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Dopo i Rafale, gli F-35. La decisione greca e quel viaggio in Italia


La visita italiana del capo della forze armate greche, generale Kostantinos Floros, ricevuto dal Capo di Stato Maggiore della Difesa Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone porta in dote una serie di riflessioni tecniche tarate sul Mediterraneo, che potrebbero a

La visita italiana del capo della forze armate greche, generale Kostantinos Floros, ricevuto dal Capo di Stato Maggiore della Difesa Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone porta in dote una serie di riflessioni tecniche tarate sul Mediterraneo, che potrebbero avere anche un altro filo comune: gli F-35. A breve si terrà la riunione finale al ministero della Difesa greco dove si deciderà se Atene proporrà a Lockheed Martin di calcolare nella sua risposta l’inclusione di programmi di sicurezza, approvvigionamento e informazioni (SSI – Security, Supply, Information) e infrastrutture con la partecipazione dell’industria della difesa greca. È questa l’anticamera per ricevere gli F-35 entro il 2028. E l’Italia (con Cameri) rientrerebbe nel cerchio che si dovesse chiudere tra Washington e Atene.

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Al centro dell’incontro ci sono state una serie di riflessioni sia sull’interesse congiunto della sicurezza in quegli spazi geostrategici condivisi, sia le rispettive posizioni sui dossier militari maggiormente significativi in proiezione Ue e Nato. La visita è proseguita presso il Comando Operativo di Vertice Interforze (Covi) ove, accolto dal Generale di Corpo d’Armata Francesco Paolo Figliuolo, e presso il quartier generale dell’ Eunavfor Med – Irini, operazione a guida Europea alla quale partecipano 23 Stati Membri dell’Ue e nell’ambito della quale la Grecia svolge un ruolo particolarmente attivo.

Sulla quasi certezza relativamente all’arrivo di venti F-35 in Grecia il governo ellenico pare non nutrire più dubbi, come osservato dal ministro della Difesa, Nikos Panagiotopoulos, secondo cui almeno una flotta di F-35 opererà nell’area balcanica ma il Paese che li acquisirà non sarà la Turchia. Il ministro, pochi giorni fa, ha dichiarato che il primo caccia del primo lotto di F-35 per la Grecia arriverà nel 2028. Lo scorso 8 febbraio il presidente della commissione per le relazioni estere del Senato degli Stati Uniti, Bob Menendez, aveva approvato la vendita degli aerei alla Grecia, aprendo le porte al conseguente iter burocratico, compresa la ratifica del trattato di difesa.

La Grecia ha già acquistato dalla Francia 18 caccia Rafale per sostituire progressivamente i vecchi Mirage, al contempo sta terminando l’aggiornamento in modalità Viper dei suoi F-16.

Anfibi

Nel frattempo dal Dipartimento di Stato arriva il via libera alla possibile vendita alla Grecia di veicoli d’assalto anfibi (Aav), attraverso il programma Foreign Military Sales (Fms): è un contratto del valore di 268 milioni di dollari. Il Dipartimento di Stato ha definito la Grecia un alleato critico della Nato che svolge un ruolo importante per la stabilità politica e il progresso economico in Europa. Nello specifico si tratta di sessantatré veicoli anfibi d’assalto per il personale (AAVP-7A1), nove veicoli anfibi per il comando d’assalto (AAVC-7A1), quattro veicoli anfibi per il recupero d’assalto (AAVR-7A1) e sessantatré mitragliatrici. Sono inclusi anche i lanciagranate MK-19, i sistemi di osservazione termica M36E T1 (Tss), il supporto per la fornitura (ricambi), le attrezzature di supporto (inclusi kit speciali/strumenti/kit migliorati (Eaak), manuali tecnici, dati tecnici, (Cets), strumenti integrati Accounting Support Management Services (Ils), Riparazione di componenti obsoleti, Servizi di calibrazione, Follow Up Support (Fos).

La nuova fornitura americana permetterà alla Grecia di far fronte alle nuove minacce attuali e future, fornendo un’effettiva capacità di proteggere gli interessi e le infrastrutture marittime a sostegno della sua posizione strategica sul fianco meridionale della Nato.

Triplice

A suggellare questa nuova veste ellenica si registra anche il rafforzamento della partnership militare tra Grecia, Israele e Cipro che puntano a rafforzare la cooperazione e i legami tra le loro forze armate, poiché è convinzione dei tre Paesi che le nuove sfide si affronteranno solo con un’azione multilaterale tra Paesi che condividono il diritto internazionale. In particolare Tel Aviv e Nicosia hanno siglato un programma bilaterale di cooperazione per la difesa tra la guardia nazionale e le forze armate israeliane (Idf) a Tel Aviv, nonché un corrispondente programma tripartito con le forze di difesa greche per il 2023. I tre Paesi si definiscono come fattori di stabilità e sicurezza nel Mediterraneo orientale e oltre.

Il riferimento è principalmente al tema della sicurezza energetica, delle infrastrutture esistenti (Tap), di quelle future (EastMed) e dei giacimenti nel Mediterraneo orientale in cui operano primari players mondiali, come Exxon ed Eni.


formiche.net/2023/03/rafale-f-…



Per i giudici austriaci il videogioco Fifa è gioco d’azzardo. Vero o falso, salvaguardiamo i più piccoli


Lo scorso 26 febbraio il tribunale distrettuale di Hermagor ha deciso che alcune delle funzionalità di Fifa, uno dei più popolari videogiochi di calcio di tutti i tempi prodotto dalla EA – Electronic Arts con centinaia di milioni di giocatori in tutto il mondo devono essere considerate a tutti gli effetti gioco d’azzardo con tutte... Continue reading →


FuoriLegge


Non c’è nessuno che sostenga la giustizia italiana funzioni bene. Ci si può ben spingere a parlare di bancarotta. Ma le cose possono andare peggio, fino a giungere alla bancarotta culturale che si coglie nelle parole di chi crede che se non funziona la gi

Non c’è nessuno che sostenga la giustizia italiana funzioni bene. Ci si può ben spingere a parlare di bancarotta. Ma le cose possono andare peggio, fino a giungere alla bancarotta culturale che si coglie nelle parole di chi crede che se non funziona la giustizia giudicante si possa rimediare applicando le pene senza giudizio. Sembra severità, ma è solo severamente fuori dalla civiltà del diritto.

Dice il procuratore aggiunto di Napoli che quanti vengono arrestati, ad esempio dopo le violenze dei giorni scorsi, sta in carcere pochi giorni e non teme la pena, perché il processo ha tempi lunghi, sicché servono misure cautelari più severe. No, servono giudizi più celeri. Aggiunge: <<Il principio della presunzione di innocenza, che capisco e rispetto, presuppone tempi rapidi per il processo. Paesi con ricorso limitato al carcere preventivo arrivano a sentenza in 6 mesi, non in 5 anni>>. Fa piacere che capisca e rispetti un principio iscritto nella Costituzione e in un paio di fondamentali trattati internazionali, è incoraggiante, ma gli sfugge un dettaglio: senza quel principio non c’è giustizia possibile, senza quello i tribunali possono pure chiudere e si passa ai guardiani della morale, esecutori invasati, per ideologia o misticismo, del dispotismo. Senza si è fuori legge.

Il punto, comunque, è far funzionare la giustizia in tempi ragionevoli. Per ottenere questo risultato, possibile da agguantare anche perché considerato normale fra i Paesi civilizzati, non è che si debbano fare leggi settoriali o stringere qualche bullone, ma agire sul modo stesso in cui la macchina penale è concepita:

1. a processo deve arrivare la minoranza dei casi, non la pressoché totalità, in che significa rendere convenienti riti e pene alternative;

2. la procura non deve essere obbligata a procedere anche quando sa che sarà una perdita di tempo, quindi via l’obbligatorietà dell’azione penale;

3. le carriere, di accusatori e giudici, devono essere separate non per un puntiglio culturale, ma perché è il solo modo per valutare l’efficienza di ciascuno, senza che la cosa vada a finire sul tavolo di un Csm che eleggono uniti, dividendosi in correnti, cordate e camarille.

Il che ci porta nel campo della politica. Se si prendono le cose scritte da Carlo Nordio, nel corso di molti anni, si trova tanto di quel che serve. Molto bene. Se si prendono le scelte, in materia penale, fin qui fatte dal governo di cui Nordio fa parte si trova l’esatto contrario. Molto male. Naturale che non sarebbe stato neanche immaginabile trovare lo scrittore in tutti gli atti, lo è meno che si debba fare affidamento alla speranza nel cercarcelo. Ma questa è la logica della politica, dove Nordio arriva forte di un invidiabile bagaglio culturale, ma privo di forza propria. Siamo solo all’inizio, entro maggio è promesso l’arrivo, in Consiglio dei ministri, di un pacchetto di riforme. Attenderemo che venga fuori la legge. Ma è onesto avvisare subito: una cosa sono i testi licenziati dai ministri, altra il risultato dei lavori parlamentari. Vero che la politica è l’arte del compromesso, ma conta il risultato, altrimenti ci si è solo compromessi.

Basta avere chiaro che tutto dipende da un solo punto: la separazione delle carriere. Ci si può incaponire sulla disciplina delle intercettazioni telefoniche e ambientali, ad esempio, ma il momento della verità consiste nel far dipendere il successo (e la carriera) di un procuratore non dalla conferenza stampa a fine indagini, ma dal verdetto. Scritto da non colleghi. Idem per la ricorribilità delle assoluzioni: Nordio ha ragione, è illogico volere riprocessare un assolto, ma l’assurdo si estingue quando le procure smetteranno di ricorrere in automatico, non rispondendone, e cominceranno ad essere responsabili dei risultati. Senza il cardine della separazione le ruote delle riforme correranno senza meta in direzioni diverse.

