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Il liberalismo morale di Luigi Einaudi


Più che celebrare è opportuno ricordare Luigi Einaudi a 150 anni esatti dalla sua nascita. Qualsiasi celebrazione, infatti, corre il rischio di virare verso la retorica, retorica che per indole e per carattere erano quanto di più lontano dalla personalità

Più che celebrare è opportuno ricordare Luigi Einaudi a 150 anni esatti dalla sua nascita. Qualsiasi celebrazione, infatti, corre il rischio di virare verso la retorica, retorica che per indole e per carattere erano quanto di più lontano dalla personalità Einaudi.

Le molte vite di Einaudi si sono intrecciate sino alla sua morte: continuò ad esser un professore sia quando ebbe la guida del Ministero del Bilancio, sia quando divenne Governatore della Banca d’Italia e, infine, quando divenne, lui monarchico, Presidente della neonata Repubblica.

In ciascuna di queste attività, così come prima nell’insegnamento e nella continua opera di divulgazione che condusse da pubblicista, mantenne sempre fede al suo orientamento liberale in politica e liberista in economia.

Ed è proprio il suo liberismo che vorrei proporre in questo abbozzo di ricordo.

Certo, Einaudi era un accademico, un professore, come si è detto, che però volle sempre contribuire a chiarire, a spiegare, a render comprensibili anche le leggi dell’economia all’opinione pubblica più vasta, evitando il linguaggio iniziatico proprio dei mandarini, grazie anche ad una prosa mai paludata, sempre fresca e tersa.

Einaudi non fu un economista sistematico: resterà sempre troppo forte in lui, anglofilo dichiarato come lo fu prima di lui il Conte di Cavour, l’ascendente esercitato dall’empirismo inglese e scozzese, e quindi la continua attenzione agli insegnamenti che venivano impartiti, prima di tutto a lui ed al suo pensiero, da quella che Bobbio descrisse come la “lezione dei fatti” (1).
Einaudi partiva sempre da un esempio concreto, prendeva a proprio riferimento non l’astratto – e quindi: inesistente – homo oeconomicus, ma l’imprenditore, l’agricoltore, lo speculatore, l’operaio, per esporre il problema concreto e fornire a questo una risposta altrettanto concreta.

Se Einaudi non fu sistematico, il concretismo, l’empirismo lo vaccinarono dall’ideologismo, ovvero, e nonostante le semplificazioni, rifiutò sempre di esser dipinto come un liberista tetragono, pronto ad applicare sempre e solo la ricetta liberistica a qualsiasi problema fosse chiamato ad affrontare.

Quell’immagine liberista fu, non a caso, definita dallo stesso Einaudi, in una risposta al deputato socialista Calosso, un “fantoccio mai esistito e perciò comodo a buttare a terra” (2), respingendo, assieme al fantoccio, la stessa tesi, summa liberistica, secondo cui i singoli uomini urtandosi l’un l’altro finirebbero per fare l’interesse proprio e quello generale, definendo tale summa come una autentica “invenzione degli anti liberisti, si chiamassero o si chiamino essi protezionisti o socialisti o pianificatori”.

Perché, per Einaudi, nessuno che abbia mai letto il libro classico di colui che è considerato per antonomasia il prototipo dei liberisti, Adam Smith, potrebbe mai ammettere che si possa applicare tale fantoccio liberista allo stesso Smith. Nella Ricchezza delle nazioni, infatti, lo scozzese iniziatore della stessa scienza economica, scrisse chiaramente che “la difesa è più importante della ricchezza” assoggettando quindi i cittadini ad imposte per perseguire il bene comune, per poi scrivere parole di fuoco contro i proprietari terrieri assenteisti.

Allontanato da sé il fantoccio liberista, Einaudi chiarirà a più riprese l’essenza della sua posizione economica. Troppo spazio richiederebbe qui l’affrontare la querelle che vide contrapposto lo stesso Einaudi all’altro grande pensatore liberale, Benedetto Croce, sul tema dei rapporti tra il liberalismo politico ed il liberalismo economico. Sia detto di passata: querelle che in realtà fu per molti aspetti più apparente che reale.

Dicevo: non a caso Einaudi, nello scansare il fantoccio costruito dai suoi avversari, si richiama ad Adam Smith.
Dallo scozzese, infatti, Einaudi non ereditò solo il chiaro empirismo, ma ancora prima il fondamento morale, prima che economico, della sua impostazione anche economica.

Tanto Smith quanto Einaudi, infatti, furono, prima che economisti, dei moralisti, ovvero degli studiosi della morale umana. Sarebbe impossibile pienamente comprendere La Ricchezza delle Nazioni senza aver letta e metabolizzata la Teoria dei Sentimenti Morali dello scozzese, così come è riduttivo tentare di qualificare il pensiero economico einaudiano senza partire dal fondamento morale della sua personale interpretazione del liberalismo tout court e del liberalismo economico.

Già nel corso del primo dopoguerra, e siamo nel 1920, Einaudi si premurerà di respingere le invocazioni di coloro i quali, dopo il flagello del conflitto mondiale e i timori del biennio rosso, anelavano “l’uniformità, il comando, l’idea unica a cui tutti obbediscano, il Napoleone”(3), in conformità ad un apparente bisogno dell’animo umano, il quale “rifugge dai contrasti, dalle lotte di uomini, di partiti, di idee, e desidera la tranquillità, la concordia, la unità degli spiriti, anche se ottenuta col ferro e col sangue”(4).

A tali invocazioni Einaudi rispondeva fermamente, tanto da voler abbozzare un “inno, irruente ed avvincente … alla discordia, alla lotta, alla disunione degli spiriti”. Perché, si chiede Einaudi, si dovrebbe mai volere che lo stato abbia un proprio ideale di vita a cui “debba napoleonicamente costringere gli uomini ad uniformarsi… perché una sola religione e non molte, perché una sola opinione politica o sociale o spirituale e non infinite opinioni?”.

Nel rispondere a queste domande retoriche Einaudi fa ricorso al tema classico del conflittualismo liberale, il tema che sessant’anni prima era stato magnificamente esposto nel volume On Liberty di John Stuart Mill. Ed anche qui il richiamo non è affatto casuale: nel 1925, e siamo nel pieno della temperie fascista, Einaudi scriverà una breve ma intensa prefazione alla edizione di On Liberty edita da Piero Gobetti, descrivendo il libro del filosofo ed economista inglese come “il libro di testo di una verità fondamentale: l’importanza suprema per l’uomo e per la società di una grande varietà di tipi e di caratteri e di una piena libertà data alla natura umana di espandersi in innumerevoli e contrastanti direzioni”.

Questa sintesi einaudiana fa il paio con il principio milliano (5) “la verità può diventare norma di azione solo quando ad ognuno sia lasciata amplissima libertà di contraddirla e di confutarla. È doveroso non costringere un’opinione al silenzio, perché questa opinione potrebbe essere vera. Le opinioni erronee contengono sovente un germe di verità. Le verità non contraddette finiscono per essere ricevute dalla comune degli uomini come articoli di fede (…) la verità, divenuta dogma, non esercita più efficacia miglioratrice sul carattere e sulla condotta degli uomini”.

Violando queste massime liberali perché protettive del conflitto di idee e di opinioni, prevale l’aspirazione all’unità, all’impero di uno solo: vana chimera, per dirla con Einaudi, l’aspirazione di chi abbia “un’idea, di chi persegue un ideale di vita e vorrebbe che gli altri, che tutti avessero la stessa idea ed anelassero verso il medesimo ideale” (6).

Così, però, ammonisce l’economista piemontese, non deve essere: “il bello, il perfetto non è l’uniformità, non è l’unità, ma la varietà ed il contrasto”. Da queste premesse, che sono come si è visto premesse di indole etica e morale, deriva la vera obiezione di Einaudi contro i sostenitori dei regimi collettivisti, o pianificatori, o protezionisti.

Al liberalismo, infatti, ripugna un assetto collettivista in quanto in un simile assetto, affinché possa funzionare, non può esistere libertà dello spirito, libertà del pensiero, in quanto quei regimi economici – se si escludono i modelli comunitari volontari tipici, ad esempio, dei vecchi conventi, o dei tentativi degli Owen, dei Cabet, dei Fourier di creare società comunistiche – devono necessariamente fare affidamento ad una struttura gerarchica della società, in cui il rapporto tra uomo e uomo non può essere rapporto improntato al principio di libertà bensì al suo opposto, al principio di dipendenza.

Ed allora, ecco che il parallelo di Einaudi, che poi è l’alternativa tra i due modelli, è rappresentato dalla necessaria ed intima relazione intercorrente tra le istituzioni sociali ed economiche rispetto all’ambizione dell’uomo.

L’uomo moralmente libero, e così la società composta da uomini siffatti e che condividano il sentimento di profonda dignità della persona, non potrà che creare, o tentare di creare, istituzioni economiche simili a sé stesso (7).

In una società dove tutto è dello stato, dove non esiste proprietà privata salvo quella di pochi beni personali, dove la produzione sia organizzata collettivamente, per mezzo di piani programmati centralmente, quali individui avranno maggior facilità di emergere? Non saranno certo i migliori, ammonisce Einaudi, bensì i “procaccianti”, coloro i quali fanno premiare l’intrigo al posto dell’emulazione.

E sarà sempre su queste basi morali ed etiche che Einaudi rifiuterà la nuova economia di Walter Rathenau, ritenendo il tipo di economia proposto dal tedesco come assolutamente inconciliabile con l’idea di stato liberale (8).
Il vero contrasto, infatti, non è tra anarchia ed organizzazione, niente affatto. Il vero discrimine corre tra l’obbligo di adottare un dato metodo di organizzazione, da un lato, e la libertà di scegliere tra parecchi metodi concorrenti, di sostituire l’uno all’altro, di usarne contemporaneamente parecchi o molti.

Il primo metodo è proprio di coloro i quali abbian saggiato il frutto dell’autorità, del comando, mentre il secondo metodo è quello delle persone cui la scienza e l’esperienza abbiano fatto persuase che l’unica, “la vera garanzia della verità è la possibiltà della sua contraddizione, che la principale molla di progresso sociale e materiale è la possibilità di cercare di adottare nuove vie senza il consenso dei dottori dell’università di Salamanca, senza attendere le direttive delle ‘superiori autorità’” (9).

La storia dell’uomo aveva quindi dimostrato la lotta, ed alla fine: la supremazia, di quell’ideale di stato il quale si vuole astenere dall’imporre “agli uomini una foggia di vita. Con le guerre di religione, gli uomini vollero che non ci fosse una unità religiosa imposta dallo stato. Con le guerre di Luigi XIV, di Napoleone, e con quella ora terminata [la Prima Guerra Mondiale, N.dA.] gli uomini combatterono contro l’idea dello stato il quale impone una forma di vita politica, di vita economica, di vita intellettuale. Vinse, e non a caso, quella aggregazione di forze militari, presso cui lo stato è concepito come l’ente il quale assicura l’impero della legge (…) all’ombra del quale gli uomini possono sviluppare le loro qualità più diverse, possono lottare fra di loro, per il trionfo degli ideali più diversi. Lo stato limite, lo stato il quale impone limiti alla violenza fisica, al predominio di un uomo sugli altri, di una classe sulle altre, il quale cerca di dare agli uomini le opportunità più uniformemente distribuite per partire verso mete diversissime o lontanissime le une dalle altre. L’impero della legge come condizione per l’anarchia degli spiriti”(10).

Einaudi, si è detto, non fu un sistematico, non fu un dottrinario. Ma fu coerente. La sua coerenza vedeva perfettamente che per assicurare il pieno sviluppo della personalità umana l’intervento dello stato era non solo opportuno ma necessario. Se infatti lo stabilire i fini e gli obiettivi di una società è opera che spetta ai politici o ai filosofi, il ruolo degli economisti diviene quello di indicare via via i mezzi migliori per il raggiungimento di tali obiettivi. Ma in questo il liberismo non opera come un principio economico, non è qualcosa che si contrapponga al liberalismo etico (11): è una soluzione concreta che gli economisti daranno a quel problema loro affidato per meglio comprendere quale sia lo strumento più perfetto per raggiungere quel fine stabilito dal politico o dal filosofo.

E questi strumenti saranno quelli idonei a condurre la “lotta a fondo contro tutti coloro che nelle industrie, nei commerci, nelle banche, nel possesso terriero hanno chiesto i mezzi del successo ai privilegi, ai monopoli naturali ed artificiali, alla protezione doganale, ai divieti di impianti di nuovi stabilimenti concorrenti, ai brevetti a catena micidiali per gli inventori veri, ai prezzi alti garantiti dallo stato” (12). Ed ancora, saranno necessarie, sempre, le leggi di protezione dei più deboli come le leggi di protezione ed assistenza degli invalidi al lavoro, degli anziani, il divieto di lavoro minorile, l’accesso alla istruzione scolastica per i capaci e meritevoli privi di mezzi, il riconoscimento non solo della libertà sindacale ma della pluralità dei sindacati e del loro ruolo nel pareggiare la forza contrattuale degli imprenditori, ovvero quella stessa libertà (liberale) che aveva fatto alzare la testa agli operai del biellese che Einaudi aveva seguiti e di cui raccontò, ammirato, la dignità delle loro conquiste, elogiando non il socialismo autoritario bensì il socialismo sentimento.

Insomma, per il liberale, e in questo senso: per il liberista, l’intervento dello stato – l’impero della legge – sempre sarà necessario ogni qualvolta non si riesca diversamente a garantire l’uguaglianza dei punti di partenza, senza privilegi di nascita, nella corsa della vita. La corsa, ed il suo esito, dipenderà poi dai talenti di ciascuno – l’anarchia degli spiriti.

Ed all’economista, in ogni caso, spetterà sempre l’ingrato compito di ricordare al politico che vicino alle Oche del Campidoglio, simbolo del successo e della popolarità, si trova la Rupe Tarpea, dove si rischia di finire se non si rispettano le regole ed i principi della buona economia. Perché, dopo tutto, gli economisti piuttosto che esser divisi in fantocci dovrebbero esser divisi, come ricordava Maffeo Pantaleoni, in sole due schiere: da una parte coloro i quali conoscono la scienza economica e, dall’altra parte, coloro i quali non la conoscono.

Strade Online

(1) N. Bobbio, Profilo ideologico del novecento, Milano, 1990, 105.
(2) L. Einaudi, Corriere della Sera, 22 agosto 1948, ora ne Lo scrittoio del Presidente (1948-1955), Torino, 1956, 7-11.
(3) L. Einaudi, Verso la città divina, in Rivista di Milano, 20 aprile 1920. 285-287, ora in L. Einaudi, Il buongoverno. Saggi di economia e politica (1897-1954), Bari 1954, 32-36.
(4) L. Einaudi, Verso la città divina, op. loc. cit.
(5) J.S. Mill, La libertà (1860), ed. Piero Gobetti, 1925, 3-6.
(6) L. Einaudi, Verso la città divina, op. loc. cit.
(7) L. Einaudi, Il nuovo liberalismo, in La Città Libera, 15 febbraio 1945, 3-6.
(8) L. Einaudi, in La Riforma Sociale, sett.-ott. 1918, 453-458 e passim.
(9) L. Einaudi, ult. loc. cit.
(10) L. Einaudi, Verso la città divina, op. cit.
(11) L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, in La Riforma Sociale, marzo-aprile 1931.
(12) L. Einaudi, Lineamenti di una politica economica liberale, Roma, Partito liberale italiano, 1943.

