Somalia: 5 nuove basi, gli USA rafforzano la presenza militare
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di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 20 febbraio 2024 – La competizione tra le potenze mondiali in Africa si fa sempre più accesa, soprattutto sul piano militare. Se la Cina sgomita per ottenere la sua prima base navale sulla costa atlantica del continente nero e la Franciasi lecca le ferite dopo aver dovuto ritirare le sue truppe da alcuni paesi del Sahel, Washington cerca di occupare quanti più spazi possibili.
Anche gli Stati Uniti stanno seguendo le orme della Russia e ancora prima della Francia, offrendo la propria assistenza militare ai governi africani contro le milizie islamiste attive nella maggior parte del continente.
5 nuove basi in Somalia
Mentre tratta con Ghana, Costa d’Avorio e Benin per ottenere tre basi militari dove stanziare altrettante squadriglie di droni destinati al contrasto dell’insorgenza fondamentalista, Washington ha appena ottenuto dalla Somalia il via libera per aumentare la propria presenza militare nel Corno d’Africa.
Nel corso di una cerimonia presieduta dal presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud, l’incaricato d’affari statunitense Shane Dixon e il ministro della Difesa somalo Abdulkadir Mohamed Nur hanno firmato a Mogadiscio un memorandum d’intesa per la costruzione di cinque basi militari per la brigata Danab, l’unità d’élite dell’Esercito Nazionale Somalo addestrata dai Berretti Verdi di Washington.
La brigata Danab è stata istituita nel 2017 a seguito di un accordo tra Stati Uniti e Somalia per formare ed equipaggiare 3000 uomini e donne provenienti da tutto il paese.
In base all’intesa, gli Stati Uniti devono realizzare delle infrastrutture militari a Baidoa, Dusa Mareb, Jowhar, Chisimaio e Mogadiscio, da utilizzare per l’addestramento di nuove unità dei corpi speciali dell’esercito somalo, incaricati di «contrastare la minaccia del terrorismo internazionale», come recita una nota del presidente Mohamud in riferimento alle milizie del «Movimento di Resistenza Popolare nella Terra delle Due Migrazioni», movimento integralista sunnita meglio noto come Al Shabaab (“I giovani”) e federato ad Al Qaeda.
L’intesa permette a Washington di aumentare la propria influenza militare nel paese proprio mentre l’esercito somalo è impegnato nell’ennesima offensiva contro gli islamisti e prosegue il ritiro delle forze militari della “Missione di transizione dell’Unione Africana” (Atmis), che negli ultimi anni è stata la principale protagonista del contrasto ad Al Shabaab in attesa che le forze armate somale fossero in grado di fare la propria parte.
Su richiesta dell’esecutivo somalo, lo scorso 9 febbraio le forze dell’Africom – il Comando degli Stati Uniti per l’Africa – hanno condotto diversi attacchi aerei in una zona remota a 35 km a nord-est di Chisimaio. Recentemente, invece, l’esercito somalo ha intensificato l’offensiva già in corso nella regione orientale di Galfaduud.
A sollecitare l’aumento dell’impegno militare statunitense in Somalia è stata soprattutto il presidente Mohamud che, eletto nel maggio del 2022, pochi mesi dopo ha ottenuto il dispiegamento di 450 militari americani in Somalia, in controtendenza rispetto al disimpegno ordinato da Donald Trump nel gennaio del 2021. Il graduale ritiro delle forze dell’Unione Africana – provenienti da Uganda, Kenya, Gibuti, Etiopia e Burundi – ha creato le condizioni per una maggiore dipendenza del governo somalo dalle forze statunitensi che possono contare sul supporto navale della Quinta Flotta e sul sostegno aereo proveniente dalla base di Camp Lemonnier a Gibuti.
La firma dell’accordo a Mogadiscio
Il ritiro delle truppe dell’Unione Africana aumenta la dipendenza da Washington
Avviato lo scorso 15 giugno, entro la fine di febbraio lasceranno il paese 2 dei 22 mila militari dell’Unione Africana, ed altri 3 mila dovrebbero tornare nei loro paesi nei prossimi mesi.
Man mano che alcuni territori vengono sguarniti a causa del disimpegno delle forze della “Missione di transizione”, però, i miliziani di Al Shabaab tornano a farsi sotto con attentati e attacchi. Lo scorso 6 febbraio, ad esempio, i jihadisti hanno colpito il mercato di Bakara a Mogadiscio e l’11 febbraio, sempre nella capitale somala, nel mirino è finita la base “Generale Gordon” con un attacco che ha ucciso quattro soldati degli Emirati Arabi Uniti e un ufficiale del Bahrein.
Per far fronte alla situazione il governo di Mogadiscio ha annunciato l’intenzione di integrare nelle forze armate 20 mila uomini reduci dall’addestramento ricevuto all’estero, principalmente in Uganda, Kenya, Eritrea ed Egitto. Ma ovviamente un maggiore impegno militare statunitense è considerato indispensabile dal governo somalo – che dopo 30 anni ha appena incassato dalle Nazioni Unite la fine dell’embargo all’importazione di armi – per impedire che Al Shabaab guadagni nuovamente terreno.
La costruzione delle cinque basi in Somalia e l’invio di un certo numero di addestratori e consiglieri offre a Washington un’ottima occasione per rafforzare la propria presenza in un quadrante geopolitico fondamentale. Nel Golfo di Aden gli USA hanno già schierato vari mezzi e la portaerei Eisenhower ma la Somalia potrebbe fornire un’utile piattaforma dalla quale lanciare attacchi contro gli Houthi yemeniti e in generale perfezionare il controllo del Mar Rosso.
Miliziani di al Shabaab
Cresce lo scontro tra Somalia ed Etiopia sul Somaliland
A Washington fa gioco anche la crescente contrapposizione tra la Somalia e l’Etiopia, esplosa dopo l’accordo tra Addis Abeba e la regione indipendentista somala del Somaliland per l’ottenimento di uno sbocco sul mare. In base all’intesa firmata a gennaio, in cambio del riconoscimento come stato indipendente da parte dell’Etiopia, l’ex Somalia britannica concederà al governo di Abiy Ahmed una base militare navale con accesso al porto di Berbera.
L’implementazione dell’accordo però è in ritardo rispetto alla tabella di marcia concordata, a causa dell’opposizione della Somalia e al fatto che in Somaliland si sta manifestando un’opposizione sempre maggiore, soprattutto nella provincia occidentale costiera dell’Awdal che aspira a tornare sotto la sovranità somala.
Dopo le dimissioni del Ministro della Difesa, lo scorso 13 febbraio le due camere del parlamento del Somaliland hanno addirittura votato una dichiarazione congiunta che respinge il contenuto del documento sottoscritto dal governo locale con quello etiope. Nella dichiarazione la maggior parte dei deputati e dei senatori affermano di considerare l’accordo «illegale e dannoso per l’unità del popolo del Somaliland».
Sabato scorso il presidente somalo Mohamud ha accusato l’Etiopia di voler annettere il Somaliland, territorio che dal 1991 si è reso di fatto indipendente da Mogadiscio, e di aver già inviato del personale militare nello stato ribelle per preparare il terreno. L’accusa contro il governo etiope è stata lanciata dal leader somalo proprio ad Addis Abeba nel corso dell’Assemblea Generale dell’Unione Africana durante la quale Mohamud ha accusato le autorità etiopi di aver cercato di impedire la sua partecipazione all’evento.
All’inizio di febbraio, infine, i ministri della Difesa della Somalia e quello della Turchia hanno firmato un accordo di cooperazione economica e di difesa per rafforzare le relazioni tra i due paesi. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria
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GAZA. Fuga dall’ospedale Nasser assediato dai cecchini e dai carri armati
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di Eliana Riva
Pagine Esteri, 14 febbraio 2024. Centinaia di persone provano a uscire dall’ospedale Nasser assediato, circondato dai cecchini, privato dell’elettricità, dei rifornimenti medici, del cibo e dell’acqua. Il più grande ospedale del sud di Gaza, a Khan Yunis, diventato rifugio per centinaia di palestinesi sfollati, sta per essere invaso dai militari israeliani che nelle ultime settimane hanno attaccato in diversi modi la struttura pur di costringere medici, pazienti e famiglie in fuga ad abbandonarla per andare chissà dove.
Sono stati lanciati volantini, poi si sono posizionati i cecchini che per giorni hanno sparato, senza far differenza tra donne, uomini e bambini, a chi cercava di entrare nell’ospedale o di uscirne. Sono numerosi i video diffusi dai giornalisti e dalle persone che si rifugiano nel Nasser o nelle scuole proprio di fronte, che mostrano le persone colpite e lasciate a terra. Una madre con suo figlio, lei morta e il bambino gravemente ferito, un ragazzino di cui non sono riusciti per ore a recuperare il cadavere, a causa dei fucili di precisione sistemati dai soldati sui tetti delle case sgomberate nei dintorni. Mentre il corpo era ancora sull’asfalto, proprio all’ingresso della struttura sanitaria, un piccolo drone è stato mandato dai soldati per ordinare a tutti con un messaggio vocale di andare via. I cecchini, denunciano i medici, hanno iniziato a colpire attraverso le finestre dell’ospedale le persone che si trovano al suo interno. Almeno due bambini sono stati così feriti, e un infermiere, mentre si trovava in sala operatoria.
Un video mostra un ferito che si trascina all’interno dell’ospedale, con il sangue che si rovescia copioso da una gamba. Un medico prova a strisciare sul pavimento per tirarlo lontano dalla porta. Un giornalista ha ripreso una dottoressa che coraggiosamente si sfila il cappotto per correre con più agilità, cercando di evitare i cecchini e attraversare la strada per portare soccorso a un uomo ferito dai militari.
Decine di persone sono state uccise e molte altre ferite. L’esercito ha ordinato all’amministrazione dell’ospedale di mandar via gli sfollati e trattenere pazienti e personale sanitario.
Il Ministero della Sanità denuncia che la situazione al Nasser di Khan Yunis è “sempre più catastrofica”, mentre l’esercito di occupazione ha ordinato di allontanare le centinaia di sfollati e di trattenere i pazienti, circa 450 persone, e il personale sanitario, 300 tra medici, paramedici e infermieri. Il Ministero della Sanità ha denunciato che i militari hanno sparato sulla folla che cercava di lasciare la struttura, causando diverse vittime.