Meno processi, più responsabilità di ciascuno, tempi ridotti, certezza della pena. L’alternativa è la certezza del penoso.

La Ragione

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PODCAST. L’Iraq 20 anni dopo l’invasione Usa : “Devastato da corruzione e povertà”


Intervista alla giornalista Paola Nurnberg, in questi giorni a Baghdad per il ventesimo anniversario dell'attacco americano al paese arabo. L'Iraq del 2023 è un paese senza servizi pubblici, instabile, che deve fare i conti con una corruzione capillare ch

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 20 marzo 2023 – Venti anni fa gli Stati uniti, con l’aiuto della Gran Bretagna, lanciarono l’attacco contro l’Iraq che provocò la caduta di Saddam Hussein e diede inizio a una lunga e sanguinosa occupazione militare che causò centinaia di migliaia di morti e feriti e distruzioni immense. Nel 2023 le condizioni di vita nel paese arabo sono molto difficili. Gran parte della popolazione è povera nonostante l’Iraq sia tra i maggiori esportatori di petrolio. Mancano i servizi pubblici. La corruzione dilaga e regna l’instabilità politica. I giovani non hanno fiducia nello Stato. Ne abbiamo parlato con la giornalista Paola Nurnberg* in questi giorni a Baghdad.
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6047131*Paola Nurnberg è una giornalista della radio/tv Svizzera. E’ stata inviata in molti paesi del mondo e scenari di guerra.

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.

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Stranieri, o meglio detenuti


Stranieri, o meglio detenuti 6045776
Il Giappone è in continuo calo demografico e ha bisogno di attrarre cittadini stranieri. Ma le regole per gli irregolari (compresi coloro a cui è scaduto il visto) sono durissime. E nei centri di detenzione dedicati non sono rare le tragedie. Tratto dal nuovo ebook di China Files: "Demografia asiatica"

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In Cina e Asia – Prima della visita, Xi riafferma la partnership con la Russia


In Cina e Asia – Prima della visita, Xi riafferma la partnership con la Russia xi jinping vladimir putin
I titoli di oggi:

Huawei ha sostituito migliaia di componenti vietate dagli Usa
Scoperto DNA animale a Wuhan. L'Oms chiede spiegazioni
Il disaccoppiamento dalla Cina mette a rischio i brevetti congiunti
La Cina introduce linee guida contro le molestie sul lavoro
Tik Tok: possibile spionaggio di giornalisti, gli Usa indagano
Corea del Nord: nuovi lanci di missili balistici e "800 mila nuove reclute nell'esercito"

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L’Iraq vent’anni dopo


Gli artefici dell’invasione dell’Iraq nel 2003 avevano il grandioso progetto di trasformare il Medio Oriente in favore degli interessi statunitensi. Due decenni dopo, è evidente come quell’impresa sia stata un fallimento non solo per quell’obiettivo, ma a

di Joost Hiltermann – International Crisis Group –

Traduzione di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 19 marzo 2023 – Alimentata da un gruppo di ideologi noti come i “neoconservatori”, l’invasione statunitense dell’Iraq del 2003 fu la prima mossa dell’amministrazione Bush per riprogettare il Medio Oriente. Benché fosse giustificata come la risposta al supposto coinvolgimento del leader iracheno Saddam Hussein nell’attacco agli Stati Uniti dell’11 settembre e alla sua presunta capacità di produrre armi biologiche o altre armi di distruzione di massa, le sue finalità poi documentate erano più ampie. Gli “architetti della guerra” desideravano farne una regione più amichevole nei confronti degli interessi statunitensi, isolare l’Iran, e, facendo fuori uno dei membri del fronte arabo “del rifiuto”, rifilare una “Pax israeliana” ai Palestinesi – che avevano cercato un’altra volta, con una seconda Intifada iniziata nel 2000, di ribellarsi alla legge militare israeliana. C’erano anche altri motivi in gioco: dimostrare il potere statunitense dopo l’attacco dell’11 settembre esercitando la sua forza bruta e, secondo alcuni neoconservatori, provare che una missione di “democraticizzazione” poteva contrastare il fascino dei movimenti islamisti nella regione.

Se l’impresa iniziò con tracotanza e ambizione, finì tra le lacrime. Gli obiettivi irreali dei suoi fautori combinati con la legge delle conseguenze indesiderate finirono per mettere in luce la loro ignoranza e la loro arroganza. Piuttosto che far germogliare la democrazia in Medio Oriente, l’invasione provocò un vuoto di sicurezza nel cuore della regione. Scatenò un Iran intenzionato a vendicarsi del sostegno di Washington allo Shah e alla “guerra imposta” dal regime di Hussein, lanciata nel 1980 per spegnere la Rivoluzione Islamica. Infiammò l’ascesa del dibattito settario, che contribuì a trasformare la polarizzazione politica irachena in tre anni di brutale guerra civile. Ridusse in brandelli il mito della potenza militare degli Stati Uniti e la sua reputazione, dopo la Guerra Fredda, di unica superpotenza, la sola capace di imporre la sua volontà ben oltre le proprie coste. Generò una nuova ondata di gruppi jihadisti, culminata nella nascita dello Stato Islamico di Iraq e Siria, l’Isis, che non solo sfruttò il caos che si era creato sulla scia dell’invasione americana ma successivamente lo rese ancora più drammatico. L’offensiva dell’Isis nel 2014 ha riportato le truppe statunitensi in Iraq anni dopo che Washington aveva cercato di lavarsi le mani dei disordini che aveva creato nella regione. Ultimo ma sicuramente non meno importante, l’invasione del 2003 si concluse con la beffa delle due motivazioni che Bush aveva addotto per giustificarla pubblicamente: gli investigatori non trovarono né le armi di distruzione di massa in Iraq né le prove di una connessione tra il regime di Saddam Hussein e gli attacchi dell’11 settembre.

Anatomia di un fallimento

L’Iraq sotto il regime dell’apparato brutale del partito baathista di Saddam Hussein e le sue agenzie di sicurezza non era un posto piacevole, eppure la gioia che la sua caduta provocò in molti Iracheni – curdi e sciiti in particolare – svanì ben presto. L’ambivalenza della situazione diventò palese molto presto dopo la “liberazione” del 2003, quando durante una visita a Baghdad mi venne chiesto da alcuni speranzosi abitanti, che avevano bene accolto l’arrivo delle truppe statunitensi, perché i soldati non avessero ripristinato l’ordine pubblico, lasciando, invece, che le bande saccheggiassero i palazzi governativi e rubassero beni inestimabili dai musei e dalla libreria nazionale. Questi Iracheni trovavano incomprensibile che l’esercito degli Stati Uniti potesse permettere un tale caos; lo interpretavano come un segnale di cattive intenzioni – un tentativo di estendere i domini dell’impero mediante la distruzione. Il parere del Segretario americano alla Difesa Donald Rumsfeld che “la libertà porta disordine” non li tranquillizzava. Erano piuttosto infuriati dai frequenti riferimenti dei media occidentali alla “caduta di Baghdad”, che inevitabilmente portava alla memoria il sacco della città nel 1258 da parte dei Mongoli, quando questa era il centro dell’impero degli Abbassidi e del fermento culturale dell’epoca, una cosa ben diversa rispetto alla “caduta del regime”. I loro sentimenti anti-invasione di stampo nazionalista arabo erano molto diffusi in Medio Oriente, dove il regime deposto aveva goduto di un supporto popolare significativo per la sua resistenza all’agenda statunitense. (Molti erano inconsapevoli o chiudevano gli occhi davanti a quanto avveniva nelle prigioni di Saddam Hussein).

Vent’anni dopo, è chiaro come l’invasione fu un fallimento terribile sotto molti punti di vista, non solo per la mancanza di pianificazione dell’impresa ma anche per la serie di conseguenti disastri che la segnarono. Gli Stati Uniti, quasi dal “partenza-via”, persero i cuori e le menti di molte delle persone che erano venuti a liberare. Queste ultime finirono per appoggiare, con vari gradi di entusiasmo, le azioni di una piccola minoranza che gravitava intorno a forme di resistenza molto più violenta verso quella che, giustamente, definivano una “occupazione” – uno status confermato dalla Croce Rossa Internazionale, garante delle Convenzioni di Ginevra del 1949, e dagli stessi Stati Uniti. Qualsiasi protezione internazionale la presenza americana potesse offrire ai civili iracheni, essa determinò anche un livello di dominazione straniera che finì per andare male alla maggior parte di loro.

Nel giro di poche settimane, molti errori furono commessi. Iniziarono con l’instaurazione di un proconsole americano, L. Paul “Jerry” Bremer, dotato di ampi poteri e limitata conoscenza del Paese. Poi venne lo smantellamento dell’esercito da parte sua, anche se di tutta la miriade di apparati di sicurezza iracheni, l’esercito era quello che aveva mostrato meno di tutti lealtà al vecchio regime e aveva un corpo di ufficiali che avrebbe potuto essere riformato per offrire sicurezza a tutto il Paese.

Un altro sbaglio madornale fu la purga degli ex membri del partito baathista dallo Stato, una mossa spinta dal desiderio di vendetta dei partiti sciiti, che cercavano di ottenere il potere. Per come la portarono avanti gli Stati Uniti, la de-baathificazione fu indiscriminata, con la rimozione di tutti gli ufficiali degli alti livelli del partito; ma finì per essere selettiva, visto che i partiti islamisti successivamente perdonarono molti dei baathisti sciiti (tranne alcuni che erano stati gli scagnozzi del regime) e diedero loro alcune posizioni di potere nel nuovo ordine, ma non i baathisti sunniti.

