione dell’ammiraglio Luigi Rizzo, presidente dei Cantieri dell’Adriatico durante il conflitto, il quale scrisse: “Ringrazio Dio che non dobbiamo lavorare sulla (corazzata) Impero, poiché l’impresa sarebbe impossibile avendo gli approvvigionamenti a gocce per poter rispettare i programmi di lavoro” (Giorgio Giorgerini, Da Matapan al Golfo Persico, Mondadori, 1989, pag. 549). Ovviamente, se l’industria bellica languiva, ancora più drammatica era la situazione delle industrie in generale, visto che non arrivavano i minerali, ma – quel che è peggio – non arrivava neanche il grano, e la fame divenne ben presto endemica.
Finita la guerra e iniziata la ricostruzione, la nostra opinione pubblica non si accorse che il nostro miracolo economico era in gran parte legato al mare, e si preoccupò solo della minaccia terrestre proveniente dal Patto di Varsavia, attraverso Tarvisio e la “Soglia di Gorizia”.
La frustrazione di chi aveva il compito di proteggere la prima fonte del nostro benessere, il commercio internazionale marittimo, fu tale che un Capo di Stato Maggiore della Marina scrisse, negli anni della Guerra Fredda, a proposito della nostra opinione pubblica: “le signore sono convinte che il mare serva per farci (sic) i bagni e i mariti credono che fatto e spedito il prodotto, tutto sia finito. Invece l’incerto ha principio proprio in quel momento. Se, arrivato al bagnasciuga, il prodotto non prosegue e non è ricambiato dalla materia prima che consente di continuare a lavorare, si muore di fame” (Virgilio Spigai, Il problema navale italiano, Vito Bianco Editore, 1963, pag. 23).
Fortunatamente, la realtà dei fatti, prima o poi, si impone all’attenzione generale e la nostra opinione pubblica ha acquisito una consapevolezza che solo qualche decennio fa non si pensava potesse conseguire.
Il primo aspetto che è balzato all’attenzione generale è che il commercio internazionale è un sistema estremamente fragile, ed è esposto a offese non solo da parte delle Grandi Potenze, le cui Marine militari sono un elemento di pressione notevole, ma anche da piccoli attori, statuali o meno, che possono sfruttare i punti sensibili delle rotte commerciali, in particolar modo le strettoie (in inglese choke points, ovvero strozzature), come è avvenuto pochi anni fa nello Stretto di Hormuz e avviene ora a Bab-el-Mandeb.
Il secondo aspetto, ancora non del tutto recepito, è che il mare è fonte di ricchezza, non solo per le proprie risorse ittiche, ma anche per i minerali e le fonti energetiche ricavabili dai fondali marini, diventati disponibili grazie alle tecnologie di estrazione sviluppate in questi ultimi decenni.
Le ricchezze fanno gola a chi non le possiede, o non è in grado di utilizzarle, e questo è vero per gli individui e, soprattutto, per gli Stati. Da qui la serie infinita di contenziosi tra nazioni confinanti sull’estensione della piattaforma continentale e della connessa Zona economica esclusiva (Zee), che garantisce allo Stato che ne esercita la sovranità il diritto esclusivo di sfruttamento.
Naturalmente, vi sono le Nazioni marittime che cercano di limitare queste rivendicazioni, in nome della libertà dei mari, e altre, invece, che tendono a “territorializzare” le acque prospicienti le loro coste.
A questo proposito, “non bisogna dimenticare che, per alcune Nazioni, i diritti di sovranità sugli spazi marittimi rappresentano interessi vitali, in quanto mettono in gioco la loro sopravvivenza economica, e quindi esse sono disposte a compiere atti che alla controparte potrebbero apparire sproporzionati” (come scrivo nel libro Guerra e mare. Conflitti, politica e diritto marittimo, Mursia, 2015, pag. 62).
Questa osservazione è ancora più vera se si parla della lotta per ampliare i propri spazi marittimi, rendendoli di uso esclusivo, quando questa non è solo animata da desiderio di ricchezza. In alcuni casi, infatti, alla rivendicazione a fini economici si aggiunge l’aspirazione a “santuarizzare” spazi marini, per evitare che potenze nemiche li possano utilizzare contro lo Stato litoraneo.
Detto questo, è bene vedere in quale situazione si trova la nostra amata Italia, che si sta proiettando sul mare, un elemento ricco di sorprese, nono sempre positive, sia per quanto riguarda il commercio, sia per quanto concerne le dispute sulle estensioni marine.
Le rotte del commercio
I mercantili che toccano i porti italiani seguono rotte ben definite, spesso con cadenza settimanale. Tra le navi di maggiori dimensioni, mentre le petroliere e le gasiere vanno direttamente ad attraccare agli appositi terminali, il traffico merci, ormai quasi tutto su container, si divide in due categorie: le navi più grandi passano dall’uno all’altro porto specializzato nello stoccaggio e transito, noto come “nodo” (Gioia Tauro ne è un esempio), dove lasciano un numero elevato di container e ne caricano altrettanti. Vi sono poi navi di dimensioni relativamente minori che collegano questi nodi ai vari terminali – porti la cui funzione è quella di consentire la distribuzione dei beni nell’entroterra, anche a centinaia di chilometri di distanza.
Le rotte alturiere maggiormente utilizzate per il nostro commercio intercontinentale sono, in primis, quelle che ci collegano al continente americano, nei due emisferi; poi viene la rotta energetica che parte dal Golfo di Guinea, e, soprattutto, la rotta che consente l’interscambio con l’Asia.
Le ultime due, ormai da almeno venti anni, sono sempre più mal frequentate, da pirati o da chi vuole esercitare pressione su di noi interrompendo o rallentando il commercio.