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In Fondazione Einaudi Barbano presenta il suo nuovo libro “La Gogna”


Perché le intercettazioni continuano a essere la lingua della democrazia? Perché la distruzione di tante vite e reputazioni non basta a fermare la gogna? Il direttore de Il Riformista, Alessandro Barbano, risponde a queste domande nel suo nuovo libro “La

Perché le intercettazioni continuano a essere la lingua della democrazia? Perché la distruzione di tante vite e reputazioni non basta a fermare la gogna? Il direttore de Il Riformista, Alessandro Barbano, risponde a queste domande nel suo nuovo libro “La gogna”, edito da Marsilio, presentato questa sera nell’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi, e lo fa attraverso l’analisi del più disastroso terremoto giudiziario della storia repubblicana: lo scandalo del Consiglio superiore della magistratura. Attraverso documenti, testimonianze e indizi inediti, o fin qui ignorati, Barbano torna “sulla scena del delitto”, nella hall dell’Hotel Champagne, dove, secondo la versione ufficiale, nella notte tra l’8 e il 9 maggio 2019, un gruppo di politici e magistrati congiurava per mettere le mani sulla procura di Roma.

Un’indagine li ha smascherati, un processo rigoroso li ha espulsi. L’autore spiega perché questo racconto non sta in piedi: troppe incompiutezze legislative, azzardi investigativi, forzature istituzionali e ipocrisie giudiziarie mostrano che, con una scientifica diffusione di intercettazioni e con una narrazione rovesciata dello scandalo, si è compiuto un cambio di potere. Di rottura della forma parla l’autore, spiegando che, in quella circostanza, “le intercettazioni sono state diffuse per la prima volta ai media in corso d’opera, cioè diffuse ai giornali quando Palamara era ancora intercettato. Questa è una cosa che non era mai successa nella storia della Repubblica”. Dopo i saluti istituzionali a cura del presidente della Fondazione Luigi Einaudi, Giuseppe Benedetto, sono intervenuti, moderati dall’avvocato Massimiliano Annetta, il professore di Diritto Penale presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Tullio Padovani, l’onorevole Enrico Costa, e il presidente di Sezione del Tribunale di Roma, Alberto Cisterna. “Leggendo il libro ho avuto la convinzione di trovarmi di fronte a un saggio di criminologia fenomenologica, secondo la quale il reato è una realtà sociale diffusa e non tutti i reati si scoprono, esiste una cifra oscura”, ha detto il professor Padovani. “Questo testo, che rappresenta un eccellente esempio di giornalismo investigativo, porta alla luce volti precisi, smaschera, e si basa su verità documentate”, ha aggiunto. “Oggi in Italia non sono divisi i poteri ma ci si divide il potere, e in questo momento storico chi ha la frazione di potere più significativa, a mio avviso, è la magistratura, che è la politica”.

“Purtroppo la giustizia oggi è poco credibile e questo per una grande responsabilità della politica, che utilizza la giustizia come una scorciatoia”, ha detto Enrico Costa. “Molti, per esempio, la usano come clava, soprattutto a livello locale: un lavoro che ho recentemente presentato rivela come su 150 sindaci indagati, a seguito di un esposto presentato dall’opposizione, di destra e di sinistra, quasi tutti sono stati prosciolti”. Nel libro di Barbano, ha aggiunto, “trovo tutte le sfumature della mia attività parlamentare, perché affronta il tema delle intercettazioni senza rilievo penale, del controllo sulle intercettazioni, parla del Trojan, che va regolato rispetto alle intercettazioni ambientali, perché molto più invasivo, del marketing giudiziario e delle prerogative parlamentari”.

È straordinario, ha concluso Cisterna, che Barbano “abbia trovato una verità che altrove è rimasta latente, nonostante abbia basato il suo lavoro su carte già consultate da altri”.

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Continuate a seguire il mainstream, continuate, continuate pure.
E poi sgretolatevi.
Michele Morrone


7 ottobre 2023 – 7 aprile 2024. Sei mesi di morte e distruzione


Le cifre di uno dei conflitti più sanguinosi degli ultimi decenni che ha distrutto Gaza, ucciso decine di migliaia di persone e affamato due milioni di civili L'articolo 7 ottobre 2023 – 7 aprile 2024. Sei mesi di morte e distruzione proviene da Pagine E

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della redazione

Pagine Esteri, 7 aprile 2024 – Sono passati sei mesi dall’attacco di Hamas nel sud di Israele e dall’inizio dell’offensiva militare dello Stato ebraico nella Striscia di Gaza. Israele non mostra alcun segno di fermarsi e i colloqui in Egitto e Qatar non indicano ancora alcuna possibilità di un cessate il fuoco definitivo. La guerra a Gaza, dice Israele, è una rappresaglia per gli attacchi sul suo territorio da parte di gruppi armati, guidati dalle Brigate Qassam di Hamas, che hanno ucciso circa 1.200 persone e ne hanno fatte prigioniere circa 250. Ma il costo di questa ritorsione senza fine è stato eccezionalmente alto per tutta la popolazione di Gaza.

Almeno 33.137 palestinesi sono stati uccisi dai bombardamenti aerei e dall’offensiva di terra di Israele, riferisce il Ministero della Sanità di Gaza. Altre migliaia di persone risultano disperse e si presume siano morte sotto le macerie di case ed edifici distrutti.

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Bambini e donne costituiscono la stragrande maggioranza delle persone uccise. Save the Children denuncia che sono stati uccisi più di 13.800 bambini. La Mezzaluna Rossa Palestinese afferma che circa 1.000 bambini hanno perso una o entrambe le gambe. L’UNICEF stima che almeno 17.000 minori palestinesi siano attualmente non accompagnati o siano stati separati dai loro genitori. Migliaia sono gli orfani. Oltre 75 mila persone sono rimaste ferite e non possono essere assistite perché il sistema sanitario di Gaza è in gran parte distrutto o danneggiato.

La situazione umanitaria a Gaza è peggiorata notevolmente nel 2024 poiché l’esercito israeliano limita l’arrivo degli aiuti alla popolazione, in particolare nel nord della Striscia. L’Unrwa, la principale e meglio organizzata delle agenzie delle Nazioni Unite che operano a Gaza, non riesce a svolgere il suo ruolo perché boicottata e ostacolata da Israele che la accusa di essere “collusa” con Hamas. 2,3 milioni di persone, perciò, rischiano la fame: l’Onu avverte che la carestia si diffonderà in varie parti di Gaza entro maggio. Una trentina di persone, in prevalenza neonati e bambini, sono già morte per disidratazione e malnutrizione. Diverse organizzazioni e centri per i diritti umani accusano Israele di usare la fame come arma di guerra.

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La condizione degli sfollati, l’80% della popolazione, è drammatica. L’esercito israeliano ha intimato agli abitanti del nord della Striscia di andare al sud già all’inizio dell’offensiva di terra. Da allora nessuno è più stato in grado di tornare alle proprie case poiché l’esercito israeliano ha creato un corridoio militare che da est e ovest taglia a metà la Striscia. La maggior parte degli sfollati si trova in installazioni delle Nazioni Unite come scuole e ospedali o in tendopoli a Rafah, la città più meridionale di Gaza, al confine con l’Egitto, che Israele minaccia di invadere come le altre città palestinesi, allo scopo, afferma il premier Netanyahu di eliminare “l’ultimo bastione di Hamas”. Molti degli sfollati vivono in strada o e in edifici distrutti solo in parte.

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Gli attacchi aerei, di terra e anche dal mare hanno danneggiato o distrutto circa il 62% di tutte le case di Gaza lasciando più di un milione di persone senza un tetto. Ad oggi ci sono 26 milioni di tonnellate i detriti e le macerie che dovranno essere rimosse prima di poter avviare la ricostruzione se e quando terminerà la guerra. I danni stimati dalla Banca Mondiale e dalle Nazioni Unite sono di 18,5 miliardi di dollari. Colpite anche le infrastrutture pubbliche. Oltre al nord, i danni più gravi si registrano nel capoluogo Gaza city e a Khan Younis, nel sud, dove gli attacchi israeliani hanno distrutto migliaia di case e infrastrutture civili. Otto scuole su dieci a Gaza sono danneggiate o distrutte. Oltre 625mila studenti non hanno accesso all’istruzione.

14318294Solo 10 dei 36 ospedali, cliniche e centri sanitari sono in grado di funzionare parzialmente, in condizioni di eccezionale difficoltà. La maggior parte dei pazienti non può ricevere ricevere cure adeguate per la carenza di medicine e attrezzature e per la stanchezza degli operatori sanitari esausti dopo sei mesi di lavoro incessante. Molte operazioni e amputazioni sono state eseguite senza anestesia. Di recente, un assedio durato due settimane dentro e intorno all’ospedale Shifa di Gaza city, il più grande di Gaza, ha lasciato il complesso sanitario in gran parte distrutto. L’esercito israeliano ha ucciso almeno 400 persone nello Shifa durante l’assedio e ne ha arrestate altre centinaia.

Infine gli attacchi militari hanno ucciso il maggior numero di operatori dell’informazione di qualsiasi conflitto moderno. Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti stima in 90 il numero di reporter e cameraman uccisi. L’Ufficio stampa governativo di Gaza parla di 140 giornalisti uccisi. Pagine Esteri

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Il governo ecuadoriano ha rapito l'ex vicepresidente ecuadoriano Jorge Glas, rifugiato nell'ambasciata messicana, violando così il diritto internazionale e la


Si legge ovunque delle preoccupazioni di Israele relative a un probabile attacco iraniano. Gli Usa stanno in ogni modo cercando di esacerbare i toni rilanciando minacce a destra e sinistra qualora dovesse arrivare una risposta da parte dell'Iran.

Questo accade dopo che Israele ha deciso di bombardare l'ambasciata Iraniana in Siria, una roba gravissima sia dal punto di vista del diritto internazionale sia dal punto di vista simbolico. In questo caso servirebbe una netta condanna da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU per questo atto, ma come spesso accade, quando c'è da proteggere Israele, gli Usa si oppongono con tutte le loro forze. Infatti si sono opposti a una bozza di risoluzione proposta dalla Russia la quale condannava questo attacco e la violazione della sovranità di un Paese.

Solo una volta nel corso della storia è successa una cosa simile, fu quando nel 1999, durante i bombardamenti in Jugoslavia da parte della Nato, gli Usa bombardarono l'ambasciata Cinese senza alcuna motivazione valida. Resta il fatto che la propaganda sta concentrando tutti i suoi sforzi su una potenziale risposta da parte dell'Iran dimenticando del perché questa risposta potrebbe arrivare. Hanno già messo le mani avanti riportando a reti unificate la propaganda sionista, la quale recita che qualora venissero attaccati dall'Iran, avrebbero il diritto di difendersi. Immaginate se qualcuno avesse bombardato un'ambasciata Usa. Chi avrebbe avuto il diritto di difendersi? Gli Usa o chi li ha attaccati?

Ovviamente nessuna menzione sul fatto che l'unico Paese, in questa specifica situazione, che eserciterebbe il diritto di difendersi, sarebbe proprio l'Iran. Tutto ciò perché è stato deliberatamente attaccato da Israele. Preparano il terreno per giustificare un'eventuale contro risposta israeliana facendo in modo che qualora dovesse accadere quanto sopra riportato, avrebbero campo libero per venirci a raccontare del "diritto di Israele di difendersi". Israele, l'ho sempre detto, è uno dei paesi più furbi e subdoli al mondo, tanto che li ho sempre definiti le "stelle e strisce del Medio Oriente". Infatti anche la mossa di chiudere una trentina di ambasciate all'estero, tra cui anche quella in italia, sventolando il pericolo Iran, lo dimostra ampiamente e serve solo ed esclusivamente per alimentare la propaganda.

L'azione israeliana di bombardare l'Iran serve per due motivi, il primo perché a Gaza hanno fallito su tutti i fronti: militare, tattico, strategico, umanitario e hanno perso faccia e quel piccolissimo pizzico di credibilità che ancora avevano. Il secondo perché a fronte di quanto precedentemente espresso, hanno bisogno come il pane di tirare dentro gli Stati Uniti d'America e allargare la guerra. Nel caso dovesse intervenire l'Iran, gli Usa non potrebbero stare a guardare perché sarebbe seriamente a rischio la loro influenza nell'area proprio perché la minaccia su Israele, che è una specie di pentagono o base della Cia in Medio Oriente, stavolta diventerebbe concreta.

Questa vicenda è la fotografia di come si è sempre comportato Israele, di ciò che ha sempre fatto e di come venga rigirata la frittata per consentire a questi criminali di dettare legge in Medio Oriente per salvaguardare gli interessi degli Stati Uniti d'America. Israele provoca, bombarda in barba a qualsiasi legge, occupa territori, pratica apartheid e quando gli rispondono esercitando realmente il diritto di autodifesa, allora quei quattro fanatici messianici danno il via alla carneficina dicendoci che devono difendersi. Vi rendete conto di cosa sono, vero? Oltre che veri terroristi, questi sono un pericolo per il mondo intero. Perché pur di rimanere lì per fare gli interessi a stelle e strisce, gli stanno consentendo di fare tutto, a partire da una pulizia etnica e finire con bombardamenti deliberati ovunque ne abbiano voglia. Salvo poi fare le vittime...

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ECUADOR. La polizia irrompe nell’ambasciata messicana

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Nella notte tra venerdì e sabato la polizia ha fatto irruzione nell’ambasciata messicana a Quito, in Ecuador, portando via con la forza l’ex vicepresidente ecuadoriano Jorge Glas, che aveva chiesto asilo politico nella sede diplomatica.

“Quello che è appena accaduto è un oltraggio al diritto internazionale e all’inviolabilità dell’ambasciata messicana in Ecuador. Totalmente inaccettabile”. È la barbarie. Non è possibile che violino i confini diplomatico come hanno fatto. È vergognoso per uno stato”, ha detto dichiarato Roberto Canseco, ambasciatore incaricato.

“Mi hanno picchiato. Sono stato colpito mentre ero a terra. Ho fisicamente cercato di impedire loro di entrare. Hanno fatto irruzione come criminali nell’ambasciata messicana in Ecuador. Questo non è possibile. Non può essere. È pazzesco”, ha aggiunto Canseco.

Proprio ieri le tensioni tra i due Paesi avevano raggiunto l’apice. A seguito di alcune dichiarazioni del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador in merito alle ultime elezioni in Ecuador, il presidente Noboa ha dichiarato l’ambasciatore messicano “persona non gradita”.

Jorge Glas, condannato per casi di corruzione, è rimasto all’interno dell’ambasciata messicana a Quito dal 17 dicembre 2023 al momento del raid.

Aveva due ordini di arresto, uno dei quali legato ad un processo per peculato.

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Ecco la vista più dettagliata (finora) sulla storia dell'Universo in espansione l AstroSpace

"I risultati confermano le basi del modello cosmologico standard dell’Universo, e forniscono uno sguardo senza precedenti sulla natura dell’energia oscura e sui suoi effetti sulla struttura su larga scala dell’Universo."

astrospace.it/2024/04/06/ecco-…



A 15 anni dal tragico terremoto che il #6aprile del 2009 colpì #LAquila e i territori limitrofi il pensiero del #MIM è rivolto alle 309 vittime di quella notte, ai familiari e a tutte le persone coinvolte.