Le macchine escavatrici dell’esercito hanno spostato e depositato terra e detriti tutto intorno, bloccando l’entrata nord. I palestinesi che erano rifugiati nell’0spedale stanno uscendo in fila, passando tra le colonne di mezzi, sotto il controllo dei militari armati e delle telecamere di riconoscimento facciale montate nel checkpoint allestito all’esterno. Questo significherà, dicono le persone che ci sono già passate in altri luoghi di Gaza ormai distrutti, centinaia di arresti, o “rapimenti”, come li chiamano i palestinesi, non avendo modo di sapere dove vengono portati i propri parenti fermati dall’esercito, né quali siano le accuse, senza garanzie sul trattamento che li attende. Quasi tutti gli arrestati che sono stati poi rilasciati hanno raccontato di aver subito torture, di essere rimasti legati, senza vestiti, di essere stati brutalmente picchiati. Un uomo che, fermato e liberato dall’esercito è riuscito a ricongiungersi con la sua famiglia, ha spiegato che anche alle donne è riservato il trattamento peggiore: lasciate nude insieme agli uomini, ritornano dagli interrogatori spesso con i capelli tagliati e rasati.
Alcuni sfollati dell’ospedale Nasser sono arrivati a Rafah, dove l’esercito israeliano intende compiere una massiccia operazione militare.
Gli sfollati costretti a lasciare il Nasser sono stati fermati e trattenuti. Tra loro famiglie e numerosi bambini. Alcune persone hanno provato a ritornare nella struttura a causa degli spari e della situazione estremamente pericolosa trovata all’esterno. Altri sfollati sono già arrivati o si stanno dirigendo verso Rafah, secondo le indicazioni dell’esercito israeliano. L’ultima città di Gaza, schiacciata al confine con l’Egitto, con una popolazione pre-guerra di 280.000 abitanti, accoglie già circa 1,4 milioni di persone, per la maggior parte profughi costretti dai militari a spostarsi verso sud. Le persone, che vivono nelle tende o affollano le abitazioni ancora in piedi, sono terrorizzate dall’imminente attacco annunciato dal governo israeliano. Qualcuno ha provato a fuggire, disposto a cercare rifugio tra le rovine delle proprie abitazioni al centro e al nord della Striscia. Ma l’esercito intende fare qualsiasi cosa per evitare il ritorno dei profughi. Anzi, continua a mandare a Rafah anche i nuovi sfollati, in attesa che venga chiuso e approvato un “piano di evacuazione” per la popolazione civile che è la popolazione quasi dell’intera Striscia di Gaza. L’esercito ha presentato varie proposte al gabinetto di guerra: campi profughi lungo la costa, forse. O nelle zone già devastate dai bombardamenti e dalle demolizioni controllate. Una nuova trattativa con l’Egitto, magari. Non è chiaro neanche con quali forze immagina (e se lo immagina) Israele fornire assistenza a quasi 2 milioni di persone, soprattutto intendendo dichiaratamente liberarsi dell’UNRWA e dell’Onu in generale. Ma forse anche della Difesa civile e della Mezzaluna Rossa Palestinese. Con i coloni che sempre più numerosi si affollano ai valichi per impedire ai camion degli aiuti di entrare nella Striscia.
Intanto si è fatta sera e al Nasser sono rimasti solo pochi medici e i pazienti che non possono camminare sulle loro gambe o rinunciare all’ossigeno che rimane. I dottori sono pronti a tutto. E noi non sappiamo più se ci sarà qualcuno che potrà continuare a raccontarci cosa sta succedendo in quel buco nero fuori dal mondo e dalla legge che è diventato l’ospedale Nasser di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza.
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Gli USA a fianco del massacro di Gaza: nuove armi e protezione all'ONU per Israele - L'INDIPENDENTE
Nonostante l’amministrazione statunitense abbia sollecitato più volte il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a tutelare i civili palestinesi e il presidente Joe Biden abbia addirittura dichiarato recentemente che «la risposta di Israele a Ga…Giorgia Audiello (Lindipendente.online)
EU parliamentarians call for protection of Julian Assange from possible extradition to the USA
46 Members of the European Parliament today made a final appeal to the UK Home Secretary to protect Wikileaks founder Julian Assange and prevent his possible extradition to the United States. The day before the final court hearing on Julian Assange’s extradition, the signatories emphasise their concerns about the Assange case and its impact on press freedom, as well as the serious risks to Assange’s health if he is extradited to the US.
According to the letter, the US government is attempting to use the Espionage Act, which was passed in 1917, against a journalist and publisher for the very first time. If the US succeeds and Assange is extradited, this would redefine investigative journalism. It would extend the application of US criminal laws internationally and apply it to a non-US citizen without a corresponding extension of First Amendment rights.
Patrick Breyer, Member of the European Parliament for the Pirate Party Germany and co-initiator of the letter, comments:
“Europe is watching the UK and its respect for human rights and the Human Rights Convention closely. Britain’s relationship with the EU is at stake.
The imprisonment and prosecution of Assange sets an extremely dangerous precedent for all journalists and press freedom. Any journalist could be prosecuted in the future for publishing ‘state secrets’. Representatives of the US government have confirmed to me that the standards applied to Assange would also be applied to any other journalist. We cannot accept this to happen.
The public has a right to know about state crimes committed by those in power so that they can stop them and bring the perpetrators to justice. With Wikileaks, Julian Assange has started an era where injustice can no longer be swept under the carpet – now it is up to us to defend transparency, accountability and our right to the truth.”
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UE: sanzioni contro i responsabili della morte di Navalny • Imola Oggi
Gli Stati membri dell'Ue proporranno sicuramente delle sanzioni contro i responsabili della morte del dissidente russo. "Il responsabile è Putin stesso, maImola Oggi
imolaoggi.it/2024/02/19/renzi-…
Renzi: "Navalny martire della libertà" • Imola Oggi
"Il responsabile della morte di Navalny è il Cremlino, senza se e senza ma. Alla fine anche la Lega ha dovuto chiarire la propria posizione". Lo ha detto ieriImola Oggi
imolaoggi.it/2024/02/19/von-de…
Von der Leyen conferma: "Mi ricandido alla Commissione UE" • Imola Oggi
Ursula von der Leyen annuncia la candidatura per un secondo mandato alla guida della Commissione europeaImola Oggi
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L’ipocrisia di chi manifesta per Navalny e poi consegna gli ucraini a Putin
È sempre cosa buona e giusta quando tutte le forze politiche convergono senza distinzione tra maggioranza e opposizione su un punto dirimente di politica estera. È cosa buona e giusta, purché sia chiaro che di politica estera si tratta. Ma non sempre è così.
Ad esempio. L’odierna manifestazione promossa dal leader di Azione Carlo Calenda in memoria del dissidente russo Alexei Navalny ha un sottinteso politico evidente (Putin è un autocrate che ammazza senza pietà chi si oppone al suo regime) e, avvenendo nel pieno di un conflitto che lambisce l’Europa, un’altrettanto evidente implicazione strategica (la guerra di aggressione della Federazione Russa all’Ucraina va fermata). Concetto, quest’ultimo, ben chiarito da Marina Litvinenko, vedova dell’ex agente del Kgb assassinato a Londra nel 2006 dai killer del Cremlino con qualche goccia di polonio radioattivo in una tazza di te. “La reazione migliore dell’Occidente alla morte di Navalny è il sostegno all’Ucraina, perché quella è anche una guerra per una nuova Russia: se Putin perde, a Mosca le cose possono cambiare”, ha detto la Litvinenko. Concetto chiaro a tutti i leader dei partiti che oggi parteciperanno alla manifestazione indetta da Carlo Calenda. A tutti tranne a due.
Giorni fa hanno chiesto a Matteo Salvini se la Lega parteciperà alla manifestazione. “Assolutamente sì – ha risposto il segretario – spero che il 2024 sia l’anno della chiusura delle troppe guerre in corso, tra Russia e Ucraina, tre Israele e Palestina. La guerra è sempre morte, sofferenza, sconfitta e quindi conto che l’Italia sia protagonista di pace”. Ora, delle due l’una: o Salvini non ha compreso il senso della manifestazione odierna, oppure finge di non averlo compreso. In entrambi i casi c’è un problema, e a lume di naso si tratta di un problema di coerenza.
Discorso simile per Giuseppe Conte. Che senso ha mandare, come annunciato oggi a Repubblica dal leader del Movimento 5 Stelle, una delegazione di partito alla manifestazione sull’omicidio di Navalny, e al tempo stesso spianare la strada dell’espansionismo militare russo negando gli armamenti necessari al popolo ucraino per difendersi? Nessun senso, evidentemente. Si tratta di una mossa furbesca volta ad allinearsi allo sconcerto dell’opinione pubblica per la morte del dissidente, senza per questo assumere impegni politici conseguenti. In una parola: un’ipocrisia.
È sempre cosa buona e giusta quando tutte le forze politiche convergono senza distinzione tra maggioranza e opposizione su un punto dirimente di politica estera. È cosa buona e giusta, purché sia chiaro che di politica estera si tratta. Una chiarezza che manca ad almeno due leader politici tra i tanti che oggi parteciperanno alla fiaccolata di protesta contro la satrapia putiniana.
L'articolo L’ipocrisia di chi manifesta per Navalny e poi consegna gli ucraini a Putin proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Un uomo in marcia a testa alta verso la morte
Abbiamo perso la memoria, e di conseguenza smarrito il senso, di scelte come questa. Scelte che, infatti, ci affascinano e ci sconvolgono in modo particolare. Con tutta evidenza, Aleksej Navalny sapeva che sarebbe stato ucciso. E tuttavia non si è sottratto, ma ha scelto di consegnarsi al proprio destino per testimoniare con la vita un principio generale e rendere onore ad una particolare idea di sé. Del proprio stile, della propria incrollabile identità. Sacrificio, destino, principi, coerenza, identità: parole oggi dimenticate, a volte ridicolizzate e tuttavia essenziali alla dignità umana. Parole possenti, di cui ciascuno di noi riconosce istintivamente il valore e patisce naturalmente l’assenza, per poi rimanere folgorato al loro inaspettato manifestarsi.
