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Al summit di Vilnius, Tajani indica la linea di Roma nella Nato


Nella tarda mattinata dell’11 luglio il ministro degli Esteri Antonio Tajani è intervenuto al Nato Public Forum: in un dialogo con la giornalista Hadley Gamble, conduttrice e corrispondente internazionale per Cbnc, Tajani ha sviscerato l’approccio italian

Nella tarda mattinata dell’11 luglio il ministro degli Esteri Antonio Tajani è intervenuto al Nato Public Forum: in un dialogo con la giornalista Hadley Gamble, conduttrice e corrispondente internazionale per Cbnc, Tajani ha sviscerato l’approccio italiano alle principali questioni di interesse per l’Alleanza Atlantica.

La prima questione affrontata è stata quella del rischio nucleare, e degli esiti del meeting con i vertici dell’Iaea per discutere dei rischi legati alla centrale nucleare di Zaporizhia, meeting a cui Tajani stesso ha preso parte. Il ministro degli Esteri ha ribadito il sostegno italiano alla strategia, perseguita dall’Agenzia, di lavorare alla creazione di una free zone nell’area circostante l’impianto nucleare: l’eventuale raggiungimento di un simile accordo non sarebbe soltanto funzionale al mantenimento di un più elevato livello di sicurezza nei confronti del rischio nucleare, ma anche un primo importante passo all’interno del processo di riappacificazione. Tuttavia, il tintinnare della sciabola nucleare da parte di Mosca rappresenta un grande ostacolo in questa direzione.

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Sulla modernizzazione della difesa collettiva e l’aumento della spesa militare, Tajani ribadisce il forte impegno italiano nei confronti dell’Alleanza e la disponibilità di Roma ad incrementare questo impegno, sia in termini operativi che in termini finanziari. Ma il Ministro degli Esteri rimarca che parallelamente al processo di rafforzamento menzionato, l’Alleanza deve riflettere sul dove e sul come allocare le nuove risorse disponibili, rimanendo concentrata sull’Ucraina ma senza tralasciare altre fonti di instabilità: il bacino mediterraneo con Daesh, Wagner e Boko Haram; l’Iran e la sua questione nucleare; il teatro indo-pacifico.

Riguardo a quest’ultimo, Tajani esprime una dicotomia India-Cina che caratterizza l’approccio italiano. Roma si impegna a dialogare con entrambe, ma in termini diversi. Mentre con Delhi, “la principale democrazia della regione”, il dialogo sembra essere più disteso e gli interessi più coincidenti, con Pechino la situazione è diversa: l’obiettivo della politica estera italiana e dell’Occidente in generale deve essere quello di rapportarsi con la Cina per garantire una competizione economica leale, libera da fenomeni sleali e dannosi come il dumping. In questo senso, il tour cinese del segretario del tesoro statunitense Janet Yellen è stato enfatizzato da Tajani come un esempio virtuoso dell’approccio da adottare.

Quando la moderatrice riporta il focus sul mediterraneo e sul ruolo di “prima linea” svolto dall’Italia, il Ministro degli Esteri denota come le cause di instabilità nella regione siano molteplici: immigrazione, povertà, terrorismo, cambiamento climatico, penetrazione russa. Fattori spesso concatenati tra di loro: ogni contadino che smette di lavorare la terra per le conseguenze del cambiamento climatico è un nuovo potenziale miliziano di Daesh. Per Tajani Bruxelles si dovrebbe fare artefice di un nuovo “Piano Marshall Europeo” atto a garantire una stabilità economica e sociale nella parte di Africa che va dall’area Sub-sahariana al Corno d’Africa, le cui dinamiche impattano fortemente su quelle del bacino mediterraneo.

Riguardo al conflitto ucraino, Tajani evidenzia come l’impegno italiano non sia rivolto contro la Russia, ma soltanto a protezione dell’Ucraina, del diritto internazionale e dei valori di libertà e democrazia, in cui l’Italia si riconosce. E alla domanda della moderatrice sulla disponibilità italiana a continuare a inviare armamenti all’Ucraina anche dopo il 2023, il Ministro degli Esteri afferma che l’Italia è pronta a fare quello che sarà necessario. Sull’integrazione dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica il rappresentante della Farnesina condivide l’approccio americano di lavorare step-by-step e individua il primo di questi passi, una volta terminati gli scontri, nella creazione di un Nato-Ukraine Council, piattaforma politica e militare per cooperare non soltanto riguardo alla questione ucraina, ma sul piano globale.

Su quello che invece riguarda l’engagement politico ed economico dell’Italia verso Kiev, Tajani incita all’azione. L’obiettivo è di ricostruire l’Ucraina e di integrarla nello spazio comune europeo. Ma questa ricostruzione deve iniziare già oggi, per mandare importanti segnali agli attori nazionali e internazionali. Il Ministro degli Esteri sottolinea come gli investimenti e la diplomazia portino risultati importanti citando alcuni casi che vedono direttamente coinvolta l’Italia, come i processi di riappacificazione nell’ex-Yugoslavia o l’organizzazione di eventi multilaterali per discutere di sviluppo economico e di infrastrutture con i paesi partner. Se si tralascia questa dimensione, ammonisce Tajani, c’è il rischio di perdere il sostegno degli apparati locali, regalando preziose opportunità a Mosca e ad altri stati non-europei.


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Scacco a Putin. L’invettiva di Garri Kasparov al summit Nato


Cosa ci fa uno scacchista al Summit Nato? Non si tratta di un giocatore qualsiasi ma del celebre Grande maestro Garry Kasparov, intervenuto in occasione del Nato Public Forum di Vilnius nel panel “Non lasciare nessuno indietro: l’imperativo della sicurezz

Cosa ci fa uno scacchista al Summit Nato? Non si tratta di un giocatore qualsiasi ma del celebre Grande maestro Garry Kasparov, intervenuto in occasione del Nato Public Forum di Vilnius nel panel “Non lasciare nessuno indietro: l’imperativo della sicurezza umana”, moderato da Vivian Salama, giornalista per la sicurezza nazionale del Wall Street Journal. Considerato uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi e una vera e propria leggenda per la disciplina, Kasparov è stato campione del mondo di scacchi dal 1985 al 2000, per poi ritirarsi dalle scacchiere nel 2005 e iniziare il suo cammino come attivista contro Vladimir Putin. Questo nuovo percorso lo ha portato a divenire inoltre leader e fondatore del partito Fronte civile unito, un movimento politico e sociale ispirato a ideali socialdemocrazia e liberalismo sociale in forte contrasto con la politica del Cremlino.

Performance mafiosa

Dopo i fatidici e chiacchierati eventi del 24 giugno, un alone di mistero continua a permanere sulla sorte del leader del gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin, nell’era “post-golpe”. “Qualunque sia il nome da dare alla performance di Prigozhin, ammutinamento, ribellione […] da tempo sostengo che analizzando la Russia di Putin dobbiamo cercare il padrino: è uno stato mafioso. La sfida di Prigozhin va vista da questo punto di vista”, ha spiegato Kasparov. A detta dell’attivista esiste infatti una vera e propria mafia di San Pietroburgo, sempre più preoccupata di perdere i propri affari e opportunità di business, a causa delle ripercussioni economiche della guerra in Ucraina, più che del conflitto e delle sue ragioni in sé.

Sgretolamento della società civile russa

Nel frattempo, il largo consenso intorno alla figura di Putin va a indebolirsi e scalfirsi progressivamente con l’avanzare del conflitto, e secondo l’ex campione del mondo “sempre più persone all’interno della cerchia ristretta di Putin sono davvero preoccupate per le sue politiche fallimentari”. A detta sua oggi questo è esacerbato dal fatto che “in Russia non esista una società civile”, a causa dell’operato di un regime post-sovietico che ha trascorso gli ultimi decenni a prendere man mano sempre più controllo dello spazio pubblico limitando il dissenso.

Una sfida all’Alleanza

Fin dall’inizio dell’invasione del territorio ucraino, Mosca non ha lasciato spazio a molti dubbi nel dichiarare che “non è una guerra contro l’Ucraina, è una guerra contro la Nato”, come ha riportato Kasparov. Secondo lo scacchista, la liberazione della Russia, da quello che lui ha definito il “fascismo di Putin”, non potrà vedere la luce fino a che “la bandiera ucraina verrà issata a Sebastopoli” (in Crimea). Il punto è quindi agire anche sui cuori e le menti: “Bisogna uccidere l’idea dell’impero nella mente dei russi. Devono capire che la guerra è persa. Se la storia russa è una guida, i cambiamenti in Russia sono iniziati proprio con le guerre perse”.

La guerra di valori

Un po’ come fatto già all’inizio dell’invasione russa, a febbraio 2022 con le sue “8 mosse contro Putin”, il Grande maestro ha proposto la sua personale ricetta strategica per dare uno scacco matto al presidente russo, il che in questo caso coincide con la vittoria ucraina nella guerra in corso. I tre elementi che porteranno alla vittoria le forze di Kiev secondo lui saranno infatti: “liberazione, riparazione e giustizia”. Ed è proprio questo terzo elemento a essere portante nel dividere l’élite russa, “per inviare un messaggio molto chiaro: tutti i criminali di guerra saranno consegnati alla giustizia”. In tale quadro Kasparov ha dato inoltre una sua risposta al grande dibattito intorno alla questione se si tratti di una guerra della Russia o di Putin, affermando che: “Purtroppo ora è la guerra della Russia e ogni cittadino russo, me compreso, ha la responsabilità collettiva dei crimini commessi in Ucraina”. Il conflitto veste dunque i panni di guerra di valori che, come ha spiegato ancora Kasparov, “non può finire al tavolo dei negoziati”. E l’augurio è che la guerra finisca il prima possibile e che la Russia post conflitto rifletta seriamente sulla sua trasformazione “da impero a confederazione e repubblica”, ha concluso il Grande maestro.


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Non c’è Nato se Kyiv perde. Ma gli alleati si dividono sull’adesione


“Se l’Ucraina non vince come nazione democratica e indipendente non ci sarà motivo di discutere delle garanzie di sicurezza o dell’ingresso nella Nato”, ha detto Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, in apertura del summit di Vilnius, in Litua

“Se l’Ucraina non vince come nazione democratica e indipendente non ci sarà motivo di discutere delle garanzie di sicurezza o dell’ingresso nella Nato”, ha detto Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, in apertura del summit di Vilnius, in Lituania. “Il presidente Volodymyr Zelensky sarà con noi questa sera a cena e domani per inaugurare il Consiglio Nato-Ucraina: sono certo che gli alleati lanceranno un messaggio forte per sottolineare la necessità che l’Ucraina si avvicini alla Nato”, ha continuato.

Ma le bozze del comunicato finale non prevedono un percorso definito per l’ingresso dell’Ucraina. Nel comunicato finale del summit di Vilnius, infatti, dovrebbe figurare soltanto un passaggio in cui i leader della Nato dichiarano di essere pronti a “estendere all’Ucraina l’invito a entrare nell’Alleanza quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte”. Lo si apprende da fonti qualificate. I negoziati però sono ancora in corso e il linguaggio finale “non è ancora del tutto stabile”.

L’assenza di un calendario è “inaudito e assurdo”, ha tuonato Zelensky. Sul suo canale Telegram, il presidente ucraino ha sostenuto che l’incertezza sul futuro di Kyiv nella Nato incoraggia la Russia a continuare la guerra: “L’incertezza è debolezza”, ha scritto. “Rispettiamo i nostri alleati”, ha continuato. “Apprezziamo la sicurezza condivisa. E apprezziamo sempre una conversazione aperta. Ma anche l’Ucraina merita rispetto”.

Sarà il G7 a emettere una dichiarazione sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina, ha annunciato il cancelliere tedesco Olaf Scholz arrivando al summit. La dichiarazione potrebbe anche arrivare domani, dicono fonti diplomatiche, ma tutto dipenderà dagli ultimi contatti fra le capitali. Il formato potrebbe anche essere quello del cosiddetto “G7 plus”, quindi anche con la Corea del Sud.

Berlino ha anche annunciato che invierà a Kyiv armi supplementari per un valore di 700 milioni di euro. Secondo contributore in termini di aiuti militari all’Ucraina dopo gli Stati Uniti, la Germania aveva già annunciato il 13 maggio consegne di armi per 2,7 miliardi di euro. Anche Parigi ha promesso nuove armi. La Francia, infatti, invierà all’Ucraina missili a lungo raggio Scalp, ha annunciato il presidente Emmanuel Macron al vertice Nato. Gli Scalp aiuteranno le forze di Kyiv a colpire obiettivi in profondità dietro le linee russe e sono già forniti da Londra con il nome di Storm Shadow.