A coronare il tutto, la creazione di una struttura di governo sul modello del sistema della muhasasa libanese, con la rappresentazione politica delle comunità etnico-confessionali sulla base della loro presunta proporzione demografica. Una tale risoluzione potrebbe incoraggiare una politica guidata dal consenso popolare, ma contrasta una governance effettiva: chiunque ha una poltrona, ma nessuno può prendere decisioni. Questo genera ogni forma di corruzione, poiché i politici elargiscono protezione ai loro elettori, e le loro controparti non possono opporsi, per paura che crolli tutto il sistema. Insieme al fallimento nel fermare il saccheggio del Paese, queste azioni furono i peccati originali dell’occupazione.

Un racconto di due temi

I due temi principali degli ultimi due decenni, comunque, sono stati: primo, come gli Stati Uniti, di concerto con gli esuli di ritorno, definirono sempre l’Iraq come comprendente tre comunità principali – i curdi, gli arabi sciiti e gli arabi sunniti – e relegarono quest’ultimo gruppo, in un unico conglomerato indifferenziato, ad essere quello degli sconfitti ufficiali. L’Iraq divenne un caso emblematico di come l’esclusione – in questo caso dei sunniti privati di potere sotto quello che emerse come il dominio sciita islamista – generi rancore, che accumulandosi può provocare violenza.

Con i Sunniti allontanati dal potere, nel disordine prosperò una ribellione guidata dal movimento di Al-Qaeda in Iraq (AQI), che gli Stati Uniti non furono in grado di contenere e, probabilmente, poco interessati a fermare. Non volendo restare impantanata in quella regione un giorno di più, Washington aveva portato buona parte delle sue truppe fuori dal Paese entro la fine del 2011, per tornarci appena tre anni più tardi quando l’Isis (che derivava dall’AQI), conquistò territori in Siria e in Iraq. Oggi, l’Isis può essere stato soppresso con mezzi militari, ma si continua a covare rancore, alimentato da una governance negligente, scarsa rappresentazione politica e scarsa protezione. Gli abitanti di Falluja, Ramadi, di quello che resta di Mosul e una miriade di altre piccole città a ovest e nord-ovest sono stati, in effetti, incolpati di tutte le depredazioni del vecchio regime. I membri rimanenti dell’Isis, intanto, nascondendosi in terreni accidentati, portano avanti operazioni locali aspettando il giorno in cui il potere di Baghdad si risveglierà di nuovo.

Il secondo leitmotif è come l’occupazione statunitense abbia permesso all’Iran di diffondere la sua influenza in Iraq – attraverso leader politici simpatizzanti e milizie per procura – fino ai confini con l’Arabia Saudita, la Giordania e la Siria, suggerendo una vittoria tardiva dell’Iran nella Guerra del 1980-88. Il destino dell’Iran in quel conflitto gli offre oggi il pretesto per usare l’Iraq come profondità strategica davanti a un mondo arabo ostile, e gli regala anche l’occasione di un regolamento di conti. Teheran aveva avvertito che i limiti al suo potere sulla regione erano già stati allentati dopo che l’invasione statunitense dell’ottobre 2001 in Afghanistan aveva allontanato I talebani, un altro dei suoi rivali.

L’ascesa dell’Iran in Iraq e in maniera più estesa in tutto il Medio Oriente è spesso attribuita a un’aspirazione all’egemonia regionale. Potrebbe effettivamente nutrire simili ambizioni. E si potrebbe a ragione replicare che l’Iran ha provato una spiccata capacità di sfruttare le condizioni favorevoli che gli si sono presentate. Ha aiutato Hezbollah a insediarsi in Libano in risposta all’invasione israeliana del Paese nel 1982, cosa che non danneggiò soltanto i rifugiati palestinesi ma anche la popolazione in maggioranza sciita. Ha esteso la sua influenza in Iraq grazie all’invasione statunitense. E’ venuto in soccorso dell’alleato siriano Bashar al-Assad quando il suo regime ha vacillato davanti alle proteste popolari e all’insurrezione armata nel 2011. Infine, ha dato man forte ai ribelli houthi in Yemen in seguito al fallimentare ma duraturo intervento militare dei sauditi nel 2015. In Iraq, Libano e Yemen, l’Iran ha beneficiato anche della presenza di gruppi islamisti sciiti desiderosi di approdare al potere nazionale grazie al suo aiuto.

Per contenere l’Iran sarà necessario farlo confrontare con una serie di condizioni locali “sfavorevoli”. La ricostruzione degli stati arabi basata sulla legittimazione popolare, incluso l’Iraq, potrebbe essere il cambiamento più significativo in questo senso. Nel 2011, otto anni dopo l’invasione dell’Iraq, Tunisini, Egiziani, Libanesi, Siriani, Yemeniti, Bahreiniti e altri hanno mostrato come può essere la restaurazione dell’ordine politico regionale quando viene realizzata dal basso. I regimi minacciati, tuttavia, hanno represso con la forza i manifestanti nelle piazze, mentre i poteri regionali come l’Iran, i Paesi del Golfo Arabo e la Turchia hanno stravolto i loro sforzi, specialmente in Siria. Questi cambiamenti hanno reso gli esiti di quella stagione di speranza nella regione tanto tragici quanto quelli vissuti dagli Iracheni dopo il 2003, se non di più. Eppure, dei modi per raggiungere una governance più promettente che non preveda un intervento esterno né un’insurrezione interna si possono immaginare, e l’Iraq, che ha mantenuto una certa coerenza nazionale a vent’anni dall’invasione, può essere capace di proporre delle idee realizzabili, perché almeno ha goduto di qualche sviluppo positivo anche come risultato dell’invasione degli Stati Uniti.

Ancora qui

Al contrario delle previsioni di alcuni osservatori (e, in qualche caso, anche dei loro desideri), l’invasione non ha comportato la fine dell’Iraq. I confini si sono dimostrati stabili e il nazionalismo iracheno si è ripreso nonostante un’iniziale esplosione di sentimenti anti-nazionali. (I curdi sono riusciti a ottenere una maggiore autonomia, ma non la completa indipendenza alla quale ambiscono da tempo.) La società irachena è arrivata a godere di una modica libertà. Il Paese ha un sistema multipartitico per la prima volta nella sua storia, elezioni parlamentari ripetute e relativamente trasparenti, e una stampa libera (ma facilmente soggetta a intimidazioni). Nell’attuale sistema politico iracheno, nessun leader autoritario può agire senza restrizioni. Ma proprio la debolezza del centro, guidato da una classe politica corrotta incapace di dare anche solo una parvenza di buon governo, se da una parte ha reso possibili queste importanti caratteristiche ha anche permesso l’ascesa di milizie predatorie e di intrusioni ripetute dei vicini Iran e Turchia.

In che modo questi risultati equivalgano a un vantaggio per gli Stati Uniti, nonostante la grande spesa in termini di sangue e denaro, nessuno sa dirlo, con le uniche eccezioni ben immaginabili dell’industria delle armi e di altri interessi corporativi. C’è chi sosteneva già prima della guerra che la spedizione proposta dall’amministrazione Bush fosse mal concepita, basata sulla cattive informazioni fornite da un piccolo gruppo di esuli iracheni, con le loro agende molto ristrette. In quanto tale, non avrebbe mai potuto avere successo, anche se la forza occupante fosse stata meno disastrosamente incompetente di quanto si sia nei fatti rivelata.

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PRIVACY DAILY 72/2023


Gli Stati Uniti stanno valutando la possibilità di vietare completamente l’uso di TikTok, ma è improbabile che l’Europa segua la stessa strada. Così ha dichiarato Theo Bertram, vicepresidente delle relazioni governative e delle politiche pubbliche per l’Europa di TikTok. “Quando si parla di libertà di parola per il pubblico, credo che le regole siano chiare.... Continue reading →


Guerra in Ucraina: l’incriminazione di Putin è solo propaganda?


La gran parte della stampa italiana, e non solo, si occupa con estrema ampiezza della cosiddetta «incriminazione» di Putin. Si tratta indubbiamente di una notizia abbastanza clamorosa e unica nel suo genere anche se, a ben vedere, non poi così inattesa e nemmeno così imprevedibile. Per capirci, la Corte penale internazionale dell’Aja è stata istituita […]

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Non solo #Mastodon, ma anche #PeerTube #PixelFed #Friendica e #Funkwhale: i social media decentralizzati aumentano mentre Twitter si scioglie. @Matt_on_tech intervista @tchambers


Mastodon è solo l'inizio: il Fediverso sta arrivando con PeerTube, PixelFed, Friendica e Funkwhale

@Che succede nel Fediverso?

la maggior parte delle aziende che cercano di supportare i social media decentralizzati stanno aggiungendo il supporto per #ActivityPub o, in alcuni casi, costruendo nuove piattaforme per un futuro decentralizzato. Si dice che Meta stia lavorando sul proprio social network decentralizzato, nome in codice P92 , che si dice includa il supporto ActivityPub. WordPress , Flipboard e Mozilla hanno tutte funzionalità annunciate che si integrano con il Fediverso.