CINA. Rottamazione di macchinari e automobili, il piano di Pechino per sostenere la crescita


La sostituzione di beni durevoli obsoleti è un progetto definito “strategico” dal governo della Repubblica Popolare Cinese L'articolo CINA. Rottamazione di macchinari e automobili, il piano di Pechino per sostenere la crescita proviene da Pagine Esteri.

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di Michelangelo Cocco

Pagine Esteri, 6 aprile 2024 – Il Consiglio di stato di Pechino ha avviato una campagna nazionale per incoraggiare un massiccio aggiornamento di macchinari e attrezzature e la sostituzione di beni durevoli obsoleti, un progetto definito “strategico” che, nelle intenzioni dichiarate dal governo della Rpc, dovrebbe sostenere l’economia (nel 2024 si punta a una crescita del Pil del 5 per cento), le imprese e le famiglie.

Il piano annunciato dall’esecutivo prevede l’aumento del 25 per cento entro il 2027 (rispetto al valore del 2023) degli investimenti in macchinari e attrezzature per l’industria, l’agricoltura, l’edilizia, i trasporti, l’istruzione, la cultura, il turismo e l’assistenza medica.

Il sostegno (fiscale e finanziario) del governo punterà anche all’accelerazione della sostituzione dei beni durevoli, a cominciare dalle automobili (BYD ha al momento cinque modelli in vendita a meno di 100.000 RMB, equivalenti a meno di 13.000 euro). Entro il 2027 dovrebbe raddoppiare il tasso di rottamazione degli autoveicoli e aumentare del 30 per cento quello di sostituzione degli elettrodomestici.

Secondo le stime della Commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo (Ndrc), la sostituzione di macchinari e attrezzature potrebbe creare un mercato di oltre 5.000 miliardi di RMB all’anno (circa 704,19 miliardi di dollari USA). Insomma una soluzione per sostenere la domanda interna nel medio periodo, che tuttavia non affronta le cause della sua debolezza, tra le quali spiccano le disuguaglianze sociali e la scarsa fiducia degli imprenditori privati nelle prospettive dell’economia nazionale.

Secondo le stime della Banca centrale, il programma varato dal Consiglio di stato farà aumentare la domanda di automobili ed elettrodomestici rispettivamente di 629,3 miliardi di RMB e 210,9 miliardi di RMB e contribuirà a una crescita del Pil che potrà oscillare tra gli 0,16 e gli 0,5 punti percentuali.

Il governo di Pechino lanciò un’iniziativa simile durante la crisi finanziaria del 2008, rendendo elettrodomestici come televisori e frigoriferi più accessibili ai consumatori delle aree rurali, attraverso massicci sussidi, riuscendo in tal modo a compensare con l’aumento della domanda interna la riduzione delle esportazioni.

Secondo i dati della Banca centrale, i 40 miliardi di RMB di sussidi di allora stimolarono la crescita del Pil di 0,33 punti percentuali nel 2010 e di 0,32 nel 2011.Pagine Esteri

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AFRICA. Trent’anni fa, il genocidio in Ruanda


Quello che venne descritto come la conseguenza di un odio interetnico fu invece un retaggio della dominazione coloniale alimentato ad arte nel contesto dello scontro fra potenze per la rapina del continente. L'articolo AFRICA. Trent’anni fa, il genocidio

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di Geraldina Colotti

Pagine Esteri, 6 aprile 2024 – L’aereo privato su cui il 6 aprile 1994 viaggiavano il presidente ruandese Juvenal Habyarimana e il suo omologo burundese, Cyprien Ntaryamira – un jet Falcon 50 regalo del primo ministro francese, Jacques Chirac – fu abbattuto da un missile mentre stava atterrando all’aeroporto di Kigali, capitale del Ruanda. Insieme ai due presidenti, di etnia hutu, morirono anche il capo dell’esercito ruandese e i 12 passeggeri. Tempo prima, Habyarimana aveva chiesto aiuto all’allora presidente di Francia, François Mitterrand per far fronte all’offensiva tutsi del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr), che attaccava dall’Uganda.

La Francia era il grande alleato di Habyarimana, figlio di una ricca famiglia hutu, andato al potere con un colpo di stato nel 1973: lo considerava un baluardo contro le mire espansionistiche statunitensi nella regione. Parigi sosteneva il governo degli hutu contro il “complotto anglofono” che, dall’Uganda, intendeva creare un “Tutsi-land” di lingua inglese che ne riducesse l’influenza. Per questo, dal 1990, intervenne per fermare l’avanzata dei tutsi e si adoperò per armare e addestrare l’esercito ruandese. Nel 1993, sotto l’egida delle Nazioni unite, erano stati firmati gli Accordi di Arusha tra il Fpr e Habyarimana, contestato anche all’interno dell’hutu power per aver assunto un atteggiamento più moderato.

L’abbattimento dell’aereo, attribuito ai tutsi, innescò 100 giorni d’inferno. Fino al 19 luglio, quando il Fronte Patriottico Ruandese, guidato da Paul Kagame, prese il potere, venne massacrato circa un milione di tutsi, e anche di hutu moderati: un genocidio, durante il quale il mondo rimase a guardare. Si può valutare la proporzione del massacro, considerando che il Ruanda, piccolo stato dell’Africa centrale che si trova nella regione dei Grandi Laghi. è un territorio poco più grande della Sicilia. Allora era abitato da circa 7,5 milioni di persone, appartenenti a tre gruppi etnici: i Twa (circa l’1% della popolazione), di ceppo pigmoide, gli hutu (tra l’85 e il 90%), provenienti dal ceppo bantù, e i tutsi o watussi (meno del 14%), del ceppo nilotico.

Quello che venne descritto come la conseguenza incontrollata di un odio interetnico (quindi dell’incapacità dei popoli africani di governarsi da soli), fu invece principalmente un retaggio della dominazione coloniale (e anche dell’”evangelizzazione”), alimentato ad arte nel contesto dello scontro fra potenze per la rapina del continente dopo la caduta del muro di Berlino.

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foto wikimedia commons

Come hanno provato documenti declassificati, l’Operation Turquoise, ufficialmente una missione “umanitaria” francese per proteggere i propri cittadini, servì a coprire (o a foraggiare) l’azione di due gruppi paramilitari principalmente responsabili del massacro, le milizie Interahamwe e gli Impuzamugambi. Nonostante l’allarme sull’incombere del genocidio, preparato dagli incitamenti all’odio razziale lanciati dalla Radio delle Mille Colline, fossero già arrivati alle istituzioni internazionali, nulla di tutto questo giunse, pare, sulla scrivania dell’allora presidente socialista François Mitterrand.

Eppure la Francia, unica potenza oltre agli Usa a mantenere una forte influenza sul continente africano anche dopo la caduta dell’Urss, dal 1959 aveva firmato oltre 60 accordi di cooperazione militare che interessavano 24 nazioni. Otto di questi accordi, obbligavano Parigi a intervenire qualora avesse riscontrato una minaccia. Un potere di cui la Francia, tra il 1959 e il 1996, ha fatto uso per 28 volte: 14 per difendere i governi in carica da “minacce interne”, 7 per “aggressioni esterne”, e 7 per “motivi umanitari”, come l’Operation Turquoise, o nel quadro di operazioni multilaterali.

I prodromi del genocidio in Ruanda vanno rintracciati nella spartizione dell’Africa e nelle conseguenze prodotte dalla creazione di frontiere artificiali decise alla Conferenza di Berlino del 1885; e nell’imposizione di concetti politici, istituzioni e norme sociali tarate su visioni esterne, avulse dalle strutture preesistenti nel continente africano.

Come hanno rilevato diversi storici africani (Ki-Zerbo, M’Bokolo, Kagabo…), e come si ricava dalle testimonianze dei primi esploratori europei, popolazioni appartenenti a differenze etnie convivevano all’interno di società feudali dotate di strutture anche sofisticate, condividendo usanze e religioni. Come hanno analizzato, in Italia, gli studi di Michela Fusaschi (ripresi anche da Alberto Sciortino), la società ruandese della cosiddetta epoca dei regni (tra il XV e il XVI secolo) mostrava una complessa scala gerarchica del potere.

Al vertice c’era un mwami, che regnava mediante famiglie vassalle tutsi a cui distribuiva la terra. I capi del suolo e del bestiame esistenti in ogni provincia erano sia hutu che tutsi. Il re, che possedeva tutto il bestiame e tutto il suolo, era anche garante dell’unità del popolo, mentre un collegio di abiiru, a sua volta composto sia da hutu che da tutsi, garantiva la trasmissione delle funzioni reali. Nel vicino Burundi, altro teatro del genocidio di trent’anni fa, non c’era scontro tra pastori e contadini per l’uso della terra, erano diffusi i matrimoni misti fra hutu e tutsi, e gli stessi tutsi erano divisi al loro interno in due classi sociali.

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foto di Gil Serpereau

Dopo la Conferenza di Berlino, chiamata a dirimere forti rivalità fra potenze coloniali per il controllo delle risorse, ai regni del Ruanda e dell’Urundi (come veniva chiamato allora l’odierno Burundi) toccò essere dominati dal colonialismo tedesco. I diversi livelli di accettazione o resistenza ai regimi coloniali avranno la loro influenza anche in futuro quando, durante la Prima guerra mondiale, con un mandato dell’allora Società delle Nazioni, Ruanda e Urundi verranno poi consegnati al Belgio, nel 1919.

Le potenze coloniali, specialmente l’impero britannico, usavano un sistema amministrativo di governo indiretto per dominare i popoli sottomessi mediante le loro istituzioni. A differenza dei tedeschi che avevano sostanzialmente lasciato inalterato sia il potere tradizionale che la gerarchizzazione sociale ruandese in cambio dell’accettazione del loro Protettorato, i belgi applicarono a modo loro l’indirect rule: senza delegare completamente neanche una parte del governo locale ai capi tradizionali, si riservarono di ratificare ogni decisione.

Occorre ricordare che, nel 1885, il re Leopoldo II del Belgio era riuscito a impossessarsi del Congo, un territorio immenso grande 76 volte il Belgio, rendendosi protagonista del genocidio di circa 10 milioni di persone nell’arco di un ventennio. Uno sterminio abilmente mascherato sotto la patina della ricerca scientifica, del progresso e della filantropia, e della lotta ai mercanti di schiavi arabi.

Dieci anni dopo la morte di Leopoldo II, con il mandato fiduciario ricevuto dalla Società delle Nazioni, il Belgio si trovò ad amministrare sia l’allora Congo belga che i due piccoli regni di Ruanda e Urundi, unificati sotto il comando di un Governatore generale e di un Consiglio generale con sede a a Bujumbura, odierna capitale del Burundi.

Fu l’amministrazione coloniale belga a dare una connotazione etnica alle differenze sociali fra tutsi e hutu. E fu sempre il colonialismo a usare quelle disuguaglianze per fini politici, sia nella fase dell’indipendenza che in quella successiva. Dal 1928, venne imposta e istituzionalizzata la superiorità del gruppo tutsi, anche attraverso gli insegnamenti nelle scuole “d’elite” gestite dai missionari, orientati a convertire quelle élite per “convertire l’intero Ruanda”. I contadini hutu erano sottoposti al lavoro forzato.

Gli archivi di quel periodo riportano alcune dichiarazioni del vescovo francese Léon Classe, il quale, nel 1930, manifestava il timore che, se il governo belga avesse eliminato “la casta tutsi”, questo avrebbe portato il paese “verso l’anarchia e il comunismo odiosamente antieuropeo”. Alla fine degli anni Venti sulle carte di identità comparve allora l’appartenenza etnica. Dove l’aspetto non consentiva una distinzione sicura, si decise che chi possedeva più di dieci vacche veniva catalogato tutsi, chi ne aveva meno, era hutu.

Nel mix di oppressione di classe e oppressione coloniale, la crisi economica mondiale, iniziata nel 1929, esacerbò le contraddizioni anche in Ruanda e in Burundi. Per evitare che le aspirazioni indipendentiste incendiassero le élite tutsi, più istruite, le autorità coloniali pigiarono sul pedale delle differenze etniche cambiando le pedine. E appoggiarono gli hutu nell’esplosione sociale del 1959, che porterà all’indipendenza del 1962.

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foto di Pierre-Yves Beaudouin / Wikimedia Commons / CC BY-SA 4.0

La prima rivolta dei contadini hutu, nel 1959, trovò base in un “manifesto”, redatto da un gruppo di intellettuali vicini alla chiesa cattolica, anch’essa dedita a una svolta “politica”. Un testo che costituirà poi, con successivi aggiornamenti, un punto di partenza per le politiche di repressione contro i tutsi. In quella temperie, gli hutu formarono il Mouvement Démocratique Républicain, Parti pour l’émancipation du Peuple Hutu, e l’Association pour la Promotion de la Masse, che avevano come obiettivo principale quello di liberarsi dall’oppressione interna.

I tutsi fondarono l’Union National du Rwanda (che appoggiava la monarchia, ma si definiva di orientamento marxista) e il Rassemblement Démocratique du Rwanda, la cui priorità era la lotta di liberazione anticoloniale.

Allora, nel contesto del mondo diviso in due blocchi, una gran parte d’umanità si organizzava dietro le bandiere del comunismo e alimentava le speranze della rivoluzione bolscevica del 1917. Fra il 13 marzo e il 7 maggio del 1954, l’esercito popolare vietnamita, guidato dal mitico generale Vo Nguyen Giap, aveva sconfitto le forze coloniali francesi nella battaglia di Ðiện Biên Phủ.

Una vittoria che determinò la fine del dominio francese in Indocina e pesò sugli accordi di pace firmati durante la conferenza di Ginevra il 21 luglio del 1954. Una vittoria di importanza storica, che ha simboleggiato la sconfitta irreversibile del colonialismo occidentale nel cosiddetto Terzo mondo. E in quell’anno cominciò anche la guerra di liberazione algerina, condotta dal Fronte di Liberazione Nazionale (Fln).

Il vento delle indipendenze stava spirando con forza, influenzato dal contesto della “guerra fredda” fra Stati Uniti e Unione sovietica. Il colonialismo belga cercava di interferire nelle spinte indipendentiste, e di pesare, imponendo il modulo già usato dalla Francia con Haiti. Nel 1804, Haiti diventò la prima repubblica di schiavi liberi. Uno schiaffo a cui la Francia, per “compensare” la perdita di entrate determinate dal suo sistema schiavista e dalle piantagioni di zucchero e caffè, rispose imponendo alla repubblica, sotto la minaccia di un intervento armato, un debito di 150 milioni di franchi d’oro, equivalente al bilancio annuale della Francia dell’epoca.

Il governo haitiano dovette persino chiedere in prestito denaro alle banche francesi, pagando un alto tasso di interesse, riuscendo a saldare il “debito” solo intorno al 1950, a scapito del proprio sviluppo interno. Anche il Congo, la cui indipendenza diventerà effettiva il 30 giugno del 1960, sarà obbligato a pagare il debito estero del Belgio e a rimborsare un prestito mai ricevuto, in cambio dell’indipendenza. E il grande Patrice Lumumba, dirigente anticolonialista e Primo ministro della Repubblica democratica del Congo verrà ucciso nel 1961 con la complicità dell’ex potenza coloniale.

Ruanda e Burundi divennero indipendenti nel 1962. Tra il 1959 e il ’62, circa 500.00 tutsi vennero obbligati a fuggire, prevalentemente in Uganda, dove prese forma il Fronte Patriottico Ruandese, composto da tutsi e hutu moderati. Da allora, la dominazione coloniale nel continente africano continuò con altre forme.

