La scossa di Draghi all’Ue
Educazione, ricerca, formazione, energia, dazi, Cina, mercato unico, investimenti, transizione ecologica, intelligenza artificiale, Stato sociale e debito pubblico. Ruota attorno a queste parole l’intervento che Mario Draghi ha fatto ieri al Parlamento di Strasburgo davanti alla conferenza dei presidenti di commissione. Il terzo confronto con i rappresentanti delle principali istituzioni Ue, dopo quelli avuti con il collegio dei commissari e con l’Ecofin. Ed è proprio agli eurodeputati che l’ex premier ha rivelato di aver lanciato una stoccata ai ministri delle Finanze, dunque ai governi, nell’incontro di sabato allo stadio di Gand: «Mi hanno chiesto qual è l’ordine in cui queste riforme andrebbero fatte – ha raccontato Draghi –. Io non ho idea di quale sia l’ordine, ma posso dire solo una cosa: per favore fate qualcosa. Scegliete voi cosa, ma fatelo. Non potete passare altro tempo dicendo di no a tutto».
Chi lo ha ascoltato ha colto un messaggio indirizzato in particolar modo al governo tedesco, anche se l’ex numero uno della Bce non ha citato per nome nessuno dei ministri. Al di là di questo dettaglio, il suo ragionamento ha fatto trasparire una visione dell’Europa dai tratti federalista, soprattutto quando – in risposta a chi gli ricordava che spesso negoziare con i governi è difficile – ha invitato gli eurodeputati a non abbassare la testa. «Il Parlamento europeo è molto più ambizioso dei vari Consigli e se posso permettermi un consiglio, dovreste mantenere questa ambizione. Spero che gli altri vi seguiranno». Nel futuro immediato bisognerà prendere «decisioni cruciali» che comporteranno «discussioni difficili» e che richiederanno «alle nostre istituzioni e ai governi nazionali di fare scelte difficili». Ma si tratta di decisioni fondamentali perché «determineranno la capacità dell’Europa di tenere il passo con i suoi concorrenti globali negli anni a venire».
Draghi, su mandato di Ursula von der Leyen, sta lavorando a un rapporto sulla competitività che sarà presentato dopo le elezioni e che servirà da base di lavoro alla prossima Commissione. Ma, a giudicare dai suoi interventi, «il livello di ambizione» del suo lavoro sembra destinato ad andare al di là della questione competitività. Dalle sue parole emerge una chiara visione dell’Unione europea che a suo modo di vedere è chiamata a fare passi decisi e decisivi in avanti per non rimanere indietro. Ma lui stesso ha avvertito chi coltiva aspettative eccessive: «Io non ho la bacchetta magica”. Piuttosto bisogna definire «il minimo comune denominatore» per «ritrovare la capacità di agire insieme nell’interesse collettivo». Il problema è che la ricerca del minimo comune denominatore, soprattutto tra i governi, spesso si trasforma in un gioco al ribasso.
Anche in un altro passaggio del suo intervento Draghi è sembrato lanciare un messaggio alla Germania e agli altri Paesi che hanno puntato i piedi sulla riforma del Patto di Stabilità. Sul compromesso uscito dal negoziato traspare un giudizio piuttosto critico perché le nuove regole non sembrano favorire la competitività, che richiede una mole enorme di investimenti privati e pubblici. «Qual è il livello di debito pubblico tollerabile? Quello degli Stati Uniti (circa il 123% del Pil, ndr) oppure il 60% previsto dal vecchio e dal nuovo Patto di Stabilità?». Una domanda alla quale Draghi ha indubbiamente una sua risposta. C’è poi la questione del debito comune a livello europeo e qui ha rivelato nuovamente di aver avuto un acceso confronto con un ministro: «All’Ecofin ho menzionato un fondo dedicato – ha raccontato agli eurodeputati – e uno subito mi ha detto che allora serve una vera unione fiscale. A me non importa: scegliete qualsiasi cosa risulti la migliore, anche un mix, ma fate qualcosa».
Oltre al confronto con gli Stati Uniti, ha fatto poi un riferimento all’altro attore globale con il quale l’Europa dovrebbe cercare di competere meglio: la Cina. «Come può l’Ue continuare con i dazi sull’import di auto dalla Cina al 10%, quando gli Usa hanno il 27% e Donald Trump ha già detto che, se eletto, li porterà al 67%?». Pechino «negli ultimi 15 anni ha largamente sovrainvestito in molte cose, una delle quali sono le auto elettriche, ma anche le tecnologie legate alle batterie, sussidiando tutto. Ora hanno un’immensa sovracapacità produttiva che scaricano su di noi».
Sul piano interno ha poi insistito sulla mancanza di formazione che provoca una carenza di forza lavoro, sulla scarsità dei finanziamenti privati alla ricerca, sull’importanza dell’educazione per garantire l’innovazione e sulla necessità di rivedere il funzionamento del mercato elettrico «perché il prezzo resta alto nonostante il gas sia sceso». Insomma, secondo Draghi le riforme non sono più rinviabili. Ma vanno fatte «con il consenso dei cittadini».
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Difesa comune europea, anche il Parlamento Ue accelera
Dopo l’annuncio da parte di Ursula von der Leyen di un Commissario europeo ad hoc per la difesa, la plenaria di Strasburgo compie un altro passo concreto verso la difesa comune: la prossima apertura dell’Ufficio per Innovazione Difesa a Kiev non solo ha lo scopo di dimezzare le distanze tra l’Ucraina e l’Europa, ma si pone come cemento per strutturare, in maniera ampia e condivisibile, l’innovazione della Difesa industriale. L’annuncio della presidente della Commissione europea in occasione del dibattito sul rafforzamento della Difesa europea, nella plenaria del Parlamento europeo, rappresenta un ulteriore step di una precisa politica continentale, resa ancora più urgente dai fronti bellici e dalla dipendenza europea dagli Usa.
Architettura di sicurezza europea
La posizione espressa da von der Leyen è che bisogna “iniziare a lavorare sul futuro dell’architettura di sicurezza europea, in tutte le sue dimensioni e con tutta la rapidità e la volontà politica necessarie, perché la verità è che non conviviamo con il conflitto solo dal 2022, ma da molto più tempo”. Individua due tipi di minacce, quelle più facilmente riconoscibili e quelle più confuse, come il soft power che incide nelle infrastrutture critiche più che sul campo di battaglia. Rivendicazioni che sono state portate avanti da tempo dal governo italiano, sia per bocca del presidente del consiglio, Giorgia Meloni, che del ministro degli esteri Antonio Tajani.
Parola d’ordine, dunque, efficienza, un traguardo che si può raggiungere concordando “su una migliore integrazione degli eserciti nazionali e su una produzione comune degli armamenti, che costa ma è necessaria, che, se fatta insieme, può consentirci di spendere e meglio Servono coraggio, realismo e buon senso”, come osservato in aula dal copresidente del gruppo ECR al Parlamento europeo Nicola Procaccini di Fratelli d’Italia, che ha chiesto un cambio di passo.
Ovvero, mentre negli ultimi 5 anni in quest’aula si è parlato molto di monopattini elettrici e farfalle, adesso è arrivato il momento di concentrarsi su geopolitica e di difesa militare. “L’idea della sinistra rossa e verde di fare dell’Europa una superpotenza erbivora ha occupato interamente l’agenda della Commissione europea e di conseguenza quella parlamentare”.
L’obiettivo adesso, secondo Procaccini, deve essere quello di rendere più saldo ed efficiente il pilastro europeo della Nato, mossa che servirà a rafforzare anche l’alleanza atlantica. “Per favore, non scandalizziamoci quando Trump viene a svegliarci dal nostro sogno verde. Non possono essere sempre gli altri a pagare o a morire per noi. Comunque oggi non è necessario dividersi sulla prospettiva di un esercito europeo. Che, consentitemi la digressione personale, la destra italiana sostiene da cinquant’anni, quando altri sostenevano l’Armata Rossa”.
Usa e Ue
Proprio il tema del legame militare tra vecchio continente e Stati Uniti è stato citato dal presidente del Partito popolare europeo (Ppe), Manfred Weber, secondo cui Washington non può difendere l’Europa per sempre ma “dobbiamo pensare a farlo da soli e per questa ragione rafforzare la difesa europea non è in contraddizione col dire che rafforzare le Nato è un pilastro per l’ Ue”. Il ragionamento riguarda in concreto l’ottimizzazione di risorse e mezzi, nella consapevolezza che “stiamo sprecando denaro”. Weber spiega nel dettaglio che è necessario, oggi più che mai, realizzare il mercato unico europeo, dal momento che gli americani hanno un tipo di carro armato, mentre l’Europa 17; gli americani hanno 30 sistemi d’armamento, l’Europa 160.
Le critiche
Dura la reazione del Movimento 5 Stelle, che definisce il piano riarmo von der Leyen un piano che rinuncia alla pace e si mette elmetto: “Fanno rabbrividire le parole della von der Leyen sulla necessità dell’Europa di prepararsi alla guerra con un piano straordinario di riarmo europeo. La nuova strategia di difesa europea preannunciata dal presidente della Commissione è la massima espressione di una politica bellicista che, di fronte al rischio di escalation della tensione con la Russia, invece di lavorare per riportare la pace in Ucraina e ricostruire una nuova architettura di sicurezza europea in un’ottica di distensione con una nuova conferenza di Helsinki, preferisce mettersi l’elmetto e imbracciare il fucile preparandosi allo scontro”.
Tabacco riscaldato e approccio all’innovazione: sistemi normativi a confronto
Indice dei documenti:
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Italia, Europa, Cina: influenze accademiche e squilibri economici
6 marzo 2024, ore 17:00 presso Sala Zuccari, Palazzo Giustiniani, Via della Dogana Vecchia, 29 – Roma
APERTURA
Sen. Giulio Terzi di Sant’Agata, Presidente 4′ Commissione Politiche dell’UE
L’INFLUENZA CINESE NEL MONDO ACCADEMICO E CULTURALE ITALIANO
PRIMA SESSIONE: 17.00 – 18.30
Giulia Pompili, Giornalista de Il Foglio
André Gattolin, già Senatore e Vice Presidente della Commissione affari esteri del Senato francese, membro onorario GCRL
Andrea Merlo, Membro del Consiglio scientifico GCRI
Antonio Stango, Presidente della Federazione Italian Diritti Umani
Luke de Pulford, Direttore esecutivo Inter-Parliamentary Alliance on China
Matteo Angioli, Moderatore
GLI INVESTIMENTI CINESI NELLE INFRASTRUTTURE MARITIME ITALIANE E EUROPEE
SECONDA SESSIONE: 18.30 – 20.00
Gianni Vernetti, Editorialista de La Repubblica, già Senatore e Sottosegretario agli Affari esteri
Marco Casale, Direttore responsabile di PortNews
Claudio Pagliara, Corrispondente Rai dagli Stati Uniti
Plamen Tonchev, Direttore unità Asia presso l’Institute of International Economic Relations; MERICS EU-China Policy Fellow
Simona Benedettini, Consulente indipendente politiche energetiche
Francesco Galietti, Scenarista e docente di analisi di rischio politico, LUISS Guido Carli; fondatore di Policy Sonar
Nicola Iuvinale, Analista presso Extrema Ratio
Ottavia Munari, Moderatore
CHIUSURA DEI LAVORI
Sen. Giulio Terzi di Sant’Agata, Presidente 4′ Commissione Politiche dell’UE
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XVIII Concorso Nazionale "Tricolore Vivo" anno scolastico 2023/2024, promosso da A.Ge. Associazione italiana genitori della Regione Sicilia, è rivolto agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola XVIII Concorso Nazionale "Tricolore Vivo" anno scolastico 2023/2024, promosso da A.Ge. Associazione italiana genitori della Regione Sicilia, è rivolto agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado.Telegram
Chat control: New EU government attempt to bulk search private messages and destroy secure end-to-end encryption
According to a document leaked by netzpolitik.org, the Belgian Council Presidency, led by conservative Home Affairs Minister Annelies Verlinden, proposes minor changes to the controversial EU Commission’s Chat Control 2.0 proposal (officially “child sexual abuse regulation”) in order to secure a majority among EU governments. The proposed “new approach” will be discussed on Friday in a Council working group and on Monday by the EU interior ministers.