È stato per questo che, in un’epoca in cui la fedeltà ideale è considerata il vezzo degli imbecilli e l’immolazione di sé il costume dei perdenti, la vicenda gloriosa e tragica di Aleksej Navalny ci ha colpiti nel profondo più dei precedenti, pur numerosi, casi di dissidenti o di giornalisti russi assassinati dai sicari di Putin. Evidentemente, il caso Navalny è diverso. E non è diverso solo perché di lui conosciamo più di altri il volto e la storia, ed entrambi ci piacciono. La vicenda di Aleksej Navalny è più choccante e potente delle altre perché choccante e potente più di ogni altra è l’immagine dell’uomo che sceglie, sceglie di non piegarsi e accetta implicitamente il proprio martirio. È la figura, classica, dell’eroe. Perché è vero che, come canta Guccini, “gli eroi sono tutti giovani e belli” e di conseguenza affascinanti, ma ancor più vero e che, come osservava Plutarco, “eroi sono solo quelli morti”. Ed è proprio il rapporto esibito con la propria morte che della vicenda di Aleksej Navalny più ci seduce. Ha scritto il poeta Emil Cioran che “di tutti gli uomini, l’eroe è colui che pensa meno alla morte. Eppure, nessuno vi aspira, sia pure inconsciamente, quanto lui. Questo paradosso definisce la sua condizione: volontà di morire senza il sentimento della morte”.
Nell’agosto 2020 Navalny è stato avvelenato, nel gennaio 2021 si è spontaneamente consegnato al suo avvelenatore. Un uomo in marcia a testa alta verso morte come Gesù Cristo e come Gesù Cristo consegnato di conseguenza all’immortalità.
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Un bifacciale acheuleano nel Dittico di Melun? Secondo gli studiosi sembra proprio che il dipinto contenga l’immagine di una pietra lavorata in età preistorica. Il Dittico di Melun, opera attribuita a Jean Fouquet, rappresenta unoContinue reading
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Ecco Space cloud, il progetto di Leonardo per il supercalcolo in orbita
Si chiama Military space cloud architecture, ed è il progetto con cui Leonardo mira a portare la capacità di calcolo dei supercomputer direttamente nello Spazio, per metterla a servizio della Difesa italiana. L’obiettivo per piazza Monte Grappa è quello di diventare leader nel settore, in crescita vorticosa, delle comunicazioni e della computazione spaziale. A spiegare la strategia dell’azienda è stato lo stesso amministratore delegato, Roberto Cingolani, in un’intervista al Corriere della Sera: “Spazio e digitale, quest’ultimo inteso come supercalcolo, cloud e intelligenza artificiale, sono rispettivamente un dominio e un abilitatore chiave per costruire quello scudo digitale strategico per la sicurezza globale dei cittadini”. Il progetto, infatti, mira a portare direttamente in orbita le capacità di calcolo e di memoria ad alta prestazione, tipiche dei supercomputer e dei cloud basati a terra, per metterle poi a disposizione degli enti governativi e delle Forze armate nazionali. Un programma unico in Europa.
Military space cloud architecture
Lo Space cloud potrà immagazzinare oltre cento terabyte di dati generati sulla Terra e nello spazio a bordo di ogni satellite della costellazione. Potrà eseguire elaborazioni con una potenza superiore a 250 Tflops (250mila miliardi di operazioni al secondo) a singola precisione, adottando avanzati algoritmi, che sfruttano l’intelligenza artificiale, tecniche di machine learning e analisi di big data e comunicando e scambiando i dati autonomamente con gli altri satelliti. Questo significherà alla fine del programma di poter disporre di un supercomputer e di un avanzato sistema di archiviazione dei dati cyber sicuri nello spazio. Questo garantirà agli utenti accesso a dati strategici (comunicazione, osservazione della terra e navigazione) ovunque e in qualsiasi momento, riducendo al contempo significativamente le tempistiche di elaborazione dei dati, processati direttamente in orbita, fornendo informazioni in tempo reale, facilitando così operazioni multi-dominio. Grazie al trasferimento delle sole informazioni di interesse a Terra, saranno lasciate libere le reti trasmissive per altri collegamenti e lo storage di dati in orbita rappresenterà anche un utile back-up dei centri di Terra più esposti a calamità naturali.
I supercomputer di Leonardo
Alla base del progetto ci sono le capacità sviluppate con la realizzazione del supercomputer Hpc davinci-1, tra i primi Hpc al mondo dell’aerospazio e difesa per potenza di calcolo e prestazioni, installandone parte delle capacità, hardware e software, su un satellite per immagazzinare cento terabyte di dati. A queste capacità, naturalmente, saranno affiancati i sistemi di protezione cyber, di intelligenza artificiale e di proiezione spaziale dell’azienda. “In uno scenario multidominio, gestione, sicurezza e scambio rapido di una sempre maggiore quantità di dati, molti dei quali tattici, diventano elementi strategici per la difesa del Paese”, ha spiegato Simone Ungaro, chief innovation officer di Leonardo, che ha aggiunto come il gruppo sarà il primo in Europa “a sviluppare un progetto di Space Cloud, dimostrando fattibilità e benefici derivanti dall’utilizzo di una architettura di questo tipo e abilitando un nuovo paradigma di cloud e edge computing”.
Collaborazione spaziale
Protagoniste di questa iniziativa saranno anche le joint venture spaziali del gruppo, Telespazio e Thales Alenia Space. Nei prossimi due anni si avvierà la prima fase per la definizione la definizione dell’architettura del sistema e una seconda fase che terminerà con lo sviluppo di un digital twin del satellite che ospiterà il supercomputer, insieme al dimostratore del terminale satellitare multi-costellazione per simulare, in un ambiente digitale, i diversi scenari di applicazione. Questi test saranno a loro volta effettuati grazie al davinci-1. Lo studio sarà precursore di un’ulteriore fase sperimentale che, se confermata, prevederà il dispiegamento di una costellazione di satelliti dimostrativi in orbita”.
Ministero dell'Istruzione
Da lunedì 11 marzo partiranno le prove scritte dei #concorsi ordinari per l’assunzione in ruolo dei #docenti su posto comune e su posto di sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado.Telegram
Un commissario Ue per la Difesa? Le sfide secondo Edward Lucas
Il comportamento degli europei di fronte al rischio è variabile. Il gruppo “Vivere liberi o morire” considera il rischio di diventare schiavi sottomessi alla Russia di gran lunga peggiore della morte. Combatteranno per la loro libertà e sovranità, a qualunque costo. I primi tra loro sono gli ucraini, che lo stanno già facendo. Seguono a ruota gli Stati baltici di Estonia, Lettonia e Lituania, oltre a Finlandia e Polonia. Vedono la guerra – soprattutto se l’Ucraina perde – come una possibilità fin troppo probabile. E agiscono di conseguenza. La Finlandia, sempre ben preparata anche nei decenni di illusione post-1991, ha aumentato la sua preparazione militare e civile nel 2022. Estonia, Lettonia e Lituania stanno costruendo rinforzi al confine orientale. La Polonia sta raddoppiando le dimensioni del suo esercito. Tutti questi Paesi stanno aumentando la spesa per la difesa, ben oltre il parametro di riferimento della Nato del 2% del prodotto interno lordo. La Svezia li segue a ruota in termini di preparazione e consapevolezza, seguita da Danimarca e Norvegia.
All’altra estremità troviamo coloro che non combatteranno, qualunque cosa accada. Tra questi ci sono i free-rider (Irlanda) e i trough-feeder (Austria), oltre a coloro i cui leader, per motivi di opportunità o interesse personale, hanno deciso di stringere amicizia con il Cremlino. L’Ungheria ne è l’esempio principale. Sono collusi con la Russia e (nel caso dell’Ungheria) disturbano attivamente l’unità dell’alleanza.
La maggior parte dei Paesi europei si trova nel mezzo. Si presentano alle esercitazioni della Nato, come per esempio Steadfast Defender, attualmente in corso, la più grande esercitazione dell’alleanza dalla fine della Guerra Fredda. Aumentano la spesa per la difesa, anche se a malincuore, in ritardo e lentamente.
In caso di crisi, questa via di mezzo diventa destabilizzante. Immaginiamo, per esempio, una violenta provocazione russa contro gli Stati baltici o la Polonia. Un piccolo sconfinamento, forse, perpetrato da presunti volontari, accompagnato da attacchi informatici, intrusioni nello spazio aereo, sabotaggi e altre intimidazioni mirate.
Le vittime e i loro alleati la vedranno, giustamente, come una minaccia esistenziale. Una provocazione che deve essere affrontata con decisione e (per la Russia) con durezza, a tutti i costi. In caso contrario, deterrenza e difesa saranno inevitabilmente compromesse. Il prossimo attacco e quindi la sconfitta diventano inevitabili.
Ma gli altri Paesi europei non la vedranno in questo modo, soprattutto se storditi e intimoriti dalle minacce e dalle trovate russe. Inviteranno alla cautela, alla diplomazia e al dialogo. Perché rischiare la distruzione nucleare delle città europee per qualche campo nell’Europa orientale? Ma non saranno solo parole. Questi Paesi (per esempio la Germania o il Belgio) potrebbero impedire ai rinforzi diretti da Ovest a Est di utilizzare il loro sistema ferroviario, le loro strade o il loro spazio aereo. Non è un’ipotesi: la Germania lo ha fatto con l’Ucraina nel 2021.
Non molto tempo fa, uno scenario del genere sarebbe sembrato troppo losco e inverosimile da considerare. La Nato prevede un processo decisionale rapido e unito in caso di crisi. Ma il carburante che spinge la Nato è la forza di volontà americana. E questa, come gli ucraini stanno scoprendo a loro spese, è ora accesa solo a intermittenza. Così come l’ombrello nucleare americano è vitale per la deterrenza europea, la pressione americana è vitale per l’unità del continente. La credibilità degli Stati Uniti in Europa è stata gravemente pregiudicata dalle manovre del Congresso sul pacchetto per l’Ucraina. I risultati sono già visibili.
