Weekly Chronicles #50
George Orwell era un sadico, misogino e omofobo
Anna Funder, la biografa di Eileen O’Shaugnessy, moglie di Orwell, ci racconta che Orwell era un uomo complicato.
Anna ha presentato il suo libro, “Mrs Orwell’s Invisible life” al Cheltenham Literature Festival, raccontando che Orwell:
“Voleva disperatamente essere un uomo decente, ed è un qualcosa di onorabile e nobile. Ma scrivere un libro come 1984, che è violento, misogino, sadico, tetro e psicotico, mostra invece tutti difetti dell’autore […] Serve un uomo violento, misogino, sadico e omofobo per scrivere queste cose. […] Una persona perbene e decente, non avrebbe mai avuto questi pensieri.1”
Insomma, se oggi pensate di vivere in un remake di 1984, siete probabilmente anche voi tutte queste cose. Comunque Orwell aveva indubbiamente anche dei difetti e ringraziamo Anna per questa entusiasmante recensione.
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Profilazione e disinformazione dalla Commissione Europea
In questo periodo è entrato in vigore il Digital Services Act, che tra le altre grottesche misure, impone più trasparenza ai social network per i contenuti sponsorizzati (advertisement). Ne ho parlato molto anche io, con ben due articoli dedicati al tema:
Allo stesso tempo, è in corso di discussione il famigerato Regolamento “Chatcontrol”, legge di sorveglianza di massa spacciata come misura contro la pedofilia. Anche di questo ne ho parlato a dismisura:
Ebbene, un ricercatore di Politico, Danny Mekić, ha recentemente pubblicato un’inchiesta2 in cui mostra che la Commissione Europea ha commissionato una serie di contenuti sponsorizzati profilati destinati ai cittadini dei Paesi che sono contrari al Chatcontrol: Paesi Bassi, Svezia, Belgio, Finalandia, Slovenia, Portogallo e Repubblica Ceca.
I contenuti sono tutti uguali, diversi solo nella lingua. Qui ne potete trovare un esempio.
Come se non bastasse la profilazione politica di massa, pare che la Commissione abbia deciso di non visualizzare il contenuto agli utenti che secondo gli algoritmi di X sono appassionati di privacy, euroscettici e perfino cristiani — cioè coloro che in qualche modo avrebbero potuto criticarlo.
Una tale profilazione di massa è niente più che un tentativo privare le persone della loro libertà di autodeterminazione e quindi sovvertire l’ordine democratico, attraverso un’opera di persuasione di massa che colpisce milioni di persone suscettibili a cui mancano gli strumenti per giudicare in modo critico ciò che arriva dalle istituzioni europee.
I Commissari europei come Thierry Breton (DSA) e Ylva Johansson (Chatcontrol) si riempiono la bocca di parole come lotta alla disinformazione, trasparenza, rispetto della democrazia e della libertà… per poi fare l’esatto contrario.
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La California raddoppia sulla protezione dei dati, ma non servirà a nulla
Lo stato della Big Tech raddoppia la portata della sua legge sulla protezione dei dati, molto simile al nostro GDPR. Dal 2026 i cittadini potranno fare una richiesta generale di cancellazione dei loro dati che varrà per tutti i data broker sul mercato, piuttosto che rivolgersi singolarmente a ognuno di loro.
A creare la struttura necessaria per sviluppare un meccanismo del genere ci penserà la California Privacy Protection Agency (una sorta di Garante Privacy). Non è chiaro come, ma potrebbe somigliare a qualcosa di molto simile al nostro Registro delle Opposizioni.
E proprio come il nostro Registro, temo che le belle parole non salveranno — come al solito — i progressisti woke benpensanti.
Forse, piuttosto che immaginare un pulsantone “DELETE ALL”, dovrebbero invece rimuovere barriere all’ingresso del mercato, aprire la competizione anche nel mercato dei dati, e così facendo agevolare indirettamente sistemi più rispettosi della privacy delle persone by design.
Meme della settimana
Citazione della settimana
"All propaganda has to be popular and has to accommodate itself to the comprehension of the least intelligent of those whom it seeks to reach."
Famoso pittore austriaco
dannymekic.com/202310/undermin…
Riforma dell'assetto del mercato elettrico: il Consiglio raggiunge un accordo
@Energia, fonti rinnovabili, approvvigionamento e mobilità
Sono orgoglioso di affermare che oggi abbiamo compiuto un passo avanti strategico per il futuro dell’UE. Abbiamo raggiunto un accordo che sarebbe stato inimmaginabile solo un paio di anni fa. Grazie a questo accordo, i consumatori di tutta l’UE potranno beneficiare di prezzi dell’energia molto più stabili, di una minore dipendenza dal prezzo dei combustibili fossili e di una migliore protezione dalle crisi future. Accelereremo inoltre la diffusione delle energie rinnovabili, una fonte di energia più economica e pulita per i nostri cittadini.Teresa Ribera Rodríguez, terza vicepresidente ad interim del governo spagnolo e ministra per la transizione ecologica e la sfida demografica
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Il più grande quotidiano norvegese raddoppia il pubblico audio con articoli doppiati dall'intelligenza artificiale
@Giornalismo e disordine informativo
Teien ha affermato che l'editore voleva trarre vantaggio da un cambiamento nel comportamento degli utenti verso l'audio e altri formati che consentono al pubblico di svolgere più attività contemporaneamente. Un'altra cosa è stata sfruttare i punti di forza storici dell'Aftenposten nel campo dell'audio.
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La visione strategica che difetta al governo
Tra Esteri e Interni, due fatti politici di prima grandezza si prestano ad essere osservati attraverso la stessa lente e ci suggeriscono un’unica chiave di lettura. In estrema sintesi, la chiave è questa: al presidente del Consiglio Giorgia Meloni, cui l’abilità tattica non manca, occorre una visione strategica. Occorre, cioè, la capacità di mettere a fuoco le convenienze proprie e dell’Italia non nel breve, ma nel medio e nel lungo periodo.
I due fatti sono le elezioni polacche e la legge di bilancio. Cominciamo dal primo.
Gli anni trascorsi all’opposizione, hanno suggerito al leader di Fratelli d’Italia di stringere alleanze a livello europeo con forze politiche non sempre presentabili, ma regolarmente coerenti con l’identità e la retorica di una destra cosiddetta sovranista, oltre che in apparenza destinata a mietere successi elettorali crescenti. Ad oggi, possiamo dire che quella scelta, prevalentemente tattica, non si è rivelata vincente.
In Spagna, Giorgia Meloni si è molto spesa a favore del leader di Vox Santiago Abascal nella convinzione che il vento della Storia ne avrebbe gonfiato le vele. È andata male. Lo scorso luglio Vox ha perso le elezioni, lasciando così la premier Meloni in balia di una sconfitta indiretta e alle prese con un governo, quello spagnolo, ben poco riconoscente. Domenica scorsa, in Polonia, c’è stato il bis.
Il partito alleato della Meloni, il Pis, non è andato male, ma essendo scarsamente coalizzabile a causa del proprio profilo identitario radicale, ha perso il governo fino ad allora presieduto dall’ipersovranista Moraviecki. A vincere è stato Donald Tusk, liberale, già presidente del Consiglio europeo e soprattutto membro autorevole del Ppe. Tusk ha vinto grazie alla sua capacità di stringere alleanze con credibilità di governo.
E la sua vittoria ha sfatato due luoghi comuni: che nelle democrazie avanzate l’astensionismo fosse destinato a crescere favorendo di conseguenza le forze più radicali; che i giovani o non votano o votano per i partiti più estremi. In Polonia, domenica, ha votato il 74% degli aventi diritto (un record) e la maggior parte dei giovani al di sotto dei 29 non solo si è recata alle urne, ma si è schierata a favore dei moderati piuttosto che degli scalmanati. La tattica della Meloni non ha pagato, e oggi è più che mai chiaro che se FdI vorrà partecipare alla prossima alleanza di governo a Bruxelles, dovrà accettare di fare parte di una maggioranza trasversale imperniata, come l’attuale, su Ppe e Pse.
Il secondo fatto politico di prima grandezza, lo si è detto, è rappresentato dalla legge di bilancio licenziata ieri dal Consiglio dei ministri. Una manovra “caratterizzata dalla precarietà”, secondo l’economista Carlo Cottarelli. Giudizio analogo è stato formulato dalla maggior parte degli osservatori nazionali e soprattutto (brutto segno!) internazionali. La manovra, infatti, manca di una visione strategica. Su 24 miliardi, 16 sono in deficit. Cioè a dire che per i due terzi il bilancio dello Stato sarà finanziato indebitandosi. Accrescendo, dunque, il nostro già colossale debito pubblico che tanto allarma gli investitori e le agenzie di rating internazionali. Buona parte dei restanti 8 miliardi, compresi quelli che derivano da una modesta spending review, è costituita da misure non strutturali, bensì occasionali.