Le forniture di missili a lungo raggio all’Ucraina da parte della Francia sono un errore che avrà conseguenze per l’Ucraina, ha detto Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, nel suo quotidiano colloquio con i giornalisti. La Russia dovrà stabilire la portata esatta dei missili, ha aggiunto. Analogamente, ha prospettato “evidenti implicazioni negative” per la sicurezza della Russia connesse all’adesione della Svezia alla Nato e che “risponderà” con misure analoghe a quelle adottate dopo l’ingresso della Finlandia nell’Alleanza atlantica. “I leader europei non sembrano capire che spostare le infrastrutture della Nato verso i confini della Russia è un errore”, ha rincarato Peskov, ribadendo che la situazione attuale nasce dalla “avanzata” Nato verso l’Europa centrale e orientale. Sul vertice di Vilnius ha affermato che è pervaso di “spirito anti-russo”.


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Domani, mercoledì 12 luglio sarà in Toscana in segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista per la prima giornata della Festa di Liberazione


Open Letter: Commissioner Reynders asked to correct unacceptable accusations against NGOs


Lettera aperta: Il Commissario Reynders chiede di correggere le accuse inaccettabili contro le ONG Il commissario europeo Reynders ha ripetutamente attaccato le "organizzazioni non profit" come la noyb, sostenendo che esse portano i casi davanti alla CGUE come "modello di business".
EU Commissioner Reynders presenting the


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Il Nato Public Forum al Summit di Vilnius. I video dell’evento


Pomeriggio 11 luglio Mattina 11 luglio L’11 e 12 luglio 2023, i capi di Stato e di governo della Nato si sono riuniti a Vilnius, in Lituania, in occasione del vertice dell’Alleanza Atlantica che dovrà affrontare le sfide dell’attuale contesto di sicurezza

Pomeriggio 11 luglio

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Mattina 11 luglio

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L’11 e 12 luglio 2023, i capi di Stato e di governo della Nato si sono riuniti a Vilnius, in Lituania, in occasione del vertice dell’Alleanza Atlantica che dovrà affrontare le sfide dell’attuale contesto di sicurezza internazionale.

Per l’occasione, l’Alleanza, insieme al Centro Studi sull’Europa Orientale, al German Marshall Fund degli Stati Uniti, alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco e al Consiglio Atlantico organizza il Nato Public Forum, un evento pubblico che mira a promuovere una migliore comprensione delle politiche e degli obiettivi della Nato e delle decisioni che saranno adottate al vertice di Vilnius, di cui Formiche è Partner istituzionale per l’Italia.

Il Forum presenta una serie di tavole rotonde, dibattiti e sessioni interattive su vari argomenti dell’agenda della Nato attraverso il dialogo e l’impegno di un gruppo unico e diversificato di parti interessate, dai capi di Stato e di governo e dai ministri, agli esperti di sicurezza internazionale, agli opinionisti, agli accademici, ai giornalisti e ai giovani.


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Cosa porta Seul verso Bruxelles (sede di Nato e Ue). Conversazione con Frassineti


Il presidente sudcoreano, Yoon Suk-yeol, sarà uno dei protagonisti asiatici al Summit Nato di Vilnius che parte oggi, 11 luglio. Invitato di primo piano e host dell’incontro dell’AP4, ossia della riunione separata che l’alleanza dedicherà ai quattro partn

Il presidente sudcoreano, Yoon Suk-yeol, sarà uno dei protagonisti asiatici al Summit Nato di Vilnius che parte oggi, 11 luglio. Invitato di primo piano e host dell’incontro dell’AP4, ossia della riunione separata che l’alleanza dedicherà ai quattro partner dell’Asia Pacifico – Corea del Sud, Giappone, Australia, Nuova Zelanda.

Sin dalla sua elezione nel maggio 2022, Yoon ha spinto per rafforzare la cooperazione in ambito di sicurezza con l’Europa e gli altri alleati degli Stati Uniti (in primis con il Giappone, con cui le relazioni stanno rifiorendo dopo anni di attriti), per scoraggiare le minacce nucleari e missilistiche della Corea del Nord, per approfondire la cooperazione internazionale in materia di sicurezza anche a seguito delle tensioni con la Cina. L’obiettivo è aumentare il proprio contributo alle sfide globali (non ultimo sfruttando un ruolo attivo nell’invasione della Russia in Ucraina).

L’anno scorso a Madrid era stata la prima volta in cui i quattro leader dell’Asia-Pacifico partecipavano a un vertice della Nato. In quell’occasione, l’allora neo-eletto presidente Yoon aveva affermato che i nuovi conflitti e la competizione globale rappresentano una minaccia per i valori universali. Quest’anno, la sua presenza “rafforzerà la cooperazione con l’alleanza e invierà un monito unito che la comunità internazionale non tollererà le attività illegali della Corea del Nord”, ha dichiarato un funzionario sudcoreano che ha informato i giornalisti sull’agenda del presidente.

Storico alleato degli Stati Uniti e oggi ottavo esportatore di armi su scala globale, la Corea del Sud durante il vertice potrebbe subire nuove pressioni per fornire armi all’Ucraina (Seul si è limitata ad autorizzare l’invio del c.d. ‘materiale non letale’ che include attrezzature per lo sminamento e ambulanze). Finora l’amministrazione di Yoon ha resistito, diffidando dell’influenza russa sulla Corea del Nord. Alcuni rumors diffusi dai media sudcoreani hanno fatto intendere che Yoon potrebbe visitare l’Ucraina come parte del suo viaggio, replicando un passaggio simile del giapponese Fumio Kishida. Ci sono state parziali smentite, quello che è certo è che il sudcoreano passerà anche dalla Polonia. Seul e Varsavia hanno notevolmente rafforzato i propri rapporti economici e strategici, anche per quanto riguarda il commercio di armi e l’energia nucleare.

La Polonia è diventata una destinazione chiave per le esportazioni dell’industria della difesa sudcoreana, soprattutto all’indomani dell’aggressione russa all’Ucraina che ha imposto un’accelerazione ai piani di Varsavia per rinnovare le proprie forze armate. L’anno scorso le aziende sudcoreane hanno firmato contratti per un valore stimato tra 15 e 20 miliardi di dollari – la vendita più cospicua mai realizzata dall’industria della difesa sudcoreana – per fornire all’esercito polacco carri armati, munizioni e obici semoventi. Choi Sang-mok, segretario presidenziale per la politica economica, ha dichiarato che la visita in Polonia di Yoon aiuterà anche a rafforzare le catene di approvvigionamento, a garantire nuovi mercati di esportazione e a espandere la cooperazione nella ricostruzione dell’Ucraina.

Cooperazione su vasta scala

Il momento centrale della presenza di Yoon al summit di Vilnius sarà la firma di un accordo per istituzionalizzare la cooperazione tra la Corea del Sud e la Nato, ricorda Francesca Frassineti, ricercatrice dell’Università di Bologna e di Ispi, esperta di penisola coreana e regione indo-pacifica. L’intesa riguarderà 11 settori tra cui la non proliferazione, la cyber sicurezza e le tecnologie emergenti. “Vale la pena ricordare – continua Frassineti che parla con Formiche.net da Seul, dove ha recentemente presentato un paper accademico proprio sulle relazioni tra Nato e Seul – che in termini di cooperazione nel dominio cibernetico la Corea del Sud nel 2022 è stata inserita nel Nato Cooperative Cyber Defense Center of Excellence con sede a Tallin, un passaggio che ha anticipato l’inaugurazione, lo scorso novembre, della rappresentanza diplomatica della Repubblica di Corea presso la Nato a Bruxelles”.

“L’aspetto interessante che riguarda la posizione sudcoreana è la continuità tra l’attuale amministrazione conservatrice e quella precedente guidata invece dai democratico-progressisti. Seul sta rafforzando la narrazione e il messaggio circa la volontà di potenziare i legami con la Nato e l’Unione europea; con quest’ultima la Corea del Sud celebra propro quest’anno il 60º anniversario delle relazioni diplomatiche”, spiega Frassineti. Moon Jae-in, il leader del Partito Democratico che ha preceduto alla presidenza Yoon, era stato il primo a mandare un inviato speciale presso l’Ue, scelta presa anche dall’attuale presidente Yoon. “Questa maggiore attenzione nei confronti dell’Europa è indice di una rinnovata consapevolezza da parte sudcoreana che l’Ue può essere molto più che un partner economico-commerciale. I recenti accordi in materia di fornitura di risorse per la difesa con diversi Paesi dell’Europa orientale, alcuni di questi anche membri della Nato, aggiungono un elemento nuovo e approfondiscono il partenariato anche in materia di difesa e sicurezza”, aggiunge l’esperta. All’inizio dell’anno, incontrando il riconfermato segretario generale Jens Stoltenberg, Yoon ha ribadito l’impegno sudcoreano a essere molto più di un “partner across the globe”. “Possiamo aspettarci — continua Frassineti — che Yoon a Vilnius cercherà di mettere a frutto gli sforzi compiuti negli ultimi dodici mesi per accrescere il profilo internazionale della Corea del Sud, muovendosi diversamente rispetto allo scorso anno quando aveva presenziato fresco di elezione e con pochissima esperienza politica. Probabilmente riceverà un tipo di accoglienza più attenta da parte degli altri leader. Certo, resta aperta la questione del sostegno militare all’Ucraina in quanto la posizione del governo di Seul ha scontentato molti”.

Qual è il feedback a livello di opinione pubblica di questo orientamento strategico sudcoreano? “In generale – risponde Frassineti – un maggiore attivismo a livello internazionale è visto positivamente. Nel caso del partenariato strategico con l’Ue e, più recentemente, di legami più stretti con la Nato, si osserva un sostegno bipartisan da parte dei due principali schieramenti politici. A livello di opinione pubblica la percezione dell’Europa è molto positiva, soprattutto tra i giovani, anche grazie alle attività di public diplomacy condotte dalla rappresentanza dell’Ue in Corea del Sud e all’operato dei centri di eccellenza Jean Monnet all’interno delle principali università del Paese”.

Se per l’amministrazione Moon l’area di interesse principale per la politica estera sudcoreano era in realtà il Sudest asiatico e non in prima battuta l’Europa, con Yoon si nota un una riconsiderazione in tal senso soprattutto dovuta alla necessità di mantenere saldi i rapporti con gli Stati Uniti e all’impatto della guerra in Ucraina. Per Frassineti, i tentativi sudcoreani di approfondire i legami con i partner europei stanno avendo buoni risultati probabilmente anche per il fatto che negli ultimi anni la Corea del Sud così come alcuni Paesi europei sono stati il bersaglio della coercizione proveniente dalla Cina e dalla Russia. “Si osserva una crescente convergenza nella percezione della minaccia tra europei e partner asiatici. Quando a Seul si valutava la posizione da prendere sulla crisi ucraina, e soprattutto la vendita di armi alla Polonia, la Russia aveva minacciato esplicitamente la Corea del Sud. Yoon in quell’occasione aveva dimostrato di saper reggere la sfida. Con molta probabilità la risposta del suo governo sarebbe molto diversa nel caso in cui le stesse pressioni arrivassero dalla Cina”.

L’attuale amministrazione conservatrice ha dimostrato l’intenzione di portare avanti una politica estera allineata a quella statunitense e di esporsi, almeno a parole, contro i tentativi di ribaltare l’ordine liberale internazionale fondato su regole condivise, ma con Pechino permangono criticità e forme di interdipendenza complesse da gestire. Anche a questo per Seul serve l’allineamento con la Nato.


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“AI+: Generative AI for Business. Una nuova intelligenza artificiale per il business”


Giovedì 13 luglio a partire dalle 18.00 parteciperò all’incontro “AI+: Generative AI for Business. Una nuova intelligenza artificiale per il business” incentrato sui sistemi di intelligenza artificiale e generative AI, sulla loro precisione e affidabilità. L’appuntamento è organizzato dal Centro di Ricerca in Strategic Change “Franco Fontana” in collaborazione con IBM si terrà The Dome,... Continue reading →



Ricordiamo chi ha inventato lo Zero

@Zeroverso

मुक्त ज्ञानकोश विकिपीडिया से
शून्य
Estela C de Tres Zapotes.jpg
ईपीआई-ओल्मेक स्क्रिप्ट।
शून्य (०) एक अंक है जो संख्याओं के निरूपण के लिये प्रयुक्त आजकी सभी स्थानीय मान पद्धतियों का अपरिहार्य प्रतीक है। इसके अलावा यह एक संख्या भी है। दोनों रूपों में गणित में इसकी अत्यन्त महत्वपूर्ण भूमिका है। पूर्णांकों तथा वास्तविक संख्याओं के लिये यह योग का तत्समक अवयव है।

ग्वालियर दुर्ग में स्थित एक छोटे से मन्दिर की दीवार पर शून्य (०) उकेरा गया है जो शून्य के लेखन का दूसरा सबसे पुराना ज्ञात उदाहरण है। यह शून्य आज से लगभग १५०० वर्ष पहले उकेरा गया था।[1]

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La Nato si occupi di più della lotta alle interferenze russe e cinesi, dice Cesa


Inizia oggi il summit Nato a Vilnius, in Lituania, alla viglia del quale la Turchia ha dato il suo via libera all’adesione della Svezia. Ne parliamo con Lorenzo Cesa, segretario dell’Unione di Centro ed eletto alla Camera nella lista Noi moderati, nuovo p

Inizia oggi il summit Nato a Vilnius, in Lituania, alla viglia del quale la Turchia ha dato il suo via libera all’adesione della Svezia. Ne parliamo con Lorenzo Cesa, segretario dell’Unione di Centro ed eletto alla Camera nella lista Noi moderati, nuovo presidente della delegazione parlamentare italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato.