Pirate Party Member of the European Parliament and most vocal opponent of chat control Patrick Breyer criticises:
“Now that the extension of voluntary chat control 1.0 has been agreed, EU Commissioner ‘Big Sister’ Johansson and her network are immediately go back to making general mass monitoring of our private messages mandatory and destroying secure encryption of our chats.
Verlinden’s claim that her proposal was ‘more targeted’ than the Commission’s is a brazen lie. Nothing is targeted about it, in the meaning of the European Court of Justice. In reality, the proposal again aims to impose on communications services the unreliable automated mass monitoring of private chats of citizens who are not even remotely connected to child sexual abuse. This destruction of the digital privacy of correspondence has unanimously and repeatedly been rejected by independent legal experts as likely illegal and subject to annulment in court. The proposed untargeted scanning of ‘parts’ of a service has also long been been officially rejected by the EU Council’s own legal service. Law enforcement paranoia about ‘threats’ and ‘risks’ does not justify deploying unreliable suspicion machines to search and expose the private and intimate communications of millions of law-abiding citizens.
Verlinden’s claim that her proposal would protect cyber security and encrypted data also constitutes disinformation. In reality, secure end-to-end encryption would be destroyed as a result of installing chat scanning technology on our private devices (so-called client-side scanning). Just a fortnight ago, the European Court of Human Rights banned such general weakening of secure end-to-end encryption because encryption protects us all from data theft and fraud. Secure encryption saves lives, the Belgian initiative jeopardises them.
With their minimal amendments, the intransigent Belgian hardliners are ignoring the alternative and much more effective measures proposed by the European Parliament to protect children: Security by design obligations for communications services, cleaning the open Internet, removal obligations – none of this is part of the Belgian initiative.
This latest attack on digital privacy of correspondence and secure encryption is doomed to fail both politically and legally. Likely Verlinden doesn’t even have her own government’s backing. By clinging to chat control mass surveillance, Verlinden will achieve nothing at all to better protect our children. Victims of abuse deserve politicians who are able to protect children effectively, in line with fundamental rights and in a court-proof way.”
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Disinformare: ecco l’arma di Mario Caligiuri e Alberto Pagani
La mente umana è un campo di battaglia dove si combatte una guerra fatta di narrazioni bugiarde. Una competizione strategica che plasma le percezioni, influenza le decisioni e avvelena le democrazie. Il saggio di Mario Caligiuri e Alberto Pagani, introdotto dal Comandante generale emerito dell’Arma dei Carabinieri, Giovanni Nistri, e scritto in collaborazione con la giornalista Michela Chioso, indaga origini, tattiche e implicazioni di questo nuovo terreno di scontro, a due anni dall’inizio della operazione militare speciale russa, una guerra a tutti gli effetti che sta ridefinendo la carta d’Eurasia.
A due anni da quando, il 24 febbraio 2022, le truppe della Federazione Russa ne hanno violato il confine, l’Ucraina è in stallo militare, il sostegno internazionale vacilla e Mosca si prepara alle elezioni presidenziali all’ombra della morte, in un carcere siberiano, del dissidente Aleksej Naval’nyj.
Nel pieno di una guerra a più dimensioni, il cui esito resta ancora incerto, Disinformare: ecco l’arma. L’emergenza educativa e democratica del nostro tempo (Rubbettino), narra le avventure e le disavventure della verità di un evento che sta cambiando il mondo.
Da qui parte il dialogo tra Mario Caligiuri, esperto di Intelligence e Pedagogia, e Alberto Pagani, docente di Sociologia con esperienze parlamentari: un confronto che affonda le sue radici nell’interesse condiviso per l’universo della Sicurezza.
Il saggio – introdotto dal Comandante generale emerito dell’Arma dei Carabinieri, Giovanni Nistri, e scritto in collaborazione con la giornalista Michela Chioso – è suddiviso in due parti: la prima centrata sulle questioni geopolitiche, la seconda di ispirazione umanistica. La narrazione segue i codici dell’intervista giornalistica e spiega come e perché siamo entrati nell’era della disinformazione.
Caligiuri e Pagani indagano il conflitto che serve a Mosca per confermarsi impero: non più impiego armato della forza ma guerra cognitiva che vede nella mente umana un campo di battaglia.
La disinformazione è la guerra e la prima vittima è la verità.
Nulla di nuovo sotto il sole, poiché da sempre le bugie sono parte costitutiva del conflitto: la differenza risiede neglistrumenti di diffusione, che ora includono piattaforme, come i social media globali, e siti di controinformazione per massimizzare l’efficacia delle strategie impiegate: pubblicità,deception, disinformazione, intossicazione e propaganda. Tattiche in grado di soggiogare e devitalizzare una società senza ricorrere alla forza o alla coercizione.
Sebbene la propaganda russa attiri su di sé grande attenzione, Pagani avverte: “la maggior parte delle notizie false è prodotta in casa nostra”. Storie che hanno dell’incredibile ma che pure proliferano, fino a diventare virali.
“L’antidoto alla disinformazione è l’istruzione” : lo ricorda Caligiuri con un richiamo alla consapevolezza:
fake news e complottismi non sono che la parte più evidente della questione. “La vera minaccia risiede nella disinformazione di Stato, la comunicazione istituzionale” che stritola le coscienze e sbriciola la fiducia nelle istituzioni.
Affrontare la sfida significa, quindi “proposte educative più funzionali, alta formazione per gli insegnanti e ampliamento dei saperi”. Perché la Scuola sia sempre più un vivaio dove germogliare e non l’arena dove competere. E in tale prospettiva “l’Intelligence si conferma scienza del futuro e merita pieno riconoscimento accademico “.
Questo libro – così lo compendia Caligiuri – “è un atto di responsabilità nel contrastare l’idea che la verità possa essere sacrificata sull’altare della menzogna e della propaganda”.
L’invito finale a mantenere elevati standard di fedeltà al vero. Un atto rivoluzionario in questa società dove la verità – lo estrinseca magnificamente il filosofo Byung-chul Han – “si disintegra in polvere di informazioni, spazzata via dal vento digitale”.
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In Cina e Asia – Qin Gang si è dimesso dalla carica di deputato
I titoli di oggi: Cina, l’ex ministro degli Esteri Qin Gang si è dimesso dalla carica di deputato Segreti di stato, Pechino approva emendamenti e preoccupa le aziende straniere Cina, pronta la normativa nazionale per regolare e-bike e scooter elettrici Coree, Cuba ufficializza le relazioni diplomatiche con il Sud Cina, Qin Gang si è dimesso dalla carica di deputato L’ex ...
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Buon compleanno Presidente! Attualità del pensiero economico di Luigi Einaudi
20 marzo 2024, ore 11:00 presso la Camera dei Deputati, Sala del Refettorio, Palazzo San Macuto, Roma
SALUTI ISTITUZIONALI
GIUSEPPE BENEDETTO, Presidente Fondazione Luigi Einaudi
INTRODUCE
ANDREA CANGINI, Segretario Generale Fondazione Luigi Einaudi
RELAZIONI A CURA DI
PROF. LORENZO INFANTINO, Luigi Einaudi e l’idea di Europa
PROF.SSA EMMA GALLI, Luigi Einaudi: la finanza straordinaria e il debito pubblico
PROF. PAOLO SILVESTRI, Buona società e buon governo: l’umanesimo liberale di Luigi Einaudi
CONCLUSIONI DEL MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE GIANCARLO GIORGETTI
Per accedere alla Camera dei Deputati, per gli uomini è d’obbligo la giacca. Accredito con nome e cognome ad accrediti@fondazioneluigieinaudi.it
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Presentazione del libro “La Gogna” di Alessandro Barbano
28 marzo 2024, ore 18:00 presso l’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi
SALUTI INTRODUTTIVI
GIUSEPPE BENEDETTO, Presidente Fondazione Luigi Einaudi
OLTRE ALL’AUTORE INTERVERRANNO
ALBERTO CISTERNA, Presidente di Sezione del Tribunale di Roma
ENRICO COSTA, Deputato della Repubblica Italiana
TULLIO PADOVANI, Professore emerito di Diritto penale presso la Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa e Accademico dei Lincei
MODERA
ANDREA CANGINI, Segretario Generale Fondazione Luigi Einaudi
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Lapidi, la Grande carestia in Cina
Il libro-inchiesta che ha portato alla luce l’immane eccidio provocato dal regime maoista dal 1958 al 1962.
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Disinformare: ecco l’arma di Mario Caligiuri, Alberto Pagani, Michela Chioso
La mente umana è un campo di battaglia dove si combatte una guerra fatta di narrazioni bugiarde. Una competizione strategica che plasma le percezioni, influenza le decisioni e avvelena le democrazie. Il saggio di Mario Caligiuri e Alberto Pagani, introdotto dal Comandante generale emerito dell’Arma dei Carabinieri, Giovanni Nistri, e scritto in collaborazione con la giornalista Michela Chioso, indaga origini, tattiche e implicazioni di questo nuovo terreno di scontro, a due anni dall’inizio della operazione militare speciale russa, una guerra a tutti gli effetti che sta ridefinendo la carta d’Eurasia.
A due anni da quando, il 24 febbraio 2022, le truppe della Federazione Russa ne hanno violato il confine, l’Ucraina è in stallo militare, il sostegno internazionale vacilla e Mosca si prepara alle elezioni presidenziali all’ombra della morte, in un carcere siberiano, del dissidente Aleksej Naval’nyj.
Nel pieno di una guerra a più dimensioni, il cui esito resta ancora incerto, Disinformare: ecco l’arma. L’emergenza educativa e democratica del nostro tempo (Rubbettino), narra le avventure e le disavventure della verità di un evento che sta cambiando il mondo.
Da qui parte il dialogo tra Mario Caligiuri, esperto di Intelligence e Pedagogia, e Alberto Pagani, docente di Sociologia con esperienze parlamentari: un confronto che affonda le sue radici nell’interesse condiviso per l’universo della Sicurezza.
Il saggio – introdotto dal Comandante generale emerito dell’Arma dei Carabinieri, Giovanni Nistri, e scritto in collaborazione con la giornalista Michela Chioso – è suddiviso in due parti: la prima centrata sulle questioni geopolitiche, la seconda di ispirazione umanistica. La narrazione segue i codici dell’intervista giornalistica e spiega come e perché siamo entrati nell’era della disinformazione.