La rotta del Golfo di Guinea ha due problemi. Il principale è la vulnerabilità agli attacchi criminali delle navi mercantili, costrette a lunghe soste in attesa di trovare un ormeggio; il secondo riguarda l’attraversamento dello Stretto di Gibilterra, per entrare dall’oceano Atlantico al Mediterraneo, soggetto alle periodiche contese tra Paesi litoranei – Spagna, Gibilterra a nord e Marocco a sud – e alla minaccia che organizzazioni terroristiche posero alcuni anni fa ai mercantili in transito (tanto che nell’ambito dell’Operazione NATO Active Endeavour nel 2003 venne istituita la task force STROG per scortare i mercantili attraverso lo Stretto di Gibilterra).
La rotta dell’Asia è ancora più esposta, in quanto presenta una serie di strettoie e di passaggi obbligati, il cui attraversamento avviene a bassa velocità. Dalla vicina costa, quindi, è possibile colpire i mercantili di passaggio con i mezzi più vari, che vanno dai missili costieri ai droni, aerei e navali, fino ai gommoni per abbordare una nave e saccheggiarla.
Queste strettoie sono lo Stretto di Malacca, la cui notevole lunghezza espone le navi che lo percorrono a prolungati attacchi dalla costa, lo Stretto di Hormuz, sbocco della rotta del petrolio dei Paesi del Golfo Persico, il Golfo di Aden e lo Stretto di Bab-el-Mandeb, che consentono l’accesso al Mar Rosso, e infine il canale di Suez che collega quest’ultimo al Mediterraneo.
Da vari anni, tutti questi passaggi, soprattutto quelli che ci collegano all’Asia, sono stati teatro di attacchi terroristici o criminali (pirateria). Questo ha costretto le Nazioni marittime a inviare navi da guerra per proteggere i transiti, nel modo migliore possibile. Oltre a questa minaccia, il rischio di un loro blocco per dissidi tra le maggiori potenze non va trascurato.
Anzitutto, la sicurezza dello Stretto di Malacca è curata dai Paesi litoranei, la Malesia, l’Indonesia e Singapore, che hanno finalmente deposto le asce di guerra e hanno costituito l’Organizzazione ReCAAP (Regional Cooperation Agreement on Combating Piracy and Armed Robbery against ships in Asia), collaborando per garantire un transito sicuro.
Va detto, però, che gli Stretti tra Malesia e Indonesia sono essenziali per la Cina, in quanto il suo fabbisogno energetico è in gran parte soddisfatto dagli idrocarburi provenienti dal Golfo Persico. Non a caso l’India, da decenni avversario della Cina, ha militarizzato le isole Andamane e Nicobare, prospicienti gli ingressi occidentali degli Stretti, in modo da bloccare, in caso di crisi, l’afflusso di combustibili al governo di Pechino.
L’attraversamento dello Stretto di Hormuz, poi, è stato più volte bloccato dai Paesi rivieraschi, tanto da dover essere protetto, dal 2020, dalle navi della Missione europea Agénor/EMASOH (European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz), dopo gli attacchi a petroliere da parte dei Pasdaran iraniani.
Viene quindi il golfo di Aden, dove operano, fin dal 2008, altre navi europee nella missione Atalanta, per contrastare la pirateria che si era sviluppata oltremodo nel Corno d’Africa. È interessante notare come l’operazione si svolga in coordinamento con navi indiane, cinesi e russe, anche loro impegnate nella protezione dei mercantili nazionali.
Infine, lo stretto di Bab-el-Mandeb è oggetto, da circa tre mesi, di preoccupazione crescente, avendo i ribelli Houthi, che occupano la maggior parte del territorio di quello che un tempo era lo Yemen del Nord, iniziato ad attaccare giornalmente il traffico mercantile prima in modo selettivo, poi sempre più generalizzato.
Mentre gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno reagito a questi attacchi bombardando le postazioni degli Houthi lungo la costa, nell’ambito dell’operazione Prosperity Guardian, l’Europa punta a svolgere una missione, che dovrebbe chiamarsi Aspis (o Aspides), molto più prudente, essendo a carattere puramente difensivo, per la protezione dei mercantili, sulla falsariga delle altre due operazioni in atto.
Non va dimenticato, alla fine, il Canale di Suez, che rimase bloccato per alcuni anni, dopo le guerre tra Israele e i Paesi arabi, e ora viene talvolta messo in crisi dalla scarsa manovrabilità delle navi che lo percorrono, e tendono a bloccarlo, mettendosi di traverso nel canale, nei giorni di vento forte.
Inutile dire quali sarebbero le conseguenze di una interruzione prolungata della rotta asiatica sulla nostra economia. Come si è visto prima nel 2008 a causa della pirateria e ora, in questi ultimi mesi per gli attacchi degli Houthi, ogni interruzione provoca un brusco aumento dei prezzi di trasporto, per effetto sia dei costi assicurativi, sia dei percorsi più lunghi compiuti dalle navi per evitare le zone di pericolo. Il percorso alternativo, nel nostro caso, è la circumnavigazione dell’Africa, comunemente chiamata la “Rotta del Capo” di Buona Speranza, che costringe le navi a rimanere per mare altri 7-10 giorni, con conseguente aumento dei costi di trasporto.
Ma quello che noi Italiani dobbiamo sapere è che questa “Rotta del Capo” induce i mercantili ad approdare più di frequente nei porti dell’Europa atlantica, che richiedono un percorso minore. I nostri porti, quindi, perderebbero il vantaggio di cui godono, essendo utilizzati non solo a fini nazionali, ma anche per rifornire le aree industrializzate dell’Europa Centrale.
Queste ultime, infatti, qualora fosse sbarrata la rotta attraverso il mar Rosso, ricorrerebbero ai trasporti terrestri provenienti dai porti che si affacciano sull’Atlantico, anziché dai terminali marittimi italiani della Liguria e del Triveneto. Il danno per l’economia italiana sarebbe quindi duplice.
Non bisogna, infine, dimenticare le possibili conseguenze indirette, per la stabilità del Mediterraneo, di un ricorso generalizzato alla “Rotta del Capo”. Tra le altre, un calo sensibile dei transiti attraverso il Canale di Suez priverebbe l’Egitto di uno tra i principali cespiti del Paese, causando una crisi economica devastante, simile a quella che colpì la Nazione nel 2008.