Il Regno Unito, dopo la Brexit, non è in grado di colmare il vuoto decisionale. La Francia, a causa delle idiosincrasie politiche e presidenziali, non gode di piena fiducia nell’Europa orientale. La Germania potrebbe in teoria svolgere questo ruolo, ma non presto e non facilmente. Rimangono le istituzioni europee, soprattutto la Commissione. Molto derisa in passato, è ora la migliore (anche se preoccupantemente esile) speranza di coordinare la difesa del continente. Non è ancora stato trovato un accordo sulla figura di un commissario europeo per la difesa – un omologo dell’Alto rappresentante per la politica estera – né tantomeno è stato assegnato l’incarico. Ma i problemi sono già affastellati, fumanti, sulla scrivania del prossimo arrivato.
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito
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Ministero dell'Istruzione
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L’Altra Asia – Uno, nessuno, centomila Prabowo Subianto
Le tante facce (problematiche) del futuro presidente dell'Indonesia, Prabowo Subianto e le altre storie dai paesi meno raccontati del continente.
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In Cina e Asia – Guerra in Ucraina, Wang Yi incontra il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba
I titoli di oggi: Guerra in Ucraina, Wang Yi incontra il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba Capodanno lunare: viaggi in Cina sopra i livelli del 2019 Palau chiede i finanziamenti americani per continuare a riconoscere Taiwan La Commissione Europea avvia indagine contro azienda cinese accusata di distorsione del mercato unico Giappone, lanciato con successo il nuovo razzo H3 Guerra ...
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Nell’insediamento di Har Bracha si cementa l’alleanza tra coloni israeliani e cristiani sionisti
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Reportage di Michele Giorgio*
(nella foto di Michele Giorgio in evidenza, la colonia israeliana di Har Bracha)
Pagine Esteri, 19 febbraio 2024 – Raggiungere la colonia israeliana di Har Bracha, nel cuore della Cisgiordania occupata, è più semplice da Tel Aviv che da Gerusalemme. Grazie alla «statale» n°5, costruita apposta per i coloni, dalla città costiera si arriva allo svincolo di Tappuach, a pochi chilometri da Nablus, in meno di trenta minuti. Si passa accanto all’insediamento di Ariel, la sua area industriale, Barkan, e diversi villaggi palestinesi, chiusi e isolati dal Muro costruito da Israele. Quindi nei pressi Tappuach, battezzato così dalle autorità di occupazione, si svolta a sinistra e percorsi alcuni chilometri si giunge nell’area in cui si concentrano alcune delle colonie più militanti: Yizhar, Kedumim, Elon Moreh, Itamar e Har Bracha, costruita su una collina che domina Nablus. La città cisgiordana più grande dopo Hebron, circondata dall’esercito israeliano dal 7 ottobre, è proprio lì sotto. Tra qualche settimana i coloni avranno a disposizione l’intera tangenziale fatta costruire dal governo Netanyahu che permetterà loro di aggirare la cittadina di Hawara, uno dei punti di maggior tensione e violenze della Cisgiordania nel 2023.
«Grazie a quella strada, eviteremo Huwara e i disordini provocati dagli arabi» ci dice ricevendoci ad Har Bracha, il colono Nir Lavi. Si riferisce all’uccisione da parte di palestinesi armati, a fine febbraio del 2023, di un israeliano in quella zona, seguita dall’assalto di Huwara da parte di centinaia di coloni, giunti da ogni parte della Cisgiordania, che diedero fuoco o tentarono di farlo a decine di case e negozi e a circa 150 automobili palestinesi. Fu ucciso un abitante e feriti diversi altri. Per Lavi i violenti «sono solo gli arabi». «Andiamo avanti comunque» ci dice fiducioso. Anzi, aggiunge, «qui in Samaria e nella Giudea (i nomi biblici con i quali i coloni chiamano la Cisgiordania palestinese, ndr) siamo tranquilli, la vita scorre senza sussulti anche se molti dei nostri ora sono in uniforme per combattere Hamas (a Gaza) e Hezbollah. Al nord e al sud di Israele si sta peggio che qui, al centro del paese».
Lavi, 52 anni, è uno storico portavoce di Har Bracha, fondato nel 1984. «Mio padre – racconta – ha combattuto per conquistare la Samaria e la Giudea, per riportare sotto il nostro controllo la terra donata da Dio agli ebrei. Har Bracha è un caposaldo del nostro ritorno». Alla fine degli anni ’90 ha fondato la «Har Bracha Estate Winery», una casa vinicola che, nonostante il boicottaggio del Bds e le restrizioni varate dall’Unione europea contro i prodotti delle colonie, esporta negli Stati uniti, Francia, Olanda e altri paesi. «In Italia poco o nulla, ma contiamo di entrare anche nel vostro mercato», afferma sorridendo. «All’inizio producevamo solo 5mila bottiglie all’anno, ora 90mila e quest’anno oltre 100mila. Il nostro è un vino di grande qualità». Per dimostrarlo ci porta nel ristorante della colonia. Sui tavoli tante bottiglie vuote e i resti di un pranzo per 40 persone. «Abbiamo ricevuto una delegazione di membri di servizi di sicurezza israeliani e stranieri e come vedi hanno gradito parecchio il nostro vino: 45% Carbernet, 45% Merlot e 10% Petit Verdot» dice con orgoglio.
Cristiani evangelici statunitensi aiutano a vendemmiare nelle colonie israeliane (foto di Heather Meyers)
La casa vinicola e le produzioni agricole di Har Bracha e di altre colonie israeliane possono contare su un alleato decisivo per garantire la vendemmia e la raccolta di frutta ed ortaggi, senza dover ricorrere alla manodopera palestinese. Si chiama HaYovel (Il Giubileo), un’associazione statunitense di cristiani evangelici e sionisti, che provvede a inviare nei vigneti di Nir Lavi e di altri produttori centinaia di volontari che lavorando nelle colonie contribuiscono alla «realizzazione della profezia». Vedono nel moderno Stato ebraico e nel suo dominio su tutta la Palestina storica (la biblica Eretz Israel), il «ritorno degli ebrei nella Terra Promessa», la condizione per il realizzarsi delle profezie con il ritorno di Cristo e il trionfo del Regno di Dio. All’interno di questo «disegno divino» i palestinesi non hanno alcun diritto, anzi, Israele deve negare loro qualsiasi sovranità, anche su un solo chilometro quadrato di terra. Questa «missione per conto di Dio» HaYovel permette di compierla a un costo di 1.200 dollari a persona per un periodo di 2 settimane a lavorare volontariamente nelle colonie. Chiediamo di parlare con Josh, figlio di Tommy Wallace, fondatore di HaYovel. All’inizio si mostra disponibile. «Certo, con molto piacere, va bene, posso tra un po’, ora sono occupato» ci dice con apparente gentilezza. Aspettiamo. Ma scompare e non risponde a telefonate e messaggi. Proviamo con Luke Hilton, un altro membro di Ha Yovel. «Perché no, ok. Magari più tardi, appena finisco una riunione», ci assicura. Sparisce anche lui, legge ma non risponde ai nostri messaggi.
Un cowboy giunto dall’Arkansas rilascia una intervista video all’agenzia del movimento dei coloni israeliani
Non amano i giornalisti non israeliani i leader dei sempre più numerosi e folti gruppi di cristiani evangelici sionisti, specie quelli americani. Li considerano dei nemici e, nel migliore dei casi, incapaci di comprendere il loro «impegno religioso» per Israele e il compimento delle profezie. Ma devono tenere conto anche di un’altra «complicazione» che giunge proprio dai loro amici israeliani. Malgrado siano sostenitori della colonizzazione dei Territori palestinesi occupati – che sostengono anche con decine di milioni di dollari, tra donazioni e sussidi – sono guardati con sospetto dalle gerarchie religiose ebraiche timorose che dietro questi volontari cristiani ci sia l’intenzione di «diffondere il Vangelo». Nelle scorse settimane ha scatenato proteste la foto scattata, e finita sui social, ad un gruppo di cowboy, con i cappelloni e il look tradizionale, giunto dall’Arkansas e dal Montana grazie a HaYovel per prendersi cura degli allevamenti e del lavoro agricolo nelle colonie. Shannon Nuszen, direttrice dell’organizzazione contro-missionaria Beyneynu, ha espresso forti sospetti sulle attività di HaYovel al punto da accusare Tommy Waller di fare proselitismo tra gli ebrei. I cowboy, perciò, sono finiti nell’ombra e sono rientrati dopo pochi giorni negli Usa. Non è bastato a HaYovel affermare di operare sotto la supervisione del rabbino Eliezer Melamed di Har Bracha.
Il colono Nir Lavi, che di Waller è buon un amico, non appare preoccupato. I volontari cristiani della Geulà (Redenzione) comunque non mancano. E nel suo ristorante ha lavoratori thailandesi. «Dopo l’attacco di Hamas erano andati via, poi sono tornati, ancora più numerosi». Lui ed altri coloni di Har Bracha si dicono convinti che il 7 ottobre, l’offensiva a Gaza e gli scontri al confine con il Libano abbiano convinto gli israeliani «degli errori commessi in passato» da non ripetere più. Gli Accordi di Oslo, esortano, «vanno eliminati subito e definitivamente e con essi l’Autorità nazionale palestinese». La Cisgiordania, aggiungono, è parte della «terra del popolo ebraico e su di essa va estesa subito la giurisdizione israeliana», ossia va annessa allo Stato di Israele, «senza badare alle pressioni straniere». E della nuova colonizzazione israeliana di Gaza si dovrà discutere, ma in futuro, «è presto ora». Nir Lavi ci saluta esortandoci ad apprezzare l’aria fresca e pulita che si respira ad Har Bracha. «Siamo nella nostra bella terra e non ce ne andremo mai», ci ripete un paio di volte. Guidando verso lo svincolo di Tappuach passiamo davanti al posto di blocco militare israeliano nei pressi di Huwara. Una ventina di auto palestinesi sono in fila per i «controlli di sicurezza». I coloni invece sfilano veloci verso Tel Aviv. Pagine Esteri
*Questo articolo è stato pubblicato il 10 febbraio 2024 dal quotidiano Il Manifesto
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L'articolo Nell’insediamento di Har Bracha si cementa l’alleanza tra coloni israeliani e cristiani sionisti proviene da Pagine Esteri.