Caligiuri e Pagani indagano il conflitto che serve a Mosca per confermarsi impero: non più impiego armato della forza ma guerra cognitiva che vede nella mente umana un campo di battaglia.
La disinformazione è la guerra e la prima vittima è la verità.
Nulla di nuovo sotto il sole, poiché da sempre le bugie sono parte costitutiva del conflitto: la differenza risiede neglistrumenti di diffusione, che ora includono piattaforme, come i social media globali, e siti di controinformazione per massimizzare l’efficacia delle strategie impiegate: pubblicità,deception, disinformazione, intossicazione e propaganda. Tattiche in grado di soggiogare e devitalizzare una società senza ricorrere alla forza o alla coercizione.
Sebbene la propaganda russa attiri su di sé grande attenzione, Pagani avverte: “la maggior parte delle notizie false è prodotta in casa nostra”. Storie che hanno dell’incredibile ma che pure proliferano, fino a diventare virali.
“L’antidoto alla disinformazione è l’istruzione” : lo ricorda Caligiuri con un richiamo alla consapevolezza:
fake news e complottismi non sono che la parte più evidente della questione. “La vera minaccia risiede nella disinformazione di Stato, la comunicazione istituzionale” che stritola le coscienze e sbriciola la fiducia nelle istituzioni.
Affrontare la sfida significa, quindi “proposte educative più funzionali, alta formazione per gli insegnanti e ampliamento dei saperi”. Perché la Scuola sia sempre più un vivaio dove germogliare e non l’arena dove competere. E in tale prospettiva “l’Intelligence si conferma scienza del futuro e merita pieno riconoscimento accademico “.
Questo libro – così lo compendia Caligiuri – “è un atto di responsabilità nel contrastare l’idea che la verità possa essere sacrificata sull’altare della menzogna e della propaganda”.
L’invito finale a mantenere elevati standard di fedeltà al vero. Un atto rivoluzionario in questa società dove la verità – lo estrinseca magnificamente il filosofo Byung-chul Han – “si disintegra in polvere di informazioni, spazzata via dal vento digitale”.
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Forse non tutti i Friulinuxiani sanno che... esiste un'istanza mastodon del LUG di Trieste
L'istanza è amministrata da @AdminLug@mastodon.lug.ts.it e si trova a questo indirizzo:
mastodon.lug.ts.it/public/loca…
Mastodon | Lug Trieste
Un'istanza di mastodon per la cittá di Trieste, ospitata sul server del Linux user Group TriestinoMastodon hosted on mastodon.lug.ts.it
I'm grateful for the service your account offers, but it's a shame that it's not possible to sort servers by number of active users. Unfortunately, the number of overall users is a value that rewards very old instances, even if they are practically dead
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Weekly Chronicles #65
Questo è il numero #65 di Privacy Chronicles, la newsletter che ti racconta l’Era Digitale e ti aiuta a preservare la tua libertà e la tua privacy.
Cronache della settimana
- Le vending machines ti osservano
- L’AI Act europeo è stato finalizzato, cosa ci aspetta
- Londra potenzia la sorveglianza di massa
Lettere Libertarie
- In Argentina arriva il carcere per chi stampa denaro
Rubrica OpSec:
- I consigli della NSA per usare lo smartphone
Le vending machines ti osservano
Vending.FacialRecognition.App.exe - Application Error
È il messaggio di errore che è apparso a uno studente della University of Waterloo mentre cercava di comprare una merendina da una vending machine del campus.
Lo studente ha poi postato l’immagine su Reddit, da cui è scaturito un intenso dibattito: “okay, perché le vending machines hanno il riconoscimento facciale?”
Qualcuno ha anche postato parte della privacy policy della vending machine:
“The facial recognition camera and video display signage on the front of the vending machine can collect data about the customer’s age and gender. Once the data has been sent to the control unit, the data can be combined with other information, such as local weather conditions and time of day. The platform can then send a message back to the video display to trigger targeted promotions to stimulate add-on sales in a single transaction.”
In generale gli utenti che hanno postato nel thread su Reddit sembravano abbastanza stupiti dalla possibilità che una vending machine avesse tali capacità — tanto da protestare con l’amministrazione dell’università, che è stata poi costretta a disabilitare la macchina.
Bene, ma non proprio. Purtroppo non è una novità che le macchinette abbiano capacità di riconoscimento facciale. Lavorando nel settore della privacy posso dirvi che da diversi anni il settore del vending ha fatto grandi passi in avanti nell’acquisizione di dati personali: riconoscimento facciale, profilazione, concorsi a premi e molto altro.
Per quanto riguarda il riconoscimento facciale, la questione è più complessa di ciò che sembra. Prima di tutto, bisogna distinguere tra riconoscimento facciale e analisi facciale.
Il primo implica la creazione di dati biometrici attraverso modelli applicati da algoritmi sulle immagini del viso in tempo reale. I dati biometrici creano poi dei codici univoci che descrivono e identificano matematicamente un singolo volto.
Viceversa, gli algoritmi di analisi facciale non creano modelli biometrici ma sono in grado di identificare caratteristiche comuni e distinguere tra vari elementi. Ad esempio, sono in grado di distinguere il genere di una persona (over 9000), esaminando il volto.
Nel secondo caso la macchina sa che siamo esseri umani, magari di genere maschile o femminile e di età compresa tra i 25 e i 30 anni, ma non crea dati biometrici che possono essere usati per identificarci tra miliardi di altre persone.
Inutile dire che il primo caso è molto peggio del secondo. Purtroppo non è facile come sembra scoprire con quale tipo di sistema abbiamo a che fare. Molte aziende produttrici di software e macchine usano il termine riconoscimento facciale impropriamente, per vendere meglio i loro prodotti. Altri invece lo usano davvero.
In alcuni casi addirittura le macchine vengono vendute con la capacità di riconoscimento facciale, senza neanche che il commerciante che le installa lo sappia.
Una cosa è certa: nell’Era Digitale dobbiamo presumere che ogni macchina abbia telecamere, microfoni e sensori ad hoc per acquisire i nostri dati e profilarci.
Il mondo sta cambiando: stupirsi di queste cose significa essere preda delle macchine, degli algoritmi, delle corporazioni e dei governi. Prenderne atto, usare la tecnologia con accortezza, e adeguarsi.
Niente siti web o app, niente tracking IP, nessun documento richiesto. Solo Telegram. Clicca qui per iniziare ad accumulare BTC con BitcoinVoucherBot!
L’AI Act europeo è stato finalizzato, cosa ci aspetta
Dopo lunghi anni di discussioni e ripensamenti, il testo finale dell’IA ACT è stato approvato dall’Unione Europea e sarà pubblicato in Gazzetta ad aprile 2024. Da quel momento inizieranno a decorrere i vari termini di efficacia delle diverse disposizioni.
Prima proiezione internazionale per “La rivoluzione di Ayten”
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Pagine Esteri, 28 febbraio 2024. Si è tenuta a Londra la prima proiezione internazionale del documentario “La rivoluzione di Ayten”, realizzato da Eliana Riva e prodotto da Pagine Esteri. Dopo la presentazione ufficiale del lavoro, è cominciato il tour di presentazioni che farà tappa in diversi Paesi europei e città italiane.
Il documentario racconta la storia di Ayten Öztürk, l’oppositrice politica turca che ha denunciato di essere stata rapita e torturata per sei mesi in un centro segreto di detenzione ad Ankara. La campagna per la sua liberazione ha coinvolto centinaia di persone in tutto il mondo ma la battaglia per la chiusura dei centri di tortura ha significato per Öztürk una repressione giudiziaria che l’ha costretta per tre anni agli arresti domiciliari. Pochi giorni fa è stata arrestata e rimane tutt’ora in carcere.
I raid della polizia turca hanno portato al fermo di decine di persone, tra cui gli avvocati della stessa Ayten, intervistati nel documentario insieme ad alcune delle madri degli oppositori politici arrestati o uccisi dalla polizia.
Il docufilm ripercorre la storia recente della repressione dentro e fuori dalle carceri, delle campagne di sciopero della fame per opporsi agli arresti di avvocati, insegnanti, musicisti e dell’uso politico dei tribunali e della giustizia.
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Centrale di riciclaggio internazionale mediante bit-coin tra il Napoletano, Lettonia e Lituania
Associazione per delinquere, riciclaggio, autoriciclaggio, ricettazione, intestazione fittizia di beni, bancarotta per distrazione, omessa dichiarazione dei redditi, nonché detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature e altri mezzi atti a intercettare o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche. Queste le accuse mosse dal Comando provinciale della #guardiadifinanza di Napoli, a seguito di indagini che hanno potato alla emissione di un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali e reali nei confronti di otto persone, emessa dal gip del Tribunale di Napoli, su richiesta della locale Procura della Repubblica.
La centrale di riciclaggio internazionale era attiva a Portici ed Ercolano. Una parallela misura cautelare è stata eseguita del comando provinciale di Lecce, nell’ambito di una squadra investigativa comune coordinata da Eurojust, alla quale hanno preso parte parte anche le autorità giudiziarie della Lettonia e della Lituania. Due degli arrestati italiani erano residenti a Riga e da lì dirigevano le società coinvolte, uno è ritenuto il capo dell'organizzazione.
Dietro il paravento di servizi di consulenza e promozione finanziaria operava una centrale di riciclaggio internazionale con sede a Portici ed a Ercolano, nel Napoletano, che offriva alla clientela un “pacchetto” di servizi finalizzato a delocalizzare ed investire all’estero proventi illeciti derivanti, tra l’altro, da frodi fiscali, truffe sui bonus edilizi e bancarotte fraudolente, con modalità tali da ostacolare l’identificazione dei beneficiari effettivi dei fondi riciclati.
I promotori del sodalizio avrebbero diretto e gestito un’articolata struttura organizzativa con ramificazioni anche in Paesi off-shore, che svolgeva in Italia una vera e propria attività bancaria occulta, attraverso un Istituto di moneta elettronica lituano e una società lettone ad esso collegata, assicurando alla clientela società fittizie intestate a soggetti “prestanome”, conti correnti gestibili interamente online attraverso un’applicazione scaricabile dai principali app store, carte di pagamento anonime nonché servizi di raccolta, custodia e trasporto di denaro contante.
Secondo l’accusa, gli indagati avrebbero movimentato, tra il 2018 e il 2023, oltre 2,6 miliardi di euro, proponendo il proprio servizio a oltre 6mila clienti (per lo più italiani, principalmente localizzati in Campania, Lombardia e Lazio) che avevano necessità di un meccanismo capace di “nascondere” agli occhi del fisco italiano e dell’autorità giudiziaria ingenti capitali di illecita provenienza.
Tra i clienti eccellenti della centrale di riciclaggio sgominata dalla Guardia di Finanza figurano anche elementi di spicco del clan dei casalesi e della 'ndrangheta. Poi ci sono studi medici, veterinari, professionali (anche legali) e un imprenditore napoletano già condannato per un'evasione fiscale di 70 milioni di euro.
Avvalendosi di 15 dipendenti, il sodalizio avrebbe offerto assistenza sia mediante un centralino telefonico, sia attraverso una chat online, pubblicizzando i servizi offerti su numerosi siti web e su un ebook. Secondo l’ipotesi investigativa, condivisa dal gip del Tribunale di Napoli, alla base del sistema di riciclaggio scoperto vi era una struttura organizzativa imponente, costituita da sedi occulte a Portici ed Ercolano, da forza lavoro specializzata e fidelizzata e da un caveau per la custodia del contante, individuato nel corso delle perquisizioni eseguite in collaborazione con il Nucleo speciale Tutela privacy e Frodi tecnologiche.