Il dopo ’89 ha fatto emergere nuove rivalità fra potenze e nuovi intrecci di interesse. A distanza di trent’anni, il genocidio in Ruanda resta un “paradigma”. Nel 2006, la parlamentare statunitense, Cynthia Mc Kinney, che fu inviata speciale del presidente Bill Clinton in Africa, dichiarò in una intervista: “Quanto successo in Ruanda non è un genocidio pianificato dagli hutu. È un cambiamento di regime. Un colpo di stato terrorista perpetrato da Kagame con l’aiuto di forze straniere. Scrissi personalmente a Bill Clinton per dirgli che la sua politica era un fallimento in Africa”.

Il 6 aprile del 1992, con la “guerra umanitaria” contro l’allora Jugoslavia era iniziato il processo di “balcanizzazione del mondo”, che avrebbe visto il ruolo dei media e degli apparati ideologici di controllo occidentale, attori sempre più presenti nei conflitti. Il genocidio in Ruanda, preparato a lungo nei circoli di potere e alimentato dai media che hanno soffiato sul conflitto etnico, appare oggi come un “laboratorio” di quella strategia del “caos controllato” con cui l’imperialismo costellerà di massacri il sud globale.

Il 15 luglio del 2024, in Ruanda – un paese dove almeno il 40% della popolazione è povero – vi saranno le elezioni presidenziali. Paul Kagame, che guida il Fronte Patriottico Ruandese dalla vittoria armata del 1994, si candida per il quarto mandato consecutivo, dopo aver vinto le elezioni nel 2003, nel 2010 e nel 2017 con oltre il 90% dei voti. Nell’ambito degli accordi per inviare i migranti in Ruanda, all’inizio dell’anno Kagame ha incontrato anche il premier israeliano Netanyahu: per accogliere migliaia di palestinesi cacciati dalla Striscia di Gaza, previo un generoso finanziamento. “Non c’è altra soluzione per i residenti di Gaza se non l’emigrazione – hanno affermato i rappresentanti di Israele -. Non hanno nessun posto dove tornare oggi. Gaza è distrutta e non ha futuro perché rimarrà così”.

Il Ruanda sta vivendo un boom nel settore edile, a prezzo dell’espulsione massiccia della popolazione povera dalle vecchie abitazioni, ma deve far fronte a una carenza di manodopera. L’arrivo di migliaia di palestinesi viene quindi visto come una possibile soluzione. Anche il presidente del Ciad, Mahamat Idriss Déby, a sua volta in ottimi rapporti con Tel Aviv, ha mostrato attenzione alla proposta. Il Ciad, la cui popolazione è musulmana sunnita per il 60%, ha stabilito relazioni diplomatiche con Israele nel 2019 e Benjamin Netanyahu si è recato lì per l’occasione. Nel febbraio dello scorso anno è stata la volta del presidente ciadiano di ricambiare, recandosi in Israele.

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L'ue va dissolta, distrutta, e sparso sale sulle sue rovine affinché un simile mostro, con dei simili servitori, non possano mai più risorgere.


Yellen in Cina, sulle tracce di Deng Xiaoping


Yellen in Cina, sulle tracce di Deng Xiaoping 14283095
La segretaria al Tesoro americana inizia il suo viaggio da Guangzhou e rievoca lo storico viaggio del 1992 con cui Deng Xiaoping diede nuovo impulso alle riforme. Un messaggio per Xi Jinping, che un recente ciclo di contenuti di Xinhua ha paragonato proprio al "piccolo timoniere"

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Massima solidarietà a Donatella Di Cesare rinviata a giudizio per aver detto una incontrovertibile verità sulla destra al governo. E' gravissimo che il minist

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Perché Israele non riconosce la Palestina come nazione?

A Israele non stanno bene i confini attuali. Riconoscere lo stato arabo significherebbe rinunciare a tutte le mire territoriali attuali. A tornare nei confini originali del 1948. E questo a loro non conviene. Questo è il motivo per cui alimentano e coccolano il terrorismo, come se fosse l'unico strumento per mantenere questo stato di guerra perenne, che permette, poco alla volta, di continuare a strappare territori. E intanto sfoltire la popolazione locale. La decimazione. Ma anche peggio… ben oltre il 10%. Questo fa israele da 50 anni. E la cosa davvero triste è per quanto cinico sta pure funzionando. E' il tipo caso in cui dai una mano a qualcuno e quello si prende l'intero braccio. Appena i locali impazziscono e fanno lo stesso ecco la giustificazione per altre violenze. Se stanno buoni e zitti succede lo stesso. L'esistenza di israele non può più essere messa in discussione, ma la loro politica ovviamente si. E dubito che sia essere antisemiti. Gli israeliani sono in parte di etnia semita, come i palestinesi, quindi essere antisemiti significa anche essere contro i palestinesi. Anche chi è contro i palestinesi è antisemita. E gli israeliani sono essi stessi anti-semiti. Personalmente la parte israeliana che trovo più difficile giustificare moralmente sono i "coloni". ma la loro risposta agli USA è stata "Ma voi lo avete fatto con i pellerossa…" quindi sanno quello che stanno facendo. Neppure l'onu ha accesso alle zone "contese", e questo significa che dovrebbe bastare la parola israeliana per dirti quello che avviene li da 50 anni. A Israele non stanno bene i confini attuali. Riconoscere lo stato arabo significherebbe rinunciare a tutte le mire territoriali attuali. A tornare nei confini originali del 1948. E questo a loro non conviene. Questo è il motivo per cui alimentano e coccolano il terrorismo, come se fosse l'unico strumento per mantenere questo stato di guerra perenne, che permette, poco alla volta, di continuare a strappare territori. E intanto sfoltire la popolazione locale. La decimazione. Ma anche peggio… ben oltre il 10%. Questo fa israele da 50 anni. E la cosa davvero triste è per quanto cinico sta pure funzionando. E' il tipo caso in cui dai una mano a qualcuno e quello si prende l'intero braccio. Appena i locali impazziscono e fanno lo stesso ecco la giustificazione per altre violenze. Se stanno buoni e zitti succede lo stesso. L'esistenza di israele non può più essere messa in discussione, ma la loro politica ovviamente si. E dubito che sia essere antisemiti. Gli israeliani sono in parte di etnia semita, come i palestinesi, quindi essere antisemiti significa anche essere contro i palestinesi. Anche chi è contro i palestinesi è antisemita. E gli israeliani sono essi stessi anti-semiti. Personalmente la parte israeliana che trovo più difficile giustificare moralmente sono i "coloni". ma la loro risposta agli USA è stata "Ma voi lo avete fatto con i pellerossa…" quindi sanno quello che stanno facendo. Neppure l'onu ha accesso alle zone "contese", e questo significa che dovrebbe bastare la parola israeliana per dirti quello che avviene li da 50 anni.Ma chi conosce chi vive sul posto sa cosa sta succedendo. Diciamo che gli invasori israeliani non si comportano come i romani 2000 anni fa.

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L’Unione europea e gli Stati Uniti condivideranno i risultati delle rispettive indagini di mercato sulle possibili distorsioni del mercato nell’industria dei semiconduttori, hanno affermato venerdì (aprile) funzionari dei due alleati in una conferenza stampa alla sesta riunione del Consiglio per...


Domani alle ore 15, con partenza da P.zza del Tricolore, ci sarà una manifestazione, che data la partecipazione anche da altri territori è diventata di rileva


#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta dei laboratori digitali per la #scuola 4.0 e delle attività di mentoring contro la dispersione scolastica all’IIS Lazzaro Spallanzani di Castelfranco Emilia e all’IC Sassuolo 4 Ovest di Sassuolo, grazie ai …


Intelligenza artificiale, 6G, semiconduttori, materie prime, rispetto dei diritti fondamentali nella sfera online. Alla sesta riunione di alto livello del Ttc a Lovanio i due partner hanno fatto il punto del lavoro sui principali dossier digitali, mentre all'orizzonte si profila la minaccia Trump sulle relazioni tra Bruxelles e Washington


Sdh - A Mickey Finn at the Nemo Point Hotel


Veniamo dunque a quelli che la band stessa definisce gli ingredienti: si comincia con due pezzi fragorosi in stile Touch and Go come The Ponytail e Nothing Keep You Sound, per passare poi a Shut Up!
@Musica Agorà

iyezine.com/sdh-a-mickey-finn-…

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In Cina e Asia – La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, in Cina


In Cina e Asia – La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, in Cina yellen cina
I titoli di oggi: La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, arriva in Cina Corea del Sud: pessimismo tra i medici dopo i colloqui con Yoon Cina, revisioni delle politiche dei prestiti auto per stimolare la domanda Delegazione cinese a Tonga per instaurare una cooperazione tra forze di polizia La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, arriva in Cina Giovedì ...

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«Nulla può aiutare l’Ucraina». Kiev rischia il collasso


I comandi militari di Kiev temono che le linee difensive possano collassare se i russi concentreranno l'offensiva in un unico punto. La Nato corre ai ripari ma potrebbe essere troppo tardi L'articolo «Nulla può aiutare l’Ucraina». Kiev rischia il collass

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 5 aprile 2024 – «Più a lungo va avanti la guerra, più territorio guadagnerà la Russia… anche Odessa cadrà» ha vaticinato nei giorni scorsi il Tycoon statunitense Elon Musk.

Dopo aver preso atto del fallimento della controffensiva delle forze armate ucraine, che tante aspettative aveva generato, l’inverno scorso il presidente Zelensky aveva ordinato la fortificazione della linea del fronte per impedire l’avanzata russa, ma a distanza di alcuni mesi le operazioni procedono speditamente soltanto a nord, mentre a est e a sud sono in forte ritardo. Nei primi tre mesi del 2024 le truppe di Mosca hanno così conquistato circa 400 kmq di territori ucraini, soprattutto nel Donbass.

La Russia avanza
La pressione delle forze armate russe sulle linee e sulle città ucraine è continua e a Kiev neanche il forzato ottimismo di Zelensky – sempre più alternato a cupe profezie di sventura – riesce più a contrastare il fatalismo non solo della popolazione ma anche di politici e militari.

I due paesi continuano a lanciare droni e missili contro obiettivi avversari, causando danni ingenti e vittime. Il 22 e 29 marzo due massicci attacchi russi hanno gravemente danneggiato cinque centrali termoelettriche, riducendo la produzione di elettricità dell’80%. Nei giorni scorsi, ondate di bombardamenti sono state lanciate contro diverse infrastrutture – e obiettivi civili – da Kharkiv a Sumy fino ad Odessa.

L’Ucraina continua a voler coinvolgere i territori russi nei combattimenti, ed ha colpito nei giorni scorsi alcuni impianti industriali, tra i quali una fabbrica di droni e una grande raffineria di petrolio, nella lontana repubblica del Tatarstan, a quasi 1200 km di distanza dal confine. Ma difficilmente la crescente capacità ucraina di colpire ripetutamente obiettivi nemici così in profondità invertirà l’andamento del conflitto se i paesi occidentali non riusciranno a riprendere presto e in maniera massiccia i rifornimenti di armi e munizioni.

La Nato vuole un fondo da 100 miliardi
Mentre su iniziativa della Repubblica Ceca i paesi europei si stanno impegnando nell’acquisto collettivo di 1,5 milioni di munizioni, il vertice dei Ministri degli Esteri della Natoa Bruxelles si è concentrato sulla proposta avanzata dal segretario generale Jens Stoltenberg di dar vita ad un fondo pluriennale da 100 miliardi di dollari a favore dell’Ucraina.

L’intento dell’iniziativa, neanche troppo celato, è vincolare gli Stati Unitia finanziare lo sforzo bellico nei prossimi cinque anni anche nel caso in cui le prossime elezioni presidenziali dovessero essere vinte da Donald Trump, che non ha mai fatto mistero di considerare prioritario lo scontro con la Cina piuttosto che con la Russia. Occorrerà attendere il vertice dell’Alleanza Atlantica previsto a Washington dal 9 all’11 luglio per capire se la proposta sarà approvata e se diventerà operativa in tempi celeri. Ma, ammessoche nelle prossime settimane si trovi un accordo, potrebbe essere troppo tardi.

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La linea del fronte al 2 aprile 2024

«Non c’è nulla che possa aiutare l’Ucraina»
Tra gli alti ufficiali di Kiev, in particolare tra quelli che hanno servito il comandante delle forze armate Valery Zaluznhy prima che a febbraio Zelensky lo rimuovesse, si diffonde il timore che il fronte possa cedere da un momento all’altro, quando i comandi di Mosca decidessero di concentrare l’offensiva su un settore delle attuali linee ucraine. «Non c’è nulla che possa aiutare l’Ucraina adesso perché non esistono tecnologie in grado di compensare Kiev per la grande massa di truppe che la Russia scaglierà contro di noi. Noi non disponiamo di queste tecnologie e neanche l’Occidente le possiede in numero sufficiente» hanno affermato le fonti militari interpellate dal giornalista di “Politico” Jamie Dettmer.

Se anche il Congresso di Washington riuscisse finalmente ad approvare, bypassando il blocco eretto dai repubblicani, il pacchetto da 60 miliardi di finanziamenti per Kiev, i massicci aiuti non consentirebbero comunque all’Ucraina di invertire la tendenza sul campo, favorevole ormai da mesi a Mosca grazie alla netta superiorità russa in fatto di truppe e mezzi. Le truppe russe continuano da mesi, seppur lentamente, a rosicchiare terreno agli avversari che difficilmente Kiev potrà recuperare, ma la lenta avanzata di Mosca potrebbe rappresentare solo il prologo, la rincorsa di un disastroso sfondamento.

Anche la consegna a Kiev, prevista in estate, di una dozzina di caccia F-16, sicuramente non sarà risolutiva; «ogni arma ha il suo momento giusto. Gli F-16 erano necessari nel 2023; non saranno adatti per il 2024» secondo un alto ufficiale ucraino citato da Politico.

A Kiev mancano truppe fresche
Anche se, dopo un anno di scontri e polemiche, Zelensky ha finalmente firmato la legge che abbassa l’età della coscrizione obbligatoria da 27 a 25 anni, difficilmente il presidente e il suo governo premeranno l’acceleratore sulla mobilitazione delle truppe, anche se secondo Zaluznhy a Kiev servirebbero almeno 500 mila nuovi combattenti. Si tratta infatti di una misura fortemente impopolare e gli attuali vertici dello stato ucraino non vogliono perdere troppi consensi sbattendo al fronte un consistente numero di giovani.

Non a caso il provvedimento firmato da Zelensky prevede che si possa essere arruolati già a 25 anni ma che fino ai 27 non si possa essere inviati a combattere, mentre un’altra legge, che riduce i casi in cui i richiamati hanno diritto all’esenzione, rimane impantanata alla Rada sotto una valanga di 4 mila emendamenti.

La scorsa settimana il generale Oleksandr Syrsky – che ha sostituito Zaluznhy al vertice degli apparati militari – ha addirittura affermato che l’Ucraina non ha bisogno di un numero consistente di truppe fresche e che può “arrangiarsi” spostando al fronte qualche migliaio di militari e di volontari finora impiegati in ruoli amministrativi o non combattenti, seppur dopo un addestramento intensivo che non può durare meno di quattro mesi.

