Mariarosaria Taddeo: una filosofa commenta l’Intelligenza Artificiale
Se ne parla e se ne continua a parlare. Ma cos’è l’Intelligenza Artificiale? Tra le tante definizioni ne abbiamo colto una: «Lo strumento che ci permette di leggere la realtà e capirne le dinamiche». Ma per evitare qualsiasi generalizzazione abbiamo chiesto a Mariarosaria Taddeo; nel 2020 Computer Weekly l’ha nominata tra le 100 donne più […]
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Serbia, Vučić: “Tutti vogliono andare in guerra e tutti si preparano per la guerra”
di Marco Siragusa –
Pagine Esteri, 28 febbraio 2023 – “Tutti vogliono andare in guerra e tutti si stanno preparando per la guerra”. Queste le parole pronunciate dal presidente serbo Aleksandar Vučić durante la sua visita ad Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti) per la sedicesima convention sulle armi, l’International Defence Exhibition and Conference (IDEX2023), una delle più importanti al mondo, che si è tenuta dal 20 al 24 febbraio 2023. Le parole di Vučić non erano però dettate dalla preoccupazione di un’escalation militare e il coinvolgimento diretto di altri paesi nel conflitto ucraino o, ancora peggio, per l’apertura di un nuovo fronte di guerra. No, le sue parole nascondevano una certa soddisfazione legata alle possibilità economiche derivanti dal commercio di armi.
La Serbia, infatti, negli ultimi anni ha notevolmente aumentato le spese per l’ammodernamento del proprio esercito. Se nel 2018 la spesa militare aveva pesato per circa 800 milioni di dollari nel bilancio complessivo dello stato, nel 2022 questa cifra era salita a 1,2 miliardi di dollari. Durante la sua visita a IDEX2023, il presidente serbo ha dichiarato esplicitamente di voler continuare a rafforzare l’industria militare investendo ulteriori 750 milioni di dollari nel 2023, che si aggiungono al miliardo e mezzo già stanziato per quest’anno. L’obiettivo dichiarato è di portare la spesa complessiva al 3% del PIL dall’attuale 2%. Un impegno economicamente non indifferente per un paese piccolo come la Serbia.
Tutto questo mentre il paese si appresta a raggiungere un accordo sulla normalizzazione dei rapporti con il Kosovo, dopo le tensioni dei mesi passati nel nord del paese a maggioranza serba.
Dai droni emiratini ai caccia francesi
Il presidente Vučić è ormai ospite gradito negli Emirati. Da anni intrattiene infatti un proficuo e sempre più profondo rapporto con lo sceicco Muhammad bin Zayed al-Nahyan, presidente degli Emirati Arabi Uniti e tra le persone più influenti e potenti al mondo. Dal 2012, anno della prima vittoria elettorale di Vučić, i due si sono incontrati ufficialmente ben 20 volte, cui si aggiungono gli innumerevoli incontri tra diplomatici delle delegazioni dei due paesi.
Gli Emirati sono economicamente presenti in Serbia già da qualche anno. Tra gli investimenti più consistenti, circa 4 miliardi di euro, rientra il famoso Belgrade Waterfront, un quartiere di lusso costruito sulle rive del fiume Sava nella capitale serba dalla società emiratina Eagle Hills. Recentemente, alla fine del 2022, i due paesi hanno sottoscritto ben dieci accordi nei settori della giustizia, della cultura, della sicurezza informatica, della lotta alla tratta di esseri umani e della cooperazione diplomatica. L’accordo più importante riguardava però il sostegno finanziario degli Emirati sottoforma di un prestito di 1 miliardo di euro a un tasso di interesse favorevole del tre percento. Con l’ultima visita del presidente serbo ad Abu Dhabi, la cooperazione tra i due paesi si è allargata anche al settore militare. Vučić ha infatti annunciato l’acquisto di munizioni e droni kamikaze prodotti nel paese arabo.
Questo non sarà però l’unico investimento serbo per l’ammodernamento delle proprie forze armate. Negli scorsi mesi il presidente ha avviato una trattativa con la Francia per l’acquisto di 12 caccia Rafale per un valore complessivo di circa 3 miliardi di euro. Il doppio del budget previsto per tutto il 2023. A differenza della Croazia, che modernizzerà la sua aeronautica con caccia francesi di seconda mano, i Rafale acquistati dalla Serbia dovrebbero essere completamente nuovi. Uno scarto qualitativo che, stando alle parole di Vučić, serve solo come forma di deterrenza verso possibili attacchi esterni. Serbia e Francia avevano recentemente concluso un accordo per l’acquisto da parte delle Serbia dei missili Mistral, un sistema di difesa aerea portatile a infrarossi.
Meno Russia, più Cina
Che la politica estera di Vučić, al comando della Serbia ininterrottamente dal 2012 prima come premier e poi come presidente della Repubblica, si basi sul concetto di multilateralismo non è certo una novità. La prospettiva europea, costantemente ribadita in questi anni nonostante lo stallo del processo di adesione all’Unione, viene accompagnata da relazioni sempre più strette con i competitor europei come Russia, Cina e Turchia.
Per decenni la Serbia ha potuto contare su un canale privilegiato con la Russia, anche in campo militare. Gran parte dell’esercito serbo è composto da mezzi di origine sovietica e russa. Tra i mezzi a disposizione, può contare infatti su diversi caccia ed elicotteri russi. La guerra in Ucraina ha provocato una netta chiusura verso la Russia da parte dell’Unione Europea. Tra i requisiti per l’adesione, l’UE chiede ai paesi candidati di adeguarsi alla politica estera comunitaria e applicare le sanzioni al governo di Mosca. Belgrado però, è uno dei pochi paesi europei a non aver ancora adottato misure restrittive nei confronti della Russia, anche se, circa un mese fa, il ministro degli Esteri Ivica Dačić ha sorprendentemente comunicato che il suo paese è pronto ad applicare le sanzioni contro Mosca. Un cambio di strategia non indifferente che si lega a doppio filo con gli investimenti in campo militare degli ultimi dodici mesi. La decisione di acquistare i caccia francesi è dovuta soprattutto alla difficoltà di acquistare, a causa delle sanzioni, i materiali necessari all’ammodernamento e al mantenimento dei caccia russi acquistati in passato.
Non è un caso quindi che, anche in campo militare, Vučić stia cercando di “fare affari con tutti”. Oltre a Francia ed Emirati, l’attenzione si è recentemente spostata anche verso la Cina con cui il paese intrattiene già fortissimi legami economici. Nell’aprile 2022, Belgrado ha ricevuto da Pechino un sistema missilistico terra-aria di difesa aerea FK-3. La consegna seguiva quella di due anni prima dei droni CH-92. L’importanza di questi scambi non riguarda solo il piano militare, con il trasferimento di tecnologie e know-how, ma anche quello geopolitico. Con la consegna dei droni infatti, la Serbia è stato il primo e unico paese europeo a utilizzare tecnologie militari cinesi.
Come se non bastasse, nel settembre 2022, Vučić ha annunciato che la Serbia diventerà presto un cliente turco per l’acquisto dei famigerati droni Bayraktar, diventati famosi per il loro utilizzo nel conflitto in Ucraina. Il presidente serbo, in occasione dell’incontro con il turco Erdogan, si era detto pronto a stanziare “diverse centinaia di milioni di euro” per acquistare i droni.
E la NATO?
