Scientists filmed a bat family in their roost for months, capturing never-before-seen (and very cute) behaviors.#TheAbstract
«Se occupiamo Gaza, ostaggi giustiziati e Israele avrà il suo Vietnam. In Occidente avete scambiato Hamas per Che Guevara». Parla Michael Milstein, analista del Moshe Dayan Center di Tel Aviv
In un collegamento audio e video con il giornalista Antonino D’Anna di Radio Libertà l’esperto militare israeliano sostiene che la maggiore parte della popolazione sia contraria all’operazione Gaza.Fosca Bincher (Open)
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Candle Oscillator Really Heats Things Up
As the timebase for a clock, almost anything with a periodic oscillation can be used. Traditionally, that meant a pendulum, but in our time, we’ve seen plenty of others. Perhaps none as unusual as [Tim]’s candle flicker clock, though.
Candles are known for their flickering, a property of the wick and the fuel supply that candle manufacturers have gone to great lengths to mitigate. If you bring several of them together, they will have a significant flicker, with a surprisingly consistent 9.9 Hz frequency. This is the timebase for the clock, with the capacitance of the flame being sensed by a wire connected to a CH32 microcontroller, and processed to produce the required timing.
We like this project, and consider it a shame that it’s not an entry in our One Hertz Challenge. Oddly, though, it’s not the first candle-based oscillator we’ve seen; they can even be turned into active electronic devices.
Il generale Camporini e l’unico modo per trattare con Putin: «Perché l’Ucraina sarà sicura solo con i nostri soldati sul terreno»
Serve una catena di comando chiara da parte delle forze europee, spiega l'ex capo di stato maggiore dell'Aeronautica e della Difesa.Giovanni Ruggiero (Open)
ARMIAMOCI E PARTITE
@Informatica (Italy e non Italy 😁)
L’arcinota espressione “armiamoci e partite” è solitamente utilizzata per evidenziare in toni efficaci e scanzonati l’atteggiamento di si sottrae ai rischi di azioni...
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#DIFESA
Vent’anni di occupazione, vent’anni di complicità. Perché CasaPound è ancora lì
@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/08/ventann…
Da oltre vent’anni un palazzo dello Stato, in via Napoleone III a Roma, è occupato abusivamente.
Nel 2023 il tribunale di Roma ha condannato
Quando la VPN diventa una spia! FreeVPN.One cattura screenshot senza consenso
Gli esperti di Koi Security avvertono che il comportamento della popolare estensione per Chrome FreeVPN.One è recentemente cambiato. Ha iniziato a catturare segretamente screenshot delle attività degli utenti e a trasmetterli a un server remoto.
“Il caso FreeVPN.One illustra come un prodotto che tutela la privacy possa trasformarsi in una trappola”, hanno scritto i ricercatori.
“Gli sviluppatori dell’estensione sono verificati e l’estensione è stata persino consigliata dal Chrome Web Store. E mentre Chrome afferma di verificare la sicurezza delle nuove versioni delle estensioni tramite scansione automatica, revisioni manuali e monitoraggio di codice dannoso e modifiche comportamentali, in realtà nessuna di queste misure è stata d’aiuto. Questo caso dimostra che, anche con tali protezioni in atto, estensioni pericolose possono aggirarle e mette in luce gravi lacune di sicurezza nei principali store”.
Al momento della pubblicazione del rapporto dei ricercatori, l’estensione contava più di 100.000 installazioni ed era ancora disponibile nel Chrome Web Store.
Gli esperti affermano che dopo l’ultimo aggiornamento, FreeVPN.One ha iniziato a catturare screenshot in segreto, circa un secondo dopo il caricamento di ogni pagina. Gli screenshot vengono poi inviati a un server remoto (inizialmente trasmessi in chiaro, e dopo un ulteriore aggiornamento in forma crittografata).
I ricercatori affermano che il comportamento dell’estensione è cambiato nel luglio 2025. Prima di allora, gli sviluppatori avevano “preparato il terreno” con aggiornamenti minori che richiedevano autorizzazioni aggiuntive per accedere a tutti i siti e implementare script personalizzati.
È stato anche più o meno in questo periodo che l’estensione ha introdotto una sorta di rilevamento delle minacce basato sull’intelligenza artificiale.
Il Register ha chiesto agli sviluppatori di FreeVPN.one di commentare la situazione. Hanno risposto che la loro estensione “è pienamente conforme alle policy del Chrome Web Store e qualsiasi funzionalità relativa all’acquisizione di screenshot è descritta nell’informativa sulla privacy”. E hanno aggiunto “Tutti i dati raccolti vengono crittografati ed elaborati secondo le pratiche standard per le estensioni del browser. Ci impegniamo a garantire la trasparenza e la privacy degli utenti e vi invitiamo a leggere la nostra documentazione per maggiori dettagli”, hanno affermato gli sviluppatori.
In risposta alle accuse di Koi Security, i creatori di FreeVPN.one hanno affermato che gli screenshot vengono acquisiti come parte della funzione di scansione in background e solo “se il dominio appare sospetto”. L’azienda ha anche affermato che gli screenshot “non vengono salvati o utilizzati“, ma solo “analizzati brevemente per individuare potenziali minacce”.
I ricercatori hanno confutato questa ipotesi dimostrando che gli screenshot vengono acquisiti costantemente, anche quando si visitano domini attendibili, tra cui quelli di Google stesso.
La descrizione del prodotto menziona un “rilevamento avanzato delle minacce tramite intelligenza artificiale” che viene eseguito in background e “monitora costantemente i siti web che visiti e li scansiona visivamente se visiti una pagina sospetta“. Tuttavia, non specifica che “scansione visiva” significa acquisire costantemente screenshot e inviarli a un server remoto all’insaputa dell’utente.
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giardino-punk.it/le-mucche-se-…
L'antispecismo raccontato in versi, umani e non umani.
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Musk punta al Vibe Coding con Macrohard. Agenti AI per scrivere codice e competere con Microsoft
Elon Musk ha annunciato la creazione di una nuova azienda dal nome provocatorio Macrohard, destinata a diventare una concorrente diretta di Microsoft. Secondo Musk, il nome è ironico, ma il progetto in sé è piuttosto serio.
L’obiettivo principale di Macrohard è sviluppare software basato sull’intelligenza artificiale. L’azienda sarà collegata a un altro dei suoi progetti, xAI , per il quale è già stato creato il chatbot Grok. Musk ha spiegato che, poiché Microsoft e aziende simili non producono hardware fisico, le loro attività possono, in linea di principio, essere modellate dall’intelligenza artificiale.
xAI ha recentemente depositato una domanda di registrazione del marchio Macrohard presso l’Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti.
Il mese scorso, Musk ha parlato di piani per creare una “società di intelligenza artificiale multi-agent” in cui centinaia di agenti intelligenti specializzati programmerebbero, genererebbero e analizzerebbero immagini e video. Questi stessi agenti fungerebbero anche da utenti virtuali, testando i prodotti fino al raggiungimento di risultati ottimali.
Nel suo stile abituale, Musk ha definito il progetto una “macro sfida e un compito arduo con una forte concorrenza” e ha invitato gli abbonati a indovinarne il nome.
A quanto pare, si aspetta che Macrohard sia in grado di creare soluzioni software di alta qualità, paragonabili ai prodotti per ufficio di Microsoft, che a sua volta sta investendo attivamente nell’intelligenza artificiale generativa . Inoltre, Musk ha precedentemente menzionato la sua intenzione di utilizzare l’intelligenza artificiale per sviluppare videogiochi.
Per sviluppare il nuovo progetto, xAI utilizzerà il supercomputer Colossus di Memphis, la cui capacità sta gradualmente aumentando. Musk ha sottolineato che l’azienda prevede di acquistare milioni di processori grafici Nvidia di livello enterprise, mentre OpenAI, Meta e altri attori si contendono la leadership nell’intelligenza artificiale.
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Un fantasma si aggira per le Americhe
Un fantasma si aggira per le Americhe
La minaccia statunitense verso il Venezuela e l’intera America latina incombe. Viene denunciata la presenza marittima di una flotta statunitense della quale fa parte un sottomarino nucleare nelle acque dei Caraibi in viaggio verso il Sud del continen…www.altrenotizie.org
Solar Powered Pyrolysis Facility Converts Scrap Plastic into Fuel
[naturejab] shows off his solar powered pyrolysis machine which can convert scrap plastic into fuel. According to the video, this is the world’s most complex hand-made pyrolysis reactor ever made. We will give him some wiggle room there around “complex” and “hand-made”, because whatever else you have to say about it this machine is incredibly cool!
