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ANALISI. Biden si rifiuta di parlare di cessate il fuoco anche se ciò potrebbe impedire una guerra regionale


È una negligenza strategica da parte della Casa Bianca dare carta bianca a Israele quando sa che potrebbe trascinare gli Stati Uniti in un conflitto più ampio, scrive Trita Parsi su Responsible Statecraft L'articolo ANALISI. Biden si rifiuta di parlare d

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di Trita Parsi* Responsible Statecraft

I terribili attacchi di Hamas lo scorso fine settimana e i successivi bombardamenti israeliani su Gaza hanno messo in agitazione il mondo intero. Oltre alle preoccupazioni per la sorte dei 2,2 milioni di palestinesi intrappolati a Gaza senza un posto dove fuggire, c’è anche il timore palpabile che il conflitto si trasformi in una guerra a livello regionale. Nessuno dei principali attori – con la possibile eccezione di Hamas – vuole o trae vantaggio da una guerra del genere, eppure tutte le parti agiscono in modo tale da aumentarne il rischio di giorno in giorno.

C’è poco che suggerisca che Israele o il primo ministro Benjamin Netanyahu cerchino di ampliare la guerra. Il caos in Israele e l’incapacità del suo governo non solo di prevenire l’attacco ma anche di gestirne le conseguenze sfidano l’idea che si stesse preparando o desiderasse una guerra più grande. Israele si troverebbe infatti in una situazione precaria se finisse in una guerra su due fronti con Hezbollah che attacca Israele da nord.

Non c’è nemmeno nulla che suggerisca che Hezbollah desideri una guerra con Israele, nonostante il Wall Street Journal abbia riferito che Hamas aveva coordinato l’attacco con Hezbollah e l’Iran. Solo Hamas ha attaccato Israele, e non vi è stato alcun attacco simultaneo o successivo su larga scala da parte del nord. Considerata la terribile situazione economica del Libano – che è al quarto anno di profonda crisi economica e politica, con un’inflazione al 350% e il 42% della popolazione totale alle prese con un’acuta insicurezza alimentare – una guerra con Israele rischierebbe di portare l’intera nazione a un punto di rottura. .

Allo stesso modo, non ci sono prove che Teheran trarrebbe beneficio da una guerra più ampia. Come mi ha detto un diplomatico europeo, “l’Iran preferisce un conflitto a bassa intensità con Israele, piuttosto che una guerra aperta”. Il regime di Teheran è appena sopravvissuto a una delle più grandi sfide al suo governo e sembra sollevato dal fatto che l’anniversario dell’uccisione di Mahsa Amini non abbia riacceso queste proteste su larga scala.

Anche la sua economia è in gravi difficoltà, e il suo obiettivo è stato principalmente quello di raggiungere un accordo di allentamento della tensione con Washington che garantirebbe il rilascio di fondi iraniani e l’allentamento dell’applicazione delle sanzioni statunitensi sulle vendite di petrolio iraniano. Invece di coordinare l’attacco con Hamas, Teheran è stata colta di sorpresa, secondo l’intelligence statunitense .

Teheran ha anche compiuto il passo insolito di inviare un messaggio a Israele attraverso le Nazioni Unite , sottolineando che cerca di evitare un’ulteriore escalation. Ha tuttavia avvertito che sarà costretto a intervenire se Israele continuerà a bombardare Gaza.

Se c’è qualche razionalità nella politica in Medio Oriente dell’amministrazione Biden, anch’essa si opporrà a un’ulteriore escalation dei combattimenti. Tra la guerra in Ucraina e una potenziale crisi con la Cina su Taiwan, l’amministrazione Biden semplicemente non può permettersi una guerra più ampia nella regione. L’attenzione dell’amministrazione – per quanto fuorviante – si è invece concentrata sulla garanzia di un accordo di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita. La Casa Bianca è così ossessionata da questa idea che ha persino iniziato a considerare di offrire ai governanti sauditi un patto di sicurezza e una tecnologia di arricchimento nucleare. La guerra in Medio Oriente non è stata nell’agenda di Biden.

Infine, gli stati arabi della regione, dall’Egitto alla Siria all’Arabia Saudita, non hanno nulla da guadagnare e molto da perdere da una guerra più ampia. L’Egitto teme un massiccio afflusso di cittadini di Gaza nel Sinai che, secondo le parole di David Hearst, ha il “potenziale di spingere l’Egitto oltre il limite dopo un decennio di declino economico”. Il siriano Bashar al-Assad si è concentrato sulla normalizzazione delle relazioni con gli stati arabi sunniti e sul rientro nella Lega Araba, aspetto fondamentale sia per la sua riabilitazione politica che per la ricostruzione economica della Siria.

Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman – che era sul punto di normalizzare le relazioni con Israele e gettare i palestinesi sotto l’autobus – si è sentito obbligato a rilanciare il profilo tradizionalmente filo-palestinese dell’Arabia Saudita data l’immensa rabbia del mondo arabo più ampio per il bombardamento di Gaza da parte di Israele. La sua telefonata di questa settimana con il presidente iraniano Ebrahim Raisi – la prima volta che i due hanno parlato – è stata almeno in parte motivata dal desiderio di non cedere la leadership su questo tema a Teheran.Sia un bagno di sangue a Gaza che una guerra più ampia complicheranno gravemente la sua ambizione di affermarsi come leader indiscusso del mondo arabo, dato il suo disprezzo per i palestinesi.

Nonostante i chiari interessi di quasi tutte le parti contrarie a una guerra regionale, tutte le parti si comportano in modo tale da rendere questa guerra sempre più probabile. Se l’invasione israeliana di Gaza si rivelasse efficace in termini di decimazione di Hamas, Hezbollah potrebbe sentirsi obbligato a intervenire – non necessariamente per salvare Hamas, ma per salvare se stesso.

Una campagna israeliana di successo contro Hamas sposterà gli equilibri nella regione, dando a Israele mani più libere per attaccare Hezbollah. Un attacco da nord da parte di Hezbollah potrebbe non salvare Hamas, poiché renderà troppo costoso per il governo Netanyahu estendere la guerra al Libano dopo la sconfitta di Hamas. Hezbollah potrebbe non essere in grado di impedire una vittoria israeliana, ma avrà un interesse impellente a trasformare la situazione in qualcosa di pirro.

Il coinvolgimento di Hezbollah, a sua volta, porterà l’Iran molto più direttamente nel conflitto. Pur dichiarando la sua opposizione a una guerra più ampia, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha avvertito che, a meno che Israele non interrompa i suoi attacchi, la guerra si allargherà e che Israele subirà “un enorme terremoto”.

Con l’Iran e Hezbollah coinvolti nel conflitto, l’amministrazione Biden sarà sottoposta a un’enorme pressione per intervenire militarmente, nonostante il chiaro interesse degli Stati Uniti a restarne fuori. Finora c’è poco nella condotta di Biden che suggerisca che, in questo scenario, egli darà priorità all’interesse strategico a lungo termine dell’America rispetto a ciò che è politicamente conveniente per lui nell’immediato.

L’intervento militare diretto americano a Gaza, o contro Hezbollah e l’Iran, è quasi certo che genererà gravi attacchi contro le truppe e gli interessi statunitensi in tutto il Medio Oriente da parte di gruppi armati sostenuti da Teheran. Le milizie in Iraq e Yemen hanno già lanciato severi avvertimenti riguardo ad una risposta su più fronti a qualsiasi intervento americano.