Ne risulta anche in questo caso un eccesso di tattica e una carenza di strategia. Manca, insomma, quella visione strategica che il più delle volte fa la differenza tra tirare a campare e governare. Ovvero, tra governare indebolendosi e durare rafforzandosi.
L'articolo La visione strategica che difetta al governo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Good morning everyone!
I installed the latest version of the activitypub plugin for wordpress and I noticed a clear improvement compared to the versions from a few months ago.
Among other things (I don't know if it is an improvement of Wordpress or Friendica), a Friendica account can finally follow a Wordpress blog through activitypub, whereas until some time ago it was unable to force the follow, but could only follow its feed RSS.
That said, with wordpress, I can also follow some profiles, but unfortunately there is a problem with Friendica. In fact, although I can follow profiles of Mastodon, Lemmy, Misskey and Pleroma, I cannot follow the Friendica profile.
When I try to connect, I get the following error:
stream_socket_client(): Unable to connect to ssl://poliverso.org:443 (Connection timed out) (https://poliverso.org/profile/informapirata)
Could any of you help me understand if I'm doing something wrong?
PS: I didn't ask ActivityPub support for Wordpress, since the error seems to only affect Friendica
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Al via le assunzioni di nuovo personale Ata nelle scuole. Grazie a uno stanziamento di 50 milioni di euro il MIM ha autorizzato le scuole a stipulare nuovi contratti a partire dal 16 ottobre fino a fine anno.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola Al via le assunzioni di nuovo personale Ata nelle scuole. Grazie a uno stanziamento di 50 milioni di euro il MIM ha autorizzato le scuole a stipulare nuovi contratti a partire dal 16 ottobre fino a fine anno.Telegram
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Giovanni Verga – I Malavoglia
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“Da amico a nemico”: Palestinesi in Israele sospesi dal lavoro a causa della guerra
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di Ylenia Gostoli
Pubblicato su Al-Jazeera il 15 ottobre 2023
(Traduzione a cura di Federica Riccardi) –
Pagine Esteri, 17 ottobre 2023. Sabato 7 ottobre, Noura* si è recata al lavoro come al solito di buon mattino nell’ospedale in Israele dove lavora da più di due anni. L’operatrice sanitaria palestinese aveva dato una rapida occhiata al telegiornale, ma nella fretta di arrivare in tempo al lavoro non aveva compreso appieno la portata di quanto stava accadendo nel Paese: un attacco del gruppo armato palestinese Hamas al sud di Israele che avrebbe causato la morte di almeno 1.300 persone in Israele. In risposta, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha lanciato una campagna di bombardamenti mortali sulla Striscia di Gaza che ha ucciso più di 2.300 palestinesi e ha imposto un assedio totale all’enclave, bloccando le forniture di cibo, medicinali e carburante. Un’invasione di terra sembra imminente.
Ma sabato mattina Noura non era a conoscenza di nulla di tutto ciò. I gruppi armati palestinesi lanciano periodicamente razzi nel sud di Israele, che vengono per lo più intercettati dal sistema di difesa missilistica del Paese, noto come Iron Dome.
Così, quando una collega visibilmente scossa ha parlato a Noura dell’accaduto, lei ha risposto dicendole: “Non è la prima volta” – una risposta che ora riconosce essere stata priva di empatia.
Ma quando sono emersi ulteriori dettagli e la natura senza precedenti dell’attacco è diventata più chiara, Noura è stata convocata nell’ufficio del suo manager, le è stato detto di lasciare il lavoro e di non tornare fino a nuovo ordine, a causa di quella conversazione precedente con la sua collega.
“Mi sono sentita molto offesa, non potevo credere che mi stesse succedendo questo”, ha detto Noura, che è una degli 1,2 milioni di palestinesi cittadini di Israele – circa il 20% della popolazione del Paese.
“Mi sento discriminata“, ha continuato. “Giorno dopo giorno, non te ne accorgi più. Ma lo senti quando succede una cosa del genere. Sai che automaticamente ti trasformi da amico a nemico”.
Poco dopo, ha ricevuto una lettera dalla direzione dell’ospedale, che Al Jazeera ha esaminato, in cui veniva convocata per un’udienza per formalizzare la sua sospensione per aver violato il codice disciplinare dell’istituto, sostenendo l’attacco di Hamas.
Noura ha negato di aver mai pronunciato le parole di cui è stata accusata.
“La cosa che mi ha offeso di più è che quando mi hanno convocata per l’incontro avevano già deciso, la decisione era stata presa. Non hanno voluto ascoltare”, ha detto Noura a proposito dell’udienza, prevista a breve.
Ha parlato con Al Jazeera a condizione di anonimato perché, nonostante tutto, spera di poter essere ascoltata in modo equo e di mantenere il suo lavoro.
Decine di reclami
Noura non è sola. Avvocati e organizzazioni per i diritti umani in Israele hanno ricevuto decine di denunce da parte di lavoratori e studenti che, da sabato scorso, sono stati bruscamente sospesi da scuole, università e luoghi di lavoro a causa di post sui social media o, in alcuni casi, di conversazioni con i colleghi.
Le lettere inviate da alcuni istituti o uffici, esaminate da Al Jazeera, citavano i post scritti sui social media e il presunto sostegno al “terrorismo” come motivo della sospensione immediata “fino a quando la questione non sarà indagata”. In alcuni casi, i destinatari sono stati convocati a comparire davanti a una commissione disciplinare.
“Persone che hanno lavorato per tre, quattro, cinque anni si sono ritrovate a ricevere lettere in cui si diceva di non presentarsi al lavoro a causa di ciò che avevano pubblicato”, ha dichiarato ad Al Jazeera Hassan Jabareen, direttore di Adalah, del Legal Centre for Arab Minority Rights in Israel, da Haifa, città del nord del Paese.
In alcuni casi, “si dice che le udienze si terranno in una data successiva, ma non si [specifica] quando”, ha detto. “L’udienza dovrebbe tenersi prima di ottenere la decisione”.
Adalah è a conoscenza di almeno una dozzina di lavoratori sospesi da sabato scorso in circostanze simili, per lo più a causa di post sui social media. Ha inoltre ricevuto le denunce di circa 40 studenti palestinesi delle università e dei college israeliani che hanno ricevuto lettere di espulsione o sospensione dalle loro istituzioni.
Wehbe Badarni, direttore del sindacato dei lavoratori arabi nella città settentrionale di Nazareth, ha dichiarato ad Al Jazeera che il sindacato sta seguendo più di 35 denunce, tra cui studenti e lavoratori di ospedali, alberghi, stazioni di servizio, ristoranti e call center.
In una lettera visionata da Al Jazeera, un’azienda aveva convocato un dipendente per un’udienza telefonica per “esaminare la possibilità di terminare il rapporto di lavoro con l’azienda” a causa di “post che sostengono attività terroristiche e incitamento”.
“L’incitamento al terrorismo è un’accusa grave che deve essere provata in tribunale”, ha dichiarato Salam Irsheid, avvocato di Adalah. “A nostro avviso, ciò che sta accadendo in questo momento non è legale”.
‘Atmosfera di terrore’
Un altro operatore sanitario con cui Al Jazeera ha parlato a Tel Aviv ha detto che sta facendo tutto il possibile per mantenere un basso profilo, per paura di punizioni. “Nessuno parla della situazione, ogni mattina mi trovo di fronte a facce scontrose e arrabbiate, considerando che sono l’unico palestinese che lavora lì”, ha detto ad Al Jazeera.
“Le notizie sono terribili, ma quando sono al lavoro cerco di far finta che tutto sia solo una notizia. Non posso davvero esprimere o parlare di ciò che sta accadendo”, ha detto. “Dall’ultima guerra [nel 2021] tutti tengono un profilo basso”.
Physicians for Human Rights Israel, un’organizzazione no-profit fondata più di tre decenni fa a Jaffa, ha gestito diversi casi di sospensione di operatori sanitari dal 2021, dopo l’ultima guerra tra Hamas e Israele, secondo la presidente del consiglio di amministrazione, la dottoressa Lina Qassem Hasan.
In un caso di alto profilo, Ahmad Mahajna, medico dell’ospedale Hadassah di Gerusalemme, è stato sospeso per aver offerto dolci a un adolescente palestinese che si trovava sotto la custodia della polizia nell’ospedale, dove veniva curato per ferite da arma da fuoco dopo un presunto attacco. “C’è un’atmosfera di terrore, la gente ha paura”, ha detto la dottoressa Qassem ad Al Jazeera.