As you may know pyrolysis is a process wherein heat is applied to organic material in an inert environment (such as a vacuum) which causes the separation of its covalent bonds thereby causing it to decompose. In this case we decompose scrap plastic into what it was made from: natural gas and petroleum.
His facility is one hundred percent solar powered. The battery is a 100 kWh Komodo commercial power tank. He has in the order of twenty solar power panels laying in the grass behind the facility giving him eight or nine kilowatts. The first step in using the machine, after turning it on, is to load scrap plastic into it; this is done by means of a vacuum pump attached to a large flexible tube. The plastic gets pumped through the top chamber into the bottom chamber, which contains blades that help move the plastic through it. The two chambers are isolated by a valve — operating it allows either chamber to be pumped down to vacuum independently.
Once the plastic is in the main vacuum chamber, the eight active magnetrons — the same type of device you’d find in your typical microwave oven — begin to break down the plastic. As there’s no air in the vacuum chamber, the plastic won’t catch fire when it gets hot. Instead it melts, returning to petroleum and natural gas vapor which it was made from. Eventually the resultant vapor flows through a dephlegmator cooling into crude oil and natural gas which are stored separately for later use and further processing.
If you’re interested in pyrolysis you might like to read Methane Pyrolysis: Producing Green Hydrogen Without Carbon Emissions.
youtube.com/embed/aVKNu1hZOdE?…
RapperBot, la botnet DDoS è stata smantellata e arrestato il presunto sviluppatore
Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha incriminato il presunto sviluppatore e amministratore della botnet DDoS RapperBot, concessa in leasing a criminali informatici. La botnet stessa è stata sequestrata dalle forze dell’ordine all’inizio di agosto nell’ambito dell’operazione PowerOff.
RapperBot (noto anche come Eleven Eleven e CowBot) è stato scoperto per la prima volta dagli analisti di Fortinet nell’agosto 2021. All’epoca, si segnalava che la botnet basata su Mirai era attiva da maggio 2021 e aveva infettato decine di migliaia di videoregistratori digitali (DVR) e router.
La potenza degli attacchi DDoS effettuati con il suo ausilio variava da 2 a 6 Tbit/s. Inoltre, nel 2023, RapperBot è stato dotato di un modulo per il mining di criptovalute, poiché il suo operatore cercava di diversificare le fonti di reddito e aumentare i profitti derivanti dai dispositivi compromessi.
Come riportato ora dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, RapperBot è stato utilizzato per attaccare più di 18.000 obiettivi in 80 paesi, tra cui sistemi governativi statunitensi, importanti piattaforme mediatiche, aziende di gaming e tecnologiche.
Amazon Web Services (AWS), che ha aiutato le forze dell’ordine a tracciare l’infrastruttura di comando della botnet e ha fornito informazioni di intelligence, segnala che RapperBot ha effettuato oltre 370.000 attacchi solo da aprile 2025. Gli attacchi, che hanno coinvolto oltre 45.000 dispositivi compromessi in 39 paesi, hanno talvolta superato il miliardo di pacchetti al secondo (PPS).
Tali attacchi sono costati migliaia di dollari, anche se di breve durata, e spesso sono andati di pari passo con l’estorsione, ha affermato il Dipartimento di Giustizia.
Ethan Foltz, 22 anni, dell’Oregon, è stato ora accusato di aver creato la botnet. Si ritiene che abbia creato RapperBot e l’abbia affittata ad altri aggressori che hanno attaccato varie organizzazioni.
Foltz è stato accusato di favoreggiamento in reati informatici, pena massima di 10 anni di carcere in caso di condanna. Tuttavia, Foltz è attualmente libero e gli è stata notificata una citazione a comparire in tribunale in una data specifica.
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Il caso “Mia Moglie” e le sfide della responsabilità digitale tra privacy, revenge porn e ruolo delle piattaforme
La recente vicenda del gruppo Facebook “Mia Moglie”, attivo dal 2019 e popolato da oltre 32.000 iscritti, mette in luce una dinamica che intreccia violazione della privacy, pornografia non consensuale, misoginia sistemica e gravi interrogativi sul ruolo delle piattaforme digitali. In questo spazio gli utenti hanno condiviso fotografie di donne senza il loro consenso, spesso immagini rubate dalla vita quotidiana o scatti privati destinati esclusivamente a un partner, talvolta accompagnandole con commenti violenti ed esplicitamente sessisti.
Questi comportamenti non possono essere liquidati come goliardia online. Siamo di fronte a condotte che ledono la dignità delle persone coinvolte e che hanno una precisa rilevanza giuridica. Il reato di cosiddetto revenge porn si configurerebbe solo qualora fossero diffuse immagini intime o sessualmente esplicite senza il consenso della persona ritratta. Anche nel caso di immagini apparentemente innocue, come una foto in costume o un selfie domestico, la loro diffusione senza autorizzazione rimane comunque una violazione della riservatezza e un atto idoneo a produrre conseguenze devastanti sul piano personale e sociale.
La responsabilità delle piattaforme tra neutralità e potere
Il cuore della questione riguarda il ruolo delle piattaforme che ospitano gruppi e contenuti di questo tipo. In Europa, il principio consolidato fino all’entrata in vigore del Digital Services Act era quello della limitata responsabilità degli hosting provider, i quali non possono essere gravati da un obbligo generale di sorveglianza preventiva sui contenuti caricati dagli utenti. Questa impostazione aveva lo scopo di salvaguardare la libertà di espressione e di evitare che gli intermediari si trasformassero in giudici privati del lecito e dell’illecito.
Tuttavia, il caso “Mia Moglie” mostra quanto sia problematico mantenere una visione di assoluta neutralità delle piattaforme. Colossi come Meta non sono semplici strumenti tecnici di trasmissione di dati, ma veri e propri protagonisti dell’ecosistema informativo globale. Il loro potere economico e la loro capacità di influenzare il dibattito pubblico rendono difficile immaginare che possano limitarsi a un ruolo passivo. L’assenza di un’assunzione di responsabilità, anche solo proporzionata alla loro forza di mercato, si traduce in una sostanziale impunità rispetto agli effetti collaterali che i loro stessi servizi generano.
I limiti della tecnologia nella moderazione dei contenuti
Il caso dimostra anche le barriere intrinseche agli strumenti tecnologici di moderazione. Gli algoritmi di riconoscimento basati sull’intelligenza artificiale riescono a rilevare nudità esplicite e pornografia manifesta, ma non hanno la capacità di comprendere il contesto.
Una fotografia di una donna in spiaggia può sembrare un contenuto innocuo se analizzata da un software, mentre in realtà può costituire un episodio di diffusione abusiva e lesiva della riservatezza. Analogamente, i sistemi automatici faticano a distinguere tra un commento ironico e un’istigazione alla violenza. Ciò che per una macchina appare come linguaggio neutro può essere, per l’essere umano che legge, un messaggio gravemente minaccioso o degradante.
Questo limite tecnico è strutturale e non eliminabile, perché nessuna intelligenza artificiale può stabilire se un contenuto sia stato condiviso con il consenso della persona ritratta.
Per questo motivo, affidarsi unicamente ad algoritmi e sistemi automatizzati significa accettare inevitabili zone d’ombra e lasciare che molte violazioni restino invisibili. Una moderazione efficace non può prescindere dal contributo umano, da procedure di verifica affidabili e da un chiaro quadro giuridico che assegni compiti e responsabilità.
Un bilanciamento necessario tra libertà e responsabilità
Il dibattito non può essere ridotto a un’alternativa secca tra piattaforme totalmente irresponsabili e piattaforme trasformate in tribunali privati del web. La prospettiva più ragionevole consiste in un bilanciamento tra libertà di espressione e tutela dei diritti fondamentali.
Alcuni strumenti già individuati a livello normativo possono costituire un punto di partenza. Tra questi vi sono obblighi di trasparenza sulle politiche di moderazione, procedure di segnalazione semplici e rapide che consentano agli utenti di ottenere in tempi certi la rimozione dei contenuti abusivi, sistemi di auditing indipendenti per monitorare l’efficacia dei controlli e un principio di responsabilità graduata che tenga conto delle dimensioni economiche e del potere effettivo della piattaforma.