I comandi militari ucraini temono il collasso
La sortita del nuovo pupillo di Zelensky ha suscitato lo sconcerto e la rabbia di una parte dei comandi militari di Kiev, convinti che il fronte rischi di collassare già nelle prossime settimane non solo a causa della scarsità dei rifornimenti – soprattutto di munizioni per l’artiglieria e di sistemi di difesa antiaerea – ma anche della mancanza di rimpiazzi per i soldati impegnati nei combattimenti, in certi casi anche da due anni, falcidiati da varie decine di migliaia di caduti e da un numero ancora maggiore di feriti.

Se alla fine di marzo il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin aveva affermato che la Russia era in difficoltà a causa dell’alto numero di perdite tra le proprie truppe, nei giorni scorsi il vicesegretario di Stato Kurt Campbell ha invece assicurato che Mosca ha «quasi completamente ricostituito» le proprie forze armate. Pagine Esteri

14252099* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, El Salto Diario e Berria

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Il procuratore Gratteri :“dark web, la nuova frontiera della mafia


Al Palazzo di Vetro dell’ONU, giovedì 4 aprile si è tenuta la conferenza: “Le sfide imposte dalla criminalità organizzata nell’era dell’intelligenza artificiale e di internet”, promossa dalla Fondazione Magna Grecia, in collaborazione con la Rappresentanza Permanente d’Italia alle Nazioni Unite. Partecipava un relatore d’eccezione: il magistrato Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica a Napoli. Con lui anche il Prof. Antonio Nicaso, esperto accademico di criminalità organizzata alla Queen’s University in Canada, Ronald J. Clark, CEO di Spartan Strategy & Risk Management e anche vice sottosegretario per la Protezione Nazionale presso il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, Arthur J. Gajarsa, giudice di circoscrizione della Corte d’Appello del Circuito Federale degli Stati Uniti (R.E.T.), il magistrato Antonello Colosimo, presidente della Camera Regionale dei Conti, l’on. Saverio Romano, parlamentare italiano e presidente della Commissione per le semplificazioni e l’on Giorgio Silli, Sottosegretario agli Esteri.
Nino Foti, presidente della Fondazione Magna Grecia, ha aperto i lavori presentando la sua fondazione che opera da 40 anni.
Il Prof. Nicaso ha detto che soprattutto la mafia italo-americana, quelle “delle cinque famiglie newyorchesi, sta scomparendo proprio per la sua lentezza nell’adattarsi, rispetto alle altre mafie nel mondo, all’utilizzo del web”.
Gratteri ha parlato di “dark web, la nuova frontiera della mafia e quindi anche dell’antimafia”. Gratteri ha sottolineato che mentre le mafie si muovono velocemente, le istituzioni rimangono indietro nel contrasto all’uso delle nuove tecnologie. Con la “forte accelerazione delle mafie all’interno del #darkweb, queste sono in grado di fare transazioni per tonnellate di cocaina, armi da guerra, prostituzione, commerciano in oro, comprano isole…”. “L’Italia negli ultimi dieci anni ha fatto passi indietro rispetto a paesi come Germania, Olanda e Belgio, che ora devono aiutarci e ci passano informazioni”.

👉 lavocedinewyork.com/onu/2024/0…



Weekly Chronicles #70


Trittico di Crudités: sorveglianza digitale, monetaria e fisica.

Questo è il numero #70 di Privacy Chronicles, la newsletter che ti spiega l’Era Digitale: sorveglianza di massa e privacy, sicurezza dei dati, nuove tecnologie e molto altro.

Cronache della settimana

  • Il Chatcontrol si farà
  • CBDC: dalla Germania arrivano le linee guida tecniche
  • Anche le cuffiette diventano strumento di sorveglianza passiva

Lettere Libertarie

  • La favola dei diritti

Rubrica OpSec

  • Come scovare le telecamere nascoste

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Il Chatcontrol si farà


Dopo un tira e molla durato anni, è arrivata la notizia: il Chatcontrol si farà, e il testo sarà più o meno quello originale — cioè il peggiore. Per chi fosse arrivato da poco su queste pagine, o per chi avesse bisogno di una rinfrescata alla memoria, sto parlando di un prossimo regolamento europeo (Chatcontrol per gli amici) che catapulterà l’Unione Europea direttamente nell’Olimpo della sorveglianza di massa; più di Cina e Stati Uniti messi insieme.

Il Chatcontrol è lo strumento con cui l’Unione Europea dice di voler combattere la diffusione di materiale pedopornografico online. In realtà l’idea arriva da più lontano e neanche dall’UE, ma da un accordo internazionale siglato dai Five Eyes. Ma di questo, ne ho già parlato.

Per combattere la diffusione di materiale pedopornografico obbligheranno le piattaforme online e i servizi di comunicazione a sorvegliare attivamente tutto il traffico, le chat e i contenuti media inviati dagli utenti. Nel caso in cui uno degli innumerevoli algoritmi di sorveglianza beccasse un contenuto potenzialmente pedopornografico, partirebbero le segnalazioni alle autorità. Citando proprio il testo di legge:

If providers of hosting services and providers of interpersonal communications services have identified a risk of the service being used for the purpose of online child sexual abuse, they shall take all reasonable mitigation measures…


Quali sono queste “reasonable mitigation measures”, di nuovo, ce lo spiega la legge:

  • adattare i sistemi di moderazione (sia umani che automatizzati) per aumentare il rispetto dei termini e condizioni dei servizi
  • rinforzare la supervisione dell’uso dei sistemi
  • cooperare con le autorità, anche di spontanea iniziativa
  • introdurre funzionalità per consentire agli utenti di segnalare materiale pedopornografico

Ma la vera ciccia arriva adesso.

Oltre a queste misure, le piattaforme e servizi di comunicazione saranno obbligati a sviluppare e installare nei loro servizi delle tecnologie, approvate dalla Commissione Europea, in grado di identificare materiali potenzialmente pedopornografici diffusi attraverso i loro canali di comunicazione o piattaforme. In parole povere: sistemi di sorveglianza automatizzata di tutte le comunicazioni, pronti a scovare materiale potenzialmente illecito.

Anche di questo ne ho parlato molto, affrontando anche altri diversi punti critici (come il potenziale tasso di errore di questi sistemi). Rinvio all’articolo di approfondimento:

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CBDC: dalla Germania arrivano le linee guida tecniche


Mentre negli Stati Uniti ci sono addirittura proposte di legge per vietare il dollaro digitale, sembra invece che in UE il processo sia ormai inarrestabile. Così, anche la Germania inizia a muoversi sul fronte CBDC (euro digitale), grazie a un contributo del Federal Office for Information Security.

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#70


“Lavender”: La macchina di intelligenza artificiale che dirige i bombardamenti di Israele su Gaza


L'esercito israeliano ha contrassegnato decine di migliaia di gazawi come sospetti da assassinare, utilizzando un sistema di puntamento basato sull’intelligenza artificiale con scarsa supervisione umana e una politica permissiva per le vittime, rivelano +

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Di Yuval Abraham – +972 Local Call 3 aprile 2024

(traduzione di Federica Riccardi)

Nel 2021, un libro intitolato “The Human-Machine Team: How to Create Synergy Between Human and Artificial Intelligence That Will Revolutionize Our World” (Come creare una sinergia tra intelligenza umana e artificiale che rivoluzionerà il nostro mondo) è stato pubblicato in inglese dietro lo pseudonimo di “Brigadier General Y.S.”. In esso l’autore – un uomo che, come abbiamo confermato, è l’attuale comandante dell’unità d’élite israeliana 8200 – sostiene la necessità di progettare una macchina speciale in grado di elaborare rapidamente enormi quantità di dati per generare migliaia di potenziali “bersagli” da colpire in guerra. Tale tecnologia, scrive, risolverebbe quello che ha descritto come un “collo di bottiglia umano sia per la localizzazione dei nuovi obiettivi che per il processo decisionale di approvazione degli stessi”.

Una macchina del genere, a quanto pare, esiste davvero. Una nuova inchiesta di +972 Magazine e Local Call rivela che l’esercito israeliano ha sviluppato un programma basato sull’intelligenza artificiale noto come “Lavender”, svelato qui per la prima volta. Secondo sei ufficiali dell’intelligence israeliana, che hanno tutti prestato servizio nell’esercito durante l’attuale guerra contro la Striscia di Gaza e sono stati coinvolti in prima persona nell’uso dell’IA per generare obiettivi da assassinare, Lavender ha svolto un ruolo centrale nei bombardamenti senza precedenti contro i palestinesi, soprattutto durante le prime fasi della guerra. Infatti, secondo le fonti, la sua influenza sulle operazioni militari è stata tale da indurre i militari a trattare i risultati della macchina IA “come se si trattasse di una decisione umana”.

Formalmente, il sistema Lavender è progettato per contrassegnare tutti i sospetti operativi delle ali militari di Hamas e della Jihad islamica palestinese (JIP), anche quelli di basso rango, come potenziali obiettivi di attentati. Le fonti hanno riferito a +972 e Local Call che, durante le prime settimane di guerra, l’esercito si è affidato quasi completamente a Lavender, che ha registrato ben 37.000 palestinesi come sospetti militanti – e le loro case – per possibili attacchi aerei.

Durante le prime fasi della guerra, l’esercito diede ampia approvazione agli ufficiali per l’adozione delle liste di bersagli di Lavender, senza alcun obbligo di verificare a fondo il motivo per cui la macchina aveva fatto quelle scelte o di esaminare i dati di intelligence grezzi su cui si basavano. Una fonte ha dichiarato che il personale umano spesso serviva solo come “timbro di garanzia” per le decisioni della macchina, aggiungendo che, di solito, dedicava personalmente solo “20 secondi” a ciascun obiettivo prima di autorizzare un bombardamento – solo per assicurarsi che l’obiettivo contrassegnato da Lavender fosse di sesso maschile. Questo nonostante si sappia che il sistema commette quelli che vengono considerati “errori” in circa il 10% dei casi, e che è noto per contrassegnare occasionalmente individui che hanno solo un legame debole con i gruppi militanti, o nessun legame.

Inoltre, l’esercito israeliano ha sistematicamente attaccato le persone prese di mira mentre si trovavano nelle loro case – di solito di notte, mentre erano presenti tutte le loro famiglie – piuttosto che durante le attività militari. Secondo le fonti, questo avveniva perché, da quello che consideravano un punto di vista di intelligence, era più facile localizzare gli individui nelle loro case private. Altri sistemi automatizzati, tra cui uno chiamato “Where’s Daddy?” (Dov’è papà?), anch’esso rivelato qui per la prima volta, sono stati utilizzati specificamente per rintracciare gli individui presi di mira ed effettuare attentati quando erano entrati nelle loro residenze familiari.

Il risultato, come testimoniato dalle fonti, è che migliaia di palestinesi – la maggior parte dei quali donne e bambini o persone non coinvolte nei combattimenti – sono stati spazzati via dagli attacchi aerei israeliani, soprattutto nelle prime settimane di guerra, a causa delle decisioni del programma di IA.

“Non ci interessava uccidere gli operativi [di Hamas] solo quando si trovavano in un edificio militare o erano impegnati in un’attività militare”, ha dichiarato A., un ufficiale dell’intelligence, a +972 e Local Call. “Al contrario, l’IDF li ha bombardati nelle loro case senza esitazione, come prima opzione. È molto più facile bombardare la casa di una famiglia. Il sistema è costruito per cercarli in queste situazioni”.

La macchina Lavender si aggiunge a un altro sistema di intelligenza artificiale, “The Gospel”, le cui informazioni sono state rivelate in una precedente indagine di +972 e Local Call nel novembre 2023, oltre che nelle pubblicazioni dell’esercito israeliano. Una differenza fondamentale tra i due sistemi è nella definizione del bersaglio: mentre il Gospel contrassegna gli edifici e le strutture da cui, secondo l’esercito, operano i militanti, Lavender contrassegna le persone – e le inserisce in una lista di obiettivi da uccidere.

Inoltre, secondo le fonti, quando si trattava di colpire i presunti militanti junior segnalati da Lavender, l’esercito preferiva usare solo “dumb bombs”, comunemente noti come bombe non-guidate (in contrasto con le bombe di precisione “intelligenti”), che possono distruggere interi edifici con i loro occupanti e causare vittime significative. “Non si vogliono sprecare bombe costose per persone non importanti – è molto costoso per il Paese e c’è una carenza [di queste bombe]”, ha detto C., uno degli ufficiali dell’intelligence. Un’altra fonte ha dichiarato di aver autorizzato personalmente il bombardamento di “centinaia” di case private di presunti agenti minori segnalati da Lavender, con molti di questi attacchi che hanno ucciso civili e intere famiglie come “danni collaterali”.

In una mossa senza precedenti, secondo due delle fonti, l’esercito ha anche deciso durante le prime settimane di guerra che, per ogni giovane agente di Hamas contrassegnato da Lavender, era permesso uccidere fino a 15 o 20 civili; in passato, l’esercito non autorizzava alcun “danno collaterale” per l’assassinio di militanti di basso rango. Le fonti hanno aggiunto che, nel caso in cui l’obiettivo fosse un alto funzionario di Hamas con il grado di comandante di battaglione o di brigata, l’esercito ha autorizzato in diverse occasioni l’uccisione di più di 100 civili per l’assassinio di un singolo comandante.

La seguente indagine è organizzata secondo le sei fasi cronologiche della produzione di bersagli altamente automatizzati da parte dell’esercito israeliano nelle prime settimane della guerra di Gaza. In primo luogo, spieghiamo la macchina Lavender stessa, che ha marcato decine di migliaia di palestinesi utilizzando l’intelligenza artificiale. In secondo luogo, riveliamo il sistema Where’s Daddy? , che traccia questi obiettivi e segnala all’esercito quando entrano nelle case famigliari. In terzo luogo, descriviamo come sono state scelte le bombe non-guidate per colpire queste case.

In quarto luogo, spieghiamo come l’esercito abbia ampliato il numero di civili che potevano essere uccisi durante il bombardamento di un obiettivo. In quinto luogo, notiamo come un software automatico abbia calcolato in modo impreciso la quantità di non combattenti in ogni famiglia. In sesto luogo, mostriamo come in diverse occasioni, quando una casa è stata colpita, di solito di notte, l’obiettivo individuale a volte non era affatto all’interno, perché gli ufficiali militari non verificano le informazioni in tempo reale.

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FASE 1: GENERAZIONE DI OBIETTIVI

Una volta che si passa all’automatismo, la generazione dei bersagli impazzisce”.

Nell’esercito israeliano, il termine “bersaglio umano” si riferiva in passato a un agente militare di alto livello che, secondo le regole del Dipartimento di diritto internazionale dell’esercito, può essere ucciso nella sua casa privata anche se ci sono civili nei dintorni. Fonti dell’intelligence hanno riferito a +972 e a Local Call che durante le precedenti guerre israeliane, poiché si trattava di un modo “particolarmente brutale” di uccidere qualcuno – spesso uccidendo un’intera famiglia insieme al bersaglio – questi obiettivi umani erano contrassegnati con molta attenzione e solo i comandanti militari di alto livello venivano bombardati nelle loro case, per mantenere il principio di proporzionalità previsto dal diritto internazionale.

Ma dopo il 7 ottobre – quando i militanti guidati da Hamas hanno lanciato un assalto mortale contro le comunità israeliane meridionali, uccidendo circa 1.200 persone e sequestrandone 240 – l’esercito, secondo le fonti, ha adottato un approccio radicalmente diverso. Nell’ambito dell’operazione “Iron Swords”, l’esercito ha deciso di designare tutti gli operativi dell’ala militare di Hamas come obiettivi umani, indipendentemente dal loro grado o dalla loro importanza militare. E questo ha cambiato tutto.

