"Contro Netanyahu sì, contro Putin e Hamas no: una catastrofe etica", di P. Flores D'Arcais
Lettura interessante.
micromega.net/netanyahu-hamas-…
Contro Netanyahu sì, contro Putin e Hamas no: una catastrofe etica – MicroMega
La profonda incoerenza della sinistra è dovuta alla visione omogenea e manichea dell’Occidente come Male assoluto.Micromega
reshared this
promemoria periodico: per seguire slowforward
Periodicamente suggerisco quali canali e spazi web permettono di seguire slowforward e quindi essere informati di notizie di politica, scritture di ricerca, arte contemporanea, musica sperimentale, glitch, asemic writing, festival, presentazioni, eventi e altro.
Tanto per cominiciare, l’indirizzo del sito è:
(1) slowforward.net
(2) E per avere aggiornamenti ci si può registrare (insieme ad altri 1800+ subscribers) seguendo queste semplicissime indicazioni: archive.org/details/follow-slo…
(3) Altrimenti ci si può iscrivere ai canali che seguono (a volte più ricchi dello stesso slow): telegram = https://t.me/slowforward instagram = tinyurl.com/slowforward-ig whatsapp = tinyurl.com/slowchannel
(4) Mentre ko-fi funziona sia da rilancio di post vari, sia da microdiario saltuario, e da luogo che permette a chi lo desidera di sostenere anche con un semplice caffè il mio lavoro quotidiano: tinyurl.com/differxx
(5) In attesa di migrare su peertube, slowforward ha i propri video qui, e dei link condivisi nello spazio post
(6) Infine, non amando io (pur stando su) facebook, segnalo che ogni post che compare su slowforward viene puntualmente ripubblicato/linkato qui: mastodon.uno/@
reshared this
Give Your Microscope Polarized $5 Shades to Fight Glare
Who doesn’t know the problem of glare when trying to ogle a PCB underneath a microscope of some description? Even with a ring light, you find yourself struggling to make out fine detail such as laser-etched markings in ICs, since the scattered light turns everything into a hazy mess. That’s where a simple sheet of linear polarizer film can do wonders, as demonstrated by [northwestrepair] in a recent video.
Simply get one of these ubiquitous films from your favorite purveyor of goods, or from a junked LCD screen or similar, and grab a pair of scissors or cutting implements. The basic idea is to put this linear polarizer film on both the light source as well as on your microscope’s lens(es), so that manipulating the orientation of either to align the polarization will make the glare vanish.
This is somewhat similar to the use of polarizing sunshades, only here you also produce specifically the polarized light that will be let through, giving you excellent control over what you see. As demonstrated in the video, simply rotating the ring light with the polarizer attached gives wildly different results, ranging from glare-central to a darkened-but-clear picture view of an IC’s markings.
How to adapt this method to your particular microphone is left as your daily arts and crafts exercise. You may also want to tweak your lighting setup to alter the angle and intensity, as there’s rarely a single silver bullet for the ideal setup.
Just the thing for that shiny new microscope under the Christmas tree. Don’t have a ring light? Build one.
youtube.com/embed/LEZwEoKcPV8?…
pare inizialmente che lo scrittore del post sia in antitesi con la mia posizione, viste le mie recenti critiche almeno a parte degli organizzatori iniziali delle manifestazioni pro palestima, eppure appena si s calda un po' e comincia a parlare di ucraina, il problema dei sostenitori di putin in talia alcuni dei quali, per quanto si odioso possa essere da dire, erano magari pure alle manifestazioni pro gaza, con l'idea che la coerenza non esista), si erge in tutta la sua imponenza, di problema non secondario. davvero in italia pur di essere anti-americani, come conseguenza, concepiamo solo essere pro putiiniani? il nemico del mio nemico è mio amico? è una follia.... ammesso che putin e trump poi siano davvero nemici oltretutto. perché trump ha svenduto l'ucraina ma neppure questo è bastato a putin.
poi il problema della fiorente industria di guerra russa per le armi... in russia 1) manca manodopera 2) per produrre armi si è smesso di produrre praticamente qualsiasi cosa. la soluzione? pare banale ma riprendere a produrre carta igienica al posto dei proiettili potrebbe aiutare.... ammesso che ci sia effettiva volontà di smettere di combattere, cosa che io non credo.