In questa prospettiva, non avrebbe senso imporre gli stessi oneri a una piccola realtà digitale e a un gigante globale come Meta o X. Tuttavia, ignorare il ruolo di chi trae profitti miliardari dalla condivisione di contenuti significherebbe rinunciare a uno degli strumenti più incisivi di prevenzione e contrasto della violenza online.
Verso una nuova cultura della responsabilità digitale
Il caso “Mia Moglie” ci restituisce l’immagine di un problema che non è soltanto giuridico, ma anche sociale e culturale. La violenza digitale non nasce negli algoritmi, ma nella mentalità di chi considera legittimo appropriarsi dell’intimità altrui per condividerla in spazi virtuali di complicità e voyeurismo.
La tecnologia può aiutare, ma non può sostituire una presa di coscienza collettiva. È necessario un approccio integrato che unisca il diritto penale e civile, l’assunzione di responsabilità delle piattaforme, la formazione digitale e una nuova educazione al rispetto nelle relazioni di genere.
La rete non è un territorio separato e senza regole. È parte integrante della vita reale e, come tale, deve essere governata da principi di responsabilità e tutela della persona.
Finché i grandi attori economici continueranno a presentarsi come soggetti neutrali, ogni misura resterà parziale. Finché la cultura diffusa non comprenderà che la privacy è un diritto fondamentale e non un ostacolo, ogni progresso sarà fragile.
L’episodio del gruppo “Mia Moglie” ci ricorda che la sfida della responsabilità digitale è uno dei nodi centrali del nostro tempo. Una sfida che chiama in causa il diritto, la politica, la tecnologia e soprattutto la società civile.
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Performance review 2025 per Google: meno bug, più vibe coding
Per i dipendenti di Google, “stare al passo con i tempi” significa non solo sviluppare l’intelligenza artificiale, ma anche essere in grado di utilizzarla ogni giorno. Negli ultimi mesi, l’azienda ha registrato una crescente pressione affinché i dipendenti utilizzassero strumenti di intelligenza artificiale nelle loro attività quotidiane per migliorare la produttività. Mentre Google e altri giganti della tecnologia come Microsoft spingono i limiti del possibile e cercano nuovi prodotti basati sull’intelligenza artificiale, vogliono che anche i loro dipendenti siano all’avanguardia.
A giugno, ad esempio, la vicepresidente dell’ingegneria Megan Kacholia ha inviato una lettera agli sviluppatori incoraggiandoli a utilizzare strumenti di intelligenza artificiale per migliorare il loro codice. Ha anche affermato che alcune descrizioni delle posizioni lavorative nel settore dell’ingegneria stavano per essere aggiornate per includere esplicitamente il requisito di risolvere i problemi utilizzando l’intelligenza artificiale.
E durante una riunione aziendale a luglio, il CEO Sundar Pichai ha trasmesso un messaggio più diretto: affinché Google vinca la gara, i dipendenti devono adottare l’intelligenza artificiale . Secondo due dipendenti che hanno ascoltato il discorso, Pichai ha sottolineato che i concorrenti avrebbero utilizzato l’intelligenza artificiale e Google deve tenere il passo.
Nel mezzo della competizione con OpenAI e altri, Google sta promuovendo i suoi modelli Gemini e lanciando programmi di formazione interna per incoraggiare i dipendenti a provare il vibe coding e altri strumenti di intelligenza artificiale per migliorare la produttività.
I manager chiedono sempre più spesso ai loro subordinati di dimostrare la loro “competenza in materia di intelligenza artificiale”. Diversi dipendenti, che hanno preferito rimanere anonimi, hanno dichiarato alla pubblicazione che i loro superiori chiedono loro di mostrare come utilizzano l’intelligenza artificiale nel loro lavoro quotidiano, dando per scontato che questo verrà preso in considerazione nelle valutazioni delle prestazioni. “è chiaro che senza l’intelligenza artificiale non si può andare avanti”, ha affermato un lavoratore.
“L’attenzione è ancora rivolta alla realizzazione dei piani”, ha affermato il venditore. “Ma se si utilizza l’intelligenza artificiale per creare nuovi flussi di lavoro utilizzabili da altri, è incoraggiante”. Un portavoce di Google, tuttavia, ha affermato che l’azienda incoraggia attivamente i dipendenti a utilizzare l’intelligenza artificiale nel loro lavoro quotidiano, ma che questa non è ufficialmente inclusa nei criteri di valutazione delle prestazioni .
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Back to the 90s on Real Hardware
As the march of time continues on, it becomes harder and harder to play older video games on hardware. Part of this is because the original hardware itself wears out, but another major factor is that modern operating systems, software, and even modern hardware don’t maintain support for older technology indefinitely. This is why emulation is so popular, but purists that need original hardware often have to go to extremes to scratch their retro gaming itch. This project from [Eivind], for example, is a completely new x86 PC designed for the DOS and early Windows 98 era.
The main problem with running older games on modern hardware is the lack of an ISA bus, which is where the sound cards on PCs from this era were placed. This build uses a Vortex86EX system-on-module, which has a processor running a 32-bit x86 instruction set. Not only does this mean that software built for DOS can run natively on this chip, but it also has this elusive ISA capability. The motherboard uses a Crystal CS4237B chip connected to this bus which perfectly replicates a SoundBlaster card from this era. There are also expansion ports to add other sound cards, including ones with Yamaha OPL chips.
Not only does this build provide a native hardware environment for DOS-era gaming, but it also adds a lot of ports missing from modern machines as well including a serial port. Not everything needs to be original hardware, though; a virtual floppy drive and microSD card reader make it easy to interface minimally with modern computers and transfer files easily. This isn’t the only way to game on new, native hardware, though. Others have done similar things with new computers built for legacy industrial applications as well.
Thanks to [Stephen] for the tip!
youtube.com/embed/ogHqmjn6sY4?…
freezonemagazine.com/news/per-…
Vogliamo ricordare una figura storica, che andrebbe forse definita come leggendaria del cantante folk, cantautore e archivista Joe Hickerson, scomparso domenica 17 agosto all’età di ottantanove anni. Hickerson è stato bibliotecario e direttore dell’Archivio delle canzoni popolari della Library of Congress dal 1963 al 1998, ha
Un articolo di @Peter Gleick che ho trovato su Internazionale.
È una recensione del libro di Glenn Adamson A century of tomorrows: how imagining the future shapes the present (Bloomsbury 2024).
I profeti del domani
Nel 1939, all’esposizione mondiale di New York, Albert Einstein fu invitato a scrivere un messaggio per la posterità da rinchiudere in una capsula del tempo e rileggere a distanza di cinquecento anni. “Chiunque pensi al futuro deve vivere nella paura e nel terrore”, fu la sua cupa risposta.
Tanta mestizia avrà sicuramente deluso lo sponsor, la Westinghouse electric corporation, che insieme ad altri campioni dell’industria statunitense presentava il tema dell’esposizione: il mondo di domani. La Ford motor company annunciava “la strada di domani”, la Borden dairy company presentava “il mondo caseario di domani”, mentre la General motors, la più famosa di tutte, aveva allestito il Futurama, dove i visitatori si mettevano in fila per fare un giro di diciotto minuti su un nastro trasportatore attraverso un paesaggio immaginario che mostrava le meraviglie che attendevano il mondo nel 1960. Il settimanale Life scrisse che l’esposizione era “piena di gente abbronzata e vigorosa, che in vent’anni ha imparato a divertirsi”. Uscendo, ogni visitatore riceveva una spilla con la scritta “Ho visto il futuro”. In realtà non era vero.
Einstein, ovviamente, pensava alla guerra imminente, come Thomas Mann, che nel suo messaggio per la capsula del tempo aveva scritto: “Oggi sappiamo che l’idea del futuro come ‘un mondo migliore’ era un inganno della dottrina del progresso”. Piuttosto imbarazzante, considerato che il progresso era il tema centrale di mille e più espositori della fiera. L’intera manifestazione celebrava il futuribile. I partecipanti sostenevano di “vendere idee”, non solo prodotti. Come osserva acutamente Glenn Adamson nel suo saggio A century of tomorrows (Un secolo di domani), si erano imbarcati in “una specie di futurologia”. La loro sfera di cristallo era a tinte rosa, la loro visione utopica. Al giorno d’oggi gli utopisti sono fuori moda, per usare un eufemismo.
