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L’Eritrea non ritira le truppe dal Tigray: “quei territori sono nostri”
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di Redazione
Pagine Esteri, 4 marzo 2024 – Oltre che a causa dell’accordo tra Etiopia e Somaliland per la concessione di uno sbocco al mare di Addis Abeba, nel Corno d’Africa la tensione cresce anche tra Etiopia ed Eritrea.
Il governo di quest’ultimo paese – resosi indipendente da Addis Abeba in seguito ad un lungo e cruento conflitto – sostiene infatti che le sue truppe ancora presenti in Etiopia stiano occupando dei “territori sovrani eritrei”. Il dittatore eritreo Afewerki torna così a rivendicare una porzione di territorio contesa con l’Etiopia, paese con il quale pure ha collaborato negli anni scorsi per domare la ribellione del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray contro il governo etiope. Il conflitto durò ben due anni e si concluse nel novembre del 2022, ma le truppe eritree intervenute a sostegno di quelle etiopi contro il nemico comune non si sono mai ritirate.
«Le truppe eritree si trovano all’interno dei territori sovrani eritrei senza alcuna presenza nella terra sovrana etiope» afferma una dichiarazione pubblicata il 28 febbraio dall’ambasciata eritrea nel Regno Unito ed in Irlanda.
Il quotidiano “The Reporter Etiopia” spiega che Asmara si riferisce in particolare alla città frontaliera di Badme e ad altri territori sulla punta più settentrionale dell’Etiopia, zone che il regime di Isaias Afwerki rivendica come propri.
I termini dell’accordo di pace di Pretoria, che ha messo fine al conflitto nel Tigray, prevedevano il ritiro dal nord etiope delle forze alleate con il governo federale del premier Abiy Ahmed, fra cui le milizie regionali amhara, note come Fano e le stesse truppe eritree, sebbene né le une né le altre fossero esplicitamente citate nel testo.
Ma l’Eritrea non ha mai partecipato alle trattative per l’accordo di pace, siglato a Pretoria il 2 novembre 2021, e il precario equilibrio esistente fra Etiopia ed Eritrea dopo l’accordo di riconciliazione del 2018 si è sgretolato, portando le truppe eritree a mantenere le loro posizioni al confine ed impedendo agli abitanti di rientrare nelle proprie case dopo la fine del conflitto.
Lo scorso 28 febbraio, nel suo intervento al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, il vicesegretario generale Onu per i diritti umani Ilze Brands Kehris ha dichiarato che il suo ufficio «ha informazioni credibili che la Forza di difesa eritrea rimane nel Tigraye continua a commettere (…) rapimenti, stupri, saccheggi di proprietà, arresti arbitrari e altre violazioni dell’integrità fisica». Secondo l’amministrazione tigrina, peraltro, ben il 52% delle terre della regione settentrionale etiope non può essere coltivata a causa della presenza delle forze eritree ed amhara, esponendo la zona ad un altissimo rischio di carestia. Su una previsione di raccolto di circa 15 milioni di quintali di grano a metà dell’anno fiscale in corso è stato possibile ottenerne solo 5 milioni aggravando una crisi alimentare già grave.
Durante una missione di cinque giorni in Etiopia, il vicedirettore generale del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), Ted Chaiban, ha esortato la comunità internazionale a incrementare immediatamente il sostegno alla popolazione del paese per evitare l’aggravamento dell’ennesima catastrofe umanitaria già in atto.
«La siccità causata da El Nino, che ha colpito l’Etiopia settentrionale, centrale e meridionale, sta avendo un impatto devastante su milioni di bambini. Per il 2024, si prevede che quasi un milione di bambini soffrirà di malnutrizione acuta e circa 350 mila donne in gravidanza e in allattamento saranno malnutrite» ha avvertito Chaiban in una nota.
Il responsabile dell’Unicef ha visitato una delle aree più colpite dalla siccità nel Tigrè, dove i tassi di malnutrizione hanno superato la soglia di emergenza.
A complicare ulteriormente la situazione, in tutta la nazione è in corso un’emergenza sanitaria con focolai di colera, morbillo, dengue e malaria.
L’Unicef sta lavorando per rispondere alle crisi, fornendo supporto nutrizionale, accesso all’acqua potabile, vaccinazioni di routine, istruzione e servizi di protezione dell’infanzia ma la situazione si sta comunque aggravando e l’organizzazione chiede nuove risorse. Pagine Esteri
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Nuovi droni per l’Air Force. General Atomics mette in aria il “Gregario Robot”
Anche General Atomics partecipa alla corsa per il “gregario robot”. Giovedì 28 febbraio, presso la General Atomics Gray Butte Flight Operations Facility vicino a Palmdale, in California, l’azienda ha realizzato con successo il volo sperimentale del prototipo del velivolo XQ-67A, un drone senza pilota sviluppato sulla base del progetto dei velivoli Gambit (realizzati sempre da General Atomics). Il prototipo rientra all’interno della categoria dei cosiddetti “collaborative combat aircraft” (Cca), ovvero quei droni comandati dall’Intelligenza Artificiale destinati a volare come “periferiche” dei più recenti e sofisticati sistemi di volo a guida umana.
Compiendo così un altro passo nel percorso di realizzazione in scala di quello che l’Air Force definisce il “primo di una seconda generazione” di velivoli unmanned, capaci di svolgere le funzioni di sensori, esche, jammers e sistemi di lancio in ausilio al “nucleo” del velivolo centrale. La nuova piattaforma fa parte del programma altamente classificato Off-Board Sensing Station (Obss) dell’Air Force Research Laboratory, che ha assegnato alla General Atomics il contratto di progettazione nel 2021, affidandogli due anni dopo anche il contratto per la costruzione effettiva del progetto. Ma General Atomics non è l’unico protagonista di questo processo: altre imprese del settore della difesa statunitense, da Boeing a Lockheed Martin, da Northrop Grumman ad Anduril, sono al momento impegnate in contratti simili con l’aviazione americana. All’inizio di questo mese, i dirigenti dell’Aeronautica Militare hanno dichiarato che la rosa dei fornitori si ridurrà a due o tre aziende nei prossimi mesi.
Partecipa alla competizione per lo sviluppo del nuovo Cca anche l’azienda Kratos, realizzatrice del drone XQ-58A “Valkyrie”, che ha realizzato il suo volo di prova la scorsa estate. Pur non essendo parte del programma Obss, anche Kratos ha realizzato il suo prototipo di gregario robot sotto l’egida del progetto Skyborg, promosso sempre dall’Air Force Research Laboratory. “Dopo il successo dell’XQ-58A Valkyrie, il primo veicolo aereo a basso costo senza equipaggio destinato a fornire ai combattenti una massa credibile e accessibile, l’XQ-67A dimostra l’approccio del telaio comune o ‘Genus’ alla progettazione, alla costruzione e al collaudo dei velivoli”, ha dichiarato un portavoce dell’ente.
Lo sviluppo di queste tecnologie è di primaria importanza per l’aviazione di Washington, che ha visto la necessità di potenziare la sua dimensione quantitativa così da essere in pronta nell’eventualità di un confronto militare con potenze ostili come la Repubblica Popolare Cinese, che a sua volta sta sia aumentando il numero di apparecchi attivi nella sua forza aerea, che rafforzando le sue capacità di difesa anti-aerea nel teatro del Pacifico. Nello stesso periodo in cui il Valkyrie svolgeva il suo battesimo dell’aria, il Mitchell Institute for Aerospace Studies realizzava una simulazione atta a valutare l’impatto dei Cca in uno scenario di scontro bellico con la People Liberation Army, ma anche a contribuire al processo di implementazione di questi sistemi nella struttura della Us Air Force.