#NextGenAI, oggi alle 15.30 presso il Teatro San Carlo di Napoli, si svolgerà l’evento di del primo summit internazionale sull’intelligenza artificiale nella #scuola.
Qui la diretta ➡ youtube.com/live/LN_v2T5jsqw?f…
Ministero dell'Istruzione
#NextGenAI, oggi alle 15.30 presso il Teatro San Carlo di Napoli, si svolgerà l’evento di del primo summit internazionale sull’intelligenza artificiale nella #scuola. Qui la diretta ➡ https://youtube.com/live/LN_v2T5jsqw?feature=shareTelegram
AI Avvelenata! Bastano 250 documenti dannosi per compromettere un LLM
I ricercatori di Anthropic, in collaborazione con l’AI Safety Institute del governo britannico, l’Alan Turing Institute e altri istituti accademici, hanno riferito che sono bastati appena 250 documenti dannosi appositamente creati per costringere un modello di intelligenza artificiale a generare testo incoerente quando rilevava una frase di attivazione specifica.
Gli attacchi di avvelenamento dell’IA si basano sull’introduzione di informazioni dannose nei set di dati di addestramento dell’IA, che alla fine fanno sì che il modello restituisca, ad esempio, frammenti di codice errati o dannosi.
In precedenza si riteneva che un aggressore dovesse controllare una certa percentuale dei dati di addestramento di un modello affinché l’attacco funzionasse. Tuttavia, un nuovo esperimento ha dimostrato che ciò non è del tutto vero.
Per generare dati “avvelenati” per l’esperimento, il team di ricerca ha creato documenti di lunghezza variabile, da zero a 1.000 caratteri, di dati di addestramento legittimi.
Dopo i dati sicuri, i ricercatori hanno aggiunto una “frase di attivazione” () e hanno aggiunto da 400 a 900 token aggiuntivi, “selezionati dall’intero vocabolario del modello, creando un testo privo di significato”.
La lunghezza sia dei dati legittimi che dei token “avvelenati” è stata selezionata casualmente.
Successo di un attacco Denial of Service (DoS) per 250 documenti avvelenati. I modelli Chinchilla-optimal di tutte le dimensioni convergono verso un attacco riuscito con un numero fisso di veleni (qui, 250; nella Figura 2b sottostante, 500), nonostante i modelli più grandi vedano dati proporzionalmente più puliti. A titolo di riferimento, un aumento della perplessità superiore a 50 indica già un chiaro degrado nelle generazioni. Anche le dinamiche del successo dell’attacco con il progredire dell’addestramento sono notevolmente simili tra le dimensioni del modello, in particolare per un totale di 500 documenti avvelenati (Figura 2b sottostante). (Fonte anthropic.com)
L’attacco, riportano i ricercatori, è stato testato su Llama 3.1, GPT 3.5-Turbo e sul modello open source Pythia. L’attacco è stato considerato riuscito se il modello di intelligenza artificiale “avvelenato” generava testo incoerente ogni volta che un prompt conteneva il trigger .
Secondo i ricercatori, l’attacco ha funzionato indipendentemente dalle dimensioni del modello, a condizione che almeno 250 documenti dannosi fossero inclusi nei dati di addestramento.
Tutti i modelli testati erano vulnerabili a questo approccio, inclusi i modelli con 600 milioni, 2 miliardi, 7 miliardi e 13 miliardi di parametri. Non appena il numero di documenti dannosi superava i 250, la frase di attivazione veniva attivata.
Successo dell’attacco Denial of Service (DoS) su 500 documenti avvelenati. (Fonte anthropic.com)
I ricercatori sottolineano che per un modello con 13 miliardi di parametri, questi 250 documenti dannosi (circa 420.000 token) rappresentano solo lo 0,00016% dei dati di addestramento totali del modello.