Che Serbia e NATO non abbiano avuto in passato rapporti pacifici è dimostrato dai bombardamenti dell’Alleanza Euro-Atlantica contra la Serbia di Milošević nel 1999. Una missione considerata da più parti illegittima, sia da un punto di vista politico che di diritto internazionale. Dal 2007 Belgrado persegue la neutralità militare, cosa che gli ha permesso nell’ultimo anno di condannare l’invasione russa alle Nazioni Unite senza applicare le sanzioni europee contro Mosca. Eppure, tra NATO e Serbia si è andata strutturando negli ultimi anni una costante collaborazione. Il primo importante passo si è avuto già nel 2006, quando il paese ha aderito al Partenariato per la pace e al Consiglio di partenariato euro-atlantico (EAPC). Una cooperazione che si è ulteriormente approfondita a partire dal 2015, quando la Serbia ha concordato il suo primo piano d’azione di partenariato individuale biennale.
I dati sulle esercitazioni militari compiute da Belgrado contribuiscono a una parziale decostruzione dell’idea di una Serbia inequivocabilmente filo-russa. Nel 2021, infatti, il paese ha partecipato a quattro esercitazioni congiunte con la Russia e a ben quattordici esercitazioni con membri della NATO. Tra questi, ben otto esercitazioni hanno coinvolto anche gli Stati Uniti. La situazione non cambia di molto se si considerano le donazioni di natura militare fate da paesi terzi. Anche in questo caso, nel biennio 2019-2020, al primo posto si trovano gli Stati Uniti con 13 milioni di euro stanziati, seguiti dalla Cina con 755 mila euro e dalla Corea del Sud (167 mila euro).
Su un piano prettamente militare, l’invasione russa dell’Ucraina ha avuto come conseguenza quella di un allentamento della cooperazione militare tra Serbia e Russia in favore di nuovi accordi con altri partner strategici. Il fatto che questi partner facciano parte del blocco Occidentale (Francia e Stati Uniti), del mondo arabo (Emirati) o siano grandi potenze globali (Turchia e Cina) dimostra la capacità del presidente serbo di differenziare le relazioni e di mantenere buoni rapporti con tutti gli attori dello scacchiere internazionale. Una strategia che potrebbe però subire modifiche consistenti qualora la Serbia dovesse aderire pienamente alla politica estera europea. Cosa che provocherebbe probabilmente una riduzione della cooperazione con la Cina e altri “rivali” europei.
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John Preston – La nave sepolta
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CONFESSIONI DI UNA MASCHERA - INVERNO MMXXIII
Scrivere di musica. Una passione che rischia di diventare un’ossessione. Questo l’incipit che crediamo possa meglio di tanti giri di parole introdurre quello che sarà l’argomento di questa nostra “confessione”.
iyezine.com/confessioni-di-una…
CONFESSIONI DI UNA MASCHERA - INVERNO MMXXIII
In altre parole: si può ancora parlare male di un disco oppure dobbiamo dire che escono solo dischi belli prima che qualcuno si incazzi?Marco Valenti (In Your Eyes ezine)
Data brokers: Identification possible to sell ads, not to exercise fundamental rights
Broker di dati: Identificazione possibile per vendere annunci, non per esercitare i diritti fondamentali noyb ha presentato una serie di reclami contro siti web e broker di dati che non hanno gestito correttamente le richieste di accesso utilizzando i cookie come fattore di autenticazione.
In Cina e Asia – Cina: cala l’occupazione urbana per la prima volta in 60 anni
I titoli di oggi:
Ucraina, la risposta russa al position paper della Cina
Cina, Bao Fang "sta collaborando con la giustizia"
Pcc, il Comitato centrale invita al rafforzamento dell'"educazione giuridica nella Nuova era"
Covid, i governi locali iniziano a svendere l'esclusiva su funzioni funebri e patrimonio culturale
Cina, migliorano i diritti delle donne nelle campagne
Cina, boom di progetti energetici a carbone
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Che significa "usare" bitcoin?
Un mio post su twitter ha scatenato reazioni opposte e anche abbastanza infiammate. Il post era:
“Spendete 'sti cazzo di bitcoin. Il risparmio del 100% è da degenerati mentali.”
Cioè che intendevo è: risparmiare in bitcoin è fantastico, ma risparmiare al 100% — cioè non spendere mai bitcoin — non aiuta te stesso e non aiuta neanche la causa politica di bitcoin. Perchè dico questo? Per almeno 4 motivi:
- Una questione di privacy: tutti i pagamenti elettronici e bancari sono tracciati, analizzati, censurati. Se esiste un’alternativa concreta per proteggere privacy e autodeterminazione, perché non usarla?
- Una questione politica: il successo di bitcoin non è scontato. È il nemico pubblico nr.1 e non è custodendolo in cold storage fino alla morte facendo meme su twitter che si porterà avanti la sua causa. Le persone normali hanno bisogno di toccare con mano e capire che può essere usato come moneta.
- Una questione filosofica: come suggeriva Ayn Rand: il pensiero senza azione è una frode. Molti libertari criticano il sistema FIAT e al tempo stesso lo usano anche quando l’alternativa sarebbe facilmente disponibile. Questa per me è una contraddizione, oltre che una frode verso se stessi.
- Una questione di responsabilità: aspettare che “altri” scelgano di iniziare a usare bitcoin come moneta e poi tirar fuori il gruzzoletto dal cold storage in un famigerato momento di hyperbitcoinization lo trovo assurdo. Perché pretendere che altri facciano ciò che noi non vogliamo fare? Chi sceglie di non usare bitcoin sta delegando il suo futuro a gente nei paesi del terzo mondo che NON può fare a meno di usare bitcoin.
Sono curioso di sapere cosa ne pensano i lettori e anche
A proposito di usare Bitcoin…se vuoi donare qualche sats, scansiona il QR CODE col tuo wallet LN oppure clicca qui!
[share author='Informa Pirata #WeAreAllAssange #PiratesForAssange' profile='https://twitter.com/informapirata' avatar='https://pbs.twimg.com/profile_images/1362822279810449412/luhv2IGn_400x400.jpg' link='https://twitter.com/informapirata/status/1630119805347930115' posted='2023-02-27 08:17:02']Purtroppo @sbonaccini ha perso! La sua elezione avrebbe accelerato l'inarrestabile autodistruzione del PD.
Ma almeno la vittoria di @ellyesse contribuirà a distruggere i "cespugli" di "sinistra" come @PossibileIt, il piccolo horcrux personale che tiene ancora in vita @civati
Africa Rossa – Cina, Russia e Sudafrica sempre più vicine
Crollano del 54% gli investimenti cinesi nelle infrastrutture africane
Ombre cinesi sulle elezioni in Nigeria
Dal "modello Angola" al "modello Lekki"
Una Bretton Woods “con caratteristiche cinesi”
I torbidi retroscena della ferrovia Mombasa-Nairobi
L’Uganda comincerà a esportare petrolio
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Forum o Social Network? Questo è il dilemma. Eppure una soluzione c'è già! Il post di @Informa Pirata
@Che succede nel Fediverso?
Da pochi giorni è infatti nato qualcosa che potrebbe creare un punto di contatto rivoluzionario tra questi due strumenti di confronto sociale tra gli utenti del web...
Il (lunghissimo) post di @informapirata :privacypride: cerca di fare il punto sulla situazione.
cc @Le Alternative @eticadigitale@bida.mastodon.im
@Devol :fediverso: @Poliverso Forum di supporto @Scuola - Gruppo Forum
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#uncaffèconLuigiEinaudi ☕ – L’intervento non avrebbe ragione di essere…
L’intervento non avrebbe ragione di essere quando ognuno fosse pagato in ragione dei propri meriti. Quando non ci fossero sacche di extra guadagni, lo stato non avrebbe ragione di intervenire.
da Di alcuni problemi di politica sociale, Lezioni di politica sociale, Torino, 1949
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Ucraina: il piano di pace cinese è affare di Zelensky, non certo di Biden
La situazione di apparente stallo della guerra in Ucraina, quale che sia la reale situazione sul campo, mai come oggi dovrebbe favorire un inizio almeno di dialogo tra le parti. Dico ‘quale che sia’ la areale situazione, perchè ormai abbiamo imparato che questa guerra è caratterizzata da due elementi straordinariamente particolari: la propaganda assordante che […]
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@Pare
ci stiamo lavorando... scusate.
ieri era tardissimo (sono andato a dormire alle 4, sveglia alle 6.30) quindi ho riletto troppo velocemente.
in pausa pranzo sistemo.
se qualcosa non è chiaro, non esitare a chiedere sulla chat Matrix / Telegram del progetto #MonitoraPA.