La Casa Bianca è ben consapevole di questi rischi di escalation. In un incontro all’inizio di quest’anno tra due alti funzionari americani e un rappresentante di alto livello del governo iraniano, uno degli americani ha avvertito Teheran che se avesse arricchito l’uranio al 90% di purezza, gli Stati Uniti avrebbero colpito militarmente l’Iran. Senza battere ciglio, il funzionario iraniano ha risposto che l’Iran avrebbe risposto immediatamente distruggendo quattordici basi americane nella regione facendo piovere su di loro migliaia di razzi entro 24 ore.

È in questo contesto che il rifiuto dell’Amministrazione Biden di chiedere una riduzione della tensione e un cessate il fuoco – o di fare praticamente pressione su Israele affinché eserciti il ​​suo diritto a difendersi entro i confini del diritto internazionale – è così problematico.

Non è solo la bancarotta morale della Casa Bianca di Biden a ostacolare gli sforzi per porre fine alla crisi (scioccanti email interne hanno rivelato che ai funzionari del Dipartimento di Stato è stato proibito di usare termini come allentamento dell’escalation, cessate il fuoco, fine dello spargimento di sangue e ripristinare la calma). Non si tratta del palese disprezzo per la vita umana mostrato dalla Casa Bianca quando il suo portavoce attacca i legislatori democratici che sostengono un cessate il fuoco e li definisce “ ripugnanti ”.

È anche una negligenza strategica quella di dare a Israele carta bianca per agire come desidera pur conoscendo e comprendendo l’enorme rischio che le azioni sfrenate di Israele a Gaza possano trascinare Washington in una guerra regionale più ampia che non serve né gli interessi degli Stati Uniti né Israele. La combinazione di avvertimenti a Hezbollah e all’Iran di mostrare moderazione, mentre non si chiede alcuna moderazione a Israele, può essere politicamente conveniente per Biden, ma è probabile che crei proprio lo scenario da incubo che Biden presumibilmente cerca di evitare.

Come ha affermato Ben Rhodes della Casa Bianca di Obama nel suo podcast la scorsa settimana, consigliare moderazione e invitare “a seguire le leggi della guerra, non significa mostrare una mancanza di rispetto per ciò che Israele ha attraversato. Al contrario, è un po’ quello che vorrei che qualcuno avesse fatto per gli Stati Uniti dopo l’11 settembre”.

Ma Biden non sta solo dando cattivi consigli a Israele. Sta dando a Israele un cattivo consiglio che rischia di far uccidere migliaia di americani in un’altra guerra insensata e prevenibile in Medio Oriente. Se gli manca l’umanità per chiedere un cessate il fuoco per impedire l’uccisione di migliaia di palestinesi, almeno non dovrebbe abdicare alla sua responsabilità di presidente degli Stati Uniti di tenere gli americani fuori dalla zona di sterminio.

*Trita Parsi è cofondatore e vicepresidente esecutivo del Quincy Institute for Responsible Statecraft.

L’articolo originale in lingua inglese può essere consultato questo link:

responsiblestatecraft.org/bide…

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ELEZIONI ARGENTINA. Milei non sfonda ma l’estrema destra può ancora vincere


Si aggiudica la tornata elettorale il Ministro dell'Economia, nonostante il 130% d'inflazione nel Paese. Il candidato ultraliberista chiama tutti a raccolta per il sostegno al ballottaggio. L'articolo ELEZIONI ARGENTINA. Milei non sfonda ma l’estrema des

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di Massimo D’Angelo –

Pagine Esteri, 24 ottobre 2023. Alla fine, il candidato ultraliberista di estrema destra, Javier Milei, non è riuscito a vincere al primo turno delle elezioni presidenziali argentine del 22 ottobre, contrariamente alle aspettative o alle preoccupazioni di molti. Non solo, Milei non è neppure riuscito a ottenere il primo posto. Infatti, nessuno dei candidati è riuscito a superare il quaranta percento dei voti, quindi si procederà al ballottaggio. Inaspettatamente però l’attuale ministro delle Finanze Sergio Massa, a capo della coalizione progressista peronista, ha sconfitto il suo avversario. Massa ha vinto il primo turno delle elezioni argentine con il 36,7% dei voti e sfiderà l’ultraconservatore Javier Milei (30%) per la presidenza. La conservatrice Patricia Bullrich (23,8%) è stata sconfitta, con un’affluenza del 74% dell’elettorato.

La prima sorpresa è stato appunto il rovesciamento totale dei risultati delle primarie di agosto, quando Milei era arrivato al primo posto con il 30 percento, Bullrich seconda con il 28,27 e Massa ultimo con il 27,27 percento dei voti. I risultati di domenica scorsa dimostrano fondamentalmente due cose: innanzitutto, le folli promesse elettorali di Milei possono aver avuto l’effetto non tanto di galvanizzare gli indecisi, quanto quello di spaventare gli elettori e le elettrici: Milei ha perso voti, rispetto alle primarie, tanto al nord (dove ci sono le regioni più povere del paese) quanto al sud, da tempo feudo della famiglia Kirchner e del Partito Giustizialista.

Un altro dato interessante che è emerso è la persistente forza del peronismo nel paese: in effetti, il partito è riuscito a recuperare voti praticamente ovunque: delle 24 province argentine, Sergio Massa ha recuperato sensibilmente dappertutto, con la sola eccezione della piccola provincia di Catamarca al confine settentrionale con il Cile. Diversamente, la conservatrice Bullrich ha perso consenso in tutte le province del paese. Secondo l’analista politica Di Marco, che scrive per uno dei quotidiani più letti in Argentina, il conservatore La Nación, il peronismo si conferma ancora una volta la principale religione del paese. Dall’altra parte, secondo il quotidiano progressista Página 12, a premiare la coalizione di governo è stata la profonda conoscenza delle periferie, l’attenzione – diversamente da quanto fatto dal governo conservatore di Macri – verso i segmenti più svantaggiati della popolazione.

La vittoria di Sergio Massa, l’attuale Ministro dell’Economia di un paese con un’inflazione al 130 percento, mette in evidenza il notevole potere del peronismo o dell’apparato, come viene comunemente definito dagli argentini. Tuttavia, questo successo rappresenta anche la principale sfida del candidato progressista. Il peronismo, che oggi è evoluto nell’attuale Kirchnerismo, ha governato il paese per sedici degli ultimi venti anni. Sebbene abbia contribuito al recupero di un paese devastato dalla crisi economica del 2001, è stato spesso oggetto di critiche per il suo potere sconfinato e le accuse di corruzione. La persecuzione giudiziaria subita dalla leader e attuale vicepresidente, Cristina Kirchner, unita alla sua retorica spesso incendiaria, ha alimentato la polarizzazione politica. Milei, dunque, avrà gioco facile a chiamare a raccolta tutti coloro che nel paese non si riconoscono nel kirchnerismo e nel peronismo. Questo è quello che ha iniziato a fare già nelle primissime ore dopo la chiusura dei seggi e quando si era ormai certi di andare al ballottaggio. L’appello agli elettori di Bullrich potrebbe certamente far presa.

È importante sottolineare che Massa non è un alleato incondizionato di Cristina Kirchner e nel corso degli anni è riuscito a mantenere una certa distanza da lei. In effetti, la sua scelta come principale candidato è stata vista come un punto di convergenza tra le diverse fazioni del Partido Justicialista peronista, sia quelle più vicine a Kirchner che quelle a lei più ostili. Inoltre, secondo alcuni analisti, ci sono due considerazioni principali che potrebbero facilitare il suo successo. In primo luogo, ci sono i voti dell’estrema sinistra che si è presentata con due candidati indipendenti al primo turno e che è improbabile possano sostenere le proposte di Milei. Questi voti rappresentano circa due milioni e mezzo di elettori. In secondo luogo, secondo l’analista Alfredo Serrano Mancilla del Centro Estratégico Latinoamericano de Geopolítica (CELAG), quando un candidato subisce una sconfitta come quella vissuta da Milei al primo turno, è difficile che riesca a cambiare la narrativa della sua campagna elettorale e a recuperare terreno.