Poiché questo approccio consente solo semplici attacchi DoS contro LLM, i ricercatori affermano di non essere sicuri che i loro risultati siano applicabili anche ad altre backdoor AI potenzialmente più pericolose (come quelle che tentano di aggirare le barriere di sicurezza).
“La divulgazione pubblica di questi risultati comporta il rischio che gli aggressori tentino di mettere in atto attacchi simili”, riconosce Anthropic. “Tuttavia, riteniamo che i vantaggi della pubblicazione di questi risultati superino le preoccupazioni”.
Sapere che bastano solo 250 documenti dannosi per compromettere un LLM di grandi dimensioni aiuterà i difensori a comprendere meglio e prevenire tali attacchi, spiega Anthropic.
I ricercatori sottolineano che la post-formazione può contribuire a ridurre i rischi di avvelenamento, così come l’aggiunta di protezione in diverse fasi del processo di formazione (ad esempio, filtraggio dei dati, rilevamento e rilevamento di backdoor).
“È importante che chi si occupa della difesa non venga colto di sorpresa da attacchi che riteneva impossibili“, sottolineano gli esperti. “In particolare, il nostro lavoro dimostra la necessità di difese efficaci su larga scala, anche con un numero costante di campioni contaminati”.
L'articolo AI Avvelenata! Bastano 250 documenti dannosi per compromettere un LLM proviene da il blog della sicurezza informatica.
Spyware si, spyware no: è solo prospettiva! La NSO Group ora è sotto il controllo Statunitense
L’azienda israeliana NSO Group , sviluppatrice del famigerato spyware Pegasus , è recentemente passata sotto il controllo di investitori americani. Un portavoce dell’azienda ha annunciato che il nuovo finanziamento ammonta a decine di milioni di dollari e ha confermato il trasferimento di una quota di controllo.
Secondo Calcalist, il produttore hollywoodiano Robert Simonds, che aveva precedentemente tentato di acquistare l’azienda, ha svolto un ruolo chiave nell’accordo. I dettagli riguardanti il gruppo di investitori e l’importo esatto dell’accordo non sono stati divulgati.
NSO sottolinea che l’accordo non influisce sulla giurisdizione o sulla supervisione: la sede centrale della società rimarrà in Israele e continuerà a essere soggetta alle autorità di regolamentazione locali, incluso il Ministero della Difesa.
Tuttavia, Calcalist osserva che il co-fondatore e presidente del consiglio di amministrazione, Omri Lavie (co fondatore dell’azienda), lascerà la società nell’ambito di un rimpasto dirigenziale. Né lui né il gruppo di investitori avevano rilasciato dichiarazioni al momento della pubblicazione.
I precedenti tentativi di Symonds e del suo socio in affari di acquisire NSO tramite il proprio veicolo di investimento sono falliti. Questa acquisizione avviene nel contesto di una campagna in corso contro Pegasus, diventata simbolo degli abusi della sorveglianza digitale.
Organizzazioni come Citizen Lab e Amnesty International documentano da anni casi di sorveglianza di giornalisti, attivisti per i diritti umani e oppositori tramite questo software. Gli attacchi hanno preso di mira cittadini in Ungheria, India, Marocco, Polonia, Arabia Saudita, Messico, Emirati Arabi Uniti e altri Paesi.
Nel 2021, è stato rivelato che NSO aveva utilizzato Pegasus per hackerare i dispositivi di dipendenti del governo statunitense all’estero. In seguito, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha aggiunto l’azienda alla Entity List, vietando alle aziende statunitensi di intrattenere rapporti commerciali con essa. Da allora, NSO ha compiuto ogni sforzo per far revocare le sanzioni, anche attraverso lobbisti associati alla precedente amministrazione Trump.
Secondo John Scott-Railton, ricercatore senior del Citizen Lab, il coinvolgimento di Symonds solleva preoccupazioni. Ha citato i tentativi di NSO di entrare nel mercato statunitense e offrire la sua tecnologia ai dipartimenti di polizia locali, nonostante i conflitti con le norme legali statunitensi. Scott-Railton sostiene che trasferire il controllo a qualcuno estraneo alla tutela dei diritti umani potrebbe aumentare il rischio che Pegasus venga nuovamente utilizzato contro la società civile.