Gli indagati si sarebbero avvalsi anche di strumentazioni informatiche e telematiche per impedire e interrompere le comunicazioni relative a sistemi telefonici e telematici, allo scopo di evitare qualsiasi tipologia di sorveglianza, captazione e intercettazione da parte delle forze di polizia. Eseguita in collaborazione con le autorità giudiziarie della Lettonia e della Lituania, con la Procura della Repubblica di Lecce e con il Nucleo di Polizia economico-finanziaria a quella sede, che ha eseguito una misura cautelare personale e reale nell’ambito di un parallelo filone investigativo, l’indagine avrebbe permesso di accertare anche un’evasione fiscale attribuibile ai principali promotori del sodalizio per un imponibile netto di quasi 80 milioni di euro.
Contestualmente alle misure cautelari personali è eseguito il sequestro delle disponibilità finanziarie e del patrimonio degli indagati per un valore complessivo di oltre 25 milioni di euro. Tra i beni sequestrati vi sono quindici immobili a Vilnius (di cui due appartamenti di lusso nel centro storico, due alberghi e un bar-ristorante), quattro immobili a Riga (di cui due appartamenti di lusso), una villa ad Ercolano con piscina e campo di calcio, un immobile a Portici, un immobile a Como e uno yacht.
Nel corso delle indagini, erano già sequestrati oltre 700mila euro in contanti, criptovaluta detenuta in nove portafogli digitali per 1,3 milioni di euro e beni di lusso (orologi e gioielli) per 330mila euro. L’ordinanza applicativa di misure cautelari personali e reali è eseguita dai militari del Nucleo di Polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Napoli nell’ambito di una Squadra Investigativa Comune coordinata da #Eurojust.
controinformazione.info/per-la…
Pirates end EU silence on Julian Assange’s looming extradition to the USA
Following an initiative of the Pirate Party, the European Parliament will discuss the looming extradition and prosecution of Wikileaks founder Julian Assange and its implications on freedom of the press on Wednesday. In a narrow vote on Monday, the majority of MEPs decided to request EU Commission and Council statements on the case followed by a political debate.
Patrick Breyer, MEP for the German Pirate Party, is delighted:
“We have put an end to the EU’s silence and looking the other way on Assange. Double standards just because the United States are an ally undermine Europe’s credibility when it comes to upholding human rights.
The US wants to make an example of Wikileaks founder Julian Assange to make sure no one will dare to leak internal information that exposes war crimes, unlawful detention, human rights violations and torture by the world power ever again. To us Pirates, such transparency is both a mission and an obligation, because transparency is the only way to hold the powerful accountable for state crimes and stop abuses of power. That is why we are calling for the release of Julian Assange.
When I raised the Assange case during a trip to the USA by the Home Affairs Committee, government representatives told me that every journalist would be prosecuted according to the same standards. In other words, freedom of the press and investigative journalism, our right to truth and justice are at stake here.
The world is now looking at the UK and its respect for human rights and the Convention on Human Rights. Britain’s relationship with the EU is at stake if it fails to respect its obligations.”
Previously, a group of 46 MEPs from different political groups had already sent a final appeal to the British Home Secretary to protect Wikileaks founder Julian Assange and prevent his possible extradition to the United States. In a letter to the British Home Secretary last week, the signatories emphasised their concerns about the Assange case and the impact on press freedom as well as the serious risks to Assange’s health in the event of extradition to the US. According to the letter, the US government is attempting to use the Espionage Act of 1917 against a journalist and publisher for the first time. If the US succeeds and Assange is extradited, this would mean a redefinition of investigative journalism. It would extend the application of US criminal laws to the whole world and also to non-US citizens, without extending the application of the US constitutional guarantee of freedom of expression.
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Uno Starlink cinese? Pechino accelera sull’Internet satellitare
La Cina starebbe pianificando la creazione di una infrastruttura di connessione globale di oltre dodicimila nano-satelliti, un sistema di Internet satellitare che ricalcherebbe il più conosciuto programma Starlink dell’americana SpaceX. Sebbene questo progetto sia ancora agli inizi, la Cina ha deciso di investire sul suo programma satellitare già da vari anni e lo sviluppo di un programma basato su larghe costellazioni di satelliti risale al 2018. Un altro segnale che dimostra l’aumento dell’interesse cinese nei confronti della dimensione spaziale è l’incremento dei lanci missilistici commerciali, sessantasette lo scorso anno, che la mettono in ottima posizione, seconda solo agli Stati Uniti con i loro centosedici lanci. Lo stesso governo cinese ha dichiarato che il valore dell’industria satellitare commerciale domestica raddoppierà nel 2024 raggiungendo i sessantaquattro miliardi di dollari entro il 2025. Alcune fonti indicano che la Cina stia pianificando di creare una rete di 12,992 satelliti per creare una rete di connessione globale, .
L’esempio di Starlink
Dietro la recente accelerazione di Pechino ci sarebbero delle valutazioni legate a quanto accaduto in Ucraina. Il programma di Elon Musk ha, infatti, permesso ai soldati ucraini di conservare le loro comunicazioni e la connessione Internet, vanificando buona parte delle offensive di guerra elettronica portate avanti da Mosca. Un elemento che, invece, potrebbe causare preoccupazione nel fronte occidentale è l’apertura che Musk sembra avere nei confronti di Pechino. Oltre ad aver vocalmente celebrato le qualità di Xi Jinping, pare che Musk abbia personalmente ordinato una riduzione dei servizi Starlink per gli abitanti di Taiwan, violando l’esistente contratto con Washington. Se veramente Pechino potesse contare sulla collaborazione, anche parziale, di Elon Musk allora è possibile che la Cina riesca a chiudere il divario tecnologico con l’occidente, in questo contesto, in tempi pericolosamente brevi.
Il rischio per l’America
Se la Cina, attraverso questo programma, dovesse ottenere l’indipendenza dall’infrastruttura sottomarina di Internet questo presenterebbe un importante sfida strategica per l’occidente. Ad oggi, la quasi totalità della connessione Internet è costituite da reti di cavi sottomarini che collegano i vari Paesi e trasportano le informazioni (quasi il 99%). La dipendenza da questi cavi per l’accesso al web è uno degli elementi che garantisce il controllo Usa su questa risorsa, grazie al vantaggio navale attualmente esercitato da Washington su Pechino. Se la Cina dovesse rendersi indipendente, anche parzialmente, gli Stati Uniti perderebbero uno dei loro vantaggi principali.
Il vantaggio militare
Nel pratico andando a sviluppare queste capacità la Cina andrebbe a guadagnare i seguenti vantaggi. In primo luogo, Pechino, come dimostrato in Ucraina, acquisirebbe resilienza nel contesto della guerra elettronica ottenendo un importante vantaggio in un, ipotetico, conflitto nell’ Indo-Pacifico. Se nelle prime fasi, che la maggior parti degli esperti considerano essere lo scontro tra la flotta americana e le capacità antinave cinesi nel mar di Giappone, Pechino dovesse essere in grado di proteggere i suoi vettori conservando la loro guida satellitare e fosse in grado di far rimanere attive le sue comunicazioni questo potrebbe fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta. lo sviluppo di una flotta di piccoli satelliti che gestiscono le comunicazioni darebbe a Pechino profondità strategica nel dominio spaziale contro un ipotetico avversario americano. Questo progetto permetterebbe a Pechino di guadagnare resilienza nel dominio spaziale, in quello elettronico e in quello cyber, rappresentando un passo fondamentale per il Paese asiatico.
I vantaggi economico-strategici
In secondo luogo, Pechino sta acquisendo le capacità necessarie per creare un suo circuito di Space economy che, fondamentale per la sua autonomia strategica, le permetterà di ottenere enormi guadagni negli anni a venire. Infine, lo sviluppo di queste capacità permetterebbe a Pechino di supportare i suoi alleati, come hanno fatto gli americani in Ucraina grazie al progetto Starlink, permettendole di partecipare alle possibili guerre fra proxy che andranno a scoppiare negli anni a venire.
Lo US Army cancella l’elicottero per la ricognizione armata. Le incognite
L’annuncio dell’8 febbraio della cancellazione da parte dello US Army del programma di sviluppo per un nuovo elicottero militare ha destato qualche perplessità, non solo tra gli operatori americani, ma nei ministeri della Difesa e nelle relative industrie in Europa. Non è certo la prima volta che gli americani spendono miliardi di dollari su programmi che poi cancellano, ma in questo caso sono addirittura recidivi. Un programma analogo, il RAH-60 Comanche, per un elicottero con la stessa missione, è già stato cancellato quasi vent’anni fa e per lo stesso motivo dichiarato allora: la missione si può fare con i droni, senza rischiare la vita degli equipaggi – Ucraina docet. Allora gli Stati Uniti erano appena sbarcati in Iraq e anche allora i droni erano la motivazione.
Il programma FARA (Fast Attack and Reconnaissance Aircraft) cancellato qualche settimana fa e su cui erano già stati spesi due miliardi di dollari, era in evoluzione con un nuovo modello di acquisizione dalla difesa Usa, chiamato Competitive prototyping, cioè compartecipare l’industria allo sviluppo di più dimostratori operanti, per permettere al cliente di fare la scelta più aderente al requisito e ridurre i tempi di sviluppo e produzione del programma. È un modello che impone costi anche all’industria, per quasi un terzo dell’investimento, e premia chi meglio interpreta le esigenze e i requisiti della difesa. Nel caso del FARA erano rimasti in gara Bell, con un elicottero a tecnologia tradizionale, e Sikorsky, con un elicottero innovativo, a pale controrotanti ed un’elica propulsiva in coda. Entrambe le aziende hanno sviluppato prototipi, pronti al volo.
Quello che però incomincia a trapelare in ambienti americani è che la decisione dell’US Army non sia forse così lineare come sembra. Infatti, l’utilizzo di droni per una missione in aree ad alta intensità può avvenire solo con la disponibilità ininterrotta di data link e collegamenti satellitari. Come ha confermato ad Airpress il generale di divisione (Aus.) Fortunato di Marzio, pilota e già Comandante di Reggimento di Elicotteri di Attacco e Ricognizione/scorta: “Proprio la guerra in Ucraina dimostra quanto sia poco attendibile la certezza di riuscire a garantire il dominio non solo aereo, ma anche dello spettro elettromagnetico. Qualcosa che suscita molto scetticismo tra gli esperti, anche alla luce del forte dispiegamento di risorse russe dedicate alla guerra elettronica”. In altre parole, la possibilità di un utilizzo massiccio di droni per missioni di attacco e ricognizione può avvenire soltanto attraverso un controllo quasi assoluto dello spettro elettromagnetico a più basse quote.
E forse la decisione dell’US Army, non è motivata solo da un improvviso cambio di strategia ma piuttosto dalla realizzazione che gestire due programmi di sviluppo di piattaforme aeree in parallelo, come il FLRAA (Future long range assault aircraft, per il quale è stato selezionato un design tiltrotor) e il Fara, non sono compatibili né con le sue prospettive di bilancio né con la sua di capacità di gestione, e puntare sui droni è un modo elegante per districarsi dal problema.