Un finanziamento online per uscire dall’inferno di Gaza
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di Gabriel Blondel e Clara Hage – L’Orient Lejour*
(traduzione di Federica Riccardi)
“Sono stata a lungo riluttante all’idea di farlo farlo, ma è l’unico modo per salvare le nostre vite”. Tra due interruzioni di Internet, Farah si dedica al suo servizio di messaggistica WhatsApp. Quando la rete le permette di comunicare, si prende il tempo per scrivere quello che sta passando dal 13 ottobre, quando lei e la sua famiglia hanno deciso di lasciare la loro casa a Tel al-Hawa, una zona residenziale di Gaza City. Quando l’esercito israeliano ha annunciato che tutto il nord di Gaza sarebbe diventato un campo di battaglia, mio padre si è precipitato a cercare un appartamento a Rafah”, spiega la studentessa ventenne. Pensavamo che sarebbe stato solo per poche settimane, come nelle ultime guerre. Ma dopo qualche giorno abbiamo capito che questa non sarebbe stata come le altre.
Dopo aver perso la casa di famiglia, l’attività commerciale del padre (unica fonte di reddito della famiglia) e l’Università di al-Azhar (dove Farah studiava per laurearsi in inglese), la giovane donna teme che la sopravvivenza stessa della sua famiglia sia a rischio. “Finora eravamo preoccupati soprattutto per la situazione dei nostri parenti nel nord. Una delle mie cugine è stata colpita alla testa ad appena 10 anni”, racconta. Ma siamo sempre più in apprensione. Qualche giorno fa, un edificio molto vicino al nostro è stato bombardato, tanto che le finestre del nostro appartamento sono esplose.
Come gli 1,4 milioni di gazawi che si sono rifugiati a Rafah, la giovane donna teme le conseguenze di una potenziale offensiva dell’esercito israeliano nel sud dell’enclave. Inizialmente annunciata per l’inizio del Ramadan, previsto dal 10 marzo all’8 aprile, l’offensiva potrebbe essere rinviata a favore di una tregua osservata durante il mese sacro islamico, ancora in fase di negoziazione. Un momento di tregua che molti gazawi sperano di sfruttare per utilizzare l’unica via d’uscita ancora a loro disposizione: il famoso valico sotto controllo egiziano, che si può aprire solo a una condizione. “Dobbiamo pagare 7.000 dollari a persona, cioè almeno 35.000 dollari per poter evacuare me, i miei genitori, mio fratello, la mia sorellina”, spiega Farah.
“Non c’è altra scelta”
Corredata da foto, la giovane donna descrive l’entità della disperazione che deve affrontare su Gofundme, la piattaforma di crowdfunding su cui sempre più gazawi hanno deciso di lanciare la loro raccolta fondi online. Il sito, che prende una commissione del 16% su ogni donazione, ne conta più di mille. Le storie sono tutte uguali, con la loro parte di atrocità. La nostra dignità ci vieta di chiedere soldi, ma non avevo altra scelta che creare questo fondo”, dice. Qui a Gaza tutto è diventato inaccessibile, anche i beni di prima necessità. Ora che abbiamo esaurito i nostri risparmi, questa era l’unica soluzione per mantenere viva la speranza della mia famiglia”.
Come molte persone, Farah si è rivolta a un familiare che vive all’estero per raccogliere le donazioni ricevute sulla piattaforma, che copre solo 19 Paesi, principalmente in Occidente. Sebbene i suoi genitori abbiano ancora accesso al loro conto presso la Bank of Palestine, le restrizioni bancarie e la quantità limitata di contanti che circolano nella Striscia rendono molto difficile ricevere denaro. Per questo motivo la studentessa ha dovuto rivolgersi al cugino Mohammad, che ha lasciato Gaza circa dieci anni fa per andare in Canada, per ospitare il fondo. Egli è responsabile del trasferimento del denaro raccolto in Egitto, dove vivono altri parenti, una volta raggiunto un numero sufficiente di fondi. Dall’Egitto, questi intermediari verseranno il denaro a un’agenzia di viaggi, la Hala Travel, che negli anni ha ottenuto il monopolio di questo mercato lucrativo.
Se si esaminano le campagne partecipative, le variazioni dei prezzi esposti mostrano la portata di questo business noto come “tansiq” (coordinamento). Si tratta di un sistema informale, ma ormai istituzionalizzato, in base al quale i gazawi con passaporto attraversano il confine con il coordinamento delle guardie di frontiera egiziane, in cambio di una commissione. Ogni mattina, intorno alle 7, l’operazione consiste nel caricare circa 250 passeggeri, i cui nomi vengono annunciati all’ultimo momento su un’applicazione chiamata “Qurubat”, su un convoglio che attraversa il valico in direzione della capitale egiziana.
Si tratta di un mercato vampirizzato da Hala Travel, una delle tante società del Gruppo Organi, un vasto impero commerciale che prende il nome dal suo architetto Ibrahim el-Organi. Fedele seguace del presidente Sissi, che ha sostenuto nel suo colpo di Stato del 2013 come capo della milizia armata della tribù Tarabin, l'”uomo più ricco del Sinai” si è recentemente aggiudicato la gestione di un nuovo importante progetto edilizio attraverso un’altra delle sue società, Abna’ Sinai. Come rivelato dall’ONG Sinai Foundation for Human Rights, sono in costruzione diversi edifici lungo il confine con la Striscia di Gaza, tra i terminal di Rafah e Kerem Shalom. Il complesso, che sarebbe circondato da mura di cemento alte sette metri, potrebbe essere utilizzato per ospitare diverse migliaia di rifugiati palestinesi nel caso in cui l’Egitto dovesse far fronte a un esodo di massa di gazawi nel prossimo futuro.
Ma questa lenta evacuazione della popolazione dell’enclave non è una novità del 7 ottobre. All’epoca, l’agenzia offriva già collegamenti di sola andata per il Cairo dal terminal di Rafah a tariffe che variavano a seconda della buona volontà della compagnia e delle guardie di frontiera. Prima della guerra, lasciare Gaza era già una prova difficile, ma non quanto lo è oggi”, dice Mohammad el-Masri, un giornalista di Gaza. Per le donne, la procedura era più semplice: dovevano solo registrarsi in una lista d’attesa e, dopo un certo periodo di tempo, potevano partire. Gli uomini, invece, dovevano sempre passare per il “tansiq”. Il prezzo variava ogni mese, come il cambio di una valuta. Poteva scendere a 300 dollari e poi risalire a 1.500 dollari. Oggi le regole sono completamente cambiate: per ogni passaporto il prezzo è stato fissato a 7.000 dollari. Ma da quello che mi ha detto un amico appena partito, negli ultimi giorni è salito a 10.000″, conclude.
“Sono sicuro che mi aiuterai a uscire da qui”.
Questi prezzi, terribilmente gonfiati dall’esplosione della domanda (e dall’avidità delle guardie di frontiera) saranno imposti anche a Younes*, 28 anni. Bloccato alle porte dell’Egitto, come molti altri, guarda le donazioni cadere nel suo conto virtuale, sperando che alla fine raggiungano il suo obiettivo: 17.000 dollari. Il resto servirà a coprire i costi di installazione una volta arrivato al Cairo, mentre organizza il resto del suo viaggio. “Prima di tutto, mi scuso per il mio pessimo inglese, ma sono sicuro che tutti voi capirete la mia storia e mi aiuterete ad andarmene da qui”, inizia il suo annuncio pubblicato su Gofundme con l’aiuto di un amico che vive in Europa. Se Younes raggiungerà il suo obiettivo, il denaro raccolto sarà trasferito a “un conoscente” con sede in Egitto che si occuperà di versare la somma a Hala Travel. “Ci vorrà quasi una settimana prima che registrino i nostri nomi al valico di Rafah e ci chiamino per il viaggio”, prevede Younes.