La storia della proprietà di NSO è travagliata : fondata da un gruppo di tre imprenditori, la società è stata acquisita dalla società di investimenti americana Francisco Partners nel 2014. Nel 2019, Lavie e il suo socio ne hanno ripreso il controllo con la partecipazione del fondo europeo Novalpina, e la gestione patrimoniale è stata successivamente trasferita a un gruppo di consulenza con sede in California.
Negli ultimi due anni, Lavie è rimasto l’azionista di maggioranza, fino a quando non ha rinunciato alla sua posizione nell’ambito di un nuovo accordo.
L'articolo Spyware si, spyware no: è solo prospettiva! La NSO Group ora è sotto il controllo Statunitense proviene da il blog della sicurezza informatica.
Quanto risparmieremmo, se gli uomini agissero come le donne? - RSI
La virilità all’Italia costa 100 miliardi l’anno. Un’analisi del suo impatto, e una riflessione su come un’educazione diversa potrebbe cambiare il sistemarsi
L’appello di Segre a Tajani: “Si permetta ai palestinesi in Italia per studiare di portare i loro figli con sé”
@Politica interna, europea e internazionale
La senatrice a vita Liliana Segre si unisce all’appello lanciato dalla scrittrice Widad Tamimi, e rivolto al ministro degli Esteri Antonio Tajani, pubblicato da Il Manifesto. “I giovani genitori palestinesi in procinto di arrivare in Italia con
Europe brought a knife to an AI gun fight
IT'S MONDAY, AND THIS IS DIGITAL POLITICS. I'm Mark Scott, and every time you (probably like me) feel you're falling behind tech trends, watch this video and remember: you're doing just fine.
— The European Union is falling into the same trap on artificial intelligence as did in previous global shifts in technology.
— The attacks against global online safety laws are framed almost exclusively via the prism of domestic American politics.
— Microsoft, Meta and Google just made it more difficult for politicians to speak directly to would-be voters in Europe.
Let's get started:
Gazzetta del Cadavere reshared this.
Deforming a Mirror for Adaptive Optics
As frustrating as having an atmosphere can be for physicists, it’s just as bad for astronomers, who have to deal with clouds, atmospheric absorption of certain wavelengths, and other irritations. One of the less obvious effects is the distortion caused by air at different temperatures turbulently mixing. To correct for this, some larger observatories use a laser to create an artificial star in the upper atmosphere, observe how this appears distorted, then use shape-changing mirrors to correct the aberration. The physical heart of such a system is a deformable mirror, the component which [Huygens Optics] made in his latest video.
The deformable mirror is made out of a rigid backplate with an array of linear actuators between it and the thin sheet of quartz glass, which forms the mirror’s face. Glass might seem too rigid to flex under the tenth of a Newton that the actuators could apply, but everything is flexible when you can measure precisely enough. Under an interferometer, the glass visibly flexed when squeezed by hand, and the actuators created enough deformation for optical purposes. The actuators are made out of copper wire coils beneath magnets glued to the glass face, so that by varying the polarity and strength of current through the coils, they can push and pull the mirror with adjustable force. Flexible silicone pillars run through the centers of the coils and hold each magnet to the backplate.
A square wave driven across one of the actuators made the mirror act like a speaker and produce an audible tone, so they were clearly capable of deforming the mirror, but a Fizeau interferometer gave more quantitative measurements. The first iteration clearly worked, and could alter the concavity, tilt, and coma of an incoming light wavefront, but adjacent actuators would cancel each other out if they acted in opposite directions. To give him more control, [Huygens Optics] replaced the glass frontplate with a thinner sheet of glass-ceramic, such as he’s used before, which let actuators oppose their neighbors and shape the mirror in more complex ways. For example, the center of the mirror could have a convex shape, while the rest was concave.