@L’angolo del lettore
Ecco alcuni libri, siti e film per consentire ai ragazzi di approfondire un tema di stretta attualità nel mondo consigliati da @Focus_it Junior
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Il superbatterio della diarrea antibioticoresistente si diffonde in fretta e gli scienziati... se la fanno addosso
La Shigella è una delle fonti più comuni di diarrea nel mondo, con circa 450.000 infezioni ogni anno negli Stati Uniti. La maggior parte dei casi sono "lievi", ma ti lasciano comunque soffrire di circa una settimana di diarrea, febbre e crampi. A volte, la diarrea diventa sanguinolenta, una condizione nota come dissenteria. Più raramente, l'infezione può causare complicazioni come grave disidratazione, convulsioni, danni ai reni e sepsi (spesso perché i batteri entrano nel flusso sanguigno). La malattia grave è più probabile nei giovanissimi e nelle persone con un sistema immunitario indebolito.
[b][urlhttps://gizmodo.com/cdc-advisory-shigella-drug-resistant-bacteria-1850164899]Il post di Ed Cara è su Gizmodo[/url]
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Le ragioni del finto pacifismo italiano
Sette italiani su dieci cedono sul sostegno all’Ucraina per ragioni storiche, culturali e sondaggistiche. Per ora il governo rimane atlantista ma sarà dura andare avanti a lungo
Difficile pensare si possa andare avanti a lungo nel sostenere un conflitto così poco popolare tra gli eletti e gli elettori italiani. Ovvio notare che la necessaria opera pedagogica sulle ragioni di fondo per cui il conflitto in Ucraina ci riguarda direttamente sia ora in capo a Giorgia Meloni. Ed è su questo, oggi, che si misurerà la sua leadership interna ed internazionale.
Il contesto è scoraggiante, il dissenso colossale. Ma ciascun dissenso, in fondo, ha la sua spiegazione “politica”. I sondaggi per Conte, Berlusconi e Salvini. L’antiamericanismo, cioè il rifiuto del modello capitalista, per una parte del mondo cattolico e per quella destra e quella sinistra estreme ancora radicate la prima nel fascismo e la seconda nel comunismo sovietico. Un idealismo prossimo all’infantilismo per alcuni commentatori e diverse realtà sociali. La paura della guerra e la salvaguardia dell’interesse economico immediato per il 70% dei cittadini.
Ogni dissenso ha la sua ragione “politica”, certo, ma la somma delle singole ragioni politiche fa dell’Italia un unicum in Occidente e rischia di spingerci ancora una volta verso la parte sbagliata della Storia.
Ci sono, evidentemente, ragioni più profonde per spiegare perché, con un misero 30% di favorevoli, siamo la nazione dell’Alleanza atlantica e della Comunità europea meno propensa a sostenere lo sforzo militare del popolo ucraino. Evidentemente, non consideriamo quella degli ucraini contro l’invasore russo la “nostra” guerra. Mancano, nella percezione dei due terzi degli italiani e di molti dei loro rappresentanti politici, sia il senso di un’identità comune minacciata da Vladimir Putin sia la consapevolezza che in gioco vi siano valori fondanti e in quanto tali irrinunciabili. E manca perciò la disponibilità al sacrificio.
Ci manca, per ragioni storiche (secoli di conflitti interni e di dominazioni straniere), la fiducia nello Stato in quanto tale e nella bontà delle sue scelte. Ci mancano, per ragioni religiose (la mancata Riforma protestante), l’etica del sacrificio e della responsabilità individuale e collettiva. Ci mancano, per ragioni storiche e per ragioni religiose, il senso della tragedia e quello del destino. E ci manca il sentimento di una comune appartenenza all’Europa e all’Occidente. Siamo, notoriamente, un Paese di furbi: entriamo in guerra solo quando riteniamo che altri la vinceranno per noi, usciamo dalla guerra alleati di regola col nemico iniziale e perciò in conflitto con l’alleato degli esordi.
Ma centrale è la nostra, storica, refrattarietà a quei principi liberali e democratici che rappresentano la vera posta in gioco nel conflitto ucraino e il vero obiettivo dell’aggressione putiniana. Ma quei valori e quei principi sono da sempre minoritari nella nostra società. Lo testimonia il fatto che per i primi cinquant’anni di storia repubblicana il sistema politico e la società civile italiane sono stati egemonizzati da un partito marcatamente cattolico legato alla Chiesa e da un partito marcatamente comunista legato all’Unione sovietica. Insieme rappresentavano il 70% dei cittadini italiani, mentre la destra più o meno post fascista ne rappresentava, mediamente, un altro 7%. Liberali ed atlantisti erano formalmente una minoranza allora e lo sono sostanzialmente ancora oggi che la demagogia ha preso il posto dell’ideologia.
Sua Maestà il Caso, per dirla con le parole di Federico II di Prussia, ha voluto che a difendere i principi e i valori liberali e democratici sia oggi Giorgia Meloni. Buona fortuna a lei e di conseguenza a noi.
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@Test: palestra e allenamenti :-)
Ciao ciao questo è un test per verificare quanto sia leggibile questo post
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Le ragioni del finto pacifismo italiano
Sette italiani su dieci cedono sul sostegno all’Ucraina per ragioni storiche, culturali e sondaggistiche. Per ora il governo rimane atlantista ma sarà dura andare avanti a lungo
Difficile pensare si possa andare avanti a lungo nel sostenere un conflitto così poco popolare tra gli eletti e gli elettori italiani. Ovvio notare che la necessaria opera pedagogica sulle ragioni di fondo per cui il conflitto in Ucraina ci riguarda direttamente sia ora in capo a Giorgia Meloni. Ed è su questo, oggi, che si misurerà la sua leadership interna ed internazionale.
Il contesto è scoraggiante, il dissenso colossale. Ma ciascun dissenso, in fondo, ha la sua spiegazione “politica”. I sondaggi per Conte, Berlusconi e Salvini. L’antiamericanismo, cioè il rifiuto del modello capitalista, per una parte del mondo cattolico e per quella destra e quella sinistra estreme ancora radicate la prima nel fascismo e la seconda nel comunismo sovietico. Un idealismo prossimo all’infantilismo per alcuni commentatori e diverse realtà sociali. La paura della guerra e la salvaguardia dell’interesse economico immediato per il 70% dei cittadini.
Ogni dissenso ha la sua ragione “politica”, certo, ma la somma delle singole ragioni politiche fa dell’Italia un unicum in Occidente e rischia di spingerci ancora una volta verso la parte sbagliata della Storia.
Ci sono, evidentemente, ragioni più profonde per spiegare perché, con un misero 30% di favorevoli, siamo la nazione dell’Alleanza atlantica e della Comunità europea meno propensa a sostenere lo sforzo militare del popolo ucraino. Evidentemente, non consideriamo quella degli ucraini contro l’invasore russo la “nostra” guerra. Mancano, nella percezione dei due terzi degli italiani e di molti dei loro rappresentanti politici, sia il senso di un’identità comune minacciata da Vladimir Putin sia la consapevolezza che in gioco vi siano valori fondanti e in quanto tali irrinunciabili. E manca perciò la disponibilità al sacrificio.