Ma con il passare dei giorni dalla sua pubblicazione, il 19 febbraio, gli appelli di Younes sono diventati sempre più urgenti. L’imminente offensiva su Rafah, dove si è rifugiato, sta mostrando i primi segni, e il suo fondo non decolla. “Ci hanno bombardato due giorni fa a 50 metri da noi”, racconta l’uomo che sostiene di aver perso tutto. Era il direttore di un noto ristorante di Gaza, sua moglie Noura* lavorava in un’azienda farmaceutica, due strutture ora completamente distrutte. Prima della guerra, la coppia stava progettando di acquistare un appartamento, per cui tutti i loro risparmi dovevano essere investiti. Abbastanza per garantire il loro futuro e creare una famiglia. Noura era incinta quando è iniziata la guerra. Ma la fame, la mancanza di acqua potabile e le disastrose condizioni igienico-sanitarie hanno avuto ripercussioni sulla salute della giovane donna. Durante un’operazione di emergenza, ha perso il bambino.
Da ottobre, la vita della coppia è stata una serie infinita di spostamenti dal nord al sud dell’enclave. “Siamo alla quarta evacuazione: dalla nostra casa a Gaza a Deir el-Balah, poi a Khan Younis e infine a Rafah”. Di fronte al valico di frontiera, Younes si è rifugiato in una tenda per strada e confida. “Nessuno ha ancora ricevuto uno stipendio; viviamo grazie all’aiuto di varie organizzazioni o di altri membri della famiglia. Al mercato nero i prezzi sono alle stelle: 5 dollari per una tavoletta di cioccolato, 15 per un chilo di cipolle, 22 per 250 grammi di caffè.
Tuttavia, le rare storie di palestinesi che sono riusciti ad attraversare il terminal di Rafah riempiono di speranza Younes. Come quelle di Ahmad, 39 anni, che avrebbe dovuto far parte del convoglio di venerdì scorso dopo aver pagato i 10.000 dollari richiesti dalle guardie di frontiera. Ma mentre immaginava che suo fratello fosse arrivato in un luogo sicuro, Mohammad è rimasto spiacevolmente sorpreso nell’apprendere che l’ultimo membro della sua famiglia stretta ancora bloccato a Gaza doveva ancora aspettare fino a domenica mattina. “Mi ha detto che gli egiziani non l’hanno fatto entrare all’ultimo momento quando è arrivato al valico e l’hanno riportato all’interno di Gaza”, si rammarica il cugino di Farah, che tuttavia spera che Farah e la sua famiglia possano di seguire le orme di Ahmad, la cui evacuazione è ancora “possibile”, secondo lui.
Per questo si impegna ogni giorno per attirare l’attenzione sulle grida di dolore della cugina: “Cerco di dare al fondo un po’ di visibilità pagando le pubblicità sui social network, ma non basta per farlo decollare”, si lamenta. Sono così tanti che spesso a fare la differenza è il numero di follower. È soprattutto grazie alla sua recente fama digitale che Shayma, 25 anni e 13.000 follower sulla rete X (ex Twitter), è riuscita a raccogliere oltre 70.000 sterline nel giro di due mesi. In teoria, ciò è sufficiente a garantire a lei e ad altri otto membri della sua famiglia un buono di uscita, in attesa del via libera di Hala Travel. Ora dobbiamo solo aspettare che i nostri nomi compaiano sulla lista”, dice felice. Se Dio vuole, presto attraverseremo il confine”.
* L’articolo può essere consultato nella lingua originale al link seguente di Orient Le Jour lorientlejour.com/article/1370…
** I nomi sono stati modificati
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«Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi.
E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre." (Il giorno della civetta).
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INDONESIA – GLI E-BOOK DI CHINA FILES N°24
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In Cina e Asia – Cina, almeno 500 milioni i cittadini di "classe media”
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GAZA. Delegazione italiana in Egitto: “Immediato cessate il fuoco e corridoi umanitari”
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Pagine Esteri, 4 marzo 2024. La delegazione organizzata da AOI (Associazione Ong Italiane), insieme ad Arci e Assopace Palestina, è arrivata in Egitto per chiedere l’immediato “cessate il fuoco” e l’apertura di corridoi umanitari che consentano di portare aiuti e far uscire le persone che necessitano di cure e supporto. La delegazione, che comprende operatrici e operatori umanitari, giornalisti e parlamentari, arriverà al Valico di Rafah, al confine con la Striscia. Dal Cairo, Meri Calvelli, cooperante italiana che da anni porta avanti progetti di sviluppo a Gaza. Pagine Esteri
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ilfattoquotidiano.it/2024/03/0…
Gli USA non hanno morale da insegnare agli altri paesi del mondo. E il mondo se ne sta accorgendo.
P.A.C.E. Partito Alternativo per la Coabitazione Euroasiatica
imolaoggi.it/2024/03/04/varese…
imolaoggi.it/2024/03/04/zelens…
🔵 La vicenda di Julian Assange riguarda noi tutti. Non possiamo ignorarla. Non possiamo far finta di non vedere quanto sta accadendo per volere dei democratici e liberi governi occidentali. Per questo abbiamo deciso di ripercorrerla per intero all’interno del nuovo Monthly Report.
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L'indipendente
🔻Quella di Julian Assange è certamente una storia di giustizia e di coraggio, ma anche di una persecuzione politico-giudiziaria senza sosta, pianificata, progettata e realizzata paradossalmente dagli stessi paladini della democrazia e della libertà di espressione a livello globale: gli Stati Uniti d’America. […]
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ENVICRIMENET, LA RETE EUROPEA DELLE POLIZIA A TUTELA DELL’AMBIENTE (E PER L’ITALIA PARTECIPA L’ARMA DEI CARABINIERI)
La criminalità ambientale sta affliggendo da tempo il nostro pianeta, anche se le iniziative per combattere questa minaccia sono sorte solo di recente. Il riscaldamento globale costituisce uno dei maggiori pericoli affrontati dall'umanità, le crisi sanitarie come COVID19 sono strettamente correlate alla cattiva gestione delle risorse ambientali, dove le attività criminali contro l'ambiente svolgono un ruolo essenziale.
Le più alte istituzioni politiche considerano oggi la protezione dell'ambiente come una delle loro priorità. Diversi attori sono inclusi in questa lotta, a causa del fatto che le questioni ambientali devono necessariamente essere affrontate da una prospettiva ampia. In questo contesto, qualsiasi sia l’approccio utilizzato, in un modo o nell'altro il crimine è presente.
Stante la situazione attuale, è noto che la criminalità ambientale è un problema serio, ma purtroppo contiamo ancora su strutture deboli per combattere efficacemente questo pericolo a livello internazionale.
Esistono diverse forme di criminalità ambientale, tra cui:
1. L'importazione e l'esportazione illegali di prodotti inquinanti;
2. il contrabbando di specie animali e vegetali protette;
3. La falsificazione di documenti di trasporto relativi a prodotti inquinanti e specie animali e vegetali protette;
4. Reati legati ai rifiuti.
Questa tipologia criminale richiede un sostegno e una consulenza specifici ad alto livello all'interno delle istituzioni dell' #UE, al fine di fornire loro un approccio globale al fenomeno.