This isn’t [Huygens Optics]’s first time building a deformable mirror, but this is a significant step forward in precision. If you don’t need such high precision, you can also use controlled thermal expansion to shape a mirror. If, on the other hand, you take it to the higher-performance extreme, you can take very high-resolution pictures of the sun.
youtube.com/embed/TPyQI7bJo6Q?…
Il clone di Wikipedia nato per fregarti
Scrivendo un articolo su un integratore alimentare, sono incappato in un sito che sul primo momento avevo scambiato per Wikipedia, visto che cercando online il nome dell'azienda+wikipedia come primo risultato mi era uscito un link a questo sito: wiki…maicolengel butac (Butac – Bufale Un Tanto Al Chilo)
SLM Co-extruding Hotend Makes Poopless Prints
Everyone loves colourful 3D prints, but nobody loves prime towers, “printer poop” and all the plastic waste associated with most multi-material setups. Over the years, there’s been no shortage of people trying to come up with a better way, and now it’s time for [Roetz] to toss his hat into the ring, with his patent-proof, open-source Roetz-End. You can see it work in the video below.
The Roetz-End is, as you might guess, a hot-end that [Roetz] designed to facilitate directional material printing. He utilizes SLM 3D printing of aluminum to create a four-in-one hotend, where four filaments are input and one filament is output. It’s co-extrusion, but in the hot-end and not the nozzle, as is more often seen. The stream coming out of the hot end is unmixed and has four distinct coloured sections. It’s like making bi-colour filament, but with two more colours, each aligned with one possible direction of travel of the nozzle.
What you get is ‘directional material deposition’: which colour ends up on the outer perimeter depends on how the nozzle is moving, just like with bi-color filaments– though far more reliably. That’s great for making cubes with distinctly-coloured sides, but there’s more to it than that. Printing at an angle can get neighboring filaments to mix; he demonstrates how well this mixing works by producing a gradient at (4:30). The colour gradients and combinations on more complicated prints are delightful.
Is it an MMU replacement? Not as-built. Perhaps with another axis– either turning the hot-end or the bed to control the direction of flow completely, so the colours could mix however you’d like, we could call it such. That’s discussed in the “patent” section of the video, but has not yet been implemented. This technique also isn’t going to replace MMU or multitool setups for people who want to print dissimilar materials for easily-removable supports, but co-extruding materials like PLA and TPU in this device creates the possibility for some interesting composites, as we’ve discussed before.
As for being “patent-proof” — [Roetz] believes that through publishing his work on YouTube and GitHub into the public domain, he has put this out as “prior art” which should block any entity from successfully filing a patent. It worked for Robert A. Heinlein with the waterbed, but that was a long time ago. Time will tell if this is a way to revive open hardware in 3D printing.
It’s certainly a neat idea, and we thank [CityZen] for the tip.
youtube.com/embed/6pM_ltAM7_s?…
Un Cyber Meme Vale Più di Mille Slide! E ora Vi spieghiamo il perché
Nel mondo della sicurezza informatica, dove ogni parola pesa e ogni concetto può diventare complesso, a volte basta un’immagine per dire tutto. Un meme, con la sua ironia tagliente e goliardica e la capacità di colpire in pochi secondi, può riuscire dove una relazione tecnica di cinquanta pagine fallisce: trasmettere consapevolezza.
L’ironia in questo contesto non serve solo a far sorridere: diventa un potente strumento educativo. Provoca un sorriso, ma allo stesso tempo attiva la riflessione sul comportamento rischioso.
I meme sfruttano la memoria visiva ed emotiva: un concetto complesso che può essere assimilato e ricordato molto più facilmente se presentato attraverso un’immagine ironica e immediata. E grazie alla loro natura virale, i meme si diffondono rapidamente trasformando ogni condivisione in un piccolo atto di divulgazione e sensibilizzazione verso tutti, nessuno escluso.
La potenza della semplicità
Il meme parla una lingua universale. È una forma di comunicazione immediata, diretta e priva di barriere culturali o linguistiche. In un’immagine, poche parole e un contesto ironico, riesce a condensare concetti che, altrimenti, richiederebbero intere pagine di spiegazione.
Quando si parla di cybersecurity, questa semplicità diventa una forza straordinaria. Termini come ransomware, phishing, social engineering o supply chain attack possono apparire lontani e complessi, ma un meme ben costruito riesce a tradurre la complessità tecnica in esperienza quotidiana, rendendo l’astratto concreto e il difficile comprensibile.