Ci manca, per ragioni storiche (secoli di conflitti interni e di dominazioni straniere), la fiducia nello Stato in quanto tale e nella bontà delle sue scelte. Ci mancano, per ragioni religiose (la mancata Riforma protestante), l’etica del sacrificio e della responsabilità individuale e collettiva. Ci mancano, per ragioni storiche e per ragioni religiose, il senso della tragedia e quello del destino. E ci manca il sentimento di una comune appartenenza all’Europa e all’Occidente. Siamo, notoriamente, un Paese di furbi: entriamo in guerra solo quando riteniamo che altri la vinceranno per noi, usciamo dalla guerra alleati di regola col nemico iniziale e perciò in conflitto con l’alleato degli esordi.
Ma centrale è la nostra, storica, refrattarietà a quei principi liberali e democratici che rappresentano la vera posta in gioco nel conflitto ucraino e il vero obiettivo dell’aggressione putiniana. Ma quei valori e quei principi sono da sempre minoritari nella nostra società. Lo testimonia il fatto che per i primi cinquant’anni di storia repubblicana il sistema politico e la società civile italiane sono stati egemonizzati da un partito marcatamente cattolico legato alla Chiesa e da un partito marcatamente comunista legato all’Unione sovietica. Insieme rappresentavano il 70% dei cittadini italiani, mentre la destra più o meno post fascista ne rappresentava, mediamente, un altro 7%. Liberali ed atlantisti erano formalmente una minoranza allora e lo sono sostanzialmente ancora oggi che la demagogia ha preso il posto dell’ideologia.
Sua Maestà il Caso, per dirla con le parole di Federico II di Prussia, ha voluto che a difendere i principi e i valori liberali e democratici sia oggi Giorgia Meloni. Buona fortuna a lei e di conseguenza a noi.
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Foreign fighters in prima linea nella guerra Russia-Ucraina
Il 2 febbraio 2023, l’ex marine statunitense Peter Reed è stato ucciso in Ucraina durante l’evacuazione di civili nella città in prima linea di Bakhmut. Due giorni dopo, il 4 febbraio, i corpi di due volontari britannici, Christopher Perry e Andrew Bagshaw, furono restituiti nell’ambito di un accordo di scambio di prigionieri con le forze […]
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Ucraina: 5 motivi per cui il Sud del mondo non sostiene l’Occidente
Nell’ottobre 2022, circa otto mesi dopo l’inizio della guerra in Ucraina, l’Università di Cambridge nel Regno Unito ha armonizzato i sondaggi condotti in 137 Paesi sul loro atteggiamento nei confronti dell’Occidente e della Russia e della Cina. I risultati dello studio, sebbene non esenti da un margine di errore, sono abbastanza solidi da essere presi sul serio. […]
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Ucraina: i pericoli della pace
Mentre l’invasione russa dell’Ucraina compie un anno, sembra che non se ne veda la fine. Tuttavia, la domanda rimane, come si può raggiungere la pace e al più presto? Sia Kiev che Mosca continuano a perseguire atteggiamenti negoziali massimalisti per una buona ragione. Nonostante i contrattacchi ucraini riusciti negli Oblast di Kharkiv e Kherson, Mosca […]
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Cina e Stati Uniti: i soli padroni del mondo!
Non più tardi di oggi abbiamo riportato le parole che Romano Prodi ha usato per concludere la giornata di studi della TAB, presieduta dall’ing. Giuseppe Carta. La ripetiamo: «La guerra tra Russia e Ucraina terminerà solo a seguito di un accordo tra Stati Uniti e Repubblica cinese». E la condividiamo. È una considerazione che nasce una […]
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Guerra tutt’altro che finita: lezioni che fanno riflettere dall’Ucraina
Pochi esperti avevano previsto che la guerra della Russia contro l’Ucraina sarebbe stata lunga. Una volta che è diventato chiaro che gli ucraini avevano un’incredibile, e imprevista, capacità e volontà di resistere, le previsioni si sono spostate sull’impatto degli errori di calcolo della Russia. Nei primi mesi dell’invasione, i media occidentali erano pieni di proiezioni […]
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Lo sguardo italiano su Kyiv. L’analisi del generale Arpino
Febbraio. Siamo a un anno dall’inizio della “operazione speciale” di Vladimir Putin verso l’Ucraina. Per i russi si tratta di un mese altamente simbolico, all’inizio del quale nel 1943 ottennero la resa dell’armata del generale tedesco Von Paulus, che era stato molto vicino al successo. Rileggendo la storia di quella campagna, è possibile trovare alcune analogie.
L’area dei combattimenti, innanzitutto, altro non è se non parte di quella stessa Ucraina, dove, dal 2014, è ripreso a scorrere il sangue. Sulla nostra stampa, forse perché la toponomastica locale è in parte cambiata, oggi pochi ricordano che negli stessi luoghi contro l’Unione Sovietica (Urss) allora combattevano anche migliaia di soldati italiani. La seconda analogia vede l’esercito sovietico risaltare non tanto per la qualità dei mezzi ma per una preponderanza numerica che, gettata nella mischia a ondate di coscritti poco armati e peggio addestrati, allora finì per prevalere. La terza analogia riguarda, invece, la scarsa fiducia di Stalin nei propri capi militari, il che già allora si era tradotto in un’incredibile girandola di generali. Fino ad arrivare all’individuazione di chi, con spietatezza e perdite enormi, era stato in grado di portare alla vittoria truppe armate di grande coraggio, seppur attraverso un sacrificio estremo. Si potrebbe continuare con le analogie ma è bene fermarsi qui, per evitare premature estrapolazioni sull’esito dell’attuale conflitto.
Inoltre, va tenuto in considerazione il fatto che gli occidentali, italiani compresi, da allora sono cambiati molto più del popolo russo: noi siamo diventati in buona misura globalisti, loro rimangono tuttora patriottici. Questo finalmente ci porta ad alcune “lezioni apprese” di carattere generale, ma valide anche per l’Italia. La prima, a mio avviso, è che bisognerebbe ri-studiare la storia. Per evitare così valutazioni che rispondano soltanto ai criteri logici che oggi ci sembrano validi, e tengano invece in considerazione anche le lezioni del passato. Ciò che appare ovvio a noi, può non apparire tale a chi appartiene a un differente background culturale, professa una diversa religione o vive in altre parti del mondo.
Parlare di territorio ci porta a mettere in campo vecchie teorie geopolitiche, svalutate dopo i disastri del pangermanesimo del tedesco Karl Haushofer, che non si differenzia molto dal panslavismo ancora latente. Se è vero che la cultura dei popoli, e quindi il loro atteggiamento, è diretta funzione della geografia dei territori abitati, allora non limitiamoci a Haushofer, ma ricordiamoci anche del britannico Halford John Mackinder, dell’americano Nicholas John Spykman e dell’ammiraglio statunitense Alfred Thayer Mahan (Indo-Pacifico). È tutto correlato. Ecco, quindi, la seconda lezione appresa: dopo la storia è bene ri-studiare anche la geopolitica che, come strumento di previsione, potrebbe essere utile al nostro Paese.
Considerato quanto detto in precedenza, si potrebbe concludere che l’Italia abbia appreso almeno quattro lezioni. La prima: finalmente ci rendiamo conto di aver troppo a lungo abboccato all’amo di argomentazioni eco-ideologiche di assertività similtalebana. Ciò ci ha in parte impedito, e ancora ci vorrebbe impedire, di estrarre e utilizzare le nostre risorse energetiche che, sia pure non in abbondanza, esistono e sono ben localizzate. La seconda: solo ora ci accorgiamo di non aver diversificato le fonti di approvvigionamento esterne, ma finalmente stiamo provvedendo. La terza lezione: siamo stati espropriati delle nostre tradizionali relazioni in Nord Africa, grazie a una continua erosione da parte dei cugini d’oltralpe e di un nuovo sultano, da considerarsi alleato ma non amico. Ma, anche qui, il governo si è attivato e stiamo recuperando. La quarta è di carattere industriale e militare: le “scorte intangibili” vanno rinnovate con materiali allo stato dell’arte. Sembra cosa ovvia ma, sinora, solo i ministri Guerini e Crosetto se ne sono davvero occupati.