Qui è disponibile l'intervista di @Matthew S. Smith a @Tim Chambers

in reply to skariko

skariko@feddit.it purtroppo @tchambers@indieweb.social l'ha tralasciato. Non so se perché non lo conosce, perché non lo ritiene meritevole di una menzione o semplicemente perché non gli piace. Ma sta di fatto che ora, stando dentro a questa conversazione, anche lui è finito su Lemmy 😂

@fediverso@feddit.it

feddit.it/comment/53924



Esprimiamo piena solidarietà all'Anpi che l'altro giorno ha subito un atto intimidatorio da parte di “Blocco studentesco” responsabile di uno striscione ap


La Corte dell’Aja, il mandato d’arresto per Putin e le carenze dell’Italia. Di @vitalbaa su @domanigiornale


Chiarimenti sui mandati di arresto nei confronti Vladimir Vladimirovich Putin e Maria Alekseyevna Lvova-Belova e sull'anomala "gestione" dell'attuale governo in merito ai crimini contro l’umanità. Il post di @Vitalba

@Politica interna, europea e internazionale


  • La Corte penale internazionale ha emesso due mandati di arresto nei confronti di Putin e Maria Alekseyevna Lvova-Belova per deportazione illegale e trasferimento illegale di bambini dall’Ucraina alla Federazione russa. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha dichiarato: «Le decisioni della Corte non hanno alcun significato per il nostro paese, nemmeno dal punto di vista legale».
  • È vero che la Russia non ha mai ratificato lo Statuto di Roma, quindi non accetta la giurisdizione della Cpi, né ha l’obbligo giuridico di cooperare con essa. Ma il mandato della Corte si traduce comunque nella “condanna” di Putin a non muoversi dalla Russia.
  • E il ruolo dell’Italia? Il governo ha eliminato i crimini contro l’umanità. Non se comprende il motivo, salvo ipotizzare che qualche esponente tema un’imputazione per crimini contro l’umanità riguardo, ad esempio, alla gestione dei migranti.


A proposito di quest'ultima scelta...

Non se comprende il motivo, salvo ipotizzare, come ha fatto in una intervista Chantal Meloni, professoressa di Diritto penale internazionale, che qualche esponente del governo tema un’imputazione per crimini contro l’umanità riguardo, ad esempio, alla gestione dei migranti.

In ogni caso, quest’eliminazione è un fatto molto grave, specie in un momento in cui l’Italia dovrebbe mostrarsi allineata alla comunità internazionale anche introducendo nel proprio ordinamento tutti i crimini connessi alla guerra voluta da Putin.



Oggi spiego il mandato d’arresto per Putin; perché riguarda per ora solo la deportazione di bambini; quali effetti può produrre, perché non è vero che non ne abbia.

Spiego pure come e perché l’Italia non si sta adeguando allo Statuto della Corte dell’Aja, dato che ha cancellato i crimini contro l'umanità dal codice sui reati universali in via di approvazione.

editorialedomani.it/fatti/la-c…




Parigi: il prefetto ha commissariato il Sindaco per ottenere i dati anagrafici dei netturbini di Parigi e chiederne la precettazione. Di @DavidLibeau


La precettazione dei netturbini parigini è iniziata a seguito della mobilitazione contro la riforma delle pensioni. Dopo il rifiuto del sindaco di Parigi, si apprende dalla stampa che il prefetto di Parigi ha recuperato i recapiti degli operatori per precettarli. Il metodo solleva interrogativi.

@Pirati Europei

Oltre alle condizioni di urgenza e violazione del buon ordine o della salute, è chiaramente specificato che è necessario un ordinanza per precettare qualsiasi bene o servizio. Nel caso dei netturbini di Parigi, sono i loro dati personali che sono stati trasmessi alla prefettura. Il problema è che sembra difficile qualificare l'elenco degli agenti di servizio come un bene. In ogni caso, questo solleva delle domande.

Recentemente la CNIL ha richiamato le regole per la cessione dei fascicoli quando Camaieu è stata messa in vendita. La CNIL ha precisato ad esempio che ciò era possibile ma che informare le persone era importante.

Nel caso dei netturbini la situazione è tanto più complessa in quanto non vi è stato ordine di precettazione se non dopo la trasmissione dell'elenco dei 4000 agenti della città di Parigi. Le disposizioni del Codice generale degli enti locali sulla requisizione non sono state aggiornate dal GDPR e sembrano piuttosto obsolete.

Se fossimo nel contesto di una requisizione, la base della legalità del sindaco di Parigi sarebbe stata probabilmente l'obbligo legale. Tuttavia, un considerando del GDPR sulle richieste delle pubbliche autorità mette in dubbio la legittimità dell'operazione poiché il considerando 31 in questione indica che richieste di questo tipo «non dovrebbero riguardare la totalità di un fascicolo» .

Se la trasmissione dei dati fosse rientrata nell'ambito di applicazione di questo considerando, ciò significherebbe potenzialmente che la richiesta di tutti i nomi e gli indirizzi degli incaricati del servizio di pulizia avrebbe potuto porre un problema in quanto si sarebbe potuto ritenere che riguardasse l'intero fascicolo . Ciò sarebbe rimasto a discrezione della CNIL in quanto autorità di controllo.

Qui è disponibile l'intero post, in francese, di @David Libeau

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Per fare cose di fretta, ho eliminato per errore una parte del disco del PC. Ma la colpa non è solo mia: il programma che ho usato è disegnato male.


In Your Eyes zine ricerca collaboratori


Crescere, in tutti i sensi, è di per sé un fatto positivo ma qualche problema in fondo lo crea sempre.

Così come per le mamme, che devono che devono costantemente rinnovare il guardaroba dei figli per adeguare l’abbigliamento al loro sviluppo fisico, anche per In Your Eyes la costante crescita di contatti riscontrata negli ultimi anni comporta il dover affrontare un “piacevole” problema: quello di far fronte alle numerose richieste di recensione che ci pervengono ogni giorno.

iyezine.com/collabora

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🧨 Interview with Ed Hanssen


Ed Hanssen. I started my projectmailartbooks by sending selfmade blanc little booklets made of wrappingpaper to artists I knew and that expanded very rapidly into a huge mailartproject.

iyezine.com/en/ed-hanssen



Oggi, #18marzo, si celebra la Giornata nazionale in memoria delle vittime del #coronavirus, istituita formalmente il 17 marzo 2021.


Etiopia, visita di Antony Blinken per la normalizzazione economica dopo 2 anni di guerra genocida in Tigray


L’Etiopia ha accolto mercoledì 15 marzo il segretario di stato americano Antony Blinken, in visita in Africa per questioni diplomatiche: prima in Niger poi nel secondo Paese più popoloso del continente africano. Lo avevamo già segnalato nel precedente agg

L’Etiopia ha accolto mercoledì 15 marzo il segretario di stato americano Antony Blinken, in visita in Africa per questioni diplomatiche: prima in Niger poi nel secondo Paese più popoloso del continente africano.

Lo avevamo già segnalato nel precedente aggiornamento sulle tematiche che avrebbe trattato: questioni generali (sicurezza alimentare, clima e transizione energetica giusta, diaspora africana, e salute globale). Nello specifico dell’ Etiopia la “giustizia di transizione”, tema centrale sul post guerra dai risvolti genocidi iniziata il 3 novembre 2020 e conclusasi formalmente con un accordo di tregua firmato tra le parti il 2 novembre a Pretoria con la mediazione dell’ Unione Africana e degli USA come osservatori.

Gli USA dal gennaio 2022 avevano messo in esecutivo la sanzione di espellere dall’ AGOA – African Growth and Opportunity Act – l’Etiopia perché in violazione del regolamento visto che il governo etiope risulta mandante del suo esercito in Tigray chè stato implicato in crimini di guerra e contro l’umanità.

Martedì 14 marzo, un giorno prima che Blinken avesse l’incontro con i rappresentanti del governo etiope, il dipartimento di stato USA si è sentito in dovere di emanare una nota indicante il bilancio sul supporto monetario, economico fornito all’Etiopia.

Il comunicato apre con una premessa:

“Il 2 novembre 2022, sotto gli auspici dell’Unione africana e con l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo, le Nazioni Unite e gli Stati Uniti in qualità di osservatori, il governo dell’Etiopia e il Fronte popolare di liberazione del Tigray hanno firmato l’”Accordo per una pace duratura attraverso un Cessazione permanente delle ostilità” (COHA), ponendo fine al conflitto scoppiato nel novembre 2020. Il COHA è in vigore e in fase di attuazione.”

Il Dipartimento di Stato americano ha affermato che negli ultimi 2 anni ha fornito all’Etiopia circa 3,16 miliardi di dollari in assistenza umanitaria.

La dichiarazione però non includeva i motivi sul perché nello stato regionale del Tigray oggi, dopo 5 mesi dall’accordo di Pretoria, le persone stiano ancora soffrendo e morendo per mancanza di medicinali e aiuti alimentari. Il report ONU della Commissione Internazionale di Esperti di Diritti Umani per l’Etiopia – ICHREE, in precedenza, aveva denunciato il governo e le sue politiche di aver creato un blocco “de facto” sull’accesso umanitario in Tigray.

Il Segretario di Stato USA durante l’incontro ha anche annunciato che gli Stati Uniti forniranno per l’anno in corso 331 milioni di dollari in assistenza umanitaria all’Etiopia.

Blinken ha dichiarato su Twitter che lui e il vice di Abiy Ahmed Ali, Demeke Mekonen Hassen, hanno discusso:

“…sui progressi compiuti nell’attuazione dell’accordo sulla cessazione delle ostilità e sulla necessità di un accesso senza ostacoli da parte degli osservatori internazionali dei diritti umani alle aree colpite dal conflitto, nonché sull’importante ruolo regionale dell’Etiopia.”