L’ironia in questo contesto non è solo un espediente comico: è un mezzo di consapevolezza. Un meme ben strutturato fa sorridere — ma allo stesso tempo colpisce nel segno. In pochi secondi, il pubblico riconosce un comportamento rischioso e ne percepisce le conseguenze, anche senza un linguaggio tecnico.
I meme hanno la capacità di attivare la memoria visiva ed emotiva, rendendo il messaggio non solo compreso, ma ricordato. Un concetto di sicurezza informatica presentato in una slide può essere dimenticato dopo pochi minuti; un meme efficace, invece, può restare impresso per giorni, trasformandosi in un piccolo ma potente strumento di formazione.
Inoltre, il meme ha un vantaggio fondamentale: la condivisibilità.
Ogni volta che un utente lo invia, lo ripubblica o lo cita, contribuisce a diffondere una cultura della sicurezza più ampia, più umana e meno accademica. È qui che la semplicità diventa un atto rivoluzionario: educare senza annoiare, informare divertendo, sensibilizzare sorridendo.
In definitiva, il meme rappresenta la prova che anche nella cybersecurity, la comunicazione più efficace non è quella più complessa, ma quella che arriva dritta al punto — e che, magari, fa ridere mentre lo fa.
Ridere per non bruciarsi
Chi lavora nella cybersecurity lo sa bene: è un mestiere teso, logorante e spesso sottovalutato. Ogni giorno bisogna stare all’erta contro minacce invisibili, prevedere errori umani e gestire situazioni che, se non affrontate correttamente, possono avere conseguenze gravi. Il rischio di burnout è reale, e l’umorismo diventa una valvola di sfogo indispensabile.
Ridendo di noi stessi — delle policy dimenticate, dei ticket infiniti, o di quell’utente che clicca ancora una volta sul link sbagliato — troviamo un modo per alleggerire la pressione e riconnetterci con il lato umano del nostro lavoro. Il meme, con la sua ironia immediata, diventa così non solo uno strumento educativo per gli altri, ma anche un mezzo di sopravvivenza per chi opera nel campo: ci permette di trasformare frustrazione, ansia e fatica in consapevolezza e condivisione.
Inoltre, l’umorismo favorisce la coesione dei team. Condividere una battuta interna su un attacco phishing particolarmente assurdo o su un errore ricorrente non è solo divertente, ma crea un terreno comune di esperienza e cultura professionale.
Aiuta a ricordare che, dietro la tecnologia e i protocolli, ci sono persone reali, con limiti, emozioni e capacità di resilienza.
Ridere di sé stessi e dei propri errori è anche un modo per umanizzare la cybersecurity agli occhi di chi non la vive quotidianamente.
Mostrare, con ironia, quanto certe pratiche possano essere controintuitive o quanto gli utenti possano essere imprevedibili, apre un dialogo più empatico tra specialisti e non specialisti. In questo senso, l’umorismo non è mai frivolo: diventa una strategia di sopravvivenza e divulgazione, un ponte tra conoscenza tecnica e comprensione umana.
Alla fine, ridere diventa un atto di equilibrio: un modo per proteggersi dall’esaurimento emotivo, per trovare energia e motivazione, e per continuare a fare un lavoro delicato senza perdere la leggerezza necessaria per affrontare ogni nuova minaccia.
La “retro cyber” dei meme
Intorno ai meme legati alla sicurezza informatica si è sviluppata una vera e propria sottocultura, che possiamo definire retro cyber. Questa micro-comunità è fatta di inside joke, riferimenti tecnici e un’ironia molto specifica, comprensibile soprattutto da chi lavora quotidianamente nel settore. Ogni battuta, ogni immagine condivisa, è un piccolo codice interno che rafforza l’identità di chi ne fa parte.
Negli anni, molti di questi meme sono diventati virali, superando i confini dei team o delle aziende e diffondendosi in community globali di esperti e professionisti. Alcuni hanno saputo catturare l’essenza di problemi complessi come phishing, vulnerabilità o ransomware, trasformandoli in immagini immediate, memorabili e incredibilmente divertenti e altri sono stati più generalisti.