Come valuta il rinnovo del mandato di segretario generale della Nato per Jens Stoltenberg?

Non possiamo che vedere positivamente la riconferma di Jens Stoltenberg. Riteniamo, infatti, che soprattutto in un momento delicato come quello attuale, a livello internazionale, nell’area euro-atlantica, ci sia bisogno di stabilità e di continuità per gli assetti organizzativi della Nato.

Come si presenta l’Italia al summit di Vilnius?

L’Italia – che è uno dei Paesi fondatori dell’Alleanza Atlantica, nonché il secondo Paese per numero di truppe impegnate in missioni Nato e il quinto contributore in termini finanziari – ha sempre avuto un ruolo cruciale nella Nato e al summit a Vilnius intende svolgere un ruolo da protagonista, anche e soprattutto relativamente all’attuale politica estera che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il governo italiano stanno promuovendo sull’area del Mediterraneo.

Il Consiglio Nato-Ucraina che verrà inaugurato rappresenta un primo passo verso l’adesione dell’Ucraina all’alleanza? È il “chiaro segnale” che ha auspicato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky?

Sicuramente sì. Ben venga il fatto che venga istituita la Commissione permanente Nato-Ucraina, un impegno importante teso a consolidare i rapporti tra i Paesi dell’Alleanza e Kyiv. È chiaramente un segnale positivo e di apertura che rappresenta un passo in avanti nel percorso verso l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza atlantica, anche se – come ha detto, con molto realismo, il presidente Volodymyr Zelensky –, sarà possibile farlo solo al termine del conflitto con la Russia. Nel frattempo, l’Italia continuerà a sostenere Kyiv nel conflitto contro la Federazione russa.

Quasi quattro anni fa il presidente francese Emmanuel Macron definiva la Nato in stato di “morte cerebrale”. Com’è cambiata da allora l’alleanza?

Dopo il crollo del muro di Berlino, si pensava, forse, che della Nato non ci fosse più bisogno. Oggi, invece, è cambiata completamente la percezione: con lo scoppio della guerra in Ucraina, si è tornati a capire la centralità e il rilievo dell’Alleanza che ha ripreso i valori originari adattandosi ai nuovi scenari geopolitici.

Quali sono gli impegni futuri per la Nato?

Ci focalizzeremo su come contribuire al rafforzamento della postura dell’Alleanza Atlantica, aumentando le potenzialità di difesa dei Paesi membri, con l’adeguamento delle spese militari e concordando nuovi impegni e investimenti che vadano oltre il livello minimo del 2% del Pil. Su questo tema, come delegazione italiana, abbiamo sollevato una questione importante: specificare quali siano le voci che rientrano nel 2% come, per esempio, gli investimenti nella cybersecurity, il contrasto al terrorismo, le crisi alimentari e così via. L’altro importante obiettivo che ci prefiggiamo è svolgere un ruolo più incisivo nell’ambito del Dialogo mediterraneo. In questo contesto, sarà cruciale l’attività del Gruppo speciale Mediterraneo Medio Oriente, nato proprio su iniziativa italiana, e sarà fondamentale spingere sui partenariati stimolando la cooperazione. Proprio per dare risalto a questi aspetti/temi, nella primavera del 2024, si svolgerà in Italia la conferenza sul Dialogo mediterraneo con la finalità di allargarci anche ad altri Paesi dell’Unione africana e del Medio Oriente.

Negli ultimi scorsi in Italia si è tornati a parlare di interferenze russe e di tentativi di destabilizzare la collocazione internazionale del nostro Paese, anche tramite denaro. L’Italia ha l’antidoto per resistere a quante attività?

È evidente che sono questioni che riguardano tutti i Paesi e non solo l’Italia. È altrettanto chiaro che come Nato dovremo sempre di più occuparci di questi argomenti, ovvero proteggere più efficacemente le vulnerabilità dell’Occidente dalle nuove minacce e sfide non solo provenienti dalla Russia ma anche dalla Cina.

Come può fare in questo senso l’Italia l’anno prossimo da presidente del G7?

Come ho sottolineato prima, è fondamentale che vi sia collaborazione tra i Paesi per affrontare questo importante tema. Servono risposte univoche per fare in modo che queste risposte siano efficaci su un argomento così delicato e complesso. L’Italia, che avrà il compito di presiedere il G7, come sempre, assumerà un ruolo di primo piano contribuendo, in maniera attiva, ad individuare iniziative condivise con gli altri Paesi.


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In Cina e Asia – Al via il summit Asean di Jakarta


In Cina e Asia – Al via il summit Asean di Jakarta asean summit
I titoli di oggi:
Al via il summit Asean di Jakarta
Il Sud-Est asiatico contro le bombe a grappolo Usa dirette in Ucraina
Isole Salomone, la partnership con la Cina è ora ufficiale
Via Yellen, Xi incontra la portavoce del Consiglio russo
A cena con Yellen, i netizen cinesi criticano le donne che hanno condiviso l'esperienza sui social
India e chip, Foxconn si ritira dalla joint venture con Vedanta

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“Premio Lagrange-Fondazione CRT”


Ieri sera è stato un piacere poter partecipare al Premio Lagrange – Fondazione CRT, il massimo riconoscimento internazionale per la scienza dei sistemi complessi con il quale è stata insignita Tina Eliassi Rad.


guidoscorza.it/premio-lagrange…



Laura Tussi* Sin dagli anni ottanta il Centro di Educazione alla Pace di Rovereto ha portato avanti una fondamentale attività per la diffusione di una cultu


La Commissione europea assegna il terzo round ai trasferimenti di dati UE-USA alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea

@Etica Digitale (Feddit)

Nuovo Trans-Atlantic Data Privacy Framework in gran parte una copia di "Privacy Shield". #noyb contesterà la decisione.

Il terzo tentativo della Commissione europea di ottenere un accordo stabile sui trasferimenti di dati UE-USA tornerà probabilmente alla Corte di giustizia (CGUE) nel giro di pochi mesi. Il presunto "nuovo" Trans-Atlantic Data Privacy Framework è in gran parte una copia del fallito "Privacy Shield". Nonostante gli sforzi di pubbliche relazioni della Commissione europea, ci sono pochi cambiamenti nella legge statunitense o nell'approccio adottato dall'UE. Il problema fondamentale con FISA 702 non è stato affrontato dagli Stati Uniti, in quanto gli Stati Uniti continuano a ritenere che solo le persone statunitensi siano degne di diritti costituzionali

noyb.eu/en/european-commission…


European Commission gives EU-US data transfers third round at CJEU


New Trans-Atlantic Data Privacy Framework largely a copy of "Privacy Shield". noyb will challenge the decision.


Third attempt of the European Commission to get a stable agreement on EU-US data transfers will be likely back at the Court of Justice (CJEU) in a matter of months. The allegedly "new" Trans-Atlantic Data Privacy Framework is largely a copy of the failed "Privacy Shield". Despite the European Commission's public relations efforts, there is little change in US law or the approach taken by the EU. The fundamental problem with FISA 702 was not addressed by the US, as the US still takes the view that only US persons are worthy of constitutional rights.

...

[continue reading on the source web page]


in reply to The Privacy Post

l'Unione Europea non fa gli interessi degli USA 🤡


L’Atlantico «orientale»: accordi con Tokyo e Seul


L’Atlantico «orientale»: accordi con Tokyo e Seul 8173740
Al summit della Nato anche i rappresentanti del gruppo Ap4. Verso l'annuncio due documenti di cooperazione con Giappone e Corea del sud, sarà invece rinviata la decisione sull'apertura di un ufficio a Tokyo

L'articolo L’Atlantico «orientale»: accordi con Tokyo e Seul proviene da China Files.



Oggi in Israele “Giorno della resistenza” contro la riforma della giustizia


La scorsa notte è stato approvato in prima lettura un articolo della riforma della giustizia che mira a cancellare la possibilità per i giudici di pronunciarsi sulla "ragionevolezza" delle decisioni del governo. L'articolo Oggi in Israele “Giorno della r

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della redazione

(foto di archivio)

Pagine Esteri, 11 luglio 2023 – E’ cominciato in Israele il “Giorno di resistenza” contro la riforma della Giustizia del governo di Benyamin Netanyahu in risposta all’approvazione alla Knesset in prima lettura (su 3) dell’eliminazione della cosiddetta “clausola di ragionevolezza”. Migliaia di manifestanti oggi bloccano strade a Haifa, Gerusalemme e a Tel Aviv ed uno sciopero paralizza molte attività lavorative. La polizia ha effettuato alcuni arresti.

Il testo è stato adottato con 64 voti a favore, corrispondenti ai membri della coalizione di governo. I 56 deputati dell’opposizione hanno votato contro.

L’articolo della riforma approvato in prima lettura mira a cancellare la possibilità per i giudici di pronunciarsi sulla “ragionevolezza” delle decisioni del governo. Secondo i partiti di estrema destra e religiosi che compongono la maggioranza al potere, la nuova legge garantirebbe un migliore equilibrio dei poteri. Gli oppositori la vedono come una minaccia alla democrazia e in particolare ai poteri di controllo della Corte Suprema.

In un video diffuso ieri Netanyahu ha detto che la legge “non è la fine della democrazia, ma che rafforzerà la democrazia”. L’opposizione ha promesso per oggi una giornata di azione nazionale domani contro il disegno di legge, che sarà sottoposto a seconda e terza lettura. Pagine Esteri

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GERUSALEMME. Espulsa dalla sua abitazione la famiglia palestinese Sub Laban


Noura e Mustafa Sun Laban vivevano in affitto protetto dal 1953. I giudici israeliani hanno assegnato la loro casa ad una organizzazione di coloni L'articolo GERUSALEMME. Espulsa dalla sua abitazione la famiglia palestinese Sub Laban proviene da Pagine E

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della redazione

(nella foto Noura Sub Laban)

Pagine Esteri, 11 luglio 2023 – Con un blitz scattato alle prime ore del giorno, reparti speciali della polizia israeliana ha fatto irruzione nella casa della famiglia palestinese Sub Laban nel quartiere di Aqabat al-Khalidiya, a pochi metri dalla moschea di Al-Aqsa nella città vecchia di Gerusalemme, e ha espulso gli anziani Noura, 68 anni, e Mustafa Sub Laban, 73 anni. Sgomberati anche gli attivisti locali e internazionali che da settimane presidiavano l’abitazione che questa mattina è stata consegnata a una famiglia di coloni israeliani. Si chiude con un atto di forza, dopo decenni di battaglie legali contro il provvedimento di espulsione dal piccolo appartamento in cui ha vissuto sin dagli anni ’50 in affitto protetto, la vicenda della famiglia Sub Laban che ha generato attenzione internazionale.

GUARDA ALCUNI MOMENTI DELLO SGOMBERO

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Lo sgombero è giunto dopo che l’Alta corte israeliana aveva sentenziato la fine del contratto di locazione della coppia di anziani a favore dell’associazione “Galizia” – legata alla destra estrema israeliana – che dal 2010 cercava di sfrattare la famiglia palestinese. La casa era stata affittata dalle autorità giordane ai Sub Laban nel 1953 e da allora, come altri appartamenti nella città vecchia di Gerusalemme, è soggetta a contratto di locazione protetta. Secondo la “Galazia” la casa sarebbe appartenuta prima del 1948 ad una famiglia ebraica ed ha ottenuto dai giudici israeliani il via libera ad occuparla al posto dei Sub Laban.

«Mia madre affittò questa casa nel 1953, dalle autorità giordane che allora controllavano la zona araba di Gerusalemme», racconta Nora. «In questa casa ci sono nata e ho continuato a viverci assieme a mio marito e ai miei figli in affitto protetto», aggiunge facendo riferimento alla condizione in cui si trovano tante famiglie palestinesi residenti all’interno delle mura antiche a Gerusalemme Est occupata da Israele nel 1967. Garantite per decenni da intese tra Israele, Giordania e Nazioni Unite, ora si sentono indifese.

Lo Stato di Israele da un punto di vista internazionale è considerato una “potenza occupante” a Gerusalemme Est, la zona palestinese della città presa militarmente nel 1967, e non ha il diritto di insediarvi la sua popolazione civile.

Da questa mattina si ripetono le proteste di attivisti nella città vecchia contro l’espulsione dei Sub Laban. La polizia ha arrestato almeno cinque persone. Pagine Esteri

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I Paesi dell’UE si sono schierati sulle misure a sostegno dell’innovazione, previste nel regolamento sull’IA. L’AI Act è una proposta storica per regolamentare l’intelligenza artificiale in base al suo potenziale di danno. Il disegno di legge si trova nell’ultima fase...