Quella raccontata dall’esposizione mondiale era una storia bianca. Gli statunitensi neri erano invisibili, implicitamente omessi dagli “abbronzati e vigorosi” ed esplicitamente esclusi dalla forza lavoro della fiera se non come camerieri e facchini. La stampa bianca non aveva nulla da dire a riguardo, ma i militanti neri sì, tanto che organizzarono una contromanifestazione, la American negro exposition di Chicago, per celebrare il settantacinquesimo anniversario dell’emancipazione e proiettare una visione contrastante del futuro, radicata in una diversa consapevolezza del passato. Passando in rassegna gli artisti neri dai tempi della schiavitù al presente, la Exhibition of the art of the american negro metteva l’accento su un realismo sociale che andava “oltre lo spettacolo sgargiante e superficiale delle cose”, secondo le parole dello scrittore e filosofo Alain Locke. Alla mostra erano rappresentati i linciaggi e la fame. Si ricordava ai visitatori che il futuro non è una destinazione che aspetta il nostro arrivo, ma piuttosto, come scrive Adamson, “un perpetuo campo di battaglia d’idee”.
Il futuro annunciato all’esposizione di New York era un posto dove la tecnologia era compagna e aiutante dell’umanità. Partiva dal presupposto “che una macchina ben progettata e ben oliata, una volta messa in moto, non potesse che contribuire a creare un mondo migliore”, scrive Adamson. Alla contromanifestazione di Chicago, gli organizzatori davano voce a un altro tipo di futurologia, che si sviluppava parallelamente al pensiero meccanicistico, lo controbilanciava e in una certa misura lo contraddiceva. Una macchina è autonoma, è definita dal suo funzionamento interno, si autoregola e si autoalimenta. Se però facciamo un passo indietro, quella che ci appare come una meraviglia comincia ad assumere sembianze mostruose.
Mai come oggi scrivere la storia del futuro in anticipo è sembrato così difficile. In un presente turbolento, l’angoscia e il disagio hanno affievolito lo spirito utopistico. Ossessionati dal guardare avanti, vediamo idee che si sgretolano e si trasformano da un giorno all’altro. “Dobbiamo esaminare non solo le emozioni che accompagnano il futuro in quanto forma culturale”, ha scritto l’antropologo Arjun Appadurai, “ma anche le sensazioni che produce: meraviglia, vertigine, entusiasmo, disorientamento”.
Adamson prende sul serio questo impegno. Ex direttore del museo delle arti e del design a New York, si definisce più un curatore che uno storico. Racconta una storia eclettica e non sempre lineare. I fermenti culturali, le rivolte politiche e i risvegli spirituali si sono sempre basati su visioni del futuro. Adamson collega l’ottimismo tecnologico agli incantamenti psichedelici degli anni sessanta e all’afrofuturismo degli anni novanta, con i rispettivi profeti e profezie. Salta liberamente tra modelli di previsione scientifici, religiosi e fantastici, che si sono influenzati a vicenda più di quanto sospettassero i rispettivi sostenitori. Nessuno dei futurologi ha la certezza in tasca. I futuri che descrivono sono prodotti dell’immaginazione collettiva, continuamente rigenerati e riveduti. Sono importanti perché ridefiniscono il presente.
A century of tomorrows, dunque, non è un’analisi del futuro, ma un’analisi delle analisi del futuro. Adamson racconta la storia di una categoria specifica di narratori, i divinatori del futuro: “Possiamo chiamarli futurologi: quelli che scrutano avanti e cercano di scorgere ciò che verrà”. Ci sono sempre stati futurologi di vario tipo, e questo già dice molto sull’umanità. Nei tempi antichi erano oracoli, profeti, indovini e astrologi. Leggevano il futuro nelle viscere degli animali e nelle foglie di tè. Non importa quante volte venissero screditati: il bisogno dell’umanità di sapere cosa sarebbe successo rimaneva.
I futurologi dei giorni nostri predicono i risultati delle elezioni e gli uragani. Amplificano l’immaginazione con la scienza, il che li rende rispettabili. Accettano l’incertezza e costruiscono modelli probabilistici. Il ritmo della vita moderna rende il loro lavoro redditizio e necessario. Tutte le grandi aziende assumono dei futurologi, anche se poi li chiamano ricercatori di mercato o trend analysts. Anche gli scrittori di fantascienza sono futurologi, e spesso anticipano gli scienziati. A quali profeti affidarsi, quali seguire, è la sfida del nostro tempo.
Con il suo suffisso pretenzioso, la parola inglese futurology, futurologia, è relativamente nuova. L’Oxford English Dictionary dice che il primo a usarla fu Aldous Huxley nel 1946: probabilmente la intendeva in senso ironico, come ironico era il titolo del suo libro Il mondo nuovo. Un secolo prima, quando inventò le macchine del tempo, H.G. Wells considerava il suo interesse per il futuro un fatto eccezionale. La maggior parte della gente, spiegò nel 1902, non pensa minimamente al futuro, se non come a “una sorta di non-esistenza vuota su cui il presente che avanza scrive di volta in volta gli eventi”. Nelle generazioni precedenti la norma era una relativa stasi. La scienza, però, stava cambiando la prospettiva, portando una nuova consapevolezza della stratificazione geologica e dell’evoluzione biologica, accelerando le trasformazioni tecnologiche e il ritmo stesso della vita.
Pochi anni prima di Wells, un giornalista del Massachusetts, Edward Bellamy, evocò un futuro utopico nel romanzo Guardando indietro: 2000-1887. Il protagonista del libro entra nel futuro nel sonno e scopre che la fame, la guerra, la povertà e la disoccupazione sono state abolite. Il denaro è superato: a ogni uomo e donna viene rilasciata una “carta di credito” sufficiente a soddisfare le sue esigenze. I manufatti fuoriescono da un magazzino centrale attraverso tubi pneumatici. L’intrattenimento musicale arriva in ogni casa con un sistema di cavi elettrici (una tecnologia allora nuova e sconvolgente). Tutti gli uomini e le donne fanno parte di “un vasto partenariato industriale, grande come la nazione, grande come l’umanità: il monopolio finale da cui tutti i monopoli precedenti e più piccoli sono stati inghiottiti”. L’utopia è particolarmente rigida e regolamentata; nulla cambia; il progresso è completo, perché la perfezione è stata raggiunta. Tutti sembrano contenti e appagati. Guardando indietro fu un grande best seller internazionale, che ispirò politici e attivisti.
Le utopie letterarie precedenti erano spostate non nel tempo, ma nello spazio. L’Utopia originale di Thomas More, del 1516, era un’isola sperduta nel nuovo mondo. Oggi, collocare l’utopia nel futuro può sembrare ovvio, ma fu un’innovazione di Bellamy. “Il risultato” scrive Adamson, è una sorta di montaggio temporale in cui un presente reale e un futuro immaginato sono messi a fuoco alternativamente. Il futuro può quindi essere concettualizzato come un paesaggio in movimento, con molteplici orizzonti temporali che interagiscono l’uno con l’altro.
Veggenti e ciarlatani a parte, il mestiere della profezia era storicamente stato appannaggio della religione, organizzata e no. I primi futurologi moderni si proponevano come profeti laici, rivendicando un diritto razionale alla verità. Dato che il futuro arriva sempre alla spicciolata, dovevano guadagnarsi la loro credibilità. La prima innovazione a portare le previsioni basate sui dati nella vita quotidiana fu il bollettino meteorologico, una invenzione scientifica dell’ottocento, di cui il telegrafo era una condizione necessaria. Adamson osserva che la svolta concettuale fondamentale era in realtà un trucco: “Il futuro era incorporato nel presente. Sappiamo già che tempo farà domani perché è qui. È solo da qualche altra parte, di solito un po’ più a ovest”. Come tutta la futurologia, la meteorologia era, ed è, notoriamente soggetta a errori, ma anche i suoi bollettini probabilistici erano preziosissimi, perciò i governi nazionali, a cominciare da quello britannico, istituirono gli uffici del servizio meteorologico, e i giornali cominciarono a pubblicare le previsioni del tempo. “I metodi popolari più antichi – gli almanacchi, l’osservazione della luna, le dita al vento – erano diventati inutili”, scrive Adamson. “Era come vedere una magia”.