C’è poi un’ultima convinzione da sfatare: “Putin non userà mai l’atomica perché tutto il mondo è contrario”. Ciò potrebbe essere non del tutto vero. In tal caso verrebbe distrutta (con replica verso la Russia) qualche città occidentale, magari le capitali, in Europa e negli Usa. Ma Africa, Cina, India, Sudamerica, Paesi islamici e numerosi territori dell’Indo-Pacifico resterebbero indenni. Insieme, le popolazioni che vivono in queste aree rappresentano i tre quarti, o più, della popolazione mondiale. Siamo così certi che, pur avendo in buona parte votato contro la “operazione speciale” di Putin all’Assemblea delle Nazioni Unite, tutti questi Paesi guardino verso occidente con stima, affetto e riconoscenza? Su questo, ci sono seri dubbi.
Articolo apparso sul numero 141 della rivista Airpress
L’Europa riparta da budget Difesa e Patto di stabilità. Parola di Nones
La guerra in Ucraina è servita, tuttavia, da brusco risveglio per i Paesi democratici e, in particolare per i membri dell’Unione europea, dalla fine dell’illusione che non avremmo più visto guerre tradizionali sul Vecchio continente. Tutti si sono subito resi conto che aver mantenuto per trent’anni al minimo la nostra spesa militare (e, di conseguenza, le nostre capacità militari e industriali) ha lasciato la difesa europea in una condizione di tale debolezza al punto che per sostenere l’Ucraina si deve fare una specie di questua europea, raccogliendo anche i contributi militari più limitati (al di là, ovviamente, del messaggio politico che, comunque, viene dato alle ambizioni imperiali della Federazione russa). Finora i passi avanti nel processo di integrazione europea nel campo della difesa si sono mossi su una scala temporale decennale, mentre è ormai chiaro che dovrebbe essere triennale se non biennale o, forse, annuale.
Quanto al livello delle spese militari, troppi Paesi europei non si sono veramente impegnati nell’ultimo decennio nel rispettare l’impegno a investirci il 2% del Pil entro dieci anni, come concordato nel vertice Nato di Cardiff nel 2014 (proprio dopo l’annessione della Crimea da parte russa) e poi ribadito costantemente anche in sede europea. Fra questi anche l’Italia, che lo scorso anno ha deciso in modo unilaterale che la scadenza era per noi posticipata al 2028. Questo indicatore non esprime compiutamente l’effettivo impegno nel campo della difesa e ne andrebbero considerati anche altri: la quota degli investimenti e di quelle di funzionamento, le capacità operative, l’addestramento, l’organizzazione delle forze, la partecipazione alle missioni internazionali, eccetera. Ma senza un adeguato finanziamento alla fine tutto questo non basta, anche perché non è sostenibile nel tempo.
Dopo il 24 febbraio molti Paesi europei hanno deciso di cominciare a recuperare il ritardo ma, come un corpo denutrito non può tornare in poco tempo al peso ideale (rischia, anzi, di andare incontro a seri problemi), così ingenti stanziamenti per la difesa senza una meditata pianificazione e senza un coordinamento europeo non possono bastare. C’è il serio rischio che alla fine di questo decennio l’Unione europea abbia un ventaglio di equipaggiamenti ancora più ampio di quello odierno (compresi molti di provenienza extra-europea, che riducono ancora più la sovranità tecnologica del Vecchio continente), con tutte le conseguenze sull’effettiva integrazione militare e sulla sua difesa. Per mitigare questi rischi è importante che gli Stati membri si coordinino meglio. In particolare, quelli maggiori che di fatto esprimono tre quarti delle capacità militari europee.
Il punto di partenza è che ciascuno possa mettere in campo adeguate e omogenee disponibilità finanziarie nel campo della difesa. Una partenza in ordine sparso e una diversa velocità renderebbe impossibile ogni tentativo di trovare soluzioni congiunte nel campo delle acquisizioni e anche in quello di nuovi programmi di sviluppo. Tuttavia per Paesi troppo indebitati e alle prese con la crisi economica pre e post-pandemica questo percorso è difficile perché impatterebbe sul rispetto del Patto di stabilità. Di qui la proposta, già avanzata in passato ma oggi tornata di assoluta attualità, di escludere dai parametri del Patto una parte delle spese per la difesa. Se la Difesa europea è un superiore interesse comune dovrebbero essere esclusi, per principio, tutti gli investimenti che mirano a sanare le carenze militari europee individuate nel costante monitoraggio svolto dall’Eda, dal Comitato militare (Eumc) e dallo Stato maggiore dell’Unione europea (Eums). Fra questi dovrebbero esserci tutti quelli intergovernativi e quelli che deriveranno dai programmi di ricerca e sviluppo cofinanziati dall’Ue.
Tenendo conto della drammatica urgenza del rafforzamento militare europeo, all’inizio potrebbero essere compresi anche quelli nazionali, con alcune condizioni volte a evitare derive protezionistiche e superare le preoccupazioni di alcuni partner (in particolare i cosiddetti Paesi frugali): primo, la quota escludibile potrebbe essere limitata al 50%; secondo, la misura potrebbe essere limitata a pochi anni; terzo, il programma interessato dovrebbe comunque corrispondere a un’esigenza riconosciuta a livello europeo; in ultimo, dovrebbe esserci un coinvolgimento industriale europeo. Prima che sia troppo tardi, la difesa europea dovrebbe adottare e mettere concretamente in atto il motto tutti per uno, uno per tutti, assicurando che insieme si possa partecipare alla costruzione di una vera Europa della Difesa.
Articolo apparso sul numero 141 della rivista Airpress
Russia-Ucraina anno uno: la pace sempre a zero!
Si stanno celebrando quasi come un festoso compleanno i primi 12 mesi della “guerra lampo” cheVladimir Putin aveva sperato di scatenare contro l’Ucraina. Frutto -nostra opinione- di come stampa e opinione pubblica ingurgitino con una discinta leggerezza le informazioni su una sciagura perpetrata ad appena un paio di migliaia di chilometri dai nostri confini. […]
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Navi e jet, Indo-Pacifico ed Europa sono connessi. Parla il ministro Hamada
A inizio gennaio, Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, e Fumio Kishida, primo ministro giapponese, hanno annunciato, in occasione di un incontro a Palazzo Chigi, l’innalzamento delle relazioni bilaterali al rango di partenariato strategico. Appena un mese prima, i due leader e l’omologo britannico Rishi Sunak avevano sottoscritto un’intesa per la realizzazione di un aereo da combattimento di sesta generazione: il Global combat air programme, per l’integrazione tra l’anglo-italiano Tempest e il giapponese F-X. E pochi giorni fa, in occasione del Pontignano Forum a Roma, Ben Wallace, ministro della Difesa britannico, ha annunciato che a marzo si recherà a Tokyo assieme all’omologo italiano Guido Crosetto per incontrare il collega giapponese Yasukazu Hamada. Che, in questa intervista esclusiva a Formiche.net, auspica che il Gcap possa contribuire “alla pace e alla stabilità nelle regioni dell’Indo-Pacifico e dell’Europa”.
Che cosa significa per il settore difesa il nuovo partenariato strategico tra Italia e Giappone?
