Quattro mesi dopo, pazienti e lavoratori di Gaza sono ancora bloccati in Cisgiordania
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di Fatima AbdulKarim* – +972
All’inizio di ottobre, Hiyam (nome di fantasia), 20 anni, ha lasciato Gaza per la prima volta. Suo fratello maggiore, Mohammed (nome di fantasia), soffriva di leucemia, e ai due erano stati concessi permessi difficili da ottenere per entrare in Israele in modo da poter ricevere cure specializzate che non sono disponibili nella Striscia a causa del lungo blocco israeliano.
All’ospedale nel centro di Israele, Mohammed ha inizialmente ricevuto buone cure: il personale era attento e cordiale e le sue condizioni sembravano migliorare. “Pensavo che saremmo tornati a Gaza con lui in piedi e che tutto sarebbe presto finito”, ha detto Hiyam malinconicamente, guardandosi intorno come se cercasse di ritrovare quella speranza.
L’8 ottobre, tuttavia – un giorno dopo che gli attacchi guidati da Hamas nel sud di Israele avevano ucciso oltre 1.100 israeliani e Israele aveva iniziato a bombardare Gaza – le condizioni di Mohammed peggiorarono rapidamente. All’improvviso, stava sanguinando in modo incontrollabile e, nonostante i disperati tentativi di Hiyam di allertare il personale medico della sua situazione, nessuno sembrava prestare attenzione. Nel giro di poche ore Mohammed morì.
Fu solo dopo la morte di suo fratello che Hiyam venne a conoscenza dello scoppio della guerra. Concentrati sulle condizioni di Mohammed non erano consapevoli della situazione che si stava svolgendo a poche miglia di distanza – uno sviluppo che ha lasciato Hiyam intrappolata nel limbo ad affrontare ostacoli burocratici quasi insormontabili mentre piangeva la perdita di suo fratello.
Per due giorni, Hiyam vagò senza meta per l’ospedale finché il personale non insistette per la sua partenza. Con l’aiuto di un’altra donna di Gaza, Hiyam è riuscita a procurarsi un’ambulanza per trasportare il corpo senza vita di suo fratello a Ramallah, nella Cisgiordania occupata, dove è stato sepolto. Quattro mesi dopo, Hiyam è ancora a Ramallah, impossibilitata a tornare a Gaza mentre la guerra infuria – e lei non è l’unica.
Secondo l’ospedale Augusta Victoria, più di 120 palestinesi che sono entrati in Israele da Gaza prima del 7 ottobre – sia come pazienti che ricevono cure mediche sia come loro accompagnatori – sono bloccati negli ospedali di Gerusalemme Est, impossibilitati a tornare nella Striscia ma definiti illegali da Israele. residenti a causa della scadenza dei permessi di ingresso.
Cinquantuno malati di cancro di Gaza all’Augusta Victoria hanno soggiornato, senza permesso, nell’area dell’ospedale o in alloggi in affitto nelle vicinanze dall’inizio della guerra. “Ognuno di loro ha perso qualcuno di caro e molti sperano di tornare a Gaza”, ha detto a +972 il dottor Yousef Hamamreh, un oncologo dell’ospedale.
Secondo Hamamreh, oltre 100 pazienti aggiuntivi da Gaza sarebbero dovuti arrivare per i loro piani di cura del cancro nelle settimane successive al 7 ottobre, ma non sono riusciti a lasciare la Striscia dopo che Israele ha sigillato i valichi di frontiera. Hamamreh ha spiegato che sta tenendo d’occhio i pazienti arrivati prima della guerra, il cui dolore per le perdite a Gaza è stato aggravato dalle restrizioni ai loro movimenti. Il risultato, ha detto, è stato un “grave impatto sul loro stato mentale”.
Secondo il Ministero della Sanità palestinese, circa altri 70 pazienti di Gaza e i loro accompagnatori sono bloccati in Cisgiordania; la maggior parte di loro stava già ricevendo cure negli ospedali della Cisgiordania prima del 7 ottobre, ma alcuni di loro erano in cura negli ospedali in Israele e sono stati costretti a trasferirsi dopo l’inizio della guerra. Alla loro lotta per tornare nella Striscia di Gaza assediata, si uniscono diverse migliaia di lavoratori a cui Israele ha revocato il permesso non appena è iniziata la guerra – vittime di un sistema burocratico di controllo che ostacola gravemente la libertà di movimento dei palestinesi nella Striscia di Gaza assediata e stabilisce dove e quando possono viaggiare.
“Pezzi di famiglia”
A Ramallah, la storia di Hiyam riecheggia nelle sale del modesto albergo dove alloggia da quando ha seppellito il corpo di suo fratello, insieme a decine di pazienti e loro parenti arrivati da Gaza prima dell’inizio della guerra. Alcuni degli occupanti stanno aspettando di tornare a Gaza, mentre altri stanno continuando i loro piani di trattamento negli ospedali palestinesi in Cisgiordania.
È stato qui che Hiyam ha incontrato Hana Matar, una donna malata di cancro di 43 anni e madre di quattro figli. Matar ha dovuto recarsi periodicamente in Cisgiordania negli ultimi tre anni per le sue cure mediche. Quando è arrivata a Ramallah il 3 ottobre – insieme a suo figlio di 3 anni, Khalil, che ha un problema cardiaco che richiede cure specialistiche in Cisgiordania – non avrebbe potuto immaginare che sarebbe rimasta lì più di quattro mesi dopo.
Con le lacrime agli occhi mentre scorreva le foto delle sue figlie sul telefono, Matar ha descritto una svolta agrodolce nella storia della sua famiglia: suo fratello, un medico che vive in Russia, è riuscito a far rilasciare alle sue figlie un visto che consente loro di uscire da Gaza. I tre figli di Matar e sua madre sono ora a Mosca, al sicuro, ma a migliaia di chilometri di distanza.
“Erano rimasti bloccati in una scuola delle Nazioni Unite a Deir al-Balah e poi a Rafah, tremando per il freddo e l’abbandono. Ora sono nella neve, ma al caldo”, ha detto Matar, guardando una foto della figlia maggiore a Mosca, vestita con un cappotto, un foulard e occhiali da sole colorati.