PRIVACYDAILY


N. 162/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Gli sforzi del Congresso per rafforzare la sicurezza e la privacy dei bambini online, in un contesto di crisi della salute mentale giovanile, si scontrano con l’opposizione dei lobbisti che sostengono che le proposte legislative sarebbero controproducenti. “Ciò che è così frustrante è che gli interessi specifici di... Continue reading →


Ma il famoso messaggio di prova di #ITAlert era previsto che lo ricevessero tutti?
Perché in ufficio c'è stato un trillo in tutti i cellulari tranne il mio 😑


di Frida Nacinovich - Nel pantano del conflitto russo-ucraino affonda anche la propaganda. Ad esempio quella che vorrebbe la Russia di Vladimir Putin ancora


Violante: L’Anm viola la costituzione


Presidente Luciano Violante, lei è stato prima nella magistratura e poi nella politica. Chi ha ragione nell’ennesimo scontro? «Quando gli stessi conflitti politici si ripetono, noiosamente per decenni, bisogna andare alla radice». Vale a dire? «Alla rinun

Presidente Luciano Violante, lei è stato prima nella magistratura e poi nella politica. Chi ha ragione nell’ennesimo scontro?
«Quando gli stessi conflitti politici si ripetono, noiosamente per decenni, bisogna andare alla radice».

Vale a dire?
«Alla rinuncia della politica all’esercizio della propria sovranità in favore della magistratura avvenuta a partire dagli anni “80».

Cosa intende?
«Per non assumersi responsabilità, la politica ha delegato ai giudici non i processi ai singoli imputati di terrorismo, di mafia o di corruzione. Ma la stessa lotta al terrorismo, alla mafia, alla corruzione. E perciò i magistrati sono diventati, di fatto, compartecipi della sovranità . Per questo l’associazione che li rappresenta si muove a volte come titolare di una sovranità. È una stortura democratica».

Allora ha torto la magistratura?
«Bisogna tornare alla Costituzione. La politica, tutta, deve riconquistare la propria sovranità».

Come?
«Oggi i problemi più urgenti sono posti a mio avviso da atteggiamenti dell’Anm non congrui con la rappresentanza di un potere che deve essere terzo. Deve sostenere le proprie ragioni con modalità conformi al ruolo costituzionale della magistratura».

Non pensa che difendendo il valore dell’autonomia e dell’indipendenza l’Anm stia tutelando, come sostiene, anche i diritti dei cittadini?
«Può darsi. Ma l’Anm rappresenta i magistrati non i cittadini. I titolari della rappresentanza generale stanno in Parlamento, non nei tribunali. I contenuti sono a volte condivisibili. Ma il tono, il costume, avrebbe detto Machiavelli, non è condivisibile».

Perché, che tono è?
«Quello di chi si attribuisce un ruolo di rappresentanza generale e si costituisce come controparte del governo o di alcuni suoi membri».

Rispetto agli argomenti ciò non è secondario?
«No. È decisivo. Perché disegna un ruolo. E in questo momento l’Anm rischia di far diventare l’intera magistratura controparte del governo. Ma non lo è, e non può esserlo, a pena di far perdere alla magistratura quella credibilità che è il fondamento della sua legittimazione».

Il sospetto della premier è che parte della magistratura, ispirata da «pezzi grossi del Pd», voglia fermare la riforma Nordio. Lei, che da anni è sospettato di essere il «Grande vecchio» di queste manovre, pensa sia vero?
«Allora forse ero il Grande Giovane (ride ndr). Questi sospetti sono la banalizzazione di temi complessi. Chi governa, qualunque colore abbia, ha un problema di legittimazione quotidiana. Perché, non ogni 5 anni, ma ormai ogni ora, le notizie, vere e false, si propagano velocemente e rendono sempre più inquieto il mare della politica».

E quindi?
«I governi subiscono una sindrome di accerchiamento. Era già successo a Renzi, a Conte, a Berlusconi. Prodi criticò, non senza ragione, alcuni interventi della giustizia amministrativa. Fa parte della dinamica politica. Ma la magistratura deve mantenere la propria autorevolezza, non deve cedere al complesso del ring. Rischia di logorare la propria credibilità, magari cedendo alle sirene di parti interessate, che domani sarebbero pronte a voltare le spalle. Quando è accaduto, si sono trovati all’hotel Champagne».

A pilotare nomine. In quel caso cos’era?
«Una delle cose peggiori: una contrattazione tra politici e magistrati, nell’interesse non della giustizia ma di alcuni singoli».

Il governo mette in fila i casi La Russa, Santanché e Delmastro e formula il sospetto che sia iniziata un’offensiva pre elettorale in vista delle Europee. È così?
«Non vedo questo rischio, anche perché si vota ogni anno. E, come è noto, chi è sotto procedimento in genere guadagna voti, non li perde»

Si riferisce a Berlusconi?
«Anche a Trump».

Il governo reagisce accelerando sulla separazione delle carriere. È la soluzione?
«Sono contrario. Con il sottosegretario Delmastro il pm ha chiesto una cosa e il giudice ne ha fatta un’altra. Più separati di così! In Francia e in Germania è considerato positivo per la professionalità di un magistrato il cambio di funzioni».

Allora come uscirne?
«Mi occupo di diritto da più di mezzo secolo e ho maturato una forte diffidenza nei confronti della invocazione di regole quando mancano i costumi, le educazioni. È una questione di etica pubblica. Ci servono migliori comportamenti da parte di tutti».

L’Anm rivendica il diritto di dare pareri tecnici sulla riforma Nordio. Sbaglia?
«No; ha le competenze per farlo. E alcune osservazioni, come quelle sulla impraticabilità pratica del collegio di tre giudici per le decisioni sulla libertà, sono esatte. Ma non come controparte».

Allora?
«Deve prendere posizione nello spirito della leale collaborazione tra istituzioni, più volte richiamata dalla Consulta. Anche quando l’altra parte non lo fa. Non deve cadere nella trappola del litigio».

Faceva parte dei saggi della Riforme Calderoli Si è dimesso anche lei. Perché?
«Come ho detto al Ministro Calderoli e al Professor Cassese non avevo il tempo necessario per seguire con attenzione una riforma così decisiva per i diritti dei cittadini. Ho avvertito anche alcuni colleghi».

Condivide obiezioni degli altri che si sono dimessi?
«Il punto di fondo è che sui diritti essenziali dei cittadini deve intervenire il Parlamento».

Corriere della Sera

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Quale Nato dopo il nuovo Concetto strategico? Le riflessioni di Natalizia e Temine


“Investire nella Nato è il miglior modo per garantire il legame duraturo tra gli alleati europei e nordamericani, contribuendo contestualmente alla pace e alla stabilità globali. Condivideremo equamente responsabilità e rischi per la nostra difesa e sicur

“Investire nella Nato è il miglior modo per garantire il legame duraturo tra gli alleati europei e nordamericani, contribuendo contestualmente alla pace e alla stabilità globali. Condivideremo equamente responsabilità e rischi per la nostra difesa e sicurezza. La Nato è indispensabile per la sicurezza euroatlantica”. Le conclusioni del Concetto strategico 2022 forniscono una risposta sintetica – e quanto mai efficace – a tre domande ricorrenti sia per quanti studiano le alleanze, che per i decisori politici del passato e del presente: perché allearsi? Quindi, con chi allearsi? E, infine, cosa fare con gli alleati?

L’assenza di una risposta soddisfacente o il sorgere di dubbi rispetto a tali quesiti non di rado ha determinato lo scioglimento di alleanze oppure impedito a rapporti di partnership – anche intensi – di trasformarsi in alleanze. A essi non si è potuta sottrarre la Nato quando si è trovata ad attraversare i numerosi passaggi cruciali che hanno segnato gli ultimi trent’anni, come la fine della Guerra fredda, le guerre nei Balcani, gli attacchi dell’11 settembre 2001 e il riemergere di potenze revisioniste.

Se la presenza di un nemico dai tratti titanici come l’Unione Sovietica nel 1949 aveva costituito un incentivo decisivo per il superamento dei motivi di tensione nelle relazioni transatlantiche, la sua scomparsa rese sotto certi versi più difficile la conferma degli impegni assunti in passato di fronte al radicale mutamento intervenuto sul piano politico e strategico tra il 1989 e il 1991. Come suggerito dalla letteratura scientifica sul tema, d’altronde, le alleanze tendono a sciogliersi quando la minaccia contro cui si formano cessa di gravare sui suoi membri.

Rispetto a questa “regolarità” della vita politica internazionale e nonostante le diverse prospettive che emersero in quegli anni sul tema, l’Alleanza Atlantica ha costituito una rilevante eccezione. Se il primo ministro britannico Margareth Thatcher aveva profilato la possibilità di preservare la Nato entro i confini del 1989 e mantenere surrettiziamente in vita il Patto di Varsavia come foglia di fico utile a evitare che Mosca si sentisse umiliata, il ministro degli Esteri della Repubblica Federale Tedesca Hans-Dietrich Genscher propose di unire Nato e Patto di Varsavia all’interno di un nuovo progetto di sicurezza collettiva. La proposta di una nuova architettura di sicurezza paneuropea trovava anche l’appoggio di Michail Gorbachev, che confidava in una sorta di scambio tra l’apporto di Mosca alla fine della Guerra fredda e l’ottenimento al suo interno di una sorta di condizione di primus inter pares insieme a Washington.

Numerosi ex-dissidenti dell’Europa centro-orientale e i movimenti pacifisti, dal canto loro, proponevano la demilitarizzazione del continente come unico viatico per la pace. Fu solo l’affacciarsi all’orizzonte di nuove fonti di preoccupazione – come l’imprevedibilità degli esiti del processo di riunificazione tedesca, il tentato golpe in Urss e l’inizio delle violenze in Jugoslavia – unita alla volontà dell’amministrazione Bush sr. di non dissipare il primato americano in Europa e alla sua indisponibilità a mantenervi l’impegno militare americano all’interno di un nuovo sistema di sicurezza che fu possibile trovare una modalità di adattamento condivisa a un contesto in evoluzione, così come espressa nel Concetto strategico Nato del 1991.

Il completamento del cammino verso la democrazia e il libero mercato di alcuni paesi ex-comunisti, il perdurare dei conflitti nei Balcani, le pulizie etniche che li contraddistinsero e le prime formulazioni del cosiddetto “interventismo umanitario”, tuttavia, rilanciarono ben presto il dibattito intra-alleato su membership, minacce e raggio d’azione. Se gli Stati Uniti accantonarono la linea attendista sull’allargamento dell’Alleanza così come tenuta fino a metà anni Novanta, le potenze europee mostrarono i loro limiti nel mantenere la sicurezza sul continente senza il sostegno americano e accettarono il ripensamento in senso preventivo e unilaterale delle modalità di intervento della Nato. Da questo ulteriore dibattito scaturì il Concetto Strategico del 1999, che enunciava espressamente la politica dell’Open door, includeva le emergenze umanitarie tra le principali minacce alla sicurezza dei paesi membri, sanciva la necessità di agire d’anticipo contro i pericoli imminenti e, infine, estendeva il perimetro d’azione dell’Alleanza rispetto al dettato degli art. 5 e 6 del Trattato di Washington.

Membership, finalità e perimetro operativo, tuttavia, erano destinate di lì a poco a essere rimesse ancora in discussione dalla lunga scia di sangue che il fenomeno jihadista avrebbe lasciato dietro di sé a partire dall’11 settembre 2001. Se all’indomani degli attacchi di al-Qaeda la coesione tra gli alleati risultò massima, tanto da far scattare per la prima volta la clausola della mutua assistenza militare contenuta nell’art. 5 del Patto Atlantico, le tensioni sulla presenza e le responsabilità della Nato in Afghanistan, sull’ipotesi di sostenere il regime change in Iraq e sui nuovi allargamenti a est avrebbero rilanciato un vivace dibattito tra gli Stati Uniti e gli alleati meno allineati – Francia e Germania in testa.

La presenza di un nemico nuovo sotto molteplici punti di vista, capace di colpire successivamente anche in Europa, indusse comunque le parti a trovare un terreno di incontro nella disponibilità a stabilire forme nuove di collaborazione esterna all’Alleanza per il contrasto al terrorismo, contribuire alla stabilizzazione di paesi in via di fallimento, dotare la Nato di una capacità di risposta rapida in grado di essere dislocata ovunque necessario e, quindi, di estendere ulteriormente il concetto di missione out of area. Una nuova fase dei rapporti transatlantici ha così preso forma, risultando immortalata nei tre core tasks della difesa collettiva, gestione delle crisi e sicurezza cooperativa così come definiti nel Concetto strategico 2010.

Nell’ultimo decennio la perdita di potere relativa degli Stati Uniti e dei loro alleati, la Brexit, il dibattito sull’autonomia strategica, così come la sfida contro l’ordine liberale delle potenze revisioniste, le minacce costanti che provengono dal Fianco sud e quelle emergenti dalle dimensioni cyber e spaziale, hanno contribuito al materializzarsi dell’ennesimo stress test per la Nato e – più in generale – per le relazioni transatlantiche.