#EnviCrimeNet è anche chiamato ad essere un Centro Europeo di Eccellenza sulle questioni penali legate a questa attività illegale. Lo scopo principale in questo senso è quello di sviluppare attività pertinenti al fine di coinvolgere i partecipanti nel perseguimento di questo tipo di reati e costituire un gruppo per lo scambio di buone pratiche e lezioni apprese dalle esperienze precedenti.
Inoltre, EnviCrimeNet è una rete con proiezione oltre i confini dell'UE. L'esperienza accumulata lavorando nella Rete viene utilizzata per esportare questo modello di successo in altre regioni ad alto impatto nella lotta alla criminalità ambientale come l'Africa o l'America Latina, promuovendo lo scambio e la generazione di sinergie.
IL LIFE+ SATEC PROJECT
Il Progetto LIFE+ SATEC mira a promuovere la definizione di quadri giuridici internazionali, nonché nuovi metodi di indagine, la formazione degli agenti e la cooperazione delle forze di polizia e degli organi legislativi per la lotta ai reati ambientali.
EnviCrimeNet è un importante contributo di questo progetto all'obiettivo del Consiglio dell'Unione Europea, in relazione alla necessità che gli Stati membri prendano coscienza della lotta contro la criminalità ambientale. Questa rete svolge un ruolo importante in quanto è un forum incentrato sul coordinamento delle attività di lotta contro i reati ambientali.
Il progetto prevede anche la partecipazione di paesi terzi all'interno e all'esterno dell'Europa, in tutto il mondo, per combattere le attività criminali in settori quali il traffico illegale di rifiuti, il traffico di specie selvatiche, le indagini sulla criminalità informatica, le indagini relative alla biodiversità, ecc.
Il progetto LIFE+ SATEC è sostenuto dal Ministero spagnolo per la Transizione Ecologica e la Sfida Demografica, #Europol, #CEPOL e opera a stretto contatto con reti specializzate in questo campo come #ENPE (European Network of Prosecutors for the Environment, che ha lo scopo di promuovere l’applicazione del diritto penale ambientale sostenendo il lavoro operativo delle Procure), #IMPEL (European Network for the Implementation and Enforcement of Environmental Law, istituito nel 1992 fra gli Stati Membri dell’UE come un network informale tra le autorità responsabili della predisposizione, della implementazione e dell’attuazione della normativa ambientale) ed #EUFJE (forum dei giudici dell'ambiente dell'Unione europea stato creato a nel maggio 2003 con l'obiettivo di sensibilizzare i giudici sul ruolo chiave della funzione giudiziaria nell'efficacia dello sviluppo sostenibile.)
I partners in ambito ENVICRIMENET:
AUSTRIA –> Criminal Intelligence Service Austria. L'Austria è coinvolta nella rete di investigatori a livello dell'UE che svolgono operazioni congiunte in tutta l'UE attraverso le priorità dell'EMPACT.
BELGIO –> FUPHEC, una sezione della Polizia Federale risultato della fusione in un unico servizio centrale “Salute Pubblica e Ambiente”. Questa fusione nasce dal desiderio di fornire una risposta più efficace ed efficiente alle crescenti preoccupazioni del pubblico relative all’ ambiente, alla salute pubblica in generale e alla sicurezza alimentare. In quanto servizio centrale, FUPHEC fornisce un valore aggiunto in termini di uniformità nell'approccio ai fenomeni in questione ed efficienza delle risorse da impiegare. È essenziale sviluppare questo servizio per ottimizzare la cooperazione e migliorare lo scambio di informazioni.
GERMANIA
–> Federal Criminal Police Office (BKA) SO 31-3 Environmental-/Consumer Protection Crime Unit. SPECIALIZZAZIONE: Il BKA, in qualità di agenzia centrale di polizia in Germania, coordina la repressione del crimine a livello nazionale e internazionale. In generale, è responsabile delle comunicazioni della polizia con le forze dell'ordine e le autorità giudiziarie, nonché con altre autorità pubbliche di altri paesi. Il BKA, in qualità di Ufficio Centrale Nazionale dell'Organizzazione Internazionale della Polizia Criminale (ICPO), utilizza i più moderni mezzi di comunicazione per scambiare messaggi con le sue controparti in tutto il mondo. A livello europeo, Europol è un partner centrale per la cooperazione. In qualità di unità nazionale di EUROPOL, il BKA svolge anche compiti centrali per la Germania. Nell'ambito di un approccio interdisciplinare alla lotta contro la criminalità ambientale, la BKA e l'Ufficio centrale d'inchiesta doganale (ZKA) sostengono congiuntamente i programmi europei per la lotta contro la criminalità ambientale. Tra i compiti principali in questo contesto figura il coordinamento delle misure nei confronti delle forze di polizia dello Stato o dei servizi doganali incaricati di indagare sui reati. La cooperazione si estende anche alle autorità federali e statali responsabili della protezione dell'ambiente.
Oltre alla funzione internazionale, il BKA fornisce funzioni di ufficio centrale per le polizie statali nel campo della lotta contro la criminalità ambientale, tra cui la raccolta e l'analisi dei dati dei casi e dei trasgressori, il coordinamento delle indagini su reati di importanza maggiore, superregionale o internazionale e l'offerta di corsi di formazione specializzati.
–> Zollkriminalamt Central Customs Investigation Office B331 (Prohibitions and restrictions). Il Zollkriminalamt è l'ufficio centrale del servizio d'inchiesta doganale. Responsabile della criminalità transfrontaliera, se le merci attraversano il confine, l'inchiesta doganale tedesca ha gli stessi diritti e le stesse possibilità della polizia tedesca. In qualità di ufficio centrale per l'inchiesta doganale, la ZKA è responsabile del coordinamento del lavoro degli uffici d'inchiesta doganale e funge da punto di contatto con le organizzazioni internazionali. In collaborazione con la BKA, la ZKA sostiene i programmi europei per la lotta contro la criminalità ambientale. L'unità divieti e restrizioni è anche responsabile della criminalità ambientale, in particolare della lotta contro il commercio illegale di rifiuti e specie in via di estinzione.
ITALIA –> Comando tutela ambientale e sicurezza energetica. SPECIALIZZAZIONE: L'Arma dei Carabinieri è la più grande Forza di Polizia italiana, contando su 105.000 agenti. Nel suo duplice ruolo di Polizia e di Forza Armata, l'Arma dei Carabinieri è responsabile di svolgere un'ampia gamma di compiti di polizia e militari ed è sempre presente nella vita dei cittadini, dalla città più grande d'Italia al borgo lontano. Il Comando delle Unità Forestali, Ambiente e Agricoltura combatte i reati ambientali come nuova frontiera della criminalità organizzata transnazionale. Con quasi 6.000 unità di personale specializzato in campo ambientale e operante su tutto il territorio nazionale, rappresenta la polizia ambientale italiana preposta alla tutela delle risorse naturali, della biodiversità e degli ecosistemi. Il Comando ha una specifica esperienza investigativa nel contrasto al traffico illecito di rifiuti, in particolare ai gruppi della criminalità organizzata che operano in questo peculiare settore.
SLOVACCHIA –> Presidium of the Police Force, Criminal Police Bureau, Department for Detection of Hazardous Substances and Environmental Crime. SPECIALIZZAZIONE: Le forze di polizia sono un corpo armato di sicurezza, che fa parte del ministero dell'Interno della Repubblica slovacca. Le forze di polizia svolgono compiti in materia di ordine interno, sicurezza, lotta contro la criminalità, comprese tutte le sue forme organizzate e internazionali, e compiti in conformità con gli obblighi internazionali della Repubblica slovacca. Nell'ambito della criminalità ambientale, esiste il Dipartimento per l'individuazione delle sostanze pericolose e la criminalità ambientale (DDHSEC), che individua e indaga soprattutto sulle forme più gravi di criminalità ambientale. Il DDHSEC è anche responsabile dell'istruzione e della formazione degli agenti di polizia, delle cooperazioni interministeriali e internazionali.