In un altro tweet ha aggiunto di aver incontrato il PM Abiy Ahmed e di aver discusso:

“La necessità di responsabilità per raggiungere una pace duratura. Ha anche deciso di rivitalizzare la nostra solida partnership.”

L’Etiopia oggi si trova sull’orlo del baratro economico dilaniata dalla guerra. Funzionari americani nel campo per il rilancio delle relazioni hanno dichiarato che impedire al governo etiope di ottenere aiuti economici estremamente necessari dopo la firma di un accordo di pace, potrebbe in ultima analisi minare la fragile pace e la stabilità generale del paese. Solo l’assistenza internazionale come i prestiti del Fondo monetario internazionale e la ristrutturazione del debito possono aiutare a riparare l’economia dilaniata dalla guerra: questa la posizione degli Stati Uniti.

Di veduta diversa sono le tante organizzazioni sulla tutela dei diritti umani, parte della società civile e diaspora globale che invece credono che si debba dare la priorità alla responsabilità e alla giustizia verso criminali e crimini perpetrati su milioni di persone in Tigray e nel resto del nord Etiopia, nelle regioni Amhara e Afar.

Diversi funzionari umanitari e non, tra cui il capo dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) Samantha Power, hanno sostenuto nei dibattiti politici interni che l’amministrazione deve ottenere maggiori impegni dal governo etiope sui diritti umani e la responsabilità per i crimini di guerra e altre atrocità. Questo come premessa e prima di accettare l’apertura completa di nuove vie economiche e commerciali. Questa tematica si scontra profondamente con il controverso atto di “giustizia transitoria” che vorrebbe perseguire il governo etiope in maniera interna come Stato Sovrano e supportato da USA ed Europa.

“Non dovremmo scambiare i nostri valori di lunga data sui diritti umani con la stabilità percepita a breve termine nell’Africa orientale”, ha affermato Cameron Hudson, esperto di politica africana degli Stati Uniti presso il Center for Strategic and International Studies.

“La domanda è quanto questa amministrazione [USA] pensa di poter ottenere in tutta la regione senza avere l’Etiopia come partner strategico?”

Alcuna risposta e commento sono arrivati da USAID, il Dipartimento di Stato che ha rifiutato di commentare e l’ambasciata etiope a Washington non ha risposto sulla questione proposta da Foreign Post.

Nonostante alcuni progressi importanti, ma parziali per la sopravvivenza dei civili in Tigray che ha portato la stipula dell’accordo di tregua, milioni di persone e sfollati interni risultano ancora sopravvivere nell’incertezza e nell’insicurezza. Gran parte del Tigray rimane tagliata fuori dall’accesso ai servizi sociali di base come l’assistenza sanitaria, le banche, le telecomunicazioni e l’energia. Centinaia di dipendenti pubblici non hanno ricevuto lo stipendio da 30 mesi e rimangono scoperti anche per i 5 mesi dopo l’accordo.

Una testimonianza peculiare di questo stato di grave sussistenza del popolo tigrino l’ha fornita MSF che abbiamo riportato in un precedente aggiornamento.

Il Segretario Blinken nella sua visita in Etiopia ha incontrato anche Daniel Bekele, presidente della Commissione Diritti Umani Etiope e stretto alleato del Premier Abiy Ahmed.

Bekele ha dichiarato:

“Ho avuto una discussione positiva e fruttuosa con il Segretario americano con particolare enfasi sull’importanza di processi e meccanismi conformi con l’Etiopia sulla giustizia di transizione incentrati sulla vittima e diritti umani.”

Il ricercatore Tekehaymanot G. Weldemichel ha espresso chiaramente le preoccupazioni sulla “giustizia di transizione” e sugli attori che dovranno gestirla.

Tekehaymanot ha il dottorato di ricerca. in geografia umana presso l’Università norvegese di scienza e tecnologia. La sua ricerca si concentra sulle politiche e le politiche ambientali. Attualmente è ricercatore post-dottorato presso l’Università norvegese di scienza e tecnologia, dove studia la traduzione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite in politiche e pratiche.

Ne citiamo le parole pubblicate recentemente su TGHAT:

“Sembra esserci un profondo malinteso sulla nozione di giustizia interna e sui meccanismi di responsabilità. Sebbene sia importante rafforzare e incoraggiare i meccanismi nazionali, il passaggio alla sostituzione di meccanismi internazionali indipendenti è molto problematico per due ragioni fondamentali. In primo luogo, nessuna istituzione in Etiopia oggi è immune dall’influenza degli autori dei crimini.

Istituzioni come la Commissione etiope per i diritti umani non sono altro che le braccia estese del regime etiope. Daniel Bekele e la commissione che dirige hanno continuamente negato e minimizzato l’entità delle violazioni dei diritti umani, in particolare nei confronti dell’etnia tigrina durante la guerra del Tigray.

Non possono quindi voltarsi e presentarsi come arbitri e giudici. Secondo, presentare la crisi del Tigray come una questione interna e pretendere di dipendere dai meccanismi interni di giustizia e responsabilità significa inquadrare male la natura del problema e sopravvalutare la capacità del meccanismo interno, anche se ve ne fossero di efficaci.

La domanda rimane: in che modo anche i meccanismi interni più capaci e imparziali riterranno gli attori stranieri come l’Eritrea responsabili dei crimini commessi dalle sue truppe nel Tigray? Si noti che nonostante le numerose segnalazioni di atrocità da parte delle forze eritree, né il regime eritreo né quello etiope hanno riconosciuto alcun crimine commesso dalle truppe eritree.”

La visita diplomatica di Blinken e della sua delegazione ha portato ad incontrarsi e a discutere con funzionari di governo e delle realtà che sono mandanti, implicate nei crimini della guerra nel Tigray come descritto nel rapporto ONU della ICHREE.

Il segretario ha fatto intendere che gli USA supportano e credano alle tesi di queste realtà umanitarie che si sono apertamente schierate con il governo.

“Sono commosso dall’impegno dei leader e dei sostenitori dei diritti umani ad Addis. Accolgo con favore i loro sforzi per sostenere il dialogo inclusivo e un processo di giustizia di transizione incentrato sulle vittime per sanare le divisioni del paese e fornire pace e sicurezza a tutti gli etiopi.”

I discorsi sulla “giustizia di transizione incentrata sulle vittime” e sui “progressi” nell’attuazione dell’Accordo sulla cessazione delle ostilità (CoHA) avrebbero avuto senso se le voci dei membri della comunità del Tigray avessero avuto presenza e voce in quelle sedi.

Nessuna delle organizzazioni per i diritti umani con sede ad Addis rappresenta le voci della popolazione fortemente colpita del Tigray.

Le voci dei tigrini che lavoravano in quelle organizzazioni sono state represse come quelle del resto degli etiopi di etnia tigrina in altri contesti. Sulla popolazione tigrina infatti sono state perpetrate attività di profilazione etnica, rimozione dalle cariche amministrative e a migliaia sono stati arrestati e detenuti illegalmente in campi di prigionia dichiarati illegali e in violazione del diritto umanitario internazionale.

Quello che hanno portato alla luce queste testimonianze è che l’accordo di tregua ha ancor più ammutolito e spinto al silenzio le voci del Tigray, facendo prendere mandato di parola solo al governo centrale.

Senza l’accesso nella regione da parte degli organismi per i diritti umani e dei media, qualunque cosa affermi il regime etiope viene accettata come vera.

Mehari Taddele Maru , studioso della School of Transnational Governance presso l’Istituto Universitario Europeo ha dichiarato:

“Se l’AU – African Union e le due parti [governo federale e TPLF, rappresentanti del Tigray] avessero pubblicato un rapporto sull’attuazione dell’accordo di Pretoria, avremmo una chiara traccia della litania di impegni non attuati. Ora c’è l’opportunità con la visita del Segretario Antony Blinken di coinvolgere le parti per fare pressione su una riflessione delle realtà sul campo.”

Nella conferenza stampa di mercoledì 15 marzo, il segretario americano ha evitato puntualmente di rispondere alle domande di un giornalista di AddisStandard sul processo di determinazione del genocidio e se è contrario al tentativo del governo etiope di porre fine al mandato della Commissione internazionale degli esperti dei diritti umani dell’Etiopia (ICHREE).

E’ innegabile la volontà diplomatica degli USA ad impegnarsi con l’Etiopia e quella parte dell’ Africa per scongiurare l’egemonia antagonista di altri concorrenti.

C’è da sottolineare anche la preoccupante facilità con cui la delegazione americana ha intrattenuto discussioni diplomatiche sulla giustizia e responsabilità dei crimini e della guerra genocida per cui sono morte più di 600.000 persone direttamente ed indirettamente per le bombe, per i massacri e per le scelte politiche di bloccare l’accesso umanitario e isolare la regione in un blackout elettrico e comunicativo senza servizi di base per 2 anni.

Per altro è innegabile l’avvallo degli USA nel sostenere l’impunità dando più peso alla priorità e stabilità economica, come strategia per cercare di strappare Etiopia e altre aree del Corno d’Africa dalle mani di altri attori come Cina, Russia.

Per altro anche Isaias Afwerki, presidente del regime della Corea del Nord Africana, l’Eritrea, aveva negato in pubblica piazza in Kenya i crimini del suo esercito perpetuati in Tigray sulla popolazione civile. Lo stesso dittatore eritreo che in interviste e dichiarazioni recenti ha rinnovato la sua scelta di opporsi all’occidente, USA ed Europa, e al sistema colonialistico perpetrato in Eritrea.