Un Egitto nuovamente in crisi, come avvenne in quegli anni, sarebbe una specie di fiaccola capace di dar fuoco alle polveri delle tensioni interne ai Paesi litoranei del Mediterraneo, con effetti drammatici sulla stabilità dei loro governi, proprio nel momento in cui l’Europa e in particolare l’Italia cercano di potenziare l’interscambio con i Paesi africani.
I contenziosi sulle acque litoranee
Un altro aspetto da considerare è la infinita serie di contenziosi, non tutti mantenuti a livello diplomatico, tra i Paesi contigui che devono delimitare le rispettive acque territoriali, ma soprattutto i confini delle Zone Economiche Esclusive.
Concentrandoci sui mari vicini a noi, va riconosciuto, anzitutto all’Italia il merito di avere definito – o di essere sulla via della definizione – in modo civile i limiti delle nostre acque territoriali e i confini delle Zee con i Paesi a noi contigui, anche favorendo le controparti in modo significativo, pro bono pacis.
Pochi altri Paesi mediterranei, purtroppo, hanno seguito il nostro esempio. Il Mediterraneo occidentale vede, anzitutto, il contenzioso tra Spagna e Marocco, che sono arrivati persino a contendersi uno scoglietto, noto come isola Perejil (isola del prezzemolo), posto nelle vicinanze dello Stretto di Gibilterra. A questo si aggiunge proprio la questione di Gibilterra, rivendicata dalla Spagna che la perse nel lontano 1703, ma non ha mai rinunciato definitivamente al suo possesso.
Nel Mediterraneo Centrale, poi, è irrisolto il contenzioso tra Libia e Tunisia per la delimitazione delle Zee, in una zona che è stata esplorata ed è risultata ricca di petrolio sotto il fondale marino. Non vanno poi dimenticati i contenziosi sulle zone di pesca tra noi e la Libia, con periodici sequestri di nostri pescherecci.
Passando al Mediterraneo Orientale, si entra in una miriade di accordi incrociati e di contenziosi senza fine: la Turchia e la Libia, tanto per iniziare da uno dei più recenti episodi, si sono spartite l’enorme zona di mare tra i due Paesi, senza riguardo per i diritti dell’Egitto e della Grecia sull’area.
Vi è poi il contenzioso ormai secolare tra Grecia e Turchia per le acque territoriali e per la Zee del mare Egeo e delle acque intorno all’isola di Creta.
Vi è quindi la disputa per le acque intorno all’isola di Cipro, quella che riguarda Siria, Israele, Egitto e Libano, per la delimitazione delle rispettive Zee, in un tratto di mare i cui fondali sono risultati ricchissimi di gas naturale.
Non parliamo poi dei mari lontani. I contenziosi sono tali e tanti che, periodicamente, il dipartimento di Stato americano pubblica un opuscolo – ormai arrivato alla quarta edizione – nel quale viene indicata la posizione del governo di Washington su ognuna di queste rivendicazioni, citando anche quanto serie siano le dispute con i vicini (Limits in the Seas. United States response to excessive natopnal maritime claims).
Tra queste, le più gravi sono quelle che hanno luogo nell’Asia Orientale, perché non hanno solo il carattere di disputa economica, ma rivestono un’importanza strategica per l’intera area.
Uno tra gli Stati che hanno avanzato le rivendicazioni più numerose, alcune delle quali decisamente controverse è la Cina, che sta compiendo sforzi notevoli, anzitutto, per militarizzare gli arcipelaghi delle Spratly e Paracel, una catena di isolotti apparentemente di scarsa importanza, ma che per la presenza di risorse energetiche nei fondali che li circondano sono rivendicati da tutti i Paesi limitrofi, dall’Indonesia alle Filippine, fino al Vietnam.
La Cina pretende il possesso di questi arcipelaghi, in nome di diritti risalenti al Medio Evo. Qualora la pretesa fosse accettata, bisogna dire, la Cina potrebbe rivendicare come acque interne tutto il mar Cinese Meridionale, impedendo il passaggio di navi da guerra di altri Paesi. Non a caso, gli Stati Uniti e alcuni loro alleati svolgono periodicamente passaggi in forze con le loro navi, compiendo quelle che vengono chiamate Freedom of Navigation Operations (Operazioni per la libertà di navigazione), scontrandosi ogni volta con la Marina cinese che cerca di disturbare il transito.
Appare chiaro, quindi, che questa rivendicazione, insieme alla disputa con il Giappone sulle isole Senkaku/Diaoyutai e alle minacciose dichiarazioni del governo di Pechino nei confronti dell’Isola di Taiwan, rientri non solo nella categoria dei contenziosi economici, bensì nella volontà di creare una fascia marittima di sicurezza intorno alla Nazione, che comprenda quella che uno stratega cinese ha definito, anni fa, la “prima catena di Isole”, che – purtroppo per la Cina – è costituita da isole che appartengono o sono rivendicate da altri Paesi.
In definitiva, con buona pace della Nuova Via della Seta, tanto reclamizzata dal governo di Pechino come ponte che dovrebbe unire e coinvolgere numerose Nazioni e agevolare relazioni amichevoli, la Cina sta procedendo per accaparrarsi il meglio dei mari del Sud Est asiatico. Questa tendenza ha avuto come effetto l’avvicinamento all’Occidente di quasi tutti i Paesi dell’area, timorosi delle pressioni cinesi.
Un breve cenno, poi, va fatto sui contenziosi riguardanti i mari del Nord e, in particolare, l’Oceano Artico, nel quale la riduzione della superficie ghiacciata ha riacceso le rivendicazioni da parte delle Potenze litoranee, specie dopo che la Rotta del Nord, prima quasi impraticabile, è aperta per un numero sufficiente di mesi all’anno. Anche in quell’area le risorse sono abbondanti e la voglia di sfruttarle è elevata. Fortunatamente, i Paesi litoranei si sono convinti sul fatto che l’ambiente artico è estremamente fragile, per cui hanno accettato limitazioni allo sfruttamento delle acque e dei fondali marini. Ciò non toglie che oggi, come ai tempi della Guerra Fredda, i sottomarini nucleari delle Grandi Potenze lo frequentino fin troppo, per assicurare la deterrenza contro l’avversario.