A cos’altro poteva essere applicata questa magia? Per esempio al marketing, in particolare alla pubblicità, che si basava su idee sempre più sofisticate su come prevedere i desideri dei consumatori ancora prima che si formassero. La moda cambiava come le stagioni, con i suoi temporali occasionali. La pionieristica agenzia J. Walter Thompson, che alla svolta del secolo vendeva più della metà degli spazi pubblicitari negli Stati Uniti, nel 1909 dichiarò che “il compito principale della civiltà è eliminare la casualità, e l’unico modo è fare previsioni e pianificare”. I designer industriali come Norman Bel Geddes, che in seguito progettò il padiglione del Futurama per la General motors, consigliavano alle aziende di “modernizzare” i loro prodotti, di razionalizzarli, di non limitarsi ad abbracciare la nuova era ma di spingerla in avanti. I cosiddetti color forecasters, esperti nel prevedere le tendenze nell’uso dei colori, avevano lo stesso compito nel campo della moda e dell’arredamento. A partire dagli anni venti, l’influente Textile color card association di Margaret Hayden Rorke si specializzò nel prevedere quali colori sarebbero andati di moda per poi standardizzarli e promuoverli, non solo nell’abbigliamento ma anche nel design automobilistico e nella nascente industria cinematografica. Questi nuovi professionisti stavano creando “una nuova idea della futurologia stessa”, scrive Adamson, “riformulandola come un mestiere per tecnici specializzati”. Peccato che le loro fossero profezie che si autoavveravano.
Questi nuovi chiaroveggenti erano ferventi sostenitori del cambiamento per il cambiamento, il più veloce possibile. “Oggi la velocità è la passione della nostra era, e uno degli obiettivi di domani è una velocità ancora più grande”, proclamò Bel Geddes. Consapevolmente o no, le sue parole riecheggiavano quelle di Filippo Tommaso Marinetti, il protofascista italiano che nel suo Manifesto del futurismo del 1909 scriveva: “Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità”. Nello specifico, Marinetti si riferiva alle auto da corsa, per lui un vero e proprio feticcio. Il futurismo ispirò movimenti simili in altri paesi, avanguardie rivolte sempre avanti e mai indietro che si proiettavano verso il futuro dopo essersi liberate del passato. “Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!”, diceva Marinetti. “Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile?”. Era un tratto tipico dei ribollenti movimenti nati nel giovane secolo: non solo una reazione al passato, ma una teoria del futuro.
Il caso estremo fu quello russo. La rivoluzione bolscevica del 1917 fu un colpo di gong avvertito in tutto il pianeta, e annunciava che il futuro – rivelazione e trasformazione insieme – era arrivato. “Il vertiginoso e terribile salto nell’ignoto che compiva la Russia intera”, lo definì John Reed in I dieci giorni che sconvolsero il mondo. Dopo un viaggio in Russia nel 1919, il giornalista investigativo Lincoln Steffens proclamò: “Ho visto il futuro e funziona”. Per produrre il futuro in modo ordinato, il regime sovietico varò una serie di piani quinquennali, uno dopo l’altro, su scala nazionale e centralizzati come l’onnipotente azienda di stato di Guardando indietro.
L’illusione di una previsione e di un controllo assoluti portò alla catastrofe: l’industrializzazione e la collettivizzazione forzate provocarono una delle carestie più mortali del secolo, con più di cinque milioni di vittime in Ucraina, in Kazakistan e altrove. In seguito, il linguista Roman Jakobson, uno dei futuristi russi della prima ora, scrisse: “Abbiamo vissuto troppo del futuro, ci abbiamo pensato troppo e creduto troppo, e per noi non c’è un’attualità autosufficiente: abbiamo perso il senso del presente” (Una generazione che ha dissipato i suoi poeti, 1930). Il Cremlino, tuttavia, non perse fiducia nell’efficacia dei piani quinquennali. Il loro utilizzo si estese ad altri paesi e continuò in Unione Sovietica fino agli anni ottanta, con il futuro che arrivava e si allontanava continuamente.
Era una forma di previsione monolitica, cieca di fronte alla diversità e alla complessità delle società reali. “La futurologia profetica è come un obiettivo fotografico”, scrive Adamson, “che mette intensamente a fuoco alcune cose e ne distorce altre, limitando drasticamente il campo visivo. C’è un motivo se le sfere di cristallo sono gli strumenti più usati dai veggenti”. Nonostante questo, l’influenza dei futurologi nel corso del secolo continuò a crescere. Frank Lloyd Wright prometteva una sua versione dell’utopia con le sue piccole abitazioni private. Il tecno-ottimista Richard Buckminster Fuller ribattezzò dymaxion le sue case immaginarie e il suo futurismo visionario diventò un riferimento per i primi pionieri dell’informatica.
I modelli statistici dei futurologi sono migliorati: con l’avvento dell’informatica hanno sviluppato una potenza tecnica formidabile e sembrano vedere cose che gli esperti tradizionali non riuscivano a vedere.
Le previsioni scientifiche raggiungono la perfezione assoluta solo nella narrativa – in particolare nei romanzi del Ciclo della fondazione di Isaac Asimov, in cui un sistema matematico chiamato “psicostoria” riduce il comportamento umano a una serie di equazioni, come se obbedisse a leggi simili a quelle della fisica e le interazioni umane si potessero modellare come quelle atomiche. Gli scienziati sociali in carne e ossa aspiravano a questo traguardo. Daniel Bell, professore di sociologia di Harvard, immaginava una “società postindustriale” guidata, nel bene e nel male, da élite tecniche, e nel suo saggio del 1964 Twelve modes of prediction (Dodici modelli di predizione) provò a sistematizzare diversi metodi di previsione. Un futurologo meno ovvio, osserva Adamson, fu Robert McNamara, il presidente della Ford che aveva mosso i primi passi come uno dei “ragazzi prodigio” del gruppo di controllo statistico dell’azienda. In seguito, come segretario della difesa, applicò i suoi modelli previsionali agli Stati Uniti, affidandosi principalmente agli analisti di sistemi del centro studi della Rand Corporation. Le sue previsioni e quelle degli analisti portarono al disastro della guerra in Vietnam, ma la Rand gode ancora di ottima salute. La sua nuova area di interesse è l’intelligenza artificiale.
L’attuale proliferazione di attività divinatorie è un caso speciale di sovraccarico d’informazioni. Di fronte a un bombardamento di previsioni, il problema è sapere a quali credere. Il ventunesimo secolo si è caratterizzato per una crescente sfiducia nei confronti dei profeti, sia quelli tecnocratici sia quelli spirituali. Alla vigilia delle ultime elezioni negli Stati Uniti, i giornalisti, che pure ormai dovrebbero aver imparato la lezione, per l’ennesima volta hanno trattato i sondaggi come vere e proprie notizie sul futuro. Questa branca perennemente instabile della futurologia ha dominato l’informazione per un anno, fino al suo inevitabile schianto la sera delle elezioni. Tutte le previsioni dei sondaggisti e degli esperti avevano una data di scadenza rigida: alcuni ci hanno azzeccato e altri hanno sbagliato, ma il giorno dopo il loro valore collettivo è crollato a zero. Forse avrebbero fatto meglio a dedicare i loro sforzi a comprendere il presente.
Dall’altro lato, nel campo della scienza del clima, una sfiducia ingiustificata ha minato alla base quello che avrebbe dovuto essere un trionfo dei pronostici basati sui modelli informatici. Le previsioni più allarmanti sul clima si sono dimostrate esatte, molte volte. Spesso i dubbi nascono da motivazioni politiche riconducibili agli interessi del mercato del petrolio, ma non sempre.
Alcuni scettici hanno ricordato l’ondata di panico per la sovrappopolazione che si scatenò negli anni sessanta e settanta sulla scorta del best seller The population bomb (La bomba demografica, del 1968; scritto dai ricercatori della Stanford university Paul e Anne Ehrlich, ma attribuito solo al primo). Buona parte del movimento ambientalista diede ampia diffusione alla tesi del libro, cioè che l’aumento esponenziale della popolazione avrebbe inevitabilmente condannato l’umanità alla fame. “La battaglia per sfamare l’umanità è già persa”, scrivevano gli autori, quando la popolazione mondiale era di tre miliardi di persone. I governi, ammonivano, dovevano intervenire urgentemente per limitare i tassi di natalità in modo da far tornare la popolazione a due miliardi o meno. Oggi siamo otto miliardi, e la causa principale della fame e della povertà è la disuguaglianza economica, non la scarsità di risorse.