Eritrea alleata militarmente in maniera ufficiosa con l’Etiopia nella guerra del Tigray, il cui governo etiope nel 2021 aveva dato vita alla creazione del movimento “dal basso” del popolo etiope per rivendicare il panafricanismo con lo slogan verso gli Stati Uniti “Hands off Ethiopia” [Giù le mani dall’Etiopia]. Molti osservatori già a quei tempi avevano indicato questo movimento, in cui era coinvolta anche la diaspora in America, come strumento di distrazione di massa per poter sviare dal confronto sulla responsabilità governativa e militare etiope e degli alleati verso i crimini di guerra perpetrati in Tigray.

C’è da lavorare ancora molto per la giustizia per tutte le vittime che porterà verso la vera stabilità e la vera pace interetnica e unitaria del popolo etiope.

Sicuramente in Tigray, in Amhara e Afar la priorità va data sì alla tutela dei diritti umani, ma soprattutto al rispetto di ogni altro singolo punto dell’accordo di tregua: in primis fornitura e supporto umanitario incondizionato e totale.


tommasin.org/blog/2023-03-16/e…



Etiopia, le grosse lacune del supporto umanitario in Tigray dopo 5 mesi di tregua


La guerra genocida che ha coinvolto il nord Etiopia dal 3 novembre 2020, il 2 novembre 2022, dopo 2 anni si è fermata per la firma di un accordo di cessazione ostilità firmato a Pretoria. Con la mediazione dell’ Unione Africana, il governo federale etiope

La guerra genocida che ha coinvolto il nord Etiopia dal 3 novembre 2020, il 2 novembre 2022, dopo 2 anni si è fermata per la firma di un accordo di cessazione ostilità firmato a Pretoria.

Con la mediazione dell’ Unione Africana, il governo federale etiope e i rappresentanti del Tigray, i membri del partito del TPLF – Tigray People’s Liberation Front hanno siglato l’accordo di tregua.

Un punto fondamentale era l’accesso immediato e incondizionato al supporto umanitario per i milioni di persone martoriate e sfollate dalla guerra.

Dopo ormai 5 mesi le consegne di materiale alimentare e igienico sanitario sta considerevolmente rallentando.

Riguardo all’accordo di cessazione ostilità, manca un trasparente ed aggiornamenti sul sistema di monitoraggio. Monitoraggio che serve a constatare i progressi di quanto pattuito nell’accordo: compito assegnato alla gestione dell’Unione Africana – UA.

Manca ancora tutto per la maggior parte delle aree rurali dello stato regionale del Tigray.

Manca anche un monitoraggio ufficiale da parte dell’UA di tali attività che ne indichi aggiornamenti costanti e trasparenza.

Recentemente abbiamo segnalato su Focus on Africa le gravi condizioni di vita e le denunce degli IDP, degli sfollati interni.



Di seguito riportiamo le dichiarazioni di MSF- Medici Senza Frontiere (giovedì 9 marzo 2023) che indicano da una parte il suo gran lavoro per supportare la popolazione e le persone nelle aree di Shire e Shiraro e dall’altra le grosse lacune, le tante mancanze sia logistiche sia materiali per quanto riguarda strutture sanitarie e farmaci.

Nel novembre 2022, MSF – Medici Senza Frontiere ha riavviato le attività medico-umanitarie nella zona nord-occidentale del Tigray.

MSF fornisce servizi sia alle comunità ospitanti che agli sfollati interni a Shire e Shiraro.
Ecco cosa stiamo facendo.

A Shire, MSF sta supportando l’unica struttura sanitaria secondaria funzionante nel nord-ovest, mentre a Shiraro stiamo sostenendo un centro sanitario completo.

Il nostro sostegno all’ospedale di Shire e al centro sanitario di Shiraro si concentra sui programmi nutrizionali per i bambini, sulla salute materna e infantile, nonché sulla salute sessuale e riproduttiva, inclusa la risposta alla violenza sessuale.

Supportiamo anche la prevenzione e il controllo delle infezioni.

Inoltre, il mese scorso, le équipe di MSF nel nord-ovest del Tigray hanno fornito più di 6.300 visite, curando 2.300 pazienti affetti da malaria.

È stata fornita assistenza a oltre 200 vittime di violenze sessuali, probabilmente solo una frazione di coloro che attualmente necessitano di cure.

Gestiamo anche cliniche mobili e supportiamo postazioni sanitarie e centri sanitari, fornendo forniture mediche e riferimenti.

In queste aree, i bisogni sono immensi e l’accesso all’assistenza sanitaria è fortemente limitato poiché le persone devono fare viaggi lunghi o difficili per raggiungere le strutture sanitarie.

Dopo la fine dei combattimenti attivi nell’area, le persone che sono fuggite nelle zone rurali o nelle foreste in cerca di sicurezza stanno gradualmente tornando nelle piccole città e nelle aree urbane. Tuttavia, i raccolti sono andati perduti e ci sono pochi strumenti o semi da piantare.

Molte strutture sanitarie non funzionano perché gli edifici sono stati parzialmente distrutti e/o saccheggiati.

Alcuni hanno ricevuto rifornimenti insufficienti, altri nessun rifornimento, mentre i bisogni rimangono considerevoli.

Significa un accesso inadeguato all’assistenza sanitaria nel Tigray:

  • Le donne incinte faticano ad accedere al sostegno pre e post parto o ad un luogo sicuro dove partorire
  • I bambini non dispongono di servizi di base come le cure preventive di routine e le vaccinazioni
  • Le persone con malattie croniche non possono ricevere farmaci

I nostri team segnalano enormi carenze di articoli medici, anche forniture salvavita come

  • alimentazione terapeutica
  • anestesia per intervento chirurgico
  • farmaci contro la malaria e apparecchiature per i test

Le équipe di MSF stanno ora tornando a Mekele, con l’obiettivo di aumentare l’accesso all’assistenza sanitaria primaria e secondaria salvavita, in particolare per la popolazione che vive nelle zone remote e di difficile accesso del Tigray.


tommasin.org/blog/2023-03-15/e…



Mastodon.social: un errore di configurazione ha portato alla perdita di dati


Come parte dell'espansione dell'hardware e del software di Mastodon, un server di archiviazione è stato visibile a tutti gli utenti per diverse settimane.

@Che succede nel Fediverso?

La causa di una fuga di dati su Mastodon non è stata un'intrusione esterna, ma una configurazione insufficiente del server Mastodon per l'archiviazione dei dati dell'utente. Ciò ha reso teoricamente possibile per ogni utente del servizio visualizzare i dati caricati su files.mastodon.social. Mastodon ha scoperto il bug il 24 febbraio e lo ha risolto entro 30 minuti. Tuttavia, la falla esisteva dall'inizio di febbraio perché l'infrastruttura era stata aggiornata in quel momento, scrive il provider in una e-mail.

L'articolo di Heise continua qui

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in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

Considerato che anche certe aziende multimilionarie hanno avuto bug da bambini delle elementari, nessuno griderà allo scandalo

it.phhsnews.com/huge-macos-bug…



L’immagine del disastro del lavoro | Contropiano

"Giorgia Meloni fa il suo mestiere, Landini ed i suoi da anni non fanno il loro. Fanno i furbetti, spiegano che la visita di Meloni è un riconoscimento della loro forza, aiutati in questo dalla stampa di regime che ne amplifica gli inesistenti ruggiti, ma la sostanza di tutto è solo subalternità."

contropiano.org/altro/2023/03/…



Effetto Panopticon e autosorveglianza


Effetto Panopticon, autosorveglianza e teoria del nudge. Così si avvera la profezia di Tocqueville: dalla democrazia alla tenue tirannia.

In un mondo in cui la sorveglianza di massa è sempre più pervasiva, sistematica e normale spesso dimentichiamo l’impatto psicologico che questo monitoraggio costante, sia online che offline, ha su tutti noi. Ancor più spesso, sottovalutiamo le conseguenze che questa ha nella definizione dei rapporti di potere tra individuo e Stato.

Una buona metafora dello stato attuale della sorveglianza a cui siamo sottoposti è il Panopticon, ideato dal filosofo Jeremy Bentham nel 18° secolo. Il Panopticon di Bentham era un design circolare di una prigione, che consentiva a una sola guardia situata in una torre centrale di osservare tutti i detenuti senza che loro sapessero se erano osservati o meno in uno specifico momento.

L’idea era che questo meccanismo, che dava la sensazione di sorveglianza costante, potesse portare i detenuti a comportarsi "bene” senza alcun input.

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Questo concetto si collega direttamente anche all’idea di nudging. Entrambi sono strettamente correlati allo stato della sorveglianza governativa a cui siamo sottoposti. Con l’articolo di oggi quindi esploriamo queste connessioni e le loro implicazioni.

Lascia stare il Panopticon. Iscriviti e abbraccia l’effetto Privacy Chronicles.

L’effetto Panopticon


Con effetto Panopticon si può intendere il modo in cui la percezione di essere continuamente osservati riesca a creare un senso di insicurezza costante nell’osservato e portarlo quindi a influenzare il suo comportamento in modo inconscio. Ciò che succede nella pratica è che al crescere della sensazione di sorveglianza, la persona osservata tenderà a conformarsi alle aspettative del contesto in cui si trova.

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Questo è ancor più vero quando il contesto è quello di una società governata da leggi complesse, difficili da comprendere e perfino da conoscere. In questo contesto le persone, non sapendo ciò che è lecito fare o non fare, tenderanno a standardizzare sempre più i loro comportamenti sulla base delle aspettative. Spesso, queste aspettative sono anche artificialmente portate avanti da specifiche agende dei mass-media.