La questione sta adesso toccando anche i vertici dei comitati Difesa del Pentagono. Il chairman del comitato Air and land forces, Rob Wittman, ha in questi giorni avviato formali richieste di chiarimento all’US Army: “Comprendiamo che l’Army è adesso focalizzato sull’utilizzo dei droni ma non si comprende quale sia la direzione per l’ammodernamento degli elicotteri, specialmente nel segmento di elicotteri veloci per attacco e ricognizione”.
Peccato che questa decisione abbia anche implicazioni quasi esistenziali per l’industria elicotteristica americana.
Se anche il FLRA subirà ridimensionamenti, come si mormora tra gli esperti americani, anche a causa dei problemi irrisolti con il convertiplano V-22 Osprey, ormai con le flotte messe a terra dal 6 dicembre, sia Bell che Sikorsky dovranno trovare sbocchi alternativi per le tecnologie che i programmi americani hanno prodotto. Ma la storia della difesa Usa insegna che la base industriale del Paese riceve sempre un’attenzione prioritaria, se non direttamente dal dipartimento della Difesa, sicuramente dal Congresso americano che è avvezzo a munifiche elargizioni per la salvaguardia della capacità produttiva nazionale.
Ricordiamo che proprio il Pentagono, a partire da fine anno, dovrà assicurare che l’industria elicotteristica americana preservi le sue competenze, perché non sarà certo il FLRAA a sostituire in futuro i più di tremila Blackhawk che volano con i colori americani. Certamente, come in passato, l’esercito lancerà un nuovo programma fra qualche anno, forse anche con le tecnologie già sperimentate con successo con il Fara.
Rimane comunque il fatto che la tempistica della decisione offre all’industria elicotteristica europea un interessante spazio di manovra per inserirsi in un mercato importante con le proprie soluzioni innovative e con la sponda di tecnologie mature già sviluppate dagli americani, e oggi più accessibili perché orfane di programmi nazionali.
Non a caso la Nato, con la sua iniziativa Next generation rotorcraft capability (NGRC), ha proprio in questi giorni pubblicato il bando di gara per l’ultimo studio in cui chiede all’industria dei Paesi Nato di fornire soluzioni tecnologiche elicotteristiche ad alte velocità, con sistemi di missione ed effettori di quinta generazione, precisando che non considererà proposte di soluzioni con tecnologie attuali.
Imparare dalle sconfitte
“A volte vinco, tutte le altre imparo”: chissà se Giorgia Meloni riuscirà a fare propria la saggezza orientale che trasuda da questo antico proverbio giapponese. La vittoria, infatti, notoriamente inebria d’un’ebbrezza che annebbia, e ultimamente Giorgia Meloni ha vinto molto. Ha vinto imponendosi, ha di conseguenza governato con lo stesso metodo che l’ha condotta alla vittoria. Ha scelto ministri e candidati sulla base della fedeltà più che della capacità, ha trattato gli alleati con spirito autoritario più che con autorevolezza. È stata presa dalla hybris, sentimento tipicamente occidentale che nella Grecia antica era attribuito agli uomini che osavano sfidare gli dei ritenendo di averne acquisito i poteri. Uomini che, fatalmente, prima o poi scontano nella sconfitta la loro protervia.
In attesa dei risultati del test abruzzese che si svolgerà il 10 marzo, l’esito del voto in Sardegna potrebbe essere un bene per il centrodestra, a patto che i suoi leader e soprattutto Giorgia Meloni ne introiettassero la lezione. Anzi, le lezioni. Perché le lezioni sono in effetti due. La prima lezione attiene alla scelta del governatore di centrodestra uscente in Sardegna. Christian Solinas fu scelto nel 2019 da Matteo Salvini anche se in molti non lo ritenevano adeguato a ricoprire la non facile carica di presidente di Regione. In effetti ha vinto, ma a detta di molti ha mal governato. Una percezione diffusa anche nel centrodestra sardo su cui ha fatto leva Giorgia Meloni per imporre il proprio candidato. Il cambiamento c’è stato, ma gli echi del malgoverno hanno probabilmente condizionato l’esito elettorale. La prima lezione, dunque, è: i candidati a cariche elettive monocratiche vanno scelti non sulla base della fedeltà, ma sulla base della credibilità. Anche a costo di andarli a cercare lontani dal proprio orticello politico.
La seconda lezione discende dalla prima. Per imporre alla Lega il proprio candidato, Giorgia Meloni ha fatto di una tensione locale un caso nazionale. Lo scontro con Salvini è stato duro, la frattura a lungo esposta. Ed è noto che gli elettori del centrodestra non amano il conflitto interno. Alla fine, Meloni l’ha spuntata, ma l’ha spuntata con un candidato, Paolo Truzzu, molto spostato a destra e la cui principale qualità è parsa la fedeltà alla leader. Qualità evidentemente insufficiente non solo per governare, ma anche per vincere.
La seconda lezione, pertanto, è duplice: evitare, se possibile, di imporsi sugli alleati fino ad umiliarli e scegliere, se si è in grado di convincerli, candidati dotati di una propria autorevolezza e del profilo politico-culturale necessario ad attirare il voto non tanto della propria base elettorale più identitaria, quanto di quella massa elettorale moderata e di confine ormai da anni incline all’astensionismo.
Stavolta il centrodestra in generale e Giorgia Meloni in particolare non hanno vinto. Se, messa da parte la hybris e adottata un po’ di saggezza orientale, impareranno la lezione, questa sconfitta verrà ricordata come un’utile folgorazione. In caso contrario, come l’inizio della fine.
L'articolo Imparare dalle sconfitte proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
📌 L'associazione Italiana Oncologia Toracica, in collaborazione con il #MIM indice, per l'anno scolastico 2023/2024, la terza edizione del #Concorso Nazionale "Respiriamo insieme".
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola 📌 L'associazione Italiana Oncologia Toracica, in collaborazione con il #MIM indice, per l'anno scolastico 2023/2024, la terza edizione del #Concorso Nazionale "Respiriamo insieme".Telegram
Erotik Twist - The Street, the Night, the Rebel
E gli Erotik Twist fanno proprio questo: mantengono le promesse evocate dal loro nome, dai titoli della maggior parte delle loro canzoni e, perché no, dalla copertina di questo album. @Musica Agorà
iyezine.com/erotik-twist-the-s…
Erotik Twist - The Street, the Night, the Rebel - 2024
Erotik Twist: un album affilato come un lama di rasoio in un thriller italiano degli anni settanta, di quelle che colpiscono senza dare scampo alla vittima.In Your Eyes ezine
RECs Report: Towards a Continental Approach to Data Protection in Africa
On July 28, 2022, the African Union (AU) released its long-awaited African Union Data Policy Framework (DPF), which strives to advance the use of data for development and innovation, while safeguarding the interests of African countries. The DPF’s vision is to unlock the potential of data for the benefit of Africans, to “improve people’s lives, safeguard collective interests, protect (digital) rights and drive equitable socio-economic development.” One of the key mechanisms that the DPF seeks to leverage to achieve this vision is the harmonization of member states’ digital data governance systems to create a single digital market for Africa. It identifies a range of focus areas that would greatly benefit from harmonization, including data governance, personal information protection, e-commerce, and cybersecurity.
In order to promote cohesion and harmonization of data-related regulations across Africa, the DPF recommends leveraging existing regional institutions and associations that are already in existence to create unified policy frameworks for their member states. In particular, the framework emphasizes the role of Africa’s eight Regional Economic Communities (RECs) to harmonize data policies and serve as a strong pillar for digital development by drafting model laws, supporting capacity building, and engaging in continental policy formulation.
This report provides an overview of these regional and continental initiatives, seeking to better clarify the state of data protection harmonization in Africa and to educate practitioners about future harmonization efforts through the RECs. Section 1 begins by providing a brief history of policy harmonization in Africa before introducing the RECs and explaining their connection to digital regulation. Section 2 dives into the four regional data protection frameworks created by some of the RECs and identifies key similarities and differences between the instruments. Finally, Section 3 of the report analyzes regional developments in the context of the Malabo Convention through a comparative and critical analysis and, lastly, provides a roadmap for understanding future harmonization trends. It concludes that while policy harmonization remains a key imperative in the continent, divergences and practical limitations exist in the current legal frameworks of member states.
Matteo Grossi – Cercasi Stato Disperatamente
L'articolo Matteo Grossi – Cercasi Stato Disperatamente proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Political advertising: EU fights cookie banners, but not voter manipulation and microtargeting
Today, Members of the European Parliament adopted new rules on transparency and targeting of political advertising, which will essentially apply from 2025. In addition to a mandatory publicly accessible collection of political advertising (“ad library”), the EU Parliament, with the participation of Pirate Party MEP Patrick Breyer, was able to implement an unprecedented ban on annoying consent banners if the user rejects personalised political advertising via browser default settings (“do not track”). Parliament was also able to ensure that consent to political surveillance advertising must not be required as a precondition for using internet services (“tracking walls”). On the downside, contrary to Parliament’s intention, personally micro-targeting political messages based on every user’s the individual preferences, weaknesses, life situation and personality will continue (so-called surveillance advertising). Patrick Breyer, MEP and digital freedom fighter for the Pirate Party, who co-negotiated the regulation on behalf of the Committee on Home Affairs, sums up the result:
“This law is the beginning of the end of annoying cookie banners and outrageous forced consent walls. Every user will be able to decide in favour of or against political surveillance advertising – but the consequences of that decision are beyond the average consumer’s comprehension.
The digital manipulation of elections in the style of Cambridge Analytica, targeted disinformation before referendums such as Brexit, contradictory election promises to different voter groups – all of this remains legal. This non-regulation benefits anti-democratic and anti-European forces in particular: they can continue to use surveillance advertising to target hate messages and lies at those voters who are susceptible to them in order to undermine our democracy.
Here, the short-sighted self-interest of EU governments in election advertising and the surveillance capitalist profit interests of big tech have combined to create a mixture that is toxic to democracy. Transparency is not enough – it will only allow us to watch attacks on our democracy.”
The existing ban in the Digital Services Act on analysing users’ political opinions, sexual orientation or health for advertising purposes remains in place. In practice, however, micro-targeted political advertising tends to be based on matching interests and other correlations, which remains permissible. Cambridge Analytica also analysed users’ personalities rather than their political opinions prior to Trump’s election as US president.
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Success thanks to the Pirates: EU Parliament approves new level of transparency for the European Court of Justice
The European Parliament today voted by a large majority in favour of a reform of the ECJ Statute. In future, the European Court of Justice will proactively and systematically publish the pleadings and arguments submitted by the parties to proceedings on its website once the proceedings have been concluded. An exception applies if the author of a pleading objects, but in this case there is a right of access to information via the EU Commission upon request. The new transparency rule will apply to all legal questions referred to the ECJ by national courts (“preliminary rulings”), as most landmark cases result of such references. MEP Patrick Breyer (Pirate Party), who is himself a judge by profession, had proposed the new transparency rule and fought for its adoption during the negotiations.
“With the systematic publication of pleadings, the European Court of Justice will be more transparent than ever before. This also sets standards for the national judiciaries,” said Breyer. “It is a privilege that, as a Pirate Party MEP, I was able to introduce our core aim of a transparent state into the negotiations and successfully see it through thanks to the support of my colleagues. Pressure from civil society also contributed to this.