Nel 1970, un altro libro molto influente fu Lo choc del futuro (scritto da Alvin e Heidi Toffler ma attribuito al solo Alvin). Fin dal titolo, il libro alimentava il panico per il cambiamento in sé, specialmente il cambiamento tecnologico, colpevole di provocare “uno stress e un disorientamento sconvolgenti”. Questo tipo di futurologia non è invecchiato bene. Come gli Ehrlich, scrive Adamson, “i Toffler si sono avventurati in previsioni incredibilmente audaci sulla base di aneddoti selettivi e scenari totalmente immaginari”. Tra le loro proposte c’era quella di addestrare immediatamente “quadri di giovani” da ricollocare in colonie sotto l’oceano o nello spazio. Lo stress e il disorientamento, però, erano reali. Dodici anni dopo Lo choc del futuro fu la volta di Megatrends: le dieci nuove tendenze che trasformeranno la nostra vita, di John (e Doris) Naisbitt, un guazzabuglio di ragionamenti sulla globalizzazione, il decentramento, il networking e altre parole di moda. Gli autori anticipavano l’avanzata benaugurante di una florida economia postindustriale e il volume vendette 14 milioni di copie. Adamson lo definisce “un libro davvero brutto”, il cui effetto principale è stato incoraggiare “molti altri libri altrettanto sciocchi e semplicistici sul futuro, un fenomeno editoriale che continua ancora oggi”.
Nessuno di loro, fino al 1990, era riuscito a prevedere quello che stava per succedere: l’emergere di un luogo astratto, distinto dal “mondo reale”, dove un’approssimazione di tutta l’umanità si sarebbe riunita per interagire alla velocità della luce, con accesso istantaneo a un’approssimazione di tutta la conoscenza umana. I primi ad anticipare questo sviluppo sono stati gli scrittori di fantascienza. William Gibson, in Neuromante, del 1984, lo ha chiamato “ciberspazio” o “la matrice”: “Luminosi reticoli di logica che si dispiegano attraverso quel vuoto senza colori”. Internet così come lo conosciamo ancora non c’era, e Gibson ne dava una versione idealizzata: “Una cosa vasta, oltre la conoscenza, un mare d’informazioni codificate in spirali e feromoni, un intreccio infinito che solo il corpo, alla sua maniera forte e cieca, potrebbe mai riuscire a leggere”. Oggi molti ci trascorrono il tempo, vivendo in una modalità di collegamento costante per mezzo di “telefoni” che non sono veramente telefoni.
Nella fantascienza, naturalmente, gli abitanti del ciberspazio non sono solo gli umani ma anche le intelligenze “artificiali”, che puntualmente sono arrivate. Le ia non sono solo l’argomento preferito dei pronosticatori, ma sono viste anche come i loro potenziali sostituti. È una tentazione troppo grande trattarle come oracoli in sé.
Nel 1950 Alan Turing disse che l’avvento delle macchine pensanti era vicino. Da allora, alcuni scienziati hanno tentato di crearle, avvertendoci allo stesso tempo che un giorno renderanno superflui gli esseri umani. Prima di eliminarci, magari si limiteranno a imitarci, come fanno i “replicanti” in Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick (1968) e nel suo brillante adattamento cinematografico Blade runner, di Ridley Scott, uscito nel 1982. Nemmeno i replicanti sanno per certo se sono umani o macchine. La possibilità di confondere gli uni con le altre è fonte di timori fin da quando Turing ne ha fatto il cardine del suo famoso test d’intelligenza. Oggi è diventato un problema concreto, perché l’ia generativa scrive tesine scolastiche e surrogati di libri, e i bot interagiscono con gli umani sui social media.
La previsione più allarmante sull’intelligenza artificiale è quella della cosiddetta singolarità. La singolarità è lo stadio che si raggiunge quando l’ia diventa autoconsapevole e autosufficiente – una nuova e potente forma di vita – e la storia umana finisce. L’intelligenza artificiale assume il controllo e la nostra specie viene soppiantata o sterminata (scegliete voi). L’idea della singolarità è stata introdotta dallo scrittore di fantascienza Vernor Vinge nel 1993: “È un punto in cui i nostri modelli devono essere abbandonati e domina una nuova realtà… L’uscita dell’umanità dal centro del palcoscenico”. Il momento, secondo Vinge, sarebbe arrivato tra il 2005 e il 2030. I nerd tecnologici si sono innamorati di quest’idea. Il sedicente futurista Ray Kurzweil ha sostenuto l’ipotesi in La singolarità è vicina (2005), proclamando fiducioso, “l’appuntamento, che rappresenterà una trasformazione profonda e dirompente della capacità umana, è fissato al 2045”. Per Kurzweil la singolarità è una buona notizia: una specie d’immortalità, di superamento dell’umanità. Ha addirittura organizzato una serie di “summit della singolarità” con cadenza annuale e ha scritto un sequel, La singolarità è più vicina (2024). Non ha una grande opinione dei semplici umani non aumentati: “Siamo lontani dall’essere ottimali, specialmente rispetto al pensiero”.
Questa è la futurologia nella sua versione più sciocca. Almeno, però, segnerà la fine della futurologia, come osserva Adamson:
La singolarità è come un buco nero astronomico che inghiotte ogni possibilità di speculazione sul futuro all’interno del suo campo gravitazionale. Quando saremo superati delle intelligenze artificiali il velo calerà… e le macchine si siederanno a giudicarci, nuove divinità che noi stessi abbiamo messo sul trono.
Altri hanno deriso la singolarità come “l’estasi dei nerd”. La somiglianza con l’escatologia cristiana è inequivocabile: fedeli attratti dalla promessa della fine dei tempi, l’ora zero, il giudizio universale. Entrambe le estasi si fondano su una resa dei conti morale: i prescelti vanno avanti mentre gli altri vengono lasciati indietro. Ed entrambe rappresentano una forma di escapismo: perché preoccuparsi di problemi come il cambiamento climatico e la disuguaglianza economica quando i superumani stanno per raggiungere la trascendenza e l’immortalità?
La previsione più affidabile sulle macchine di calcolo è che diventeranno sempre migliori, più veloci e più piccole. Per il resto, l’industria che le fabbrica è stata notoriamente incapace di prevedere il futuro dei suoi prodotti. L’intelligenza stessa resta un concetto scivoloso e non ben definito: gli imprenditori tendono a entusiasmarsi facilmente, e gli esseri umani in generale ad antropomorfizzare gli oggetti scintillanti, in particolare quando possono parlare con loro. Ma è inutile chiedere a ChatGpt della OpenAi, a Gemini di Google, o a Oracle Ai (si chiama proprio così) di dirci cosa riserva il futuro. Non sanno neppure niente del presente, hanno solo pagine e pagine di testi e algoritmi preesistenti per manipolarlo e riorganizzarlo.
Dopo aver passato in rassegna vari filoni di futurologia fallita, Adamson osserva che continueremo comunque a fare le nostre previsioni, com’è giusto che sia, in competizione gli uni con gli altri. Ricorda sempre, però, che ogni previsione è un’affermazione sul presente: “Non possono essere costruite in modo da eliminarsi a vicenda, ma devono essere reciprocamente leggibili e compatibili. Questo, a me sembra, è il compito che la futurologia ha ancora davanti a sé”.
Quattordici anni fa, Wikipedia ha aggiunto una voce chiamata Cronologia del futuro lontano, che è in continuo aggiornamento. Al momento l’incipit è questo: “Mentre le predizioni del futuro non possono mai essere certe in assoluto, l’attuale comprensione scientifica in vari campi permette di delineare, seppure a grandi linee, gli eventi futuri più lontani”. Il progetto è pensato per essere transitorio e in divenire. Recentemente, un redattore che ha inserito un aggiornamento si è giustificato con un commento: “Aggiunge un pochino di speranza”. Dopo pochi secondi, un altro redattore lo ha cancellato.
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nei romanzi del Ciclo della fondazione di Isaac Asimov, in cui un sistema matematico chiamato “psicostoria”
"psicostoriografia" 🙂
E non era neanche così malaccio, l'articolo convenientemente evita di menzionare la presenza nella storia del "Mule", l'entità imprevista che non rientra nei canoni prefissati.
Di Gibson non menziona (e avrebbe dovuto credo) it.wikipedia.org/wiki/Il_conti…
Non nomina neppure Cronache Marziane di Bradbury, che sicuramente valeva la pena menzionare...
Ghost in the Shell ...vabbeh...
Mi sembra che faccia un gran casino in generale con l'idea di "futurologia fallita" per esprimere un concetto ovvio: tutte le nostre previsioni sul futuro si basano necessariamente sui dati in nostro possesso, siccome i dati in nostro possesso sono limitati alle nostre competenze presenti qualsiasi previsione sul futuro è di per sè incerta nonostante i miglioramenti nella capacità di calcolo.