Il marito di Matar, tuttavia, rimane a Rafah, in attesa di essere inserito nella lista per l’evacuazione e di riunirsi ai suoi figli. Con il marito a Gaza, i figli e la madre in Russia e lei stessa con Khalil a Ramallah, Matar ha descritto di sentirsi come “un pezzo di una famiglia divisa”. Per il momento, però, non ha altra scelta che restare in Cisgiordania; partire richiederebbe l’ottenimento di permessi speciali per lei e Khalil per entrare in Giordania, mentre il costo di entrambe le cure in qualsiasi altra parte del mondo sarebbe insostenibile.
Nel frattempo, Matar, Hiyam e il resto degli abitanti di Gaza bloccati a Ramallah – a meno di 60 miglia dalle loro case nella Striscia – ricevono aggiornamenti frammentari da amici e familiari. I blackout intermittenti delle telecomunicazioni a Gaza hanno ridotto questi aggiornamenti ai messaggi più semplici, per lo più via sms, che spesso arrivano solo ore o giorni dopo essere stati inviati.
“Le nostre conversazioni si limitano a: ‘Sono vivo e sto bene’. Questo è tutto”, ha detto Matar. “Anche le decisioni più importanti della nostra vita, come evacuare da Gaza mia madre e le mie figlie, vengono prese con poche parole, pensando solo alla sicurezza”.
Niente lavoro, niente sicurezza
Oltre a questi pazienti e ai loro accompagnatori, il 7 ottobre migliaia di lavoratori provenienti da Gaza si trovavano in Israele o in Cisgiordania. Anche loro si sono poi ritrovati detenuti in Israele e trasferiti con la forza in Cisgiordania, essendo stati loro revocati i permessi. .
Prima del 7 ottobre, Israele ha concesso oltre 18.000 permessi di lavoro agli abitanti di Gaza, fornendo un’ancora di salvezza economica precaria a pochi fortunati per sfuggire all’economia soffocata della Striscia. In seguito agli attacchi, i lavoratori sono stati arrestati in massa; la maggior parte è stata trattenuta per settimane senza accusa né processo e senza che le autorità israeliane fornissero alcuna informazione alle organizzazioni umanitarie, inclusa la Croce Rossa Internazionale. Successivamente sono stati rilasciati a Ramallah.
L’Autorità nazionale palestinese (Anp) afferma di aver assicurato il ritorno a Gaza di oltre 5.000 lavoratori in diversi gruppi da ottobre, mentre un numero simile è stato rilasciato direttamente dalle autorità israeliane a novembre. In Cisgiordania rimangono alcune migliaia di lavoratori, molti dei quali alloggiano presso il quartier generale dell’accademia di polizia dell’Autorità Palestinese nella città di Gerico.
I lavoratori che sono tornati a Gaza affermano di essere stati riportati in autobus in un’area a diversi chilometri dal checkpoint di Kerem Shalom/Karem Abu Salem, costretti a percorrere a piedi la distanza rimanente fino alla città di Rafah, più meridionale di Gaza. Questa è stata l’umiliazione finale, che si è aggiunta all’esperienza traumatica della loro detenzione e dell’essere rimasti ammanettati, bendati e fatti inginocchiare per lunghe ore, nonché privati del cibo. Alcuni sono stati picchiati e a molti sono stati confiscati anche oggetti personali, comprese carte d’identità e denaro.
Tareq, 48 anni, era tra coloro che sono riusciti a tornare a Gaza. “Ci è stata data la possibilità di tornare, quindi ho deciso di tornare a Gaza anche se non sapevo chi avrei trovato ancora lì”, ha detto a +972. “Eravamo un flusso di uomini esausti che desideravano entrare a Gaza anche se non è più quella che era, e questa sensazione ci ha dato la forza di correre – a volte sembrava di volare – verso il valico, nonostante le percosse e le umiliazioni”. Tareq ha trascorso quasi 10 giorni in prigione dopo il 7 ottobre senza sapere dove si trovasse. È stato rilasciato solo dopo essere stato colpito da un ictus: è stato trasferito in un ospedale di Ramallah, dove ha trascorso cinque settimane in convalescenza. Secondo Tareq, quando è stato lasciato in ospedale, gli è stata restituita solo la carta d’identità ma non i soldi, le medicine o il telefono.
“Per 10 giorni siamo stati schiacciati in aree minuscole, ammanettati, senza acqua e poco cibo, e senza il permesso di parlarci. Sapevo a malapena chi c’era con me”, ha raccontato. Ora, tornato a Gaza, vive in una tenda improvvisata che ha costruito per la sua famiglia di otto persone a Rafah .
Hasan Yasin, 40 anni, lavorava in un supermercato a Giaffa quando è scoppiata la guerra. Rendendosi conto che lì non c’era sicurezza per lui, né alcuna prospettiva imminente di tornare al lavoro, lui e quattro colleghi hanno tentato di entrare in Cisgiordania pochi giorni dopo, ma sono stati catturati e arrestati. Sono stati detenuti per l’intera giornata e picchiati pesantemente. Alla fine sono stati rilasciati a un posto di blocco vicino a Jenin, ma i suoi effetti personali – inclusi telefono e denaro – non gli sono stati restituiti.
Dopo quella dura prova, Yasin ha deciso di restare in Cisgiordania e cercare un lavoro, nonostante le suppliche della sua famiglia di tornare a Gaza. “I lavoratori che sono tornati sono stati picchiati e umiliati, e ho deciso di non subire di nuovo una cosa del genere”, ha detto a +972. “Ho ancora una ferita sul palmo della mano che mi ricorda cosa potrebbe succedere.”
Ciononostante, Yasin cerca modi alternativi per tornare a Gaza: “Cercherò di viaggiare in Egitto ed entrare a Gaza attraverso Rafah [valico], ma non riesco ad attraversare [il valico della Cisgiordania] per raggiungere la Giordania”. I palestinesi di Gaza sono obbligati a ottenere un permesso speciale per entrare in Giordania attraverso il ponte Allenby, ma questi non vengono attualmente rilasciati, secondo un funzionario di frontiera giordano, nel tentativo di impedire “possibili piani israeliani di trasferimento [della popolazione palestinese] ”.