After landmark judgements with far-reaching consequences, the public has a right to know and discuss the positions of governments and institutions in the run-up to the decision. I am sure we will be surprised by some of the arguments put forward by them. In a democracy where freedom of press reigns, we need to be able to hold the powerful accountable for their behaviour in court. At a time when the EU and its Court of Justice are facing a crisis of confidence, transparency creates trust.
Of course, the new transparency rule with its restrictions and reservations does not yet fully meet our expectations. In particular, we will be keeping a close eye on whether transparency objectors will systematically abuse their right to object to publication. Nevertheless, the introduction of the principle of proactive transparency in the EU judiciary is a milestone and a paradigm shift.”
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ONU: Israele deve smettere di attaccare ambulanze e convogli umanitari
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Pagine Esteri, 27 febbraio 2024. In una dichiarazione pubblicata il 27 febbraio, le Nazioni Unite hanno denunciato gli attacchi continui ai convogli umanitari dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, alle ambulanze e ai membri della Mezzaluna Rossa Palestinese. I raid avvengono nonostante le missioni umanitarie e di soccorso siano regolarmente comunicate e coordinate con l’esercito israeliano, il quale pretende la trasmissione preventiva dei dati dei pazienti trasportati e degli stessi operatori sanitari. Questi ultimi vengono fermati, spogliati e spesso arrestati per giorni, senza notizie sulle accuse né sui luoghi di detenzione. I convogli di aiuti, denunciano le Nazioni Unite, sono attaccati e bloccati e viene sistematicamente negato l’accesso ai beni da parte delle persone che stanno patendo la fame.
“Il 25 febbraio, la Società della Mezzaluna Rossa Palestinese (PRCS) e le Nazioni Unite hanno evacuato 24 pazienti dall’ospedale Al Amal di Khan Younis, tra cui una donna incinta e una madre e un neonato. L’ospedale Al Amal è stato all’epicentro delle operazioni militari a Khan Younis per oltre un mese. Quaranta attacchi all’ospedale, dal 22 gennaio al 22 febbraio, hanno ucciso almeno 25 persone.
Nonostante il precedente coordinamento per tutti i membri del personale e i veicoli con la parte israeliana, le forze israeliane hanno bloccato il convoglio guidato dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per molte ore nel momento in cui ha lasciato l’ospedale. L’esercito israeliano ha costretto i pazienti e il personale a uscire dalle ambulanze e ha spogliato tutti i paramedici dei loro vestiti. Tre paramedici PRCS sono stati successivamente arrestati, anche se i loro dati personali erano stati condivisi con le forze israeliane in anticipo, mentre il resto del convoglio è rimasto sul posto per oltre sette ore. Un paramedico è stato rilasciato e facciamo appello per il rilascio immediato degli altri due e di tutti gli altri operatori sanitari detenuti.
Questo non è un incidente isolato. I convogli di aiuti sono sotto tiro e viene sistematicamente negato l’accesso alle persone bisognose. Gli operatori umanitari sono stati molestati, intimiditi o detenuti dalle forze israeliane e le infrastrutture umanitarie sono state colpite. Poco prima dell’incidente di domenica, due familiari di Medici Senza Frontiere sono stati uccisi in un attacco non sollecitato dalle forze israeliane contro un complesso in conflitto dove dormivano il loro personale e i loro familiari.
L’inadeguata facilitazione per la consegna degli aiuti in tutta Gaza significa che gli operatori umanitari sono soggetti a un rischio inaccettabile di essere arrestati, feriti o peggio; lasciando noi e i nostri partner incapaci di raggiungere in sicurezza Gaza settentrionale e sempre più parti di Gaza meridionale.
L’ONU e i partner hanno costantemente comunicato alle autorità israeliane i requisiti per una facilitazione significativa degli sforzi di soccorso in tutta Gaza. Il minimo indispensabile è questo: riconoscere in anticipo la notifica di una missione umanitaria comporta la responsabilità di facilitare un passaggio sicuro, regolare e rapido sul terreno. Continueremo il nostro impegno con le forze israeliane affinché tali requisiti siano soddisfatti, in modo che la risposta umanitaria assolutamente necessaria sia abilitata.
L’ONU e il PRCS hanno dovuto lasciare altri trentuno pazienti non critici all’ospedale Al Amal”.
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Traffico internazionale di specie animali. Il caso del pangolino, considerato una prelibatezza sulle tavole cinesi
Nel nostro blog abbiamo avuto modo di parlare in più occasioni del traffico di specie animali (link in nota 1), noto come #wildlifetrafficking: la vendita illegale di specie selvatiche è tra i cinque commerci illegali più redditizi a livello globale, contrastato dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES) in vigore dal 1975 (in Italia dal 1980).
In questo contesto i pangolini, specie unica di mammiferi, sono tra – se non i più – trafficati. Oltre un milione di pangolini sono stati uccisi nell'ultimo decennio, rappresentando il 20% di tutto il commercio illegale di fauna selvatica.
Per tale motivo il 15 febbraio è stata designata la Giornata Mondiale del Pangolino, per sensibilizzare l'opinione pubblica su questi animali unici.
I pangolini sono mammiferi e si trovano principalmente in ambienti acquatici, tuttavia non vivono nell'acqua. Essi usano efficacemente i loro artigli per difendersi e creare armature quando si raggomitolano. Il termine "pangolino" deriva dal termine maschile "penggulung", che significa oggetto ruvido o ricurvo.
Giant pangolin (Smutsia gigantea), Autore Louise Prévot, @louiseprevot_art
Esistono otto specie di pangolini riconosciute, la maggior parte delle quali vive in Asia e Africa. Tutte e otto le specie sono considerate in pericolo a causa dell'alto rischio di sfruttamento e distruzione del loro habitat.
La più grande minaccia per i pangolini è il loro uso eccessivo nel traffico di animali selvatici e nella caccia. La loro carne viene utilizzata come cibo e le loro squame per scopi medicinali. Ma nonostante il loro uso diffuso, i benefici degli artigli del pangolino non sono stati riconosciuti e le loro squame sono realizzate semplicemente con materiale cheratinoso, che non li rende diversi dagli esseri umani.
Stanno diventando un mercato significativo in alcune parti del mondo, in particolare nei paesi asiatici, poiché il prezzo di un chilogrammo di pangolini in Cina può arrivare fino a 1300 euro, e il prezzo di un chilogrammo di carne può arrivare fino a 300 euro. A tale proposito il presidente cinese Xi Jinping criticò i prezzi elevati dei pangolini, citando i rischi per la salute pubblica derivanti dal consumo di animali selvatici. Fu approvata -anche in risposta alle preoccupazioni internazionali che il coronavirus Sars-Cov2, che si ritiene abbia origine nei pipistrelli, possa essere stato trasmesso all'uomo attraverso animali selvatici venduti in un mercato di Wuhan, in Cina - una decisione che vieta il commercio illegale di fauna selvatica in Cina ed elimina le normative esistenti relative al consumo di fauna selvatica. L'identità della fonte animale del coronavirus, denominata nCoV-2019, è stata una delle domande chiave per i ricercatori. È noto che i coronavirus circolano nei mammiferi e negli uccelli e gli scienziati hanno già suggerito che nCoV-2019 originariamente proveniva da pipistrelli, una proposta basata sulla somiglianza della sua sequenza genetica con quella di altri coronavirus noti. Ma il virus è stato probabilmente trasmesso all'uomo da un altro animale. Il coronavirus che ha causato una grave sindrome respiratoria acuta o SARS, diffuso dai pipistrelli ai gatti di zibetto agli umani. La South China Agricultural University di Guangzhou, tramite due dei suoi ricercatori, ha identificato il pangolino come la potenziale fonte di nCoV-2019 sulla base di un confronto genetico di coronavirus prelevati dagli animali e da esseri umani infetti nell'epidemia e altri risultati. Le sequenze sono simili al 99%, hanno riferito i ricercatori alla conferenza stampa del 7 febbraio.
Comunque, niente di tutto questo ha aiutato i pangolini né ora né nel recente passato. Se è vero che nel 2018, la provincia di Hubei ha creato 300 zone di conservazione e ha represso la caccia e il commercio senza licenza, nel 2019, nove tonnellate di carne di pangolino furono sequestrate a Hong Kong e successivamente sono state trovate 14 tonnellate di carne di pangolino a Singapore. Oltre un milione di pangolini sono stati uccisi nell'ultimo decennio, rappresentando il 20% di tutto il commercio illegale di fauna selvatica.
La mappa della presenza mondiale del pangolino, tratta da www.itsprettydata.com
Appare evidente come il traffico illegale di animali selvatici è in forte espansione, con la domanda di pangolini che supera l’offerta.
I pangolini asiatici sono stati storicamente sotto pressione, con il pangolino della Sonda che ha registrato il maggior numero di casi di traffico.
Le popolazioni di pangolini in Asia stanno diminuendo e l'attenzione dei cacciatori si sta spostando verso le specie africane che vengono sempre più cacciate a causa dell'eccessivo sfruttamento.
Molte aree dell’Africa dove vivono i pangolini sono anche aree con elevata povertà e disunione.
Traffic, una rete globale che monitora il commercio di fauna selvatica, ha riferito che circa 9.000 pangolini sono stati introdotti clandestinamente in Cina dal 2007 al 2016. Nel 2017 è stato introdotto un accordo commerciale internazionale che consente l'importazione commerciale di tutte e otto le specie di pangolini. Tuttavia, la popolazione di pangolini cinesi è diminuita dell'80% negli ultimi anni.
La carne di pangolini è considerata una prelibatezza, con molti ristoranti che cercano di stupire gli ospiti con la carne di pangolino, considerata uno status symbol e le persone credono che il consumo di pangolino possa curare le malattie della pelle e prevenire le infezioni.
Nota . Tra gli altri articoli si segnalano: [noblogo.org/cooperazione-inter… [noblogo.org/cooperazione-inter… [noblogo.org/cooperazione-inter…
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Gli Usa hanno usato l’AI per colpire le milizie iraniane in Iraq e Siria
Gli Stati Uniti hanno utilizzato l’intelligenza artificiale per identificare i bersagli colpiti dai raid aerei in Medio Oriente questo mese, rivelando un crescente utilizzo militare di questa tecnologia in fase di sviluppo per il combattimento. Algoritmi di apprendimento automatico capaci di machine learning hanno identificato target e contribuito a restringere i bersagli per più di 85 raid aerei statunitensi il 2 febbraio, secondo quanto spiegato a Bloomberg da Schuyler Moore, chief technology officer del Comando Centrale degli Stati Uniti (Centcom), che gestisce le operazioni militari in Medio Oriente.
Il Pentagono ha dichiarato che quei raid sono stati condotti da bombardieri e aerei da combattimento di vario genere e hanno colpito bersagli in sette strutture in Iraq e Siria come risposta a un attacco mortale contro il personale statunitense presso una base in Giordania, la Tower 22. “Abbiamo utilizzato la visione artificiale per identificare dove potrebbero esserci state minacce”, ha detto Moore e questo “ci ha dato più opportunità di individuare bersagli negli ultimi 60-90 giorni”. Gli Stati Uniti stanno attualmente cercando “un sacco” di obiettivi di forze ostili nella regione, dunque l’AI aiuta ad assolvere — rapidamente ed efficacemente — un compito complesso.