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Hana, Armita e le altre nella prigione degli stupri


Il valico di Haje Omeran taglia in due la regione a maggioranza curda che si trova a cavallo tra l’ovest dell’Iran e il nord dell’Iraq. Molti curdi hanno parenti su entrambi i lati del confine e normalmente lo attraversano andando avanti e indietro con re

Il valico di Haje Omeran taglia in due la regione a maggioranza curda che si trova a cavallo tra l’ovest dell’Iran e il nord dell’Iraq.

Molti curdi hanno parenti su entrambi i lati del confine e normalmente lo attraversano andando avanti e indietro con relativa facilità.

La repressione in atto nel paese sui manifestanti ha rallentato la marea di attraversamenti al valico tra l’Iran e le montagne del nord dell’Iraq. La paura di un arresto indiscriminato ha reso molti riluttanti a rischiare il viaggio. Lungo il confine tra Iran e Iraq vi sono centri di polizia usati come punti di filtraggio, dove gli arrestati vengono prima interrogati, torturati e poi dislocati nei penitenziari.

Hana è una donna curda-iraniana sulla ventina che aveva intrapreso un pericoloso viaggio lungo i sentieri di montagna per fuggire dall’Iran.

Sua madre aveva ricevuto una telefonata da un funzionario di alto livello della prigione di Mahabad, nel nordovest del paese, che la esortava a non far uscire più di casa le sue figlie “per alcun motivo”.

Ma Hana, imperterrita, si è unita alle proteste con molte altre donne. Ha ballato e ha cantato nelle strade agitando il velo come una bandiera e poi ha dato fuoco ad esso, come è nel rituale di queste manifestazioni.

Ciò ha comportato il suo arresto, la polizia iraniana l’aveva ripresa in un video. La ragazza è stata trattenuta in un centro di detenzione presso una stazione di polizia nella città nordoccidentale di Urmia, capoluogo dell’Azerbaigian occidentale, nel nordovest dell’Iran.

Nel centro di detenzione di Haje Omeran sono rinchiuse circa 30-40 donne e i restanti detenuti sono ragazzi tra i 13 e i 14 anni. “Tutti torturati e violentati”, come ha rivelato Hana.

Il penitenziario di Haje Omeran è un luogo segreto tra le montagne al confine tra Iran e Iraq dove la polizia ha abusato sessualmente di alcuni manifestanti.

La descrizione di testimoni oculari ha permesso la geolocalizzazione della prigione segreta e la CNN l’ha individuata e ne ha ricostruito anche gli interni con l’aiuto di ex prigionieri. Il penitenziario ha al centro un salone con stanze destinate agli interrogatori.

Secondo diverse testimonianze i poliziotti selezionavano le donne considerate belle e in grado di soddisfare i loro appetiti. Un ufficiale sceglieva una di loro e, dalla cella in cui era ristretta, la portava con sé in una stanzetta privata e lì veniva aggredita sessualmente.

Le forze di sicurezza usano lo stupro come arma per reprimere le proteste.

Sono numerose le testimonianze di donne violentate dagli agenti penitenziari riportate in un rapporto pubblicato dalla CNN nel novembre 2022. Secondo questo report, le ragazze stuprate venivano poi trasferite in altre città. Spesso le giovani adolescenti hanno paura di parlare delle violenze subite.

Il caso di Armita Abbasi, una giovane di 21 anni, nata nel 2001 nella città iraniana di Rasht sul Mar Caspio, è davvero terribile.

Quando il 10 ottobre 2022 Armita fu arrestata nella città di Karaj dove abitava, a ovest di Tehran, quasi un mese dopo l’inizio delle manifestazioni, aveva tutti i tratti distintivi di una ragazza della cosiddetta “Generazione Z”. Aveva una pettinatura di biondo platino con lampi multicolori e un piercing al sopracciglio. Indossava lenti a contatto colorate e filmava i gatti del suo soggiorno postando i video su TikTok.

Nelle foto da lei pubblicate sui social indossava spesso una collana con la stella di David, simbolo culturale e religioso ebraico, che ha attirato su di lei l’attenzione della comunità ebraica internazionale, nonostante lei non fosse ebrea.

La rivoluzione le ha cambiato la vita, le forze di sicurezza iraniane l’hanno sottoposta alle peggiori brutalità. Dall’inizio delle rivolte, i post sui social media a nome di Armita sono stati presi di mira dal regime. Non è chiaro se abbia realmente partecipato alle proteste, tuttavia, a differenza della maggior parte dei dissidenti all’interno del paese, non ha reso anonime le sue critiche al regime.

In una dichiarazione del 29 ottobre, il governo l’aveva accusata di essere una “leader fomentatrice dei disordini” per la sua intensa attività sui social. La polizia le aveva fabbricato gravi accuse, tra le quali il possesso di “10 bottiglie molotov” che sarebbero state trovate nel suo appartamento. Una accusa, questa, pretestuosa, sufficiente per infliggerle una pena pesante.

Una serie di account trapelati su Instagram avevano causato scalpore nei giorni successivi al suo arresto e hanno trasformato Armita – come Mahsa Amini e Nika Shahkarami prima di lei – in un simbolo del movimento di protesta.

Sono state rese pubbliche in perfetto anonimato conversazioni tra medici su un servizio di messaggistica privato di Instagram nel corso delle quali si accusava la polizia iraniana di aver torturato e abusato sessualmente e ripetutamente di Armita. Il 18 ottobre la ragazza fu trasportata d’urgenza all’ospedale Imam Ali di Karaj, accompagnata da agenti in borghese.

I medici raccontano che Armita aveva la testa rasata e tremava come una foglia e che erano stati costretti a preparare referti falsi in cui si affermava che la ragazza era ammalata di cancro e che le aggressioni erano avvenute prima del suo arresto.

Ma alcuni medici hanno riferito di essersi trovati di fronte all’orrore di una giovane che aveva subito un brutale stupro che le aveva provocato una grave emorragia rettale.

Le forze di sicurezza di Tehran l’avevano addirittura rapita dall’ospedale e ricondotta nel carcere di Kachui a Karaj per timore che potesse raccontare alla stampa le violenze subite. Solo grazie al coraggio di alcuni medici il suo caso ha comunque ricevuto l’attenzione dei media internazionali.

La famiglia di Abbasi ha raccontato che dal momento dell’arresto e fino al ricovero in ospedale non era riuscita ad avere notizia della loro figlia. Dopo otto giorni di ricerche era stato comunicato loro che la ragazza era ricoverata nell’ospedale di Karaj. I suoi genitori si erano subito precipitati a farle visita, ma non erano riusciti ad incontrarla perché era già stata trasferita dalle forze di sicurezza in un luogo sconosciuto.

Il capo della Procura della provincia di Alborz ha smentito che vi fosse stata una aggressione sessuale nei confronti di Armita come era dichiarato nella denuncia sporta dai familiari. I genitori della ragazza hanno riferito di aver ricevuto una telefonata dalle forze di sicurezza che avevano loro comunicato che se avessero mai voluto rivedere la ragazza, avrebbero dovuto partecipare a un’intervista televisiva nella quale avrebbero dovuto affermare che Armita era stata ricoverata per gravi problemi intestinali di cui soffriva e che le avrebbero provocato una emorragia. Ma i genitori si sono rifiutati di affermare il falso.

La ragazza anche in carcere ha mostrato grande coraggio mettendo in atto uno sciopero della fame assieme ad altre quindici donne detenute per protestare contro le condizioni di detenzione disumane e degradanti, per la tortura inferta ai prigionieri e per la negazione delle cure mediche necessarie. Assieme ad Armita Abbasi hanno scioperato altre due manifestanti di circa ventinove anni, Hamida Zarai e Nilufar Shakri, e la trentaduenne pittrice Elham Modaresi.

Modaresi era stata rapita a Karaj dai pasdaran, ed è stata arrestata perché lottava contro l’apartheid di genere. La giovane artista soffre di una rara malattia del fegato e ha urgente bisogno di cure mediche. È stata sottoposta per otto settimane a torture, sevizie e stupri perché si era rifiutata di firmare false confessioni, ora la sua vita è in pericolo.

Dopo circa tre settimane di sciopero della fame e dopo cento giorni di detenzione, il 7 febbraio 2023 Armita Abassi è stata scarcerata ed ha potuto riabbracciare i suoi cari. Suo padre è andato a prenderla fuori dal carcere, lei è apparsa ancora piena del suo spirito vivace e ribelle.

Per leggere le altre storie clicca qui

L'articolo Hana, Armita e le altre nella prigione degli stupri proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Linus Torvalds e il #Fediverso


Linus Torvalds non è interessato alle guerre di religione nel fediverso.

@Che succede nel Fediverso?

Linus Torvalds sa che c'è un tempo per amministrare e un tempo per utilizzare.

Linus Torvalds sa che il Fediverse è libero perché è fatto da fedi diverse.

Per questo ci piace il Fediverse. E anche Linus 😅

Il post di @Linus Torvalds
⬇️⬇️⬇️⬇️⬇️


Replying to all the random individuals that seem to think that I’m “endorsing” one of the Fediverse products over any other, and seem to be making a big deal over #akkoma vs #mastodon etc.

That’s not the case. I’m actually a horrible MIS person, and I would never want to maintain my own server. I’m a programmer for chrissake!

The same way you should fear me if I hold a soldering iron, you should be very very nervous if I were to do any server management.