+972 si è rivolto alla polizia israeliana e al coordinatore delle attività governative nei territori (COGAT) – il dipartimento dell’esercito israeliano responsabile del rilascio dei permessi ai palestinesi – per un commento. Le loro risposte saranno pubblicate se e quando verranno ricevute.
*Fatima AbdulKarim è una giornalista con sede a Ramallah. Twitter @FatiabdulFatima
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Vane tentazioni
Guardate come sono futili le tentazioni proposte dal diavolo in questo racconto e dunque vano tutto quello che propone. Propone di sfamarsi come un gioco di prestigio, di buttarsi dall’alto del pinnacolo, in una vana dimostrazione di coraggio, propone tutti i regni del mondo con la loro gloria che è vana, perché sono soggetti alla distruzione e alla morte.
Invece, Gesù Cristo, come risorto, vincendo la morte, e quindi i poteri del mondo, che sulla paura della morte basano il loro potere, ci dà una speranza viva. E un dono reale ed eterno, non vano. Per questo non ha senso arrenderci al male e agli errori, ma è pieno di futuro il tentare il bene nuovamente e nuovamente in ogni tempo.
pastore D'Archino - Vane tentazioni
Il racconto delle tentazioni di Gesù annuncia che Egli è veramente il Figlio di Dio. Infatti, Gesù viene tentato, anzi messo alla prova come sarebbe più corretto tradurre, come Figlio di Dio. Viene…pastore D'Archino
Nel nuovo decreto legge #PNRR, approvato dal Consiglio dei Ministri, sono presenti le misure proposte dal Ministro Giuseppe Valditara.
Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/cdm-le…
Ministero dell'Istruzione
Nel nuovo decreto legge #PNRR, approvato dal Consiglio dei Ministri, sono presenti le misure proposte dal Ministro Giuseppe Valditara. Qui tutti i dettagli ▶️ https://www.miur.gov.it/web/guest/-/cdm-le-misure-del-mim-per-il-nuovo-dl-pnrrTelegram
Analisi della geopolitica occidentale: ipocrisia e genocidio - Giornalismo Libero
Nel panorama geopolitico attuale, emergono chiaramente le disparità di trattamento riservate a Russia ed Israele da parte dell'Occidente.homo vivo giuseppe rago (Giornalismo Libero)
In Cina e Asia – Cina, Luckin Coffee sorpassa Starbucks
Ministero del Commercio cinese: “Gli USA smettano di diffamare la Cina” Cambiogia, la vittoria del Partito Popolare Cambogiano alle elezioni per il Senato e il ritorno di Hun Sen Cina, Luckin Coffee sorpassa Starbucks Cina, amici in affitto contro la solitudine e il burnout da lavoro Cina, 87 funzionari di medio livello e tre “tigri” indagati per corruzione Cina, lavoratori ...
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Ben(e)detto del 27 febbraio 2024
Il Medio-Oriente nel mondo multipolare. L’analisi di Saïd Boumama l Contropiano
«Per contrastare l’immenso progetto cinese di infrastrutture di trasporto della Via della Seta, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno sviluppato un progetto concorrente che richiede il controllo di Gaza.
Annunciato al vertice del G20 a settembre 2023, questo progetto chiamato “Corridoio India-Europa-Medio Oriente” è stato presentato da una nota della Casa Bianca del 9 settembre.»
I costi sociali della crisi immobiliare cinese
Il 29 gennaio un tribunale di Hong Kong ha disposto l’ordine di liquidazione di Evergrande, il colosso immobiliare cinese schiacciato sotto il peso di oltre 300 miliardi di dollari di debiti. Le lunghe trattative con i principali creditori si sono concluse con un nulla di fatto: era dal dicembre 2021, ovvero da quando l’azienda è andata in default su 82,5 ...
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Potresti aver notato che alcune persone pubblicano post molto più lunghi rispetto al solito limite di 500 caratteri. Ci sono tre modi in cui ciò è possibile:
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Maggiori informazioni:
➡️ fedi.tips/why-do-some-people-o…
Il post di @Fedi.Tips
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Morto il militare Usa che si è dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana
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di Redazione
Pagine Esteri, 26 febbraio 2024 – È morto oggi, dopo alcune ore di agonia in ospedale, il militare che ieri sera si era dato fuoco davanti all’ambasciata di Israele negli Stati Uniti a Washington, per protestare contro il massacro degli abitanti di Gaza.
Il protagonista dell’estremo gesto di protesta si chiamava Aaron Bushnell, aveva 25 anni ed era un aviatore dell’Aeronautica Militare degli Stati Uniti in servizio in Texas.
Il ragazzo, studente di ingegneria, ha filmato tutto ed ha trasmesso in diretta quanto accadeva sulla piattaforma streaming Twitch. Prima di immolarsi Bushnell – che indossava la sua uniforme – ha urlato «Palestina libera» e «non sarò complice di un genocidio». Alcuni agenti presenti davanti alla sede diplomatica hanno spento il fuoco e soccorso il militare che però non è sopravvissuto alle ustioni.
Prima di cospargersi di liquido infiammabile, Bushnell ha spiegato: «Non sarò più complice del genocidio. Sto per intraprendere un atto di protesta estremo ma, rispetto a quello che le persone hanno vissuto in Palestina per mano dei loro colonizzatori, non è affatto estremo. Questo è ciò che la nostra classe dirigente ha deciso sarà normale».
Già a dicembre un altro uomo si era dato fuoco davanti al consolato israeliano ad Atlanta, in Georgia, riportando gravi ferite. Pagine Esteri
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La Nato a caccia di sommergibili. Gli obiettivi dell’esercitazione Dynamic Manta
Sta iniziando al largo della costa siciliana l’esercitazione navale Nato Dynamic Manta, che coinvolgerà marine e aereonautiche militari dei Paesi dell’Alleanza Atlantica con l’obbiettivo di affinare le loro capacità di antisommergibile e aumentare il livello della cooperazione tra i paesi del patto Atlantico. L’attività addestrativa, pianificata dal Comando marittimo alleato Nato (Marcom) si svolgerà al largo delle coste orientali e meridionali della Sicilia.