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LIVE Olimpia Milano-Napoli, Finale Coppa Italia basket 2024 in DIRETTA: sarà Davide contro Golia
CLICCA QUI PER AGGIORNARE LA DIRETTA LIVE Si chiude un primo tempo che vede Napoli meritatamente avanti, con Milano che sbaglia troppo in attacco e in difesa e con un paio di fischi che hanno innervosito la panchina vede i campani allungare.Duccio Fumero (OA Sport)
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Asili nido, pochi posti pubblici e costi proibitivi l Pressenza
"Occorre ampliare l’attuale disponibilità dei posti negli asili comunali, rendere sostenibili i costi per le famiglie, superare la scarsa flessibilità degli orari, essere operativi anche durante l’estate. E occorre, soprattutto, porre in essere cambiamenti nelle strutture e nei servizi a supporto alle famiglie (asili, scuole, servizi post scolastici e così via) e ripensare totalmente il nostro welfare."
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Monaco. L’Occidente alla ricerca del “nemico” per tenere insieme i pezzi l Contropiano
"Un nemico come la Russia per un po’ di tempo può aiutare a tenere insieme i pezzi ma a lungo andare potrebbe non funzionare più come catalizzatore di interessi comuni. Proprio un commentatore russo sulla Novosti, più o meno due anni fa, sottolineava che il problema dell’Occidente era il tempo: troppo poco per concludere il conflitto in Ucraina, troppo lungo per alimentarlo. Un problema che la Russia ha dimostrato di non avere."
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Crescono morti e infortuni sul lavoro l l'interferenza
"Sono anni che il punto di vista assunto sul lavoro è quello delle associazioni datoriali e molti pensano, per combattere morti e infortuni, a una sorta di sistema premiante per le aziende virtuose in materia di salute e sicurezza attribuendo loro ulteriori e massicci sgravi fiscali. Eppure, anni di aiuti alle imprese non sono serviti a salvaguardare l’occupazione e a rendere sicuro il lavoro, siamo allora certi che l’aiuto economico e fiscale sia lo strumento giusto per imporre pratiche e culture della sicurezza?"
28 ONG esortano le autorità di protezione dei dati dell'UE a respingere il "paga o va bene" su Meta Il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB) emetterà presto quello che probabilmente sarà il suo parere più significativo fino ad oggi
Un'agenzia di credito tedesca guadagna milioni grazie alla manipolazione illegale dei clienti L'azienda utilizza disegni manipolativi per impedire alle persone di ottenere una copia gratuita dei loro dati in conformità con la legge
The Mourning After - Lately / Quit Bazar 7"
Pronti alla bisogna per assolvere nel migliore dei modi tale irrinunciabile esigenza ecco qui per me e per noi tutti, direttamente da quel di Sheffield, i veterani e collaudatissimi Mourning After ed il loro 7" licenziato in questi giorni dalla Rogue Records.
iyezine.com/the-mourning-after…
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Pronti alla bisogna per assolvere nel migliore dei modi tale irrinunciabile esigenza ecco qui per me e per noi tutti, direttamente da quel di Sheffield, i veterani e collaudatissimi Mourning After ed il loro 7" licenziato in questi giorni dalla Rogue…In Your Eyes ezine
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Catania. La scuola pubblica in mimetica normalizza la guerra l Contropiano
"Oltre ad una scuola sempre più aziendalizzata, che plasma il mondo studentesco allo sfruttamento schiavista del lavoro e alla precarietà lavorativa, c’è anche una scuola sempre più militarizzata. Tutto questo si traduce con la normalizzazione della guerra, della militarizzazione dei territori, e delle spese militari senza limiti."
Lotta agli hacker malintenzionati: smantellato il gruppo ransomware Hive ma c’è una nuova taglia su di loro
Gli attacchi ransomware Hive avevano causato gravi interruzioni nelle operazioni quotidiane delle vittime in tutto il mondo e hanno influenzato le risposte alla pandemia di COVID-19. Il gruppo utilizzava un modello ransomware-as-a-service (RaaS) con amministratori, a volte chiamati sviluppatori, e affiliati. RaaS è un modello basato su abbonamento in cui gli sviluppatori o gli amministratori sviluppano un ceppo di ransomware e creano un'interfaccia facile da usare con cui farlo funzionare e quindi reclutano affiliati per distribuire il ransomware contro le vittime.
È stato utilizzato altresì un modello di attacco definito “a doppia estorsione”. Prima di crittografare il sistema della vittima, l'affiliato avrebbe esfiltrato o rubato dati sensibili. L'affiliato ha quindi chiesto un riscatto sia per la chiave di decrittazione necessaria per de-crittografare il sistema della vittima sia per la promessa di non pubblicare i dati rubati. Gli attori di Hive hanno spesso preso di mira i dati più sensibili nel sistema di una vittima per aumentare la pressione a pagare. Dopo che una vittima aveva pagato, gli affiliati e gli amministratori dividevano il riscatto in percentuali pari a 80/20.
A distanza di poco più di 11 mesi da quando l'FBI ha dichiarato di aver chiuso la rete dell'organizzazione criminale, Il governo degli Stati Uniti ha assegnato una taglia extra di 5 milioni di dollari ai membri della banda di ransomware Hive: la seconda ricompensa del genere in un anno.
Intanto, i criminali online continuano a fare soldi con le loro richieste di estorsione, con dozzine di nuovi arrivati che sono entrati nella mischia solo lo scorso anno.
Chainalysis, nella sua analisi del 2023 pubblicata questa settimana (leggi qui, in inglese => Ransomware Hit $1 Billion in 2023 (chainalysis.com)), ha stimato che lo scorso anno le squadre di ransomware hanno incassato più di 1 miliardo di dollari in pagamenti estorti in criptovaluta dalle vittime, rispetto ai 567 milioni di dollari del 2022. La società di analisi delle criptovalute ha anche osservato che la rimozione di Hive probabilmente ha avuto un ruolo non banale nel calo dei pagamenti di ransomware nel 2022, che altrimenti sarebbero aumentati dal 2019.
La stima di 130 milioni di dollari dell'FBI "potrebbe non raccontare tutta la storia", osserva il rapporto, perché tiene conto solo dei riscatti direttamente evitati dalle chiavi del decrittatore. Da parte sua, Chainalysis ritiene che il fallimento di Hive abbia probabilmente evitato pagamenti di ransomware per almeno 210,4 milioni di dollari.
"Durante i sei mesi in cui l'FBI si è infiltrata in Hive, il totale dei pagamenti di ransomware per tutti i ceppi ha raggiunto i 290,35 milioni di dollari", ha osservato Chainalysis. "Ma i nostri modelli statistici stimano un totale previsto di 500,7 milioni di dollari durante quel periodo di tempo, sulla base del comportamento degli aggressori nei mesi precedenti e successivi all'infiltrazione, e si tratta di una stima conservativa."
Colorado’s Approval of Global Privacy Control: Implications for Advertisers and Publishers
The privacy laws of both Colorado and California require organizations to recognize Universal Opt-Out Mechanisms (UOOMs), a tool through which a person can invoke their opt out rights broadly across all the websites they visit. While California has required responding to certain UOOMs since July 2021, the Colorado Attorney General has only recently approved their first tool – the Global Privacy Control – as valid within the scope of the state law. This sets the stage for organizations within the law’s jurisdiction to take appropriate action necessary to ensure that they are recognizing and responding to any person’s use of the GPC. Below we provide information for what organizations need to know about UOOMs going forward, including particular implementation challenges that must be addressed to avoid enforcement actions for falling afoul of the law.
Background
Governor Polis signed the Colorado Privacy Act (CPA) in July 2021, making Colorado the third state to pass a comprehensive privacy law. Among other things, the act requires the Colorado Attorney General to conduct a special process for approving Universal Opt Out Mechanisms (UOOMs) for people to use as a means of invoking their opt out rights. Under Colorado law, covered entities will be required to honor these UOOMs beginning July 1, 2024.
The Colorado AG’s office closed applications for UOOM tools on November 6, 2023. After a public comment period, the Colorado AG announced that only one tool – the Global Privacy Control (GPC) – would be acknowledged on the exclusive public list of acceptable UOOMs in Colorado.
The recognition of the GPC as a valid UOOM in Colorado leaves adtech vendors, advertisers, and publishers in a broadly similar place in both California and Colorado once enforcement begins this summer: Publishers will have to respond to valid GPC requests in both states; advertisers and vendors will have to adjust business practices accordingly. Although implementations of GPC must still satisfy the requirements of the CPA, Colorado’s decision aligns their enforcement of opt-out rights with those in California, creating momentum toward a national standard.
What should Advertisers, Publishers, and Other Organizations Know About the GPC and UOOMs in U.S. law
1. Implementations of GPC must still satisfy the requirements of CPA
Under the CPA, UOOMs in Colorado must satisfy three categories of rules. By selecting a single UOOM tool, the Colorado AG’s office has indicated that this is the only tool “recognized in so far as the UOOM or any authorized implementations meet the requirements of [the Colorado Privacy Act].”
The first and second of these rules relate to Notice and Choice under Rule 5.03 and Default Settings under Rule 5.04. The notice and choice requirements ask UOOM vendors to ensure that the signal represents an “affirmative, freely given, and unambiguous choice to opt out” of targeted advertising and data sales. The requirements for default settings seek to ensure the choice remains a genuine opt-OUT with respect to the device. The default browser installed on the device cannot simply negate the selection in a user interface to transform the user-facing mechanism into what would appear to be an opt-IN for the user. For browsers or browser extensions that do not come pre-installed on the device and that are marketed as tools for exercising a user’s opt out rights, the consumer’s decision to install and use these tools is considered an affirmative, freely given, and unambiguous choice.
The final requirement for UOOMs in the CPA is to follow Technical Specifications under Rule 5.06. The technical specification requirements make the tool “universal” in the sense that it can automatically transmit the opt-out to multiple publishers while remaining in compliance with other requirements, like the notice and choice requirements and the default settings requirements, and without unfairly disadvantaging controllers.