Lo shock provocato dall’aggressione russa all’Ucraina, tuttavia, ha parzialmente smorzato le crescenti frizioni che stavano prendendo forma tra gli alleati in vista della stesura di un nuovo Concetto Strategico. Gli ha permesso, infatti, di fugare ogni dubbio sorto in merito alla necessità del perdurare della Nato, così come espresso sia da parte europea – soprattutto francese – che americana – in maniera particolarmente corrosiva negli anni dell’amministrazione Trump. Li ha indotti, inoltre, ad aumentare – o a promettere di aumentare – le proprie spese militari coerentemente con il Defence investment pledge.

Tre posizioni distinte – e non così facilmente conciliabili – sul futuro della Nato restano comunque sullo sfondo. Quella dei paesi dell’est, convinti che l’Alleanza debba continuare a occuparsi della stessa minaccia di sempre – la Russia – con gli stessi strumenti di sempre – deterrenza e difesa. Quella dei paesi dell’Europa meridionale – Italia in testa – che le chiedono di interessarsi paritariamente alle minacce provenienti dal Fianco est e dal Fianco sud, sviluppando ancor di più gli strumenti legati alla gestione delle crisi. Quelli anglosassoni, invece, che ambiscono a trasformarla in un’alleanza sempre più globale, sia allargandone ulteriormente il raggio d’azione, che rilanciando gli impegni in temi di sicurezza cooperativa.

Gli eventi seguiti al 24 febbraio 2022 hanno inevitabilmente rafforzato la prima delle tre posizioni, che ha contribuito più delle altre a modellare il nuovo Concetto strategico. Tale evoluzione, tuttavia, sembra assomigliare più alla classica polvere messa sotto il tappeto che a una vera e propria nuova soluzione, come dimostrano anche i contenuti dell’ultima National security strategy o della Global Britain che non sono del tutto sovrapponibili a quelli del Concetto strategico 2022 o all’ambiguità delle posizioni di alcuni paesi dell’Europa occidentale – quella francese su tutte – nei confronti di Mosca e Pechino. Nel medio termine, quindi, è verosimile che le diverse prospettive degli alleati tornino a fare capolino e la trasformazione in politiche della sintesi trovata al summit di Madrid rappresenti la grande sfida – anzitutto di carattere interno – cui l’Alleanza Atlantica dovrà far fronte da qui al 2030.

I temi del presente estratto sono più diffusamente trattati nel volume “La Nato verso il 2030. Continuità e discontinuità nelle relazioni transatlantiche dopo il nuovo Concetto strategico” (il Mulino, 2023), pubblicato nell’ambito del progetto Comdol+ del Centro studi Geopolitica.info con Cemas Sapienza, Dispi università di Genova, Unint, Unitelma Sapienza e sostenuto dall’Uap del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale.


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“È l’ora dell’educazione finanziaria!”: questo è lo slogan della sesta edizione del Mese dell’educazione finanziaria, la manifestazione promossa in tutta Italia dal Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanz…


Dal Mediterraneo al 2% per la Difesa. Ecco i dossier italiani a Vilnius


Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, sono arrivati nelle repubbliche baltiche, in vista del vertice dell’Alleanza Atlantica che si svolgerà a Vilnius martedì 11 e mercoledì 12 luglio. Prima di raggiunger

Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, sono arrivati nelle repubbliche baltiche, in vista del vertice dell’Alleanza Atlantica che si svolgerà a Vilnius martedì 11 e mercoledì 12 luglio. Prima di raggiungere la capitale lituana, Meloni e Crosetto hanno fatto tappa a Riga, in Lettonia, dove hanno incontrato il Contingente italiano Baltic task group impegnato nell’operazione Baltic guardian, una delle iniziative messe in campo in ambito Nato per rafforzare la difesa e la deterrenza del fianco orientale atlantico a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. L’occasione ha permesso al ministro Crosetto anche di incontrare la collega lettone, Ināra Mūrniece. La presenza dei militari italiani nel baltico è la plastica dimostrazione della complessità e dello sforzo che ogni singolo Paese Nato sta attraversando di fronte alle sfide che attendono lo spazio transatlantico nel prossimo futuro e che saranno al centro del summit alleato. L’Italia, tra l’altro, si presenta con una serie di dossier cruciali, dalla spesa militare al 2%, alle iniziative per la prodizione di munizionamento e per l’innovazione per la Difesa, fino alla sfida del Mediterraneo allargato, area di principale interesse nazionale, le cui fragilità dovranno essere affrontate da tutti i Paesi alleati.

La questione del 2%

Tra i temi che saranno affrontati in Lituania, uno che è stato al centro anche del dibattito nazionale è il raggiungimento del 2% del Pil da dedicare alla Difesa. Un impegno assunto al vertice Nato del Galles nel 2014 e confermato da tutti i governi. Sul tema, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha posto un focus in particolare, e il ministro Crosetto ha ribadito più volte, anche in sede Atlantica, che non si tratta di un impegno facile per l’economia del Paese. L’inquilino di palazzo Baracchini ha anche presentato a Bruxelles la proposta di scorporare le spese della Difesa dai vincoli di bilancio, definito l’unico modo investire senza dover togliere risorse a interventi sociali. L’impegno del 2%, tra l’altro, è ormai considerato dall’Alleanza Atlantica un punto di partenza, con numerosi Paesi che già spingono per superarlo, e Crosetto ha più volte lanciato l’allarme per l’Italia di rischiare di diventare l’unico Paese alleato a non raggiungerlo o a non essere chiaro nei tempi con cui lo verrà raggiunto, mentre “gli altri Paesi già parlano del 3%”.

I requisiti Nato

Il nostro Paese sta gradualmente innalzando la propria spesa con l’obiettivo di raggiungere la soglia del 2% (circa 40 miliardi di euro, ne mancano ancora circa dieci), entro il 2028, prevedendo naturalmente anche la partecipazione a missioni, operazioni e altre attività. La spesa prevista si baserebbe principalmente sui fondi del ministero della Difesa, ma vedrebbe la partecipazione anche del ministero delle Imprese e Made in Italy e quello dell’Economia. All’interno dell’Alleanza, l’Italia rimane tra i venti Paesi, su trenta, a non aver ancora raggiunto il livello previsto in Galles. Ad oggi solo Grecia (3,9%), Stati Uniti (3,5%), Croazia (2,7%), Lettonia (2,3%), Regno Unito ed Estonia (2,2%), Polonia (2,1%), Portogallo, Turchia (2,1%) e Lituania (2,0%) spendono quanto previsto, e dall’est dell’Europa aumentano le voci che chiedono un aumento della soglia minima.

Munizioni e tecnologia

Le spese da destinare alla Difesa si collegano a un altro aspetto fondamentale, emerso in particolare a seguito dell’impegno assunto dall’Italia di inviare aiuti, anche militari, a Kiev: la produzione di munizionamento. Il consumo di munizioni sui campi ucraini ha dimostrato come l’industria occidentale non sia in grado di mantenere la produzione necessaria per affrontare un conflitto su grande scala. A Vilnius la Nato dovrà riflettere su quali decisioni dovranno essere poste in essere per assicurare il potenziamento della produttività con una pianificazione di medio-lungo periodo. A questo si unisce anche la necessità di spingere sull’innovazione tecnologica delle soluzioni e delle piattaforme per la Difesa. L’Italia in questo campo ha un ruolo di primo piano, dato che ospita a Torino una delle articolazioni della rete del Defence innovation accelerator for the North Atlantic (Diana), la rete federata di centri di sperimentazione e acceleratori d’innovazione con il compito di supportare le start up innovative facilitando la cooperazione tra settore privato e realtà militari lanciato dall’Alleanza Atlantica con l’agenda Nato 2030.

Impegno sul fianco sud

Altro tema che vedrà impegnato il nostro Paese sarà portare all’attenzione degli alleati il concetto che la sicurezza del Mediterraneo è parte essenziale del sistema di difesa transatlantico. Al di là della corrente crisi lungo il fianco orientale della Nato, dove l’Italia partecipa in prima linea con mezzi e militari al rafforzato dispositivo alleato di deterrenza, e in prospettiva artico, il Mare nostrum è oggi – e nel vicino futuro – un’area la cui instabilità coinvolge da vicino non solo i Paesi del meridione europeo, ma l’intero Vecchio continente. Energia, informazioni, materie prime e semilavorati passano sulle sue acque, le cui rotte devono essere mantenute aperte e sicure. A questo si aggiungono le crisi che attraversano il continente africano, economica, climatica e sociale, le cui ripercussioni saranno di portata epocale se non affrontate anche in seno alla Nato.

Una condizione aggravata ulteriormente dalla guerra russa in Ucraina, come dimostrato dalla crescente presenza di navi e sommergibili della Federazione russa nel bacino, a cui di recente si è aggiunto un gruppo navale cinese composto da tre navi moderne. È chiaro che l’Italia giocherà un ruolo di primo piano, ma la portata globale delle sfide non può prescindere un’azione congiunta anche da parte degli alleati transatlantici. Un concetto che di recente il ministro Crosetto ha affrontato anche con l’omologo statunitense Lloyd Austin, che ha sua volta ha riconosciuto il ruolo dell’Italia quale “alleato fondamentale sul fianco sud della Nato”, apprezzandone il “robusto contributo per la sicurezza nel mondo dai Balcani, il Medio Oriente l’Africa” e in prospettiva verso l’Indo-Pacifico.


formiche.net/2023/07/difesa-do…



“Mediamare – Mediazione e I.A.”


E’ stato un piacere poter partecipare alla 7a edizione di Mediamare – Mediazione e I.A. per parlare di quali impatti avrà la AI nelle dinamiche negoziali e come si potrà governare il cambiamento. Grazie ad UNAM e ANF


guidoscorza.it/mediamare-media…



Lukashenko non sopravvive senza Putin. Parla la leader dell’opposizione bielorussa Tikhanovskaya


Svetlana Tikhanovskaya è stata in visita a Roma nei giorni scorsi. La leader dell’opposizione democratica bielorussa, che vive in esilio da tre anni, ha incontrato Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e mi

Svetlana Tikhanovskaya è stata in visita a Roma nei giorni scorsi. La leader dell’opposizione democratica bielorussa, che vive in esilio da tre anni, ha incontrato Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, e alcuni parlamentari italiani. Meloni le ha confermato la piena solidarietà del governo italiano alle forze dell’opposizione democratica bielorussa. “L’Italia è da sempre forte sostenitrice del nostro movimento democratico e sono stata qui per discutere di come sviluppare la nostra cooperazione”, spiega Tikhanovskaya a Formiche.net.

Tanti i temi al centro della visita: la situazione dei diritti umani in Bielorussia, le nuove minacce alla sicurezza regionale derivanti dal dispiegamento di armi nucleari e dalla presenza di mercenari Wagner e l’impegno dell’opposizione per portare il dittatore Alexander Lukashenko davanti alla Corte penale internazionale sul rapimento di bambini ucraini.

È soddisfatta dei suoi incontri a Roma?

Mi sento tra amici in Italia e sono rimasta colpita dal sostegno e dalla solidarietà nei confronti della Bielorussia. Ho partecipato al lancio del gruppo di amicizia con la Bielorussia al Parlamento italiano, è un segnale fortissimo per tutto il nostro popolo. In tutti i miei incontri ho ricevuto forti espressioni di sostegno. Inoltre, sono felice che qui ci sia una diaspora bielorussa molto attiva, che aiuta attivamente il movimento democratico bielorusso e l’Ucraina.

Cosa può fare l’Italia per la Bielorussia?

Chiedo ai nostri amici italiani di sostenerci nell’isolare il regime di Minsk con sanzioni più efficaci e mirate contro il regime e la Russia, tra cui sanzioni economiche e individuali, e sanzioni alla Russia per aver minato la nostra sovranità. Chiediamo inoltre di sostenere chi si batte a difesa dei diritti umani, i media e le famiglie dei perseguitati. Chiediamo sostegno per sollevare la questione della Bielorussia al prossimo vertice della Nato a Vilnius e per assicurarci che la voce dei bielorussi sia ascoltata in tutte le organizzazioni internazionali. Spero inoltre che si possa instaurare una collaborazione tra il settore privato italiano e quello bielorusso e che l’Italia possa ospitare personalità della cultura bielorussa e offrire stage e borse di studio a giovani bielorussi. È un investimento nel nostro futuro.

Cosa è cambiato nelle relazioni con i Paesi occidentali dopo l’invasione dell’Ucraina?

L’invasione russa dell’Ucraina ha aumentato la consapevolezza dell’importanza strategica della Bielorussia e del suo ruolo nella sicurezza regionale. Questo ha portato a un aumento del dialogo e delle consultazioni tra le nostre forze democratiche e i governi occidentali. Ha sottolineato la realtà delle minacce poste dai regimi autocratici, rafforzando la necessità della democrazia, del rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto. Tuttavia, pur apprezzando il sostegno internazionale, continuiamo a chiedere azioni più decisive, come già detto. È fondamentale che l’Occidente continui a sostenere il popolo bielorusso nella sua lotta per la democrazia, i diritti umani e la libertà.