Il 12 ottobre era prevista una visita bimestrale a Gaza con il suo gruppo per i diritti umani. La visita di medici e psicologi di questo mese è stata annullata dopo l’attacco di Hamas. Invece, si è trovata a curare i pazienti evacuati dalle loro case nel sud di Israele.
Una stazione radio locale l’ha intervistata durante la sua visita. “In questa intervista, ho detto che ciò che Hamas ha fatto è un crimine di guerra ai miei occhi, e che vedo anche che ciò che Israele fa a Gaza è un crimine di guerra”, ha detto.
“Due ore dopo l’intervista, ho ricevuto una telefonata dal mio datore di lavoro”, ha detto Qassem, che esercita anche la professione di medico in una clinica. Non le è stato chiesto di smettere di parlare con i media, ma “è stato come un avvertimento per me che devo stare attenta, sai, che [loro] seguono quello che [io] faccio “.
I cittadini palestinesi di Israele hanno storicamente affrontato discriminazioni sistemiche, tra cui la cronica mancanza di investimenti nelle loro comunità con – secondo Adalah – più di 50 leggi che sono pregiudizievoli nei loro confronti.
Eppure “il razzismo si è ulteriormente accelerato”, ha dichiarato l’avvocato Sawsan Zaher ad Al Jazeera. “Quello che stiamo vedendo ora è qualcosa che non abbiamo mai visto prima”.
“Il solo fatto di esprimere la propria opinione, anche se non si tratta necessariamente di incitamento ai sensi del codice penale… ora è sufficiente per l’accusa di esprimere sostegno non solo ad Hamas, ma al popolo palestinese in generale”, ha aggiunto.
Zaher ha detto che la gente ha sempre più “paura di parlare arabo” in pubblico.
Anche Noura è solita tenere la testa bassa.
“In ogni situazione in cui c’è un incidente o qualcosa che accade, cerchiamo di non parlarne affatto. Cerchiamo di dimenticarlo, di metterlo in secondo piano perché sappiamo che verremo giudicati se diremo una parola”, ha detto Noura.
“Questa volta è stato un mio errore rispondere”.
*Il nome è stato cambiato su richiesta della persona per evitare potenziali ritorsioni.
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In Cina e Asia – La Belt and Road in cerca di sostenibilità
I titoli di oggi: La Cina lancia una nuova iniziativa legata alla blue economy Il Canada protesta con Pechino dopo intercettamento aereo “pericoloso” Hong Kong: una nuova vittoria per le coppie LGBT Tribunale indonesiano apre la vicepresidenza al figlio di Jokowi Seul prende di mira le aziende che costruiscono i sottomarini taiwanesi L’ambasciatrice Usa di nuovo a Taiwan in vista ...
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LIVE. GAZA/ISRAELE. Giorno 11. Si aggravano le condizioni dei civili palestinesi. Biden domani in Israele
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della redazione
(foto di archivio)
Pagine Esteri, 17 ottobre 2023 – Peggiorano di giorno in giorno le condizioni di vita della popolazione palestinese di Gaza soggetta da 11 giorni a pesanti e continui raid aerei israeliani – la scorsa notte 200 secondo il portavoce militare – seguiti all’attacco compiuto il 7 ottobre dal movimento islamico Hamas che ha ucciso circa 1400 israeliani.
I numeri forniti dalle organizzazioni umanitarie raccontano il calvario dei civili di Gaza. Oltre ai 2808 uccisi dai raid (1.030 sono minori), ci sono 10.850 feriti, di cui il 64% sono donne e bambini. 57 famiglie non esistono più e altre 223 hanno perso almeno cinque membri. La Protezione civile avverte che almeno 1.000 corpi rimangono sotto le macerie delle loro case. 3.731 edifici, ossia 10.500 alloggi, sono stati distrutti. Altri 10.000 danneggiati. A cui si aggiunge la distruzione di un numero imprecisato di edifici governativi, posti di polizia, uffici, studi legali, cliniche private, negozi commerciali e fabbriche. 18 scuole sono inagibili altre 150 hanno subito danni di vario grado. 22 ospedali e centri sanitari sono stati danneggiati da esplosioni avvenute a poche decine di metri di distanza.
Israele domenica – dopo le pressioni Usa – ha fatto sapere che avrebbe ripristinato l’ approvvigionamento idrico almeno al sud di Gaza. Ma un rappresentante di Ocha (Onu) riferisce che fino al pomeriggio di ieri «era stata ripristinata solo una delle tre principali condutture dell’acqua». Secondo fonti a Gaza, sarebbe disponibile solo il 20% dell’acqua che prima del 7 ottobre era fornita da Israele. Da molti rubinetti non esce nulla, anche perché la rete idrica è a pezzi in molte aree. Al Jazeera ieri spiegava che l’acqua è contenuta in serbatoi posizionati al confine con Israele, nell’area nord di Gaza, quella che l’esercito ha ordinato di evacuare. Le pompe idriche richiedono elettricità ma anche questa è stata tagliata da Israele. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fatto sapere che le scorte di carburante e acqua a Gaza bastano per 24 ore, dopodiché si verificherà una «immane catastrofe». Intanto l’Unrwa (Onu), l’agenzia che assiste i profughi palestinesi, ha smentito che un suo magazzino sia stato saccheggiato da uomini del ministero della sanità legato ad Hamas.
Torna in primo piano la questione degli ostaggi israeliani. Attualmente ci sono tra i 200 e i 250 israeliani prigionieri a Gaza ha comunicato ieri Abu Obeida, portavoce dell’ala militare di Hamas, sottolineando che non esiste un conteggio definitivo a causa di “difficoltà pratiche e di sicurezza”: 200 sono nelle mani di Hamas, altri 50 sono detenuti da altre “fazioni della resistenza e in altri luoghi”. Gli ostaggi stranieri sono “nostri ospiti”, ha precisato Abu Obeida, promettendo di proteggerli e di rilasciarli quando le condizioni “sul terreno” lo consentiranno.
Ieri Hamas ha diffuso un video che mostra uno degli oltre 200 ostaggi israeliani, Mia Schem, 21 anni, che viene curata dopo essere stata ferita al braccio. Schem racconta di essere stata operata per tre ore e che “mi curano, mi danno dei farmaci. Chiedo solo di essere riportata a casa al più presto, dalla mia famiglia, dai miei genitori, dai miei fratelli. Per favore, fatemi uscire di qui il più presto possibile”. La famiglia di Schem ha reagito al filmato dicendo: “Siamo felici”. Le autorità israeliane hanno invece definito il video “propaganda di Hamas”.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden visiterà domani Israele, ha annunciato il segretario di Stato americano Antony Blinken dopo aver avuto un incontro di circa otto ore con il primo ministro israeliano Netanyahu. Biden, ha detto, durante il viaggio riaffermerà la solidarietà degli Stati Uniti a Israele e l’impegno di Washington per la sicurezza israeliana, condannerà l’attacco di Hamas del 7 ottobre, affermerà l’“obbligo” di Israele di difendersi. La visita durerà un solo giorno, poi Biden andrà in Giordania dove incontrerà re Abdallah. Secondo i media Netanyahu avrebbe promesso a Blinken di far entrare aiuti umanitari a Gaza.
L’esercito israeliano afferma di aver ucciso questa mattina quattro persone che tentavano di infiltrarsi dal Libano. Pagine Esteri
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Gaza e Israele viste dalla Cina
Pechino spinge la soluzione dei due stati e sostiene l'unità del mondo arabo, con la speranza di non vedersi disfatta la tela diplomatica intessuta in Medio oriente. Frizioni con Tel Aviv e gli Usa, ma si continua a lavorare all'incontro Xi-Biden. Prima, però, c'è il forum sulla Belt and Road con Vladimir Putin
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Journa.host e la proprietà dei server Mastodon. Una storia sulla fragilità emotiva e professionale dei giornalisti
@Giornalismo e disordine informativo
Riportiamo le riflessioni di Laurens Hof, autore della newsletter fediversereport
Il server Journa.host , un server Mastodon dedicato ai giornalisti, ha trasferito la proprietà. Con ciò arrivano domande riguardanti le aspettative tra i proprietari/operatori del server e le persone che utilizzano il server. Il server Journa.host è iniziato come un progetto incentrato sulla comunità, con il finanziamento iniziale del Tow-Knight Center for Entrepreneurial Journalism presso la Craig Newmark Graduate School of Journalism della CUNY. Recentemente la proprietà del server è stata trasferita alla Fourth Estate Public Benefit Corporation. Questa organizzazione gestisce anche il server Mastodon newsie.social e, fino a poco tempo fa, anche il progetto verifyjournalist.org (la cui proprietà è stata recentemente trasferita a The Doodle Project).
