Gli USA inviano altre armi a Israele: più di 2.000 bombe da sganciare su Gaza
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di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 30 marzo 2024. Fonti di sicurezza americane hanno rivelato al Washington Post che negli ultimi giorni l’amministrazione Biden ha segretamente autorizzato il trasferimento a Israele di oltre 2.000 bombe e 25 aerei da guerra per miliardi di dollari.
Nonostante gli Stati Uniti critichino il modo in cui Netanyahu sta gestendo la guerra a Gaza e si dicano preoccupati per un attacco su larga scala a Rafah, dove la maggior parte della popolazione palestinese è rifugiata, il sostegno armato non viene assolutamente messo in discussione. Secondo rivelazioni pubblicate a marzo, dal 7 ottobre gli USA hanno inviato 100 carichi di armi a Tel Aviv.
Su richiesta di Biden, alcuni funzionari di sicurezza israeliani avrebbero dovuto recarsi alla Casa Bianca ad ascoltare le proposte americane per limitare il numero dei morti civili. Ma Netanyahu ha annullato la visita in seguito alla decisione degli Stati Uniti di astenersi e non porre il veto sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiede un cessate il fuoco temporaneo a Gaza e il rilascio di ostaggi, senza subordinare la prima istanza alla seconda.
Washington consegnerà 1.800 bombe MK84 da 900 chilogrammi, e 500 bombe MK82 da 225 chilogrammi. Si tratta di armi con una potenza tale da demolire interi isolati e che non vengono più, di norma, utilizzate dagli eserciti su strutture civili o in contesti densamente abitati. Tuttavia, Israele ne ha fatto largo uso sulla Striscia, come nel caso dell’attacco al campo profughi di Jabalya, lo scorso 31 ottobre, che uccise circa 100 persone. Gli Stati Uniti hanno sganciato numerose MK84 durante la guerra del Vietnam e durante l’attacco all’Iraq del 1991, nell’operazione da loro denominata “Desert Storm”. Si tratta di ordigni utilizzati quando gli obiettivi principali sono forza e vastità della deflagrazione piuttosto che precisione nel colpire il bersaglio.
Foto aerea di una bomba M84 sganciata in Vietnam nel 1972
Dal 7 ottobre l’esercito israeliano ha sganciato 70.000 tonnellate di esplosivo su Gaza, utilizzando armi fornite principalmente da Stati Uniti e Germania.
I 25 caccia F-35A che Washington ha trasferito la scorsa settimana a Tel Aviv hanno un valore di 2,5 miliardi di dollari.
La risposta ufficiale dell’amministrazione USA è che l’accordo di fornitura era stato approvato prima della guerra e che per questo non richiedeva notifica pubblica. Lo stesso varrebbe per il nuovo pacchetto di 2.300 bombe.
Ma non sono democratici, compresi alcuni alleati del presidente Biden, ritengono che il governo degli Stati Uniti abbia la responsabilità di non consegnare armi fin quando Israele non si impegnerà seriamente a limitare le vittime civili e a far entrare aiuti a Gaza assediata sull’orlo della carestia. E che chiedono maggiore trasparenza e condivisione nelle decisioni sul sostegno militare a Tel Aviv.
Il senatore statunitense Bernie Sanders ha commentato la notizia criticando l’amministrazione Biden: “Non possiamo dire a Netanyahu di smetterla di bombardare civili e il giorno dopo mandargli migliaia di bombe”.
La notizia dell’invio segue una visita a Washington del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, durante la quale ha chiesto all’amministrazione Biden di accelerare la consegna di armi.
In 175 giorni nella Striscia di Gaza sono state uccise 32.600 persone, di cui 8.850 donne e 13.800 bambini.
Questa mattina a Rmeish, nel sud del Libano, è stato colpito un veicolo delle Nazioni Unite appartenente all’UNIFIL, la forza di interposizione ONU. L’esplosione ha causato almeno quattro feriti. Israele nega di aver effettuato il raid. All’inizio del mese, tuttavia, un drone israeliano ha colpito e distrutto un veicolo proprio nell’area di Naqoura, non lontano da Rmeish, uccidendo 3 persone.
Forze di interposizione ONU presenti in Libano
Sempre a Naqoura, alla fine di ottobre un missile aveva colpito la base militare dell’UNIFIL, senza causare vittime, come nel mese di novembre, quando i colpi di Israele hanno raggiunto invece una delle pattuglie ONU. All’inizio di marzo l’UNIFIL ha presentato la relazione finale dell’inchiesta sull’uccisione in Libano, nell’ottobre 2023, del giornalista di Reuters Issa Abdallah. Il report denuncia la volontà israeliana di colpire deliberatamente i civili presenti lungo il confine, chiaramente identificabili come giornalisti. L’Italia è presente in Libano con un contingente di circa 1.000 soldati. L’UNIFIL è composta da circa 10.000 militari provenienti da 49 diversi Paesi. Pagine Esteri
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STORIA. Il femminismo panarabo e l’identità palestinese (quarta parte)
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di Patrizia Zanelli* –
Pagine Esteri, 4 aprile 2024. Fleischmann spiega che, in Palestina, discorsi femministi cominciarono a comparire sui giornali arabi verso il 1890, quando la rivoluzione educativa iniziata a metà ‘800 aveva determinato importanti cambiamenti sociali nel paese che, tuttavia, era ancora povero, poiché privo di risorse minerarie, nonché conservatore. Questo conservatorismo era dovuto sia alle istituzioni religiose e ai notabili locali sia alla volontà del Sultano di mantenere lo status quo nell’Impero.
Erano state prima le famiglie moderniste palestinesi cristiane e poco dopo quelle musulmane a permettere alle proprie figlie – e ai propri figli – di frequentare le scuole missionarie moderne occidentali impiantate in Palestina, dove, per via della povertà, non esistevano università. Essendo le chiese locali conservatrici, molti giovani di rito greco-ortodosso desiderosi di libertà si convertirono all’anglicanismo, scatenando crisi familiari a non finire, tipiche del divario generazionale che caratterizzava le società arabe durante la Nahḍa. Benché considerassero l’istruzione femminile una necessità della vita moderna, le famiglie moderniste di tutte le comunità religiose permettevano solo ai figli maschi di andare a studiare all’università a Beirut, al Cairo o a Istanbul. Abituate sin da bambine a uscire di casa per andare a scuola, le giovani dell’élite urbana non erano disposte né costrette a vivere segregate; la loro presenza, in maggioranza a volto scoperto, in pubblico era ormai normale; indossavano cappellini e un abbigliamento sobrio all’europea; e per le occasioni speciali, talvolta, il tradizionale thobe ricamato palestinese; alcune musulmane non abbandonarono subito il velo. Tutte, però, sapevano che, a differenza dei loro fratelli e altri ragazzi della loro generazione, non potevano studiare all’università; fu anche per questa discriminazione di genere che cominciarono a maturare una consapevolezza femminista; in diversi casi studiavano in un istituto di formazione pedagogica.
Grazie alla scolarizzazione di massa lanciata dalla riforma ottomana e alla presenza delle scuole missionarie russe nei villaggi della Galilea, inoltre, molte giovani del proletariato rurale e urbano erano ormai istruite; quindi, potevano svolgere nuove professioni, come per esempio le impiegate negli uffici municipali, e aiutare economicamente le proprie famiglie. La rivoluzione educativa stava generando gradualmente in Palestina tre novità parallele: la mobilità sociale, la dissoluzione della dicotomia città/campagna e un lento smantellamento della segregazione di genere.
Intanto, spiega Masalha, si era registrata nel paese una forte crescita demografica, dovuta a una fioritura di strutture sanitarie moderne pubbliche, fondate dall’amministrazione ottomana, e private; da qui un notevole calo della mortalità infantile, l’aumento del numero di bambine e bambini da istruire, e della richiesta di docenti, medici e infermiere. Nei centri urbani teatro delle narrazioni evangeliche – Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e Tiberiade – i missionari europei e americani crearono inoltre ospedali, alcuni destinati alla formazione medica e infermieristica, e ospizi per le cure sia dei pellegrini sia della popolazione locale. Quindi, anche la modernizzazione della sanità offrì nuove opportunità di lavoro per la società palestinese, donne incluse.
Come spiega Salim Tamari [14], infatti, è storicamente dimostrato che intorno al 1895, infermiere palestinesi e straniere lavoravano nel Muristan, l’ospedale pubblico di Gerusalemme; venivano assunte tramite la Società Ottomana della Mezzaluna Rossa. Dunque, stava emergendo nella società urbana palestinese un proto-femminismo, di cui è però difficile capire esattamente la genesi, per la già indicata dispersione delle fonti storiche disponibili al riguardo, dovuta alla Nakba, nonché per la rigida censura sulla stampa imposta dalla Porta in Palestina.
Gli scontri di Affula (al-Fūla), avvenuti nel 1884, dopo che il proprietario libanese del villaggio lo aveva venduto all’agenzia sionista, e citati da Fleischmann per rilevare la partecipazione delle contadine alla resistenza esplosa contro la fondazione della colonia, sono significativi soprattutto in termini di diffusione popolare dell’autocoscienza anti-colonialista. Sanbar nota, infatti, che l’opposizione palestinese al sionismo nacque prima dalla pubblicazione, nel 1896, de Lo Stato ebraico di Theodore Herzl (1860-1904). Il rischio di una sostituzione etnica era l’argomento di un dibattito generale sulle pagine dei giornali arabi; uno dei dirigenti che presero iniziative importanti in merito è il gerosolimitano Yusuf Diyā‘ al-Din al-Khalidi (1842-1906), deputato di Gerusalemme al Parlamento ottomano del 1877 e per due mandati sindaco della città, il quale, nel 1889, scrisse al gran rabbino di Francia, Zadok Kahn: “In nome di Dio, lasciate in pace la Palestina”. Sin dal 1891 petizioni simili per richiedere il controllo dell’immigrazione ebraica e l’interdizione delle vendite dei terreni agli immigranti saranno rivolte invano alle autorità di turno. Perciò lo stesso evento di Affula del 1884 è ritenuto emblematico; lo cita infatti anche Masalha, confermando il parere di altri storici, come Rashid Khalidi, Beshara Doumani, Ilan Pappé, Baruch Kimmerling e Joel S. Migdad, che collocano la nascita di un proto-nazionalismo territoriale locale e di una percepita identità nazionale palestinese a fine ‘800, prima della comparsa del sionismo politico (sancita dal congresso di Basilea del 1897). Come già detto, tale percezione era dovuta anzitutto alla massiccia presenza di stranieri occidentali e orientali in Palestina, dove, per via della crescita economica, risiedevano, solo per esempio, immigrati egiziani, libanesi e siriani. In quel contesto, le immigrazioni ebraiche, materializzatesi in colonie sioniste, non generavano nelle menti delle donne e degli uomini palestinesi più di tanto riflessioni sulla questione identitaria bensì seri timori per la loro stessa sopravvivenza nel loro paese.