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N. 192/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Come rivela il quotidiano Irish Independent, le patenti di guida di migliaia di automobilisti a cui sono stati rimossi i veicoli per conto della Guardia di Finanza sono state lasciate alla mercé degli hacker in una grave violazione dei dati. Oltre mezzo milione di documenti svelati includono dettagli...


In Cina e Asia – Wang Yi atteso negli Usa per preparare l’incontro tra Biden e Xi


In Cina e Asia – Wang Yi atteso negli Usa per preparare l’incontro tra Biden e Xi usa
I titoli di oggi:

Wang Yi atteso negli Usa per preparare l'incontro tra Biden e Xi
La Cina è pronta a dominare il deep sea mining?

L' "altra metà del Cielo" nella famiglia tradizionale di Xi
Cina, censurato un libro sui fallimenti dell’ultimo imperatore Ming

Giappone, il premier promette misure economiche per combattere l’inflazione
Contro spionaggio e minacce alla sicurezza: la Cina prende di mira le aziende private
Cina e Bhutan verso una distensione dei rapporti “il prima possibile”

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LIVE. GAZA/ISRAELE. Giorno 18. 400 raid aerei su Gaza nelle ultime 24 ore


Un'altra notte di bombardamenti su Gaza con centinaia di vittime nelle ultime 24 ore. Il presidente francese Macron arriva in Israele. Incontrerà Netanyahu e Abu Mazen L'articolo LIVE. GAZA/ISRAELE. Giorno 18. 400 raid aerei su Gaza nelle ultime 24 ore p

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della redazione –

Pagine Esteri, 24 ottobre 2023. I bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza sono continuati anche questa notte. Centinaia di vittime sono state segnalate nelle ultime 24 ore. Al momento i palestinesi uccisi nella Striscia sono più di 5.000.

Gli attacchi israeliani hanno ucciso anche altri 6 membri delle Nazioni Unite, portando il totale delle vittime ONU a 35. Si stima che circa 500 persone siano bloccate a Gaza sotto le macerie, alcune ancora vive, ma i bombardamenti continui e il numero elevato di richieste di aiuto non consente alle squadre di soccorso di intervenire.

È salito, intanto, a 96 il numero dei palestinesi uccisi in Cisgiordania da quando, il 7 ottobre, Hamas ha attaccato Israele, causando 1.400 vittime.

Il presidente francese Emmanuel Macron è arrivato questa mattina in Israele. Oltre al premier Benjamin Netanyahu e al presidente israeliano Isaac Herzog, ai quali ha espresso solidarietà, incontrerà anche il leader dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen. Sono 28 i cittadini francesi uccisi da Hamas e 7 risultano dispersi. Macron incontrerà anche le famiglie degli ostaggi.

I due ostaggi che sono stati rilasciati ieri da Hamas, sono arrivati questa mattina, attraverso l’Egitto, dalle proprie famiglie.

Nella giornata di ieri razzi e missili anticarro sono stati lanciati da Hezbollah verso Israele, che a sua volta ha risposto colpendo in Libano. Missili libanesi sono stati intercettati sulla città di Haifa. Il presidente israeliano Isaac Herzog ha dichiarato che il Libano “sta giocando con il fuoco”.

Le forze armate israeliane hanno comunicato questa mattina di aver colpito 400 obiettivi nelle ultime 24 ore all’interno di Gaza, tra i quali varie moschee.

L’Emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani ha chiesto questa mattina un immediato cessate il fuoco, aggiungendo che Israele non può avere il via libera incondizionato per “continuare a commettere atrocità illegali” come i bombardamenti, lo sfollamento forzato della popolazione, l’embargo di acqua, cibo e medicine.

Alcuni ospedali di Gaza sono rimasti al buio. I medici e gli infermieri soccorrono i feriti alla luce di torce e cellulari.

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Taiwan: Xi vara un piano d’integrazione che sa di inglobamento


Taiwan: Xi vara un piano d’integrazione che sa di inglobamento taiwan
Il mondo si concentra quasi esclusivamente sulle esercitazioni militari e le manovre di jet e navi sullo Stretto, ma c'è molto di più. Il Partito comunista non ha ancora abbandonato l'idea di una possibile "riunificazione" ("unificazione", secondo Taipei) pacifica. Qualche settimana fa, il Comitato centrale del Partito comunista cinese e il Consiglio di Stato hanno pubblicato congiuntamente un documento di pianificazione contenente 21 punti specifici per trasformare la provincia del Fujian in una zona dimostrativa per lo “sviluppo integrato” con Taiwan.

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Il commerciante di indirizzi fa causa alla DPA tedesca per impedire l'accesso ai file da parte della Noyb noyb ha chiesto all'autorità dell'Assia l'accesso al fascicolo della denuncia di Acxiom. Il commerciante di indirizzi ha presentato un'ingiunzione provvisoria contro l'autorità Acxiom Header


noyb.eu/it/address-trader-sues…



Il commissario risponderà finalmente alle domande sul ChatControl? È all'ordine del giorno della commissione Libe il 25.

A novembre si terrà una sessione speciale sulla privacy con rappresentanti della Corte di giustizia europea e della CEDU.

@Privacy Pride



Abbiamo ricevuto oggi una lettera del Consiglio Politico del Partito "Unione delle Forze di Sinistra - per il Nuovo Socialismo" sulla persecuzione che colpisce


di Paolo Ferrero - La considerazione avanzata dal presidente della Nazioni Unite Antonio Guterres al vertice egiziano quando ha detto che “la sola realisti




Via libera dal Consiglio dei Ministri al disegno di legge di promozione delle zone montane che disciplina, tra l'altro, una serie di agevolazioni per i docenti che prestano servizio presso le scuole di montagna.

Qui tutti i dettagli ▶️ https://www.



Le vittime civili non sono tutte uguali


Nella primavera del 1999, sotto il comando della Nato, ma senza il via libera dell’Onu, l’Italia mosse guerra alla Repubblica Federale Jugoslava di Serbia e Montenegro con l’obiettivo dichiarato di detronizzare il presidente Slobodan Milosevic. Capo del g

Nella primavera del 1999, sotto il comando della Nato, ma senza il via libera dell’Onu, l’Italia mosse guerra alla Repubblica Federale Jugoslava di Serbia e Montenegro con l’obiettivo dichiarato di detronizzare il presidente Slobodan Milosevic. Capo del governo era il post comunista Massimo D’Alema, cui Francesco Cossiga non smise mai di ricordare che i bombardamenti italiani sulla città di Belgrado provocarono “535 morti civili tra vecchi, donne e bambini”. Non lo faceva solo per il gusto della provocazione, Cossiga. Lo faceva per ricondurre a verità l’ipocrisia di una guerra ribattezzata “operazione di difesa integrata”. Lo faceva per realismo, dunque. Per ricordare, cioè, che, al netto dei contorcimenti lessicali politicamente corretti, la guerra è uno strumento della politica e la politica ha a che fare con la vita e con la morte. Anche con la morte dei civili.