SPAGNA –> Environmental Protection Service (SEPRONA). SPECIALIZZAZIONE: SEPRONA si occupa in modo completo della difesa dell'ambiente ed ha competenza specifica nella prevenzione, ispezione e contrasto dei reati ambientali dal punto di vista dell'investigazione penale, su tutto il territorio nazionale. Per adempiere a questi compiti #SEPRONA applica le disposizioni relative alla conservazione della natura e dell'ambiente, alle aree protette, alle risorse idriche, alla caccia e alla pesca, al maltrattamento degli animali, alla gestione dei rifiuti e al traffico illecito, ai reati legati all'inquinamento, ai siti archeologici e paleontologici e alla pianificazione territoriale, ecc.
In particolare, SEPRONA ha competenze per l'applicazione delle normative nazionali e regionali a livello amministrativo, nonché per l'accertamento delle denunce di polizia relative a reati classificati come reati nel codice penale. Un altro dei suoi poteri è quello di effettuare indagini e ispezioni in loco. La sede centrale di SEPRONA ospita l'Ufficio centrale nazionale (BCN) delle attività illecite legate all'ambiente che riuniscono le capacità di tutti gli attori pertinenti in questo campo a livello nazionale.
Per quanto riguarda le entrate internazionali, la BCN è il Punto di Contatto per i coordinamenti internazionali in materia di scambio di intelligence e facilitatore del coordinamento operativo quando le indagini richiedono il supporto internazionale.
OLANDA –> The Human Environment and Transport Inspectorate. SPECIALIZZAZIONE: L'Ispettorato dell'ambiente umano e dei trasporti (Inspectie Leefomgeving en Transport, #ILT) è l'autorità di vigilanza per i compiti del ministero delle Infrastrutture e della gestione delle acque. Più di 1.100 dipendenti lavorano quotidianamente sulla sicurezza, la certezza e la fiducia nei trasporti, nelle infrastrutture, nell'ambiente e nell'alloggio. L'ILT dispone di un proprio servizio investigativo penale. Questo servizio investigativo è denominato «servizio di intelligence e investigazione» (Inlichtingen- en Opsporingsdienst, ILT/IOD). L' #IFT/IOD si concentra sulle persone e sulle aziende che violano sistematicamente e gravemente le normative in materia di ambiente. Inoltre, l'ILT/IOD si concentra sulla criminalità organizzata di natura sovversiva e spesso riguarda le strutture (finanziarie) internazionali e i flussi commerciali.
Particolare attenzione è rivolta agli intermediari, ai facilitatori e agli enti certificatori. L'ILT/IOD impiega investigatori, analisti, esperti tecnici e legali, contabili forensi, esaminatori forensi informatici, consulenti strategici ed esperti nel campo dell'ottenimento e dell'elaborazione di dati e informazioni. Le priorità nelle indagini penali riguardano i rifiuti, il suolo e le sostanze pericolose. I compiti dell'ILT/IOD riguardano anche le associazioni dei trasporti e dell'edilizia abitativa.
Poiché la criminalità non si preoccupa molto dei confini regionali o nazionali, una parte crescente delle indagini penali ha un carattere internazionale. Il campo di gioco internazionale dell'ILT/IOD è paragonabile ai compiti dell'ILT e molto diversificato in termini di argomenti e si svolge a livello nazionale, europeo e globale. Uno dei suoi obiettivi è quello di rafforzare la cooperazione e condividere informazioni con altre autorità di contrasto su questi tre livelli al fine di contrastare la criminalità ambientale. Oltre al commercio illegale di materiali di scarto e refrigeranti e alla dubbia manipolazione di sostanze pericolose, il problema dei fuochi d'artificio è anche un argomento di importanza internazionale.
#LIFEPROJECT #CriminalIntelligenceServiceAustria #FUPHEC #BKA #Zollkriminalamt #Armadeicarabinieri #DDHSEC
Era “solo” un drone. Il punto di Arditti
Nave Caio Duilio ha abbattuto un drone giunto a sei chilometri di distanza con aria minacciosa, nel corso della missione appena iniziata per la protezione delle vie di navigazione che passano per il Mar Rosso. Un drone certamente spedito dalle milizie Houthi, che operano sulle coste dello Yemen con il supporto tecnico e finanziario dell’Iran (e non solo).
L’atto di guerra difensiva viene oggi commentato con pacatezza dal ministro della Difesa in una lunga intervista sul Corriere della Sera, nella quale Guido Crosetto ricorda i limiti costituzionali in cui operano le nostre forze armate e poi però aggiunge, ancora una volta, un deciso appello alle nazioni europee affinché prendano con decisione la strada della difesa comune.
Tutto di buon senso, dunque, a cominciare dalle parole del ministro.
Però dobbiamo anche avere il coraggio di guardare le cose come stanno nel loro insieme, proprio a partire dall’episodio che ha coinvolto il cacciatorpediniere lanciamissili italiano, una delle unità di punta della nostra Marina Militare.
E allora se vogliamo fare questo esercizio fino in fondo dobbiamo dire che il ministro della Difesa dovrà prepararsi a molte occasioni di commento ad azioni che coinvolgono le nostre forze armate, perché nel futuro (quello prossimo, non quello lontano) lo scenario richiederà necessariamente un impegno massicciamente rafforzato.
Anzi, dico di più: l’episodio che oggi conduce Crosetto a una intervista di commento, episodio che oggi ci appare rilevante (è in prima pagina su tutti i giornali stamattina), ha buone possibilità di finire presto al posto giusto nella gerarchia delle notizie di carattere militare, cioè al fondo della classifica.
Un drone in volo verso una nave è certamente un atto ostile (sarebbe interessante capire di che tipo, sempre che esista questa informazione), ma è soprattutto un test, per vedere la reazione.
Nel mondo, infatti, è forte la convinzione che le forze armate dei Paesi europei sono pronte alle azioni militari “a distanza” (raccolta informazioni con ogni mezzo disponibile, supporto alla logistica, addestramento truppe, assistenza sanitaria, fornitura armamenti) ma assai meno in grado di operare in un teatro bellico reale e di ampia portata, cioè non circoscritto nel tempo e nello spazio (come sta accadendo in Ucraina e anche in Medio Oriente, per non parlare della Siria, della Libia e di varie zone dell’Africa).
Forze Armate cioè dotate di elevata capacità tecnologica e di personale ad alta specializzazione, ma fragili sotto il profilo dell’esperienza sul campo e anche della dotazione adeguata a operare per settimane o mesi in zona di combattimento, chiarito (per chi legge) che se vi è una certezza nelle guerre moderne (e ibride) è l’enorme consumo di materiali di ogni genere.
Allora è il caso di ribadire che il ministro dice cose sagge e lungimiranti.
Ma è anche il caso di ricordare che l’abbattimento di un drone da parte di una nave moderna (il sistema Paams disponibile su Caio Duilio e su Andrea Doria costa circa 200 milioni di euro) è tecnicamente poco più che ordinaria amministrazione.
Diventa eccezionale per forze armate sin qui relativamente poco abituate a operare.
Ma il futuro prossimo ha ottime possibilità (purtroppo) di essere assai diverso dal recente passato.
Il tempo stringe.