It is noteworthy that the AG’s office distinguishes between “the UOOM” – the GPC in this case – and “any authorized implementations” of the UOOM. Several organizations, including FPF, expressed broad support of the GPC while correctly observing that the GPC is a protocol-level technical specification and is implementable in valid and invalid ways in user-facing tools. Actual implementations of the GPC vary significantly in their interface and functionality. However, it is not clear what is required for an implementation to be “authorized”. One may read the language to require some additional recognition by the Colorado AG’s office (which has not produced a list of authorized implementations) or instead to include those implementations recognized by the creators of the GPC, which lists several implementations that support the GPC on their website. It is even possible that “authorized implementations” may even refer to other authorized, yet-to-be-approved UOOMs and have nothing to do with the GPC.
Based on this analysis, it is technically possible for publishers to receive an invalid GPC signal originating from a tool that fails to implement other requirements of the CPA. However, discerning the validity of GPC signals as they are received may require publishers to implement otherwise invasive means, like browser fingerprinting.
2. GPC will be a multi-state enforcement priority for 2024
Despite the limitations of approving a technical specification, the decision in Colorado to recognize only the Global Privacy Control marks an alignment with California that the GPC should be a clear priority for organizations looking to avoid an enforcement action in 2024. Controllers in Colorado and businesses in California should earnestly implement appropriate means to receive these signals and respond in their advertising technology stack. Industry preparation should include some mechanism for differentiating data that has been opted-out of sale or sharing from data that has not.
The Colorado AG also indicated that the current public list (which, again, consists solely of the GPC) will be “prioritized for enforcement,” meaning publishers will likely be required to respond to GPC opt-out requests as soon as the enforcement date of July 1, 2024 rolls around. Any relevant on-going or concluded investigations in California since the AG settlement with Sephora have not resulted in publicly announced enforcement actions. However, it has remained an area of active interest, including recent discussions by the California Privacy Protection Agency (CPPA) regarding the possibility of requiring browser vendors to implement a feature allowing users to express their opt-out preferences to publishers.1
3. Novel mechanisms may still be reconsidered in upcoming years
In naming the GPC as the current exclusive UOOM recognized in Colorado, Colorado AG also indicated that this did “not exclude additional UOOMs from meeting the requirements” in the future. This could mean the other shortlisted opt out mechanisms (i.e., the OptOut Code or the Opt-Out Machine) or some tool that has not yet been developed may be able to be approved in the future. However, the process for submitting applications is uncertain. The website is no longer accepting submissions, and although it may be opened to new submissions in the future, no plans for doing so are currently public.
The Colorado AG also indicated that when it does accept new applications, it will also seek public comments on them in a similar process. The three applications listed in the shortlist each took different approaches to standardizing expression of user opt out preferences. The OptOut Code proposal focused on prepending a code to human-readable device names, the Opt-Out Machine proposed an automated email-based opt out mechanisms, and the Global Privacy Control (GPC) proposed using their HTTP-based protocol-level specification in Colorado, having already been recognized as a UOOM in California.
Challenges Ahead for Enforcement
Enforcement of the Colorado Privacy Act’s requirements for opt-outs will begin later this year. Although the Colorado AG selected the GPC, they did not reveal their rationale or respond substantively to the concerns raised during the comment process. As a result, specific enforcement techniques and investigative approaches are hard to predict. At least four enforcement challenges exist for Colorado: (1) responding to the GPC alone may not be enough to ensure compliance with the CPA, (2) confirmation of signals by controllers is not required making verification of the receipt of valid signals difficult, (3) invalid GPC signals are difficult to detect definitively, and (4) the current move toward enforcement is happening at a time of transition in the industry at large.
First, responding to the GPC alone is not enough for compliance with the CPA. Although the GPC specification includes optional requirements allowing publishers to confirm to users that they have received the GPC signal, this confirmation is not technically tied to any advertising that appears on the publisher site. In other words, it is possible for a publisher site to continue serving targeted ads while confirming to users that their GPC opt-out signal has been received, either intentionally or accidentally. The Colorado AG will need some mechanism for discerning whether any advertising displayed was targeted or not. For people who have invoked the GPC, publishers are likely to replace targeted advertising with contextual advertising, and these ads may be served by similar ad servers, making discernment challenging. (The opt-out also applies to the sale of personal data, but that would not be immediately obvious to an enforcement agency in a single web browsing session regardless of the GPC configuration.)
Second, optional confirmation requirements in the GPC specification are not strictly required by the CPA. Although confirmation may be useful for users, advertisers, and publishers seeking to test their configuration of their GPC tool of choice, their utility as part of regulatory enforcement remains unclear, and without them it is unclear how Colorado enforcement agencies will determine whether a signal has been received and responded to. It is worth noting here that California’s recently proposed revisions to the California Consumer Privacy Act (CCPA) would require businesses to display the status of the consumer’s choice.2
Third, invalid implementations of the GPC can transform the opt-out into a user-facing opt-in. Developers of privacy-oriented browsers and browser extensions have evinced a desire to make the user’s experience of setting up both the browser and the GPC as fast and easy as possible, but the legal environment is inherently complex. The installation and configuration process for these tools will be critical to ensuring that GPC signals are valid in each jurisdiction where they are intended to apply. The GPC signal does not embed information on which browser, extension or tool sent the signal. This can make it difficult for organizations seeking to determine a mechanism’s validity and investigators seeking to respond to GPC signals sent using an invalid mechanism or configuration. Investigators will also have to determine if the person covered by the signal is a Colorado resident.
Finally, enforcement of the CPA comes at a time when the industry is transitioning away from the third-party cookie and toward new advertising APIs, presenting an additional challenge for discernment of targeting information. Publishers will need to be able to connect receipt of the GPC signal to their new infrastructure for advertising APIs during this transition. Similarly, Colorado’s enforcement will need to be able to verify compliance with the CPA, including responses to valid GPC signals, during this industry transition. Many other states are considering comprehensive privacy laws, some with subtly different opt out rights. Colorado has indicated that they prefer a harmonious, multi-state approach where possible, but this possibility remains an open question as states consider new approaches to privacy.
Conclusion
Colorado’s adoption of the GPC as the only valid universal opt out mechanism, for now at least, represents a critical step for vendors, advertisers, publishers, and users. Broad alignment with California marks this as important outside of Colorado as well, particularly with other states adopting or considering comprehensive privacy laws. Although some challenges and open questions remain, covered entities should earnestly work towards compliance to be able to honor these UOOMs beginning July 1, 2024.
1 Note that this requirement may complicate the default setting requirements discussed earlier given Colorado’s differentiation between a browser that comes pre-installed on a device and one that does not.
2 See page 40, in § 7025 on Opt-out Preference Signals.
Oltre Icaro: il sogno transumano
Il 28 gennaio 2024 è stato impiantato il primo chip cerebrale al mondo. La notizia arriva direttamente da Elon Musk, proprietario dell’azienda che produce il chip: “The first human received an implant from Neuralink yesterday and is recovering well. Initial results show promising neuron spike detection”.
L’impianto Neuralink è un’interfaccia cervello-computer (BCI) che mira a captare e analizzare i neuroni attraverso degli elettrodi che penetrano fisicamente il cervello del paziente. Da tempo i neuroscienziati riconoscono che acquisire i segnali che arrivano direttamente dai neuroni è il segreto per decodificare il pensiero umano.
Attraverso le BCI sarà possibile controllare la tecnologia come se fosse parte di noi. Il chip Neuralink nasce per dare la possibilità a persone invalide, in particolare paraplegici, di controllare dispositivi elettronici col pensiero, come smartphone o computer. In futuro è probabile che potranno controllare anche protesi robotiche, come se fossero arti naturali.
Alcuni dicono che le neurotecnologie permetteranno anche di decodificare processi cognitivi complessi, come i sogni o il “monologo interiore” (fun fact: secondo alcune ricerche solo il 30-50% delle persone posseggono un monologo interiore).
Yuval Noah Harari, storico e filosofo israeliano e autore di Homo Deus1, ha recentemente affermato che rischiamo che l’intelligenza artificiale possa arrivare a falsificare la nostra stessa realtà, a partire dai più classici “deep fake” fino ad arrivare alla moneta e poi all’economia intera.
Se all’intelligenza artificiale uniamo le potenzialità di nuove tecnologie come il VisionPro di Apple e delle futuristiche interfacce cervello-computer di Neuralink, sembra che il XXI secolo possa in effetti segnare davvero un cambio di passo verso un vero e proprio Transumanesimo.
I tempi che s'annunciano saranno titanici e tragici. Non sottovalutare l'impatto della tecnologia (e della tecnocrazia) sulla tua vita e sul tuo spirito.
Verso il transumanesimo
Il transumanesimo viene solitamente definito come un movimento intellettuale che sostiene l'uso della scienza e della tecnologia per migliorare le capacità fisiche e cognitive umane, aumentando la qualità (e longevità) della vita.
Un esempio, che oggi sembra ancora fantascientifico, sono le protesi robotiche che un giorno andranno a sostituire i nostri arti o organi, magari arrivando perfino a migliorarli. Ai suoi estremi, il transumanesimo mira a raggiungere l’immortalità (digitale o cibernetica).
Il transumanesimo può essere considerato l'ultimo step in ordine temporale di un percorso millenario che da sempre spinge l'Uomo a interrogarsi sul proprio posto nell’Universo, cercando al tempo stesso di superare i limiti della realtà materiale e della sua stessa biologia.
In effetti, l’idea che l’Uomo possa trascendere i limiti biologici e materiali attraverso una conoscenza segreta, come la capacità di decodificare i segnali derivanti dai neuroni, è molto risalente nel tempo.
Secondo lo Gnosticismo (dalla parola greca gnósis, cioè “conoscenza”), corrente filosofico-religiosa che alcuni fanno risalire a prima del Cristianesimo (giudicata poi eretica nell’XI secolo), l’Uomo avrebbe la capacità di elevare se stesso e liberare il suo spirito dalla prigionia del mondo materiale attraverso l’acquisizione della Conoscenza.
La ricerca tecnologica, in quanto ricerca fondata sulla manipolazione della realtà materiale, sarebbe quindi uno strumento per acquisire quella Conoscenza necessaria a liberare lo spirito umano dalla sua prigione biologica.
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Anche negli antichi miti classici si possono ritrovare elementi vicini al transumanesimo.