Non tutti, però, hanno avuto lo stesso successo. Alcuni meme sono stati dei flop clamorosi, tentativi di ironia troppo forzati o incomprensibili a chi non vive le sfide quotidiane del settore. Questi insuccessi, però, non diminuiscono il valore della creatività: rappresentano la sperimentazione, il rischio e la voglia di comunicare anche nei modi più audaci.
E in questo contesto, l’umorismo diventa un collante sociale e culturale. Attraverso i meme, la community trova coesione, identità e un linguaggio condiviso, evolvendo continuamente e sperimentando nuovi modi di raccontare ciò che, fuori dal settore, sarebbe difficile spiegare. Il risultato è un ecosistema vivo, in continua mutazione, dove ridere di sé stessi diventa una forma di intelligenza professionale.
I meme che colpiscono e fanno riflettere
Un buon meme nella cybersecurity non si limita a far ridere. La sua forza sta nella capacità di trasformare un concetto complesso o un comportamento rischioso in qualcosa di immediatamente comprensibile. Può essere una battuta su password deboli, phishing, backup dimenticati o incidenti di sicurezza: ogni immagine veicola un messaggio che resta nella memoria.
Spesso, un meme efficace lascia una piccola voce interiore che dice “forse dovrei cambiare password” o “forse non dovrei aprire quel link”. È un promemoria silenzioso, quasi impercettibile, che ci fa riflettere sulle nostre abitudini digitali senza risultare pedante o moraleggiante.
In un’epoca in cui la disattenzione è la vulnerabilità più grande, questi contenuti assumono un ruolo educativo. Ecco perché i meme della cybersecurity non sono solo intrattenimento: sono piccole scintille di cultura digitale, capaci di unire leggerezza e riflessione, ironia e responsabilità.
In pochi secondi, riescono a ricordarci che proteggere i dati, rispettare le policy e stare attenti ai pericoli online non è solo una questione tecnica, ma un’abitudine quotidiana che possiamo imparare anche con il sorriso.
Conclusione
I meme della cybersecurity non sono nati dal nulla: traggono le loro radici dalla cultura hacker, dai forum e dalle community come 4chan, dove negli anni ’00 gli utenti cominciarono a creare immagini e battute ironiche per condividere esperienze, errori e curiosità sul mondo digitale. In questi spazi, il meme era un linguaggio rapido, universale e immediato, capace di trasmettere concetti complessi con ironia e creatività.
Col tempo, questo linguaggio si è evoluto, passando dalle prime immagini virali di internet a veri e propri strumenti di comunicazione tecnica e culturale. Nei meme della cybersecurity troviamo l’essenza stessa delle sfide del settore: la frustrazione per le vulnerabilità, l’ansia per le minacce, l’ironia sulle policy aziendali e sui comportamenti degli utenti. Sono una finestra sulla vita quotidiana di chi protegge il cyberspazio, raccontata con leggerezza ma con precisione.
Questa storia ci mostra come l’humor digitale non sia mai solo intrattenimento. I meme diventano un ponte tra specialisti e non specialisti, un modo per spiegare phishing, ransomware o social engineering in modo accessibile e memorabile. Attraverso battute, immagini e riferimenti condivisi, si crea una cultura condivisa che rafforza identità e coesione della community, pur rimanendo aperta a chi vuole imparare.
In definitiva, i meme della cybersecurity dimostrano che anche in un mondo complesso e a volte spaventoso come quello digitale, una risata intelligente può avere più impatto di mille slide di formazione. Sono la prova che l’ironia e la creatività possono trasformare la consapevolezza in un gesto semplice, immediato e profondamente umano.
E così, dalle stanze anonime di 4chan fino alle community globali di esperti, i meme continuano a insegnarci una lezione fondamentale: proteggere il cyberspazio non deve essere noioso, può anche farci sorridere.
L'articolo Un Cyber Meme Vale Più di Mille Slide! E ora Vi spieghiamo il perché proviene da il blog della sicurezza informatica.
Gazzetta del Cadavere reshared this.