Morti civili, in guerra, ci sono sempre stati. L’apice fu raggiunto nel 1945 con la distruzione della città tedesca di Dresda per mezzo di bombe al fosforo (135mila vittime) e con le atomiche sganciate sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki (250mila vittime). Morti civili, in guerra, ci sono sempre stati, ma con il progresso della civiltà il loro numero è vertiginosamente aumentato: le democrazie faticano a giustificare la morte dei propri soldati mandati a combattere sul campo, preferendo di conseguenza fiaccare il nemico decimandone dall’alto il morale e la popolazione possibilmente grazie all’uso di droni, che consentono di non mettere a repentaglio neanche la vita di un pilota.

Danni collaterali, li chiamano spesso. E si tratta, chiaramente, di un’ipocrisia. Ipocrisia svelata, quando ci sono, dalle immagini video. La stessa ipocrisia che, come era solito denunciare ancora una volta Francesco Cossiga, ci induce da tempo a qualificare “operazioni di pace” quelle che a tutti gli effetti sono operazioni di guerra. Una questione di pudore, ma anche un grande equivoco: come se il fine della guerra fosse la guerra in sè piuttosto che la pace.

E allora, questo o quello per noi pari sono? I bambini israeliani sgozzati dai carnefici di Hamas sono pari ai bambini palestinesi morti sotto i bombardamenti israeliani? No, no davvero. E negarlo non è ipocrisia, è semplicemente realismo; quel realismo caro a Francesco Cossiga. È realismo dire che i bambini sgozzati da Hamas sono un orrore di cui nessun soldato israeliano sarebbe capace. È realismo dire che semmai fossero stati scoperti fatti analoghi a parti invertite questo avrebbe rappresentato un’onta irreparabile per lo Stato (democratico) di Israele. È realismo dire che uccidendo i civili israeliani Hamas non può illudersi di battere Israele, mentre uccidendo civili palestinesi Israele può illudersi di battere Hamas. È realismo dire che i morti civili fanno tutti orrore, ma i morti per mano israeliana fanno meno orrore degli altri perché, parafrasando la celebre battuta del presidente statunitense Roosevelt riferita al dittatore nicaraguense Somoza, “può essere che Israele sia un bastardo, ma è il nostro bastardo”. Affermazione brutale, così traducibile: può darsi che Israele stia abusando della forza, ma Israele è una democrazia filo occidentale che uccide i civili per difendersi, mentre Hamas è un’organizzazione terroristica che uccide i civili per distruggere Israele e insidiare l’Occidente. Perciò noi, piaccia o non piaccia, non possiamo far altro che stare con Israele. È una questione di realismo, direbbe Cossiga.

Formiche.net

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Dic 13
Dua renkontiĝo
Mer 14:30 - 16:00
Verda Majorano
Jus antaŭ la Zamenhofa Tago, aŭ Tago de la Esperanto-libro, kiu okazos la 15-a de decembro. Ni babilos pri libroj!


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Resilienza delle infrastrutture critiche, così la Nato si prepara alla sfida. Parla Peronaci


Lo sguardo della Nato di fronte alle sfide del futuro intende essere davvero a 360°, estendendosi non solo all’aspetto geografico, ma anche di altri ambiti strategici, a partire dalla protezione delle strutture alla base del benessere e della stabilità de

Lo sguardo della Nato di fronte alle sfide del futuro intende essere davvero a 360°, estendendosi non solo all’aspetto geografico, ma anche di altri ambiti strategici, a partire dalla protezione delle strutture alla base del benessere e della stabilità delle società, tra cui spiccano le infrastrutture strategiche. Sul tema, Airpress ha intervistato il rappresentante permanente d’Italia presso il Consiglio atlantico, Marco Peronaci.

Ambasciatore, spesso si sente parlare di “resilienza” dei sistemi, che devono essere in grado di assorbire gli shock senza venirne travolti. Come declina la Nato questo concetto?

Per comprendere la portata e la rilevanza della “resilienza” in ambito Nato è necessario innanzitutto fare chiarezza sul concetto stesso di resilienza: un termine che da oltre un decennio si è diffuso anche in Italia divenendo parte del linguaggio comune, ma il cui uso ha ampliato sia il ventaglio dei settori in cui la parola è utilizzata, dall’originario ambito tecnologico (la proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi) alla psicologia, ai settori sociale, economico e politico, sia le sfumature del significato stesso di resilienza, che talvolta ha perso concretezza.

Concretezza e operatività che, invece, sono centrali nel concetto di resilienza per la Nato e per gli Alleati. Radicata nell’articolo 3 del Trattato dell’Atlantico del Nord, ossia dall’istituzione dell’Alleanza Atlantica nel 1948, la resilienza assume una funzione essenziale per l’Alleanza, tanto in tempo di pace come in caso di crisi o di conflitto: ossia, la capacità dei singoli Alleati e collettiva di essere preparati e, ove necessario, resistere, rispondere e riprendersi rapidamente da gravi shock, siano essi causati da disastri naturali, interruzioni delle infrastrutture critiche o attacchi ibridi o armati.

In che modo, allora, agisce la Nato di fronte a queste minacce?

Rispetto a questa essenziale esigenza di protezione delle nostre società da eventi dirompenti, l’evoluzione del contesto di sicurezza, delle attività della Nato e il sempre maggiore controllo privato anziché governativo delle infrastrutture critiche hanno indotto l’Alleanza al progressivo consolidamento di una vera e propria dottrina della resilienza. I Vertici Nato di Varsavia nel 2016, Bruxelles nel 2021, Madrid del 2022 e infine Vilnius nel 2023 hanno sviluppato e rafforzato la resilienza quale fattore abilitante per l’efficace raggiungimento di ciascuna delle tre funzioni essenziali dell’Alleanza Atlantica: deterrenza e difesa, prevenzione e gestione dei conflitti, sicurezza cooperativa. E, di conseguenza, anche per l’efficacia della sua postura. Se volessimo semplificare, sarebbe possibile immaginare la resilienza quale la “prima linea” di deterrenza e difesa dell’intera Alleanza Atlantica.

Quali sono le principali minacce all’orizzonte?

La pandemia e le conseguenze globali dell’aggressione russa contro l’Ucraina in primis, le crisi energetica e di sicurezza alimentare, hanno reso evidenti e concreti nella percezione pubblica le vulnerabilità dei sistemi socioeconomici e, con esse, gli enormi rischi e costi causati da simili shock, che potrebbero accadere anche nel futuro, rendendo al contempo ancora più nitida la necessità di prevenzione e preparazione.

Qual è stata, allora, la risposta della Nato?

A fronte delle minacce e delle sfide globali la “Nato del futuro” descritta dal nuovo Concetto strategico del 2022 ha ampliato il campo dei settori le cui vulnerabilità possono avere effetti, diretti o indiretti, sulla sicurezza collettiva e da cui dipende l’efficacia dell’Alleanza. Ne sono esempi concreti le catene di approvvigionamento, le infrastrutture critiche, le materie rare, ma anche l’esposizione alla disinformazione e gli attacchi ibridi e cyber. Un allargamento concettuale e pratico che, è bene precisarlo, rimane comunque ancorato ai principi del Trattato di Washington che attribuiscono alla responsabilità nazionale la traduzione pratica della difesa rispetto alle nuove e vecchie minacce.

Cioè?

Per esempio, nel caso italiano così come della maggior parte degli Alleati, ricadono in numerosi ambiti nelle competenze dell’Unione europea, rendendo pertanto la cooperazione tra Nato e Ue una necessità strategica e, al contempo, un’opportunità per sinergie nell’indirizzo delle risorse finanziare comunitarie, ad esempio in ambiti quali mobilità, energia e infrastrutture.

Quali sono, in questo senso, le priorità d’azione dell’Alleanza?