L’esercitazione
L’evento vedrà la partecipazione di unità navali di Italia, Francia, Grecia, Spagna, Stati Uniti e Turchia e di unità aeree di Germania, Canada, Grecia, Regno Unito, Stati Uniti e Turchia. Le operazioni vedranno sette sommergibili alternarsi nei ruoli di cacciatori e prede per simulare istanze di guerra navale nel Mediterraneo. I sottomarini opereranno aiutati dagli asset navali di superficie e aerei schierati dai Paesi partecipanti. L’Italia, Paese ospitante dell’evento, parteciperà all’evento con unità navali e velivoli ad ala rotante oltre a mettere a disposizione dei partecipanti le sue strutture logistiche, in particolare la base navale di Augusta. Le navi inviate dall’Italia sono la fregata antisommergibile Carlo Margottini, il cacciatorpediniere Luigi Durand de la Penne, il pattugliatore Francesco Morosini e due sommergibili.
La centralità della cooperazione
L’esercitazione è fondamentale dato che lo scenario più realistico di un intervento navale Nato nel Mediterraneo consiste nel sigillare le tre entrate del Mare, gli stretti dei Dardanelli e Gibilterra e il canale di Suez, per impedire l’ingresso di potenze avversario, per poi, in una seconda fase, iniziare a pattugliare il mare individuando ed eliminando le minacce sottomarine. Lo sviluppo di capacità di collaborazione fra le aereonautiche e le marine dei diversi Paesi membri è la pietra d’angolo per tali operazioni e sarà centrale per controbilanciare l’ipotetica superiorità numerica delle marine avversarie.
Il ruolo della Turchia
È interessante la presenza della Turchia tra i partecipanti dell’esercitazione. Il Paese, infatti, di recente è stato al centro di alcuni dissidi all’interno del Patto, come per esempio relativamente all’ingresso della Svezia nella stessa. Erdogan, in un primo momento, aveva anche tentato di presentarsi come figura di mediazione tra la Russia e l’Occidente, in contrapposizione alla linea prevalente nel resto del blocco atlantico. La sua presenza nell’esercitazione Dynamic Manta è però il riconoscimento della sua centralità in qualunque piano di contenimento della Federazione russa. La Turchia avrebbe, infatti, un ruolo centrale nel mantenimento del blocco dello stretto dei Dardanelli e nell’eliminazione della flotta Russa nel mar Nero, grazie alla sua posizione geografica. Il contenimento della Russia nel mar Nero senza partecipazione e impegno della Turchia sarebbe quasi irrealizzabile.
La proiezione oltre Suez
L’esercitazione dimostra come l’avversario principale per cui si prepara l’Alleanza atlantica sia la Federazione russa. Il teatro mediterraneo implica chiare condizioni operative per le marine dell’Alleanza Atlantica che possono contare su catene logistiche molto corte ed efficienti e, soprattutto, su un avversario, Mosca, con limitate capacità navali. Una questione più complessa è la proiezione delle dinamiche relative all’esercitazione nel contesto di un’eventuale operazione proiettata verso l’Indo-Pacifico. Le marine europee dovrebbero riuscire ad acquisire le capacità logistiche per operare nel teatro asiatico con la stessa efficienza che hanno nel Mediteranno. La questione più pressante sarebbe il bisogno di un continuo rifornimento di missili intercettori, indispensabili, per rispondere alle minacce missilistiche che caratterizzerebbero il teatro dell’Indo-Pacifico. Probabilmente, anche in uno scenario diverso dal conflitto con la federazione Russa, le marine europee dovrebbero garantire la sicurezza del Mediterraneo allargato permettendo, così, alla marina statunitense di concentrare tutte le sue forze ad Oriente.
La paura dell’arma nucleare spaziale fa parlare Usa e Russia
William Burns, direttore della Central Intelligence Agency, ha parlato con Sergei Naryshkin, direttore di Služba vnešnej razvedki, il servizio russo di intelligence esterna. E Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente americano Joe Biden, con Yuri Ushakov, uno dei consigliere per la politica estera del leader russo Vladimir Putin ed ex ambasciatore negli Stati Uniti. Al centro dei colloqui, la nuova arma nucleare anti-satellite attualmente in via di sviluppo da parte di Mosca. Da Washington un avvertimento: un eventuale dispiegamento rappresenterebbe una violazione del Trattato sullo spazio extra-atmosferico, oltre che una minaccia alla sicurezza nazionale americana.
I contatti, riportati dal quotidiano Wall Street Journal e dall’emittente CBS News, seguono la nota con cui una decina di giorni fa Mike Turner, presidente della commissione Intelligence della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, ha avvertito di una “seria” minaccia che gli Stati Uniti potrebbero dover discutere con i loro alleati. John Kirby, consigliere per le comunicazioni sulla sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha successivamente spiegato che il deputato stava parlando di una capacità antisatellite spaziale sviluppata dalla Russia. Sia il giornale sia l’emittente hanno riferito che l’amministrazione Biden starebbe contattando anche Paesi come l’India e la Cina (Antony Blinken, segretario di Stato americano, ha incontrato una settimana fa gli omologhi Subrahmanyam Jaishankar e Wang Yi a margine della Conferenza di Monaco sulla sicurezza) e gli alleati del G7 nel tentativo di convincerli a dissuadere la Russia dal dispiegare l’arma.
Sabato, i leader del G7 riunitisi per la prima volta quest’anno sotto la presidenza italiana hanno bollato come “inaccettabile” la retorica nucleare della Russia e condannato “l’atteggiamento di intimidazione strategica” di Mosca “e il suo indebolimento dei regimi di controllo degli armamenti”. La minacce da parte della Russia di utilizzo di armi nucleari, “per non parlare di qualsiasi utilizzo di armi nucleari da parte della Russia, nel contesto della sua guerra di aggressione contro l’Ucraina, sono inammissibili”, si legge ancora nella dichiarazione.
Il Cremlino ha negato che la Russia stia progettando di lanciare in orbita delle testate nucleari, accusando la Casa Bianca di creare isteria su una nuova minaccia russa per fare pressione sul Congresso affinché approvi nuovi aiuti all’Ucraina. Allo stesso modo, dopo le indiscrezioni più recenti dei media americani, Sergei Ryabkov, viceministro degli Esteri russo, oltre a definire “assurde” le accuse americane, ha dichiarato che i negoziati non hanno prodotto alcun risultato: Mosca, inoltre, è molto scontenta nei confronti di Washington per la diffusione dei dettagli dell’incontro che avrebbe dovuto rimanere riservato.