Questo trasferimento di proprietà del server ha innescato una discussione da parte del giornalista etiope Zecharias Zelalem, che si è allontanato dal server journa.host a seguito di questo trasferimento di proprietà. Nei suoi post sottolinea i rischi reali che derivano dall'essere un giornalista, soprattutto nel suo contesto. Il trasferimento dei dati personali dei giornalisti e il controllo della loro presenza sui social media alla nuova proprietà senza alcun preavviso e spiegazione solleva interrogativi sulle considerazioni dei precedenti proprietari su questo trasferimento. Uno dei punti sollevati è che ci sono poche informazioni disponibili sull'identità del nuovo proprietario, Jeff Brown. È comprensibile che i giornalisti si sentano a disagio quando non è chiaro chi sia responsabile di una parte importante della loro presenza digitale. Allo stesso tempo, la maggior parte dei server non è finanziariamente sostenibile e non si può presumere che anche i server che ricevono finanziamenti da luoghi affidabili rimangano operativi per sempre quando i fondi si esauriscono. Nel frattempo, sotto la nuova proprietà, journal.host consentirà nuovamente la registrazione di nuove applicazioni per il server journal.host.
Dan Hon ha scritto un articolo interessante sulla situazione, tracciando parallelismi con il nuovo libro di Cory Doctorow "The Internet Con", che vale la pena leggere. Sta anche ospitando un incontro digitale per piccoli gruppi "Giornalismo, notizie e social network federati", organizzato anche in risposta a questa conversazione. Qui puoi trovare ulteriori informazioni su questo incontro "Hallway Track".
Le nostre considerazioni sulla vicenda
Quando abbiamo creato l'istanza mastodon poliversity.it, dedicata agli accademici e ai giornalisti, ci siamo resi conto che mentre gli accademici hanno iniziato a frequentarla, i giornalisti l'hanno praticamente disertata, preferendo stare dentro istanze generaliste come mastodon.uno o la gigantesca mastodon.social Ma altri hanno preferito iscriversi nelle due istanze tematiche anglofone più grandi dedicate al giornalismo, newsie.social e journa.host.
Il motivo dichiarato è che i giornalisti preferivano stare nei luoghi più comodi, più frequentati o più esclusivi. Insomma, preferivano Un posto al sole...
Ma questa individuazione dell'istanza del fediverso più affollata nasconde la pigrizia tipica della maggior parte dei giornalisti oltre alla impellente necessità di mettersi in mostra. Quando abbiamo creato la nostra istanza dedicata al giornalismo, abbiamo sempre affermato che si doveva trattare di una soluzione temporanea, in attesa di fare in modo che i giornalisti stessi creassero delle proprie istanze, legate alla piattaforma editoriale per cui già lavoravano o ai consorzi di cui fanno parte alcuni dei migliori giornalisti italiani ed esteri.
Invece questi progetti non sono ancora nati. In questo senso, troviamo che le lamentazioni di Zecharias Zelalem siano stucchevoli: non riguardano l'orgoglio del giornalismo, ma la semplice lamentela del giornalista che si vede cambiare padrone, che si vede cambiare il soggetto ospitante
Anche l'accusa nei confronti di Jeff Brown ossia quella di non essere un giornalista, è una cosa volgare che manca totalmente l'obiettivo: Il fatto è che Jeff Brown non deve essere un giornalista ma al massimo deve essere un bravo "editore"!
Il punto però è che il fediverso consente a ciascun giornalista o a ciascun gruppo di giornalisti di essere editore di se stesso. L'incapacità di comprendere la realtà da parte proprio di quei soggetti che dovrebbero raccontarle, è al nostro avviso l'aspetto più problematico e in un certo senso oscena di tutta questa vicenda.
Dài @GustavinoBevilacqua conosci troppo bene il fediverso per capire che non è questo il punto! Se hai bisogno di sicurezza, non devi cercare la "fiducia" di nessuno, ma devi solo avere il "controllo"!
Se vuoi usare l'istanza di un altro, il minimo che devi (Minimo che DEVI) fare è iscriverti con protonmail e collegarti con TOR project.
L'ottimale è crearti una tua istanza e comunicare solo con sistemi crittati (matrix, signal, session, etc)
@GustavinoBevilacqua aggiungo infine che nessuno deve
> dimostrare che Jeff Brown non è uno delle tante Wanna Marchi della rete, che cerca solo polli da mungere… sarà una buona notizia.
Questo è indifferente, così come lo è il fatto che sia o non sia un giornalista (per me è un "editore di fatto" e si posiziona nell'intervallo tra Wikileaks ed Elon Musk!): quello che conta è chi sei tu, utente che ti iscrivi là dentro...
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Colombia. Petro: “pronti a rompere le relazioni con Israele”
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di Redazione
Pagine Esteri, 16 ottobre 2023 – «Se occorre sospendere le relazioni con Israele le sospenderemo. Non appoggiamo i genocidi». Così si è espresso il presidente della repubblica della Colombia rispondendo alle proteste sollevate dall’esecutivo israeliano nei confronti di Bogotà per le forti prese di posizione del capo di stato colombiano contro il massacro compiuto da Israele nella Striscia di Gaza.
Riferendosi all’assedio e ai bombardamenti su Gaza, che hanno provocato in pochi giorni migliaia di vittime civili, Petro aveva paragonato la situazione del territorio palestinese ai campi di concentramento nazisti.
Poco prima, il ministero degli Esteri israeliano aveva convocato l’ambasciatrice colombiana, Margarita Manjarrez, per censurare le ultime esternazioni del primo presidente di sinistra del paese, accusato da Tel Aviv di «istigazione all’antisemitismo». «Israele – recitava un comunicato della rappresentanza diplomatica israeliana in Colombia – condanna le dichiarazioni del presidente colombiano che riflettono un sostegno alle atrocità commesse dai terroristi di Hamas, alimentano l’antisemitismo, colpiscono i rappresentanti dello Stato di Israele e minacciano la pace della comunità ebraica in Colombia».
«Il presidente della Colombia non si insulta. Chiamo l’America Latina a una solidarietà reale con la Colombia. Né gli Yair Klein, ne i Rafael Eithan potranno dire qual è la storia della pace in Colombia. Hanno scatenato i massacri e il genocidio in Colombia. La Colombia, come ci hanno insegnato Bolivar e Narino, è una nazione indipendente, sovrana e giusta» ha quindi reagito Petro riferendosi a due ex militari israeliani coinvolti negli eccidi compiuti nei decenni scorsi dagli squadroni della morte di estrema destra contro i movimenti guerriglieri e i movimenti sociali. Se Yair Klein, ex militare di Tel Aviv e mercenario, è noto per aver addestrato i paramilitari di estrema destra colombiani, Rafael Eithan suggerì all’ex presidente colombiano Virgilio Barco di sterminare i membri del partito di sinistra Unione Patriottica, cosa che effettivamente avvenne negli anni ’80 e ’90 con migliaia di militanti assassinati.
Il presidente colombiano, sempre molto attivo sulle reti sociali, è intervenuto spesso nei giorni scorsi sulla crisi mediorientale, denunciando tra le altre cose il fatto che il «potere mondiale tratta in modo distinto l’occupazione russa sull’Ucraina e quella israeliana in Palestina». Dopo aver ricordato che “uccidere bambini innocenti significa terrorismo, sia in Colombia sia in Palestina”, Petro ha invitato le parti a sedere a un tavolo negoziale per arrivare ad una soluzione politica del conflitto attraverso la fondazione di due Stati sovrani.
«Nessun democratico al mondo può accettare che Gaza sia trasformata in un campo di concentramento» ha scritto Petro su Twitter. «I campi di concentramento sono vietati dal diritto internazionale e coloro che li allestiscono si trasformano in colpevoli di reati di lesa umanità» ha aggiunto il presidente della Colombia suscitando la rabbia dell’ambasciatore di Israele a Bogotà, Gali Dagan.
Il governo israeliano è intervenuto annunciando il blocco della vendita di armi alle forze armate colombiane.
Da parte sua Gustavo Petro ha esortato le Nazioni Unite a convocare quanto prima una sessione straordinaria, ha promesso l’invio di aiuti umanitari alla popolazione della Striscia di Gaza e che cercherà la mediazione e la collaborazione delle autorità egiziane.