La corsa agli armamenti navali
Non è un caso che la Cina non si limiti a rivendicare tratti di mare e isole in misura sempre maggiore, ma stia preparandosi a sostenere con la forza le proprie pretese, creando una Marina tra le più potenti al mondo.
Questo sviluppo preoccupa non solo i vicini, e in particolar modo il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan, ma anche l’Occidente, con gli Stati Uniti in prima fila. A questi si unisce, come si è visto, tra un tentativo di dialogo e una scaramuccia di confine, il governo dell’India, che sta prendendo sul serio la minaccia cinese, e sta costruendo uno strumento navale che sia competitivo con quello avversario, oltre a militarizzare – come si è visto – le isole Andamane e Nicobare, dalle quali si possono agevolmente bloccare lo Stretto di Malacca e gli altri passaggi tra il mar Cinese Meridionale e l’Oceano indiano, attraverso gli stretti indonesiani.
In sintesi, l’Asia sta diventando un settore nel quale la tensione in campo marittimo tenderà a salire nei prossimi anni, e il rumore delle cannonate tra navi delle parti contrapposte potrebbe far fuggire il commercio, chiudendo una rotta che per l’Italia è una tra le più importanti per il benessere della sua popolazione.
Conclusioni
L’attenzione dell’opinione pubblica italiana si è rivolta verso il mare decisamente più tardi, rispetto ad altri Paesi a noi vicini: basti pensare che in Francia si parla da anni di “marittimizzazione dei conflitti” per indicare lo stato sempre più precario dei rapporti tra nazioni marittime, e in Gran Bretagna si accenna sempre più spesso al “Secolo Blu”.
Queste espressioni, che nascondono situazioni per nulla rassicuranti, devono convincere la nostra opinione pubblica che il mare, più di prima, è un terreno di scontro e, nel migliore dei casi, di competizione. Farlo diventare un’area di collaborazione, come avviene, purtroppo, in casi ancora limitati, è per noi un’esigenza irrinunciabile. Senza pace non c’è commercio e noi da questo dipendiamo per la nostra economia e qualità di vita.
Bisogna ricordare quanto disse, oltre due secoli fa, Giulio Rocco, che avvertiva la necessità di affiancare al naviglio di commercio una flotta da guerra di adeguata capacità, contro i nemici piccoli e grandi del commercio pacifico e del mutuo rispetto in materia di sfruttamento dei fondali.
In questo, con la nostra storia di diplomazia e di mediazione, possiamo fare molto per “calmare le acque agitate”, ma dobbiamo ricordarci che una mediazione senza capacità di pressione con mezzi militari è destinata al fallimento. La nostra Marina, ancora una volta, viene chiamata a svolgere un compito di primaria importanza.
#laFLEalMassimo – Episodio 113: Tennis e Patriottismo Fiscale
In apertura rimane oltremodo opportuno ribadire il sostegno di questa rubrica al popolo ucraino e la condanna dell’invasione perpetrata dalla Russia. Putroppo, osserviamo ancora personaggi pubblici influenti diffondere messaggi propagandistici a sostegno della necessità di negoziare con la Russia in virtù una sorta perversa logica del “male minore” in base alla quale la libertà e l’incolumità degli ucraini può essere “sacrificata” per ridurre il numero complessivo di vittime di una minaccia nucleare deliberatamente esagerata per finalità di propaganda.
Negli ultimi giorni i successi sportivi del tennista Jannik Sinner oltre fare la gioia degli appassionati di questa disciplina hanno fornito un’ennesima occasione per rivelarsi ad alcuni tratti degeneri della cultura del declino del nostro paese.
Il patriota è una singolare categoria di individuo che sfrutta tutte le occasioni nelle quali un suo connazionale si distingue per qualche iniziativa meritevole o successo personale per cercare di riflettere su di se un qualche merito o soddisfazione non si sa in base a quale forma immaginaria di collegamento
Il patriota fiscale va oltre e ritiene che sostenere l’apparato disfuzionale di un paese che opprime i suoi contribuenti con imposte ingiuste ed eccessive sia una sorta di maledizione ereditaria che i cittadini italiani dovrebbero portarsi dietro a prescindere da qualsiasi considerazione di razionale gestione delle propria finanza personale.
Difficile commentare questi aspetti folkloristici e impossibile spiegargli che le imposte si pagano in base alle regole della sede fiscale che ognuno di noi può scegliere e cambiare se ritenuta non conveniente come avviene normalmente tra cittadini liberi che rifiutano lo status di sudditi ottusi.
Mi limiterò a una parafrasi: non chiedetevi quali tasse possono pagare i vostri eroi per sostenere il carrozzone nel quale vi siete condannati a vivere, pensate piuttosto a cosa potrebbe fare il vostro paese per rendere più conveniente agli individui, alle imprese e alle istituzioni eccellenti la permanenza in un ambiente che opprime i deboli e induce i forti e gli eccellenti a votare con i piedi.