Lukashenko è stato, almeno ufficialmente, il mediatore tra il presidente russo Vladimir Putin e Yevgeny Prigozhin dopo l’ammutinamento del gruppo Wagner. Qual è la situazione per il dittatore bielorusso?

Lukashenko non può sopravvivere un giorno senza Putin. Ecco perché è intervenuto come mediatore mentre Prigozhin marciava verso Mosca. Ed è per questo che sta soddisfacendo tutte le richieste del Cremlino. Questi due dittatori sono legati e cadranno insieme. Lukashenko non ha alcuna base o sostegno all’interno della Bielorussia: dipende completamente da Putin.

Quale ruolo ha avuto secondo lei nell’accordo tra Putin e Prigozhin?

Il ruolo di Lukashenko in tutto questo è stato molto esagerato. Non era altro che un messaggero di Putin per Prigozhin. Naturalmente Putin indebolito significa anche Lukashenko indebolito, quindi è nel suo interesse evitare il crollo del regime di Mosca. Ma sarebbe un grosso errore vederlo come mediatore di pace. Non ci si può fidare di lui e non rappresenta nessuno se non sé stesso. Purtroppo, la presenza di truppe russe, di armi nucleari e ora di Prigozhin sul nostro territorio rappresenta una minaccia diretta alla nostra sovranità. È anche una minaccia per i nostri vicini. Non possiamo escludere che la Russia lanci un altro attacco all’Ucraina dalla Bielorussia o che Lukashenko e Putin tentino nuove provocazioni ai confini. Allo stesso tempo, indebolendo Lukashenko, indeboliamo anche la Russia: la Bielorussia libera sarà la più grande sanzione contro la Russia e il miglior sostegno per l’Ucraina.


formiche.net/2023/07/lukashenk…



Oggi i metalmeccanici tornano in sciopero per quattro ore proseguendo la mobilitazione nazionale indetta da Fiom, Fim e Uilm per il rilancio dell’industria ch


Sono state/i in centinaia a raccogliere l’appello per l’apertura della fase costituente di Unione Popolare, nonostante il caldo soffocante di Roma. L’inco


Niente ufficio Nato a Tokyo (per ora). L’agenda di Kishida al summit


La Nato è pronta a rinviare la decisione di istituire un ufficio di collegamento a Tokyo all’autunno o più tardi. Lo ha rivelato Nikkei alla vigilia dell’inizio del summit di Vilnius, in Lituania. Il giornale giapponese ha ricordato l’opposizione alla pro

La Nato è pronta a rinviare la decisione di istituire un ufficio di collegamento a Tokyo all’autunno o più tardi. Lo ha rivelato Nikkei alla vigilia dell’inizio del summit di Vilnius, in Lituania. Il giornale giapponese ha ricordato l’opposizione alla proposta del segretario generale Jens Stoltenberg della Francia, preoccupata per le relazioni con la Cina, e ha evidenziato come i 31 membri cercheranno di superare le divergenze e finalizzare la decisione entro la fine dell’anno. È un punto “meno prioritario” nell’agenda del summit, hanno spiegato fonti diplomatiche che lavorano sul documento finale al giornale.

Durante un briefing con i giornalisti a cui Formiche.net ha partecipato, un funzionario del ministero degli Esteri giapponese non ha voluto commentare le “questioni interne” alla Nato aggiungendo che Tokyo “osserva ciò che accade” nell’Alleanza in merito all’ufficio di collegamento.

Due i temi di fondo della missione del primo ministro giapponese Fumio Kishida in Lituania e in Belgio: confermare l’impegno del Giappone assieme alla Nato e all’Unione europea per rafforzare la cooperazione nell’Indo-Pacifico; migliorare il coordinamento con i Paesi like-minded a difesa dell’ordine internazionale libero e aperto, come recita anche il comunicato finale del G7 di Hiroshima, in Giappone.

A Vilnius, Kishida parteciperà a una sessione con i 31 membri della Nato e i partner dell’Asia-Pacifico (il cosiddetto AP4: Giappone, Australia, Repubblica di Corea e Nuova Zelanda). La sua presenza segue quella storica dell’anno scorso, la prima per un primo ministro giapponese al vertice alleato. Come 12 mesi fa, in cima all’agenda del summit c’è il contesto di sicurezza internazionale sconvolto dall’invasione russa dell’Ucraina: un fattore che ha accelerato l’impegno giapponese in Europa e quelli europeo e statunitense nell’Indo-Pacifico. È l’interconnessione tra i quadranti euro-atlantico e indo-pacifico che Kishida richiama spesso e che riguarda anche, inevitabilmente, la competizione con la Cina. Il primo ministro poi avrà anche alcuni incontri bilaterali a Vilnius. Un funzionario del ministero degli Esteri giapponese non ha potuto offrire ulteriori dettagli sugli incontri rispondendo a una domanda di Formiche.net sulla possibilità di un incontro con Giorgia Meloni, presidente del Consiglio.

A Bruxelles, Kishida prenderà parte al vertice Ue-Giappone con Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, e Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea. Si parlerà di cooperazione in materia di sicurezza e di economia, comprese le misure per il digitale e il cambiamento climatico. In particolare, Kishida chiederà ai leader europei di abolire le restrizioni sull’importazione sui prodotti alimentari giapponesi.

Venerdì il primo ministro farà rientro a Tokyo per ripartire domenica alla volta del Medio Oriente verso Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar. È questo l’esatto ambito geostrategico in cui si snodano le interconnessioni che muovono le orientazioni di Kishida, seguendo per altro (pur con caratteristiche proprio) la visione del suo predecessore Shinzo Abe. Un’eredità che ha un valore nelle scelte dell’attuale Giappone (anche perché si muove di pari passo con quella di altre potenze asiatiche come la Cina o l’India, e Tokyo non intende restare indietro).

Dall’adozione, a dicembre dello scorso anno, di tre nuovi documenti sulla sicurezza, tra cui una nuova Strategia di sicurezza nazionale che delinea piani audaci per una “capacità di contrasto”, all’approvazione a marzo di un bilancio che mira a raddoppiare la spesa per la difesa entro il 2027, il Giappone nominalmente pacifista ha subito una trasformazione. Il carattere securitario di questo orientamento è dovuto sia alla riscoperta della necessità strategica di approfondire la sfera di influenza nell’Indo Pacifico, sia all’altrettanto necessaria volontà di gestire l’attivismo cinese.

E il passaggio della guerra russa in Ucraina è stato determinante. Tokyo ha compreso – nell’ambito di un processo strategico già avviato – che quell’evoluzione richiedesse una spinta tattica. Allineare la risposta a Mosca con quella occidentale – chiaramente guidata dalla Nato – diventava una forma di condivisione del proprio destino con partner come Stati Uniti e Unione Europea, anche pensando a una potenziale trasposizione di quello scenario in Asia, con la Cina protagonista (magari a Taiwan?).

È vero che la mossa di bloccare l’apertura del liaison office giapponese è stata spinta anche dalla volontà francese. L’Eliseo ha infatti ufficialmente commentato con la stampa: “Non siamo favorevoli per una questione di principio. Nato significa Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico”. E ancora: “Per quanto riguarda l’ufficio, le stesse autorità giapponesi ci hanno detto di non essere estremamente interessate”. Ma è altrettanto vero che al di là della posizione di Parigi, secondo qualche critico tenuta per non indispettire eccessivamente Pechino che aveva attaccato l’apertura dell’ufficio nipponico della Nato, è piuttosto evidente che la sovrapposizione è in corso.

La Nato sta da tempo aumentando la propria attenzione alla Cina, anche perché la Cina sta aumentando le sue relazioni con la Russia e in più di un’occasione alzato critiche contro l’alleanza. Nell’ambito di questo shift strategico, è quasi impossibile pensare che Tokyo non acquisisca peso maggiore nelle dinamiche della Nato, così come la Nato potrebbe aumentare le proprie attività nell’Indo Pacifico.


formiche.net/2023/07/ufficio-n…



European Commission gives EU-US data transfers third round at CJEU


La Commissione europea concede il terzo round ai trasferimenti di dati tra UE e USA presso la CGUE La Commissione europea annuncia il terzo "Safe Harbor", senza modifiche sostanziali. noyb riporterà la terza decisione di adeguatezza alla CGUE. Fool me thrice...


noyb.eu/en/european-commission…

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Tutte le pretese di Erdogan al vertice di Vilnius


Una vigilia delicata e al contempo altamente complessa quella che il vertice di Vilnius affronta con la novità rappresentata dalla proposta turca relativa all’ingresso di Ankara nell’Ue, propedeutico alla ratifica della Svezia nella Nato. Una mossa, quell

Una vigilia delicata e al contempo altamente complessa quella che il vertice di Vilnius affronta con la novità rappresentata dalla proposta turca relativa all’ingresso di Ankara nell’Ue, propedeutico alla ratifica della Svezia nella Nato. Una mossa, quella di Recep Tayyip Erdogan, che se da un lato apre l’ennesimo fronte politico in seno allo status ibrido della Turchia (membro dell’alleanza, ma al contempo alleato strutturato di Russia, Cina e Iran), dall’altro certifica le nuove ambizioni del presidente da poco vincitore nelle urne.

Ue e Nato

“Apriamo prima la strada alla Turchia nella Ue e poi spianeremo la strada alla Svezia, proprio come abbiamo fatto con la Finlandia”, parole che Erdogan rilascia prima di imbarcarsi sul volo diretto a Vilnius dove domani si aprirà il vertice della Nato. Ufficialmente il suo obiettivo è subordinare la ratifica turca circa l’ingresso della Svezia nell’Alleanza all’apertura all’adesione della Turchia alla Ue. Secondo il presidente turco “i progressi del processo per l’ingresso della Svezia nella Nato dipendono dall’applicazione dei principi compresi con il memorandum trilaterale”.

Secca la replica di Bruxelles, secondo cui “l’allargamento non è legato alla Nato e non è una sorpresa dire che i due processi sono separati”, quasi a voler disinnescare una mina che Erdogan ha deciso di sistemare sotto il tavolo del meeting di Vilnius, aggiungendo un fronte alla già critica situazione che tocca la guerra in Ucraina e le relazioni con la Russia. La portavoce della Commissione Ue, Dana Spinant, ha precisato che si tratta di un processo che guarda al merito e che i due processi non possono che essere separati.

Della questione hanno parlato il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan e il Segretario di Stato americano Anthony Blinken con il tentativo di sbloccare l’impasse mentre Erdogan ha aggiunto che la porta della Nato per l’Ucraina è aperta: “Una fine giusta e duratura della guerra, giungere alla pace, faciliterà molto la procedura di ingresso dell’Ucraina nella Nato”.

Turchia e Usa

Appare di tutta evidenza come la mossa turca si inserisca all’interno di un quadro altamente complesso, con il giocatore Erdogan impegnato su più tavoli. “Mi aspetto di risolvere con Biden problemi su acquisto degli F-16 – ha spiegato ancora – rattristati che questione sia collegata ad adesione Svezia in Nato”. Parole che, nel solco delle posizioni già espresse nell’ultimo triennio, toccano le relazioni turco-americane alla voce difesa, con la richiesta dei caccia dopo che la Grecia ha acquistato 18 Rafale e ha prenotato due F-35. Nel vertice pre-Vilnius, Erdogan ha avuto modo si reiterare la sua richiesta a Biden ma ha poi scelto il piglio del sarcasmo per mettere a fuoco la questione: “Il rispettato Biden ha detto di aver mobilitato tutti i suoi sforzi su questo tema. Vuole lo stesso da noi. Il problema con l’F-16 riguarda una questione di rafforzamento generale della Nato contro i nemici. E c’è un prezzo, noi abbiamo pagato 1,45 miliardi di dollari. Non abbiamo visto alcuna reazione. Discuteremo la questione a Vilnius. Spero che in questo incontro risolveremo la questione. Siamo rattristati dal fatto che la questione sia collegata all’adesione della Svezia alla Nato. Si tratta di questioni diverse”.

Scenari

Ma non è tutto, perché la pirotecnica presenza di Erdogan in Lettonia comprende anche le relazioni turco-russe con, all’orizzonte, la prossima visita di Vladimir Putin ad Ankara, che segue idealmente quella di Volodymyr Zelensky di due giorni fa. Secondo il Cremlino ancora non ci sarebbe una data ufficiale, ma è chiaro l’indirizzo che Erdogan vorrebbe imprimere a questo prisma di temi, tutti interconnessi: farsi concavo e convesso con Kiev e Mosca, avanzare ulteriori richieste all’Ue, premere con la Nato per le imminenti esigenze dell’alleanza e costruirsi così una nuova narrazione che accompagni geopoliticamente il suo mandato da presidente.


formiche.net/2023/07/erdogan-v…



Come uccidere una rete decentralizzata (come il Fediverso)

di Ploum il 2023-06-23

In questo articolo molto interessante, Lionel Dricot ricostruisce la strategia dei #Gafam che sta dietro all'operazione Threads di Meta.