La nuova politica ha posto anche un problema tecnico all’intelligence israeliana. Nelle guerre precedenti, per autorizzare l’assassinio di un singolo obiettivo umano, un ufficiale doveva passare attraverso un complesso e lungo processo di “incriminazione”: controllare le prove che la persona fosse effettivamente un membro di alto livello dell’ala militare di Hamas, scoprire dove viveva, I suoi contatti e infine sapere quando era a casa in tempo reale. Quando l’elenco dei bersagli era composto solo da poche decine di alti funzionari, il personale dell’intelligence poteva gestire individualmente il lavoro necessario per incriminarli e localizzarli.

Tuttavia, una volta che l’elenco è stato ampliato per includere decine di migliaia di agenti di grado inferiore, l’esercito israeliano ha pensato di doversi affidare a software automatizzati e all’intelligenza artificiale. Il risultato, testimoniano le fonti, è stato che il ruolo del personale umano nell’incriminare i palestinesi come agenti militari è stato messo da parte e l’IA ha svolto la maggior parte del lavoro. Secondo quattro delle fonti che hanno parlato con +972 e Local Call, Lavender – che è stato sviluppato per creare obiettivi umani nella guerra in corso – ha contrassegnato circa 37.000 palestinesi come sospetti “militanti di Hamas”, la maggior parte dei quali giovani, da assassinare (il portavoce dell’IDF ha negato l’esistenza di tale lista di obiettivi da uccidere in una dichiarazione a +972 e Local Call).

“Non sapevamo chi fossero i giovani operativi, perché Israele non li rintracciava abitualmente [prima della guerra]”, ha spiegato l’ufficiale superiore B. a +972 e Local Call, spiegando la ragione dietro lo sviluppo di questa particolare macchina di bersagli per la guerra in corso. “Volevano permetterci di attaccare [gli agenti minori] automaticamente. Questo è il Santo Graal. Una volta che si passa all’automatismo, la generazione dei bersagli impazzisce”.

Le fonti hanno detto che l’approvazione per l’adozione automatica degli elenchi di uccisioni di Lavender, che in precedenza era stato usato solo come strumento ausiliario, è stata concessa circa due settimane dopo l’inizio della guerra, dopo che il personale dell’intelligence ha controllato “manualmente” l’accuratezza di un campione casuale di diverse centinaia di obiettivi selezionati dal sistema di intelligenza artificiale. Quando tale campione ha rilevato che i risultati di Lavender avevano raggiunto un’accuratezza del 90% nell’identificare l’affiliazione di un individuo ad Hamas, l’esercito ha autorizzato l’uso generalizzato del sistema. Da quel momento, le fonti hanno detto che se Lavender decideva che un individuo era un militante di Hamas, veniva chiesto loro di trattarlo essenzialmente come un ordine, senza alcun obbligo di verificare in modo indipendente perché la macchina avesse fatto quella scelta o di esaminare i dati grezzi di intelligence su cui si era basata.

“Alle 5 del mattino, [l’aviazione] avrebbe bombardato tutte le case che avevamo contrassegnato”, ha detto B.. “Abbiamo fatto fuori migliaia di persone. Non le abbiamo esaminate una per una – abbiamo inserito tutto in sistemi automatici, e non appena uno [degli individui contrassegnati] era in casa, diventava immediatamente un obiettivo. Abbiamo bombardato lui e la sua casa”.

“È stato molto sorprendente per me che ci sia stato chiesto di bombardare una casa per uccidere un soldato semplice, la cui importanza nei combattimenti era così bassa”, ha detto una fonte sull’uso dell’IA per marcare presunti militanti di basso rango. “Ho soprannominato questi obiettivi “bersagli spazzatura”. Tuttavia, li trovavo più etici degli obiettivi che bombardavamo solo per “deterrenza”: torri residenziali evacuate e abbattute solo per causare distruzione”.

I risultati mortali di questo allentamento delle restrizioni nella fase iniziale della guerra sono stati sconcertanti. Secondo i dati del Ministero della Sanità palestinese a Gaza, su cui l’esercito israeliano ha fatto affidamento quasi esclusivamente dall’inizio della guerra, Israele ha ucciso circa 15.000 palestinesi – quasi la metà del bilancio delle vittime finora – nelle prime sei settimane di guerra, fino a quando non è stato concordato un cessate il fuoco di una settimana il 24 novembre.

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Più informazioni e varietà ci sono, meglio è”.

Il software Lavender analizza le informazioni raccolte sulla maggior parte dei 2,3 milioni di residenti della Striscia di Gaza attraverso un sistema di sorveglianza di massa, quindi valuta e classifica la probabilità che ogni particolare persona sia attiva nell’ala militare di Hamas o della JIP. Secondo le fonti, la macchina assegna a quasi ogni singola persona di Gaza un punteggio da 1 a 100, esprimendo la probabilità che sia un militante.

Lavender impara a identificare le caratteristiche degli operativi noti di Hamas e della JIP, le cui informazioni sono state fornite alla macchina come dati di addestramento, e poi a individuare queste stesse caratteristiche tra la popolazione generale, hanno spiegato le fonti. Un individuo che presenta diverse caratteristiche incriminanti raggiunge un punteggio elevato e diventa automaticamente un potenziale bersaglio per l’assassinio.

In “The Human-Machine Team”, il libro citato all’inizio di questo articolo, l’attuale comandante dell’Unità 8200 sostiene la necessità di un sistema di questo tipo senza fare riferimento a Lavender. (Anche il comandante stesso non viene nominato, ma cinque fonti dell’8200 hanno confermato che il comandante è l’autore, come riportato anche da Haaretz). Descrivendo il personale umano come un “collo di bottiglia” che limita la capacità dell’esercito durante un’operazione militare, il comandante si lamenta: “Noi [uomini] non possiamo elaborare così tante informazioni. Non importa quante persone siano incaricate di produrre obiettivi durante la guerra: non si riesce comunque a produrre abbastanza obiettivi al giorno”.

La soluzione a questo problema, dice, è l’intelligenza artificiale. Il libro offre una breve guida alla costruzione di una “macchina per obiettivi”, simile nella descrizione a Lavender, basata sull’IA e su algoritmi di apprendimento automatico. La guida contiene diversi esempi delle “centinaia e migliaia” di caratteristiche che possono aumentare il rating di un individuo, come l’appartenenza a un gruppo Whatsapp con un militante noto, il cambio di cellulare ogni pochi mesi e il cambio frequente di indirizzo.

“Più informazioni e più varie sono, meglio è”, scrive il comandante. “Informazioni visive, informazioni cellulari, connessioni ai social media, informazioni sul campo di battaglia, contatti telefonici, foto”. Mentre gli esseri umani selezionano queste caratteristiche all’inizio, continua il comandante, col tempo la macchina arriverà a identificarle da sola. Questo, dice, può consentire alle forze armate di creare “decine di migliaia di obiettivi”, mentre la decisione effettiva se attaccarli o meno rimarrà umana.

Il libro non è l’unica occasione in cui un comandante israeliano di alto livello ha accennato all’esistenza di macchine per identificare obiettivi umani come Lavender. +972 e Local Call hanno ottenuto il filmato di una conferenza privata tenuta dal comandante del centro segreto di Data Science e IA dell’Unità 8200, il “Colonnello Yoav”, alla settimana dell’IA dell’Università di Tel Aviv nel 2023, di cui hanno parlato i media israeliani.

Nella conferenza, il comandante parla di una nuova e sofisticata macchina bersaglio utilizzata dall’esercito israeliano che individua “persone pericolose” in base alla loro somiglianza con le liste esistenti di militanti noti su cui è stata addestrata. “Usando il sistema, siamo riusciti a identificare i comandanti delle squadre missilistiche di Hamas”, ha detto il “Col. Yoav” nella conferenza, riferendosi all’operazione militare israeliana del maggio 2021 a Gaza, quando la macchina è stata usata per la prima volta.

Le diapositive di presentazione della conferenza, ottenute anche da +972 e Local Call, contengono illustrazioni di come funziona la macchina: viene alimentata con dati su operativi di Hamas esistenti, impara a notare le loro caratteristiche e poi valuta altri palestinesi in base a quanto sono simili ai militanti.

“Classifichiamo i risultati e determiniamo la soglia [per attaccare un obiettivo]”, ha detto il “Col. Yoav” nella conferenza, sottolineando che “alla fine sono le persone in carne e ossa a prendere le decisioni”. Nel settore della difesa, dal punto di vista etico, poniamo molta enfasi su questo aspetto. Questi strumenti sono pensati per aiutare [gli agenti dell’intelligence] a rompere le loro barriere”.

In pratica, tuttavia, le fonti che hanno utilizzato Lavender negli ultimi mesi dicono che la capacità umana e la precisione sono state sminuite per la creazione di bersagli di massa e l’aumento della letalità.

Non c’era una politica di “zero errori”.

B., un ufficiale superiore che utilizzava Lavender, ha dichiarato a +972 e Local Call che nella guerra in corso gli ufficiali non erano tenuti a rivedere in modo indipendente le valutazioni del sistema di intelligenza artificiale, per risparmiare tempo e consentire la produzione di massa di obiettivi umani senza ostacoli.

“Tutto era statistico, tutto era ordinato – era molto asciutto”, ha detto B.. Ha osservato che questa mancanza di supervisione è stata permessa nonostante i controlli interni mostrassero che i calcoli di Lavender erano considerati accurati solo il 90% delle volte; in altre parole, si sapeva in anticipo che il 10% degli obiettivi umani destinati all’assassinio non erano affatto membri dell’ala militare di Hamas.

Ad esempio, le fonti hanno spiegato che la macchina Lavender a volte segnalava erroneamente individui che avevano modelli di comunicazione simili a quelli di operativi noti di Hamas o della JIP – tra cui lavoratori della polizia e della protezione civile, parenti di militanti, residenti che avevano un nome e un soprannome identici a quelli di un operativo e gazawi che usavano un dispositivo appartenuto ad un operativo di Hamas.

“Quanto deve essere vicina una persona ad Hamas per essere [considerata da una macchina IA come] affiliata all’organizzazione?”, ha chiesto una fonte critica dell’imprecisione di Lavender. “È un confine vago. Una persona che non riceve uno stipendio da Hamas, ma che lo aiuta in ogni genere di cose, è un agente di Hamas? Una persona che ha fatto parte di Hamas in passato, ma che oggi non ne fa più parte, è un operativo di Hamas? Ognuna di queste caratteristiche – caratteristiche che una macchina segnalerebbe come sospette – è inaccurata”.

Problemi simili esistono per quanto riguarda la capacità delle macchine di valutare il telefono utilizzato da un individuo segnalato per l’assassinio. “In guerra, i palestinesi cambiano continuamente telefono”, ha detto la fonte. “Le persone perdono i contatti con le loro famiglie, danno il loro telefono a un amico o alla moglie, magari lo perdono. Non c’è modo di affidarsi al 100% al meccanismo automatico che determina quale numero [di telefono] appartiene a chi”.

Secondo le fonti, l’esercito sapeva che la minima supervisione umana in atto non avrebbe scoperto questi difetti. “Non c’era una politica di ‘zero errori’. Gli errori venivano trattati statisticamente”, ha detto una fonte che ha usato Lavender. “A causa della portata e dell’ampiezza, il protocollo prevedeva che anche se non si è sicuri che la macchina sia precisa, si sa che statisticamente va bene. Quindi si va avanti”.

“Si è dimostrato valido”, ha detto B., la fonte più anziana. “C’è qualcosa nell’approccio statistico che ti impone una certa norma e un certo standard. C’è stata una quantità illogica di [attentati] in questa operazione. A mia memoria, non ha precedenti. Ho molta più fiducia in un meccanismo statistico che in un soldato che ha perso un amico due giorni fa. Tutti, me compreso, hanno perso delle persone il 7 ottobre. La macchina lo ha fatto freddamente. E questo ha reso tutto più facile”.

Un’altra fonte dell’intelligence, che ha difeso l’utilizzo delle liste di uccisioni di sospetti palestinesi generate da Lavender, ha sostenuto che valeva la pena investire il tempo di un ufficiale dell’intelligence solo per verificare le informazioni se l’obiettivo era un alto comandante di Hamas. “Ma quando si tratta di un giovane militante, non si vuole investire manodopera e tempo”, ha detto. “In guerra, non c’è tempo per incriminare ogni obiettivo. Quindi si è disposti ad accettare il margine di errore dell’uso dell’intelligenza artificiale, rischiando danni collaterali e la morte di civili, rischiando di attaccare per errore, e a conviverci”.

  1. ha detto che la ragione di questa automazione era una spinta costante a generare più obiettivi da assassinare. “In un giorno senza obiettivi [il cui rating era sufficiente per autorizzare un attacco], abbiamo attaccato a una soglia più bassa. Ci facevano costantemente pressione: ‘Portateci più obiettivi’. Ci urlavano davvero contro. Abbiamo finito di [uccidere] i nostri obiettivi molto rapidamente”.

Ha spiegato che quando si abbassava la soglia di valutazione di Lavender, questo segnava un maggior numero di persone come obiettivi per gli attacchi. “Al suo apice, il sistema è riuscito a generare 37.000 persone come potenziali obiettivi umani”, ha detto B. “Ma i numeri cambiavano in continuazione, perché dipende da dove si fissa la soglia della determinazione di chi fosse un agente di Hamas. Ci sono stati momenti in cui un agente di Hamas è stato definito in modo più ampio, e poi la macchina ha iniziato a portarci tutti i tipi di personale della protezione civile, ufficiali di polizia, su cui sarebbe un peccato sprecare bombe. Aiutano il governo di Hamas, ma non mettono in pericolo i soldati”.

Una fonte che ha lavorato con il team di analisti militari che ha addestrato Lavender ha detto che nella macchina sono stati inseriti anche i dati raccolti dai dipendenti del Ministero della Sicurezza Interna gestito da Hamas, che lui non considera militanti. “Mi ha infastidito il fatto che, quando Lavender è stato addestrato, hanno usato il termine ‘agente di Hamas’ in modo generico, includendo nel set di dati dell’addestramento anche persone che lavoravano nella difesa civile”, ha detto.

La fonte ha aggiunto che, anche se si ritiene che queste persone meritino di essere uccise, l’addestramento del sistema basato sui loro profili ha reso più probabile che Lavender selezioni per errore i civili quando i suoi algoritmi vengono applicati alla popolazione generale. “Poiché si tratta di un sistema automatico che non viene gestito manualmente dagli esseri umani, il significato di questa decisione è drammatico: significa che si stanno includendo molte persone con un profilo civile come potenziali obiettivi”.

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Abbiamo solo controllato che l’obiettivo fosse un uomo”.

L’esercito israeliano respinge categoricamente queste affermazioni. In una dichiarazione rilasciata a +972 e Local Call, il portavoce dell’IDF ha negato l’uso dell’intelligenza artificiale per incriminare gli obiettivi, affermando che si tratta solo di “strumenti ausiliari che assistono gli ufficiali nel processo di incriminazione”. La dichiarazione ha proseguito: “In ogni caso, è necessario un esame indipendente da parte di un analista [dell’intelligence], che verifichi che gli obiettivi identificati siano obiettivi legittimi da attaccare, in conformità con le condizioni stabilite dalle direttive dell’IDF e dal diritto internazionale”.