L'articolo #laFLEalMassimo – Episodio 113: Tennis e Patriottismo Fiscale proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
mastodon.uno/@angelomincuzzi/1…
angelomincuzzi - Il mio viaggio nell’Europa dei super ricchi. Ecco perché l’Unione europea o cambia o muore. #chiarelettere https://angelomincuzzi.blog.ilsole24ore.com/2024/02/02/il-mio-viaggio-nelleuropa-dei-super-ricchi-ecco-perche-lunione-europea-o-cambia-o-muore/?refresh_ce=1
Sarmat, Tupolev-M e Borei-A. Per Mosca il 2024 sarà un anno nucleare
Nel 2024, la federazione Russa perfezionerà una serie di miglioramenti concernenti la sua triade nucleare. Ognuna delle componenti dello strumento di deterrenza di Mosca andrà infatti ad acquisire nuovi asset durante i prossimi dodici mesi. Il vice-ministro della Difesa Alexei Krivoruchko ha dichiarato il 26 gennaio che per il 2024 gli obiettivi principali per il Ministero della Difesa riguardano l’entrata in servizio del sistema missilistico strategico Sarmat, dei bombardieri Tu-160M e del sottomarino nucleare di classe Borei-A “Knyaz Pozharsky”. Gli obiettivi sono rimasti invariati dal dicembre 2022, quando il Ministro della Difesa Sergei Shoigu annunciò i piani per le armi atomiche per l’anno successivo durante un discorso al Consiglio del Ministero della Difesa: in effetti questi strumenti avrebbero dovuto essere pronti nel 2023, ma le complicanze dovute alla guerra e alle sanzioni occidentali hanno causato una dilatazione nelle tempistiche.
Lo sviluppo del sistema missilistico Sarmat sta registrando un ritardo sempre più marcato: fino ad oggi sembra che un solo test di volo del missile abbia avuto esito positivo. Con molta probabilità la bassa redditività di Roscomos (l’agenzia nazionale spaziale russa, responsabile dello sviluppo del progetto), così come la corruzione diffusa, sono da individuare come le cause di questi rallentamenti. Nel dicembre dello scorso anno l’amministratore delegato di Roscosmos Yuri Borisov al canale televisivo Rossiya 24, ha dichiarato che la società ha perso centottanta miliardi di rubli (equivalenti a circa due miliardi di dollari) di entrate dalle esportazioni a causa del forte impatto delle sanzioni occidentali. La limitazione nell’accesso alle tecnologie e ai componenti occidentali ha reso necessaria la ricerca di alternative, il che ha portato le imprese afferenti a Roscosmos a sostenere costi addizionali, mentre si avvicinavano le date di consegna degli assets.
Per quel che riguarda la componente aerea, il Kazan Aviation Plant nella regione del Tartastan è impegnato sia nella modernizzazione dei bombardieri Tu-160, per portarli allo standard Tu-160M, che nella produzione ex novo di modelli simili. Il governo ha dichiarato in precedenza che l’azienda ha già completato quattro esemplari Tu-160M, uno dei quali è già stato trasferito nel 2022 al Ministero della Difesa,che ha continuato a testarlo insieme alla compagnia sviluppatrice Tupolev, mentre il resto degli aerei sta proseguendo i test in fabbrica. La Tupolev ha un contratto per la consegna di dieci nuovi bombardieri strategici entro il 2027. Ma queste aspettative sembrano irrealistiche: “Il Kazan Aviation Plant ha prodotto in media tra un aereo e un aereo e mezzo all’anno, e con questi ritmi non è in grado di soddisfare i piani del Ministero della Difesa” ha dichiarato Pavel Luzin, senior fellow del Center for European Policy Analysis. Anche qui, pesano le sanzioni occidentali. Sostituti russi e asiatici ai componenti di manifattura europea esistono, ma la qualità non è la stessa.
Infine vi è il lato sottomarino della triade. La agenzia di stampa statale russa Tass aveva annunciato il varo del sottomarino Knyaz Pozharsky nel 2023, anno in cui altri due sottomarini avrebbero dovuto essere impostati. Sebbene gli esperti non considerino le carenze di produzione come il collo di bottiglia del programma, il ritardo potrebbe influire negativamente sul programma di test, dato che la scadenza per la consegna del sottomarino della Marina rimane il dicembre 2024.
Nonostante i ritardi,“I piani per la posa dell’undicesimo e dodicesimo sottomarino della classe Borei-A non sono stati cancellati” ricorda Luzin. “Per le autorità russe, è necessario impegnare l’impianto produttivo con progetti per il prossimo decennio, altrimenti non è molto redditizio nell’attuale situazione politico-economica”.
LA SITUAZIONE DEL CONSUMO DI DROGHE ILLECITE IN UNIONE EUROPEA. UNA ANALISI APPROFONDITA (4 di 4), LA METANFETAMINA, GIUNGE DA MESSICO ED AFGHANISTAN, MA INIZIA AD ESSERE PRODOTTA IN EUROPA
La metanfetamina, una droga stimolante, ha un ruolo relativamente piccolo nei mercati europei degli stimolanti rispetto alla situazione globale. Tuttavia, la minaccia rappresentata dalla metanfetamina è in aumento man mano che si diffonde in nuovi mercati in altre parti d’Europa. L’Unione Europea (UE) è una zona di origine e transito per la metanfetamina prodotta in altri centri di produzione, come Iran, Nigeria e Messico. Lo sviluppo della capacità di produzione di metanfetamine in Afghanistan, la principale fonte di approvvigionamento di eroina in Europa, rappresenta una potenziale minaccia per l’UE a causa delle rotte di traffico consolidate da tempo degli oppioidi afghani. Nella maggior parte dei paesi europei la metanfetamina è usata meno comunemente rispetto all’anfetamina o alla cocaina, con un consumo concentrato principalmente nell’Europa centrale. Tuttavia, negli ultimi anni si è assistito ad un aumento dell’utilizzo in altri paesi e regioni. Il mercato europeo della metanfetamina è relativamente piccolo rispetto agli standard globali, ma la prevalenza del consumo e le dimensioni del mercato potrebbero essere sottostimate a causa del fatto che l'uso della metanfetamina in polvere viene segnalato come anfetamina nei sondaggi tra gli utenti.
La produzione di metanfetamine in Europa avviene ora in laboratori su scala industriale nei Paesi Bassi e in Belgio, insieme ad anfetamine e MDMA. I produttori europei di droghe sintetiche stanno collaborando con i produttori messicani per sviluppare processi di produzione e sfruttare le infrastrutture esistenti per grandi quantità di droghe sintetiche. Tuttavia, le difficoltà nel controllare la disponibilità dei precursori e l’ampia gamma di sostanze presenti negli impianti di produzione sollevano preoccupazioni sulle reti criminali coinvolte nella lavorazione di molteplici tipi di droghe.