Un grosso grazie all'autore.

Buona lettura

L'anno è il 2023. L'intera Internet è sotto il controllo dell'impero GAFAM. Tutto? Beh, non del tutto. Perché alcuni piccoli villaggi stanno resistendo all'oppressione. E alcuni di questi villaggi hanno iniziato ad aggregarsi, formando il "Fediverso".
Con i dibattiti su Twitter e Reddit, il Fediverso ha iniziato a guadagnare fama e attenzione. La gente ha iniziato a usarlo davvero. L'impero ha cominciato ad accorgersene.

Capitalisti contro la concorrenza

Come ha detto Peter Thiel, uno dei principali investitori di Facebook: "La concorrenza è per i perdenti". Già, questi pseudo "il mercato ha sempre ragione" non vogliono un mercato quando ci sono dentro. Vogliono un monopolio. Fin dalla sua nascita, Facebook è stato molto attento a uccidere ogni concorrenza. Il modo più semplice per farlo è stato quello di acquistare le aziende che un giorno avrebbero potuto diventare dei concorrenti. Instagram e WhatsApp, per citarne alcune, sono state acquistate solo perché il loro prodotto attirava utenti e poteva gettare un'ombra su Facebook.
Ma il Fediverso non può essere comprato. Il Fediverso è un gruppo informale di server che discutono attraverso un protocollo (ActivityPub). Questi server possono anche eseguire software diversi (Mastodon è il più famoso, ma ci possono essere anche Pleroma, Pixelfed, Peertube, WriteFreely, Lemmy e molti altri).
Non si può comprare una rete decentralizzata!
Ma c'è un altro modo: renderla irrilevante. Questo è esattamente ciò che Google ha fatto con XMPP.


Come Google è entrato a far parte della federazione XMPP


Alla fine del XX secolo, i programmi di messaggeria istantanea (IM) erano di gran moda. Uno dei primi di grande successo fu ICQ, seguito rapidamente da MSN messenger. MSN Messenger era il Tiktok dell'epoca: un mondo in cui gli adolescenti potevano trascorrere ore e giorni senza adulti.
Poiché MSN faceva parte di Microsoft, Google ha voluto fargli concorrenza e nel 2005 ha presentato Google Talk, includendolo nell'interfaccia di Gmail. Ricordiamo che all'epoca non esistevano smartphone e pochissime applicazioni web. Le applicazioni dovevano essere installate sul computer e l'interfaccia web di Gmail era innovativa. MSN a un certo punto è stato persino fornito in bundle con Microsoft Windows ed era davvero difficile rimuoverlo. La creazione della chat di Google con l'interfaccia web di Gmail era un modo per essere ancora più vicini ai clienti rispetto a un software integrato nel sistema operativo.
Mentre Google e Microsoft lottavano per conquistare l'egemonia, gli appassionati di software libero cercavano di costruire una messaggistica istantanea decentralizzata. Come la posta elettronica, XMPP era un protocollo federato: più server potevano dialogare tra loro attraverso un protocollo e ogni utente si connetteva a un particolare server attraverso un client. Quell'utente poteva poi comunicare con qualsiasi utente su qualsiasi server utilizzando qualsiasi client. Questo è ancora il modo in cui ActivityPub e quindi il Fediverso funzionano.
Nel 2006, Google talk è diventato compatibile con XMPP. Google stava prendendo seriamente in considerazione XMPP. Nel 2008, mentre ero al lavoro, squillò il telefono. In linea, qualcuno mi disse: "Salve, siamo di Google e vogliamo assumerla". Ho fatto diverse telefonate e si è scoperto che mi avevano trovato attraverso la dev-list di XMPP.Stavano cercando degli amministratori di sistema per XMPP.
Quindi Google stava davvero adottando la federazione. Non era geniale? Significava che, improvvisamente, ogni singolo utente di Gmail diventava un utente XMPP. Questo non poteva che essere un bene per XMPP, giusto? Ero estasiato.


Come Google ha ucciso XMPP


Naturalmente, la realtà era un po' meno brillante. Innanzitutto, nonostante la collaborazione per lo sviluppo dello standard XMPP, Google stava realizzando una propria implementazione chiusa che nessuno poteva controllare. Si è scoperto che non sempre rispettavano il protocollo che stavano sviluppando. Non stavano implementando tutto. Questo ha costretto lo sviluppo di XMPP a rallentare, ad adattarsi. Nuove funzionalità interessanti non sono state implementate o non sono state utilizzate nei client XMPP perché non erano compatibili con Google Talk (gli avatar hanno impiegato moltissimo tempo per arrivare su XMPP). La federazione a volte si interrompeva: per ore o giorni non era possibile comunicare tra i server Google e i server XMPP regolari. La comunità XMPP fungeva da osservatrice e debugger dei server di Google, segnalando le irregolarità e i tempi di inattività (io l'ho fatto più volte, e questo è probabilmente il motivo dell'offerta di lavoro).
E poiché gli utenti di Google Talk erano molto più numerosi dei "veri utenti XMPP", c'era poco spazio per "non preoccuparsi degli utenti di Google Talk". I nuovi arrivati che scoprivano XMPP e non erano utenti di Google Talk avevano un'esperienza molto frustrante perché la maggior parte dei loro contatti erano utenti di Google Talk. Pensavano di poter comunicare facilmente con loro, ma in realtà si trattava di una versione degradata di ciò che avevano quando usavano Google Talk. Un tipico gruppo di utenti XMPP era composto principalmente da utenti di Google Talk e da alcuni geek.
Nel 2013, Google ha capito che la maggior parte delle interazioni XMPP avveniva comunque tra utenti di Google Talk. Non gli interessava rispettare un protocollo che non controllava al 100%. Quindi ha staccato la spina e ha annunciato che non sarebbe più stato federato. E ha iniziato una lunga ricerca per creare un servizio di messaggistica, a partire da Hangout (a cui sono seguiti Allo, Duo e poi ho perso il conto).
Come previsto, nessun utente di Google ha battuto ciglio. In effetti, nessuno di loro se n'è accorto. Nel peggiore dei casi, alcuni dei loro contatti sono diventati offline. Tutto qui. Ma per la federazione XMPP è stato come se la maggior parte degli utenti fosse improvvisamente scomparsa. Persino gli irriducibili fanatici di XMPP, come il vostro servitore, hanno dovuto creare account Google per mantenere i contatti con gli amici. Ricordate: per loro eravamo semplicemente offline. Era colpa nostra.
Sebbene XMPP esista ancora e sia una comunità molto attiva, non si è mai ripreso da questo colpo. Le aspettative troppo alte sull'adozione da parte di Google hanno portato a un'enorme delusione e a una silenziosa caduta nell'oblio. XMPP è diventato di nicchia. Così di nicchia che quando le chat di gruppo sono diventate di moda (Slack, Discord), la comunità del software libero le ha reinventate (Matrix) per competere mentre le chat di gruppo erano già possibili con XMPP. (Disclaimer: non ho mai studiato il protocollo Matrix, quindi non ho idea di come si comporti tecnicamente rispetto a XMPP. Credo semplicemente che risolva lo stesso problema e competa nello stesso spazio di XMPP).
XMPP sarebbe diverso oggi se Google non vi avesse mai aderito o non fosse mai stato considerato come parte di esso? Nessuno può dirlo. Ma sono convinto che sarebbe cresciuto più lentamente e, forse, in modo più sano. Che sarebbe più grande e più importante di oggi. Che sarebbe stata la piattaforma di comunicazione decentralizzata di default. Una cosa è certa: se Google non avesse aderito, XMPP non sarebbe peggiore di quello che è oggi.


Non è stata la prima volta: la strategia di Microsoft


Quello che Google ha fatto a XMPP non è una novità. Infatti, nel 1998, l'ingegnere Microsoft Vinod Vallopllil scrisse esplicitamente un testo intitolato "Blunting OSS attacks" in cui suggeriva di "differenziare (de-commoditize) i protocolli e le applicazioni [...]. Estendendo questi protocolli e sviluppandone di nuovi, possiamo impedire ai progetti OSS di entrare nel mercato".
Microsoft ha messo in pratica questa teoria con il rilascio di Windows 2000, che supportava il protocollo di sicurezza Kerberos. Ma il protocollo è stato esteso. Le specifiche di tali estensioni potevano essere scaricate liberamente, ma era necessario accettare una licenza che vietava di implementare tali estensioni. Non appena si cliccava su "OK", non si poteva lavorare su nessuna versione open source di Kerberos. L'obiettivo era esplicitamente quello di uccidere qualsiasi progetto di rete concorrente, come Samba.
Questo aneddoto è stato raccontato da Glyn Moody nel suo libro "Rebel Code" e dimostra che l'uccisione di progetti open source e decentralizzati è un obiettivo davvero consapevole. Non accade mai a caso e non è mai causato dalla sfortuna.
Microsoft ha utilizzato una tattica simile per assicurarsi il dominio nel mercato dell'office con Microsoft Office, utilizzando formati proprietari (un formato di file può essere visto come un protocollo per lo scambio di dati). Quando le alternative (OpenOffice e poi LibreOffice) sono diventate abbastanza brave ad aprire i formati doc/xls/ppt, Microsoft ha rilasciato un nuovo formato che ha definito "aperto e standardizzato". Il formato era, di proposito, molto complicato (20.000 pagine di specifiche!) e, soprattutto, sbagliato. Sì, sono stati introdotti alcuni bug nelle specifiche, il che significa che un software che implementa il formato OOXML completo si comporta in modo diverso da Microsoft Office.
Questi bug, insieme alle pressioni politiche, sono stati uno dei motivi che hanno spinto la città di Monaco a tornare indietro dalla migrazione verso Linux. Quindi sì, la strategia funziona bene. Oggi, docx, xlsx e pptx sono ancora la norma. Fonte: Ero presente, indirettamente pagato dalla città di Monaco per rfar sì che il rendering di LibreOffice OOXML fosse più simile a quello di Microsoft invece di seguire le specifiche.

AGGIORNAMENTO:
Questa tattica ha persino una pagina di Wikipedia


Meta e il Fediverso


Chi non conosce la storia è destinato a ripeterla. Il che è esattamente ciò che sta accadendo con Meta e il Fediverso.
Si dice che Meta diventerà "compatibile con Fediverso". Potrete seguire le persone su Instagram dal vostro account Mastodon.
Non so se queste voci abbiano un fondo di verità, se sia possibile che Meta prenda in considerazione l'idea. Ma una cosa mi ha insegnato la mia esperienza con XMPP e OOXML: se Meta si unisce al Fediverso, Meta sarà l'unico a vincere. In effetti, le reazioni mostrano che stanno già vincendo: il Fediverso è diviso tra il bloccare Meta o meno. Se ciò accadesse, significherebbe un mediverso a due livelli, frammentato e frustrante, con poca attrattiva per i nuovi arrivati.

AGGIORNAMENTO: Queste voci sono state confermate: almeno un amministratore di Mastodon, kev, di fosstodon.org, è stato contattato per partecipare a un incontro ufficioso con Meta. Ha avuto la migliore reazione possibile: ha rifiutato gentilmente e, soprattutto, ha pubblicato l'e-mail per essere trasparente con i suoi utenti. Grazie kev!
Mail di Meta a Kev, da Fosstodon, e risposta

So che tutti sogniamo di avere tutti i nostri amici e familiari sul Fediverso, in modo da evitare completamente le reti proprietarie. Ma il Fediverso non cerca il dominio del mercato o il profitto. Il Fediverso non cerca la crescita. Offre un luogo di libertà. Le persone che si uniscono al Fediverso sono quelle che cercano la libertà. Se le persone non sono pronte o non cercano la libertà, va bene. Hanno il diritto di rimanere su piattaforme proprietarie. Non dovremmo costringerle a entrare nel Fediverso. Non dovremmo cercare di includere il maggior numero di persone a tutti i costi. Dovremmo essere onesti e fare in modo che le persone si uniscano al Fediverso perché condividono alcuni dei valori che lo animano.
Competendo contro Meta nella cervellotica ideologia della crescita a tutti i costi, siamo certi di perdere. Loro sono i maestri di questo gioco. Stanno cercando di portare tutti nel loro campo, per far sì che le persone competano contro di loro usando le armi che vendono.
Il Fediverso può vincere solo mantenendo la sua posizione, parlando di libertà, morale, etica, valori. Avviando discussioni aperte, non commerciali e non campate in aria. Riconoscendo che l'obiettivo non è vincere. Non è aderire. L'obiettivo è rimanere uno strumento. Uno strumento dedicato a offrire un luogo di libertà agli esseri umani connessi. Qualcosa che nessuna entità commerciale potrà mai offrire.