Ovviamente i partiti di destra all’opposizione non hanno preso bene né le dichiarazioni di Petro contro Tel Aviv né la crisi aperta con Israele, da sempre fornitore privilegiato di armi e alleato delle oligarchie colombiane nella repressione dei movimenti guerriglieri, sociali e sindacali del paese, tra i più estesi di tutto il continente. – Pagine Esteri
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Non c’è differenza tra Isis e Hamas: vogliono entrambe distruggere Israele
«Benjamin Netanyahu è un dirigente catastrofico, ma non è per questo che Israele è stato colpito da Hamas». Secondo il filosofo francese Alain Finkielkraut, figlio di ebrei polacchi sopravvissuti all’Olocausto, le cause dell’attacco condotto da Hamas sono riconducibili «ai tentativi di normalizzazione tra Israele e l’Arabia saudita». Sulla minaccia islamista in Europa, diventata più concreta dopo l’attacco avvenuto venerdì nel nord della Francia dove un ventenne originario del Caucaso ha ucciso un insegnante a coltellate, l’intellettuale ricorda l’esistenza «una comunità arabo-musulmana che si identifica da sempre alla causa palestinese». «La questione sta nel sapere fino a dove arriverà questo riconoscimento», spiega il filosofo.
Come giudica gli ultimi avvenimenti che hanno scosso la Francia?
«Stiamo assistendo allo spirito e alla messa in atto dei pogrom condotti da Hamas sotto forma di guerriglia urbana e al modo in cui si installano sul nostro continente. Gli ebrei di Israele e quelli della diaspora sono sulla stessa barca, uniti da un destino comune. Nessuno poteva immaginare una simile situazione, ma c’è un nuovo antisemitismo in marcia, che non ha nulla a che vedere con il nazismo e si presenta sotto le vesti dell’antirazzismo. Bisognerà affrontarlo, ma penso che, nonostante le divisioni di Israele, gli ebrei non sono mai stati così solidali tra loro come oggi».
Che conseguenze potrà avere la risposta militare di Israele in Occidente?
«Gli israeliani hanno chiesto agli abitanti della parte nord di Gaza di rifugiarsi a sud dell’enclave. Hamas, che non si preoccupa della sua popolazione, respinge questa richiesta, così come l’Onu. Il rischio è quello di avere molte vittime civili, con conseguenze devastanti per l’Europa. Le manifestazioni palestinesi si moltiplicheranno, così come gli atti antisemiti. Vorrei però ricordare che i bombardamenti effettuati dall’Occidente per distruggere l’Isis hanno fatto molti più danni rispetto a quelli mirati di Israele. In quel caso, però, nessuno ha urlato allo scandalo».
A proposito, che ne pensa dei tanti cortei pro-palestinesi di questi giorni?
«Dimostrano l’esistenza e la forza di quello che in Francia è chiamato islamo-gauchisme, termine utilizzato per indicare una parte della sinistra che vede nei musulmani dei dominati in rivolta contro un occidente dominatore e colonialista».
Che responsabilità ha in questa crisi l’esecutivo del premier Benjamin Netanyahu?
«Il governo israeliano ha dimostrato la sua incapacità. Il fronte sud è rimasto sguarnito. I miliziani di Hamas hanno superato la barriera di sicurezza con una facilità incredibile perché una parte dell’esercito israeliano è stata inviata a proteggere gli insediamenti in Cisgiordania, mentre sotto la pressione dei religiosi ultra ortodossi il 40% dei soldati ha ottenuto un permesso per festeggiare in famiglia le feste ebraiche. È stata una situazione delirante e una volta che questa crisi sarà finita il governo dovrà pagare».
È d’accordo con il parallelo tra l’Isis e Hamas?
«L’attacco contro Israele dimostra che non c’è nessuna differenza tra questi due gruppi. Del resto, molte bandiere dello Stato islamico sono state piantate nei kibbutz attaccati. L’unica missione di Hamas, fin dalla sua creazione, è quella di distruggere Israele, non di obbligarlo a lasciare i territori occupati. Il principale nemico dei palestinesi e della causa palestinese è Hamas».
Da filosofo, cosa pensa delle recenti dichiarazioni di Papa Francesco, che in riferimento ai tanti conflitti in corso ha parlato di una “Terza Guerra mondiale combattuta a pezzi”?
«Sono sbalordito dalle posizioni del Pontefice, che non si preoccupa dell’Europa e in nome dell’ospitalità incondizionata approva la scomparsa programmata della civilizzazione europea. Fa esattamente il contrario dei suoi predecessori: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Non ha mai condannato come si deve l’invasione russa dell’Ucraina e non ha mai nemmeno voluto prendere in considerazione la realtà della violenza islamista. Per me Papa Francesco è ormai totalmente screditato e rappresenta una catastrofe per la Chiesa e per l’Europa».
Quindi non è d’accordo con le sue parole?
«Temo naturalmente un ampliamento del conflitto. Se Hezbollah interverrà, si aprirà un nuovo fronte, con il rischio di veder entrare anche l’Iran nelle danze. Tuttavia, credo che questa guerra rimarrà circoscritta. C’è però un blocco anti- occidentale in fase di costruzione, che comprende la Russia, l’Iran e altri Paesi membri dei Brics. È come se all’orizzonte si stesse delineando quello che il politologo Samuel Huntington definiva “scontro di civiltà”».
Pensa che questo scontro sia già iniziato?
«C’è qualcosa del genere in atto. La mia unica speranza è che una parte dei musulmani residente in Europa si rivolti contro questa radicalizzazione e dica “Not in my name”».
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🥗 Oggi, 16 ottobre è la Giornata mondiale dell’alimentazione 2023 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO).
🚰 Il tema di quest’anno è: “L’acqua è vita, l’acqua ci nutre. Non lasciare nessuno indietro.
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Taekwondo diplomacy: arti marziali e governi asiatici
La popolarità delle arti marziali tradizionali asiatiche nel mondo è oggi tanto uno strumento di soft power quanto una base narrativa utile a rafforzare l'identità nazionale. Un estratto dall’ultimo e-book di China Files su Sport e Politica (per sapere come ottenerlo, clicca qui)
L'articolo Taekwondo diplomacy: arti marziali e governi asiatici proviene da China Files.
Ecuador: la destra di Daniel Noboa vince le elezioni
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di Davide Matrone –
Pagine Esteri, 16 ottobre 2023.
I primi risultati e le dichiarazioni a caldo
Con il 91% dei voti scrutinanti il candidato Daniel Noboa vince con il 52.1% dei consensi con uno scarto di quasi 500 mila voti sulla candidata Luisa González. Quest’ultima, nonostante avesse recuperato nelle ultime due settimane, non è stata capace di ribaltare il risultato che comunque era sfavorevole sin dal primo turno. I primi exit poll emanati alle 18, un’ora dopo la chiusura dei seggi, davano in vantaggio Noboa con un 53% a 47%. Il tam tam dei primi exit poll ha creato confusione e malumore tra gli addetti ai lavori. Luisa Gonzalez è intervenuta sul suo account di Twitter scrivendo: “Gli exit poll a volte hanno commesso, in passato, dei gravi errori. Attendiamo con calma e determinazione. Con responsabilità democratica seguiremo i dati ufficiali e avremo fiducia nella volontà popolare”.
Dopo i risultati ufficiali, la stessa González con Andrés Arauz e i quadri della Revolución Ciudadana ha ringraziato tutti coloro che hanno camminato insieme durante questi giorni di campagna elettorale riconoscendo la vittoria del candidato Daniel Noboa. “Bisogna rispettare la democrazia e la serietà della politica. Il nostro è un progetto che continuerà per il prossimo futuro”.
Verso le 21,30 il neoeletto presidente della Repubblica dell’Ecuador (il più giovane della storia) ha scritto sul suo account twitter: “Oggi abbiamo fatto la storia. Le famiglie ecuadoriane hanno scelto il Nuovo Ecuador, un paese più sicuro e con più occupazione. Andiamo avanti per realizzare le promesse fatte in campagna elettorale e che la corruzione venga castigata. Grazie Ecuador”
Il primo a fare i complimenti a Daniel Noboa è stato il Presidente uscente Guillermo Lasso che ha scritto le seguenti parole sul suo account di Twitter: “Caro Daniel, presidente eletto dell’Ecuador: i miei complimenti. Oggi, il nostro paese ti ha dato la fiducia per governarlo. Sarà un piacere riceverti martedì al Palacio Carondelet (sede della Presidenza della Repubblica). Dovremo già cominciare il processo di transizione perché conosca fino in fondo la situazione dell’Ecuador per quanto concerne l’economia, la parte sociale e la sicurezza. Complimenti. La nostra democrazia si rafforza”.
Un’analisi del voto
La partecipazione resta stazionaria rispetto a 2 anni fa e cioè intorno all’82% degli aventi diritto con un lieve incremento dello 0.4%. Si registra un calo del voto nullo che passa da 1 milione e 700 mila voti a 73a mila voti in queste ultime elezioni con un calo di 3,5%. Tuttavia, il 7.7% di voti nulli di ieri, molto probabilmente, hanno nuovamente svantaggiato la candidata della Revolución Ciudadana come nel caso di Andres Arauz nel 2021. Alle scorse elezioni, il candidato Yaku Perez – che in due anni passa dal 19,3% al 3,9% – fece una dura campagna per il nullo ideologico anche se una parte del suo elettorato votò per Lasso al ballottaggio. Ricordiamo che lo stesso Yaku aveva più volte dichiarato “meglio un banchiere che un despota”. Poi i risultati del banchiere rispetto al despota hanno lasciato molto a desiderare, a mio avviso.