La “criminalità come servizio” è un altro problema, con le reti criminali con sede nell’UE che forniscono supporto logistico essenziale per la produzione di metanfetamine. Ciò include la fornitura di precursori, pre-precursori, sostanze chimiche ausiliarie, attrezzature e competenze nella creazione di impianti di produzione. Inoltre, rischi per la salute, la sicurezza e l’ambiente sono legati alla produzione di metanfetamine, compresi i decessi legati a incendi, esplosioni o soffocamento da monossido di carbonio o altri fumi tossici.
La potenziale diffusione della metanfetamina sotto forma di cristalli fumabili nell’UE è motivo di preoccupazione a causa delle conseguenze sulla salute, tra cui tossicità acuta, episodi psicotici, poli assunzione e morte. L’elevata redditività del business della droga può portare a un’intensa concorrenza e rivalità tra gruppi criminali, che potenzialmente si riversano sulla società dell’UE.
La cooperazione tra le reti criminali messicane e quelle dell’UE sembra focalizzata sul commercio e sul profitto, ma a lungo termine potrebbe esserci il rischio di scontri violenti. La crescita della produzione su larga scala di metanfetamina in Europa ha il potenziale per creare ulteriori collaborazioni criminali e promuovere più corruzione lungo la catena di approvvigionamento, creando un’economia parallela.
Dal 2016 sono emersi sviluppi anche in Afghanistan, con la produzione di metanfetamine utilizzando efedrina proveniente da fonti vegetali.
Per saperne di più: European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction and Europol (2022), EU Drug Market: Methamphetamine — In-depth analysis, emcdda.europa.eu/publications/…
La responsabilità di tutti.
La responsabilità di tutti
(143) Alla fine della lettura dell'ottima grapich novel (si dice così?) "In fondo al pozzo" di #Zerocalcare sul numero 1545 di #Inte...Transit
In Cina e Asia – Cina, Xi Jinping chiede la modernizzazione del sistema industriale
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Cina, Il nuovo smartphone di Samsung sceglie Ernie Bot
Stati Uniti contro le aziende tech cinesi che aiutano il PLA
AUKUS, passi in avanti per l'adesione della Nuova Zelanda
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Crosetto: 'valutiamo anche invio di aerei nel mar Rosso' • Imola Oggi
imolaoggi.it/2024/02/03/croset…
L’Italia al comando della Missione Aspides nel Mar Rosso. Nuova responsabilità per la sicurezza collettiva
L’Italia guiderà la missione “Aspides” nell’Indo Mediterraneo con il ruolo di Force Commander, passo significativo per il ruolo di Roma per la sicurezza delle rotte marittime globali e dunque per la sicurezza collettiva. Come afferma il ministro della Difesa Guido Crosetto, “è un onore e una responsabilità che affrontiamo con impegno e professionalità”.
Aspides è stata concepita per affrontare le sfide nel Mar Rosso meridionale, nello Stretto di Bab el Mandeb e nel Golfo di Aden. Queste acque sono vitali per il commercio internazionale, ma sono anche soggette a minacce complesse prodotte dalle attività degli Houthi, organizzazione yemenita che sta sfogando i suoi interessi (orientati ad acquisire maggiore standing regionale da poter spendere nelle trattative in corso per la risoluzione della guerra civile in Yemen).
Gli Houthi dichiarano di agire per rappresaglia contro l’invasione israeliana della Striscia di Gaza, ma fanno parte del raggruppamento dell’Asse della Resistenza a guida iraniana – mobilizzato in tutta la regione per sfruttare l’opportunità della guerra israeliana e creare complicazioni allo stato ebraico e soprattutto agli Stati Uniti e all’Occidente in generale. Aspides mira a garantire la sicurezza delle rotte marittime e a proteggere le navi da guerra e i trasporti commerciali, mentre la regione è in una condizione profonda di caos, come dimostrano i bombardamenti americani della scorse notte.
Questa notte gli Stati Uniti hanno lanciato per colpire gruppi militanti sostenuti dall’Iran in Iraq e Siria. Si tratta di un’azione di rappresaglia potente – sono stati condotti 85 raid in siti diversi, impiegando 115 ordigni, secondo il comunato del Pentagono – per un attacco dalla Resistenza Islamica in Iraq, un ombrello che racchiude diverse milizie sciite filo-iraniane, che ha ucciso tre soldati Usa alla base Tower 22 in Giordania. Washington ha già dichiarato che la reazione americana non si fermerà qui, e dunque la situazione generale nella regione – dove tutto si lega, dalle azioni delle milizie sciite e degli Houthi alle attività politiche delle potenze interne ed esterne – tenderà a rimanere tesa.
È all’interno di questo contesto che l’Italia, con la sua lunga tradizione marittima e competenza militare, assume il comando di Aspides. Come Force Commander, avrà la responsabilità di coordinare le operazioni, pianificare le missioni e garantire la collaborazione tra le forze navali coinvolte. “L’Italia è pronta a guidare con fermezza e saggezza. La nostra esperienza e dedizione saranno fondamentali per il successo della missione”.
Oltre alle navi da guerra, Aspides impiegherà asset aerei “spia”. Questi aeromobili forniranno sorveglianza e intelligence essenziali per monitorare attività sospette e prevenire minacce. L’Italia contribuirà con risorse aeree avanzate, garantendo una copertura completa e una risposta tempestiva.
L’headquarter della missione sarà a Larissa, in Grecia. Questa posizione strategica favorirà la comunicazione tra i Paesi partecipanti e semplificherà la pianificazione e l’esecuzione delle operazioni. Larissa, con la sua posizione centrale nel Mar Rosso, è la scelta ideale per coordinare questa missione cruciale.