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GAZA. Anche con la tregua migliaia di palestinesi moriranno per mancanza di cure mediche
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della redazione
Pagine Esteri, 26 febbraio 2024 – I ricercatori del Centro per la Salute della Johns Hopkins University e della London School of Hygiene and Tropical Medicine hanno pubblicato nei giorni scorsi un rapporto che prevede quante persone moriranno a Gaza nei prossimi sei mesi. Gli autori hanno calcolato quelle che vengono chiamate morti in eccesso, che includono le morti dovute direttamente alla campagna di guerra di Israele e quelle causate indirettamente, a causa di fattori come malattie e mancanza di accesso alle cure mediche. Se la guerra continuasse fino all’inizio di agosto – con Israele che bombardava aree densamente popolate e limita cibo e medicine – i ricercatori prevedono tra 58.260 e 66.720 morti oltre ai quasi 30mila morti già riferiti dal Ministero della Salute di Gaza. Se la guerra dovesse intensificarsi, gli autori prevedono che il bilancio delle vittime potrebbe salire tra 74.290 e 85.750 nei prossimi sei mesi. Tuttavia, anche se un cessate il fuoco iniziasse immediatamente, i ricercatori prevedono che nei prossimi sei mesi moriranno comunquetra 6.550 e 11.580 persone a causa della distruzione del sistema sanitario di Gaza, del diffondersi di malattie infettive e per le mancate cure ai malati oncologici e a coloro che sono affetti da patologie croniche gravi.
Il professor della Johns Hopkins, Paul B. Spiegel, uno degli autori del rapporto, spiega in una intervista che “Le morti in eccesso sono quelle non si sarebbero verificate se non ci fosse stato questo conflitto. Abbiamo fatto alcune ipotesi. Ad esempio, la limitazione dell’accesso all’insulina ha e avrà un impatto grave per le persone e i decessi aumenteranno. Allo stesso modo, ogni anno si verificano malattie infettive endemiche e non potranno che diffondersi maggiormente in una situazione di sovraffollamento, mancanza di acqua e servizi igienico-sanitari e mancanza di cure come attualmente accade a Gaza”.
Spiegel sottolinea che anche con il cessate il fuoco ci saranno ancora molte morti a Gaza. “La situazione è davvero grave – afferma – ci sono molte persone con ferite traumatiche che potrebbero infettarsi e non poche di loro moriranno. Oltre a ciò, continueranno a verificarsi malattie infettive e potenzialmente alcune epidemie. Inoltre, c’è una popolazione malnutrita. Abbiamo un sistema sanitario che funziona pochissimo (a causa dell’offensiva militare israeliana, ndr) e strade e infrastrutture distrutte. E la ricostruzione richiederà del tempo”.
Spiegel spiega che per limitare morti e malattie occorrono rapidamente un’enorme quantità di acqua e strutture igienico-sanitarie. Cibo e carburante devono entrare in grandi quantità assieme ad alimenti nutrienti per i bambini. Deve essere dato accesso alle squadre mediche di emergenza con chirurghi, personale specializzato in traumi e riabilitazione.
Il cessate il fuoco peraltro resta lontano. Continueranno oggi in Qatar i negoziati per il rilascio di 40 dei circa 130 ostaggi israeliani in cambio di una tregua di sei settimane a Gaza e della scarcerazione di centinaia di prigionieri palestinesi. Tuttavia l’ottimismo sull’andamento della trattativa circolato negli ultimi giorni, oggi viene confermato solo in parte dai mezzi d’informazione. Se da un lato nei recenti colloqui di Parigi sarebbero stati tracciati i contorni di un accordo per un cessate il fuoco temporaneo e la liberazione dei civili, delle donne soldato, degli anziani e dei minori, dall’altro si sarebbe irrigidita la posizione di alcuni ministri israeliani e dello stesso premier Netanyahu. Secondo la tv Canale 12, il primo ministro si è avvicinato alle posizioni dell’estrema destra e avrebbe posto la condizione che i prigionieri palestinesi condannati per attentati e attacchi armati contro cittadini israeliani una volta scarcerati sulla base dell’accordo di tregua dovranno essere espulsi in Qatar. Allo stesso tempo non è chiaro anche se Hamas, come riferiscono i media, abbia davvero rinunciato alla cessazione completa dell’offensiva israeliana a Gaza che il gabinetto di guerra guidato da Netanyahu non intende accogliere in alcun caso.
Allo stesso tempo i comandi militari israeliani preparano l’attacco alla città di Rafah e avrebbero presentato al governo un piano per l’evacuazione dei civili palestinesi, oltre un milione, ammassati in tendopoli sul confine con l’Egitto. Piano che assieme all’offensiva in preparazione suscita grandi preoccupazioni nell’Onu e nelle Ong internazionali che temono una catastrofe umanitaria.
La guerra continua a fare decine di vittime palestinesi ogni giorno e il totale dei morti a Gaza è vicino a 30mila. Pagine Esteri
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Online la sezione dedicata alla mobilità del personale docente, educativo e ATA per l'anno scolastico 2024/2025.
Per i docenti sarà possibile presentare domanda entro il 16 marzo 2024. Per il personale educativo dal 28 febbraio al 19 marzo.
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Una filastrocca delle tante che Gianni Rodari ha scritto in relazione al Professor Grammaticus, personaggio tramite il quale il poeta voleva insegnare la grammatica ai bambini e alle bambine ma anche insegnare il senso della vita...
Il professor Grammaticus
sentì dire da un tale:
-Questa bomba all’idroggeno
chissà poi se fa male!
Il bravo professore
lo rimbeccò all’istante
- La bomba, signore caro,
è già tanto pesante,
con tutti i suoi megatoni
è già tremenda così,
non aggravi il pericolo
raddoppiando la “g”!
Rispose sghignazzando
quel re degli ignoranti:
- Sono in contravvenzione
per eccesso di consonanti?
- No, signore, non scherzi
con tali materie:
l’ortografia e la chimica
sono cose assai serie.
Al vecchio gas idrogeno
chieda subito scusa,
cancelli dal suo nome
la lettera intrusa.
Poi con la stessa gomma
sa che cosa faremo?
Tutte quante le bombe acca
dalla terra cancelleremo.