Se si analizza a prima vista la distribuzione territoriale del voto, si replica il voto del 2021.
La Revolución Ciudadana, che rappresenta la forza di centro – sinistra, marca la sua presenza nella costa, da Esmeraldas al Guayas e conserva e si difende nelle due regioni amazzoniche di Sucumbios e Orellana. Mantiene il suo elettorato in definitiva ma non cresce. Questo elemento deve fare riflettere all’entourage della prima forza politica del paese.
Arauz aveva conquistato al secondo turno il 47,64% (4 milioni 263, 515 voti) e Luisa González ieri il 47,70% (4 milioni 451,243 voti). In termini percentuali +0,06% e + 187,728 voti. Pochini se si vuole conquistare Palacio Carondelet.
Mentre invece la destra – che aveva vinto con Lasso nel 2021 con il 52,36% pari a 4 milioni 656,426 voti – in queste elezioni conquista il 52,30 (-0,06%) e 4 milioni 881 100 voti (+ 224,674 voti). Gli ecuadoriani premiano e ridanno fiducia alla destra nonostante il suo ultimo Presidente in carica – di destra – sia stato sfiduciato nel referendum popolare dello scorso febbraio ed esca con una bassissima accettazione popolare intorno al 15%, secondo gli ultimi sondaggi Gallup del giugno 2023.
Il paradigma di sviluppo neoliberista esce dalla finestra con Lasso e rientra dalla porta con Noboa.
È curioso notare come la destra vinca nelle regioni e zone economicamente più depresse e con maggior indici di povertà (la Sierra interna per esempio). Questo ci porta a pensare che un maggior impatto negativo del neoliberismo non si traduce, necessariamente, in una reazione opposta allo stesso; c’è accettazione, rassegnazione e addirittura rancore verso chi si oppone. Quindi non è il neoliberista il responsabile del fracasso, bensì il suo oppositore che in Ecuador si configura con Correa e con lo slogan “la colpa è di Correa”. Slogan costruito e orchestrato all’infinito dai mezzi di comunicazione privati.
Un altro dato da analizzare è quello del voto all’estero che si è svolto nelle 97 zone elettorali delle 3 circoscrizioni speciali. Qui, gli oltre 400 mila ecuadoriani (180 mila solo in Spagna) hanno votato dalle 9H00 alle 19h00 (in base ai differenti fusi orari). Non hanno votato per motivazioni logistiche e politiche gli ecuadoriani residenti in: Israele, Russia, Bielorussia e Nicaragua.
Ricordiamo che con questo voto si dovevano assegnare 6 parlamenti dei 137 totali. Secondo i dati emanati dal CNE (Consiglio Nazionale Elettorale) la Revolución Ciudadana ha vinto nelle 3 circoscrizioni. In quella Latinoamericana, Caraibi ed Africa ottiene il 37% dei voti validi, nella circoscrizione Europa, Oceania ed Asia conquista il 63% e in Canada e Stati Uniti il 42,1%. Questo vuol dire che la RC conquisterebbe i 6 posti che si sommano ai 48 parlamentari già ottenuti al primo turno.
L’assemblea Nazionale vede quindi una maggioranza del partito della RC con 54 parlamentari su 137, seguito dal gruppo Movimento Construye (28) e poi dal Partido Social Cristiano (14). Il partito ADN del neopresidente Noboa ha solo 13 parlamentari. Quasi scompare Pachakutik che passa da 24 a 4 parlamentari. Sembra ripresentarsi la stessa situazione di 2 anni fa quando Lasso vinse le elezioni ma portò al Parlamento un’esigua flotta di 12 parlamentari che gli permisero di governare solo 2 dei 4 anni previsti. Lasso non riuscì a costruire alleanze politiche, anzi. Litigò finanche con il suo maggiore alleato Nebot. Inoltre, la dura opposizione dell’Assemblea Nazionale lo costrinse alla resa con la firma della famosa Muerte Cruzada (lo scioglimento anticipato delle Camere). Atto che si è registrato per la prima volta nella storia del paese.
Ora Noboa, forse, si troverà nella stessa situazione. Dovrà realizzare le riforme con le atre forze politiche e per farlo dovrà negoziare. A meno che non si formi una maggioranza amplia e compatta. Ci riuscirà?
In definitiva, c’è un’egemonia culturale delle élite dominanti in Ecuador che continua a rendere dominanti i propri valori e le proprie idee. Anche in queste elezioni vediamo concretizzarsi un processo mediante il quale i poveri e i subalterni appoggiano i propri oppressori. Gramsci lo spiegava quando diceva appunto che la classe dominante mantiene il suo potere non solo attraverso la forza ma anche attraverso un’egemonia culturale e ideologica (consenso) sulla società. La classe dominante ecuadoriana riesce a stabilire quest’egemonia ideologica attraverso le istituzioni come il sistema educativo, i mezzi di comunicazione (tradizionali, reti sociali e influencers) e la religione. E continua a vincere. La sinistra, con l’uscita di scena di Correa e con il processo di neutralizzazione della destra attraverso i suoi mezzi, dovrà rendere maggioritaria la sua egemonia culturale che ha costruito solo in alcune zone del paese ma non riesce ancora a costruirla nelle altre. Pagine Esteri
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In Cina e Asia – Wang Yi accusa Israele di "punizione collettiva sui civili di Gaza”
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LIVE. GAZA/ISRAELE. Giorno 10. Protezione civile di Gaza: “sotto le macerie i corpi di altri mille palestinesi”
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della redazione
Pagine Esteri, 16 ottobre 2023 – Sono 2670 i palestinesi, per la maggior parte civili, tra cui centinaia di bambini e ragazzi, morti nei bombardamenti aerei israeliani cominciati il 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas al sud di Israele (1300 morti). I feriti palestinesi sono circa 10mila. Il bilancio è stato comunicato ieri sera dal ministero della sanità ma la Protezione civile avverte che sotto le macerie degli innumerevoli palazzi, case ed edifici distrutti dalle bombe potrebbero esserci i corpi non recuperati di altri mille palestinesi. La scorsa notte, riferiscono gli abitanti di Gaza, Israele ha colpito con la sua aviazione decine di volte.
Israele non intenderebbe restare nella Striscia di Gaza. Così afferma l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Gilad Erdan in risposta all’intervista in cui il presidente americano Joe Biden ha definito un errore la possibile rioccupazione di Gaza. “Non abbiamo alcun interesse a occupare Gaza o a restarvi”, ha detto Erdan alla Cnn, in risposta alle affermazioni del presidente Usa, Joe Biden, secondo il quale l’occupazione di Gaza da parte di Israele sarebbe un “grosso errore”. Erdan ha aggiunto che Israele “farà tutto il necessario per distruggere le capacità di Hamas” e rimuoverlo dal potere ma non ha indicato quale “futuro” i comandi politici e militari di Israele immaginano per il controllo di Gaza. Secondo Erdan il focus ora deve essere solo sulla liberazione degli israeliani prigionieri a Gaza e sull’offensiva militare di terra.
Offensiva che non è ancora scattata. A causa, spiegano alcuni, dell’elevato numero di civili palestinesi nel nord di Gaza. L’ultimatum a lasciare “entro 24 ore” le proprie case e a recarsi a sud lanciato giovedì notte da Israele, ha messo in fuga centinaia di migliaia di civili. Ma altrettanti hanno scelto di non partire o più semplicemente non hanno la possibilità di farlo. Inoltre, sul territorio sono presenti strutture ospedaliere e di assistenza alla popolazione che rifiutano di evacuare.
La tv Canale 13 oggi riferisce che il primo ministro israeliano Netanyahu non vorrebbe allargare i fronti di guerra mentre il suo ministro dell’esercito, Yoav Gallant, insiste per attaccare anche Hezbollah in Libano.
Mentre vanno avanti i bombardamenti aerei e, da parte sua, Hamas continua a lanciare razzi. Israele ha annunciato l’uccisione di due presunti capi militari del movimento islamico e di quattro membri del suo ufficio politico. Hamas accusa Israele di aver colpito con gli aerei e ucciso 70 sfollati che l’altro giorno stavano percorrendo in auto uno due “percorsi sicuri” indicati dallo stesso esercito israeliano per raggiungere il sud di Gaza. Il portavoce militare ha nega e accusa a suo volta Hamas di aver ucciso i civili.