Cercasi Stato disperatamente di Matteo Grossi
“Dall’Italia di ieri, povera ma ottimista, sopravvissuta a due feroci guerre mondiali e al ventennio fascista, all’Italia di oggi, ricca ma pessimista, che si piange addosso. Siamo cittadini solidali divenuti menefreghisti in uno Stato che era rigoroso e che è diventato flaccido? È la domanda a cui cerca di rispondere questo libro di Matteo Grossi, un viaggio alla ricerca dello Stato efficiente che ci manca e dei cittadini esemplari che (in buona parte) non siamo. Un viaggio senza sconti nel fare l’elenco di ciò che non va. Da una politica a portata di bonus e che premia chi non vuol lavorare mentre tartassa chi produce. Dalla crisi della sanità all’inefficienza della burocrazia. Uno Stato che dà la sensazione di aiutare chi può aiutarsi da solo e di ignorare chi si distingue per il merito. Tutte inefficienze che costano. Salate. Anzi, salatissime. “Cercasi Stato disperatamente” non è un libro per scappare, ma per restare. Per restare liberi, sempre. Anche in tempi di guerre.” Prefazione di Claudio Brachino.
L'articolo Cercasi Stato disperatamente di Matteo Grossi proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
EL SALVADOR AL VOTO. Bukele tornerà presidente ma la povertà minerà la sua popolarità
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di Andrea Cegna*
Pagine Esteri, 3 febbraio 2024 – Domani si vota in Salvador. L’esito dell’elezione presidenziale è dato per scontato. Nayib Bukele tornerà ad essere presidente in quello che più che un voto si annuncia come un plebiscito. Alcuni sondaggi indicano che potrebbe prendere fino al 90% delle preferenze, anche perché che le opposizioni sono inesistenti e mancano, tristemente fatto necessario nella politica di oggi, di un leader credibile.
Bukele vincerà nonostante la sua candidatura abbia mostrato diverse criticità per dubbi costituzionalità. La carta fondamentale del Salvador infatti non darebbe la possibilità di un secondo mandato. L’articolo 154 della Magna Carta decreta in 5 anni il mandato “senza che la persona che ha esercitato la Presidenza possa continuare le sue funzioni un giorno di più”, mentre l’articolo 248 vieta qualsivoglia riforma costituzionale riguardante l’alternanza nell’esercizio della presidenza della Repubblica e l’articolo 75 che sanziona con la perdita dei diritti di cittadino coloro che promuovono la rielezione o la continuazione del presidente. Tuttavia con un colpo di mano nel 2021 Bukele, cambiando la maggior parte dei giudici della Corte Costituzionale, ha fatto rivedere la materia e grazie alla sentenza che dice “una persona che esercita la Presidenza della Repubblica e non è stato presidente nel precedente periodo immediato, può partecipare alla competizione elettorale per una seconda volta” si è dimesso alcuni mesi fa così da potersi “legittimamente” ricandidare.
Ma è il sostegno popolare di cui gode oggi a permettergli di correre nuovamente. Sostegno che si basa tutto sul “successo” dello stato di eccezione contro pandillas e maras, ossia la criminalità organizzata. Si tratta di una legge speciale che ha condotto nell’ultimo anno circa il 10% della popolazione maschile in carcere, alzato il potere discrezionale della polizia, e messo in moto azioni repressive contro la delinquenza comune, senza però agire sulle cause che spingono migliaia di salvadoregni ad entrare nei gruppi criminali. Anzi la povertà si sta allargando nel paese e questo fattore rischia di creare un cortocircuito tra propaganda, repressione e stato reale nella vita delle persone. Certo è che ad ora il sostegno verso Bukele è talmente alto che vedere, o cercare di vedere, spazi di crisi della sua futura presidenza è difficile.
Un vaticinio però circola in diversi ambienti del paese. Molte voci sostengono che scemerà il sostegno allo stato d’emergenza e la crescente povertà metterà in crisi il presidente. Nell’ottobre dello scorso anno un rapporto della Banca Mondiale sosteneva che “sebbene negli ultimi anni il debito sia diminuito, è ancora superiore ai livelli prepandemia e la posizione fiscale del paese rimane fragile. Il governo è sottoposto a pressioni di liquidità dovute alla riduzione delle alternative di finanziamento. Un quadro di bilancio a medio termine ben definito potrebbe ridurre l’incertezza e consentire al paese di recuperare la capacità di emettere debito sui mercati internazionali per promuovere una crescita sostenibile”.
A luglio il governo di Bukele ha reso pubblica una sua inchiesta fiscale che rileva come la popolazione in povertà, cioè le cui entrate sono insufficienti a coprire le spese di base, sia aumentata a 1,87 milioni di persone nel 2022, cifra record che ha superato quella registrata nei quattro anni precedenti. Uno studio di fine 2023 realizzato dal Centro di studi di opinione pubblica (CEOP) di FUNDAUNGO dice: “Alla fine del 2023, sette persone su 10 (69,9%) segnalano che l’economia è il problema più grave che il paese deve attualmente affrontare. Il 4,4% indica problemi associati all’insicurezza e la violenza, il 2,2% a problemi politici e di governance, l’1,8% segnala il regime di deroga, lo 0,1 % il COVID 19 e l’8,3 % per altri tipi di problemi. Il 9 % della la popolazione non riconosce alcun problema particolare, mentre il 4,3% non sa e non risponde”.
Nel corso del tempo si osserva come la percezione dell’insicurezza e della violenza siano diminuite gradualmente, a partire dalla fine del 2021, così come la percentuale di segnalazioni che la indicavano come problema più grave del paese. Pertanto il tema dell’economia ha cominciato ad essere identificato come la principale preoccupazione della popolazione salvadoregna, passando dal 28,9% nel novembre/dicembre 2021 al 69,9 % nel novembre/dicembre 2023. Inoltre, il COVID 19 non è più stato segnalato come motivo di preoccupazione più pressante tra la popolazione, passando dal 10,2 % alla fine del 2021 a solo lo 0,1 % nella misurazione novembre/dicembre 2023”.