Era noto che l’intelligenza artificiale veniva usata a fini di intelligence, ma i commenti di Moore rappresentano la conferma più forte fino ad oggi dell’utilizzo della tecnologia da parte dello strumento militare statunitense per identificare bersagli nemici che sono stati successivamente colpiti. Gli algoritmi di targeting sono stati sviluppati nell’ambito del Progetto Maven, un’iniziativa del Pentagono avviata nel 2017 per accelerare l’adozione di intelligenza artificiale e apprendimento automatico in tutto il Dipartimento della Difesa e per sostenere l’intelligence della difesa, con un’enfasi sui prototipi usati all’epoca nella lotta statunitense contro i militanti dello Stato Islamico.
Maven aveva già fatto storcere il naso ad alcuni dipendenti del settore, Moore ha detto che le forze statunitensi in Medio Oriente hanno sperimentato algoritmi di visione artificiale capaci di individuare e identificare bersagli da immagini catturate da satellite e altre fonti di dati, provandoli in esercitazioni nell’ultimo anno. E le forze statunitensi sono state in grado di passare “in modo piuttosto fluido” all’utilizzo di Maven dopo un anno di esercitazioni digitali.
“Il 7 ottobre è cambiato tutto”, ha detto Moore, facendo riferimento all’attacco di Hamas contro Israele che ha preceduto la guerra a Gaza. “Ci siamo subito messi in moto ad un ritmo molto più elevato e con un’operatività molto più elevata di quanto non avessimo fatto in precedenza”. Moore ha sottolineato anche che le capacità di intelligenza artificiale di Maven sono state utilizzate per aiutare a individuare potenziali bersagli, ma non per verificarli o dispiegare armi.
Ha detto che le esercitazioni alla fine dell’anno scorso, durante le quali Centcom ha sperimentato un recommendation engine di intelligenza artificiale, hanno mostrato che tali sistemi “spesso non sono stati all’altezza” degli umani nel proporre l’ordine di attacco o la migliore arma da utilizzare. Gli operatori statunitensi prendono sul serio le loro responsabilità e il rischio che l’intelligenza artificiale possa commettere errori, ha precisato Moore, e “è tendenzialmente evidente quando c’è qualcosa che non va”.
“Non c’è mai un algoritmo che funziona semplicemente, giunge a una conclusione e poi passa al passo successivo”, ha detto. “Ogni passaggio che coinvolge l’intelligenza artificiale ha un umano che controlla alla fine”. Nella grande competizione tecnologica che ruota attorno all’AI (tra i grandi temi che l’Italia intende condividere con gli alleati del G7 che quest’anno guida), Centcom fa un passo avanti non solo operativo, ma verso gli standard che influenzeranno il futuro della tecnologia — altro grande fattore delle competizione.
UCRAINA. I russi avanzano, Macron propone l’invio di truppe occidentali
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di Marco Santopadre
Pagine Esteri, 27 febbraio 2024 – Il presidente ucraino ha di nuovo ammesso il fallimento della controffensivalanciata da Kiev parecchi mesi fa, ma ha promesso che presto le sue truppe torneranno all’attacco fino alla “vittoria finale”.
Ma per ora ad avanzare è l’esercito russo che dopo la conquista strategica di Avdiivka – ridotta ad un cumulo di macerie dopo quattro mesi di feroci combattimenti – si è impossessato di altri territori in Donbass. In vari punti le truppe di Mosca hanno sfondato le linee difensive ucraine, soverchiando i militari ucraini ormai sfiancati e a corto di munizioni.
I russi avanzano in Donbass
Ad Avdiivka inizialmente i comandi ucraini avevano imposto alle proprie truppe la resistenza ad oltranza, nonostante la “Brigata Autonoma d’Assalto Azov” – com’è stato ribattezzato il Battaglione Azov, l’unità militare costituita da gruppi di estrema destra nel 2014 – fosse quasi interamente circondata dalle truppe russe. Poi però, non è chiaro se in seguito ad un ordine di ritirata da parte dei comandi o ad una iniziativa delle truppe, la Azov ed altri reparti hanno abbandonato le posizioni ritirandosi oltre la “linea di difesa” già realizzata a qualche chilometro di distanza.
Nei mesi scorsi, infatti, quando ormai era chiaro che la controffensiva ucraina non stava producendo affatto i progressi decantati ed anzi l’apparato militare russo si preparava a nuovi assalti, forte del potenziamento dell’industria militare interna, il governo di Kiev ha ordinato la costruzione di una linea di difesa fortificata a poca distanza dal fronte, proprio per evitare un possibile sfondamento da parte russa.
Ma neanche il licenziamento del comandante in capo delle forze armate del generale Valery Zaluzhny e la sua sostituzione da parte di Zelensky con Oleksandr Syrsky, suo fedelissimo, ha impedito alla truppe di Mosca di approfittare dell’estrema debolezza di Kiev causata da fattori interni ma anche dal parziale allentamento del sostegno statunitense ed europeo.
I russi hanno preso prima il villaggio di Lastochkine, che si trova a circa 10 km ad ovest di Avdiivka, e poi i villaggi di Stepnoye e Severnoye, segno che l’avanzata di Mosca in Donbass sta procedendo in maniera spedita dopo la conquista, a metà febbraio, di un nodo strategico costato centinaia, forse migliaia di vittime da entrambe le parti.
Da alcuni giorni scontri molto violenti si stanno verificando a Marinka e a Vuhledar, ad ovest e a sud-ovest di Donetsk; le truppe russe stanno tentando una manovra a tenaglia contro alcuni reparti nemici, e di allontanare il più possibile il fronte dalla città oggetto di continui bombardamenti ucraini fin dal 2014, quando una parte della popolazione del Donbass, dopo il regime-change avvenuto a Kiev, si sollevò e proclamò un’indipendenza di fatto così come avvenne nel confinante oblast di Lugansk.
Mosca continua nel frattempo a martellare le città ucraine, mirando soprattutto alle infrastrutture e ai depositi di armi e munizioni. Durante la scorsa notte l’esercito russo ha lanciato una pioggia di droni e missili sulle regioni ucraine orientali e centrali, da Kharjiv a Sumy, da Dnipropetrovsk a Khmelnytska,
Di fronte ad una situazione che si aggrava di ora in ora e alla mancanza di rifornimenti di munizioni, il presidente Zelensky – scagliandosi in particolare contro Donald Trump e i repubblicani – ha avvertito Washington che senza la ripresa di aiuti militari massicci il suo paese non otterrà “alcun nuovo successo”.
Funerale di un militare ucraino
Macron: “truppe occidentali in Ucraina”
Nelle ultime ore quindici paesi europei si sarebbero detti favorevoli a sostenere la proposta ceca di acquistare munizioni in Europa per inviarle a Kiev, ma non si tratterebbe di un contributo risolutivo. Oltretutto il cancelliere tedesco Scholz ha ribadito che la Germania non ha per ora intenzione di consegnare agli ucraini i missili Taurus, come hanno fatto invece Francia e Regno Unito.
A prendere l’iniziativa è stato il presidente francese Emmanuel Macron, che al vertice internazionale sull’Ucraina tenutosi ieri a Parigi ha annunciato la volontà di creare una nuova coalizione per fornire a Kiev missili e munizioni, aggiungendo di non escludere l‘invio di truppe europee per contrastare l’avanzata russa.
Secondo le indiscrezioni finora filtrate, il leader francese non avrebbe parlato di una missione militare della Nato – coalizione guidata dagli Stati Uniti all’interno della quale Parigi si è spesso mossa in autonomia se non in antagonismo con Washington – ma di una coalizione di “paesi occidentali volontari”. Macron ha affermato che bisogna rendersi contro «che siamo sempre stati in ritardo di sei-otto mesi» per quanto riguarda le iniziative di sostegno all’Ucraina.
Lo scetticismo degli alleati, il rischio è la guerra totale
La proposta di Macron – che potrebbe essere una boutade propagandistica, strumentale a concedere alla Francia un maggiore ruolo internazionale nel momento in cui Washington si sta parzialmente sfilando da un sostegno all’Ucraina che non ha prodotto i risultati sperati – è stata accolta con estremo scetticismo tra i rappresentanti dei governi presenti a Parigi. La maggior parte dei rappresentanti europei avrebbero polemizzato con Macron.
Da parte sua un funzionario della Casa Bianca ha spiegato all’agenzia Reuters che Washington non ha alcuna intenzione di inviare truppe a combattere in Ucraina, anche se è noto che un certo numero di consiglieri militari e uomini dei corpi speciali statunitensi e di vari paesi occidentali sono presenti a Kiev ormai da anni a supporto delle truppe ucraine.
Ovviamente un coinvolgimento diretto degli eserciti europei nei combattimenti con le forze armate russe causerebbe una escalation ulteriore che potrebbe sfociare in un conflitto su vasta scala, ma Macron non sembra preoccuparsene. Anche in patria la proposta del capo dell’Eliseo ha provocato contestazioni e polemiche, sia tra le opposizioni di sinistra che tra quelle di destra. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto e Berria
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Quattro mesi dopo, pazienti e lavoratori di Gaza sono ancora bloccati in Cisgiordania
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di Fatima AbdulKarim* – +972
All’inizio di ottobre, Hiyam (nome di fantasia), 20 anni, ha lasciato Gaza per la prima volta. Suo fratello maggiore, Mohammed (nome di fantasia), soffriva di leucemia, e ai due erano stati concessi permessi difficili da ottenere per entrare in Israele in modo da poter ricevere cure specializzate che non sono disponibili nella Striscia a causa del lungo blocco israeliano.
All’ospedale nel centro di Israele, Mohammed ha inizialmente ricevuto buone cure: il personale era attento e cordiale e le sue condizioni sembravano migliorare. “Pensavo che saremmo tornati a Gaza con lui in piedi e che tutto sarebbe presto finito”, ha detto Hiyam malinconicamente, guardandosi intorno come se cercasse di ritrovare quella speranza.
L’8 ottobre, tuttavia – un giorno dopo che gli attacchi guidati da Hamas nel sud di Israele avevano ucciso oltre 1.100 israeliani e Israele aveva iniziato a bombardare Gaza – le condizioni di Mohammed peggiorarono rapidamente. All’improvviso, stava sanguinando in modo incontrollabile e, nonostante i disperati tentativi di Hiyam di allertare il personale medico della sua situazione, nessuno sembrava prestare attenzione. Nel giro di poche ore Mohammed morì.
Fu solo dopo la morte di suo fratello che Hiyam venne a conoscenza dello scoppio della guerra. Concentrati sulle condizioni di Mohammed non erano consapevoli della situazione che si stava svolgendo a poche miglia di distanza – uno sviluppo che ha lasciato Hiyam intrappolata nel limbo ad affrontare ostacoli burocratici quasi insormontabili mentre piangeva la perdita di suo fratello.
Per due giorni, Hiyam vagò senza meta per l’ospedale finché il personale non insistette per la sua partenza. Con l’aiuto di un’altra donna di Gaza, Hiyam è riuscita a procurarsi un’ambulanza per trasportare il corpo senza vita di suo fratello a Ramallah, nella Cisgiordania occupata, dove è stato sepolto. Quattro mesi dopo, Hiyam è ancora a Ramallah, impossibilitata a tornare a Gaza mentre la guerra infuria – e lei non è l’unica.