Pur non essendo famosa, la vera pioniera della Nahḍa femminile palestinese è la scrittrice nazarena cristiana greco-ortodossa Kulthum Odeh (1892-1965), che, in un breve testo autobiografico, dice: “Il mio arrivo in questo mondo è stato accolto dalle lacrime, poiché tutti sanno come gli arabi, quali siamo pure noi, si sentono quando viene annunciata loro la nascita di una femmina, specialmente se questa bambina sfortunata è la quinta delle sue sorelle, e la famiglia non è stata benedetta da un maschietto. Tali sentimenti di odio mi accompagnavano sin dalla tenera età. Non ricordo che mio padre sia mai stato compassionevole con me. La cosa che aumentava l’odio dei miei genitori nei miei confronti è il fatto che pensavano che fossi brutta. Perciò sono cresciuta, evitando di parlare, eludendo gli incontri con persone e concentrandomi solo sulla mia istruzione”.
In questo breve testo autobiografico – uno dei rarissimi della Nahḍa femminile palestinese -, Odeh spiega bene cosa significasse essere una giovane in Palestina e altrove nel mondo arabo all’epoca. Aveva frequentato una scuola a Nazareth e poi l’istituto di formazione pedagogica di Beit Jala, dove uno dei suoi docenti era il già citato letterato Khalil al-Sakakini. Era una studentessa eccellente. Appena diplomata all’età di 16 anni, lei stessa insegnò arabo in una scuola russa a Nazareth. Iniziò inoltre a pubblicare articoli in alcune delle quasi 50 testate palestinesi esistenti all’epoca. A un certo punto, si innamorò del medico russo, Ivan Vasilev, che ricambiava i suoi sentimenti, ma la sua famiglia non voleva che sposasse uno straniero. Quindi, lei e lui andarono a sposarsi a Gerusalemme. Quando rientrarono a Nazareth, non ebbero vita facile; perciò, nel 1914 circa, si trasferirono in Russia. Odeh avrà tre figlie ma, nel 1919, durante la guerra civile seguita alla Rivoluzione d’ottobre, suo marito, allora volontario nell’Armata Rossa, morirà di tifo. Lei continuerà a studiare e, per esigenze economiche, lavorerà come infermiera. Nel 1928, ottenne il dottorato presso l’Università di Leningrado, dove poi insegnò; fondò anche un istituto di studi di dialetti arabi a Mosca. Odeh fu la prima donna del mondo arabo a laurearsi e a diventare un’accademica. L’autrice palestinese condusse una brillante carriera professionale in Russia, ma a livello personale non ebbe mai vita facile. Fu importante come letterata, e per i suoi studi di dialettologia e letteratura araba; era anche un’attivista marxista.
Tornando alla Palestina, agli inizi del ‘900 alcune palestinesi cristiane greco-ortodosse del ceto medio cominciarono a creare associazioni caritatevoli femminili. Appartenendo a una minoranza religiosa, volevano aiutare la loro comunità, sapendo che era poco tutelata dallo Stato ottomano. Questo attivismo sociale, consentiva loro di emanciparsi, di avere una vita pubblica, aiutando bambine bisognose o/e orfane a istruirsi, e, una volta diplomate, inserirsi nel mondo del lavoro ed essere donne emancipate, almeno economicamente. Nella comunità cristiana palestinese esisteva, poi, una vecchia divisione tra la maggioranza greco-ortodossa, considerata più popolare, e la minoranza cattolica più elitaria, poiché più vicina all’Europa. Tamari spiega che, a prescindere dalla fede di appartenenza, le attiviste di questa prima generazione del proto-femminismo erano state ispirate dal volontarismo delle suore missionarie che le avevano educate. Va da sé che, proprio come i loro fratelli, erano state influenzate sin dall’infanzia dalle idee moderniste e nazionaliste degli uomini adulti delle loro famiglie. Non volevano vivere come le loro madri, di solito dalla mentalità più tradizionalista rispetto ai padri che, però, non permettevano alle figlie di svolgere professioni “inadatte” al loro status sociale, come le infermiere o le impiegate del settore pubblico e privato, appartenenti al proletariato urbano. Il passaggio dalla tradizione alla modernità non fu liscio in Palestina né altrove nel mondo arabo, dove il marxismo era – e rimarrà – un’ideologia marginale, specialmente nella sua espressione comunista; Odeh fu una pioniera anche in tal senso.
In breve, le giovani palestinesi del ceto medio – e dell’alta borghesia –, desiderose di un minimo di libertà e indipendenza, avevano più ragioni per fondare associazioni caritatevoli femminili. Dopo la Società Ortodossa di Aiuto ai Poveri, creata ad Acri, nel 1903, ne nacquero altre simili, tra cui una a Giaffa, nel 1910, un’altra a Haifa, nel 1911, e un’altra ancora a Gerusalemme, nel 1919. Le associazioni caritatevoli nate in questa fase erano confessionali, ma non settarie; erano rivolte alle famiglie bisognose, incluse le persone ammalate, di tutte le comunità religiose. Le attiviste erano appunto giovani docenti, perlopiù ancora single.
Tamari spiega l’esperienza di una figura molto interessante, futura leader famosa, la già citata Adele Azar di Giaffa, autrice di un altro dei rarissimi testi autobiografici rappresentativi del femminismo palestinese della Nahḍa; lo scrisse nel 1963, in un quaderno di appunti e nella forma di una lunga lettera per i/le nipoti. Figlia unica, ad appena due anni d’età, i genitori l’avevano mandata a scuola: la Miss Arnot’s Mission School, dove alle alunne veniva insegnata anche educazione fisica. Come già detto, le missionarie delle scuole femminili britanniche erano, però, piene di preconcetti orientalistici nei confronti delle società arabe, che pensavano di dovere “civilizzare”, secondo la loro mentalità eurocentrica, tramite l’istruzione delle bambine. Finite le medie, Adele, che ormai conosceva l’inglese, fu iscritta alla St. Joseph School (sempre a Giaffa), perché imparasse anche il francese. Nel 1899, ancora studentessa, si fidanzò con Afteem Yaqub Azar, che sposerà nel 1901. Le fonti storiche non offrono informazioni sulla professione di suo marito.
Adele Azar è un po’ un caso eccezionale, perché era appunto già sposata, il 15 febbraio 1910, quando divenne la presidente e una delle fondatrici della Società delle Signore Ortodosse, che, nel suo testo, definisce come “la prima organizzazione femminile nazionale a essere stata fondata in Palestina”; nello stesso segmento testuale poi ripete l’aggettivo “nazionale”. Questa insistenza forse serviva a sottolineare che l’associazione non era settaria e di certo rivela il patriottismo e il linguaggio modernista di Azar e delle altre attiviste che lavoravano per il futuro della loro nazione. Il nazionalismo non era una mera opzione per la società palestinese alle prese con la minaccia sionista e imperialismi vari.
Per avere un’istruzione moderna, le bambine dell’alta borghesia e del ceto medio, cristiane e musulmane, dovevano per forza di cose frequentare le scuole missionarie straniere cattoliche e protestanti, ricevendo un’educazione europea; quindi, non conoscevano la cultura araba. A Gerusalemme molte figlie dell’élite frequentavano la Scuola delle Sorelle di Nostra Signora di Sion, in cui imparavano più che altro economia domestica. Le femministe palestinesi, perciò, volevano realizzare una rivoluzione educativa per le bambine e le ragazze della Palestina.
Azar era, inoltre, stata ispirata da Labiba Jahshan e Zarifa Sarsuq che, nel 1881, avevano fondato a Beirut la tuttora esistente Ecole Zahrat al-Ihsān (Fiore della Carità), che dirigevano insieme nell’ambito della loro associazione femminile che aveva lo stesso nome. In questo istituto scolastico fornivano un’istruzione moderna in materie umanistiche e scientifiche a bambine e ragazze della comunità cristiana ortodossa. Fu la risposta locale libanese alla crescente influenza delle scuole missionarie cattoliche e protestanti straniere in Libano. Divenne poi un modello anche per gli istituti scolastici delle associazioni femminili palestinesi e siriane. Azar lo adottò, infatti, per l’offerta didattica della scuola della Società delle Signore Ortodosse, della quale era la preside; era lei che preparava il programma; lo scriveva nel suo succitato quaderno di appunti. Le lingue insegnate erano l’arabo e l’inglese; le attiviste organizzavano anche corsi di taglio e cucito in un laboratorio allestito appositamente. Ricevevano le risorse finanziarie per le loro attività dalla chiesa e da privati della comunità ortodossa. La vice-preside della scuola era Alexandra Kassab Zarifeh (1897-?), un’attivista per i diritti delle donne, definita la “ribelle” di Giaffa. Per le occasioni speciali, talvolta si vestiva all’ultima moda parigina, considerata osé all’epoca. Aveva studiato alla Ecole Zahrat al-Ihsān di Beirut e iniziato sin da ragazza l’attivismo sociale nella Croce Rossa e nella Mezzaluna Rossa.
Fleischmann spiega che, per le femministe palestinesi di questa prima generazione, il principale elemento identitario era la femminilità; si associavano alle loro corrispettive egiziane, libanesi e siriane, con le quali aderivano allo stesso movimento, la Nahḍa femminile. D’altro canto, loro avevano problemi specifici locali da affrontare: la crisi nazionale provocata dal sionismo oltre alla povertà ancora predominante nel paese, nonostante la recente crescita economica. Alcune erano mogli o sorelle dei teorici della palestinesità, teorie che tutte conoscevano e in cui si identificavano, così come erano vicine al panarabismo; volevano salvaguardare l’arabicità della Palestina, nonché la cultura ecumenica tipica della loro stessa società palestinese. Perciò, non erano settarie sul piano confessionale né esclusiviste per quanto riguarda il nazionalismo; erano cresciute ricevendo svariati stimoli nelle città cosmopolite in cui vivevano e/o studiavano. Bilingue e talvolta poliglotte, le palestinesi avevano gli strumenti necessari per tenersi aggiornate sugli sviluppi della Nahḍa in Egitto (il Cairo era ormai il cuore propulsivo del movimento), in Libano e Siria, e sulla modernità importata dall’Occidente; erano state esposte a modelli femminili anzitutto francesi e inglesi, con cui sapevano interagire culturalmente, rifiutando di essere mere imitatrici delle donne occidentali. Le docenti diplomate a Beit Jala conoscevano, inoltre, le grandi opere della letteratura russa moderna.
In definitiva, le femministe palestinesi di questa prima generazione sia cristiane che musulmane, le quali emergeranno sulla scena pubblica durante la Grande Guerra, stavano sviluppando sin da giovani un attivismo sociale e culturale comunque legato alla crisi nazionale e, dunque, politico. Varie fonti storiche sottolineano che sono, di fatto, queste pioniere, e soprattutto le già citate più politicizzate leader famose dell’associazione femminile di Gerusalemme, le vere ispiratrici del futuro femminismo panarabo che nascerà proprio per la difesa della Palestina.
[14] Salim Tamari, “Adele Azar: Public Charity and Early Feminism”, Jerusalem Quarterly, 74, 2018.