Il mito di Icaro è uno di questi: figlio di Dedalo e di Naucrate, schiava di Minosse, Icaro fu rinchiuso con il padre nel labirinto di Creta. Riuscì a fuggire volando con delle ali di cera costruite dal padre, per poi cadere verso la morte dopo essersi avvicinato troppo al Sole.
Volendo azzardare un’interpretazione allegorica del mito di Icaro, potremmo dire che il “labirinto” è un simbolo della complessità della mente umana, o magari delle limitazioni imposte dalla realtà materiale. Il labirinto è cioè il vincolo materiale che intrappola l’Uomo (Icaro) nella sua condizione, limitando anche la sua comprensione della realtà stessa.
Il volo di Icaro verso il Sole può essere invece visto come il tentativo dell’Uomo di trascendere le limitazioni materiali attraverso la tecnologia. In questo senso, il volo di Icaro rappresenta l’aspirazione di raggiungere la Conoscenza divina, rappresentata dal Sole. Al sorgere del Sole, però, le ali di Icaro iniziano a sciogliersi; lasciandolo cadere verso la morte.
Lo stesso concetto può ritrovarsi nel libro della Genesi (11, 1-9), in cui si racconta il mito della Torre di Babele, voluta da Nimrod per cercare di arrivare a toccare il “cielo” e sostituire Dio, superando così i limiti terrestri e materiali. Anche in questo caso, il tentativo fallì miseramente e l’umanità intera fu punita.
I miti antichi sembrano suggerire che il viaggio transumano verso la Conoscenza sia costellato da rischi — alcuni di questi mortali.
E se allora l’umanità si dirige verso un futuro transumano, come evoluzione e ambizione naturale della ricerca tecnologica, non possiamo certo parlarne senza approfondire le ragioni filosofiche alla base del fenomeno. Non si tratta solo di nuovi gadget scintillanti.
Come scriveva già padre Benanti nel 20191:
I profondi cambiamenti indotti dall’irruzione dell’informazione e dagli artefatti biotecnologici suscitano nuove domande sull’uomo e sulla sua identità: la questione antropologica diventa un luogo chiave dove la filosofia e la teologia si devono confrontare con nuove visioni e inedite sfide.
Un’odissea spirituale
Come detto, il transumanesimo potrebbe essere quindi visto come la continuazione di un’odissea spirituale intrapresa già dagli albori dell’umanità.
Per capire meglio alcuni aspetti di questa odissea, ho chiesto a 2, autrice di, di aiutarmi (il testo in corsivo è il suo).
Secondo Brenda, gli uomini sono esseri guidati dai miti, costantemente alla ricerca di una grande impresa che li spinga al sacrificio personale e al progresso comune. La fase attuale della nostra esistenza implica una metamorfosi che influisce non solo sulle nostre condizioni fisiche e mentali, ma anche sui nostri modelli mitici fondamentali.
L'essere umano necessita di principi astratti e di credenze condivise per organizzare e coordinare le proprie azioni. Per progredire, qualsiasi cosa significhi, è essenziale infondere e stimolare negli uomini il desiderio di aspirare a qualcosa di maggiore. Questo comporta una percezione riscattatrice delle capacità umane e un ideale utopico per il domani.
Ray Kurzweil, sacerdote della Singolarità transumanista, sostiene che ci trasformeremo in entità simili ai "corpi senza organi" descritti da Deleuze, eterni nelle nostre esistenze di silicio. Il mito della Singolarità richiama l'archetipo biblico dell'Apocalisse, prevedendo l'arrivo di una "Nuova Gerusalemme" sintetica dopo l'attuale periodo di crisi geopolitica. Il transumanesimo prende il mito cristiano della salvezza e gli dà una veste meccanica.
Il transumanesimo si configura quindi come una sorta di fede religiosa nella tecnologia, attraverso un processoche comporterà una graduale dissoluzione del confine tra natura e tecnologia, nonché tra uomo e macchina, seguendo una narrazione mitica che attinge all'archetipo biblico dell'Apocalisse.
La tecnologia non è un'attività laica, al contrario di quanto si voglia sostenere. Anzi, l’istinto religioso di chi programma e di chi innova è più vivo che mai, semplicemente celato alla vista. Non viviamo in una società laica. Non lo abbiamo mai fatto e non lo faremo mai. La tecnologia porta con sé sogni e aspirazioni che vanno ben oltre la funzionalità.
Persi nell’algoritmo
I rischi che si annidano nel prossimo futuro transumano sono molto più spirituali che materiali. Principalmente, potremmo perdere la nostra stessa umanità.
La tecnologia dell’informazione già ora pervade ogni ambito della nostra vita, fin dalla nascita. Tutto ciò che facciamo sparge nell’etere dei fili invisibili fatti di bit che sono raccolti da algoritmi di machine learning e reti neurali.
Questi sono sempre più usati per prendere decisioni automatizzate che plasmano la nostra realtà. E’ ciò che accade ad esempio con le cosiddette “filter bubble” nei social network: un algoritmo ci propone contenuti, cioè una determinata realtà, sulla base delle nostre azioni passate.
Così si instaura un feedback loop in cui la persona viene spinta a compiere determinate azioni in base alle scelte fatte in precedenza. Ciò che appare una libera scelta, è in realtà solo l’effetto di una decisione presa da una macchina al posto nostro.
Grazie a meccanismi del genere, da anni ormai il sistema globalista-tecnocratico è impegnato nel creare il consumatore perfetto delle nuove tecnologie dell’informazione.
Miliardi di persone oggi sono legate a una concezione materialistica della vita e della realtà: figli demoralizzati di un collettivismo globalista che riempie il loro vuoto identitario (soprattutto occidentale) con gadget tecnologici pensati appositamente per creare un falso senso di appagamento.
La questione più rilevante che si pone soggi è quella relativa all'anima: gran parte delle persone è stata sedotta da una visione del mondo meccanicistica, fino a convincersi dell'inesistenza dell'anima — come se fossimo meramente funzioni algoritmiche, automi biologici.
Questo è l'orrore descritto da Yuval Harari in Homo Deus. Harari ha prospettato un futuro non troppo lontano in cui un'élite ristretta e tecnologicamente avanzata domina su una popolazione relegata al ruolo di giocatori di videogiochi immersivi.
Si intravede la possibilità che le “democrazie” vengano gradualmente sostituite da società robotiche totalitarie, basate su sorveglianza assoluta e controllo mentale sistematico.
In questo tipo di società, l’Uomo — transumano, addomesticato — non avrà alcuna visione storica e sarà profondamente attaccato alle strutture della società algoritmica e tecnocratica che lo governano, vittima di infiniti feedback loop e perso all’interno di infinite realtà virtuali. Una nuova semi-vita transumana, dove l’azione è guidata esclusivamente dalla dopamina creata dagli algoritmi.
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L’Uomo al centro dell’universo
Come può il transumanesimo, a queste condizioni, essere il prossimo step evolutivo della società umana?
Non è detto che ci aspetti per forza il futuro distopico prospettato da Harari, che certamente considera se stesso parte delle élites. Il futuro dipende da noi, non certo da un destino predeterminato. Per mitigare questi pericoli, che sono prima di tutto esistenziali e spirituali, forse abbiamo semplicemente bisogno di riscoprire un nuovo umanesimo all’interno del transumanesimo.
L'umanesimo poneva l'Uomo al centro dell'universo, con una visione antropocentrica che enfatizzava la dignità, il potenziale e il valore intrinseco dell'essere umano.
Durante il periodo umanistico venne promossa l'idea che l'umanità potesse raggiungere grandi cose attraverso la ragione, la filosofia, l'esplorazione delle arti e la riscoperta dei testi antichi. Le opere di Michelangelo e Leonardo Da Vinci ne sono un testamento. L’Uomo (e la sua libertà) era la misura di tutte le cose.
ll transumanesimo porta agli estremi l’umanesimo, fino a superare il concetto stesso di centralità umana. L'obiettivo non è più trasformare il mondo a misura d’Uomo, ma trasformare l'umano in qualcosa di più avanzato, utilizzando strumenti come l'ingegneria genetica, la cibernetica, l'intelligenza artificiale e la realtà virtuale.
L’idea stessa di un’interfaccia cervello-computer, come quella progettata e impiantata da Neuralink, dimostra la volontà di fondere Uomo e macchina.
Mentre l’umanesimo celebrava l’Uomo come centro di tutte le cose, il transumanesimo porta la “volontà di potenza”3 dell’umanesimo ai suoi grotteschi estremi: la centralità dell’Uomo nell’universo ha ceduto il passo alla centralità dei processi umani, riducendo l'Uomo a mero ingranaggio all’interno del sistema tecnologico da lui stesso creato.
Per quanto mi piaccia Ted Kaczynski, non credo che la soluzione sia un nuovo luddismo e un ritorno ai boschi. La “tecnoscienza”, per citare G. Faye, è prometeica nella propria essenza: reca in sé il meglio delle speranze e i peggiori pericoli per il genere umano.
Non è neanche detto che la “salvezza” debba essere di massa; non lo è mai. Probabilmente ci saranno persone incatenate alla tecnologia, e persone che invece sfrutteranno la tecnologia per rompere le proprie catene, come già professato dai primi Cypherpunk alla fine del secolo scorso.
Il transumanesimo di Harari, distopico e oppressivo, è necessariamente globalista e di “massa”. Il globalismo infatti predica la fine della storia, cioè un mondo pervaso da una Civiltà unica, un Popolo unico; un Governo unico. A questo si aggancia il consumismo, il gradino più basso del materialismo, che è lo strumento per addomesticare le masse, trasformandole in consumatori. In pratica: l’annullamento dei valori, delle tradizioni, della mentalità dei popoli e degli individui a favore di un’egemonia culturale scientista e materialista, fondata sulla sorveglianza di massa e sulla censura algoritmica.
Il transumanesimo globalista non ammette quindi alcuna identità (individuale o dei Popoli), né individualismo (legato al concetto di libertà-responsabilità e pensiero critico).