Solo contro
L'articolo Solo contro proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
L’Italia spara nel Mar Rosso. Roma è parte della difesa collettiva
Quello che accade nel Mar Rosso “dimostra quanto ci sia bisogno di essere concentrati su un quadrante fondamentale per i nostri interessi”, perché “lì passa il 15 per cento del commercio globale: in mancanza di questa rotta, passando per il Capo di Buona Speranza, rischiamo di avere un incremento del prezzo dei prodotti”. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando dal Canada – seconda tappa del tour nordamericano da leader annuale del G7 – parla del tema del giorno: l’Italia è tornata a sparare. Sabato pomeriggio, il cannone da 76mm della Caio Duilio ha abbattuto un drone nel Mar Rosso, uno di quelli di fabbricazione iraniana che da mesi la milizia yemenita Houthi utilizza per bersagliare il traffico commerciale tra Europa e Asia.
La connettività lungo le rotte indo-mediterranee è stata disarticolata di fatto, le condizioni di sicurezza depauperate, tempi (e dunque costi) delle spedizioni stanno già aumentando. Per l’Italia, che dalla guida del G7 intende dare particolare rilievo al tema “connettività”, è una questione di politica internazionale tanto quanto di sicurezza collettività – come già dimostrato nella riunione ministeriale sui Trasporti che ha anticipato in via eccezionale l’incontro del gruppo previsto a Milano, ad aprile, proprio per affrontare insieme la questione dei collegamenti euro-asiatici messi in crisi dagli Houthi.
“Gli attacchi terroristici degli Houti sono una grave violazione del diritto internazionale e un attentato alle sicurezza dei traffici marittimi da cui dipende la nostra economia. Questi attacchi sono parte di una guerra ibrida, che usa ogni possibilità, non solo militare, per danneggiare alcuni paesi e agevolarne altri”, spiega nel comunicato della Difesa il ministro Guido Crosetto, che già in passato, in occasione dell’audizione alla Commissione Esteri e Difesa del Senato aveva parlato di “guerra ibrida”, alludendo al fatto che gli Houthi hanno fornito a Mosca e Pechino un lasciapassare – garantendo che le navi russe e cinesi non sarebbero finite sotto i loro colpi.
Secondo le informazioni diffuse dalla Difesa, l’analisi del tracciato del drone yemenita dimostrava che si sta dirigendo verso il cacciatorpediniere lanciamissili italiano, il quale, valutata la telemetria, ha preferito l’uso del sistema Ciws, il cannone Super Rapido. Il drone era a 6 chilometri dell’imbarcazione della Marina. Già successo nei giorni scorsi qualcosa di simile alla tedesca Hessen – che ha a sua volta fatto fuoco, non senza aver rischiato prima di abbattere un drone americano – e alla francese Languedoc, da tempo impegnata in attività nella regione. Era dalla Seconda guerra mondiale che una nave italiana non veniva attivata in un confronto cinetico del genere.
È in questo contesto che l’Italia si avvia al passaggio parlamentare definitivo per dare effettivo mandato alle forze che Roma ha promesso alla missione “Aspides” – avviata dal 19 febbraio dall’Ue per proteggere la sicurezza collettiva lungo quelle rotte. Quando martedì inizierà la discussione in Senato, sui nostri legislatori peserà un’agenda europea: Bruxelles ha infatti affidato il ruolo di Force Commander all’Italia, e il Caio Duilio dovrà dirigere il teatro operativo. Il voto dovrà essere rapido, come fatto da altri partecipanti europei come Francia, Germania e Grecia, perché l’emergenza è in atto e gli assetti in acqua sono già impegnati in attività contro forze ostili. Dal cacciatorpediniere della Marina dipenderà il coordinamento generale, dunque il suo valore è cruciale.
Contestualmente, il Parlamento andrà anche ad autorizzare la guida italiana della missione EuNavFor “Atalanta”, per la lotta alla pirateria nell’Oceano Indiano occidentale, e della CTF 153, task force delle Combined Maritime Forces – forze multinazionali attive sempre nella stessa regioni a cui è ascritta l’operatività di “Prosperity Guardian”, operazione a guida americana pensata proprio come forma di difesa dagli attacchi degli Houthi, parallela a quella offensiva anglo-americano, “Poseidon Archer”.
Oltre al Caio Duilio, altri due assetti italiani saranno attivati nel quadrante, dove Roma proietta il suo interesse nazionale, in un contesto effettivamente delicatissimo che ha già comportato un impegno tecnico-militare pro-attivo. Contesto che potrebbe inasprirsi, perché gli Houthi sono abituati alla guerra guerreggiata almeno da un decennio e – nonostante gli attacchi a guida statunitense abbiamo in parte degradato le loro capacità di azione – non sembrano interessati a fermarsi.
I miliziani yemeniti, connessi al network internazionale dei Pasdaran, dicono di colpire i mezzi alleati d’Israele per difendere i palestinesi della Striscia di Gaza invasa, ma in realtà sfruttano l’occasione per darsi una standing internazionale da sfruttare al tavolo negoziale sulla guerra civile in Yemen (su cui hanno già ottenuto risultati). Anche questa sovrapposizione di interessi, oltre ai rischi ibridi espressi da Crosetto, rende chiaro il livello dell’impegno non-ordinario che l’Italia si trova davanti, dal quale però non può sottrarsi. A maggiore ragione in questo momento di centralità internazionale del governo Meloni – che ha l’occasione di essere Paese riferimento nel Mediterraneo.
#laFLEalMassimo – Roberto Redsox e altri eroi silenziosi
La scorsa settimana, in questa rubrica che parla di libertà ho tracciato un parallelo tra due
Eroi silenziosi Alexei Navalny e Giacomo Matteotti, auspicando che Putin possa fare la fine di Mussolini e sperando che non ci voglia una guerra mondiale per ottenere questo risultato.
In un periodo caratterizzato dal rumore mediatico e dalle distorsioni generate dalla
propaganda di regime è importante prendere una posizione chiara e senza ambiguità,
questa rubrica si schiera dalla parte dalla parte del popolo ucraino e di tutti coloro che in
Russia, si oppongo a un regime che minaccia la pace e la libertà di tutte le società aperte.
Si licet magnis componere parva in questo episodio vorrei parlare di un altro eroe silenzioso,
il tassista Roberto Redsox, che viene perseguitato perché ha l’ardire di affermare la verità e
rispettare la legge, in circostanze surreali, che sembrano tratte da un libro di Kafka e sono
indegne di una paese civile.
A qualcuno può sembrare esagerato parlare di eroe silenzioso e di coraggio a fronte della
pubblicazione di qualche post si social, ma siamo ancora una volta al dito che indica la luna:
Roberto si oppone a una prassi diffusa e incredibilmente tollerata e incoraggiata dalle
istituzioni, nel farlo si mette contro un’intera categoria e uno strato di popolazione ottuso,
conservatore e illiberale.
Ognuno di noi ha la possibilità nel quotidiano di dare un contributo proporzionato alle
circostanze in cui si trova, ma la maggioranza di noi preferisce voltarsi altrove, far finta di
niente, per pigrizia, indolenza, irresponsabilità. Mahatma Gandi ci invitava ad essere il
cambiamento che vogliamo nel mondo e Rooberto a suo modo lo sta facendo
La FLE al massimo si schiera senza ombra di dubbio dalla parte di tutte le battaglie di libertà
da quelle grandi come la resistenza eroica del popolo Ucraino e dei martiri come Navalny a
alle quelle piccole, ma non meno rilevanti degli eroi come Roberto Red Sox.