*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Ha scritto L’arabo colloquiale egiziano (Cafoscarina, 2016); ed è coautrice con Paolo Branca e Barbara De Poli di Il sorriso della mezzaluna: satira, ironia e umorismo nella cultura araba(Carocci, 2011). Ha tradotto diverse opere letterarie, tra cui i romanzi Memorie di una gallina (Ipocan, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī, e Atyàf: Fantasmi dell’Egitto e della Palestina (Ilisso, 2008) della scrittrice egiziana Radwa Ashur, e la raccolta poetica Tūnis al-ān wa hunā – Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad. Ha curato con Sobhi Boustani, Rasheed El-Enany e Monica Ruocco il volume Fiction and History: the Rebirth of the Historical Novel in Arabic. Proceedings of the 13th EURAMAL Conference, 28 May-1 June 2018, Naples/Italy (Ipocan, 2022).
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Ambasciata Usa: 'Nato impegnata in risoluzione pacifica delle controversie' • Imola Oggi
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In Cina e Asia: L’Ue lancia un’indagine sui sussidi alle aziende cinesi del fotovoltaico
I titoli di oggi: L’Ue lancia un’indagine sui sussidi alle aziende cinesi del fotovoltaico Cina, le aziende di Stato guideranno la corsa all’avanguardia tecnologica Uno studio dimostra come la Cina starebbe promuovendo il suo modello politico in Medio Oriente Il nuovo sistema operativo di Huawei può competere contro iOS e Android Hong Kong facilita le condizioni per il cambio di ...
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Terremoto a Taiwan: il racconto da Taipei
Un sisma di magnitudo 7.2 ha colpito l'isola, il più forte degli ultimi 25 anni. Decine di scosse di assestamento fino a tarda notte, danni limitati a Taipei ma più seri altrove. Immagini impressionanti tra Hualien e la costa orientale
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Could the US Government Self-Host a Fediverse Server?
In our report yesterday about President Biden and the White House opting in to ActivityPub federation, there were a number of responses from people wishing that the White House (and other organizations) would simply self-host their own server to be a part of the network. I agree with this sentiment, and have been thinking about the requirements that would make this kind of thing possible.
Here are my thoughts, based on my limited experience working for both tech startups and government.
Why Would Anyone Want This?
There are a number of people in the Fediverse that would like all forms of government to stay the heck away from the network, citing the problems of bringing the military-industrial-complex and surveillance capitalism to our cozy little space on the Internet. Depending on which government we’re talking about, what their policies are, and how they interact with the network, this isn’t necessarily an unreasonable reaction.
However, there are a number of benefits that bringing government to self-hosted infrastructure might bring:
- Government Officials – Communicating with and representing their constituents.
- Service Notifications – Are there outages on certain train lines? Are roads closed down? Has a natural disaster occurred?
- Bureau Interactions – interacting with municipal services, civic organizations, and emergency / non-emergency services for a variety of jurisdictions.
- Department Information – easy promotion and access to studies from, say, the Department of Labor, or the Department of Energy.
- Legislature – coverage of meeting notes, policies passed, votes on the House or Senate floor.
As of today, these things primarily exist within the domain of corporate social media. You’re more likely to see a smattering of accounts across Twitter, Facebook, and Threads, and those accounts might be pretty limited in what they’re able to actually accomplish, since they’re not even running on government infrastructure.
The fact of the matter is, being able to directly access all of the things listed above could be a boon to users of the Fediverse. Rather than trying to rely on a Facebook page or Twitter account to get necessary information, it could be seen from verified accounts on your timeline, with receipts, and would be accessible to journalists, researchers, developers, and citizens alike.
Technical and Organizational Hurdles
There are a number of hoops to jump through, so let’s talk about them. Before diving in: I’m aware of the effort being done by the European Union as well as some EU governments. I think those are great, and give us some kind of playbook to look to for examples. These musings are more focused on the United States.
Funding
The first headache with any government project is setting aside the funds and people to work on it. A political figure could introduce a bill with provisions to set aside a budget for such a program, but then there are questions pertaining to who actually carries out this effort. How much of the work is being contracted out to another business or agency? What’s the criteria for “winning” the contract, and who carries out what tasks?
Procurement
Then there’s the choice of software itself: the platform and its dependencies need to be audited, examined, and vouched for. Off the top of my head, relatively few Fediverse platforms actually fulfill this expectation: I believe that Mastodon may be one of the few that has actually gone through this process, but there may be significant differences between a security audit by a compliance group, and a security audit by a government.
Aside from choosing an official platform to stake operations on, there’s also the matter of finding an ideal third-party vendor. Currently, managed Fediverse hosting services are still in their infancy, and I’m not sure they’re up to scratch for what a government entity demands: comprehensive compliance requirements, service-level agreements, user training and onboarding materials, and promises pertaining to security upgrades and threat mitigations.
There may also be requirements for custom development, for example, integrating federal single sign-on, such as ID.me or something similar. There would also need to be a deployment strategy for various users, departments, and bureaus. It may be possible for an existing government IT provider to adopt Mastodon or another platform and develop everything needed here, but it’s much harder for any business started in the Fediverse today.
Policy
Another relatively grey area here would be the setting of policy for a US Government-run instance. Dealing with hate speech, CSAM, trolling, harassment, and other nastiness is a job and a half for ordinary instance admins, but I would imagine that this could be compounded further by hosting a government server with potentially millions of followers.
How does a government handle that kind of thing without violating the First Amendment? Does moderation even count as violating free speech, as some people believe? Is there perhaps a threshold for what’s tolerated in civil discussion?
I’m not a lawyer, and don’t have a complete answer. They might be able to get away with something similar to the Mastodon Server Covenant, in which ground rules for participation are set. Alternatively, maybe only allowing inbound federation from other government servers is an answer. I don’t know.
Tooling
One final consideration: departments and organizations are unlikely to get very far if they only have a default web interface to rely on. The Fediverse needs tools like Buffer, Fedica, and Mixpost for teams to come together and coordinate their presence in this new space. As the ecosystem evolves, we’ll likely need alternative tools and frontends to deal with emerging challenges.
It’s Still Worth Trying
I’ll be the first to admit that, looking at everything above, there’s a lot of unanswered questions. People asked why President Biden and the White House opted in to using Threads with ActivityPub federation, rather than stand up their own server. For the time being, the cost of setup, onboarding, and training is cheaper. They’re also making a smart bet by migrating to where a lot of people are, in the hopes that they will be heard by the greatest amount of potential followers.
As the Fediverse continues to grow, and both the protocol and platforms continue to evolve, my hope is that government entities might see the Fediverse as viable. One day, we may see a lot of municipal entities and departments setting up their base of operations right here on the network. I think it’s important that we continue thinking about how to get there.
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Israele e la “guerra totale”: attacco ai civili, agli operatori umanitari, all’Iran e ai suoi stessi alleati
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di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 3 aprile 2024. Sono più di 200 gli operatori umanitari uccisi a Gaza in sei mesi. Quasi tre volte il bilancio delle vittime registrate in un anno in qualsiasi singolo conflitto mondiale.
Secondo l’ONU ne erano 196 fino al 20 marzo, prima quindi del sanguinoso attacco israeliano che ha ucciso martedì 2 aprile sette membri della World Central Kitchen. Un convoglio di 3 autovetture che aveva coordinato il proprio percorso con i militari israeliani, è stato colpito dopo che il gruppo di operatori umanitari, identificabile con il logo della WCK, ha consegnato 100 tonnellate di aiuti alimentari a Deir al-Balah, nel centro della Striscia di Gaza. Un attacco mirato, che non ha lasciato scampo agli operatori, tre di nazionalità inglese, uno con doppio passaporto statunitense-canadese, uno polacco, uno australiano e un palestinese. Il secondo veicolo è stato colpito a 800 metri di distanza dal primo. E il terzo a 1 chilometro e 600 metri dal secondo, con estrema precisione. Il premier Netanyahu ha parlato di un “tragico errore”, cose che però “in guerra accadono”. È difficile immaginare che un tale grossolano sbaglio sia riconducibile allo stesso esercito che poche ore prima ha distrutto con chirurgica accuratezza l’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria.
Con l’aumentare dello sdegno internazionale, le parole di scusa sono divenute più chiare, accompagnate però dal funambolico tentativo di descrivere il raid come un’azione isolata. Difficile inquadrarla in questo modo ormai anche per gli storici sostenitori d’Israele: le uccisioni di operatori umanitari, di giornalisti, di civili, di donne e bambini hanno raggiunto numeri inimmaginabili, l’orrore della fame è denunciato ovunque come arma di guerra saldamente impugnata da Netanyahu e dal suo governo. “Se Israele sperava che il suo controllo sull’ingresso degli aiuti sarebbe servito come mezzo di pressione per il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas, ha perso la scommessa” scrive oggi il quotidiano israeliano Haaretz.
I passaporti di alcuni degli operatori umanitari della WCK uccisi da Israele a Gaza
Il dibattito interno inglese è diventato rovente quando è stata ventilata l’ipotesi che i tre cittadini inglesi della WCK possano essere stati uccisi con una delle tante armi che la Gran Bretagna ha consegnato a Israele. L’opinione pubblica era già rimasta scossa da una fuga di notizie: nonostante il governo abbia ricevuto un parere legale secondo cui l’esercito israeliano sta violando il diritto internazionale, il flusso di armi non è stato bloccato. Insieme a Jeremy Corbyn, altri deputati hanno chiesto la sospensione della vendita di armi a Israele: “dobbiamo chiedere un cessate il fuoco immediato, e porre fine alla nostra complicità in questo orrore”, ha dichiarato l’ex leader laburista.
All’indomani dell’attacco drone al convoglio, la World Central Kitchen ha annunciato la sospensione delle proprie attività nella Striscia di Gaza. Secondo il Cogat, l’organismo del ministero della difesa israeliano che controlla l’amministrazione civile dei territori palestinesi occupati, la WCK garantiva circa il 60% degli aiuti non governativi che entrano nel territorio. Altre Organizzazioni non governative hanno seguito l’esempio, dichiarando di aver interrotto il lavoro di supporto alla popolazione sull’orlo della carestia.
L’immagine di Israele che i governi, soprattutto occidentali, stanno tentando disperatamente di difendere e di presentare, a volte oltre ogni evidenza, a un’opinione pubblica con le idee più chiare di quelle dei propri reggenti, sta cadendo a pezzi. Sotto le immagini dell’ospedale al-Shifa, che fatto a pezzi e dato alle fiamme vengono presentate come un successo militare, con le foto dei corpi di decine di palestinesi senza nome sepolti dalle ruspe, come dalle notizie delle centinaia di arresti arbitrari, dalle testimonianze degli anziani pazienti sopravvissuti.