Ricomprendendo l’intero spettro delle minacce, la Nato ha identificato per la resilienza la necessità di assicurare tre funzioni essenziali (continuità di governo; continuità dei servizi essenziali; sostegno civile al settore militare) suddivise in sette esigenze di base (continuità di governo e dei servizi pubblici critici; forniture energetiche; capacità di gestire efficacemente i movimenti incontrollati di persone; risorse alimentari e idriche; capacità di gestire gravi crisi sanitarie; sistemi di comunicazione civile; sistemi di trasporto civile).

Quando si parla di resilienza dei sistemi, un argomento centrale del tema è la protezione delle cosiddette infrastrutture critiche…

È un settore di crescente rilevanza, anche nel quadro della cooperazione con il settore privato e industriale. Trattandosi di strutture-chiave per la fornitura di servizi essenziali ai cittadini tanto quanto alle Forze armate: cavi sottomarini, oleodotti e gasdotti necessitano di particolare prevenzione e protezione. Secondo stime Nato, le infrastrutture sottomarine trasportano ogni giorno circa dieci trilioni di dollari in valore, inclusi i vitali approvvigionamenti energetici, mentre il 95% dei flussi globali di dati è trasmesso attraverso cavi sottomarini. Non a caso, a seguito del sabotaggio del gasdotto Nord Stream, la Nato ha creato una Cellula di coordinamento per le infrastrutture critiche sottomarine. E proprio in questi giorni è al centro dell’attenzione il Balticconnector, che collega Finlandia ed Estonia. È evidente che la geografia italiana, nel cuore del Mediterraneo, rende tale dimensione della resilienza cruciale per il nostro Paese.

Quali sono, in questo senso, le iniziative della Nato

Come detto, in ambito Nato, la resilienza ha una natura molto concreta. Prova ne è che, dopo aver concordato gli obiettivi collettivi al Vertice di Vilnius del luglio 2023 gli Alleati, Italia compresa, sono chiamati ad adottare i propri Obiettivi di resilienza e Piani di attuazione nazionale, dando ulteriore concretezza agli impegni assunti in ambito Nato. In definitiva, il concetto di resilienza per la Nato è strettamente connesso a quello di vulnerabilità, ma affrontare le proprie vulnerabilità significa anche cogliere l’opportunità di rafforzare le nostre società per affrontare più serenamente il futuro e le sfide, tanto più se possiamo farlo collettivamente nel quadro di riferimento securitario e valoriale euro-atlantico cui apparteniamo. Di resilienza discuteranno i Senior Policy Officer dei Paesi dell’Alleanza il prossimo 7 novembre.

E per quanto riguarda l’Italia?

Il nostro Paese è già al lavoro per fare la sua parte, in stretto raccordo con la Nato. A giorni si terrà a Roma una riunione bilaterale di alto livello con funzionari Nato proprio sulla resilienza. Occorrerà operare con oculatezza, in coerenza con il nostro profilo di rischio nazionale e dando conseguente priorità a settori maggiormente esposti ai rischi, inclusi i servizi critici, le catene di approvvigionamento sostenibili e diversificate, le infrastrutture critiche. Sarà inoltre fondamentale evitare nuove dipendenze, siano esse legate alla dimensione energetica o tecnologica ovvero alla disponibilità di materie rare.


formiche.net/2023/10/nato-resi…


in reply to Fulvio Malfatto

Grazie! come faccio ad aggiornare le info nell'elenco globale? Riporta ancora i vecchi dati ed una versione obsoleta, mentre ho reinstallato ex novo con l'ultima versione. Grazie
in reply to Fmal @privato

@fmal @Fulvio Malfatto non puoi farci niente perché non dipende da te: solitamente c'è bisogno di un po' di tempo, dove l'espressione un po' va intesa come un tempo non precisamente definito e che dipende soprattutto dalla frequenza con cui il sistema di rilevamento raccoglie i dati... 😁
in reply to Fulvio Malfatto

Lo immaginavo, grazie per la conferma, era solo per essere sicuro di avere installato correttamente.


Ecco come Russia e Cina si preparano alle guerre del futuro. Report Isw


Nei loro progetti di revisione dell’ordine internazionale, tanto la Russi quanto la Cina assegnano un ruolo fondamentale all’utilizzo del proprio strumento militare, il cui impiego viene considerato come necessario per il raggiungimento dei propri obietti

Nei loro progetti di revisione dell’ordine internazionale, tanto la Russi quanto la Cina assegnano un ruolo fondamentale all’utilizzo del proprio strumento militare, il cui impiego viene considerato come necessario per il raggiungimento dei propri obiettivi. Proprio per questo entrambi i Paesi portano avanti progetti di modernizzazione delle proprie forze armate con l’intento di farle trovare pronte alle sfide belliche del futuro. I diversi approcci seguiti in questo senso da Mosca e da Pechino sono stati oggetto di uno studio dell’Institute for the Study of War, che ha da poco pubblicato un report al riguardo.

L’esercito russo e quello cinese provengono da due storie differenti, hanno differenti punti di forza e di debolezza, così come differenti priorità. Entrambi però vedono nel raggiungimento della dominance all’interno del processo di decision-making la chiave dei conflitti futuri, dominance che può essere raggiunta attraverso una combinazione di potenziamento del proprio apparato decisionale e di deterioramento di quello avversario.

L’approccio russo di Mosca si incentra sul concetto di “superiorità gestionale”, caratterizzato da una maggiore velocità e da una maggiore qualità nel proprio processo decisionale, al fine di costringere l’avversario a compiere scelte come “reazioni” alle azioni delle proprie forze armate, limitandone quindi la libertà d’azione. Dal più alto livello di grand strategy al più immediato e semplice movimento tattico sul campo di battaglia. In contrapposizione con la dottrina occidentale: mentre gli Stati Uniti e la Nato in generale tendono a concepire separatamente le operazioni cinetiche e quelle di informative, in Russia le due dimensioni sono profondamente intrecciate (secondo i dettami dell’hybrid warfare).

Tuttavia, l’esperienza in Ucraina ha dimostrato come le carenze delle forze armate russe nelle dimensioni dell’addestramento, del personale e della leadership non permettano al Cremlino di raggiungere la strategic dominance desiderata. Mosca non è stata in grado di sfruttare la preziosa esperienza siriana (dove le sue truppe si sono cimentate in operazioni di combattimento reale) per avviare un processo di aggiustamento della propria struttura militare, facendo sì che permanessero al suo interno problematiche preesistenti capaci di inficiare futuri trasformazioni dello strumento militare russo.

Per Pechino, la situazione è diversa. Il percorso di modernizzazione militare cinese è di più largo respiro rispetto a quello russo, e si articola intorno a tre principali direttrici: ideologia, addestramento e nuove tecnologie. Puntando su queste tre dimensioni, l’Esercito popolare di liberazione intende raggiungere una superiorità “sistemica” rispetto all’avversario americano, ancora troppo ancorato alla logica dei domain. Grazie all’indottrinamento dei soldati garantito dalla presenza dei commissari politici e ai processi di informatization e di intelligentization (nel primo caso integrazione di sistemi informatici nelle strutture e nei sistemi d’arma, dell’Intelligenza artificiale nel secondo), entro il 2049 la leadership cinese mira a ottenere la parità, o addirittura la superiorità, rispetto all’avversario americano.

Al contrario della Russia, la Cina non si impegna in un’operazione militare dal 1979, e questa carenza di esperienza diretta pesa sull’apparato bellico di Pechino, poiché non permette di mettere alla prova in una situazione reale gli sviluppi teorici conseguiti. Per sopperire a questa carenza, l’Esercito popolare di liberazione ricorre in modo sempre più estensivo a simulazioni videoludiche, che però non possono assolutamente sostituire la complessità di un vero campo di battaglia.