L'articolo #laFLEalMassimo – Roberto Redsox e altri eroi silenziosi proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Shakespeare racconta Dante
RASSEGNA PER I 460 ANNI DALLA NASCITA DI SHAKESPEARE
READING TEATRALE DI GIUSEPPE PAMBIERI E MICOL PAMBIERI
OLTRE AGLI AUTORI INTERVERRANNO
STEFANO CAMPAGNOLO, Direttore Biblioteca Nazionale Centrale di Roma
ANDREA CANGINI, Segretario Generale Fondazione Luigi Einaudi
ELENA CATOZZI, Biblioteca Museo Teatrale SIAE
GIANNI PITTIGLIO, Storico dell’arte e docente presso la Saf ICPAL
MODERA
MARIA LETIZIA SEBASTIANI, Responsabile Biblioteca della Fondazione Luigi Einaudi
L'articolo Shakespeare racconta Dante proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Tutti i rischi della disinformazione. Dall’IA agli impatti sulle elezioni
Nel solo 2023 ci sono stati quasi cinquecento milioni di account finti rimossi a livello globale. Solo in Italia, i contenuti segnalati come fake news sono stati oltre sette milioni, e 45mila sono stati quelli rimossi perché in violazione degli standard delle piattaforme su cui comparivano. Sono solo alcuni dei dati che danno il segno del peso che la disinformazione ha nell’epoca digitale presentati nel corso dell’evento Definanziare la disinformazione, promosso alla Camera dei deputati dal Comitato atlantico italiano e da Balkan free media iniative. “La disinformazione è ormai il secondo pilastro, dopo le armi, del confronto internazionale”, ha sottolineato l’onorevole Lorenzo Cesa, presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato e promotore dell’iniziativa. Per questo, ha continuato Cesa, “compito dei legislatori sarà aumentare le difese immunitarie del sistema Paese per resiste agli attacchi alla libertà e alla democrazia”. Una sfida che dovrà coinvolgere l’intera comunità internazionale, dato che tra l’altro a breve “quasi metà della popolazione mondiale andrà al voto; dobbiamo reagire facendo squadra”. Ci troviamo in una vera è propria “infodemia”, ha registrato Antoinette Nikolova della Balkan free media initiative, nella quale “le notizie girano a grande velocità, come i virus, e ne approfittano forze che vogliono influenzare le nostre opinioni per il loro interesse, che non è quello delle società democratiche”.
Ad illustrare i numeri è stato Alessio De Giorgi, responsabile comunicazione del Partito democratico europeo, che ha ripercorso l’evoluzione della minaccia della disinformazione all’interno delle nostre società. Proprio le prossime elezioni, in diversi Paesi, nell’Unione europea e le presidenziali degli Stati Uniti, dovrebbero allarmare circa l’urgenza di dotarsi di contromisure adeguate. “Le campagne di disinformazione hanno una proiezione molto reale” ha concordato l’avvocato Stefano Mele, del Comitato atlantico italiano, “durante il Covid è aumentato il consumo di vodka perché si pensava aiutasse contro il covid, e le fake news hanno avuto un impatto drammatico quando centinaia di cittadini hanno invaso il tempio della democrazia Usa a Capitol Hill”. La posta in gioco per le democrazie occidentali è allora “trovare il giusto equilibrio tra il contrasto alla disinformazione e la garanzia democratica della libertà di espressione” ha sottolineato il direttore di Formiche, Flavia Giacobbe, sottolineando come la “disinformazioni punti a disorientare le opinioni pubbliche, con una narrativa di sfiducia verso le istituzioni”.
Ma perché la disinformazione sembra essere così pervasiva? Una spiegazione sta anche nel sistema di finanziamento su cui le campagne di fake news si basano. Infatti, come ha spiegato Sarah Kay Wiley, del Check My Ads Institute, una società che controlla la pubblicità sul web, “la prima fonte di finanziamento dei media internazionali è la pubblicità”. Ma cosa succede quando le aziende vogliono fare pubblicità online? “A volte basta contattare le riviste online e, come per i media tradizionali, si ha la certezza di dove vanno a finire le Adv”. Invece a volte si possono usare algoritmi, che in base al monitoraggio delle proprie audience forniscono le pubblicità in maniera automatica “e spesso le aziende non sanno dove finisce la propria pubblicità” con il rischio che vadano a finanziare piattaforme di disinformazione. La credibilità di marchi riconosciuti, infatti, aumenta a sua volta la credibilità degli stessi siti che diffondono fake news.
Alcuni casi eclatanti di questo trend arrivano proprio dai Balcani, ha registrato Peter Horrocks, membro di Ofcom, l’ente regolatore delle comunicazioni britannico, e già direttore della Bbc. “Su alcuni media serbi e bulgari il 24 febbraio del 2022 girò la notizia che l’Ucraina aveva invaso la Russia. Recentemente, invece, in Serbia è girata la notizia che l’Occidente avesse ucciso Navalny”. Il problema è che notizie di questo genere possono avere un impatto profondo sulla fiducia delle istituzioni, ma definanziarle è molto complesso. “Nello spazio digitale è più difficile il controllo sulla qualità delle informazioni” ha detto ancora Horrocks. Questo richiederà una maggiore attenzione da parte delle aziende, che dovranno controllare dove finiscono le proprie pubblicità, e dei governi, che devono vigilare sulla trasparenza dei media nei loro Paesi.
In questo contesto si inserisce anche il Digital service act (Dsa) europeo che, come illustrato da Giacomo Lasorella, dell’Agcom, ha inserito delle linee guida per procedere a un assessment del rischio da parte delle piattaforme della diffusione di informazioni false o rischiose per il discorso pubblico. Le piattaforme, per esempio, sono chiamate ad avere personale adeguato a fare fact checking, gli account devono essere riconoscibili, e i messaggi politici a pagamento bene evidenziati. Altro problema rilevante è l’impatto dell’intelligenza artificiale nella diffusione di false notizie, come il deep fake. L’obiettivo del prossimo futuro, allora, è “togliere acqua a disinformazione e aumentarla all’informazione di qualità”, ha registrato Alberto Baracchini, sottosegretario di Stato con delega all’informazione e all’editoria.
Crisi russo-ucraina, è tempo di decidere. L’analisi del gen. Del Casale
A due anni di distanza dall’attacco russo al territorio ucraino, è possibile ipotizzare un’uscita dalla crisi? E in che modo? Gli scontri si sono cristallizzati su un fronte dal quale è difficile progredire. Gli ucraini lamentano carenze nelle scorte, soprattutto di munizioni. Se, infatti, Corea del Nord, Iran e Cina alimentano con continuità l’arsenale russo, forti di un sistema industriale organizzato per la produzione bellica, il sostegno occidentale all’Ucraina dà invece segni di stanchezza. Biden deve fronteggiare il Congresso che blocca gli aiuti militari.
L’Unione europea ha invece liberato altri cinquanta miliardi di euro a favore di Kiev, varando anche il tredicesimo pacchetto di sanzioni contro il governo russo. Ma le difficoltà dell’Occidente sono molteplici. Tutti i paesi, ad esclusione degli Usa, hanno dato fondo alle scorte di ricambi e di munizioni – soprattutto di artiglieria e missili –, al punto da risultare difficile ripristinare i livelli minimi, a causa di bilanci che non tengono conto della “doppia esigenza” e di un sistema industriale che non fa riferimento a un’economia di guerra.
Il 2024 ci dirà molto sul futuro. A giugno, si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Anche se dovesse prevalere una politica più attenta al rispetto delle sovranità statuali dei paesi membri, l’Ue sosterrà sempre Kiev. Ma è anche l’anno delle presidenziali negli Stati Uniti. E sarà, quasi certamente, ancora una volta un confronto tra Donald Trump e Joe Biden. Qualora il presidente uscente dovesse essere confermato, il governo di Kiev potrà ancora contare sul sostegno occidentale e su quello americano, in particolare.