Secondo l’ospedale Augusta Victoria, più di 120 palestinesi che sono entrati in Israele da Gaza prima del 7 ottobre – sia come pazienti che ricevono cure mediche sia come loro accompagnatori – sono bloccati negli ospedali di Gerusalemme Est, impossibilitati a tornare nella Striscia ma definiti illegali da Israele. residenti a causa della scadenza dei permessi di ingresso.
Cinquantuno malati di cancro di Gaza all’Augusta Victoria hanno soggiornato, senza permesso, nell’area dell’ospedale o in alloggi in affitto nelle vicinanze dall’inizio della guerra. “Ognuno di loro ha perso qualcuno di caro e molti sperano di tornare a Gaza”, ha detto a +972 il dottor Yousef Hamamreh, un oncologo dell’ospedale.
Secondo Hamamreh, oltre 100 pazienti aggiuntivi da Gaza sarebbero dovuti arrivare per i loro piani di cura del cancro nelle settimane successive al 7 ottobre, ma non sono riusciti a lasciare la Striscia dopo che Israele ha sigillato i valichi di frontiera. Hamamreh ha spiegato che sta tenendo d’occhio i pazienti arrivati prima della guerra, il cui dolore per le perdite a Gaza è stato aggravato dalle restrizioni ai loro movimenti. Il risultato, ha detto, è stato un “grave impatto sul loro stato mentale”.
Secondo il Ministero della Sanità palestinese, circa altri 70 pazienti di Gaza e i loro accompagnatori sono bloccati in Cisgiordania; la maggior parte di loro stava già ricevendo cure negli ospedali della Cisgiordania prima del 7 ottobre, ma alcuni di loro erano in cura negli ospedali in Israele e sono stati costretti a trasferirsi dopo l’inizio della guerra. Alla loro lotta per tornare nella Striscia di Gaza assediata, si uniscono diverse migliaia di lavoratori a cui Israele ha revocato il permesso non appena è iniziata la guerra – vittime di un sistema burocratico di controllo che ostacola gravemente la libertà di movimento dei palestinesi nella Striscia di Gaza assediata e stabilisce dove e quando possono viaggiare.
“Pezzi di famiglia”
A Ramallah, la storia di Hiyam riecheggia nelle sale del modesto albergo dove alloggia da quando ha seppellito il corpo di suo fratello, insieme a decine di pazienti e loro parenti arrivati da Gaza prima dell’inizio della guerra. Alcuni degli occupanti stanno aspettando di tornare a Gaza, mentre altri stanno continuando i loro piani di trattamento negli ospedali palestinesi in Cisgiordania.
È stato qui che Hiyam ha incontrato Hana Matar, una donna malata di cancro di 43 anni e madre di quattro figli. Matar ha dovuto recarsi periodicamente in Cisgiordania negli ultimi tre anni per le sue cure mediche. Quando è arrivata a Ramallah il 3 ottobre – insieme a suo figlio di 3 anni, Khalil, che ha un problema cardiaco che richiede cure specialistiche in Cisgiordania – non avrebbe potuto immaginare che sarebbe rimasta lì più di quattro mesi dopo.
Con le lacrime agli occhi mentre scorreva le foto delle sue figlie sul telefono, Matar ha descritto una svolta agrodolce nella storia della sua famiglia: suo fratello, un medico che vive in Russia, è riuscito a far rilasciare alle sue figlie un visto che consente loro di uscire da Gaza. I tre figli di Matar e sua madre sono ora a Mosca, al sicuro, ma a migliaia di chilometri di distanza.
“Erano rimasti bloccati in una scuola delle Nazioni Unite a Deir al-Balah e poi a Rafah, tremando per il freddo e l’abbandono. Ora sono nella neve, ma al caldo”, ha detto Matar, guardando una foto della figlia maggiore a Mosca, vestita con un cappotto, un foulard e occhiali da sole colorati.
Il marito di Matar, tuttavia, rimane a Rafah, in attesa di essere inserito nella lista per l’evacuazione e di riunirsi ai suoi figli. Con il marito a Gaza, i figli e la madre in Russia e lei stessa con Khalil a Ramallah, Matar ha descritto di sentirsi come “un pezzo di una famiglia divisa”. Per il momento, però, non ha altra scelta che restare in Cisgiordania; partire richiederebbe l’ottenimento di permessi speciali per lei e Khalil per entrare in Giordania, mentre il costo di entrambe le cure in qualsiasi altra parte del mondo sarebbe insostenibile.
Nel frattempo, Matar, Hiyam e il resto degli abitanti di Gaza bloccati a Ramallah – a meno di 60 miglia dalle loro case nella Striscia – ricevono aggiornamenti frammentari da amici e familiari. I blackout intermittenti delle telecomunicazioni a Gaza hanno ridotto questi aggiornamenti ai messaggi più semplici, per lo più via sms, che spesso arrivano solo ore o giorni dopo essere stati inviati.
“Le nostre conversazioni si limitano a: ‘Sono vivo e sto bene’. Questo è tutto”, ha detto Matar. “Anche le decisioni più importanti della nostra vita, come evacuare da Gaza mia madre e le mie figlie, vengono prese con poche parole, pensando solo alla sicurezza”.
Niente lavoro, niente sicurezza
Oltre a questi pazienti e ai loro accompagnatori, il 7 ottobre migliaia di lavoratori provenienti da Gaza si trovavano in Israele o in Cisgiordania. Anche loro si sono poi ritrovati detenuti in Israele e trasferiti con la forza in Cisgiordania, essendo stati loro revocati i permessi. .
Prima del 7 ottobre, Israele ha concesso oltre 18.000 permessi di lavoro agli abitanti di Gaza, fornendo un’ancora di salvezza economica precaria a pochi fortunati per sfuggire all’economia soffocata della Striscia. In seguito agli attacchi, i lavoratori sono stati arrestati in massa; la maggior parte è stata trattenuta per settimane senza accusa né processo e senza che le autorità israeliane fornissero alcuna informazione alle organizzazioni umanitarie, inclusa la Croce Rossa Internazionale. Successivamente sono stati rilasciati a Ramallah.
L’Autorità nazionale palestinese (Anp) afferma di aver assicurato il ritorno a Gaza di oltre 5.000 lavoratori in diversi gruppi da ottobre, mentre un numero simile è stato rilasciato direttamente dalle autorità israeliane a novembre. In Cisgiordania rimangono alcune migliaia di lavoratori, molti dei quali alloggiano presso il quartier generale dell’accademia di polizia dell’Autorità Palestinese nella città di Gerico.
I lavoratori che sono tornati a Gaza affermano di essere stati riportati in autobus in un’area a diversi chilometri dal checkpoint di Kerem Shalom/Karem Abu Salem, costretti a percorrere a piedi la distanza rimanente fino alla città di Rafah, più meridionale di Gaza. Questa è stata l’umiliazione finale, che si è aggiunta all’esperienza traumatica della loro detenzione e dell’essere rimasti ammanettati, bendati e fatti inginocchiare per lunghe ore, nonché privati del cibo. Alcuni sono stati picchiati e a molti sono stati confiscati anche oggetti personali, comprese carte d’identità e denaro.
Tareq, 48 anni, era tra coloro che sono riusciti a tornare a Gaza. “Ci è stata data la possibilità di tornare, quindi ho deciso di tornare a Gaza anche se non sapevo chi avrei trovato ancora lì”, ha detto a +972. “Eravamo un flusso di uomini esausti che desideravano entrare a Gaza anche se non è più quella che era, e questa sensazione ci ha dato la forza di correre – a volte sembrava di volare – verso il valico, nonostante le percosse e le umiliazioni”. Tareq ha trascorso quasi 10 giorni in prigione dopo il 7 ottobre senza sapere dove si trovasse. È stato rilasciato solo dopo essere stato colpito da un ictus: è stato trasferito in un ospedale di Ramallah, dove ha trascorso cinque settimane in convalescenza. Secondo Tareq, quando è stato lasciato in ospedale, gli è stata restituita solo la carta d’identità ma non i soldi, le medicine o il telefono.
“Per 10 giorni siamo stati schiacciati in aree minuscole, ammanettati, senza acqua e poco cibo, e senza il permesso di parlarci. Sapevo a malapena chi c’era con me”, ha raccontato. Ora, tornato a Gaza, vive in una tenda improvvisata che ha costruito per la sua famiglia di otto persone a Rafah .
Hasan Yasin, 40 anni, lavorava in un supermercato a Giaffa quando è scoppiata la guerra. Rendendosi conto che lì non c’era sicurezza per lui, né alcuna prospettiva imminente di tornare al lavoro, lui e quattro colleghi hanno tentato di entrare in Cisgiordania pochi giorni dopo, ma sono stati catturati e arrestati. Sono stati detenuti per l’intera giornata e picchiati pesantemente. Alla fine sono stati rilasciati a un posto di blocco vicino a Jenin, ma i suoi effetti personali – inclusi telefono e denaro – non gli sono stati restituiti.
Dopo quella dura prova, Yasin ha deciso di restare in Cisgiordania e cercare un lavoro, nonostante le suppliche della sua famiglia di tornare a Gaza. “I lavoratori che sono tornati sono stati picchiati e umiliati, e ho deciso di non subire di nuovo una cosa del genere”, ha detto a +972. “Ho ancora una ferita sul palmo della mano che mi ricorda cosa potrebbe succedere.”
Ciononostante, Yasin cerca modi alternativi per tornare a Gaza: “Cercherò di viaggiare in Egitto ed entrare a Gaza attraverso Rafah [valico], ma non riesco ad attraversare [il valico della Cisgiordania] per raggiungere la Giordania”. I palestinesi di Gaza sono obbligati a ottenere un permesso speciale per entrare in Giordania attraverso il ponte Allenby, ma questi non vengono attualmente rilasciati, secondo un funzionario di frontiera giordano, nel tentativo di impedire “possibili piani israeliani di trasferimento [della popolazione palestinese] ”.
+972 si è rivolto alla polizia israeliana e al coordinatore delle attività governative nei territori (COGAT) – il dipartimento dell’esercito israeliano responsabile del rilascio dei permessi ai palestinesi – per un commento. Le loro risposte saranno pubblicate se e quando verranno ricevute.
*Fatima AbdulKarim è una giornalista con sede a Ramallah. Twitter @FatiabdulFatima
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Vane tentazioni
Guardate come sono futili le tentazioni proposte dal diavolo in questo racconto e dunque vano tutto quello che propone. Propone di sfamarsi come un gioco di prestigio, di buttarsi dall’alto del pinnacolo, in una vana dimostrazione di coraggio, propone tutti i regni del mondo con la loro gloria che è vana, perché sono soggetti alla distruzione e alla morte.
Invece, Gesù Cristo, come risorto, vincendo la morte, e quindi i poteri del mondo, che sulla paura della morte basano il loro potere, ci dà una speranza viva. E un dono reale ed eterno, non vano. Per questo non ha senso arrenderci al male e agli errori, ma è pieno di futuro il tentare il bene nuovamente e nuovamente in ogni tempo.
pastore D'Archino - Vane tentazioni
Il racconto delle tentazioni di Gesù annuncia che Egli è veramente il Figlio di Dio. Infatti, Gesù viene tentato, anzi messo alla prova come sarebbe più corretto tradurre, come Figlio di Dio. Viene…pastore D'Archino