L’ospedale al-Shifa di Gaza, distrutto dopo l’assedio israeliano
Ma anche per la cacciata dei giornalisti di Al Jazeera, il più importante network di notizie del mondo arabo, che potrebbe essere seguito da tanti piccoli pezzi di libertà di stampa tenuti a forza da Israele fuori dai confini propri così come da quelli che forzatamente continua ad occupare. L’annunciata operazione militare israeliana su Rafah, dove è rifugiata la maggior parte della popolazione palestinese, è stata ufficialmente bocciata dagli Stati Uniti d’America. Secondo gli USA evacuare i civili in quattro settimane, come programmato da Tel Aviv, è semplicemente impossibile. Sarebbero necessari, per Washington, non meno di quattro mesi.
Sono ormai 32.975 i morti nella Striscia di Gaza, dei quali 14.500 bambini e 9.560 donne. 75.577 feriti, 30 bambini morti di fame. Il Programma alimentare mondiale (WFP) ha ribadito il suo appello per un cessate il fuoco a Gaza avvertendo dell’avvicinarsi della carestia e della malnutrizione tra i bambini che si diffonde a “ritmo record”: un bambino su tre sotto i due anni è gravemente malnutrito. Un’indagine pubblicata da The Guardian, realizzata dal sito di notizie israeliano Sicha Mekomit rivela che l’esercito israeliano utilizza a Gaza un sistema di intelligenza artificiale che, in base a dati preinseriti indentifica potenziali simpatizzanti di Hamas. 37.000 persone sarebbero state arrestate con l’utilizzo del software.
Familiari degli ostaggi israeliani a Gaza irrompono alla Knesset per protestare contro la gestione della guerra da parte del governo Netanyahu
Eppure, Netanyahu e il suo governo, nonostante le contestazioni interne, godono di un forte sostegno. La narrazione della “vittoria totale” contro Hamas continua a scaldare i cuori di gran parte della popolazione israeliana ma pone sempre più interrogativi sull’avvenire. Gli oppositori lo incolpano di fare la guerra per la guerra, scopo e ultimo obiettivo, senza un reale piano per un futuro di pace. Pace per gli israeliani, sia chiaro, perché i palestinesi rimangono un problema da domare e di cui preferibilmente sbarazzarsi.
Non solo la guerra contro Hamas. Per ritardare l’inevitabile resa dei conti sulle responsabilità del fallimento militare e di intelligence del 7 ottobre, quando il gruppo islamico ha attaccato uccidendo 1200 persone e rapendone circa 250, anche una “guerra totale” potrebbe diventare appetibile. E così la posta in gioco diventa sempre più alta, attacco dopo attacco. “Bibi” sembra sfidare i suoi più forti avversari, testandone i limiti, spinto dal desiderio di marcare il territorio dello scontro ma tentato sempre più a istigare una reazione che, se messi con le spalle al muro, l’Iran e i suoi gruppi alleati potrebbero persino decidere di avere.
L’attacco all’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria, con l’uccisione di sette persone tra le quali Mohammad Reza Zahedi, un comandante della Forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, è un passo pericoloso.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha tenuto una riunione di emergenza il 2 aprile. L’Iran “ha esercitato una notevole moderazione, ma è imperativo riconoscere che ci sono limiti a tale tolleranza”, ha detto l’ambasciatore iraniano all’ONU, Zahara Ershadi.
Cina e Russia hanno definito l’attacco “una flagrante violazione della carta delle Nazioni Unite e della sovranità sia della Siria che dell’Iran”. “25 anni fa, l’ambasciata cinese in Jugoslavia è stata bombardata da un attacco aereo della NATO guidato dagli Stati Uniti. Comprendiamo il dolore del governo e del popolo iraniani”, ha detto Geng Shuang, vice rappresentante permanente cinese presso le Nazioni Unite.
La “guerra ombra” tra Tel Aviv e Teheran ha avuto fino ad ora le modalità del “contenimento”. Un “botta e risposta” proporzionale garantisce il rituale di dominanza e sottomissione che può terminare, come da più attori auspicato, in un ritorno alle proprie aree di influenza, con soddisfazione egualmente distribuita. In questa mascolina dimostrazione di muscoli si inserirebbe il supporto occidentale concretamente dimostrato a Israele con la presenza militare nel Mediterraneo e nel Mar Rosso. Dunque, supportare uno degli attori in conflitto nei termini del “contenimento”, significa esaltare la propria presenza e la propria capacità d’armi allo scopo di intimidire l’avversario ed evitare l’escalation. L’azione armata di Israele contro l’ambasciata iraniana rappresenta senza dubbio un atto che trascende il contenimento. Una fuga in avanti, una dimostrazione di forza che mette in difficoltà i propri alleati ma anche e di più l’avversario, in questo caso l’Iran, che deve decidere a questo punto quali carte giocare. Il fatto che gli Stati Uniti, secondo fonti riportate da più parti, si siano affrettati a comunicare a Teheran la propria estraneità all’attacco, conferma questa lettura. Le minacce che hanno presentato all’Iran sono spiegate dal timore che la risposta possa mirare a obiettivi statunitensi in Medio Oriente.
La maggior parte degli analisti in giro per il mondo sostiene che l’Iran vuole evitare una guerra diretta con Israele. Ma concordano tutti sul fatto che dovrà rispondere all’attacco all’ambasciata. In fondo, l’ha promesso. Ma come?
Il presidente Joe Biden ha già minacciato che se saranno attaccate basi, ambasciate, cittadini degli Stati Uniti, il suo esercito risponderà. Potrebbe attaccare un “luogo” estero israeliano. Ma probabilmente è questa l’azione che Netanyahu attende per l’escalation. La risposta allora potrebbe arrivare attraverso il Libano, con un attacco nel nord d’Israele. C’è da chiedersi, a questo punto, se Hezbollah sia disposto, su ordine dell’Iran, a rischiare una controffensiva israeliana massiccia: Tel Aviv ha già più volte dimostrato di poter colpire il Libano dal sud al nord, compresa la capitale Beirut, senza subire particolari ritorsioni. Rinforzare e allargare il programma nucleare potrebbe essere, forse, una risposta. Ma non è da escludere che rappresenterebbe, anche questa, una minaccia considerata da Netanyahu “troppo grave”.
Gli Stati Uniti potrebbero dunque ritrovarsi incastrati in una guerra che non vogliono e che neanche i loro avversari desiderano ma che Israele pare deciso a voler provocare. Il “laissez faire” politico e militare accompagnato solo da deboli ed esitanti frasi ammonitive, potrebbe rappresentare l’effetto fatale di una sottovalutazione dell’indipendenza aggressiva di Netanyahu.
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ieri l'app di #BancoPosta mi ha detto che devo "Autorizzare l'app Bancoposta ad accedere ai dati per rilevare la presenza di eventuali software dannosi", avendo poi cura di precisare che "La funzionalità è obbligatoria" e che avrei avuto un numero limitato di accessi dopo i quali non potrò più accedere e operare in app se non mi adeguo.
Ma è legale una cosa del genere?
@Etica Digitale (Feddit)
dday.it/redazione/48945/le-app…
Le app di Poste Italiane pretendono di avere accesso ai dati del telefono. Ma non spiegano cosa ci fanno
In rete aumentano le segnalazioni di utenti obbligati a condividere i dati di utilizzo del telefono per poter accedere ai servizi di Poste Italiane, come PostePay e BancoPosta. La richiesta servirebbe a verificare la presenza di software dannosi.Sergio Donato (DDay.it)
RECENSIONE : MISOPHONIA – WORKING CLASS BLAST BEAT
I Misophonia producono un odi quei lavori che fortunatamente non hanno nessun ritegno né filtro a descrivere il mondo per come è veramente e riescono a fondere il grindcore e il crust con la telefonata delle Brigate Rosse che annunciava la morte di Aldo Moro, la jihad islamica con Stalin e il quarto reich dell’Esselunga. @Musica Agorà
iyezine.com/misophonia-working…
Misophonia - Working class blast beat
Misophonia: Una rissa musicale che diventa scontro aperto e si fa amare tantissimo.In Your Eyes ezine
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MAXI OPERAZIONE DEL ROS CONTRO IL TRAFFICO INTERNAZIONALE DI STUPEFACENTI DAL SUD AMERICA ALL’EUROPA. LA COCAINA MOVIMENTATA DA UN CARCERE ITALIANO GRAZIE ALL’UTILIZZO DI CRIPTOFONINI
[Il porto di Genova]
I fatti: il Ros dei carabinieri, supportato dai militari dell’Arma territoriale di #Genova, Como e Reggio Calabria, ha eseguito un’ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Genova su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia nei confronti di ventidue persone, tra cui uno di nazionalità dominicana, due di nazionalità colombiana, sette di nazionalità albanese. Sei degli indagati arrestati sono accusati di essere componenti di una associazione per delinquere, operativa dal 2014 a Genova, nonché a Panama, Colombia e Venezuela finalizzata alla importazione dall’America Latina di quantitativi di cocaina, che veniva caricata su navi dirette al porto di Genova, e, una volta recuperata, con la complicità di lavoratori operanti nello scalo portuale, rivenduta a terzi, oppure destinata ad altre organizzazioni criminali, grazie alla ricompensa con una percentuale (in denaro o in cocaina), intorno al 20% del prodotto importato, o con una somma equivalente, come corrispettivo per il recupero del carico in porto.
L’associazione per delinquere secondo gli investigatori era diretta da un soggetto che ha potuto disporre di una rete di contatti con organizzazioni di narcotrafficanti sudamericani. Anche dopo il suo arresto, avvenuto il 7 ottobre 2015 mentre cercava di recuperare un carico 148 chili di cocaina, in concorso con un latitante) questi, pur detenuto, comunicava con i complici per mezzo di criptofonini o di sistemi artigianali di comunicazione crittografata, continuando ad organizzare e finanziare per conto dell’organizzazione l’importazione di nuovi carichi di cocaina provenienti dalla Colombia e dalla Repubblica Dominicana, e destinati all’Italia, tramite il porto di Genova, l’aeroporto di Parigi, l’aeroporto di Amsterdam.
Il pagamento dello stupefacente era effettuato attraverso un metodo di interposizione consistente nella consegna del contante ad un intermediario in Italia, indicato dai fornitori, il quale si occupava della rimessa a questi ultimi, avvalendosi di canali extrabancari e consegnando ricevuta agli acquirenti.
Agli indagati vengono così contestati nove episodi di importazione di cocaina da Colombia, Repubblica Dominicana, Panama, per complessivi 670 kg e un valore commerciale di 25 milioni di euro, oltre a 38 episodi di detenzione e cessione di droga (per due di questi viene contestata l’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cp ed in particolare la finalità di agevolare l’attività di una cosca di #ndrangheta).
Agli indagati sono state sequestrate anche diverse armi, tra cui due pistole a tamburo Smith & Wesson mod. 686 cal. 357 magnum con canna da 4”, una bomba a mano M75; una pistola mitragliatrice Zastava mod. M56 cal. 7,62×25 mm (tokarev); due fucili d’assalto Zastava mod. M70 cal. 7,62×39 mm, riproduzioni del più noto AK-47 (Kalašnikov). pistole semiautomatiche Beretta cal. 9, un revolver marca Smith & Wesson cal. 38SP, pistole marca Colt mod. 1911 cal. 45 ACP e Beretta mod. 70 cal. 7,65.