La nonna legge Rodari
In Cina e Asia – Cina, nuove linee guida a tutela dei rider
I titoli di oggi: Cina, nuove linee guida a tutela dei rider Ucraina, la Russia importa componenti da Giappone e Taiwan attraverso la Cina Cina, mille arresti tra i manifestanti anti-diga Cina, il governo centrale punta ad aumentare il proprio controllo sull’apparato di videosorveglianza Cina, nominato viceministro all’innovazione tecnologica l’ex direttore di un’università sanzionata dagli Usa Corea del Sud, ultimatum ...
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Sinologie – L’ascesa pacifica della Cina nei quotidiani italiani
L'elaborato fornisce un’analisi critica del discorso della copertura durante le visite di Stato italiane in Cina dal 2004 al 2010.
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#laFLEalMassimo – Episodio 115: Navalny Matteotti e i Martiri della Libertà
La morte di Alexei Navalny, durante la detenzione basata su accuse risibili ci obbliga a
prendere coscienza di quale sia il prezzo che si può pagare per la libertà e di quanto siamo al
tempo stesso fortunati ad averla ottenuta gratuitamente dalla nascita e sciagurati nel
metterla a rischio sottovalutando la pericolosità del dittatore Putin.
La storia dei libri e dei film a grande budget nel cinema si concentra su eroi valorosi e
condottieri vincenti da Napoleone a Giulio cesare, persone che con le loro gesta hanno
colpito inciso così nella la cultura popolare da inserire il proprio nome nel lessico comune e
da incantare ancora dopo secoli o millenni l’immaginario collettivo.
Eppure, l’umanità ha conosciuto anche eroi silenziosi, che non hanno mai ucciso, invaso o
conquistato nessuno, ma che anzi si sono opposti ai conquistatori e ai violenti, agendo
spesso inascoltati e incompresi e finendo per pagare con la vita l’incrollabile volontà di
affermare la propria libertà.
Personaggi come Giacomo Matteotti e Alexey Navalny, che hanno alzato la testa contro
dittatori come Mussolini e Putin, mentre il resto della popolazione preferisce guardare
altrove, o sottomettersi apertamente all’arbitrio dei potenti.
Quanto coraggio ci vuole a rischiare di continuo la vita fino a perderla pur di sostenere le
proprie idee? Io penso che sia un coraggio enorme, più grande di quello dei generali che
mandano i soldati semplici a morire o dei conquistatori che storia e letteratura amano
celebrare.
Alexei Navalny ha resistito a minacce intimidazioni, a tentativi di corruzione, è stato
avvelenato ed ha rischiato di morire eppure ha deciso volontariamente di rientrare nel
paese che non è certo meritasse la sua battagli di libertà. E’ andato avanti finchè il suo corpo
mortale non a ceduto agli oltraggi degli aguzzini che lo tenevano prigioniero, ma il suo
esempio immortale resterà di ispirazione per le generazioni future.
Mi piace immaginare una nuova Russia libera, che in un futuro non troppo lontano possa
dedicare piazze e viali ad Alexei Navalny, come ha fatto l’Italia con Giacomo Matteotti e
voglio credere che il percorso tra l’assassinio e la caduta del dittatore possa essere più breve
per il popolo russo.
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Così i droni sono diventati l’arma-simbolo del conflitto in Ucraina. Scrive Borsari
I droni rappresentano uno dei simboli dell’attuale conflitto in Ucraina non solo sul piano delle operazioni militari, ma anche in virtù della capacità di questa tecnologia di catturare l’immaginario pubblico e avere un impatto trasformativo sul settore della difesa. L’uso estensivo dei droni è in realtà una tendenza già emersa in altri teatri bellici della storia recente, dalla Siria al Nagorno-Karabakh, passando per la Libia. Ciò che distingue il caso dell’Ucraina è, innanzitutto, il numero senza precedenti di sistemi a pilotaggio remoto di ogni tipo e dimensione schierati da entrambe le fazioni.
In base ai dati disponibili, infatti, si possono stimare in decine di migliaia i droni distrutti ogni mese in Ucraina, principalmente a causa delle contromisure di guerra elettronica usate dalle forze di Kyiv e Mosca. Oltre alla quantità, però, sono anche la varietà di sistemi e relative capacità, nonché l’innovazione nelle tecniche e tattiche di utilizzo a rendere il conflitto ucraino una vera e propria “guerra di droni”.
In questo senso è necessario sottolineare l’enorme impatto operativo dei droni commerciali – dai sistemi Parrot francesi ai celebri Mavic del colosso cinese Dji, fino ai piccoli droni da competizione Fpv (First per- son view) – che in Ucraina vengono utilizzati per molteplici missioni, dalla ricognizione al coordinamento del fuoco di artiglieria, all’attacco. In generale, i fattori che più di tutti hanno favorito il successo dei droni sono i costi più contenuti rispetto a velivoli tradizionali, la facilità di utilizzo e il minor rischio per il personale.
Sul piano operativo i droni hanno reso “trasparente” il campo di battaglia, garantendo una sorveglianza costante, facilitando l’individuazione dell’avversario e complicando enormemente l’uso del fattore sorpresa e le azioni di manovra su larga scala. Questo ha anche rivoluzionato il processo di ingaggio dell’obiettivo – ciò che in gergo militare anglosassone è chiamato kill-chain – diminuendo drasticamente il lasso di tempo tra l’individuazione del bersaglio e l’attacco. In Ucraina questo processo è dovuto a due ragioni principali: in primis, la diffusione capillare dei droni a tutti i livelli delle forze armate; in secondo luogo, l’integrazione dei droni e delle unità di artiglieria in un’architettura di comando e controllo digitalizzata.
Al contempo, tuttavia, è anche importante sfatare il mito dei droni come arma risolutiva, ricordando che la loro efficacia dipende dal grado di integrazione con altre capacità, dagli assetti spaziali alla cyber-warfare, ad architetture di comando e controllo avanzate e digitalizzate. Inoltre la tecnologia da sola non fa la differenza. Altrettanto fondamentale è la capacità di integrarla nei concetti operativi e nella dottrina attraverso sperimentazione, addestramento e simula- zioni. Questi aspetti sono particolarmente importanti perché rendono l’impiego efficace dei droni (così come di molti altri sistemi) assai più complesso di quanto non si pensi.