Intanto dopo pressioni statunitensi, Israele ieri ha annunciato di aver ripreso la fornitura idrica al sud di Gaza, dove si ammassano gli sfollati, ma i palestinesi non confermano e sottolineano che la rete idrica è stata gravemente danneggiata dai raid aerei. Pagine Esteri
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La Fiera del libro di Francoforte cancella la premiazione della scrittrice palestinese: “più spazio a voci israeliane”
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di Eliana Riva
Era stato assegnato alla scrittrice palestinese Adania Shibli, per il suo libro “Un dettaglio minore“, il prestigioso premio letterario LiBeraturpreis, riservato ad autori e autrici del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia. L’agenzia letteraria Litprom, aveva deciso di consegnarle il premio il 20 ottobre, durante la prestigiosissima Fiera del libro di Francoforte, che ogni anno organizza insieme ad altri attori. La giuria ha scelto proprio lei perché, “crea un’opera d’arte composta formalmente e linguisticamente in modo rigoroso che racconta il potere dei confini e ciò che i conflitti violenti causano alle e con le persone. Con grande attenzione, dirige lo sguardo verso i piccoli dettagli, le banalità che ci permettono di intravedere le vecchie ferite e cicatrici che si trovano dietro la superficie“.
Ieri l’agenzia ha fatto sapere che il premio non le verrà più consegnato. La motivazione? “La guerra in Israele”. Il direttore della Fiera di Francoforte, Juergen Boos, ha precisato di voler “rendere le voci ebraiche e israeliane particolarmente visibili alla fiera del libro”. Venerdì, oltre alle 1.300 vittime israeliane fino a quel momento accertate, erano stati già 1.900 i palestinesi uccisi nella Striscia di Gaza, tra i quali 614 bambini. Un bilancio purtroppo destinato nei giorni successivi a salire fino a raggiungere, oggi, domenica 15, tra le 1.400-1.500 vittime israeliane e 2.228 morti palestinesi a Gaza.
Dopo le proteste degli editori arabi e delle associazioni che li rappresentano, che hanno comunicato che non parteciperanno alla Fiera del libro di Francoforte, l’agenzia Litprom ha fatto un passo indietro, specificando che la cerimonia di assegnazione si farà ma in seguito, quando riusciranno “a trovare un format e un’impostazione adatti per l’evento”. Questo può vuol dire, come altre volte è accaduto, che la presentazione del libro non sarà consentita con la presenza della sola autrice ma che proveranno a imporle, pena la cancellazione definitiva della cerimonia, una presenza israeliana, cosa che trasformerebbe l’evento letterario in una sorta di dibattito politico, facendone perdere il senso. Dalle dichiarazioni del direttore Juergen Boos non pare che questa sorta di singolare “par conditio culturale” valga anche per gli eventi che, in misura consistente, ospiteranno autori israeliani.
La scrittrice palestinese Adania Shibli aveva già ricevuto due nomination per il National Book Award, nel 2020, e per l’International Booker Prize nel 2021. Il suo romanzo, Un dettaglio minore, tradotto dall’arabo al tedesco nel 2020 ed edito in Italia da La nave di Teseo, parte dal racconto della storia vera di una giovane beduina violentata e uccisa dai soldati israeliani nel 1949.
Di seguito l’articolo scritto per Pagine Esteri dopo la pubblicazione della traduzione italiana.
È dei particolari che raramente si parla quando si affronta la condizione dei palestinesi in Israele, nei Territori Occupati e a Gaza.
Eppure, i dettagli sono essenziali per capire cosa significhi vivere sotto occupazione, farsi un’idea chiara del livello di fallimento dei negoziati di pace, per leggere intero il quadro ideato e pianificato dall’occupante.
Solo i particolari possono mostrare a noi, lontani, quello che è più difficile da capire: come avviene che la straordinarietà si converta in quotidianità, come accade che il modo di vivere e persino quello di pensare siano trasformati, piegati giorno dopo giorno alla consuetudine della sopraffazione, delle ingiustizie e della violenza.
Adania Shibli con “Un dettaglio minore”, finalista al National Book Awards 2020, ci mostra questi particolari, portandoci a spasso tra il passato e il presente, tra i luoghi che esistevano e non ci sono più, cancellati persino i nomi e chiuse da cubi di cemento le strade di ingresso. Tutto comincia da una storia del 1949 nel Negev, quando alcuni soldati israeliani si trasferiscono tra le dune del deserto ossessionati dalla missione di scovare e uccidere gli arabi rimasti nella zona sud-occidentale. Giornate e chilometri passati a girare in tondo e a perlustrare il nulla, fino a quando qualcosa trovano. Qualcuno, anzi. I beduini del deserto. Tutti uccisi tranne una ragazza. La storia terribile di questa ragazza e la sua tragica fine si legheranno all’esistenza di una giovane donna di Ramallah che tenterà molti anni dopo di scoprire la verità su ciò che accadde 25 anni prima che lei nascesse. In una Palestina cambiata, ingabbiata dai checkpoint, divisa in zone e in abitanti di serie A, B, C, con diversi diritti, diverse possibilità e diversi documenti, la donna di Ramallah inizia un viaggio pericoloso, vincendo l’abitudinarietà e le sue paure, con una macchina a noleggio, una carta d’identità prestata da una collega e due cartine geografiche: Israele oggi, la Palestina ieri.
L’attenzione ossessiva ai dettagli è ciò che la spinge a muoversi, l’incapacità di definire i contorni, i limiti tra una cosa e l’altra, forse per sfuggire alla realtà globale e al dramma collettivo che la circonda, fatti, appunto, di limiti e limitazioni da rispettare rigorosamente per prevenire conseguenze spiacevoli. Ma lei non riesce bene a muoversi tra quei limiti, non controlla le sue emozioni, le sue ansie e preferisce chiudersi in una solitudine consuetudinaria, che la rassicura e non le crea difficoltà. Un giorno, ad esempio, riesce miracolosamente a raggiungere l’ufficio nonostante la zona fosse stata posta sotto coprifuoco dall’esercito israeliano: malgrado l’ansia e la paura la avvolgano, ha imparato che è fondamentale dimostrarsi calma e decisa e che è necessario, a volte, scavalcare muri e barriere. In ufficio un collega entra nella sua stanza e spalanca la finestra. È per evitare che i vetri esplodano: l’esercito ha avvertito che colpiranno e distruggeranno un edificio lì vicino, perché vi si sono barricati tre ragazzi. L’edificio esplode, il boato è spaventoso, i ragazzi muoiono, le pareti dell’ufficio tremano e una nuvola di polvere invade la sua stanza. L’unico dettaglio su cui riesce a soffermarsi è quella polvere e con calma e pazienza ripulisce tutto prima di rimettersi semplicemente a lavorare.
Il viaggio verso l’accampamento dei coloni nel Negev la porta su una strada conosciuta, che non percorre però da anni. Il tempo sufficiente per non riuscire più a riconoscere quei luoghi, cambiati, trasformati con la forza degli espropri e delle colonie, paesaggi stravolti, storie cancellate. La cartina palestinese riporta i nomi dei villaggi che esistevano prima del 1948, anno della Catastrofe palestinese, della nascita dello Stato ebraico. Tanti nomi. Conosce persone originarie di alcuni di quei villaggi tra Yafa e Askalan, di altri villaggi invece non sa nulla e mai nulla potrà sapere. Sulla cartina israeliana a inghiottirli tutti c’è una vastissima zona verde prima e un mare giallo e vuoto dopo, nient’altro. Di palestinese non è rimasto nulla. Né i nomi sui cartelli stradali né i cartelloni pubblicitari. Neanche i terreni sono più palestinesi. Gli insediamenti sono israeliani.
Al Museo di Storia dell’Esercito israeliano è possibile vedere le divise e le armi usate nel 1948 e seguire la storia cinematografica israeliana degli anni ’30-’40 che incoraggiava l’immigrazione ebraica. In una pellicola un gruppo di coloni costruisce strutture su una distesa prima desertica, ne nasce un insediamento e per festeggiarlo le persone si prendono per mano e ballano in cerchio. La donna di Ramallah riavvolge il nastro all’indietro e poi lo manda avanti: costruisce l’insediamento e poi lo smantella, lo ricostruisce e lo ri-smantella ancora, ancora e ancora.
Ormai vicino Gaza, sente da lontano il suono dei bombardamenti ma è un suono diverso da quello a cui è abituata, senza la polvere, senza il fragore: solo ciò che non sente e vede le fa comprendere quanto sia lontana da quello che le è familiare, da casa. Guarda da lontano Rafah, Gaza e tenta di riempirsene gli occhi, per spiegarlo a quei colleghi che da anni aspettano l’autorizzazione per poter rientrare.