I reati contestati sono stati commessi dal settembre 2014 a dicembre 2022. L’indagine ha beneficiato del contributo informativo di #Europol, che ha fornito le informazioni provenienti dalle indagini avviate dalle Autorità francesi su gruppi criminali che utilizzavano un sistema di comunicazione criptato denominato #EncroChat e alimentato il flusso informativo relativo ai dispositivi #SkyEcc e della collaborazione di #Eurojust che ha facilitato l’agevole e tempestiva acquisizione, tramite ordine di indagine europeo, di comunicazioni criptate sequestrate dalle Autorità francesi ed intercorse sulle piattaforme EncroChat e SkyEcc.
Per saperne di più su Encrochat leggi qui (in inglese): europol.europa.eu/media-press/…
Dismantling encrypted criminal EncroChat communications leads to over 6 500 arrests and close to EUR 900 million seized | Europol
The dismantling of EncroChat in 2020 sent shockwaves across OCGs in Europe and beyond. It helped to prevent violent attacks, attempted murders, corruption and large-scale drug transports, as well as obtain large-scale information on organised crime.Europol
Sebastian Bieniek
Sebastian Bieniek (classe 1975) è un regista tedesco, artista, drammaturgo e scrittore, nato a Czarnowasy (Polonia) si è poi trasferito in Germania, dove ancora oggi vive e lavora.
Europol report: Insistence on data retention contradicts the threats presented
Europol has published its Internet Organised Crime Assessment (IOCTA) (PDF). The report assesses the cybercrime landscape and describes how threads have changed over the last two years.
Patrick Breyer MEP (German Pirate Party / Greens/EFA) and digital freedom fighter, comments:
“Europol’s support for indiscriminate data retention does not reflect the facts. The agency’s report identifies real threats that can’t be addressed with data retention or any other means of blanket mass surveillance of all citizen’s communication data. It is time for Europol and the European Union in general to refocus on targeted investigations and strenghening civil society.”
Europol’s role in the “Going Dark” program (#EUGoingDark)
In the report the European Union’s law enforcement agency focuses on cybercrime-as-a-service, underground communities, criminal markets for stolen credentials and victim data as well as on fraud strategies.
As member of the High-Level Expert Group on access to data for effective law enforcement which is also know as the “Going Dark” program Europol is tasked to “contribute to integrating a law enforcement perspective, including privacy and data protection requirements, in all relevant EU policies and actions (‘security by design’)” and to “explore how security by design could be a standard requirement in the development of new technologies.” Most pressing “challenges” identified are: Encryption (access, en clair, to stored content and digital communication data), data retention of localisation data and roaming data, as well as anonymisation, including VPN and Darknets. (Council document 8281/23 data.consilium.europa.eu/doc/d…PDF)
Europol is a strong proponent of reintroducing provisions on the indiscriminate retention of citizen’s communications metadata such as IP addresses. In 2018 the agency was unsuccessful with a “Data Retention Matrix” – a proposal to introduce data retention in the European Union. (WK 3005/2018 INIT PDF)
Organised criminals can circumvent data retention – most law-abiding citizens cannot
According to the Internet Organised Crime Assessment Europol observes “a high level of specialisation inside criminal networks” and the agency faces the development that “[o]ffenders (…) mask their actions and identities as their knowledge of countermeasures increases.”
Patrick Breyer MEP comments:
“Europol’s report confirms the fact that blanket data retention is unsuitable for fighting organised crime because it can easily be circumvented, for example by using anonymisation services. What is needed instead of bulk storage of citizen’s communications meta data are fast, well equipped and targeted investigations.”
The role of Internet Service Providers
In the report, Europol presents Internet Service Providers as service providers for crimes: “Many Internet Service Providers (ISPs) frequently used by criminals do not engage in extensive customer monitoring practices such as Know-Your-Customer (KYC) procedures and storing of customer and metadata (e.g. IP address)”
Patrick Breyer MEP comments:
“Europol places Internet Service Providers under general suspicion and seems to expect them to violate privacy legislation. We have a right to use the Internet anonymously! Targeting ISP’s privacy policies is like generally blaming landlords for domestic violence.
The task and duty of Internet Service Providers in democracies is to enable citizens to communicate securely and confidentially.”
Child grooming
The report finds that “[c]hild sexual exploitation offenders make extensive use of social media to engage with their victims, interacting with them often behind a false identity. (…) Child sexual exploitation offenders groom victims in order to obtain sensitive information that can be then exploited for extortion purposes.”
Patrick Breyer MEP comments:
“In fact Europol’s report rightly underlines the need for better education and training of (potential) victims, especially children and teenagers. Instead of data retention and other means of mass surveillance, we need more competent and better equipped social workers, training young people on perpetrator strategies and how to defeat them, anonymous online counselling, awareness programs, privacy-friendly design of social media platforms and other measures that actually address the
problem.”
Prevent data theft
Addressing the economics of cybercrime Europol finds that “the central commodity of this illicit economy is stolen data”.
Patrick Breyer MEP comments:
“Europol’s report underlines the importance of privacy, anonymity and encryption to protect citizens from identity theft and other crimes. Bulk retention of personal data provokes hacks and leaks. Only data that is not being stored is secure data.”
Por el culo
youtube.com/watch?v=pyFRDd-XvR…
The Firebirds - Rockabilly Man
youtube.com/watch?v=r3k1CQidsd…
imolaoggi.it/2024/04/03/mattar…
In Cina e Asia – Scambio Xi-Biden: focus su Taiwan, Russia, e tecnologia
I titoli di oggi: Telefonata Xi-Biden, Washington: “Preoccupa la cooperazione con la Russia” Cina, round di visite dal Sud-Est asiatico per rafforzare i rapporti bilaterali nella regione “Sanzioni alla Cina danno per i G7”: il rapporto del think tank americano Myanmar, la Cina tiene due giorni di esercitazioni militari lungo il confine Corruzione, indagato l’ex ministro della Giustizia cinese Telefonata ...
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Arriva a Sigonella “Triton”, il maxi-drone Usa per sorvegliare Europa e Africa
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di Antonio Mazzeo
Pagine Esteri, 3 aprile 2024 – Nuovi maxi-droni a Sigonella per le operazioni di guerra USA in Europa orientale, in Medio Oriente e nel continente africano. La mattina di sabato 30 marzo è atterrato nella stazione aeronavale siciliana un velivolo senza pilota MQ-4C “Triton” di US Navy, nome in codice Triton16. Il volo del drone “multi-intelligence” attraverso l’Atlantico e il Mediterraneo occidentale è stato tracciato dagli analisti indipendenti di Itamilradar.
“Il Triton è giunto in Sicilia direttamente dalla base militare di Mayport (Florida), da dove era decollato il giorno prima alle 19.30, ora italiana”, riporta Itamilradar. “Si tratta del primo dislocamento di questo velivolo nell’area mediterranea e nei prossimi giorni si vedrà dove sarà impiegato e se in particolare effettuerà le stesse missioni che vengono svolte attualmente dai “Global Hawk” ospitati a Sigonella insieme ai droni “Reaper” di US Air Force e ai “Phoenix” del sistema AGS della NATO”. (1)
Il trasferimento in Sicilia del più grande e moderno aereo senza pilota delle forze armate USA arriva a meno di un mese di distanza dall’attivazione nella base siciliana di un distaccamento del VUP-19, lo squadrone speciale di US Navy che coordina le operazioni della nuova classe di droni d’intelligence, con quartier generale nelle Naval Air Station di Jacksonville e Mayport. L’arrivo dei militari del VUP-19 è stato celebrato a Sigonella con una cerimonia ufficiale il 2 marzo 2024, congiuntamente all’inaugurazione del nuovo hangar destinato alle attività di manutenzione e riparazione degli MQ-4C “Triton”. Presenti per l’occasione pure il contrammiraglio Adam Kijek (comandante del Gruppo di pattugliamento e riconoscimento di US Navy) e il viceammiraglio Daniel “Undra” Cheever (comandante delle forze aeronavali della Flotta USA per il Pacifico).
“Questa cerimonia è la dimostrazione che l’Aviazione della Marina militare prosegue negli sforzi di sviluppare nuovi concetti e nuove tecnologie e di integrarli efficacemente nella Flotta navale”, ha dichiarato il viceammiraglio Cheever. “L’MQ-4C Triton sarà una piattaforma fondamentale per il futuro programma di pattugliamento e riconoscimento, con una tecnologia avanzata per il combattimento e per schierare più giocatori in campo”.
Ancora maggiore enfasi è stata espressa dal comandante in capo di NAS Sigonella, il capitano Aaron Shoemaker. “Siamo felici di avere il VUP-19 sul ponte e guardiamo avanti per supportare lo squadrone che rafforzerà le capacità e la rapidità della VI Flotta USA nella sua aerea operativa”, ha spiegato l’ufficiale statunitense. “L’aggiunta del Triton alle funzioni dei sistemi senza pilota di Sigonella è anche una vittoria strategica perché aumenta le capacità dei nostri pattugliatori navali P-8 Poseidon nello svolgere le attività di intelligence, sorveglianza, riconoscimento e targeting in una vasta aerea”. Il capitano Aaron Shoemaker ha infine ricordato il ruolo fondamentale della base siciliana negli scenari di guerra internazionali. “La Naval Air Station di Sigonella assicura il comando e il controllo operativo e il supporto amministrativo e logistico alle forze armate USA e di altri paesi NATO”, ha dichiarato. “La localizzazione strategica di questa installazione militare consente alle forze armate statunitensi e a quelle alleate e partner di operare e rispondere nel modo più appropriato, assicurando la sicurezza e la stabilità in Europa, Africa e nell’area sotto il Comando Centrale USA”. (2)
Una dettagliata descrizione di quelle che saranno le future funzioni operative del drone MQ-4C “Triton” schierato a Sigonella è stata fatta dalla testata specializzata destinata alle forze armate USA, Stars and Stripes. Secondo l’analista-corrispondente Alsion Bath, grazie al nuovo velivolo senza pilota la Marina USA rafforza la sua presenza di “sorveglianza da elevate altitudini” nel continente europeo e in quello africano. “Progettato per complementare il pattugliatore P-8 Poseidon, il Triton può condurre operazioni multi-intelligence così come supportare i centri di telecomunicazione e di ricerca e soccorso”, scrive Bath. “US Navy non ha fatto sapere il numero di addetti assegnati al distaccamento di Sigonella e quanti droni saranno operativi dalla base. Ma con la guerra in Ucraina, le minacce della Russia nel Mari Baltico e gli impatti della guerra tra Israele e Hamas nel Mediterraneo orientale, c’è una maggiore attenzione nel teatro europeo, come non accadeva dalla fine della Guerra fredda. Inoltre, US Navy è partner delle nazioni africane nella lotta contro le milizie estremiste e per proteggere le vie marittime. L’area delle operazioni delle forze navali USA per l’Europa e l’Africa e della VI Flotta copre metà dell’Oceano Atlantico, dall’Oceano Artico alla costa degli Stati Uniti d’America, inclusa tutta l’Europa e la Russia e buona parte dell’Africa”. (3) La Sicilia e Sigonella piattaforme dei droni di guerra a tutto campo, dunque, mentre l’umanità è a un passo dallo scoppio di una Terza guerra mondiale, globale e totale.