Putin sarebbe indotto a dialogare, di fronte a perdite sempre più pesanti (ad oggi, quelle di Mosca sono stimate in non meno di 120mila morti) e senza aver perseguito tutti gli obiettivi dichiarati: liberazione del Donbass, abbattimento del governo “neonazista” di Zelensky e, non ultimo, conquista militare dell’intera costa del mar Nero, sino al ricongiungimento con la Transnistria, la provincia russofona della Moldavia, dalla quale anche in questi giorni continuano a levarsi invocazioni di intervento della “madre” Russia. Dal canto suo, Trump ha ripetutamente dichiarato che con lui presidente la crisi russo-ucraina terminerebbe nel giro di 24/48 ore, lasciando intendere che non vi sarebbe più spazio per gli aiuti militari a Kiev, senza perdere l’occasione per bacchettare gli alleati che dovrebbero iniziare a badare da soli alla loro Difesa: pura sinfonia alle orecchie di Putin. Un tavolo della trattativa non può aprirsi senza considerare la situazione sul campo.
La Russia fa quadrato attorno al mantenimento dei territori occupati. Rientrare nei confini ante 24 febbraio significherebbe perdere la guerra. Uno smacco gravissimo. Lo stesso Putin vedrebbe minacciato il proprio orizzonte politico e non solo. Di contro, una vittoria russa creerebbe le premesse per una spinta egemonica sia verso i paesi dell’ex Patto di Varsavia, ora nella Nato, a partire dall’area baltica, sia a est, verso gli Stati centroasiatici a forte presenza russofona.
Il tutto, per riaffermare l’autorità di Mosca su un suo spazio post-zarista. Sul fronte ucraino, innanzi al 20% del territorio occupato e a un discontinuo supporto occidentale, ritenere di poter sfondare le linee russe e riguadagnare i confini originari appare velleitario. Negli stessi ambienti occidentali viene da tempo invocata la “pace giusta”, ma nessun leader politico osa più sbilanciarsi definendone i contenuti. Nella recente riunione del G7, tenutasi a Kiev, la presidente Meloni ha ribadito come l’Ucraina sia “un pezzo della nostra casa” e che “faremo la nostra parte per difenderla”, ma gli interrogativi sul futuro degli Stati Uniti e dei rapporti con gli alleati suscitano incertezze.
Macron, assente a Kiev, ha persino ipotizzato un impiego di soldati Nato in Ucraina restando però isolato tra gli alleati. Affermazioni apparse più come un tentativo per recuperare influenza sull’Occidente, avendone persa sulle ex colonie africane. Dopo le armi, ora deve parlare la diplomazia. È importante che Kiev inizi a lavorare per una pace accettabile. Un punto fondamentale è l’eventuale adesione dell’Ucraina alla Nato, considerata dalla Russia una minaccia diretta alla propria sicurezza. Questo non va ignorato, ma può certamente diventare un’opzione nel caso di futuri atteggiamenti ostili verso l’Occidente.
Altro è l’ingresso nella Ue, dato ormai per scontato e persino non escluso da parte russa. Ma quando arriverà il momento, si dovranno verificare tutti quegli indicatori utili a fornire garanzie in termini di democraticità, di lotta alla corruzione e di tutela dei diritti umani nei confronti della popolazione. Non è né semplice né scontato, se solo guardassimo le vicissitudini interne ucraine negli ultimi vent’anni. Certo, la guerra, con le sofferenze che comporta, stende sempre una coltre di oblio. Ma occorre tenere a mente il recente passato e applicare le regole, con coerenza e senza isterismi.
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SPORT, CORRUZIONE E SCOMMESSE CLANDESTINE
Nel nostro blog abbiamo già trattato di sport e corruzione, evidenziando come ogni anno vengano scommessi fino a 1,7 trilioni di dollari sui mercati delle scommesse illecite e che le scommesse illegali sono uno dei principali motori della corruzione nello sport e un canale importante per il “money laundering”, anche da parte di gruppi criminali organizzati (noblogo.org/cooperazione-inter…).
Una recente indagine della Polizia spagnola (#CuerponacionaldePolicia) in collaborazione con #Europol, che ha condotto all’arresto di all'arresto di 53 sospetti tra Madrid e Guadalajara, e che si è estesa in Romania, Bulgaria, Ucraina, Russia e Bolivia, ci offre l’opportunità di tornare sull’argomento, anche per meglio comprendere il modus operandi dei criminali.
Va segnalato che l’ultima ed attuale parte di questa attività ha inizio da indagini iniziate nel 2020, quando le forze dell'ordine spagnole hanno rilevato una serie di scommesse online sospette sui tornei internazionali di ping pong, identificando una rete criminale composta da cittadini bulgari e rumeni, stabilitasi in Spagna, che corrompevano atleti principalmente delle loro stesse nazionalità. Gli indagati prendevano di mira le competizioni principalmente al di fuori della Spagna, mentre a sua volta il leader dell'organizzazione corrompevano giocatori di calcio che giocavano per diverse squadre in Romania. Inoltre, l’organizzazione forniva ed acquisiva informazioni ad altri faccendieri.
L'organizzazione criminale utilizzava un modus operandi basato sulla tecnologia: grazie a tv satellitare catturava la trasmissione in diretta delle competizioni, prima che raggiungesse le agenzie di scommesse. Grazie alla conoscenza dell'esito delle partite, scommettevano sul risultato sicuro, frodando le stesse agenzie.
Si avvalevano di tale sistema nei campionati di calcio asiatici e sudamericani e nella Bundesliga. Tuttavia, hanno anche preso di mira la UEFA Nations League, la Coppa del Mondo del Qatar 2022 e i tornei di tennis ATP e ITF. Per evitare sospetti, piazzavano le loro scommesse a nome di altre persone, che raccoglievano i guadagni per loro conto
Tornando all’esito delle ultime ed attuali investigazioni, i 53 sospetti sono risultati essere i "corrieri delle scommesse" dell’organizzazione, avendo venduto i loro dati personali e i dettagli del conto della piattaforma di scommesse alla rete criminale. Con queste informazioni, i boss dell'organizzazione scommettevano massicciamente su risultati predeterminati, frodando le case di scommesse e ottenendo grandi benefici economici. L'inchiesta ha rivelato che l'organizzazione criminale controllava oltre 1500 conti di scommesse.
È evidente che le partite truccate danneggiano l'integrità dello sport e hanno un impatto significativo sulle associazioni sportive, che rischiano di perdere credibilità e sponsor. La corruzione nello sport ha quindi un impatto negativo sull'industria dello sport. La percentuale di partite truccate è inferiore all'1% in tutti gli sport, ma l'elevato fatturato delle scommesse si traduce in milioni di euro di profitti per quanti truccano le partite ogni anno. I proventi penali annuali globali derivanti dalle partite truccate legate alle scommesse sono stimati a circa 120 milioni di euro.
Per approfondire l’argomento: playthegame.org/projects/the-r…
Se a questi mancano le basi (militari)... l Contropiano
"Il problema non è cosa è la Russia, il problema è cosa stiamo diventando noi. Se non si chiudono le basi militari USA e se non si esce da quell'organizzazione criminale internazionale che, dal dopoguerra in poi, ha soltanto seminato morte, distruzione e miseria (NATO), ogni nuovo o vecchio partito, ogni programma politico, ogni movimento di opinione è/sarà semplice operetta, avanspettacolo."