Ora Bukele si “gode” i risultati della sua guerra alle pandillas ma con la povertà crescente e l’incapacità di affrontare le questioni socio/politiche/economiche che hanno permesso la crescita del crimine cosa succederà? Pagine Esteri
*Giornalista-pubblicista nato nel 1982. Attualmente collaboratore di diverse testate tra cui Il Manifesto, Radio Onda d’Urto, Radio Popolare, Altreconomia, Il Fatto Quotidiano, Desinformemonos. Ho iniziato conducendo programmi a Radio Lupo Solitario, in provincia di Varese. Ho scritto anche dei libri, l’ultimo “Cosa Succede in Città” per Prospero Editore.
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La sanità privata lancia il Family doc, assalto alla medicina di base l La Notizia
«L’ultimo boccone a cui aspira la famelica sanità privata è il medico di base. Prima terra di conquista è il Veneto, dove la BMed Me.di.ca Group, un centro di sanità privata, ha deciso di lanciare a Mestrino, un Comune in provincia di Padova, il Family doc che altro non è che il vecchio caro medico di famiglia a pagamento. Si legge sul sito: “Si chiama Family Doc, ed è un servizio di medicina interna in regime privato, con un tocco di simpatia e calore familiare. Con noi, sentirsi a proprio agio è la norma, al costo di 50 euro”.»
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LA SITUAZIONE DEL CONSUMO DI DROGHE ILLECITE IN UNIONE EUROPEA. UNA ANALISI APPROFONDITA (3 di 4), ANFETAMINA, LA PIÙ PRODOTTA IN EUROPA, ANCHE PER IL MERCATO DEL MEDIO ORIENTE
L’anfetamina è la droga stimolante sintetica più diffusa nel mercato europeo della droga, in concorrenza con la cocaina e altre sostanze psicoattive. La sua prevalenza è superiore a quella della metanfetamina nella maggior parte degli Stati membri dell’UE. I prodotti illeciti di anfetamine consistono principalmente in polveri o paste mescolate con altri ingredienti, come lattosio, destrosio o caffeina. Il valore annuo stimato del mercato al dettaglio delle anfetamine nell’UE è di almeno 1,1 miliardi di euro.
La produzione europea è concentrata in gran parte nei Paesi Bassi e in Belgio, dove la produzione è complessa, su larga scala e basata sul precursore farmaceutico BMK. Parte dell'anfetamina prodotta nell'UE viene utilizzata per produrre compresse di captagon, che vengono commercializzate principalmente verso i mercati di consumo del Medio Oriente. L’UE è un importante mercato globale per l’anfetamina, consumata principalmente sotto forma di polvere o pasta. Nei Paesi Bassi e in Belgio viene prodotta in laboratori illegali dove possono essere prodotte anche altre droghe sintetiche. Le reti criminali olandesi hanno esteso le loro attività produttive alla Germania e ad altri paesi dell'UE. Le compresse Captagon sono prodotte anche nell'UE, principalmente nei Paesi Bassi. Gli impianti di produzione sono spesso allestiti in regioni remote, in aziende agricole o magazzini, dove i rischi di rilevamento sono minori. Il metodo Leuckart, che richiede BMK (o uno qualsiasi dei suoi prodotti chimici alternativi), è il modo più comune di produrre anfetamine in Europa. La tratta all’interno dell’UE presenta un quadro complesso e dinamico, che vede coinvolti numerosi gruppi criminali e individui. La tratta all’interno dell’UE viene effettuata principalmente utilizzando metodi di trasporto terrestre, nonché servizi postali e pacchi. La quantità di anfetamine sequestrate nell’UE è rimasta relativamente stabile, ma nel 2019 e nel 2020 Grecia e Italia hanno sequestrato 9,6 tonnellate e 14,2 tonnellate di compresse di captagon in transito verso la penisola arabica. Le reti criminali coinvolte nel traffico illecito di anfetamine sono orientate al business, cooperative e adattabili.
Nel 2021, ultimo anno del quale si hanno dati utili, circa 36 milioni di persone hanno utilizzato anfetamine o metanfetamine. Il mercato globale delle anfetamine è più piccolo del mercato delle metanfetamine e rappresenta il 16% dei sequestri globali di stimolanti di tipo anfetaminico tra il 2017 e il 2021. Più della metà della quantità totale di anfetamine sequestrate in questo periodo è stata sequestrata nel Vicino e Medio Oriente e nel sud-ovest asiatico, mentre l’Europa rappresenta poco meno di un quarto (24%) della somma sequestrata.
Per saperne di più: European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction and Europol (2023), EU Drug Market: Amphetamine — In-depth analysis, emcdda.europa.eu/publications/…
Governo Italiano e Commissione Europea mortificano gli agricoltori!
Da giorni, in molti paesi Europei, vi sono mobilitazioni importanti da parte degli agricoltori. Ho assistito a #Bruxelles alla protesta più eclatante. Gli agrRifondazione Comunista
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"Un tempismo perfetto. Ora qualcuno potrebbe obiettare affermando che però l’Ucraina è una cosa e gli agricoltori sono un’altra. Le due situazioni sono diverse? Assolutamente non è così".
Francesco Amodeo
radioradio.it/2024/02/ue-50-ml…
Le cacche democratiche UE si fanno sempre riconoscere.
Le solite armi dell'UE costringono Orban alla resa - Davide Rossi Paolo Borgognone
I temi politici forti di questi giorni sono il premier ungherese Orban costretto alla fine ad allinearsi a Bruxelles sul sostegno economico all’Ucraina. Il Financial Times aveva svelato i giorni scorsi il piano dell’UE per sabotare l’economia ungherese nel caso Budapest non si fosse adeguata alla volontà degli altri Paesi dell’Ue di destinare ulteriori 50 miliardi di euro all’Ucraina. L’altro tema forte è il fortilizio dell’Unione Europea, il tempio dei burocrati, Bruxelles violata per la prima volta dalle proteste degli agricoltori. La von der Leyen inizia a trattare: su cosa? Nel nostro appuntamento della scorsa settimana era stato quasi profeticamente rivolto un appello agli agricoltori che stavano già manifestando da alcuni giorni: “Non cadete nel tranello della von der Leyen”
ivdp.it/14050-2/