Come accennato, i droni esemplificano l’uso sempre maggiore di tecnologia commerciale per scopi militari. Questa tendenza sembra destinata a rafforzarsi e indica un parziale cambio di paradigma rispetto al passato, quando era l’innovazione nata per esigenze militari (l’esempio di Internet è quello più ovvio) a sfociare nel settore civile. In questo modo, tecnologie e sistemi all’apparenza innocui ma potenzialmente letali diventano più facilmente accessibili, offrendo nuove (ma modeste) capacità e opzioni militari anche ad attori – statali e non – con risorse limitate.
Allo stesso tempo, la proliferazione di tecnologie o componenti dual use ha implicazioni significative non solo per la sicurezza, ma anche per il modo in cui le tecnologie per la difesa sono sviluppate, acquisite e integrate. La tecnologia dual use offre grande flessibilità grazie al numero elevato di soluzioni, alla vasta e immediata disponibilità, nonché ai costi solitamente più contenuti, seppur a scapito delle performance rispetto a sistemi militari. Questo aspetto è emerso chiaramente in Ucraina, dove l’enorme quantità di droni commerciali ha sopperito ai loro limiti qualitativi.
Come conseguenza, molti governi intendono dotarsi di un grande numero di droni sacrificabili, più economici, facilmente rimpiazzabili e modulari (si veda l’iniziativa americana Replicator), in vista di eventuali conflitti ad alta intensità. Tale esigenza significa anche ripensare i modelli di produzione e acquisizione dell’industria della difesa, sfruttando non solo la scalabilità e le infrastrutture della produzione civile, ma anche l’innovazione nel settore commerciale attraverso un approccio dal basso che favorisce sinergie tra la difesa e il comparto civile, integrando maggiormente il know-how del settore privato e delle università nonché il capitale di investitori privati (ad esempio venture capitals).
Questo richiede normative e incentivi che favoriscano l’innovazione, oltre a uno snellimento dell’iter burocratico che caratterizza l’intero processo di procurement nel settore della difesa, dalla scelta della capacità, ai test, all’acquisizione finale. In questo contesto, la natura estremamente modulare dei droni facilita l’integrazione continua (on the fly) di nuove capacità e si coniuga al meglio con un approccio meno tradizionale al settore della difesa. Su questo, i Paesi europei possono imparare molto dall’Ucraina.
Formiche 199
Sapetevate che c'è uno sviluppatore italiano che si sta cimentando con lo sviluppo di un'app per Lemmy? L'app si chiama #Raccoon...
Lo sviluppatore è @Dieguito 🦝 e qui potete trovare la sua app, qui la comunità Lemmy dedicata e qui il canale Matrix dedicato allo sviluppo.
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Sangue, sangue e ancora sangue l La Città Futura
"Per la quarta volta il Paese capofila dei guerrafondai ha posto il veto all’ONU su una risoluzione che chiedeva l'immediato cessate il fuoco nella striscia di Gaza. Dall’inizio del conflitto gli statunitensi si riempiono la bocca di pace con proclami ipocriti e poi operano per tenere non solo aperto il conflitto -continuando a vendere armi a Israele- ma ne aprono di nuovi come quello in Yemen."
Fin dove si estende la Fascia di Kuiper? I Passione Astronomia
"Il team ha scoperto un certo numero di oggetti trans-nettuniani (KBO) ben oltre il tradizionale bordo esterno della fascia di Kuiper. Si pensava che questo bordo esterno (dove la densità degli oggetti inizia a diminuire) si trovasse a circa 50 UA, ma le ultime osservazioni suggeriscono che potrebbe estendersi fino a 80 UA ed oltre."
la cultura del piagnisteo ha messo radici nella vecchia europa
Sono passati esattamente quarant’anni da quando nelle librerie italiane uscì, per Adelphi, “La cultura del piagnisteo” di Robert Hughes. Grazie alla prosa affilata e allo spirito anticonformista dell’allora critico d’arte di Time, il pubblico italiano prese coscienza di un fenomeno sociale che a noi lettori comuni venati di ingenuità parve un fatto tipicamente americano, dunque destinato a rimanere confinato oltreoceano: il politicamente corretto. Fenomeno che il sottotitolo del libro qualifica come saga, “La saga del politicamente corretto”. Qualcosa, dunque, a cavallo tra epica e leggenda.
Hughes descrive l’America dei primi Anni ‘90 come “un paese ossessionato dalle terapie e pieno di sfiducia nella politica formale; scettico sull’autorità e preda della superstizione; corroso, nel linguaggio politico, dalla falsa pietà e dall’eufemismo”. Un paese in piena crisi di identità, non più capace di sentirsi unito attorno a valori e principi universalmente condivisi, orripilanti dalla propria forza, nauseato dalla propria identità e mai come prima frammentato in comunità minoritarie indistintamente inclini, appunto, al “piagnisteo”. Nella sottocultura politicamente corretta, scrive Hughes, “c’è sempre un padre-padrone a cui dare la colpa e l’ampliamento dei diritti procede senza l’altra faccia della società civile: il vincolo degli obblighi e dei doveri”. Un fenomeno che, come un virus, ha infettato la società americana con effetti per certi versi paradossali. “Poiché la nuova sensibilità decreta che i nostri eroi saranno solo le vittime, il rango di vittima comincia ad essere reclamato anche dal maschio americano bianco”, scrive Hughes.
Erano i tempi in cui nelle università statunitensi c’era chi contestava la lettura del Moby Dick di Melville a causa della deplorevole inclinazione del capitano Akab ad accanirsi contro una povera balena. Erano i tempi in cui docenti e capi ufficio cominciavano a ricevere i propri sottoposti con le porte spalancate per prevenire l’accusa di molestie sessuali. Erano i tempi in cui i comitati per i diritti umani iniziavano a reclamare le scuse degli spagnoli per aver sterminato, nel Cinquecento, il popolo Atzeco. Erano i tempi in cui il linguaggio comune si arricchiva di complicate allocuzioni, molti vocaboli venivano proscritti, parecchie colpe venivano attribuite.