Tuttavia, le fonti hanno detto che l’unico protocollo di supervisione umana in vigore prima di bombardare le case dei sospetti militanti “junior” contrassegnati da Lavender è stato quello di condurre un unico controllo: assicurarsi che l’obiettivo selezionato dall’IA sia maschio e non femmina. Il presupposto nell’esercito era che se l’obiettivo era una donna, la macchina aveva probabilmente commesso un errore, perché non ci sono donne tra i ranghi delle ali militari di Hamas e della JIP.

“Un essere umano doveva [verificare l’obiettivo] solo per pochi secondi”, ha detto B., spiegando che questo è diventato il protocollo dopo aver capito che il sistema Lavender “ci azzeccava” la maggior parte delle volte. “All’inizio facevamo dei controlli per assicurarci che la macchina non si confondesse. Ma a un certo punto ci siamo affidati al sistema automatico e ci siamo limitati a controllare che [il bersaglio] fosse un uomo: era sufficiente. Non ci vuole molto tempo per capire se qualcuno ha una voce maschile o femminile”.

Per effettuare il controllo maschio/femmina, B. ha affermato che nella guerra in corso “investirei 20 secondi per ogni obiettivo in questa fase, e ne potrei fare decine ogni giorno. Non avevo alcun valore aggiunto come essere umano, se non quello di dare un timbro di approvazione. Si risparmiava un sacco di tempo. Se [l’agente] si presentava nel meccanismo automatico, e io controllavo che fosse un uomo, avrei avuto il permesso di bombardarlo, previo esame dei danni collaterali”.

In pratica, secondo le fonti, ciò significava che per gli uomini civili segnalati per errore da Lavender, non esisteva alcun meccanismo di supervisione per rilevare l’errore. Secondo B., un errore comune si verificava “se l’obiettivo [di Hamas] dava [il suo telefono] a suo figlio, a suo fratello maggiore o a un uomo a caso. Quella persona sarà bombardata in casa sua con la sua famiglia. Questo accadeva spesso. Questi erano la maggior parte degli errori causati da Lavender”, ha detto B..

FASE 2: COLLEGARE GLI OBIETTIVI ALLE CASE DELLE FAMIGLIE

La maggior parte delle persone uccise erano donne e bambini”.

La fase successiva della procedura di assassinio dell’esercito israeliano consiste nell’identificare dove attaccare gli obiettivi generati da Lavender.

In una dichiarazione rilasciata a +972 e Local Call, il portavoce dell’IDF ha affermato, in risposta a questo articolo, che “Hamas colloca i suoi operativi e i suoi mezzi militari nel cuore della popolazione civile, usa sistematicamente la popolazione civile come scudi umani e conduce i combattimenti dall’interno di strutture civili, compresi siti sensibili come ospedali, moschee, scuole e strutture delle Nazioni Unite. L’IDF è vincolato e agisce secondo il diritto internazionale, dirigendo i suoi attacchi solo verso obiettivi militari e operativi militari”.

Le sei fonti con cui abbiamo parlato hanno fatto in parte eco a questo, affermando che il vasto sistema di tunnel di Hamas passa deliberatamente sotto ospedali e scuole; che i militanti di Hamas usano le ambulanze per spostarsi; e che innumerevoli mezzi militari sono stati situati vicino a edifici civili. Le fonti hanno sostenuto che molti attacchi israeliani uccidono civili a causa di queste tattiche di Hamas – una caratterizzazione che, come ammoniscono le organizzazioni per i diritti umani, eluderebbe la responsabilità di Israele nel causare le perdite.

Tuttavia, in contrasto con le dichiarazioni ufficiali dell’esercito israeliano, le fonti hanno spiegato che una delle ragioni principali del numero di vittime senza precedenti dell’attuale bombardamento israeliano è il fatto che l’esercito ha sistematicamente attaccato gli obiettivi nelle loro case private, insieme alle loro famiglie – in parte perché era più facile, dal punto di vista dell’intelligence, contrassegnare le case delle famiglie utilizzando sistemi automatizzati.

In effetti, diverse fonti hanno sottolineato che, a differenza dei numerosi casi di operativi di Hamas impegnati in attività militari da aree civili, nel caso di attacchi sistematici di assassinio, l’esercito ha regolarmente fatto la scelta consapevole di bombardare sospetti militanti all’interno di case civili da cui non si svolgeva alcuna attività militare. Questa scelta, hanno detto, è un riflesso del modo in cui è stato progettato il sistema di sorveglianza di massa di Israele a Gaza.

Le fonti hanno riferito a +972 e Local Call che, poiché ogni persona a Gaza ha una casa privata a cui può essere associata, i sistemi di sorveglianza dell’esercito possono facilmente e automaticamente “collegare” gli individui alle case di famiglia. Per identificare in tempo reale il momento in cui gli agenti entrano nelle loro case, sono stati sviluppati diversi software automatici aggiuntivi. Questi programmi tracciano migliaia di individui simultaneamente, identificano quando sono in casa e inviano un allarme automatico all’ufficiale di puntamento, che poi contrassegna la casa per il bombardamento. Uno di questi software di tracciamento, rivelato qui per la prima volta, si chiama Dov’è papà?.

“Si inseriscono centinaia di obiettivi nel sistema e si aspetta di vedere chi si può uccidere”, ha detto una fonte a conoscenza del sistema. “Si chiama caccia ampia: si fa copia-incolla dalle liste che il sistema di obiettivi produce”.

La prova di questa politica è evidente anche dai dati: durante il primo mese di guerra, più della metà delle vittime – 6.120 persone – apparteneva a 1.340 famiglie, molte delle quali sono state completamente spazzate via mentre si trovavano all’interno delle loro case, secondo i dati delle Nazioni Unite. La percentuale di intere famiglie bombardate nelle loro case nell’attuale guerra è molto più alta rispetto all’operazione israeliana del 2014 a Gaza (che è stata in precedenza la guerra più letale di Israele sulla Striscia), suggerendo ulteriormente la prevalenza di questa politica.

Un’altra fonte ha detto che ogni volta che il ritmo degli assassinii diminuiva, venivano aggiunti altri obiettivi a sistemi come Where’s Daddy? per individuare gli individui che entravano nelle loro case e che quindi potevano essere bombardati. Ha detto che la decisione di chi inserire nei sistemi di localizzazione poteva essere presa da ufficiali di grado relativamente basso nella gerarchia militare.

“Un giorno, di mia spontanea volontà, ho aggiunto qualcosa come 1.200 nuovi obiettivi al sistema [di tracciamento], perché il numero di attacchi [che stavamo conducendo] era diminuito”, ha detto la fonte. “Per me aveva senso. A posteriori, sembra una decisione seria quella che ho preso. E tali decisioni non venivano prese ad alti livelli”.

Le fonti hanno detto che nelle prime due settimane di guerra, “diverse migliaia” di obiettivi sono stati inizialmente inseriti in programmi di localizzazione come Where’s Daddy? Tra questi c’erano tutti i membri dell’unità d’élite delle forze speciali di Hamas, la Nukhba, tutti gli operativi anticarro di Hamas e chiunque fosse entrato in Israele il 7 ottobre. Ma in breve tempo la lista delle vittime è stata drasticamente ampliata.

“Alla fine si trattava di tutti coloro che erano stati contrassegnati da Lavender”, ha spiegato una fonte. “Decine di migliaia. Questo è successo poche settimane dopo, quando le brigate [israeliane] sono entrate a Gaza, e c’erano già meno persone non coinvolte [cioè civili] nelle aree settentrionali”. Secondo questa fonte, anche alcuni minorenni sono stati contrassegnati da Lavender come obiettivi per i bombardamenti. “Di solito gli agenti hanno più di 17 anni, ma questa non era una condizione”.

Lavender e sistemi come Where’s Daddy? sono stati quindi combinati con effetto letale, uccidendo intere famiglie, secondo le fonti. Aggiungendo un nome dagli elenchi generati da Lavender al sistema di localizzazione domiciliare Where’s Daddy? , ha spiegato A., la persona contrassegnata sarebbe stata posta sotto sorveglianza continua e avrebbe potuto essere attaccata non appena avesse messo piede nella propria abitazione, facendo crollare la casa su tutti coloro che vi si trovavano all’interno.

“Diciamo che si calcola [che ci sia un] agente di Hamas più 10 [civili in casa]”, ha detto A.. “Di solito, questi 10 sono donne e bambini. Quindi, per assurdo, si capisce che la maggior parte delle persone uccise erano donne e bambini”.

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FASE 3: LA SCELTA DELL’ARMA

Di solito eseguivamo gli attacchi con “bombe non-guidate””.

Una volta che Lavender ha contrassegnato un bersaglio per l’assassinio, che il personale dell’esercito ha verificato che si tratta di un uomo e che il software di localizzazione ha individuato l’obiettivo nella sua casa, la fase successiva è la scelta della munizione con cui bombardarlo.

Nel dicembre 2023, la CNN ha riportato che, secondo le stime dell’intelligence statunitense, circa il 45% delle munizioni utilizzate dall’aviazione israeliana a Gaza erano bombe non-guidate, note per causare più danni collaterali rispetto a quelle guidate. In risposta al rapporto della CNN, un portavoce dell’esercito citato nell’articolo ha dichiarato: “Come esercito impegnato a rispettare il diritto internazionale e un codice di condotta morale, stiamo dedicando vaste risorse per ridurre al minimo i danni ai civili che Hamas ha costretto al ruolo di scudi umani. La nostra guerra è contro Hamas, non contro la popolazione di Gaza”.

“È stato così con tutti gli obiettivi junior”, ha testimoniato C., che ha utilizzato diversi programmi automatizzati nella guerra in corso. “L’unica domanda era: è possibile attaccare l’edificio in termini di danni collaterali? Perché di solito eseguivamo gli attacchi con bombe non-guidate, e questo significava distruggere letteralmente l’intera casa insieme ai suoi occupanti. Ma anche se un attacco viene evitato, non ci si preoccupa: si passa immediatamente all’obiettivo successivo. Grazie al sistema, gli obiettivi non finiscono mai. Ce ne sono altri 36.000 in attesa”.

FASE 4: AUTORIZZARE LE VITTIME CIVILI

Attaccavamo quasi senza considerare i danni collaterali

Una fonte ha affermato che quando si attaccavano gli agenti minori, compresi quelli contrassegnati dai sistemi di intelligenza artificiale come Lavender, il numero di civili che potevano uccidere insieme a ciascun obiettivo era fissato, durante le prime settimane di guerra, a un massimo di 20. Un’altra fonte ha affermato che il numero indicato era fino a 15. Questi “livelli di danni collaterali”, come li chiamano i militari, sono stati applicati in modo ampio a tutti i sospetti militanti minori, hanno detto le fonti, indipendentemente dal loro rango, importanza militare ed età, e senza un esame specifico caso per caso per soppesare il vantaggio militare di ucciderli rispetto al danno previsto per i civili.

Secondo A., che è stato ufficiale in una sala operativa durante l’attuale guerra, il dipartimento di diritto internazionale dell’esercito non ha mai dato una “approvazione così ampia” per I livelli di danni collaterali. “Non è solo che si può uccidere qualsiasi persona che sia un soldato di Hamas, il che è chiaramente permesso e legittimo in termini di diritto internazionale”, ha detto A.. “Ma loro ti dicono direttamente: ‘Ti è permesso ucciderli insieme a molti civili’.

“Ogni persona che indossava un’uniforme di Hamas nell’ultimo anno o due poteva essere bombardata con 20 [civili uccisi come] danno collaterale, anche senza un permesso speciale”, ha continuato A.. “In pratica, il principio di proporzionalità non esisteva”.

Secondo A., questa è stata la politica per la maggior parte del tempo in cui ha prestato servizio. Solo in seguito i militari hanno abbassato il livello di danni collaterali. “In questo calcolo, potevano essere anche 20 bambini per un agente junior… In passato non era proprio così”, ha spiegato A.. Alla domanda sulle motivazioni di sicurezza alla base di questa politica, A. ha risposto: “Letalità”.

Il livello di danni collaterali predeterminato e fisso ha contribuito ad accelerare la creazione di massa di obiettivi utilizzando la macchina Lavender, hanno detto le fonti, perché ha fatto risparmiare tempo. B. ha affermato che il numero di civili che potevano essere uccisi nella prima settimana di guerra per ogni sospetto militante junior marcato dall’IA era di quindici, ma che questo numero “è andato su e giù” nel tempo.

“All’inizio abbiamo attaccato quasi senza considerare i danni collaterali”, ha detto B. della prima settimana dopo il 7 ottobre. “In pratica, non si contavano le persone [in ogni casa bombardata], perché non si riusciva a capire se fossero in casa o meno”. Dopo una settimana sono iniziate le restrizioni sui danni collaterali. Il numero è sceso [da 15] a cinque, il che ha reso molto difficile per noi attaccare, perché se l’intera famiglia era in casa, non potevamo bombardarla. Poi hanno alzato di nuovo il numero”.

Sapevamo che avremmo ucciso più di 100 civili

Le fonti hanno riferito a +972 e Local Call che ora, in parte a causa delle pressioni americane, l’esercito israeliano non genera più in massa obiettivi umani junior da bombardare nelle case dei civili. Il fatto che la maggior parte delle case nella Striscia di Gaza fossero già distrutte o danneggiate, e che quasi tutta la popolazione fosse sfollata, ha anche compromesso la capacità dell’esercito di affidarsi a database di intelligence e a programmi automatici di localizzazione delle case.

  1. ha affermato che il bombardamento massiccio dei militanti junior ha avuto luogo solo nelle prime due settimane di guerra, e poi è stato interrotto principalmente per non sprecare bombe. “C’è un’economia delle munizioni”, ha detto E.. “Hanno sempre avuto paura che ci fosse [una guerra] nell’arena settentrionale [con Hezbollah in Libano]. Non attaccano più questo tipo di persone [junior]”.

Tuttavia, gli attacchi aerei contro i comandanti di alto livello di Hamas sono ancora in corso e le fonti hanno detto che, per questi attacchi, l’esercito sta autorizzando l’uccisione di “centinaia” di civili per ogni obiettivo – una politica ufficiale per la quale non ci sono precedenti storici in Israele, o anche nelle recenti operazioni militari statunitensi.

“Nel bombardamento del comandante del Battaglione Shuja’iya, sapevamo che avremmo ucciso più di 100 civili”, ha ricordato B. a proposito del bombardamento del 2 dicembre che, secondo il portavoce dell’IDF, aveva come obiettivo l’assassinio di Wisam Farhat. “Per me, psicologicamente, è stato insolito. Più di 100 civili – questo supera una certa linea rossa”.

Amjad Al-Sheikh, un giovane palestinese di Gaza, ha raccontato che molti membri della sua famiglia sono stati uccisi in quel bombardamento. Residente a Shuja’iya, a est di Gaza City, quel giorno si trovava in un supermercato locale quando ha sentito cinque esplosioni che hanno mandato in frantumi le vetrate.

“Sono corso a casa della mia famiglia, ma non c’erano più edifici”, ha raccontato Al-Sheikh a +972 e Local Call. “La strada era piena di urla e fumo. Interi isolati residenziali si sono trasformati in montagne di macerie e fosse profonde. La gente ha iniziato a cercare nel cemento, usando le mani, e anch’io ho cercato segni della casa della mia famiglia”.