Continua Brenda: a Babele le persone erano unite da un obiettivo comune, da un’unica lingua, un pensiero unico, una coscienza collettiva. La coscienza collettiva non può tollerare il dissenso al suo interno. Qui giace la contraddizione dell'esistenza transumana: potremmo teoricamente vivere in eterno, ma perderemmo la nostra essenza individuale a un livello basilare.
Nel sistema globalista transumano, l’individuo si trasforma in una scatola vuota da riempire, manipolare e — in futuro — hackerare.
E allora, per non farsi hackerare bisognerà patchare le nostre vulnerabilità morali e spirituali, rivolgendo lo sguardo a valori ancestrali e umanistici che abbiamo perso di vista dietro le false promesse globaliste e progressiste: identità culturale e territorialismo (il globalismo agisce prima di tutto sul piano materiale, che va riconquistato), individualismo e, sì — anche il controllo equilibrato della tecnologia, attraverso una rinnovata spiritualità.
Abbiamo oltrepassato il panismo, il monoteismo, il deismo e addirittura l'ateismo. Ora dobbiamo "resuscitare" Dio — almeno in termini concettuali.
Secondo Harari nel corso del XXI secolo, l'umanità tenterà di impiegare le sue conoscenze per guadagnare la felicità, l'immortalità e poteri simili a quelli di Dio. Harari specula in vari modi su come questa ambizione possa essere realizzata nel futuro sulla base delle esperienze passate e del presente.
Esoterista e consulente (ex banchiere e programmatrice), impegnata a decifrare la realtà con un approccio che fonde fisica, scienza, statistica e informatica con le tradizioni millenarie, la spiritualità e l'occulto. Il testo in corsivo è il suo.
Per volontà di potenza intendo: la tendenza di ogni vita sana a perpetuarsi, ad accrescere la propria superiorità e capacità di creazione; una volontà di autoaffermazione.
FRONTEX FORNISCE I DATI DEGLI ATTRAVERSAMENTI DELLE FRONTIERE A GENNAIO. IL PICCO SULLA ROTTA DELL'AFRICA OCCIDENTALE
Frontex, l’Agenzia della guardia di frontiera e costiera dell’ #UE deputata a sostenere gli Stati Membri gestione delle frontiere esterne e nella lotta alla criminalità transfrontaliera, ha fornito una propria analisi dell’andamento degli attraversamenti nel mese di gennaio.
Secondo questo studio, Il numero di attraversamenti irregolari delle frontiere verso l'Unione europea è sceso a quasi 14 000 a gennaio, in calo di circa un terzo rispetto a dicembre ed è stato più o meno in linea con il totale dello stesso mese dello scorso anno. Quasi tutte le principali rotte migratorie hanno registrato un calo mensile che va dal -71% nel Mediterraneo centrale al -30% nei Balcani occidentali.
In controtendenza è stata la rotta migratoria dell'Africa occidentale, dove il numero di arrivi ha superato i 6 600 nel periodo di gennaio, solitamente tranquillo, quasi il 50% in più rispetto a dicembre e 10 volte la cifra riportata un anno fa. La regione ha rappresentato quasi la metà di tutti i rilevamenti di attraversamenti irregolari delle frontiere a gennaio.
L'anno scorso, la rotta dell'Africa occidentale ha registrato il maggiore aumento percentuale di attraversamenti irregolari.
Negli ultimi mesi, i gruppi criminali coinvolti nel traffico di esseri umani in Mauritania hanno colto rapidamente le opportunità offerte dall'aumento della domanda da parte dei migranti subsahariani in transito nel loro paese che cercano di entrare nell'Unione europea attraverso le Isole Canarie. Negli ultimi mesi, i trafficanti di esseri umani hanno stipato un numero crescente di migranti su piccole barche da pesca in legno conosciute come Cayucos, mettendo in pericolo la vita delle persone a bordo.
I punti salienti dei dati di migrazione includono:
• La rotta dell'Africa occidentale rappresenta quasi la metà di tutti gli attraversamenti irregolari nel mese di gennaio.
• Il Mediterraneo centrale registra il calo maggiore (-71% su base mensile)
• Le prime tre nazionalità su tutte le rotte sono siriani, afghani e maliani, anche se le autorità stanno ancora determinando la nazionalità di un gran numero di migranti in arrivo.
• Sulla rotta della Manica, il numero di rilevamenti di persone che cercavano di attraversare il Regno Unito si è attestato a quasi 3200, più o meno in linea con la cifra di gennaio 2023.
Louise Lemón - Lifetime of tears
Questa opera rappresenta la piena maturità artistica e non solo per una musicista che si merita moltissimo, sia per quello che ci regala sia per le sue capacità. Louise Lemón si colloca vicino ma oltre cantanti come Pj Harvey, Lana Del Rey etc, e un giorno si parlerà di lei come oggi si parla di loro, nel frattempo riscaldiamoci qui. @Musica Agorà
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Il Numero unico di emergenza europeo 1.1.2 ( e l’App Whereareu)
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L’11 febbraio ricorre in tutta la #UE la Giornata europea celebrativa del Numero unico di emergenza (NUE) europeo 1.1.2 (uno-uno-due), istituita sin dal 2009, con l’adozione di una dichiarazione congiunta del #parlamentoEuropeo, del #consigliodellUnioneeuropea e della #commissioneEuropea, al fine di incrementare la conoscenza del servizio e dei suoi vantaggi da parte dei cittadini europei.
Per quanto riguarda l’Italia, Il Numero unico europeo delle emergenze è operativo in 13 Regioni, con 18 Centrali uniche di risposta (CUR), che garantiscono la copertura del servizio ad oltre 38 milioni di abitanti, pari a circa il 65% della popolazione nazionale.
Il servizio permette, digitando l'uno-uno-due sia da rete fissa che da rete mobile, di richiedere il tipo di soccorso di cui necessita (sanitario, Forze di polizia, Vigili del fuoco e soccorso in mare). La chiamata viene raccolta dalla CUR (Centrale unica di risposta) che, dopo le prime verifiche, la inoltra con i dati di localizzazione del chiamante e del tipo di soccorso richiesto alla sala operativa competente (carabinieri, polizia di stato, eccetera) per materia e territorio al fine di garantire l’intervento. I cittadini possono così raggiungere, naturalmente gratuitamente, attraverso un solo numero, tutti i servizi di emergenza forniti dalle Istituzioni pubbliche, con la garanzia di un accesso multilingue.
Tutte le chiamate sono localizzate; una funzione utile in città, che può rivelarsi indispensabile per le chiamate provenienti da aree extra urbane, dove può risultare difficile fornire indicazioni precise e tempestive per essere raggiunti dai soccorsi. A tale proposito, dal 2022 l’Italia si è adeguata ai migliori standard tecnologici aggiungendo ai dati di localizzazione provenienti dalla rete telefonica quelli generati dallo smartphone. In questo ambito, ci piace segnalare una app per smartphone collegata al servizio uno-uno-due: si tratta di < Where Are U>, una app per l'emergenza collegata alle Centrali Uniche di Risposta (CUR) del NUE 112, che permette di effettuare una chiamata di emergenza con il contestuale invio della posizione esatta del chiamante (rileva la posizione tramite GPS e/o rete dati e la mostra sul telefono; al momento della chiamata la posizione viene trasmessa tramite rete dati o tramite SMS se la rete dati non è disponibile. Il doppio canale di trasmissione assicura sempre l'invio della posizione ogniqualvolta sia possibile effettuare una telefonata) che ha l’utilissima funzione della “chiamata silenziosa”: l'app consente infatti di effettuare volontariamente una chiamata muta; con appositi pulsanti è possibile segnalare il tipo di soccorso richiesto. Nelle immagini sottostanti la schermata della app e le città metropolitane/province in cui è attivo il servizio.
Pensate inoltre che le Centrali uniche di risposta effettuano una rilevante azione di filtro delle chiamate improprie (non di emergenza) pari – nel 2023 - a ben il 45% del totale delle richieste. Questo consente di liberare le centrali operative degli enti di pronto intervento da una significativa mole di lavoro, consentendo di concentrare le risorse sugli effettivi soccorsi richiesti.
In Italia, ogni chiamata di emergenza riceve normalmente una risposta in poco più di 7 secondi, con tempi complessivi di gestione della chiamata in linea con il disciplinare tecnico. Nel caso in cui il contatto con la centrale non avvenga per qualsivoglia ragione, l’utente viene immediatamente richiamato. Nel corso del 2023, le Centrali uniche di risposta operanti sul territorio hanno gestito oltre 21 milioni di telefonate, assicurando la ricezione anche delle chiamate di emergenza generate direttamente dalle autovetture in caso di incidente automobilistico grazie al sistema e-Call. Nel 2023, le segnalazioni gestite con tale modalità sono state oltre 120.000, con l’inoltro di 7084 chiamate per interventi riconosciuti dalla C.U.R. come effettivamente necessari.
L’Italia ha sempre avuto una particolare attenzione a garantire l’accesso delle persone sorde al servizio di emergenza. Già dal 2021 è attivo il servizio “112Sordi” erogato su tutto il territorio nazionale con un sistema completamente gratuito, che consente l’utilizzo di una chat testuale in tempo reale, la condivisione della posizione geografica, la possibilità di ricevere immagini utili in attesa dei soccorsi e di rispondere a domande interattive estremamente semplici e veloci. Lo scorso anno 482 persone sorde sono state soccorse con questo speciale sistema a loro dedicato.
Il modello di Numero unico di emergenza europeo sviluppato in Italia, fortemente permeato da tecnologie sempre più sofisticate, messe gratuitamente al servizio della sicurezza dei cittadini, esprime una forte collaborazione istituzionale che vede il governo del sistema affidato ad una regia integrata tra Stato e Regioni.
Tutte le componenti del NUE 1.1.2. (ministero dell’Interno, ministero delle Imprese e del Made in Italy, ministero della Difesa, ministero dell’Economia e Finanze, dipartimento delle Politiche europee della Presidenza del consiglio dei ministri, ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ministero della Salute e Conferenza Stato Regioni) sono rappresentate nella Commissione consultiva del ministero dell’Interno. A livello territoriale sono le Prefetture capoluogo di Regione a coordinare i gruppi di monitoraggio, nel cui ambito sono rappresentate tutte le componenti istituzionali coinvolte.
RungeBot
in reply to Giovanni Petri • • •