Mi sembra la scoperta dell'acqua calda?
In ogni caso la fantascienza e l'utopia non rientrano nella "futorologia fallita", entrambe non cercano in genere di prevedere il futuro ma di presentare futuri più o meno possibili sia in positivo che in negativo, quindi l'intera scoperta dell'acqua calda mi sembra parta anche da un assunto di base fuorviante a cominciare dal titolo perchè la maggior parte di quelli che nomina non sono profeti.
La storia infinita di Nvidia in Cina
L'articolo proviene da #StartMag e viene ricondiviso sulla comunità Lemmy @Informatica (Italy e non Italy 😁)
L’azienda fondata da Jensen Huang ha una storia di lunghissimo corso di presenza nel mercato cinese e di collaborazione con gli attori industriali cinesi. Prima che le questioni politiche e di sicurezza nazionale giungessero al centro della scena, Nvidia
Video Clips with Emacs
Sometimes it seems like there’s nothing Emacs can’t do. Which, of course, is why some people love it, and some people hate it. Apparently, [mbork] loves it and devised a scheme to show a video (with a little help), accept cut-in and out marks, and then use ffmpeg to output the video clip, ready for posting, emailing, or whatever.
This was made easier by work already done to allow Emacs to create subtitles (subed). Of course, Emacs by itself can’t play videos, but it can take control of mpv, which can. Interestingly, subed doesn’t insist on mpv since it won’t work on Windows, but without it, your editing experience won’t be as pleasant.
Back to creating a clip, once you have control of mpv, it is almost too simple. A keybinding remembers where mpv is when you mark the beginning, and another one grabs the end mark, works out the arguments, and calls ffmpeg to do the actual work.
This is one of those cases where Emacs really isn’t doing much of the work; it is more of a sophisticated scripting, orchestration, and user-interface system. But it reminds us of the old Russian proverb: The marvel is not that the bear dances well, but that the bear dances at all.
Emacs is a hot topic of debate in the Hackaday bunker. Some of us have our browsers emacs-ified. We hear a rumor that one among us may even boot directly into the editor. But not all of us, of course.
Bluesky ha bloccato l'accesso nel Mississippi dopo l'entrata in vigore della legge statale HB 1126, che richiede la verifica dell'età per tutti gli utenti dei social media, con multe fino a 10.000 dollari per violazione.
L'azienda ha affermato che tale conformità obbligherebbe tutti gli utenti del Mississippi a fornire dati personali sensibili e richiederebbe a Bluesky di tracciare i minori, creando problemi di privacy e libertà di parola.
#Bluesky ha sottolineato che la sicurezza dei bambini è una priorità, ma ha sostenuto che la legge svantaggia le piattaforme più piccole; la sua decisione si applica solo all'app Bluesky sul protocollo AT, non ad altre app sulla rete.
Le reti private virtuali, come quelle offerte da NordVPN , ExpressVPN e PureVPN , potrebbero consentire ad alcuni utenti interessati di continuare ad accedere a Bluesky.
thedesk.net/2025/08/bluesky-bl…
Bluesky blocks Mississippi users over new age verification law
Bluesky has blocked access in Mississippi, citing privacy and free speech concerns over a new law requiring all social media users to undergo age verification with fines of up to $10,000 per violation.Matthew Keys (TheDesk.net)
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How’s the Weather? (Satellite Edition)
When [Tom Nardi] reported on NOAA’s statement that many of its polar birds were no longer recommended for use, he mentioned that when the satellites do give up, there are other options if you want to pull up your own satellite weather imagery. [Jacopo] explains those other options in great detail.
For example, the Russian Meteor-M satellites are available with almost the same hardware and software stack, although [Jacopo] mentions you might need an extra filter since it is a little less tolerant of interference than the NOAA bird. On the plus side, Meteor-M is stronger than the NOAA satellite on 1.7 GHz, and you can even use a handheld antenna to pick it up. There are new, improved satellites of this series on their way, too.
Another possibility is Metop-B and -C. These do require a wide bandwidth but that’s not hard to do with a modern SDR. Apparently, these satellites will operate until 2027 and beyond.
Even the US GOES satellites are still operational and should continue working for the foreseeable future. There are plenty more choices. Weather not your thing? Jason-3 sends data on radiation and humidity. There are even solar images you can pluck out of the airwaves.
If you’re interested, read on to the bottom, where you’ll find coverage of what you need and how to get started. Of course, you can still get the last gasp of some of the classic satellites, at least for now. You can even print your own antennas.
OpenWrt Router/Modem ZTE MF286D - Questo è un post automatico da FediMercatino.it
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“L’alba della nostra libertà” – di Barbara Cagni
@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/08/lalba-d…
Un libro dalla prosa elegante e scorrevole, che intreccia la vicenda storica con quella umana, quella di alcune donne che hanno deciso di non rimanere inermi di fronte agli sconvolgimenti della guerra, offrendo il loro contributo alla
How to Stop Zeus from Toasting Your Pi
If you’ve ever lost gear to lightning or power spikes, you know what a pain they are. Out in rural Arkansas, where [vinthewrench] lives, the grid is more chaos than comfort – especially when storms hit. So, he dug into the problem after watching a cheap AC-DC module quite literally melt down. The full story, as always, begins with the power company’s helpful reclosers: lightning-induced surges, and grid switching transients. The result though: toasted boards, shorted transformers, and one very dead Raspberry Pi. [vinthewrench] wrote it all up – with decent warnings ahead. Take heed and don’t venture into things that could put your life in danger.
Back to the story. Standard surge suppressors? Forget it. Metal-oxide varistor (MOV)-based strips are fine for office laptops, but rural storms laugh at their 600 J limits. While effective and commonly used, MOVs are “self-sacrificing” and degrade over time with each surge event.
[vinthewrench] wanted something sturdier. Enter ZeusFilter 1.0 – a line-voltage filter stitched together from real parts: a slow-blow fuse, inrush-limiting thermistor, three-electrode gas discharge tube for lightning-class hits, beefy MOVs for mid-sized spikes, common-mode choke to kill EMI chatter, and safety caps to bleed off what’s left. Grounding done right, of course. The whole thing lives on a single-layer PCB, destined to sit upstream of a hardened PSU.
As one of his readers pointed out, though, spikes don’t always stop at the input. Sudden cut-offs on the primary can still throw nasty pulses into the secondary, especially with bargain-bin transformers and ‘mystery’ regulators. The reader reminded that counterfeit 7805s are infamous for failing short, dumping raw input into a supposedly safe 5 V rail. [vinthewrench] acknowledged this too, recalling how collapsing fields don’t just vanish politely – Lenz makes sure they kick back hard. And yes, when cheap silicon fails, it fails ugly: straight smoke-release mode.
In conclusion, we’re not particularly asking you to try this at home if you lack the proper knowledge. But if you have a high-voltage addiction, this home research is a good start to expand your knowledge of what is, in theory, possible.
Web Dashboard for Zephyr
Over time, web browsers have accumulated a ton of features beyond what anyone from the 90s might have imagined, from an application platform to file management and even to hardware access. While this could be concerning from a certain point of view, it makes it much easier to develop a wide range of tools. All a device really needs to use a browser as a platform is an IP address, and this project brings a web UI dashboard to Zephyr to simplify application development.
Zephyr is a real-time operating system (RTOS) meant for embedded microcontrollers, so having an easy way to access these systems through a web browser can be extremely useful. At its core, this project provides a web server that can run on this operating system as well as a REST API that can be used by clients to communicate with it. For things like blinking lights this is sufficient, but for other things like sensors that update continuously the dashboard can also use WebSocket to update the web page in real time.
The web dashboards that can be built with this tool greatly reduce the effort and complexity needed to interact with Zephyr and the microcontrollers it typically runs on, especially when compared to a serial console or a custom application that might otherwise be built for these systems. If this is your first time hearing about this RTOS we recently featured a microcontroller-based e-reader which uses this OS as a platform.
youtube.com/embed/z-RBdc-sygo?…
CVSS, EPSS, SSVC ed Exploitability Index: tutti strumenti inutili senza contesto
Con il numero di vulnerabilità a cui sono sottoposte le aziende in tutto il mondo, i ricercatori del Rochester Institute of Technology, dell’Università delle Hawaii e di Leidos hanno condotto il più grande studio comparativo ad oggi dei quattro sistemi di punteggio delle vulnerabilità più diffusi: CVSS, EPSS, SSVC ed Exploitability Index.