La moglie e la figlioletta di Al-Sheikh sono sopravvissute – protette dalle macerie da un armadio caduto sopra di loro – ma ha trovato altri 11 membri della sua famiglia, tra cui le sorelle, i fratelli e i loro figli piccoli, morti sotto le macerie. Secondo il gruppo per i diritti umani B’Tselem, quel giorno il bombardamento ha distrutto decine di edifici, ucciso decine di persone e sepolto centinaia di persone sotto le rovine delle loro case.

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Intere famiglie sono state uccise

Fonti dell’intelligence hanno dichiarato a +972 e Local Call di aver preso parte ad attacchi ancora più letali. Per assassinare Ayman Nofal, il comandante della Brigata Centrale di Gaza di Hamas, una fonte ha detto che l’esercito ha autorizzato l’uccisione di circa 300 civili, distruggendo diversi edifici in attacchi aerei sul campo profughi di Al-Bureij il 17 ottobre, sulla base di una localizzazione imprecisa di Nofal. Le immagini satellitari e i video della scena mostrano la distruzione di diversi alti edifici di appartamenti a più piani.

“Nell’attacco sono state spazzate via tra le 16 e le 18 case”, ha dichiarato Amro Al-Khatib, un residente del campo, a +972 e Local Call. “Non riuscivamo a distinguere un appartamento dall’altro, erano tutti confusi tra le macerie e abbiamo trovato parti di corpi umani ovunque”.

In seguito, Al-Khatib ha ricordato che sono stati estratti dalle macerie 50 cadaveri e circa 200 feriti, molti dei quali gravi. Ma questo era solo il primo giorno. I residenti del campo hanno trascorso cinque giorni a tirare fuori i morti e i feriti, ha detto.

Nael Al-Bahisi, un paramedico, è stato uno dei primi ad arrivare sul posto. Ha contato tra le 50-70 vittime in quel primo giorno. “A un certo punto abbiamo capito che l’obiettivo dell’attacco era il comandante di Hamas Ayman Nofal”, ha detto a +972 e Local Call. “Hanno ucciso lui e anche molte persone che non sapevano fosse lì. Sono state uccise intere famiglie con bambini”.

Un’altra fonte dell’intelligence ha dichiarato a +972 e Local Call che l’esercito ha distrutto una torre residenziale a Rafah a metà dicembre, uccidendo “decine di civili”, per cercare di eliminare Mohammed Shabaneh, il comandante della Brigata Rafah di Hamas (non è chiaro se sia stato ucciso o meno nell’attacco). Spesso, ha detto la fonte, gli alti comandanti si nascondono in tunnel che passano sotto edifici civili, e quindi la scelta di assassinarli con un attacco aereo uccide necessariamente dei civili.

“La maggior parte dei feriti erano bambini”, ha dichiarato Wael Al-Sir, 55 anni, che ha assistito all’attacco su larga scala che alcuni gazawi ritengono sia stato un tentativo di assassinio. Ha dichiarato a +972 e Local Call che il bombardamento del 20 dicembre ha distrutto “un intero isolato residenziale” e ucciso almeno 10 bambini.

“C’era una politica completamente permissiva riguardo alle vittime delle operazioni [di bombardamento] – così permissiva che a mio parere aveva un elemento di vendetta”, ha affermato D., una fonte di intelligence. “Il fulcro di questa politica era l’assassinio di alti comandanti [di Hamas e della JIP] per i quali erano disposti a uccidere centinaia di civili. Avevamo un calcolo: quanti per un comandante di brigata, quanti per un comandante di battaglione e così via”.

“C’erano dei regolamenti, ma erano molto indulgenti”, ha detto E., un’altra fonte dell’intelligence. “Abbiamo ucciso persone con danni collaterali a due cifre, se non a tre cifre. Sono cose che non erano mai successe prima”.

Un tasso così elevato di “danni collaterali” è eccezionale non solo rispetto a ciò che l’esercito israeliano considerava accettabile in precedenza, ma anche rispetto alle guerre condotte dagli Stati Uniti in Iraq, Siria e Afghanistan.

Il generale Peter Gersten, vicecomandante per le operazioni e l’intelligence nell’operazione di lotta all’ISIS in Iraq e Siria, ha dichiarato a una rivista di difesa statunitense nel 2021 che un attacco con danni collaterali di 15 civili si discostava dalla procedura; per portarlo a termine, ha dovuto ottenere un permesso speciale dal capo del Comando centrale degli Stati Uniti, il generale Lloyd Austin, che ora è segretario alla Difesa.

“Con Osama Bin Laden, si aveva un NCV (Non-combatant Casualty Value) di 30, ma se si aveva un comandante di basso livello, il suo NCV era tipicamente zero”, ha detto Gersten. “Per molto tempo abbiamo avuto un valore pari a zero”.

Ci è stato detto: “Bombardate tutto quello che potete”.

Tutte le fonti intervistate per questa indagine hanno affermato che i massacri di Hamas del 7 ottobre e il rapimento degli ostaggi hanno influenzato notevolmente la politica di attacco dell’esercito e i livelli di danni collaterali ritenuti accettabili. “All’inizio l’atmosfera era dolorosa e vendicativa”, ha detto B., che è stato arruolato nell’esercito subito dopo il 7 ottobre e ha prestato servizio in una sala operativa. “Le regole erano molto indulgenti. Hanno abbattuto quattro edifici quando sapevano che l’obiettivo era in uno di essi. Era una follia”.

“C’era una dissonanza: da un lato, la gente qui era frustrata perché non stavamo attaccando abbastanza”, ha continuato B.. “Dall’altro, alla fine della giornata si vede che sono morti altri mille gazawi, la maggior parte dei quali civili”.

“C’era isteria nei ranghi professionali”, ha detto D., anche lui arruolato subito dopo il 7 ottobre. “Non avevano la minima idea di come reagire. L’unica cosa che sapevano fare era bombardare come pazzi per cercare di smantellare le capacità di Hamas”.

  1. ha sottolineato che non gli è stato detto esplicitamente che l’obiettivo dell’esercito è la “vendetta”, ma ha espresso che “non appena ogni obiettivo collegato ad Hamas diventa legittimo, e con l’approvazione di quasi tutti i danni collaterali, è chiaro che migliaia di persone saranno uccise”. Anche se ufficialmente ogni obiettivo è collegato ad Hamas, quando la politica è così permissiva, perde ogni significato”.
  2. ha anche usato la parola “vendetta” per descrivere l’atmosfera all’interno dell’esercito dopo il 7 ottobre. “Nessuno ha pensato a cosa fare dopo, quando la guerra sarà finita, o a come sarà possibile vivere a Gaza e cosa ne faranno”, ha detto A.. “Ci è stato detto: ora dobbiamo distruggere Hamas, a qualunque costo. Tutto ciò che si può, si bombarda”.

B., la fonte senior dell’intelligence, ha detto che, a posteriori, ritiene che questa politica “sproporzionata” di uccidere i palestinesi a Gaza metta in pericolo anche gli israeliani, e che questo è stato uno dei motivi per cui ha deciso di farsi intervistare.

“Nel breve termine siamo più sicuri, perché abbiamo danneggiato Hamas. Ma credo che a lungo termine saremo meno sicuri. Vedo come tutte le famiglie in lutto a Gaza – che sono quasi tutte – aumenteranno la motivazione per cui [le persone si uniranno] ad Hamas tra 10 anni. E sarà molto più facile per [Hamas] reclutarli”.

In una dichiarazione rilasciata a +972 e Local Call, l’esercito israeliano ha smentito gran parte di quanto raccontato dalle fonti, sostenendo che “ogni obiettivo viene esaminato singolarmente, mentre viene fatta una valutazione individuale del vantaggio militare e dei danni collaterali attesi dall’attacco… L’IDF non esegue azioni quando i danni collaterali attesi dall’attacco sono eccessivi rispetto al vantaggio militare”.

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Medics transport an injured Palestinian child into Al-Shifa hospital in Gaza City following an Israeli airstrike on October 11, 2023, as raging battles between Israel and the Hamas movement continued for the fifth consecutive day. Medical supplies, including oxygen, were running low at Gaza’s overwhelmed Al-Shifa hospital as the death toll from five days of ferocious fighting between Hamas and Israel rose sharply on October 11 with Israel keeping up its bombardment of Gaza after recovering the dead from the last communities near the border where Palestinian militants had been holed up. Photo by Atia Darwish apaimages

FASE 5: IL CALCOLO DEI DANNI COLLATERALI

Il modello non era collegato alla realtà

Secondo le fonti di intelligence, il calcolo da parte dell’esercito israeliano del numero di civili che si prevedeva venissero uccisi in ogni casa dove c’era un obiettivo – una procedura esaminata in una precedente indagine di +972 e Local Call – è stato condotto con l’aiuto di strumenti automatici e imprecisi. Nelle guerre precedenti, il personale dell’intelligence dedicava molto tempo a verificare quante persone si trovassero in una casa destinata a essere bombardata, e il numero di civili suscettibili di essere uccisi veniva elencato come parte di un “dossier obiettivo”. Dopo il 7 ottobre, tuttavia, questa verifica approfondita è stata ampiamente abbandonata a favore dell’automazione.

In ottobre, il New York Times ha riportato di un sistema gestito da una base speciale nel sud di Israele, che raccoglie informazioni dai telefoni cellulari nella Striscia di Gaza e fornisce ai militari una stima in tempo reale del numero di palestinesi fuggiti dal nord della Striscia di Gaza verso sud. Il generale di brigata Udi Ben Muha ha dichiarato al Times che “non è un sistema perfetto al 100% – ma fornisce le informazioni necessarie per prendere una decisione”. Il sistema funziona in base ai colori: il rosso indica le aree in cui ci sono molte persone, mentre il verde e il giallo indicano le aree che sono state relativamente liberate dai residenti.

Le fonti che hanno parlato con +972 e Local Call hanno descritto un sistema simile per il calcolo dei danni collaterali, utilizzato per decidere se bombardare un edificio a Gaza. Hanno detto che il software calcolava il numero di civili che risiedevano in ogni casa prima della guerra – valutando le dimensioni dell’edificio e rivedendo la lista dei residenti – e poi riduceva questi numeri per la percentuale di residenti che presumibilmente avevano evacuato il quartiere.

Per esempio, se l’esercito stimava che la metà dei residenti di un quartiere se ne fosse andata, il programma avrebbe contato una casa che di solito aveva 10 residenti come una casa con cinque persone. Per risparmiare tempo, hanno detto le fonti, l’esercito non ha controllato le case per verificare quante persone vi abitassero effettivamente, come aveva fatto in precedenti operazioni, per scoprire se la stima del programma fosse effettivamente accurata.

“Questo modello non era collegato alla realtà”, ha affermato una fonte. “Non c’era alcun collegamento tra coloro che si trovavano nella casa ora, durante la guerra, e coloro che erano indicati come abitanti della casa prima della guerra. [In un’occasione] abbiamo bombardato una casa senza sapere che all’interno c’erano diverse famiglie, nascoste insieme”.

La fonte ha detto che, sebbene l’esercito sapesse che tali errori potevano verificarsi, questo modello impreciso è stato comunque adottato, perché era più veloce. Per questo motivo, ha detto la fonte, “il calcolo dei danni collaterali era completamente automatico e statistico” – producendo anche cifre che non erano intere.

FASE 6: BOMBARDARE LA CASA DI UNA FAMIGLIA

Avete ucciso una famiglia senza motivo

Le fonti che hanno parlato con +972 e Local Call hanno spiegato che a volte c’era un notevole divario tra il momento in cui i sistemi di localizzazione come Where’s Daddy? avvisavano un ufficiale che un bersaglio era entrato in casa, e il bombardamento stesso – portando all’uccisione di intere famiglie anche senza colpire l’obiettivo dell’esercito. “Mi è capitato molte volte di attaccare un’abitazione, ma la persona non era nemmeno in casa”, ha detto una fonte. “Il risultato è che si è uccisa una famiglia senza motivo”.

Tre fonti dell’intelligence hanno raccontato a +972 e Local Call di aver assistito a un incidente in cui l’esercito israeliano ha bombardato l’abitazione privata di una famiglia, per poi scoprire che l’obiettivo dell’assassinio non era nemmeno all’interno della casa, poiché non erano state condotte ulteriori verifiche in tempo reale.

“A volte [l’obiettivo] era a casa prima, e poi la sera è andato a dormire da qualche altra parte, per esempio sottoterra, e non lo sapevi”, ha detto una delle fonti. Ci sono volte in cui si ricontrolla la posizione e altre in cui si dice semplicemente: “Ok, era in casa nelle ultime ore, quindi puoi bombardare””.

Un’altra fonte ha descritto un incidente simile che lo ha colpito e che lo ha spinto a farsi intervistare per questa indagine. “Abbiamo capito che l’obiettivo era tornato a casa alle 20. Alla fine l’aviazione ha bombardato la casa alle 3. Poi abbiamo scoperto che [in quel lasso di tempo] era riuscito a trasferirsi in un’altra casa con la sua famiglia. Nell’edificio che abbiamo bombardato c’erano altre due famiglie con bambini”.

Nelle guerre precedenti a Gaza, dopo l’uccisione di obiettivi umani, l’intelligence israeliana eseguiva procedure di valutazione dei danni da bomba (BDA) – un controllo di routine dopo l’attacco per verificare se il comandante senior fosse stato eliminato e quanti civili fossero stati uccisi insieme a lui. Come rivelato in una precedente indagine di +972 e Local Call, ciò comportava l’ascolto delle telefonate dei parenti che avevano perso i loro cari. Nella guerra attuale, tuttavia, almeno per quanto riguarda i militanti più giovani marcati con l’IA, le fonti affermano che questa procedura è stata abolita per risparmiare tempo. Le fonti hanno affermato di non sapere quanti civili siano stati effettivamente uccisi in ogni attacco e, per i sospetti militanti di Hamas e della JIP di basso rango contrassegnati dall’IA, non sanno nemmeno se il bersaglio stesso sia stato effettivamente ucciso.

“Non sai esattamente quanti ne hai uccisi e chi hai ucciso”, ha detto una fonte dell’intelligence a Local Call per una precedente inchiesta pubblicata a gennaio. “Solo quando si tratta di alti funzionari di Hamas si segue la procedura BDA. Nel resto dei casi, non ci si preoccupa. Si riceve un rapporto dall’aeronautica sul fatto che l’edificio sia stato fatto saltare in aria, e questo è tutto. Non si ha idea di quanti danni collaterali ci siano stati; si passa immediatamente all’obiettivo successivo. L’enfasi era quella di creare il maggior numero possibile di obiettivi, il più rapidamente possibile”.

Ma mentre l’esercito israeliano può andare avanti con ogni attacco senza soffermarsi sul numero di vittime, Amjad Al-Sheikh, il residente di Shuja’iya che ha perso 11 membri della sua famiglia nel bombardamento del 2 dicembre, ha detto che lui e i suoi vicini stanno ancora cercando i cadaveri.

“Fino ad ora ci sono corpi sotto le macerie”, ha detto. “Quattordici edifici residenziali sono stati bombardati con i loro residenti all’interno. Alcuni dei miei parenti e vicini sono ancora sepolti”.

­­­­­­­­­­­­­­­*Yuval Abraham è un giornalista e regista basato a Gerusalemme.

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L'articolo “Lavender”: La macchina di intelligenza artificiale che dirige i bombardamenti di Israele su Gaza proviene da Pagine Esteri.



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