Testo originale: https://ploum.net/2023-06-23-how-to-kill-decentralised-networks.html
Distribuito con licenza Creative Commons BY-SA
Traduzione italiana: framapiaf.org/@nilocram
Illustrazione di David Revoy
Traduction en Français par Nicolas Vivant
Traducción Española de Matii
Deutsche Übersetzung von Janet und anderen

#Fediverso #Fediverse #Gafam #XMPP #Mastodon #SoftwareLibero
@Informa Pirata @Scuola - Gruppo Forum @Devol :fediverso: @maupao

in reply to nilocram

@andreabont prova a leggere qui, lo spiega meglio di quanto potrei far io

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Moro Crater Massacre: Una Carneficina di Civili Filippini


La tragica storia del Moro Crater Massacre del 1906 nelle Filippine. Uno sguardo sul contesto storico, i dettagli dell’evento e le sue durature conseguenze nelle relazioni tra gli Stati Uniti e le Filippine. Contesto StoricoContinue reading

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A proposito delle bombe a grappolo e della realtà della #guerra. Siamo sotto propaganda fin dall'inizio, ma la guerra è e resta una cosa sbagliata e immorale, un fallimento. L'obiettivo, una volta esplosa, è fermarla il prima possibile. Stiamo invece assistendo a un'escalation #Ucraina #bombeagrappolo
altreconomia.it/in-ucraina-le-…



Bombe a grappolo, tra necessità e doppiopesismi. Scrive il gen. Tricarico


Confidai proprio a Formiche nell’ottobre 2015 l’incredulità nel constatare come i russi facessero ricorso, senza battere ciglio, alle cluster bomb in Siria, all’avvio delle operazioni militari a sostegno del regime di Assad. Le immagini televisive che mi

Confidai proprio a Formiche nell’ottobre 2015 l’incredulità nel constatare come i russi facessero ricorso, senza battere ciglio, alle cluster bomb in Siria, all’avvio delle operazioni militari a sostegno del regime di Assad.

Le immagini televisive che mi capitò di vedere sul Tg5, inequivoche nel mostrare l’impatto di bombe a grappolo, e che a un riscontro si confermarono autentiche perché messe in circolazione proprio dai media russi, non suscitarono però allarme e disapprovazione. L’onda di sdegno di oggi di tutti i Paesi che hanno bandito l’uso delle cluster bomb, nel caso siriano (e in tutte le altre circostanze meno note) non diede alcun cenno di vita, sostanziando un doppiopesismo che pare ormai la regola imperante in ogni valutazione.

Eppure nel caso di Zelensky vi sono numerose ragioni, non solo tecniche, che dovrebbero far chiudere un occhio a chi grida, più o meno forte, allo scandalo e si adopera affinché gli ucraini non abbiano un sistema d’arma quanto mai necessario in questo momento.

Innanzitutto sul terreno si sono verosimilmente create le condizioni perché non si metta a rischio la vita di non combattenti, di civili innocenti.
Infatti i territori contesi paiono in larga parte popolati da soli soldati, separati da una linea di confronto lungo la quale, per profondità contenute, i reparti russi tentano di resistere alla pressione Ucraina. Con i loro armamenti più o meno pesanti, acquartieramenti, comandi, depositi di munizioni, carburante, mezzi di traporto e altro. Il tutto contenuto in ben identificabili e perimetrabili aree geografiche.

Pare insomma lo scenario ideale per l’impiego delle bombe a grappolo, l’esatto scenario per cui queste furono pensate; come scenario ideale era ad esempio quello delle chilometriche carovane di mezzi militari russi in marcia verso Kiev, quando si pensava che questa potesse cadere in pochi giorni.

Poi, per far dormire sonni tranquilli – se questo è il problema – a chi oggi cerca di intralciare la fornitura agli ucraini di bombe a grappolo, sarebbe sufficiente pretendere la garanzia – facilmente verificabile – di una pianificazione oculata delle missioni di volo o di artiglieria, in modo che le aree ad alta densità di reparti russi sia delimitata geograficamente con adeguato margine di sicurezza. Con una Intelligence da fonte satellitare o anche da piccoli droni, indispensabile a disegnare con esattezza l’area da saturare, e i più appropriati parametri dei sistemi d’arma, primo tra tutti lo spolettamento della quota di apertura dei contenitori delle bombette.

Si eviterebbe così con sufficiente accuratezza che le cluster bomb provochino significativi e indesiderati danni collaterali.

C’è però il concreto problema delle bombe inesplose, un problema per il quale sono circolate informazioni artefatte, soprattutto nelle cifre, nelle dimensioni del pericolo derivante dall’incappare in una bomba ancora attiva. Si è parlato addirittura del 40% sul totale dell’armamento lanciato, una cifra che francamente non trova riscontro nelle percentuali medie osservate sul campo.

Gli Stati Uniti pare si siano impegnati nel fornire Cluster il cui tasso di mancata attivazione sia contenuto al 3% o qualcosa di simile e credo che attorno a tale cifra si aggiri di norma il tasso di inefficienza degli armamenti in circolazione.

In ogni caso andrebbe attivata, a ostilità concluse, una opera di bonifica, che sarebbe però certamente meno ardua di quella comunque da attuare e volta a disattivare le ben più insidiose mine antiuomo delle quali i russi hanno disseminato i territori occupati.

Il problema pertanto non esiste, considerato che siamo in guerra; o comunque non è nei termini in cui è stato rappresentato dai media.

Esso inoltre andrebbe inquadrato in un’ottica complessiva in cui un Paese, aggredito, ridotto in una sua cospicua parte a un cumulo di macerie da un avversario che non ha risparmiato barbarie e crudeltà, che ha usato ogni arma propria ed impropria in maniera indiscriminata, ecco si vorrebbe che questo paese, già costretto da una serie di bizzarre limitazioni come quella di non poter usare la forza fuori dai propri confini, non potesse venire dotato di un tipo di armamento tutto sommato meno letale di ogni altro osservato in questa guerra e che più di ogni altro ora gli sarebbe necessario per liberare i propri territori da un invasore, tra l’altro aduso ad impiegare senza restrizioni, anche e soprattutto morali, proprio quel tipo di armi.


formiche.net/2023/07/bombe-gra…



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Responsabili


Tutto questo è di indicibile noia e inutilità. Gli uni continueranno ad accusare il magistrato che inquisisce un politico amico d’essere politicizzato, mentre il problema è l’incapacità della politica di stabilire regole che preservino l’indipendenza del

Tutto questo è di indicibile noia e inutilità. Gli uni continueranno ad accusare il magistrato che inquisisce un politico amico d’essere politicizzato, mentre il problema è l’incapacità della politica di stabilire regole che preservino l’indipendenza del giudizio e il rispetto dei diritti individuali. Fra i quali non c’è soltanto la libertà, ma anche l’onorabilità. Mentre gli altri politici continueranno a chiamare “giustizia” l’ipotesi d’accusa, perché incapaci di elaborare accuse men che generiche e sloganistiche in campo politico. Gli uni e gli altri rimproverandosi a vicenda d’essere forcaioli a fasi alterne. Se può servire: lo siete stati quasi tutti ed è uno spettacolo penoso.

Concentriamoci sulle vie d’uscita. Ne segnalo due, pertinenti a quanto succede in queste ore. Una normativa e l’altra culturale o, se si preferisce, di costume.

1. In nessuno Stato di diritto esiste la possibilità che si impedisca a un procuratore di svolgere un’indagine. O, per meglio dire, sistemi come quello francese o tedesco prevedono che si possa farlo – dato che il procuratore dipende dal governo – ma presuppongono che il governo si assuma la responsabilità di quella scelta. Difatti accade assai di rado e mai riguardo a politici. Il procuratore non è un “giudice”, ma un magistrato che non giudica nessuno, cura le indagini e sostiene l’accusa. Se qualcuno chiama “giudice” il procuratore pensate all’ortopedico che chiami “femore” l’osso del vostro braccio e scappate via lontano: quello vi ammazza. Non è un giudice, ma deve essere libero di indagare, naturalmente nel rispetto della legge.

Quel che serve non è esercitare un controllo politico sull’attività delle Procure, ma farlo sui risultati che ottengono. La produttività può ben essere misurata anche in questo campo e chi lo nega cerca soltanto di non essere misurato. Si cancelli l’obbligatorietà dell’azione penale e si introduca la responsabilità: sei libero di indagare e accusare, ma se cumuli casi di cittadini che hai accusato e che sono stati assolti togli il disturbo. Può darsi che tu sia sfortunato, più facilmente sei incapace e potresti essere prevenuto o politicizzato, in ogni caso vai allontanato.

2. Dalle stanze del governo sono uscite parole intrise di preoccupante nervosismo circa i casi Delmastro e Santanchè. Che sono pure due cose di non gran rilievo. Se la prendono con questo piglio, se immaginano di potere condurre una battaglia non per la riforma della giustizia (più che giusta) ma per difendersi dalle iniziative giudiziarie, hanno già perso in partenza. Come altri prima di loro. Usino la civiltà, con un pizzico di sana malizia.

In questi giorni un politico del Partito democratico, Mario Oliverio, ha ricevuto un avviso di garanzia. È stato sparato sui mezzi d’informazione con il solito clamore conformista, con il solito servile ossequio copista nei confronti dell’accusa. Non si ricorderà mai abbastanza che non ci sarebbe una politica così ridotta se non avessimo un giornalismo corrivo al peggio. Soltanto che quella stessa persona è già stata accusata di altri reati infamanti, s’è messa in scena la stessa danza tribale, salvo poi – in silenzio e dopo tempo – essere assolta. Dunque, fra i tanti che ne avete, trovate un parlamentare della destra che dica: non conosco la posizione personale di Oliverio, non tocca a me giudicare, ma per me resta, ai sensi della Costituzione, un innocente fino a prova del contrario. Punto. Non aggiunga altro, che gli viene male. Punto.

Soltanto questo autorizzerebbe a chiedere reciprocità, nel rispetto del diritto e dei diritti individuali. Mentre da decenni, con oramai bolsa barbarie, praticano la reciprocità nell’inciviltà. Avviso ai deliranti: è diventato noioso, si sa già che è inutile, ciascuno resterà prigioniero delle infamità che dice e l’inquisitore oggi accusato d’essere rosso domani lo sarà d’essere nero, in un massacro della giustizia di cui fa le spese non il politico inquisito (e dai suoi protetto), ma il cittadino di cui a nessuno importa un fico secco.

La Ragione

L'articolo Responsabili proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Il Programma alimentare mondiale (WFP) userà i robot per distribuire aiuti in aree di conflitto


I veicoli consegneranno cibo, medicine e acqua in situazioni ritenute troppo a rischio per gli operatori umanitari. L'articolo Il Programma alimentare mondiale (WFP) userà i robot per distribuire aiuti in aree di conflitto proviene da Pagine Esteri. htt

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della redazione

Pagine Esteri, 10 luglio 2023 – Con una mossa innovativa volta a proteggere gli operatori umanitari e a migliorare la distribuzione di aiuti alimentari, il Programma Alimentare Mondiale (WFP/PAM) pianifica di introdurre veicoli robotici alimentati da intelligenza artificiale per la consegna di pacchi alimentari nelle zone di conflitto e di disastri naturali. Questi veicoli autonomi debutteranno l’anno prossimo, segnando un avanzamento nelle operazioni umanitarie.

Secondo un funzionario del PAM, l’aumento della violenza contro gli operatori umanitari negli ultimi anni ha reso necessarie soluzioni alternative. L’uso di robot potrebbe potenzialmente mitigare i rischi associati alla consegna di aiuti in zone pericolose. Bernhard Kowatsch, responsabile del dipartimento di innovazione del PAM, sostiene che i veicoli potrebbero rivoluzionare la situazione, consentendo la consegna di cibo, medicine e acqua in situazioni ritenute troppo a rischio per gli operatori umanitari.

Il concetto di veicoli robotici è stato inizialmente sviluppato durante il conflitto ad Aleppo, in Siria, tra il 2012 e il 2016. I metodi tradizionali per la distribuzione di aiuti con gli aerei erano difficili ed costosi nelle aree di combattimento, hanno reso necessario un approccio più efficiente. Il PAM, in collaborazione con il Centro Aerospaziale Tedesco (DLR), ha lavorato al progetto AHEAD (Autonomous Humanitarian Emergency Aid Devices) per perfezionare questi veicoli.

I robot dotati di capacità anfibie e di trasportare fino a 2 tonnellate di cibo, utilizzano una combinazione di dati satellitari e sensori. Questa tecnologia consente ai conducenti remoti di guidare i veicoli in modo efficace. Tuttavia, il PAM programma di effettuare test di veicoli senza conducente all’inizio dell’anno prossimo, un passo cruciale per raggiungere la piena autonomia nella consegna di aiuti alimentari.

La messa in campo di robot con intelligenza artificiale per la consegna di aiuti offre un enorme potenziale, specialmente in aree di conflitto come il Sud Sudan, dove l’insicurezza alimentare grave colpisce milioni di persone. Pagine Esteri

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