Gli autori hanno analizzato 600 vulnerabilità reali provenienti dalle versioni Patch Tuesday di Microsoft per scoprire quanto questi sistemi siano coerenti tra loro, quanto bene gestiscano le attività di definizione delle priorità e con quale accuratezza prevedano il rischio di sfruttamento.
I risultati sono stati allarmanti: tutti e quattro i sistemi mostrano nette differenze nelle valutazioni delle stesse CVE. È stata riscontrata una correlazione estremamente bassa tra loro: in alcuni casi, la percezione della gravità della minaccia dipende radicalmente dall’approccio utilizzato. Ciò porta a una situazione paradossale: la stessa vulnerabilità può essere inclusa nella lista di priorità di un sistema e ignorata da un altro.
Gli autori sottolineano che, in pratica, questo porta al caos nel processo decisionale. I sistemi spesso raggruppano centinaia di CVE nelle stesse “classi principali”, senza fornire una vera e propria gradazione. Ad esempio, secondo CVSS ed Exploitability Index, più della metà delle vulnerabilità rientra nei livelli di priorità più elevati, mentre EPSS seleziona solo quattro CVE, creando il problema opposto: un’eccessiva selettività e il rischio di trascurare casi pericolosi.
Il documento presta particolare attenzione all’efficacia dell’EPSS come strumento per la previsione di attacchi futuri. Nonostante l’obiettivo dichiarato di prevedere la probabilità di exploit entro 30 giorni, meno del 20% delle vulnerabilità CVE sfruttabili note presentava punteggi EPSS elevati prima di essere aggiunte al catalogo KEV. Inoltre, il 22% delle vulnerabilità non aveva alcun punteggio nel sistema fino alla conferma degli attacchi. Ciò compromette seriamente la sua affidabilità come strumento preventivo.
SSVC, a sua volta, offre una categorizzazione qualitativa delle azioni (ad esempio, “monitorare”, “agire”), ma anche qui sono state riscontrate delle difficoltà: la decisione dipende dal parametro poco comparabile “impatto sulla missione e sul benessere”, il che rende difficili i confronti tra organizzazioni.
È stato inoltre verificato se le tipologie di vulnerabilità (secondo il CWE) influenzino le discrepanze tra le valutazioni. È emerso che non esiste una connessione sistematica: anche all’interno di un CWE si riscontrano forti discrepanze, il che indica l’autonomia della logica di ciascun sistema e l’assenza di un approccio universale.
Lo studio dimostra che l’utilizzo di uno qualsiasi di questi sistemi senza un adattamento contestuale e adeguato alle esigenze di una specifica organizzazione può portare a false priorità. Gli autori raccomandano di non fare affidamento su un unico sistema come fonte universale di verità, ma di utilizzare una combinazione di metriche, integrate con dati e policy interne. È particolarmente importante distinguere tra i concetti di gravità e probabilità di sfruttamento: si tratta di assi diversi che richiedono strumenti di valutazione diversi.
Il lavoro evidenzia la necessità di ripensare l’intero sistema di valutazione delle vulnerabilità. Le organizzazioni moderne non necessitano di un solo indicatore numerico, ma di strumenti trasparenti, interpretabili e adattabili al contesto, che tengano conto delle reali condizioni operative, della criticità delle risorse e della logica aziendale. Solo così è possibile costruire un processo di gestione delle vulnerabilità efficace e affidabile.
L'articolo CVSS, EPSS, SSVC ed Exploitability Index: tutti strumenti inutili senza contesto proviene da il blog della sicurezza informatica.
New strategies to help journalists in Gaza
Dear Friend of Press Freedom,
For 150 days, Rümeysa Öztürk has faced deportation by the United States government for writing an op-ed it didn’t like, and for 69 days, Mario Guevara has been imprisoned for covering a protest. Read on for more, and click here to subscribe to our other newsletters.
New strategies to help journalists in Gaza
Letters and condemnations have their place in press freedom advocacy, especially when dealing with a persuadable audience. But that playbook isn’t working for journalists in Gaza. Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu and his arms supplier, President Donald Trump, don’t care about journalists’ lives, let alone their freedoms.
Freedom of the Press Foundation (FPF) board member and Pulitzer Prize-winning journalist Azmat Khan and her colleagues, Meghnad Bose and Lauren Watson, spoke to over 20 journalists and activists, including FPF Executive Director Trevor Timm, in search of novel ideas to stop Israel’s slaughter of journalists and concealment of war crimes. Read more in Columbia Journalism Review.
FPF complaint opposes U.S. attorney’s retaliation against press
It’d be journalistic malpractice for reporters to ignore a prominent public official listing a boarded-up house as his residence to claim eligibility for his position. But that’s not how John Sarcone III, acting U.S. attorney for the Northern District of New York, sees it.
He was reportedly “incensed” by reporting from the Times Union of Albany and ordered the paper removed from his office’s media list. In response, FPF, Demand Progress Education Fund, and Reinvent Albany filed a complaint with New York’s Attorney Grievance Committee. Read more here.
Oregon cops cosplay as journalists
Eugene police threatened documentary filmmaker Tim Lewis with arrest if he didn’t back up while filming them. But Lewis noticed another reporter wearing a vest marked “PRESS” filming without police harassment.
Turns out he wasn’t a reporter at all — he was a police public information program coordinator. As FPF Advocacy Director Seth Stern told Double Sided Media, “Police officers obstructing lawful journalism and giving their own publicly funded propagandists the exclusive right to record them up close is unconstitutional, un-American, and absurd.”
Eugene police have reportedly said they will replace the word “press” with “videographer.” Read more here.
Kansas school district fails to censor student journalists
A group of students sued Lawrence Public Schools in Kansas over the district’s use of surveillance software against students, including student journalists. Naturally, the student newspaper wanted to report on the case. But the principal ordered them not to, and the students believed their faculty adviser would be fired if they disobeyed.
Major news conglomerates have caved to official pressure, but not these kids. They sought a court order prohibiting the school from censoring them, leading the principal to drop his censorial directive and a judge to remind the district that the adviser was legally protected from retaliation. Then they published their story. Read it here.
Puerto Rico’s fake news law is unconstitutional
A district court rightly struck down Puerto Rico’s “fake news” law, which criminalized raising “false alarms” about public emergencies. Now, FPF and other rights organizations are urging an appellate court to affirm the ruling in a legal brief authored by the University of Georgia School of Law’s First Amendment Clinic.
The brief explained how the law could be selectively enforced to chill reporting that officials dislike. Read more here.
What we’re reading
Pritzker signs bill to protect freedom of press, Illinois journalists (WCIA). A nonsensical court ruling excluded news reporting from the protection of Illinois’ law against strategic lawsuits against public participation. FPF worked with local organizations and lawyers to help fix the mess.
Human rights groups to university administrators: Dismantle surveillance to defend free speech now (Fight for the Future). Surveillance technology has no place on college campuses and especially in student newsrooms. We joined a letter calling on universities to dismantle these dangerous tools.
Lawyers ask judge to order ICE to free Spanish-language journalist from immigration detention (Associated Press). Immigration and Customs Enforcement’s targeting of Mario Guevara — a lawful U.S. resident — based on his journalism is a flagrant First Amendment violation. He must be released.
US: Excessive force against LA protesters (Human Rights Watch). HRW usually focuses on wars and atrocities. Now, they’re investigating LA cops’ violence against protesters and journalists. It’s not because it’s a slow atrocity news week — it’s because the situation in LA really is that bad.
Israel says it killed a Hamas commander. It killed a Pulitzer-winning journalist (The New York Times). “The military made no attempt to obscure this brazen strike on civilians, which is a war crime.” And as +972 Magazine explained, it’s far from the first time Israel smeared journalists as terrorists to justify killing them. Its army has a unit tasked with linking journalists to Hamas.
Watchdog or ‘witch hunt’? Highland releases final review of town clerk’s office (River Reporter). Good for the upper Delaware region’s River Reporter for not letting an embattled town supervisor’s veiled threat of a SLAPP stop it from doing its job.
Journalists planning to cover McCormick, Perry event in Pennsylvania must prove their US citizenship (Penn Live). “Journalists who are citizens should decline to attend if their peers are excluded. They should spend their Tuesday investigating politicians and arms manufacturers rather than covering their photo ops,” Stern said.
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