Un “gioiello” di guerra targato Nortrop Grumman
Il drone MQ-4C “Triton” è un velivolo a lungo raggio a pilotaggio remoto, basato sulla piattaforma dell’RQ-4 Global Hawk, versione “Block 20”, prodotto dall’industria aerospaziale statunitense Nortrop Grumman. In particolare, rispetto alla versione “madre” entrata in funzione con l’US Air Force, il nuovo drone monta una struttura alare rinforzata per operare in condizioni meteorologiche avverse e resistere maggiormente alla grandine, all’impatto con i volatili, ai fulmini e al ghiaccio.
Lungo 14,5 metri e con un’apertura alare di 39,9, il “Triton” potrà operare entro un raggio di 2.000 miglia nautiche dalla base di decollo, a un’altitudine massima di 18.288 metri e una velocità di crociera di 575 km/h. Il velivolo godrà di un’autonomia di volo tra le 24 e le 30 ore consecutive. Nel corso di una sola missione i sofisticati sensori di bordo dovrebbero rilevare, classificare e tracciare obiettivi marittimi operanti in profondità monitorando fino ad una superficie di quattro milioni di miglia nautiche. Ad oggi, Nortrop Grumman ha consegnato alla Marina militare degli Stati Uniti d’America cinque velivoli senza pilota “Triton”.
L’MQ-4C è stato sviluppato nell’ambito del cosiddetto programma BAMS (Broad Area Maritime Surveillance) con cui US Navy punta a rafforzare la propria superiorità strategica nello svolgimento di missioni prolungate d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento (ISR) su vaste regioni oceaniche e costiere, per localizzare e intercettare unità navali di superficie e sottomarini “potenzialmente ostili”. Più specificatamente, il sistema BAMS è stato concepito per “sviluppare le capacità di raccolta e trasmissione delle informazioni a utenti operativi e tattici” (sottomarini a capacità e propulsione nucleare, portaerei, gruppi di volo, ecc.), operando in stretto collegamento con il Global Information Grid (GIG), il network informativo del Pentagono. (4)
Il programma di progettazione e produzione del “Triton” è stato avviato da Nortrop Grumman nel 2010 e tre anni più tardi è stato costituito lo squadrone VUP-19 di US Navy. Il primo test di volo del nuovo drone è stato effettuato il 18 settembre 2014: il prototipo navigò a 15.000 metri d’altitudine per undici ore consecutive dallo stabilimento Northrop Grumman di Palmdale, California fino alla stazione aeronavale di Patuxent River, Maryland, distante 6.090 km, seguendo una rotta prefissata sulla frontiera tra Stati Uniti e Messico.
Nonostante il Naval Air Systems Command (NAVAIR) degli Stati Uniti d’America avesse assicurato che la capacità operativa iniziale del sistema a pilotaggio remoto sarebbe stata raggiunta entro il 2017, a causa di alcuni problemi tecnici e progettuali, L’MQ-4C poté essere impiegato sperimentalmente solo a partire del maggio 2020. Successivamente due esemplari furono dislocati nella base aerea “Andersen” a Guam (la più grande isola della Micronesia) per operare a supporto della VII flotta aeronavale USA nell’Indo-Pacifico. (5)
Per la certificazione di “avvenuto raggiungimento della capacità operativa iniziale” da parte dell’MQ-4C “Triton” si è dovuto attendere invece il 15 settembre 2023. “Da oggi i comandanti saranno in grado di sfruttare appieno la potente suite di sensori di Triton per rilevare e scoraggiare potenziali avversari in tutto il mondo”, ha dichiarato Rho Cauley Bruner, direttore del programma “Triton” di Northrop Grumman, senza però spiegare le ragioni del ritardo accumulato in questi anni. (6)
Non è andata meglio a Sigonella: la scelta dell’installazione siciliana come FOB – Forward Operation Base (base operativa avanzata) del sistema aereo senza pilota MQ-4C “Triton” era stata formalizzata dal Dipartimento della difesa USA il 2 febbraio 2014 con la richiesta al Congresso di autorizzare per l’anno fiscale 2016 la spesa di 102.943.000 dollari per costruire a NAS Sigonella gli hangar e una serie di infrastrutture di supporto per i nuovi velivoli senza pilota e per i pattugliatori P-8A “Poseidon”. Al tempo si prefigurò il completamento delle opere nel luglio 2018 e l’arrivo dei primi droni entro il giugno 2019.
Il programma “Triton” ha visto la costruzione a Sigonella di un hangar in acciaio a quattro scomparti per il ricovero dei velivoli (superficie 6.626 m2); una struttura d’appoggio con relativi spazi amministrativi e di manutenzione; un magazzino di 638 m2 per lo stoccaccio delle attrezzature; un’area per lo stazionamento dei droni direttamente connessa con il parcheggio e le piste di volo; una facility adiacente all’hangar che ospita i sistemi di comando e controllo dei droni; una torre radar e telecomunicazioni. (7)
Note
- itamilradar.com/2024/03/30/une…2
- https://www.dvidshub.net/news/465187/vup-19-welcomed-nas-sigonella-celebrates-new-mq-4c-triton-hanga3
- stripes.com/branches/navy/2024…4
- antoniomazzeoblog.blogspot.com…5
- seapowermagazine.org/navy-scal…6
- aviation-report.com/drone-mq-4…
- agoravox.it/Grandi-opere-a-Sig…
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Kim Jong-un complica "l’amicizia senza limiti” tra Cina e Russia
Il 28 marzo la Russia ha posto il veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu decretando lo scioglimento del gruppo di esperti incaricato di monitorare il rispetto delle sanzioni internazionali comminate alla Corea del Nord. La Cina è stata l’unico paese ad astenersi dal voto. Cautela che dimostra la complessità del rapporto con Pyongyang Il 28 marzo la Russia ha posto ...
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You Can Now Follow President Biden on the Fediverse
In a surprising first, Joe Biden’s social media team enabled Fediverse integration on his Threads account today. For now, the integration is a minor gesture, as it’s only a one-way connection from Threads to the Fediverse.
As viewed from Mastodon.
That being said, the implications make for a pretty big deal: Joe Biden is the first US President to federate with the rest of the network. Even though Donald Trump is on Truth Social, which is based on Mastodon, the backend has never actually federated with another server.
You can follow President Biden and the White House below:
- President Biden: @potus
- White House: @whitehouse
Government Fedi
Over the last few years, a number of governments and officials looked to the Fediverse as the base of their online social presence. The European Union notably offers official Mastodon and PeerTube servers for followers to connect with, and the Dutch government officially uses Mastodon as well.
People familiar with the RSS publishing format may find it helpful to think of Fediverse as “Really Simple Social Syndication”. Similar to RSS an agency can publish subscribable feeds, but with the added bonus of social interaction with citizens and stakeholders.In effect, this combines the deliverability and reach of email with the personalisation and device-alerting capabilities of social media apps.
IFTAS
Some organizations, such as IFTAS, have begun advocating towards governments currently on Twitter, Instagram, and Facebook to move over. It’s still an emerging part of the network, and definitely will take some time for more organizations to set foot over here. Still, it’s a promising development and will hopefully get more public officials to think about connecting to the Fediverse.
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GAZA. Raid aereo uccide 7 operatori umanitari della World Central Kitchen
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AGGIORNAMENTI
ORE 14.30
Netanyahu ammette responsabilità Israele: abbiamo colpito involontariamente operatori Wck
Per il premier israeliano Netanyahu l’uccisione dei sette operatori umanitari della Ong World Central Kitchen sarebbe stato un “tragico caso”. “E’ stato un tragico caso in cui le nostre forze hanno colpito senza intenzione gente innocente”, ha detto, “Questo succede in guerra e apriremo un’indagine. Siamo in contatto con i governi coinvolti e faremo di tutto per assicurare che questo non accada più”.
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della redazione
Pagine Esteri, 2 aprile 2024 – Un bombardamento aereo ha ucciso nella notte 7 operatori umanitari, 6 stranieri e un palestinese, della Ong ispano-americana World Central Kitchen che si occupa della distribuzione di cibo e pasti alla popolazione civile di Gaza. L’attacco è avvenuto poche ore dopo che il gruppo aveva ricevuto un nuovo carico di cibo lungo la rotta marittima tra Cipro e Gaza (Operazione Safeena).
Due dei volontari uccisi dal raid aereo
I corpi delle vittime sono stati portati all’ospedale Al Aqsa di Deir Al Balah. Un filmato in rete mostra i corpi di alcuni dei morti che indossano giubbotti antiproiettile con il logo dell’organizzazione benefica. Israele in tarda mattinata ha riconosciuto ufficialmente la sua responsabilità. Il portavoce militare ha comunicato che “sono in corso indagini sul tragico incidente”.
“Questa è una tragedia. Gli operatori umanitari e i civili non dovrebbero mai essere un bersaglio. Mai!”, ha detto in una nota la portavoce della WCK, Linda Roth.
Mahmoud Thabet, un paramedico della Mezzaluna Rossa palestinese che faceva parte della squadra di soccorso che ha portato i corpi all’ospedale, ha detto all’Associated Press che i volontari erano in un convoglio di tre auto che era stato nel nord per organizzare la distribuzione degli aiuti appena arrivati via mare e che stava tornando a Rafah, nel sud. La WCK opera i suoi spostamenti in costante coordinamento con le autorità militari israeliane.
Tre navi umanitarie organizzate dalla WCK e dagli Emirati provenienti da Cipro sono arrivate ieri a Gaza con 400 tonnellate di cibo e generi di prima necessità. Si tratta della seconda spedizione ricevuta dalla Ong, fondata dallo chef Josè Andrès.
“Questa è una tragedia umana che non sarebbe mai dovuta accadere, è del tutto inaccettabile e l’Australia cercherà di assumersi le proprie responsabilità”, ha commentato il primo ministro australiano Anthony Albanese in una conferenza stampa. Albanese ha affermato che i civili innocenti e coloro che svolgono attività umanitaria devono essere protetti e ha ribadito la sua richiesta per un cessate il fuoco a Gaza insieme a maggiori aiuti per coloro che soffrono di “enormi privazioni”.
Gli Stati Uniti hanno chiesto a Israele di indagare rapidamente sull’accaduto. Pagine Esteri
Leggi il comunicato diffuso dalla World Central Kitchen
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Tigray, la minoranza etnica di Irob è ancora sotto occupazione eritrea
In Tigray, stato regionale del’ Etiopia settentrionale, ai confini con l’Eritrea, tra il novembre 2020 e il novembre 2022 si è combattuto una guerra genocida in cui le stime parlano di 800.000 persone di origini tigrine uccise, 120.000 donne di ogni età e ceto sociale stuprate come arma di guerra, distruzione e saccheggi. Nel novembre 2022 viene firmato l’accordo di cessazione ostilità a Pretoria tra governo etiope e membri del TPLF – Tigray People’s Liberation Front.