Cosa devono dunque fare gli Stati Uniti per rimanere la potenza militare egemone? Secondo gli esperti dell’Isw, è fondamentale puntare sulle proprie peculiarità rispetto agli avversari. Peculiarità che spaziano dall’aspetto del personale (né la Russia né la Cina dispongono di una classe di non-commisioned officer, intercapedine fondamentale nel sistema di command and control) a quello economico (il relativo controllo sulla supply chain mondiale rispetto ai due Paesi avversari). Puntare su queste leve potrebbe rivelarsi la mossa giusta per mantenere la superiorità rispetto agli avversari nelle guerre die decenni a venire.


formiche.net/2023/10/isw-repor…



Crosetto in Libano, la presenza italiana è un fattore di pacificazione


Lavorare affinché il domani sia meglio dell’oggi, impegnandosi affinché il conflitto, che nessuno vuole, non si estenda ulteriormente. È questo il cuore del messaggio lanciato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, nel corso della sua visita al contin

Lavorare affinché il domani sia meglio dell’oggi, impegnandosi affinché il conflitto, che nessuno vuole, non si estenda ulteriormente. È questo il cuore del messaggio lanciato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, nel corso della sua visita al contingente italiano in Libano, parte della missione Unifil delle Nazioni Unite. Attualmente, i militari italiani dell’operazione Leonte XXXIV, strutturati sulla base della brigata meccanizzata Granatieri di Sardegna, sono presenti nella base militare di Shama, nel sud del Libano, parte dello sforzo Onu per assicurare la stabilità del volatile confine con Israele. La complessità dello scenario è stata dimostrata dal missile, deviato, che ha colpito senza nessuna conseguenza il quartier generale della missione Unifil a Naqoura, undici chilometri più a sud rispetto alla base italiana.

Nessuno vuole un’escalation

Come ricordato dallo stesso ministro, la sua visita in Libano segue quelle in Arabia Saudita e in Qatar, oltre ai viaggi del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in Egitto e in Israele (dov’è stato anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani), “perché l’Italia sta cercando di giocare un ruolo per evitare un’escalation, per non tornare a una guerra tra Islam e Occidente, tra mondo arabo e occidentale. Non lo vogliamo noi, non lo vogliono i Paesi arabi, non lo vuole nessuno”. Per il ministro, infatti, lo scopo e il lavoro dell’impegno italiano nella regione è quello di “buttare acqua sul fuoco”, contrastando chi invece vorrebbe infiammare il Medio Oriente “cancellando dalle cartine geografiche Israele e la civiltà occidentale”. Il ministro, però, ha sottolineato come questo tentativo sia avversato tanto dai Paesi occidentali, quanto dagli stessi Paesi arabi. “È una situazione difficile, e tutti stiamo lavorando perché si trovi una soluzione, la meno pesante e più accettabile possibile, distinguendo il destino del popolo palestinese da quello dei terroristi di Hamas”. Su un punto, ha infatti precisato Crosetto, “ci troviamo tutti d’accordo, un conto e Hamas, che è un’organizzazione terroristica che come unico scopo la distruzione di Israele, un altro è il destino del popolo palestinese, che è tutt’altra cosa”.

Il ruolo di Unifil

Il conflitto a Israele, tuttavia, se da un lato ha costretto il contingente Unifil a misure di sicurezza più stringenti, non ha ridotto l’impegno e il lavoro dei Caschi blu presenti. Del resto, come annota lo stesso Crosetto “le scaramucce tra Hamas e Israele non sono mai terminate, in questo momento si sono intensificate e i nostri militari devono proteggersi. Tuttavia, il loro ruolo e semmai ancora più importante, dal momento che “fanno vedere che tutto il mondo crede nella Pace di questa parte di globo”. La missione Unifil, infatti “non è Nato, non è bilaterale, ma Onu. Ci sono 49 nazioni che hanno i loro militari qui e il cui scopo e preservare la pace” del Libano e tra il Paese e il suo vicino meridionale. Diventa, ha proseguito il ministro “ancora più fondamentale e importante preservare questa presenza”. In questo momento, però, è anche importante ricordare come i militari presenti sono lì in veste di “portatori di pace, sicurezza e dialogo” con “regole di ingaggio diverse rispetto a quelle dei contingenti in Afghanistan” e non sono “pronti per combattere, come successo per altre zone in altri tempi”.

L’importanza della presenza italiana

In tutto questo scenario, il nostro Paese può giocare un ruolo importante, grazie soprattutto al suo impegno per missioni come Unifil e alla sua costante presenza nella regione. Come sottolineato da Crosetto “l’Italia riesce ad avere un dialogo anche con alcune parti del mondo tra le più difficili” grazie al “rispetto di cui godono le istituzioni italiane, frutto non delle persone che le interpretano pro tempore, ma delle migliaia di soldati che con il loro atteggiamento e il loro modo di supportare le popolazioni hanno fatto guadagnare stima al loro Paese, oltre che a loro stessi”.


formiche.net/2023/10/crosetto-…



#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.

🔶Il MIM alla quarantesima assemblea ANCI a Genova. Dal 24 al 26 ottobre con uno spazio informativo e pubblicazioni aggiornate.



📣 Dal 24 al 26 ottobre, presso la Fiera di Genova, è in programma la 40ª edizione dell’Assemblea nazionale dell’ANCI, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani.
“Tre colori sul cuore”, è il titolo dell’iniziativa di quest’anno.


N. 191/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Questa settimana, il governo dello Yukon ha pubblicato nuove norme che aumentano i poteri del RCMP. Prima dell’entrata in vigore della legge sulle persone scomparse, la polizia non poteva obbligare qualcuno o un’organizzazione a rilasciare informazioni personali su una persona scomparsa. Ora la legge consente esattamente questo. “Credo...


Quanto impegno e quanto costo comporta un’istanza di Mastodon?


Il Fediverso è un'alternativa aperta, gratuita e non commerciale alle piattaforme convenzionali. Ma i server devono essere pagati, i post moderati e la tecnologia deve essere mantenuta in funzione. Quanto costa effettivamente e quanto tempo dedicano gli o

Riportiamo l’articolo di Markus Reuter, pubblicato il 15 ottobre 2023 su Netzpolitik Il Fediverso è un’alternativa aperta, gratuita e non commerciale alle piattaforme convenzionali. Ma i server devono essere pagati, i post moderati e la tecnologia deve essere mantenuta in funzione. Quanto costa effettivamente e quanto tempo dedicano gli operatori alle loro istanze Mastodon? Da quando Elon Musk ha...

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Il Fediverso è un’alternativa aperta, gratuita e non commerciale alle piattaforme convenzionali. Ma i server devono essere pagati, i post moderati e la tecnologia deve essere mantenuta in funzione. Quanto costa effettivamente e quanto tempo dedicano gli operatori alle loro istanze Mastodon?

informapirata.it/2023/10/22/qu…






Three stories that all relate to governance, in their own different ways. Mbin is a new fork of Kbin, due to governance issues at Kbin. A research paper on that gives some structure to how different Mastodon servers organise their rules.