So all credit (or blame) for the choice of Fediverse platform goes to @monsieuricon, who maintains kernel.org and just made it really easy for me to try this out.

… and on a similar note: not only am I not much of a MIS person, I’m also not much of a social networking person.

I foresee a lot of disappointment in the future of any followers of this account 🔮.


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Quel che manca alla riforma fiscale


Con il Consiglio dei ministri di ieri è partito il cantiere della riforma fiscale, che durerà l’intera legislatura visto che ci si propone un confronto in Parlamento sulla legge delega per approvarla entro inizio autunno, poi due anni per le misure attuat

Con il Consiglio dei ministri di ieri è partito il cantiere della riforma fiscale, che durerà l’intera legislatura visto che ci si propone un confronto in Parlamento sulla legge delega per approvarla entro inizio autunno, poi due anni per le misure attuative e altri due anni per la loro integrazione e modifica. Le osservazioni qui contenute sono relative ad aspetti di fondo comuni ai diversi testi che si sono succeduti. Su diversi punti la delega assume idee tratte dal testo su cui lavorarono i partiti in Parlamento nella scorsa legislatura. Ma al testo mancano troppi dettagli essenziali, per misurarne e giudicarne davvero gli effetti. Il richiamo iniziale ai princìpi generali della Costituzione, norme Ue e cantieri fiscali Ocse è opportuno, speriamo davvero si riesca a costituzionalizzare come indicatolo Statuto del contribuente, sempre calpestato dallo stato.

Apprezzabile la parte su semplificazione degli adempimenti per il contribuente, e volontà di rafforzare gli interpelli preventivi all’amministrazione tributaria sui mille problemi interpretativi delle norme vigenti: ma è da respingere l’idea di far pagare al contribuente gli interpelli per finanziare Ag Entrate, lo stato non è il Caf dei sindacati. Su Iva e imposte indirette, il progetto di allineamento alle disposizioni Ue è giusto. Bisognerà capire che cosa significhi in termini di scelte su cosa esentare dall’imposta, e su cosa agevolare nel settore dei beni comuni. Non si comprende ancora quali siano le linee d’intervento in materia di rimborsi, croce senza delizia dei soggetti a Iva in questi anni la trasmissione telematica dei dati Iva è stato un vantaggio per lo stato e per la lotta all’evasione, molto meno per i contribuenti adempienti.

L’articolo dedicato alla riforma delle accise enuclea finalità energetiche apprezzabili, come il sostegno alle rinnovabili. Ma manca una riflessione organica sulla necessità di un’unica visione per accise, detrazioni e deduzioni e sussidi di ogni tipo ai soggetti in campo energetico, che configuri una sorte di unico codice fiscale per il settore green-ambientale. Per l’Irpef, l’idea iniziale era di diminuire le aliquote da 4 a 3, accorpando secondo e terzo tra gli attuali scaglioni, dei redditi tra 15 mila e 50 mila euro. In assenza però di dettagli sulla revisione annunciata delle detrazioni/deduzioni Irpef, non è possibile in alcun modo effettuare calcoli di convenienza fiscale. Né sulle aliquote reali che ne deriverebbero davvero (in termini di progressività), né tanto meno sugli effetti conseguenti al bilancio e deficit pubblico.

La bandierina di un’Irpef “tra 5 anni flat tax per tutti” resta uno slogan ideologico valutabile solo nei mesi a venire. E’ tuttavia sin da oggi positivo mirare all’unificazione di trattamento fiscale dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, soggetti oggi a incomprensibili diversi regimi, nonché di rivedere l’attuale tassazione dei fondi pensione.

Il Foglio

L'articolo Quel che manca alla riforma fiscale proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Sabino Cassese – Amministrare la Nazione


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Ucraina. L’Onu «certifica» gli orrori: i russi hanno commesso crimini di guerra


Nel primo rapporto della Commissione internazionale d'inchiesta le prove degli attacchi indiscriminati e delle violenze deliberate sui civili. Stupri da 4 a 82 anni. «Ipotesi di genocidio»

@Notizie dall'Italia e dal mondo

«Crimini di guerra che includono uccisioni volontarie, attacchi a civili, reclusione illegale, torture, stupri, trasferimenti forzati e deportazione di bambini». Per quella che viene definita «ipotesi di genocidio». In 18 pagine, corredate da centinaia di allegati fotografici, filmati, esami balistici e di medici legali, viene riassunto il primo anno di inchiesta della Commissione internazionale indipendente sull’Ucraina.

Su Avvenire è possibile leggere l'articolo completo di @Nico Piro



Cell phone not personal enough for GDPR protection?!


Il cellulare non è abbastanza personale per la protezione GDPR?! Decisione contraddittoria: I dati relativi al traffico e all'ubicazione sono dati particolarmente sensibili che richiedono una protezione supplementare, ma allo stesso tempo non sono affatto dati personali?! A1 Logo


noyb.eu/en/cell-phone-not-pers…




Parole di Meloni nell'anniversario dell'Unità d'Italia è una presa in giro. Il suo è il governo dei traditori della patria che con lo Spacca Italia stanno d


Unione Popolare, il nuovo spazio politico che si è costituito per le ultime elezioni politiche, ha organizzato a Grosseto, in Viale Europa 63/65 (c/o la sede d


Oggi, 17 marzo, si celebra la Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione, dell'inno e della bandiera.

Qui la nota inviata alle scuole ▶️ miur.gov.



Sappiamo che hanno libero corso singolari e forse interessate narrazioni della partita politica che si è aperta intorno alle elezioni amministrative per il com


Su proposta del Ministro Giuseppe Valditara, è stato integrato l’Atto di indirizzo dell’accordo sottoscritto con i Sindacati lo scorso 10 novembre in tema di aumento delle retribuzioni del personale scolastico.


La mia foto profilo è un'opera d'arte

Francesco De Molfetta – Vati-Cane

Francesco De Molfetta – Vati-Cane
arrestedmotion.com/2012/01/pre…



Stacia Datskovska (USA) non ama Firenze



Una giovane yankee aspirante gazzettiera di nome Stacia Datskovska scrive di non essersi trovata bene a "studiare" a Firenze.
Le giovani yankee in città sono note da molti anni per la loro cultura da rotocalco, la loro spiccata predilezione per gli alcolici e i loro discutibili costumi.
Un loro giudizio negativo, di conseguenza, non scuote gli animi più di tanto.
Amanda Knox che le ricorda come studiare nella penisola italiana sia "fantastico" ha invece ragione da vendere: l'impunità di cui gli yankee godono nello stato che la occupa permette loro di attraversare senza scosse anche un processo per reati di rara efferatezza traendone persino una qualche notorietà.


Austrian DSB: Meta Tracking Tools Illegal


DSB austriaco: gli strumenti di meta-tracciamento sono illegali L'Autorità austriaca per la protezione dei dati (DSB) ha deciso che l'uso del pixel di tracciamento di Facebook viola direttamente il GDPR e la cosiddetta decisione "Schrems II" sui flussi di dati tra FB Pixel


noyb.eu/en/austrian-dsb-meta-t…



Twitter Vs Mastodon

@Che succede nel Fediverso?

Ho pubblicato questo grafico su Twitter (fino a 95.000 follower) e Mastodon (con 1/10 di follower).
Ho ricevuto il doppio dei like/boost su Mastodon. Su Twitter ho ricevuto dozzine di brutte risposte da negazionisti del clima e troll. Su Mastodon ho ricevuto domande educate e interessanti.


Post by @Peter Gleick


Twitter vs. Mastodon
I posted this graph on Twitter (to 95,000 followers) & Mastodon (with 1/10th the followers).
I got double the likes/boosts on Mastodon. On Twitter I got dozens of ugly replies from climate deniers & trolls. On Mastodon I got polite & interesting questions.

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in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

C'è anche da dire che su Twitter conta il numero di interazioni (indipendentemente dal "tipo") mentre su Mastodon o in generale nel fediverso, grazie anche al fatto che si parte "da zero", ogniuno si crea la sua bolla come vuole

Sono sicuro che, da qualche parte, esistano istanze piene di complottisti che se la suonano e se la cantano

in reply to quasimagia

@quasimagia

> Sono sicuro che, da qualche parte, esistano istanze piene di complottisti che se la suonano e se la cantano

Ci sono molte istanze pleroma e peertube (ce n'è anche una italiana) fatte proprio per i complottisti. Al di là del fatto che sono praticamente defederate da tutto il fediverso italiano, è interessante vedere di cosa si "discute": in pratica sembrano una camera degli orrori in cui ognuno URLAAAA la propria verità, non ci si fila l'uno con l'altro e ognuno si spalma con le proprie feci per liberare la propria espressività... Un cazzo di inferno, insomma.

Tutta quella bellissima gente è così, è sempre stata così: non è fatta per socializzare, ma solo per aggregarsi quando trova qualcuno che URLAAAA più forte. I socialproprietari, con i loro algoritmi di aggregazione, aiutano queste persone a ritrovarsi sotto alcuni loro "influencer", anche se il massimo si esprime nei canali Telegram, in cui c'è uno che spara grosse flatulenze e gli altri si rotolano eccitati mentre le annusano.

Il fediverso invece è dispersivo, ostico, ti rende invisibile by default se non interagisci e non ti consente di trovare facilmente le persone che vorresti offendere e molestare: in pratica è disegnato malissimo per questo tipo utenza.




È stato pubblicato l’elenco di 399 interventi di edilizia scolastica indicati dalle Regioni e finanziati con circa 936 mln di risorse nell’ambito del #PNRR, che Comuni e Province potranno immediatamente attuare.
#pnrr

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