Il Giappone e l’Italia sono entrambi membri del G7, condividono valori fondamentali e hanno la responsabilità di guidare la comunità internazionale. Assieme i Paesi hanno concordato di elevare le relazioni a “partneriato strategico” in occasione del recente incontro al vertice del 10 gennaio. Ci auguriamo di lavorare insieme per la cooperazione bilaterale e per la cooperazione sulle sfide internazionali. Nel campo della difesa, il Giappone e l’Italia rafforzeranno la cooperazione, anche attraverso i colloqui politico-militari che abbiamo deciso di tenere in occasione del recente incontro al vertice e lo sviluppo congiunto del futuro aereo da combattimento con il Regno Unito annunciato lo scorso dicembre.
Quali sono le prospettive per le relazioni bilaterali?
Il Giappone e l’Italia hanno sviluppato una cooperazione a livello operativo, come quella per lo sviluppo congiunto di aerei da combattimento di nuova generazione e l’esercitazione congiunta contro la pirateria tra la Marina italiana e la Forza di autodifesa marittima del Giappone. Inoltre, hanno avuto scambi di difesa a vari livelli, compresi dialoghi ad alto livello, come la riunione ministeriale Giappone-Italia nell’aprile 2022, la visita in Giappone del capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare Italiana con circa 100 cadetti dell’Accademia aeronautica, lo scambio di difesa tra le due squadriglie di rifornimento aereo e una teleconferenza con il ministro della Difesa italiano Crosetto. Continueremo la cooperazione e gli scambi bilaterali in materia di difesa.
Si aspetta una presenza navale italiana nell’Indo-Pacifico? A breve nave Morosini si addestrerà insieme agli alleati e alle marine amiche nell’Indo-Pacifico, ha annunciato a Formiche.net l’ammiraglio Enrico Credendino, capo di stato maggiore della Marina italiana.
La sicurezza in Europa e nell’Indo-Pacifico sono strettamente correlate e il Giappone accoglie con favore il crescente interesse dei Paesi europei per la regione Indo-Pacifica. Il Giappone è molto favorevole all’invio di navi e aerei nella regione indo-pacifica da parte dell’Italia e di altri Paesi europei, in quanto ciò contribuisce alla pace e alla stabilità della regione indo-pacifica. Speriamo di cogliere questa opportunità per ampliare le possibilità di ulteriori addestramenti congiunti tra unità militari di vari Paesi e le Forze di autodifesa.
Che cosa ha spinto il Giappone ad aderire al Gcap con l’Italia e il Regno Unito?
Quando ci siamo occupati dello sviluppo congiunto, era importante che ogni Paese avesse la stessa data di entrata in servizio prevista e il proprio programma di sviluppo in vista della cooperazione internazionale. A questo proposito, il Giappone, il Regno Unito e l’Italia avevano un proprio programma di sviluppo di un aereo da combattimento di nuova generazione entro il 2035. Inoltre, questo sviluppo congiunto da parte di Giappone, Regno Unito e Italia consentirà di condividere i vantaggi tecnologici, le competenze e i costi di sviluppo per sviluppare congiuntamente un caccia avanzato che garantirà la superiorità aerea in futuro; di mantenere e rafforzare le basi industriali della difesa aumentando il numero di velivoli prodotti e creando la prossima generazione di ingegneri riconosciuti a livello internazionale; gettare le basi per una più ampia collaborazione tra Giappone, Regno Unito e Italia, che condividono valori fondamentali e sono alleati degli Stati Uniti, e che contribuiscono in modo determinante alla stabilità delle regioni dell’Indo-Pacifico e dell’Europa in un contesto di sicurezza sempre più complesso. Tali elementi sono stati presi in considerazione al momento di decidere questo sviluppo congiunto trilaterale.
Quali sono gli orizzonti per la cooperazione tra i tre Paesi?
Lo sviluppo congiunto di aerei da combattimento di nuova generazione mira a sviluppare un aereo da combattimento che abbia la superiorità aerea nei prossimi decenni, integrando le tecnologie di Giappone, Italia e Regno Unito e condividendone i costi, per esempio. Lo scorso dicembre, i leader di Giappone, Italia e Regno Unito hanno annunciato nella dichiarazione congiunta dei leader che il Gcap accelererà le nostre capacità militari avanzate e il nostro potenziale tecnologico, approfondendo la cooperazione nel campo della difesa, la collaborazione scientifica e tecnologica, le catene di fornitura integrate e rafforzando ulteriormente la nostra base industriale della difesa. Il ministero della Difesa e le Forze di autodifesa del Giappone prevedono che questa cooperazione del Gcap promuoverà l’innovazione nell’economia giapponese nel suo complesso, contribuirà alla pace e alla stabilità nelle regioni dell’Indo-Pacifico e dell’Europa e promuoverà ulteriormente la cooperazione e gli scambi nel settore della difesa insieme all’Italia e al Regno Unito, al fine di mantenere e rafforzare l’“Indo-Pacifico libero e aperto” e la sicurezza nella regione.
Che cosa si aspetta dal prossimo incontro tra i suoi omologhi italiano e britannico, Crosetto e Wallace?
Per quanto riguarda l’incontro tra i ministri della Difesa di Giappone, Italia e Regno Unito, al momento non sono stati decisi i dettagli. Come detto, ci si aspetta che la cooperazione Gcap promuova l’innovazione nell’economia giapponese nel suo complesso e contribuisca alla pace e alla stabilità nelle regioni dell’Indo-Pacifico e dell’Europa. È significativo che i ministri del Giappone, dell’Italia e del Regno Unito confermino questi punti e procedano verso un’ulteriore cooperazione.
Quali sono le priorità di difesa del Giappone per quanto riguarda l’Europa?
Il Giappone ha formulato la “Strategia nazionale di sicurezza”, la “Strategia nazionale di difesa” e il “Programma di potenziamento della difesa” nel dicembre 2022. In questi documenti si specifica che il Giappone manterrà e rafforzerà l’ordine internazionale libero e aperto attraverso l’ulteriore miglioramento delle sue capacità di deterrenza e di risposta con i Paesi affini e il rafforzamento delle proprie capacità di difesa. Sulla base di questi concetti, la “Strategia nazionale di difesa” stabilisce la politica di cooperazione che con partner come l’Italia, il Regno Unito, la Francia e la Germania, il Giappone rafforzerà reciprocamente il coinvolgimento nelle questioni di sicurezza globale e nelle sfide in Europa e nell’Indo-Pacifico. Di conseguenza, il Giappone costruirà una stretta cooperazione con i Paesi europei attraverso consultazioni come il “2+2”, addestramenti ed esercitazioni bilaterali/multilaterali, attrezzature di difesa e cooperazione tecnologica, compreso lo sviluppo congiunto di aerei da combattimento di nuova generazione, e l’invio reciproco di navi e aerei. Per quanto riguarda la politica con la Nato e l’Unione europea, la “Strategia nazionale di difesa” stabilisce che, sulla base delle relazioni bilaterali con i suddetti Paesi europei, il Giappone rafforzerà la collaborazione per quanto riguarda la definizione delle regole internazionali e il coinvolgimento nella sicurezza della regione indo-pacifica. Inoltre, il Giappone rafforzerà la collaborazione con gli Stati nordico-baltici, che stanno affrontando cambiamenti unilaterali dello status quo con la forza e tentativi di questo tipo, tra cui l’aggressione della Russia all’Ucraina, e stanno lavorando su una serie di importanti sfide come l’information warfare, la cybersecurity, la comunicazione strategica e la guerra ibrida. Il Giappone rafforzerà, inoltre, la collaborazione con i Paesi dell’Europa centrale e orientale, tra cui la Repubblica Ceca e la Polonia, Paesi che mostrano interesse a rafforzare le loro relazioni con il Giappone.
La guerra in Ucraina ha fornito lezioni utili per la difesa di Taiwan?