Un video scioccante (segue traduzione testuale in italiano) proveniente dal distretto #Irob violentemente occupato, Zona Orientale del Tigray , conferma solo ciò che già sappiamo: il regime eritreo sta imponendo una falsa identità eritrea agli residenti della minoranza etnica di Irob con la negazione degli aiuti e dei servizi essenziali e minacciando costrizione al servizio militare nazionale obbligatorio in Eritrea (noto come programma di schiavitù a tempo indeterminato) poiché territori annessi con la forza all’Eritrea. Il video è stato girato in una località chiamata Alakalo, presso Masi-Dage (scuola media) ad Adgadi-Are/Edalgeda (sottodistretto settentrionale di Irob).
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Ecco la traduzione del video in tigrino:
“Come eritrei, anche voi dovete sostenere la lotta degli eritrei e del governo eritreo. Siamo tutti eritrei; non c’è distinzione tra te e noi.Tutti gli eritrei devono sapere che il governo eritreo è stato costretto ad affrontare la lotta e la sofferenza che sta affrontando; non aveva alcun desiderio di prendervi parte.
Weyane (TPLF – Tigray People’s Liberation Front) è un agente; non ha la forza di sfidare il governo eritreo. Sia nel passato (guerra etio-eritrea 1998/2000) che nel presente, sta eseguendo gli ordini di altre forze che lo sostengono.
La lotta del popolo e del governo dell’Eritrea è anche la vostra lotta. Dovresti esserne orgoglioso. Dovresti capire che il governo eritreo sta vincendo sopportando tutte le sanzioni e le sfide non contro il TPLF ma contro il mondo.
Dovresti esserne orgoglioso se sei eritreo.
Un uomo anziano ha detto: “Noi (il popolo di Irob) ci siamo abituati alla democrazia illimitata sotto la guida del TPLF. Ora ci stai dicendo che siamo sotto la tua amministrazione. Ma non sarai in grado di tollerare i nostri modi”.
Questo discorso è ciò che continua ad essere propagato. Quando camminiamo su questa terra di martiri, la camminiamo dolcemente. Ma ciò che sta arrivando da questo lato (TPLF) è davvero spregevole. Siete persone. Ma questo è territorio eritreo. Se siete eritrei dovete difendervi da ciò che arriva dall’altra parte e collaborare con l’esercito eritreo.Ciò che viene riferito è che non c’è nessuno dell’Irob che fornisca informazioni o collabori con l’esercito eritreo. Lo indagheremo.
Inoltre si dice che gli Irob, pur considerandosi eritrei, hanno dei disaccordi con il governo eritreo per quanto riguarda gli aiuti umanitari e il servizio nazionale. Ma se siete eritrei, che vi piaccia o no, dovrete affrontare le cose che ogni eritreo sperimenta.
Durante la lotta armata, i combattenti che si sono uniti alla lotta eritrea da Irob hanno compiuto il loro dovere nazionale e sono stati martirizzati. Sebbene, durante la guerra, la terra (di Irob) possa, in momenti diversi, essere passata di mano tra l’Eritrea e il TPLF, voi sapete che i vostri figli e fratelli hanno pagato sacrifici per l’Eritrea durante la lotta armata.
Se c’è qualcuno che crede di essere etiope, il governo eritreo non costringerà nessuno a rimanere qui. Ma questo territorio appartiene all’Eritrea. E gli eritrei risiedono sul territorio eritreo. E gli eritrei devono rispettare il dominio eritreo come gli altri popoli (eritrei). Se c’è la carestia, dovresti morire di fame come tutti gli altri. Se arrivano alcuni chicchi, li dividi con loro e vivi così. Non ci sarà alcuna preferenza.
Per quanto riguarda la sicurezza in particolare, ha prevalso l’illegalità. Vengono da Adigrat e qui trascorrono la notte; partono da qui e trascorrono la notte a Senafe. E tu non ci riferisci questo. A meno che tu non fornisca informazioni, il servizio sociale che hai richiesto non verrà fornito. Se difendete la vostra Patria (Eritrea) e il vostro territorio, vi sarà fornito un servizio sociale adeguato perché potrà continuare a preservare la sua pace. Se non collabori, però, le tue richieste non verranno soddisfatte. Quindi, chi soffrirà? Sei tu che soffrirai.
Ognuno deve mettere in sicurezza il proprio territorio. Se assistono a un movimento inappropriato (devi segnalarlo). Operatori sanitari e soldati, che non sono originari di questa zona, sono di stanza qui per 24 ore lasciando dietro di sé la famiglia e il matrimonio. Questo per soddisfare le vostre esigenze di salute e sicurezza.
Sono i nativi che conoscono i punti attraverso i quali i nemici potrebbero intrufolarsi. Anche se un’intera brigata dovesse essere schierata qui, senza la vostra collaborazione, non sarebbe possibile portare a termine il lavoro.
Anche se tuo fratello dovesse venire da Adigrat, qualunque sia lo scopo della sua visita, devi segnalarlo all’organismo competente. Non verrà giustiziato o ferito. Verrà indagato e trattato solo in conformità con lo scopo della visita.Se vai ad Adigrat per ricevere aiuti e fornire informazioni riservate ma ritorni qui e quando ti viene richiesto di fornire informazioni su ciò che hai visto lì, dici di non aver visto nulla, la tua [non udibile/fedeltà?] è con il TPLF.
Non c’è differenza tra te e noi. Siete eritrei. Vi trattiamo come gli eritrei ad Adi-Kuala e Senafe, soprattutto da quando è stata istituita l’amministrazione. Ma bisogna rispettare le regole del Paese”
NOTA: Alakalo è lo stesso luogo in cui nell’aprile 2017 la fondazione italiana Butterfly aveva finanziato ed inaugurato un pozzo per l’acqua per la comunità locale di Irob.
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FONTE: twitter.com/IrobAnina/status/1…
The Brightest Room - Omonimo
Nel caso dei Brightest Room, dei quali ho avuto la fortuna di seguire la crescita artistica, si può, con cognizione di causa, parlare di questo nuovo lavoro come quello della completa maturità. I nostri non sono certamente dei novellini e nei dieci pezzi di Brightest Room dimostrano di aver ascoltato tanta musica e di averla assimilata e fatta propria nel migliore dei modi.
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Alan Raul, Founder of Sidley Austin’s Privacy and Cybersecurity Law Practice Elected FPF’s New Board President
FPF Founder Christopher Wolf and Board Chair steps down after 15 years of service
FPF is pleased to announce Alan Raul, former Vice Chairman of the Privacy and Civil Liberties Oversight Board, has been elected to serve as President and Chair of the organization’s Board of Directors. Raul succeeds Christopher Wolf, founding Board President and founder of FPF, who is stepping down after a foundational and impactful tenure spanning 15 years.
Wolf, a pioneer in Internet and privacy law, is Senior Counsel Emeritus of Hogan Lovells’ top-ranked Privacy and Cybersecurity practice. As a leading attorney with the firm, he co-founded and led the development of the practice for over a decade, advising and shaping the thinking of Internet free speech, hate speech, and the parameters of government access to stored information. Wolf will continue as a member of FPF’s Board of Directors throughout this year before stepping down.
“In 2008, when I founded the Future of Privacy Forum, our vision was that it would be a place where we could advance the responsible use of data while respecting individual privacy,” Wolf said. “We believed that if dedicated technologists, policymakers, industry groups, and advocates focused on advancing privacy in a manner that businesses can achieve, we could strike a balance between consumer privacy and personalization that enables greater innovation for all.”
FPF flourished under Wolf’s guidance, becoming instrumental in steering collaborative and innovative efforts to address the complexity of the data-driven world. The organization regularly publishes substantive policy papers and reports tracking and analyzing data protection developments in different jurisdictions worldwide. Since launching, FPF has expanded its offices to Europe, Tel Aviv, and the Asia Pacific region and convened numerous international events, including the Brussels Privacy Symposium, now in its 7th year and first annual Japan Privacy Symposium.
Wolf’s dedication has not only set a high benchmark for leadership but also has helped regulators, policymakers, and staff at data protection authorities better understand the technologies at the forefront of data protection law. FPF will honor and celebrate Wolf’s contributions to the privacy sector and FPF during his tenure at their 2024 Advisory Board Meeting’s Opening Night Reception on June 5.
“In my experience in leading privacy and cybersecurity law and research, I’ve come to recognize the qualities that make a dedicated privacy trailblazer,” Wolf said. “Alan Raul shares my commitment to fostering a thriving, diverse privacy landscape that advances responsible data practices and technological innovation. His values align with the needs of FPF, and I am confident
he will work tirelessly with integrity and dedication to build on the successes of recent years and take on new challenges.
Raul has served on FPF’s board for eight years and is the founder and, for 25 years, the leader of Sidley Austin LLP’s highly-ranked Privacy and Cybersecurity Law practice. He is currently Senior Counsel at Sidley. Raul brings his breadth of knowledge in global data protection and compliance programs, cybersecurity, artificial intelligence, national security, and Internet law. He is also currently a member of the Technology Litigation Advisory Committee of the U.S. Chamber of Commerce Litigation Center. Raul is also a Lecturer in Law at Harvard Law School, where he teaches Digital Governance and Cybersecurity.
“I’m thrilled to take on this role and continue working to advance responsible data practices and safeguard individual privacy rights,” Raul said. “By leveraging my experience in advising global compliance programs and navigating complex regulatory landscapes, I hope I can contribute meaningful insights to the Board of Directors and effectively guide the direction of FPF’s work as we continue to grow globally as well as meet the new challenges and opportunities in the era of Artificial Intelligence.”
Olivier Sylvain and George Little also join FPF’s Board of Directors as two new members to serve. Sylvain is a Professor of Law at Fordham University and a Senior Policy Research Fellow at Columbia University’s Knight First Amendment Institute, where his research has focused on information and communications law and policy. Sylvain served as Senior Advisor to the Chair of the Federal Trade Commission from 2021 to 2023. Little is a partner at the Brunswick Group specializing in crisis communications, cybersecurity, reputational, and public affairs matters. Little co-chairs the firm’s Global Cybersecurity, Data & Privacy Practice, pulling from his experience working in the highest levels of the national security and defense community and the private sector.
Sylvain and Little join the ranks of recently named board members, including Tom Moore, recently retired as AT&T’s chief privacy officer; Jane Horvath, partner at Gibson, Dunn & Crutcher, LLP and former Chief Privacy Officer of Apple; and Theodore Christakis, Professor of International, European and Digital Law at University Grenoble Alpes (France), Director of the Centre for International Security and European Law (CESICE), and Director of Research for Europe with the Cross-Border Data Forum. FPF’s distinguished new Directors join other privacy luminaries on our Board of Directors – namely, Anita Allen, Debra Berlin, Danielle Citron, Mary Culnan, David Hoffman, Agnes Bundy Scanlan, and Dale Skivington.