Budget della Difesa, cosa succede in Europa? L’analisi di Braghini


Con la pubblicazione da parte del Governo della relazione annuale al Parlamento, nel Documento programmatico pluriennale 2023 – 2025 viene fornita una dettagliata e aggiornata analisi circa dottrina e postura della Difesa nazionale e informazioni e previs

Con la pubblicazione da parte del Governo della relazione annuale al Parlamento, nel Documento programmatico pluriennale 2023 – 2025 viene fornita una dettagliata e aggiornata analisi circa dottrina e postura della Difesa nazionale e informazioni e previsioni sulle “risorse ricomprese nel ministero della Difesa e di quelle iscritte in altri dicasteri impiegate per lo sviluppo di programmi di interesse del ministero Difesa” in un arco sessennale. Il Dpp fa riferimento alla legge di bilancio 2023, in attesa delle decisioni del Parlamento e delle prossime leggi finanziarie circa l’approvazione degli stanziamenti previsionali.
Viene confermato l’impegno del Governo a promuovere e sostenere il settore della Difesa, inquadrato in una visione di lungo termine, e in linea con gli impegni assunti in sede Nato partecipando insieme con gli altri Paesi europei al trend di incremento degli investimenti per la difesa. Al riguardo, considerando in unico blocco i Paesi Ue, Regno Unito, Norvegia e Turchia, si evidenziano maggiori investimenti per gli equipaggiamenti di circa 28 miliardi di euro tra il 2022 e il 2023, raggiungendo il livello di cento miliardi.

Ragioni, necessità e accelerazioni comuni. L’impegno nazionale
Le nuove e crescenti tensioni che caratterizzano l’attuale quadro securitario hanno e stanno comportando l’esigenza da parte dei Paesi di adeguare le capacità di deterrenza per fronteggiare le minacce. La tendenza all’incremento degli investimenti per la difesa si era già avviata anche in Europa, dove il calo strutturale delle spese o sottocapitalizzazione in molti anni ha creato un divario capacitivo con le conseguenti debolezze e vulnerabilità nazionali. Ma l’accelerazione degli eventi conflittuali ad alta intensità e di tensioni geopolitiche con un cambio di paradigma per la sicurezza europea ha fatto emergere l’urgenza di colmare le carenze comuni, compensandole con nuovi investimenti. Oggi l’aumento in corso e prospettico degli investimenti per la difesa è consolidato e diffuso nella maggior parte dei Paesi Nato, più ampio negli Usa, in Cina e Russia.
Anche in Italia negli anni recenti si è registrata una più sentita consapevolezza sul ruolo e l’importanza della sicurezza, con l’assegnazione da parte del Parlamento di risorse per la difesa in progressivo incremento.
Il nuovo Documento di programmatico pluriennale evidenzia una progressione degli investimenti del ministero della Difesa e del ministero delle Imprese e Made in Italy, integrati dai fondi del ministero dell’Economia e finanze, che è stata avviata nel 2021.
Oggi gli investimenti si situano a un livello di tutto rispetto intorno a otto milioni, con previsioni incrementali che saranno oggetto di dibattito nelle prossime leggi di bilancio.
Si denotano altresì, rispetto al precedente Dpp 2022 – 2024, previsioni più consistenti per il prossimo triennio. Questo aspetto programmatico è rilevante in particolare oggi con l’avvio o prossimo avvio di importanti collaborazioni europee e internazionali che caratterizzeranno la domanda e l’offerta del comparto difesa nei prossimi decenni. L’Italia potrà così essere in grado di tutelare e rafforzare i propri presidi tecnologici, e svolgere un ruolo e rango credibili come partner sostenuto dal Governo e da risorse finanziarie adeguate, certe e stabili nel lungo periodo.
Merita anche notare il riferimento circa gli aspetti tecnico-finanziari in relazione all’andamento delle disponibilità finanziarie. Negli ultimi anni l’andamento ha registrato variazioni in parte dovute a rifinanziamenti, effetti delle precedenti leggi di bilancio, adeguamenti contabili e riprogrammazioni, che mostrano la complessità dell’attuale quadro normativo aggiornato con nuove misure nel corso degli anni.
Per l’esercizio, c’è una certa progressione partendo da un livello inferiore rispetto alla media Nato, rimanendo peraltro insufficiente per sopperire alle necessità operative.

Un quadro incerto per tutti
Tuttavia, le previsioni dei Paesi europei, inclusa l’Italia, non potevano considerare il succedersi di emergenze e di fattori critici emersi, quali gli effetti dell’impennata dell’inflazione e l’urgenza di accelerare le acquisizioni di equipaggiamenti per adeguare le capacità di deterrenza e mantenere sufficienti riserve. A complicare l’equazione e l’incertezza, che peraltro sono comuni nella Ue, si aggiungono la necessità di trovare un equilibro tra sostenibilità delle risorse pubbliche, vincoli di bilancio europei, le emergenze nell’energia, transizione ecologica, sicurezza degli approvvigionamenti, immigrazione, competizione economica e tecnologica tra Usa, Cina e Ue.
È quindi necessario che la politica nazionale di sicurezza e difesa sia confermata tra le priorità del Governo e del Parlamento, possa usufruire di risorse adeguate in termini reali proseguendo la tendenza incrementale già avviata, consenta di partecipare alla crescita delle spese difesa verso l’obiettivo Nato del 2% del Pil.

Le spese in altri Paesi europei
Oggi l’impegno confermato dal Governo per gli investimenti nella difesa ha consentito di raggiungere una dimensione di tutto rispetto, mentre in alcuni Paesi della Nato ambizioni, minacce, capacità finanziarie e fiscali sono su livelli più elevati, anche per la vicinanza con il confine orientale della Nato e la percezione della minaccia russa. Alcuni esempi in Europa possono dare l’idea dell’impegno all’aumento delle capacità di difesa, dove le esigenze capacitive e tecnologiche sono comparabili e condivise tra i Paesi Nato.

Le spese di Londra, fuori dai vincoli Ue
Nel Regno Unito, potenza nucleare svincolata dai legami europei, la spesa per la difesa si caratterizza per un andamento non costante con variazioni annue, cambiamenti di programmi, fondi supplementari, discesa percentuale del Pil, che rimane in ogni caso superiore alla media. Per il 2022-2023 il MoD Annual report and accounts di marzo 2023 riporta nel corrente anno un budget difesa di 52,8 miliardi di sterline in crescita annua nominale di sei miliardi. Gli investimenti ammontano a 18,3 miliardi, ripartiti 8,5 per procurement, 7,7 supporto e 2,2 in ricerca e sviluppo. È il risultato della Spending review 2020 che ha stanziato 16,5 miliardi addizionali nel periodo 2020-2024. Più recentemente il Primo ministro ha annunciato un aggiornamento dell’Integrated review del 2021 prevedendo un “ramp up a fronte delle sfide in un mondo crescentemente volatile e complicato”. Con il 2023 l’Integrated review refresh e lo Spring budget hanno confermato cinque miliardi addizionali per il prossimo biennio, e ulteriori due all’anno nel quinquennio, per un totale di undici miliardi.

Le ambizioni di Parigi
La Francia, potenza nucleare con velleità di leadership europea, è dotata del più ampio e strutturato dispositivo finanziario e industriale per la difesa nel Vecchio continente. Le disponibilità delle Leggi pluriennali militari (Lpm) sono fortemente incrementate, passando da 295 a 413 miliardi di euro nel quinquennio 2024-2030, giustificate dalla “diversificazione dei rischi e delle minacce in un’era di rinnovata competizione tra potenze”. Significativo è l’impegno per gli investimenti nucleari e convenzionali (da 172 a 268 miliardi), che nel 2023 si situa tra 23 e 27 miliardi. Molto elevata la spesa in ricerca e sviluppo con sei miliardi di cui uno per l’innovazione. Il Governo, nel cui ambito il Presidente ha poteri decisionali di ultima istanza, ha sempre rispettato la traiettoria di aumento della spesa per la difesa. Oggi il rischio di una procedura di infrazione per deficit eccessivo non intacca la decisa volontà del Governo a sostenere la difesa. Vale sempre il richiamo a De Gaulle “la défense est la première raison d’être de l’Etat”. La priorità data alla Difesa, quale strumento di una dinamica politica estera perseguita da tutti i Governi, è figlia di una cultura e di un pensiero strategico e sofisticato che è unico in Europa.