Il ministero della Difesa si astiene dal dare una risposta definitiva sull’influenza dell’aggressione russa all’Ucraina. Partendo da questo presupposto, Taiwan ha annunciato che, alla luce dell’aggressione contro l’Ucraina, ha rafforzato l’addestramento militare per i riservisti e che ha condotto l’addestramento con l’anticarro Javelin e l’addestramento alla difesa aerea a cui ogni cittadino ha partecipato durante l’esercitazione regolare su larga scala. Inoltre, è stato sottolineato che la Cina è diventata cauta nell’usare la forza contro Taiwan perché la Russia ha affrontato la forte resistenza dell’Ucraina e le forti sanzioni attuate dalla comunità internazionale unita. Ad ogni modo, il ministero della Difesa continua a monitorare attentamente le tendenze in atto.
A inizio gennaio, Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, e Fumio Kishida, primo ministro giapponese, hanno annunciato, in occasione di un incontro a Palazzo Chigi, l’innalzamento delle relazioni bilaterali al rango di partenariato strategico.
Voti sinistri
In omaggio ad un’americanata senza regole, a sinistra s’è ribaltata la logica: eleggono il conducator, ma non votano la meta; si ripetono che sono necessarie le alleanze, ma evitano di sceglierle. Così passano dal “campo largo” al “campo dei miracoli”, dal volere essere egemoni in una galassia indefinita al divenire speranzosi che le monete offerte ai coalizzandi Gatto & Volpe possano fruttar altro che fregature.
In un procedere logico le cose vanno all’opposto: il gruppo dirigente, selezionato negli anni, sceglie una linea politica, individua chi possa interpretarla e si presenta al giudizio dei militanti, per poi affrontare quello degli elettori. Prima la linea, poi le persone, infine il proselitismo. Invece s’è cancellata la linea (troppo politicismo, dicono, come se di mestiere non facessero i politici), gli iscritti hanno scelto il segretario, ovvero Bonaccini, ma domenica si chiede che ne pensano i passanti. Un grande sforzo di militanza, dicono quelli del Partito democratico. Somiglia tanto, però, a una gara d’irrilevanza. Qui c’è un equivoco grande come una casa del popolo: contano le idee, non il modo per vincere le elezioni senza averle fatte conoscere. Ed è quello il problema grosso: le idee non ci sono e si pensa di sostituirle con le suggestioni.
Ecco perché ci sono cose che sanno di vecchio prima ancora d’essere nate. Quando Bonaccini sarà segretario il Pd avrà alla guida un anti-anticomunista, come la destra è guidata da Meloni, che è anti-antifascista. Peccato i democratici siano anti-totalitari, quindi anti-fascisti e anti-comunisti. Se per evitare che gli ex ragazzi rossi e neri si decidano a crescere noi si debba continuare ad assistere ai resistenziali della domenica e agli internazionalisti del nazionalismo, possiamo solo sperare che i sempre più numerosi ragazzi che si pesteranno trovino in fretta di meglio da fare. Nell’insieme: è una pagliacciata.
L’orgoglio comunista delle cooperative rosse emiliane e l’esperienza umana delle periferie nere metropolitane possono generare identità personali e storie di gruppo, ma non idee che abbiano a che vedere con il governo di un Paese non più, da tempo, agropastorale. In quel loro passato non c’è un briciolo di futuro. Le idee prendono il posto della rappresentanza degli interessi quando, nel riflettere e nel proporre, il futuro prende il posto del presente. Ma qui si stanno disputando il passato. Manca solo che recitino in costume.
Prima che ricomincino l’eterno ed ozioso gioco del piccolo costituente (che già chiamano “premier” Meloni, dimostrando che non hanno letto manco le istruzioni) provino a guardarsi nelle palle degli occhi: una è alleata con due forze politiche che provano a impallinarla qualsiasi cosa faccia, non escludendo lo sputtanamento internazionale; gli altri si pensano alleati con quelli che farebbero apparire l’inglese Corbin come un pragmatico affidabile. Siccome questa roba è un falso, a destra come a sinistra, e il falso genera falsi, si guardino negli occhi e si chiedano se si vuole andare verso un maggioritario con ballottaggio (quello per cui a Roma la destra arriva prima e il sindaco lo fa uno di sinistra), oppure verso un proporzionale che non indebolisce il governo (come in Germania). L’idea che la soluzione migliore sia cambiare gli elettori è già venuta ad altri e non vale copiare.
Nel falso maggioritario italiano è già capitato, a destra come a sinistra, di dovere governare essendo minoranza. Non è vero che è capitato solo alla sinistra. Il risultato, però, è che poi governano gli altri e nessun governante ha mai vinto le politiche successive.
Ci sono idee, in merito? Keir Starmer, in Inghilterra, non ha cambiato gli occhiali, ma il modo di vedere le cose. Come fece Blair. Parlarono e parlano di sicurezza, ordine, mercato. Buona domenica, badate a che i sinistri di lunedì non siano né gli infausti né gli accidentati. Se cercate idee senza bandiere qui ce ne sono. Sinistramente gratis.
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PODCAST. Nablus, la rappresaglia dei coloni: case e auto bruciate, un palestinese ucciso
di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 27 febbraio 2023 – Ieri, mentre ad Aqaba, in Giordania, israeliani e palestinesi discutevano, con la mediazione americana, di de-escalation in Cisgiordania, i coloni israeliani si lanciavano in una rappresaglia di massa contro alcuni villaggi palestinesi per vendicare due fratelli uccisi in un agguato nei pressi di Nablus. Durante il raid di eccezionale violenza sono state incendiate oltre 30 case, decine di automobili palestinesi ed è stato ucciso un 37enne di Zaatara che cercava di portare soccorso ad alcuni feriti. Mercoledì scorso l’esercito israeliano aveva ucciso a Nablus 11 palestinesi e ferito 102 in una incursione tra le più letali di questi ultimi mesi.
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MEDITERRANEO. Ancora una strage di migranti ma il governo Meloni non cambia politica
di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 26 febbraio 2021 – Una nuova strage nel Mediterraneo si è verificata oggi poco prima dell’alba al largo della costa calabrese. Sul fare del giorno, i primi cadaveri sono stati rinvenuti sulla spiaggia turistica di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone. Tra questi, anche un lattante di sei mesi. Nelle ore successive, altri cadaveri sono stati restituiti dalle onde di un mare in tempesta, alcuni ritrovati persino sulle rive del catanzarese. Per il momento, il bilancio è di 59 morti (tra cui 14 bambini) e circa 80 sopravvissuti, subito soccorsi e ricoverati in ospedale o portati nei centri di raccolta per migranti.
Sono almeno un centinaio i dispersi che i soccorritori della guardia costiera, dei vigili del fuoco, della polizia e della Croce Rossa Italiana stanno cercando in queste ore.
Secondo le prime ricostruzioni, una piccola imbarcazione, partita dalla Turchia carica di circa 250 migranti provenienti da Afghanistan, Iran e Pakistan, si sarebbe incagliata contro gli scogli della costa di Cutro e ribaltata, probabilmente a causa del mare molto mosso. “E’ qualcosa che nessuno vorrebbe mai vedere”, ha dichiarato il sindaco di Cutro, “Il mare continua a restituire corpi, tra le vittime ci sono donne e bambini”.
Immediate le reazioni da parte del governo, a partire dalla premier Giorgia Meloni che, tuttavia, ha soltanto saputo attaccare i trafficanti, definendo “criminale mettere in mare una imbarcazione lunga appena 20 metri con ben 200 persone a bordo e con previsioni meteo avverse”, senza mettere in discussione le politiche ostruzionistiche che il suo esecutivo attua verso le navi delle Ong impegnate nei salvataggi.