“It’s been a pleasure getting to work with Chris Wolf and seeing the vision we had for FPF as a hub for privacy education and research develop over the years and grow into the leading institution it is today,” said Jules Polonetsky, CEO of FPF. “I am confident in Alan’s ability to lead the board to greater heights and continue informing the organization’s future work.”
Composed of leaders from industry, academia, and civil society, the input of FPF’s Board of Directors ensures that FPF’s work is expert-driven and independent of any stakeholders.
About Future of Privacy Forum (FPF)
The Future of Privacy Forum (FPF) is a global non-profit organization that brings together academics, civil society, government officials, and industry to evaluate the societal, policy, and legal implications of data use, identify the risks and develop appropriate protections. FPF believes technology and data can benefit society and improve lives if the right laws, policies, and rules are in place. FPF has offices in Washington D.C., Brussels, Singapore, and Tel Aviv. Follow FPF on X and LinkedIn.
Full chat control proposal leaked: attack on digital privacy of correspondence and secure encryption
The French news service contexte.com has today published the latest Belgian Presidency’s proposal for introducing indiscriminate chat control scanning of private messages for illegal content. The proposal covers the entire regulation and is therefore ready for endorsement. The proposal is to be discussed tomorrow in a Council law enforcement working party. The political points of contention will then be decided in COREPER in order to adopt the position by June.
The leaked proposal shows that the core of the EU Commission’s extreme initial proposal is to be retained unchanged, warns MEP and most prominent opponent of chat control Patrick Breyer (Pirate Party):
“As the Council’s legal service has confirmed, the latest move does not change the nature of detection orders. Millions of private chats and private photos of law-abiding citizens are to be searched and leaked using flawed technology, without them being even remotely connected to child sexual abuse – this destroys our digital privacy of correspondence. Despite lip service being paid to encryption, client-side scanning is to be used to undermine previously secure end-to-end encryption in order to turn our smartphones into spies – this destroys secure encryption.
Now is the time to take to the barricades in favour of privacy and secure encryption, because EU governments that have been critical so far are praising the repackaged plans, which means that the blocking minority no longer stands. Not even a written opinion of the Council’s legal service on this obvious violation of fundamental rights has been requested, it seems.
If the EU governments actually go into trilogue negotiations with this radical position, experience shows that the Parliament risks gradually abandoning its initial position behind closed doors and agreeing to bad and dangerous compromises that fundamentally put our online security at risk.”
In detail Breyer criticises the proposed text as follows: „Limiting bulk chat searches to ‘high-risk services’ is meaningless because every communication service is misused also for sharing illegal images and therefore has an imminently high risk of abuse. Ireland – one of the strongest proponents of chat control – would be classifying the major services. In any case, the service used is no justification for searching the private chats of millions of citizens who are not even remotely connected to any wrongdoing.
Informing law enforcement only of repeat hits is also meaningless, as falsely flagged beach pictures or consensual sexting rarely involve just a single photo. The EU Commissioner for Home Affairs has herself herself stated that three out of four of the disclosed chats and photos are not actionable for the police. These algorithms and hash databases are totally unreliable in distinguishing legal from illegal content.”
Breyer’s information portal and document archive on the proposal: chatcontrol.eu
ISRAELE. Knesset approva legge per chiudere al Jazeera. L’emittente: “è un attacco alla libertà di stampa”
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della redazione
Pagine Esteri, 2 aprile 2024 – Benyamin Netanyahu è pronto a mettere al bando l’emittente televisiva qatariota al Jazeera, dopo l’approvazione da parte della Knesset di un provvedimento che gli concede il potere di bloccarne le trasmissioni nel Paese. “Al Jazeera” secondo il premier israeliano è un “canale terrorista” che istigherebbe “all’odio”.
Il provvedimento ieri è stato approvato con 71 voti a favore e dieci contrari. I media israeliani hanno riferito che il primo ministro aveva richiesto che la legge venisse approvata in tempi rapidi per poter chiudere subito le trasmissioni dell’emittente panaraba.
Le relazioni tra Israele e “al Jazeera” sono peggiorate due anni fa, quando una corrispondente palestinese con passaporto statunitense dell’emittente televisiva, Shireen Abu Akleh, è uccisa durante una operazione militare israeliana in Cisgiordania.
Al Jazeera ha replicato denunciando quella che ha definito come una “campagna frenetica” di Netanyahu, fatta, afferma l’emittente, di bugie “pericolose” e “ridicole”. “Netanyahu non è riuscito a trovare alcuna giustificazione da offrire al mondo per i suoi continui attacchi ad Al Jazeera e alla libertà di stampa se non quella di presentare nuove bugie e calunnie incendiarie contro la rete e i diritti dei suoi dipendenti”, scrive la redazione di Al Jazeera in un comunicato. La testata giornalistica con sede a Doha ha accusato Netanyahu di “calunnie incendiarie contro la rete e i diritti dei suoi dipendenti”.
“Al Jazeera ribadisce che tali accuse diffamatorie non ci impediranno di continuare la nostra copertura coraggiosa e professionale, e si riserva il diritto di perseguire ogni passo legale”, ha affermato, aggiungendo di ritenere il primo ministro israeliano responsabile della sicurezza del suo staff e della sicurezza del suo personale nel mondo “a seguito della sua istigazione con false accuse”.
La portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha detto che la mossa israeliana per chiudere Al Jazeera è “preoccupante”. “Gli Stati Uniti sostengono il lavoro di fondamentale importanza dei giornalisti in tutto il mondo e questo include coloro che riferiscono del conflitto a Gaza”, ha detto Jean-Pierre. Pagine Esteri
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Per la resurrezione non temiamo il futuro
Invece è la potenza di Dio in azione, che ci mostra come Egli non sia dalla parte dei poteri di morte di questo mondo, che Egli è veramente il Creatore e sostenitore di questo Creato.
Ecco, è la resurrezione di Gesù Cristo che apre al futuro, all’azione, al non rassegnarsi, ad aprire una pagina nuova anche in questo tempo così caotico e senza buone prospettive. E dunque noi annunciamo il Vivente, Colui che era che è e che viene, per parlare di speranza a chi teme il futuro, di giustizia a chi soffre l’ingiustizia, per annunciare verità e vita a chi è nella sofferenza e nel dolore.
pastore D'Archino - Per la resurrezione non temiamo il futuro
Il testo della predicazione di questa domenica di Pasqua, non riguarda direttamente la resurrezione, ma la potenza di vita del nostro Signore. Si trova nell’Antico Testamento in I Samuele. Vi è Ann…pastore D'Archino
Amministrative in Turchia, sconfitta storica per Erdogan
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di Redazione
Pagine Esteri, 2 aprile 2024 – Alle elezioni amministrativedi domenica non solo il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan non è riuscito a recuperare il governo delle principali città della Turchia, che aveva perso nel 2019, ma ha subito una cocente sconfitta che potrebbe avere ripercussioni sullo scenario politico generale. Il sostegno per il Partito Giustizia e Diritto (Akp) infatti è precipitato ai minimi storici.
I candidati delle opposizioni guidate dal Partito Repubblicano del Popolo (Chp) hanno mantenuto Istanbul, Ankara, Smirne, Adana e Antalya, le cinque principali città della Turchia, rafforzando il proprio vantaggio sui nazionalisti islamisti di Erdogan.
Mentre nel 2019 il candidato repubblicano Ekrem Imamoglu aveva ottenuto la poltrona di sindaco di Istanbul dovendo però fare i conti con un consiglio comunale dominato dall’Akp e dai suoi alleati di estrema destra, domenica il Chp e i suoi alleati (la destra moderata dell’Iyi Parti) hanno ottenuto la maggioranza in ben 26 dei 39 distretti della metropoli contro i 14 di cinque anni fa.
La netta vittoria di Imamoglu incorona il sindaco di Istanbul a fidante principale del candidato dell’Akp alle prossime elezioni presidenziali; non è chiaro al momento se sarà Erdogan, che alcune settimane fa aveva sibillinamente avvisato che quelle di domenica scorsa sarebbero state le sue “ultime elezioni”.
Per la prima volta i repubblicani, tradizionalmente forti nelle città del Mediterraneo e dell’Egeo, hanno espugnato anche storiche roccaforti conservatrici e islamiste come Bursa e Adiyaman, nell’Anatolia, nelle aree duramente colpite dal tremendo terremoto del 2023. Le opposizioni hanno conquistato alcuni distretti anche in bastioni della destra islamista e nazionalista come Trabzon e Rize, sulla costa del Mar Nero.
La sconfitta di Erdogan è tale che, considerando il dato generale, il suo partito, per la prima volta dopo decenni, è arrivato dietro ai repubblicani. Mentre il Chp ha ottenuto il 37,7% gli islamo-nazionalisti dell’Akp hanno preso soltanto il 35,4%, uno dei risultati peggiori della sua storia.
Alle urne si è recato, secondo il Consiglio Elettorale del paese, il 78,7% degli aventi diritto, in calo rispetto all’84,6% del 2019 e soprattutto rispetto alle presidenziali del 2023, quando a votare era stato il 90% del corpo elettorale.
Il Partito Giustizia e Diritto ha perso voti verso l’astensione e a favore di altre formazioni politiche sia di destra sia progressiste.
Spicca soprattutto il 6,2% ottenuto dal partito islamico Yenideh Refah (“Nuovo welfare”), fondato nel 2018 dal figlio dello storico leader islamista conservatore Necmettin Erbakan, inizialmente mentore dell’allora giovane e rampante Erdogan. Yenideh Refah ha scalzato l’Akp dai suoi bastioni di Urfa e Yozgat e sottratto molti voti nei distretti più conservatori di Istanbul – come ad esempio Uskudar – consentendo ai repubblicani di scavalcare l’Akp.
Il leader della formazione, Fatih Erbakan, ha attaccato il partito di Erdogan e il governo soprattutto per non aver fatto seguire atti concreti, come l’interruzione dei flussi commerciali con Israele, alle formali condanne emesse da Ankara nei confronti dello “stato ebraico” responsabile del massacro in corso a Gaza.
In alcuni casi l’Akp ha perso voti anche a favore dell’estrema destra nazionalista dell’Mhp (erede dei Lupi Grigi), che stavolta in alcuni distretti ha deciso di presentarsi da solo.
Il partito progressista che rappresenta il movimento curdo per l’autodeterminazione ed alcune formazioni turche ecologiste e di sinistra, il DEM, ha ottenuto un buon risultato nella maggior parte dei distretti a maggioranza curda, aumentando il numero dei consensi, dei sindaci e delle province conquistate rispetto al 2019. – Pagine Esteri
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❄️ freezr ❄️
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •io penso che tutti gli enti pubblici dovrebbero togliersi da tutte le piattaforme privative e usare esclusivamente il fediverso come sistema di comunicazione diretta, oltre ad offrire il servizio ai cittadini, con tutte le restrizioni che comporta.
Allo stesso modo esorterei tutti i politici a non usare le piattaforme privative per fare annunci istituzionali o politici.
E inviterei gli stessi partiti ad aprire i loro server e a togliersi dalle varie piattaforme privative.
Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ likes this.