Il cambio di rotta di Berlino
In Germania, dopo anni di disinvestimenti nella difesa dove la stessa è sottorappresentata rispetto alla forza economica del Paese, con conseguenti criticità e inefficienze nel dispositivo di difesa nazionale, a sorpresa Scholz nel febbraio 2022, tre giorni dopo l’invasione dell’Ucraina, ha annunciato un cambio radicale di passo per la postura e il modello economico del Paese, la Zeitenwelde. L’approccio di “sicurezza integrata” include una riforma complessiva dell’economia tra Ucraina, diversificazione energetica, stop al gas russo, dove la difesa ha il profilo maggiore. È previsto un Sondervermogen, un fondo speciale debito fino a cento miliardi per nuovi equipaggiamenti della Bundeswehr. Si passa dall’inerzia alla trasformazione, che non appare ancora come il frutto di una cultura strategica bensì di una riflessione su come utilizzare i fondi disponibili. Il Fondo contribuisce al bilancio difesa con 8,5 miliardi (2023), 19,2 con una forte crescita di sistemi non europei (2024) e terminerà nel 2026, conseguendo il target del 2% del Pil; nel 2027, anno elettorale, si porrà la questione del suo mantenimento. Nel complesso, il budget difesa sale da 28 miliardi nel 2023 a 71 nel 2024; il procurement 2022-2024 rispettivamente 9,8 – 16 – 22 miliardi, il supporto 4,6 – 4,9 – 6,4 miliardi. E il Paese è in recessione.


formiche.net/2023/10/budget-de…



Ho ricevuto da Francesca Bettini dell'associazione Gazzella Onlus un nuovo file audio inviato stamattina dalla cooperante italiana Giuditta Brattini. All'inizi


N. 190/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Il Consiglio federale vuole dare un incentivo alla cartella clinica elettronica rivedendo completamente la legislazione in materia. I partiti politici e gli operatori sanitari si chiedono se non sia meglio affidare la gestione dei dati a un servizio centrale piuttosto che alle attuali otto società operative.Altri punti della...

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Reblog via Pirati.io Il tweet pubblicato poco fa dal dipartimento diritti umani delle Nazioni Unite è la migliore risposta alle chiacchiere di Ylva…

Reblog via Pirati.io Il tweet pubblicato poco fa dal dipartimento diritti umani delle Nazioni Unite è la migliore risposta alle chiacchiere di Ylva Johansson @Privacy Pride «Strumenti e servizi crittografati end-to-end proteggono tutti noi dalla criminalità, dalla sorveglianza e da altre minacce. I governi dovrebbero promuoverne l’uso anziché imporre la scansione lato client e altre misure che...

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Reblog via Pirati.io

Il tweet pubblicato poco fa dal dipartimento diritti umani delle Nazioni Unite è la migliore risposta alle chiacchiere di Ylva Johansson @[url=https://peertube.uno/video-channels/privacypride]Privacy Pride[/url] «Strumenti e servizi crittografati end-to-end proteggono tutti noi dalla criminalità, dalla sorveglianza e da altre minacce. I governi dovrebbero promuoverne l’uso anziché imporre la […]

informapirata.it/2023/10/18/39…


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Voto sul chatcontrol rinviato: enorme successo in difesa della privacy digitale della corrispondenza!

La votazione per il regolamento #CSAR aka #Chatcontrol è stata ancora una volta posticipata. Gli stati🇪🇺 non hanno trovato un accordo che consenta di avere la maggioranza. 🇮🇹 non pervenuta nel dibattito.

@Privacy Pride

(grazie a @Pietro Biase :fedora: per la segnalazione)

pirati.io/2023/10/voto-sul-con…



#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta di una scuola moderna, inclusiva, senza barriere architettoniche, attenta ai diversi stili di apprendimento e con laboratori tematici: sarà così l’Istituto comprensivo di Sant’Elpidio a Mare, in provincia d…



Come Giovani Comunisti/e sosteniamo la giornata di sciopero generale del 20 ottobre proclamata dai sindacati di base ADL, Cub, SGB, Si Cobas, Usi e Flat traspor


#NotiziePerLaScuola

Prorogato il termine del concorso "Programma #iosonoAmbiente". Il termine per la presentazione delle candidature è stato spostato alle ore 12 del 31 ottobre 2023 secondo le modalità indicate nel decreto di proroga.



FPF Submits Comments to the FEC on the Use of Artificial Intelligence in Campaign Ads


On October 16, 2023, the Future of Privacy Forum submitted comments to the Federal Election Commission (FEC) on the use of artificial intelligence in campaign ads. The FEC is seeking comments in response to a petition that asked the Agency to initiate a r

On October 16, 2023, the Future of Privacy Forum submitted comments to the Federal Election Commission (FEC) on the use of artificial intelligence in campaign ads. The FEC is seeking comments in response to a petition that asked the Agency to initiate a rulemaking to clarify that its regulation on “fraudulent misrepresentation” applies to deliberately deceptive AI-generated campaign ads.

FPF’s comments follow an op-ed FPF’s Vice President of U.S. Policy Amie Stepanovich and AI Policy Counsel Amber Ezzell published in The Hill on how generative AI can be used to manipulate voters and election outcomes, and the benefits to voters and candidates when generative AI tools are deployed ethically and responsibly.

Read the comments here.


fpf.org/blog/fpf-submits-comme…



Firenze: Donata Bianchi e gli indigeni bianchi



Il 18 ottobre 2023 a Firenze si ciarla gazzettescamente di insurrezione in consiglio comunale da parte delle formazioni politiche "occidentaliste".
Ovviamente non insorge nessuno.
Si frigna, al limite.
Si inveisce.
Qualche volta, nei casi proprio gravi, si sbraita.
Il frignare, le invettive, lo sbraitare hanno a motivo qualche frase pronunciata da tale #DonataBianchi, eletta per il PD - #PartitoDemocratico.
Per il PD, non per l'Avanguardia Armata per la Distruzione dei Valori Occidentali.
Insomma, Donata Bianchi si è detta convinta che stanti i mutamenti demografici e la crescente presenza di individui nati fuori dallo stato che occupa la penisola italiana, sarebbe il caso di provvedere a un'estensione del #suffragio.
Apriti cielo.
Chi scrive ha una esperienza più che decennale come scrutatore, e può tranquillamente affermare che anche nelle condizioni attuali dall'affluenza mancano intere classi che non hanno motivo di interessarsi a un'offerta politica modellata su una torma di vecchi ringhiosi con la TV sempre accesa, le doppiette nella vetrinetta in soggiorno, un #cane mordace nella resede del terratetto condonato e il cartello "Attenti al cane e al padrone" che poi finisce in televisione anche quello la volta che finalmente si decidono ad ammazzare la moglie dopo aver infingardamente temporeggiato per decenni.
In queste condizioni non è certo da meravigliarsi se l'accenno a un allargamento del suffragio da parte di Donata Bianchi ha causato le ire di formazioni politiche che devono il loro successo esclusivamente al mantenimento di una pluridecennale cappa di emergenza e di allarme nutrita ogni giorno dall'intero settore gazzettiero.