Le Organizzazioni Non Governative impegnate nel soccorso dei migranti nel Mediterraneo hanno, però, reagito all’ennesima strage di migranti in mare attaccando proprio il governo meloniano. Solo pochi giorni fa, infatti, Il decreto sui flussi migratori, il cosiddetto decreto ONG, era diventato legge, dopo l’approvazione definitiva del Senato con 84 voti favorevoli e 61 contrari. Una legge che limita i soccorsi in mare, secondo le ONG, provocando potenzialmente centinaia e migliaia di vittime delle migrazioni nel Mediterraneo.
Secondo la legge, infatti, le navi impegnate nelle operazioni di soccorso in mare non possono effettuare più di un salvataggio alla volta. Dopo aver soccorso i migranti, sono obbligate a richiedere immediatamente l’assegnazione di un porto di sbarco e a raggiungerlo nel più breve tempo possibile. Secondo le ONG, impedire di effettuare più salvataggi sulla stessa rotta riduce in maniera criminale la possibilità di salvare vite umane pur avendone la possibilità. I porti assegnati, inoltre, come dimostrato negli ultimi mesi con l’applicazione del decreto, si trovano spesso nel Centro e nel Nord Italia: ciò determina un inutile dispendio di tempo (oltre che di carburante) prezioso alle navi per tornare in mare e soccorrere altre persone.
In caso di violazione della legge, è prevista una sanzione amministrativa per il comandante della nave che va dai 10.000 ai 50.000 euro e il fermo amministrativo del mezzo per due mesi. In caso di reiterazione della violazione, si applica la confisca della nave. Previste sanzioni che vanno dai 2000 ai 10mila euro al comandante e all’armatore della nave anche se “non forniscono le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare o non si uniformano alle indicazioni della medesima autorità”.
La legge per questo, secondo le opposizioni e i soccorritori, attacca direttamente le ONG e la possibilità di svolgere salvataggi nel Mediterraneo. Nel 2022, oltre 100.000 rifugiati sono arrivati in Italia via mare, un numero in aumento negli ultimi anni. La strage del 26 febbraio infiamma di nuovo lo scontro con il governo, che, con le parole di Meloni, non sembra indietreggiare sul fronte migratorio.
“Il Governo è impegnato a impedire le partenze, e con esse il consumarsi di queste tragedie, e continuerà a farlo, anzitutto esigendo il massimo della collaborazione dagli Stati di partenza e di provenienza. Si commenta da sé l’azione di chi oggi specula su questi morti, dopo aver esaltato l’illusione di una immigrazione senza regole”, ha aggiunto, infatti, la Premier sui social. Difficile immaginare come potrà garantire il rispetto dei diritti umani mediando con il governo iraniano o con quello dei talebani affinché i migranti non decidano più di lasciare quei Paesi. Intanto vengono vantati nuovi accordi con Tunisia e Libia, che probabilmente foraggeranno ulteriormente i crimini nei centri di detenzione per i migranti o quelli compiuti dalla guardia costiera nazionale.
Ferma la condanna di Mediterranea Saving Humans:
⚫️ Cresce di ora in ora il numero delle vittime e dei dispersi del naufragio al largo di #Crotone.Chi, al governo, chiude le frontiere e non apre canali legali e sicuri d'ingresso in #Europa, dovrebbe solo tacere.
Per rispetto. pic.twitter.com/P363tkhpYR
— Mediterranea Saving Humans (@RescueMed) February 26, 2023
E di Medici Senza Frontiere (MSF):
⚫️ While we are stuck in port, avoidable tragedies continue to unfold before our eyes. How many people will have to be sacrificed until #Italy and the #EU guarantee search and rescue operations and support the life-saving work of #NGOs?#TheyWillPay t.co/WVSPC5PHXp— MSF Sea (@MSF_Sea) February 26, 2023
Il primo fermo amministrativo della legge sui flussi migratori con multa ai danni di una ONG era stato notificato il 23 febbraio scorso proprio ai danni di Medici Senza Frontiere, ONG francese premio Nobel per la Pace. «La Capitaneria di Porto di Ancona ci contesta, alla luce del nuovo decreto, di non aver fornito tutte le informazioni richieste durante l’ultima rotazione che si è conclusa con lo sbarco ad Ancona di 48 naufraghi», aveva comunicato l’ONG. Per questo motivo, la Geo Barents, la nave di soccorso in mare di MSF, “è stata raggiunta da un fermo amministrativo di 20 giorni e una multa da 10 mila euro”. L’ONG aveva prontamente dichiarato che i suoi legali stavano valutando le azioni per contestare la sanzione.
Proseguono, intanto, le ricerche dei dispersi. Secondo il progetto Missing Migrants dell’International Organization of Migrants, dal 2014 a oggi, sono oltre 50.000 i migranti dispersi nel mondo. Di questi, almeno il 60% resta non identificato: di oltre 30.000 persone, cioè, non si riesce a risalire né all’identità né almeno alla nazionalità d’origine.
Tra le rotte delle migrazioni, sempre secondo Missing Migrants, quella che conduce verso l’Europa è la più “mortale”, con più di 29.000 dei 50.000 morti dal 2014 registrati lungo rotte all’interno o verso i confini europei. Le rotte europee sono anche quelle dove si registra il maggior numero di migranti non recuperati, con almeno 16.032 persone disperse o di cui si suppone il decesso in mare. Ciò significa che un migrante su due disperso lungo il viaggio verso l’Europa non viene ritrovato né identificato.
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Stain -Kindergarten Part II- ADA Music/Warner Music
🎧 #RECENSIONE:
👉 Stain -Kindergarten Part II- ADA Music/Warner Music iyezine.com/stain-kindergarten…
Le sei canzoni presenti hanno quel senso di nouvelle vague tipico dell’indie americano più di avanguardia degli anni duemila, quell’inadeguatezza tra l’essere giovani o più maturi, quel gioco continuo di rimandi fra memoria e vita presente. iyezine.com/stain-kindergarten…
Stain - Kindergarten Part II - 2023
Le sei canzoni presenti hanno quel senso di nouvelle vague tipico dell’indie americano più di avanguardia degli anni duemila, quell’inadeguatezza tra l’essere giovani o più maturi, quel gioco continuo di rimandi fra memoria e vita presente.Massimo Argo (In Your Eyes ezine)
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Devol ⁂
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Inoltre manca #Discourse che oltre a rappresentare i forum della nuova generazione ha appena annunciato di aggiungere il supporto ad #activitypub che porterà il primo vero forum nel fediverso
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informapirata ⁂
in reply to Devol ⁂ • • •Sarà sicuramente interessante capire in quale modo implementerà ActivityPub se davvero lo farà, Ma così come per Tumblr ho delle perplessità sulla integrazione reale con il Fediverso da parte di strumenti nati per essere privati e centralizzati
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Devol ⁂
in reply to informapirata ⁂ • • •discord si è evoluto, per mantenere gli appassionati attivi dopo le live ha aggiunto veri e propri forum di discussione con messaggi di testo, media e file in chat private:
knowtechie.com/discord-adds-fo…
New Discord feature is literally just forums
Alex Gatewood (KnowTechie)reshared this
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informapirata ⁂
in reply to Devol ⁂ • • •Ma la direzione è la stessa: sistemi non-web che vengono a prendersi gli spazi del web.
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0ut1°°k
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •post molto bello. Avevo già capito da solo come pubblicare sui subreddit di feddit ma ho comunque trovato tante informazioni utili
Guarda che hai scritto male il nome utente di @eticadigitale
@informapirata@poliverso.org @forum @informapirata@mastodon.uno @lealternative @devol @scuola @fediverso
Informa Pirata likes this.
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Informa Pirata
in reply to 0ut1°°k • •@informapirata :privacypride: @Etica Digitale @Le Alternative @Devol :fediverso: @Poliverso - notizie dal fediverso
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