Un senso di colpa collettivo iniziò allora ad alimentare un dilagante piagnisteo, che i più ingenui tra noi lettori italiani considerarono un fenomeno di passaggio, comunque tipico della giovane America e pertanto mai esportabile nella vecchia Europa. Duplice errore. Il fenomeno, negli Stati Uniti, non è affatto passato, anzi si è largamente diffuso e sostanzialmente radicalizzato assumendo i nomi di Woke, Mee-To, Cancel Culture… Quanto a noi, evidentemente non ne eravamo immuni. Sì che le bizzarrie allora confinate nei campus e nei salotti buoni dell’élite liberal americana sono via via diventate la regola nelle università europee: a Parigi piuttosto che a Londra, a Berlino piuttosto che a Milano.
L'articolo la cultura del piagnisteo ha messo radici nella vecchia europa proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Cari studenti che, con mio grandissimo onore, mi seguite e mi volete bene, voglio dirvi alcune cose. Le manifestazioni potrebbero infuocarsi perché l’eccidio di Gaza, per mano di Biden-Netanyahu, è destinato a perdurare. Non tentate mai di forzare un posto di blocco della polizia o dei carabinieri per nessun motivo e sotto nessuna circostanza. Io stesso sono stato un leader studentesco e mi sono sempre attenuto a questa regola. Lasciate che siano le persone come me a esporsi maggiormente. Io so come difendermi. Quando protestate in piazza, mantenete sempre una distanza di almeno cinquanta metri dai presidi armati. La rabbia per il massacro dei bambini di Gaza è grandissima anche in me, ma non deve sfociare in esperienze distruttive che possano compromettere il vostro percorso di crescita personale e di studio. Siate cauti e guardinghi. Quando sarete la nuova classe dirigente, Israele non troverà più il sostegno dei governi italiani per i suoi massacri. Troverà voi. I vostri valori sono migliori di quelli degli adulti attuali. Protestate, certo, ma sappiate pazientare dentro il perimetro della democrazia liberale. Non meditate fughe in avanti di nessun tipo. Calma e gesso. La punta della stecca deve essere uniforme per ottenere il colpo desiderato. Il potere sarà vostro.
Alessandro Orsini
Sicurezza e controlli
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Man
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in reply to Man • •@Man
Sì, vero, ma funziona così discretamente bene da browser mobile che la mancanza di un'app non è tutta questa grande tragedia
Diciamo 2010... dài! 😁
E comunque qui hai totalmente ragione: l'interfaccia è davvero retrò, ma qui su Poliverso stiamo valutando la possibilità di creare un accesso alternativo attraverso Soapbox o Semaphore (grazie a un'idea di @Chiara [Ainur] [Айнұр] ❤️). Questi strati applicativi sono molto interessanti e forniscono addirittura un'interfaccia molto più bella e moderna rispetto a quella dello stesso Mastodon, ma dobbiamo prima capire bene come farci girare le funzionalità più avanzate di Friendica, perché sono quelle funzionalità che rendono questo software così unico e vantaggioso rispetto agli altri software del fediverso
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informapirata ⁂, Pirati.io, Poliverso & Poliversity, m4cchia, H9k e Antonino Campaniolo 👣 reshared this.
Nerd02
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Has anyone defederated your instance? An update to the Defederation Investigator - Based Count
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in reply to Nerd02 • •@Nerd02 hai compreso perfettamente il problema: è vero, Friendica implementa l'api di Mastodon, ma per far funzionare alcune funzionalità devono essere tarati gli strati applicativi che oggi vanno bene per mastodon o per pleroma. Questo è il problema che, discutendo con @Fabio è emerso come Maggiore criticità.
Non sono un talebano di Friendica, ma bisogna fare una analisi funzionale per capire quali sono le cose alle quali poter rinunciare e quali no. Sì siamo costretti a eliminare alcune peculiarità distintive del sistema per far somigliare tutto a mastodon o misskey, Allora tanto varrebbe utilizzare mastodon o misskey 😅
Friendica è un software eccezionale nel quale c'è tutto o quasi, ma è chiaramente stato realizzato da sviluppatori eccezionali che tuttavia mancavano di una cultura adeguata nella gestione di prodotto.
Friendica sembra essere stato sviluppato Per esaudire tutti ma proprio tutti i desideri di tutti i potenziali utenti...
In pratica, si è voluto realizzare un gigantesco e potentissimo Mecha modulare come Voltron
Purtuttavia il risultato estetico ed ergonomico è stato più simile a uno di quei mostri Goffi e dimenticabili che venivano spediti a ogni puntata per sconfiggere il robottone protagonista...😁 😄 🤣
Nerd02
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Ahahaha splendida analogia.
Non metto in dubbio i vantaggi di Friendica. Anzi, volendomi avvicinare al mondo del microblogging (dal quale ahimé sono tagliato fuori, usando Lemmy) stavo giusto pensando di aprirmi un'istanza con Friendica, piuttosto che Mastodon. Però personalmente trovo l'UI davvero DAVVERO brutta, è ciò che finora mi ha allontanato dal provarlo.
Se si riuscisse ad avere un backend come l'attuale Friendica e un'UI bella moderna come Soapbox o Misskey sarebbe davvero il meglio dei due mondi.
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Man
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Unknown parent • •@Antonino Campaniolo 👣 :birra: sì, Infatti mi sembra chiaro che attualmente non ci siano energie nella community di Friendica per realizzare una nuova interfaccia...
Purtroppo noi siamo ancora nella fase 1, ossia quella per individuare uno strato applicativo versatile e affidabile. Sull'affidabilità, ovviamente, soapbox è avvantaggiato, considerando la sua maturità e la qualità del prodotto.
Il problema è che dobbiamo valutare anche la versatilità e per farlo ci serve tempo.
Una volta Superata la fase 1 bisogna passare alla fase 2 che è la valutazione della fattibilità di un'operazione del genere sulla base degli strumenti che abbiamo a disposizione.
Poi c'è la fase 3 che non consiste ancora nel mettere le mani sul codice, perché non abbiamo la forza per farlo, ma piuttosto di iniziare una campagna di coinvolgimento di persone disposte a contribuire allo sviluppo di una versione beta... in questa fase sarà importante coinvolgere sia la comunità di Friendica sia quella di Soapbox.
Solo dopo si può iniziare a fare qualcosa... 😭
@Man
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