I limiti da non superare, i confini stabiliti, il militare, il civile, l’accampamento, il campo fatto di lamiere e un pacchetto di gomme da masticare porteranno la donna di Ramallah a scoprire sul destino della ragazza beduina più di quanto avesse voluto.
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La minaccia Cbrn non va sottovalutata. La lezione dello Iai
La minaccia Cbrn (chimica, biologica, radiologica e nucleare) è di natura multidisciplinare e transnazionale per eccellenza. Questo il tema di fondo, sintetizzato dal presidente dell’Istituto affari internazionali, ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, nel corso della sua introduzione al workshop “Rischi e minacce Cbrn nel nuovo scenario internazionale”, tenutosi il 12 ottobre. “È quindi fondamentale valorizzare le numerose capacità sviluppate a livello nazionale – ha continuato il presidente – rappresentate all’evento dagli attori istituzionali presenti”.
L’ambasciatore ha inoltre ricordato il contributo dello Iai nel supportare la Difesa italiana nello sviluppo di significative “competenze che contribuiscono ad inserire il nostro Paese fra quelli di riferimento a livello europeo”.
Delle sfide legate ai rischi e alle minacce Cbrn sul nuovo scenario internazionale ha parlato anche il coordinatore cluster Cbrn e vice presidente dello Iai, Michele Nones. “Mi riferisco, in particolare, alle possibili conseguenze dei massicci bombardamenti aerei e terrestri di aree in cui sorgono centrali nucleari o sono presenti depositi o produzioni che comportano l’impiego di sostanze chimiche”, ha continuato, visto l’elevato rischio che tali strutture possano essere colpite, volontariamente o involontariamente, provocando potenziali contaminazioni di aree densamente popolate. Tale pericolo è stato reso evidente dalla guerra in Ucraina che, tra l’altro, ha sottolineato l’importanza di una sinergia tra operatori civili e militari nel settore Cbrn.
A questo proposito, la terza missione del Cluster è proprio quella di “favorire una maggiore attenzione dell’opinione pubblica e del mondo politico per il settore Cbrn e, quindi, una crescita del settore e del mercato della protezione, della prevenzione e della gestione di eventuali emergenze Cbrn”, ha sottolineato Nones.
L’attuale scenario internazionale necessita di “uno sforzo sempre maggiore per rafforzare le capacità esistenti di prevenzione e risposta” contro le minacce Cbrn, ha affermato il presidente di Enea Gilberto Dialuce. Tale impegno deve essere mirato a “prestarsi mutuo supporto fra stati, individuare nuove priorità di ricerca, ma anche per sviluppare tecnologie innovative” ha continuato Dialuce. Il presidente di Enea ha inoltre ricordato il ruolo di primo piano e i risultati tangibili della ricerca italiana, ottenuti anche grazie al contributo dello Iai. Nel rimarcare l’importanza di sostenere il ruolo italiano nella ricerca Cbrn, Dialuce ha evidenziato l’importanza delle nuove tecnologie anche per via della loro capacità di deterrenza. Infatti, secondo il presidente, “soltanto se dotate delle migliori e più innovative soluzioni tecnologiche, le istituzioni preposte possono attuare con efficacia i loro piani di prevenzione e risposta ad un evento Cbrn. Intelligenza artificiale, sistemi robotici, sensoristica avanzata e materiali innovativi sono solo alcune delle tecnologie emergenti su cui investire”.
Questi temi sono poi stati approfonditi nel corso del workshop dopo il saluto del presidente della Commissione Difesa Antonio Minardo.
Al primo panel, moderato dalla dottoressa Paola Tessari, ricercatrice dello Iai, sono intervenuti Ciro Carroccio dell’ufficio V° Disarmo e controllo armamenti, non proliferazione, armi chimiche della direzione generale Affari politici e sicurezza del ministero degli Affari esteri; il comandante Scuola di interforze di difesa Nbc, il generale Riccardo Fambrini; il direttore del master Protezione da eventi Cbrne dell’università di Roma Tor Vergata, il professore Andrea Malizia e il vice capo Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, direttore generale per la Difesa civile e le politiche di protezione civile del ministero dell’Interno, il prefetto Clara Vaccaro.
Il secondo panel, moderato dal presidente della fondazione Safe, il dottor Andrea D’Angelo, ha trattato il tema delle risposte a livello tecnologico, operativo e istituzionale. Sono intervenuti alla discussione il comandante del 7° reggimento difesa Cbrn “Cremona”, il colonnello Marco Baleani; il responsabile divisione tecnologie fisiche per la sicurezza e la salute di Enea, il dottor Luigi De Dominicis; il direttore Attività tecniche scientifiche del Dipartimento della protezione civile, l’ingegnere Nazzareno Santilli e il direttore Ufficio contrasto rischio Nbcr dei vigili del fuoco, l’architetto Sergio Schiaroli.
LIVE. GAZA/ISRAELE. Giorno 9. 10mila soldati israeliani attaccheranno Gaza city. Una tendopoli in Egitto per gli sfollati
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della redazione
(foto Wafa/APAimages)
Pagine Esteri, 15 ottobre 2023 – Almeno 300 palestinesi, in maggioranza donne e bambini, sono stati uccisi ieri dalle bombe sganciate dall’aviazione israeliana ovunque su Gaza. Lo riferisce questa mattina il ministero della sanità di Gaza che ha aggiornato a 2.228 il numero dei morti nei bombardamenti israeliani, in gran parte civili. La scorsa notte non ci sono stati lanci di razzi da Gaza, questa mattina le sirene sono entrate in azione in Galilea, nel nord di Israele, non è chiaro se per un falso allarme o per l’arrivo effettivo di un razzo a lungo raggio. Ieri Hamas ha sparato decine di razzi verso il sud di Israele.
L’offensiva di terra israeliana prevista nella notte non è scattata perché, scrivono i giornali locali, le cattive condizioni del tempo non permettono l’impiego di aerei e droni a copertura delle truppe di terra. In queste ore si moltiplicano le indiscrezioni giornalistiche. 10.000 soldati israeliani saranno impiegati per prendere il controllo di Gaza city ed uccidere Yahya Sinwar, il capo di Hamas a Gaza, e i suoi uomini. Lo scrive il New York Times citando fonti delle forze armate israeliane. Il giornale aggiunge che Israele occuperà il nord del territorio palestinese per un periodo non precisato di tempo. Un dirigente di Hamas ha replicato, sempre sulle pagine del giornale statunitense, che i combattenti del movimento islamico sorprenderanno i soldati israeliani grazie a una rete di gallerie sotterranee.
Secondo il noto giornalista investigativo statunitense Seymour Hersh, gli Usa spingerebbero sul Qatar per finanziare l’allestimento di una enorme tendopoli nel Sinai destinata ad accogliere centinaia di migliaia di sfollati da Gaza. Non è chiaro se l’Egitto abbia dato il suo assenso a questo piano.
Al di là delle indiscrezioni giornalistiche, le forze armate israeliane continuano a prepararsi all’offensiva di terra dopo l’attacco compiuto il 7 ottobre da Hamas in cui sono stati uccisi oltre 1300 israeliani e altri 130 sono stati fatti prigionieri e portati a Gaza. Di pari passo prosegue lo sfollamento di decine di migliaia di civili palestinesi intimato da Israele. Dal nord si dirigono a sud nel timore di combattimenti che si prevedono altrettanto pesanti e sanguinosi dei raid aerei che in una settimana hanno fatto circa 2300 morti e migliaia di feriti, in gran parte civili. Tanti però rifiutano di partire. In particolare, il personale medico di tre ospedali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità è tornata a ribadire che costringere migliaia di pazienti, spesso in condizioni critiche, a lasciare il nord di Gaza per andare a sud potrebbe equivalere alla loro condanna a morte.
Intanto l’Iran avverte che potrebbe intervenire nel conflitto. Il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian ha incontrato sabato a Beirut l’inviato delle Nazioni Unite in Medio Oriente Tor Wennesland, hanno riferito fonti diplomatiche citate dal sito Axios. Avrebbe detto che l’Iran non vuole che il conflitto si trasformi in una guerra regionale e vuole cercare di aiutare nel rilascio dei civili tenuti in ostaggio da Hamas a Gaza. Ma ha anche sottolineato che Teheran ha le sue linee rosse: se Israele attuerà l’offensiva di terra a Gaza, l’Iran dovrà rispondere.
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La separazione delle carriere è la madre delle riforme della giustizia
Mercoledì alla Camera dei deputati abbiamo lanciato un appello e una raccolta firme, che trovate sul sito della Fondazione Luigi Einaudi, a favore della separazione delle carriere dei magistrati, tra giudici e Pm. Una riforma costituzionale necessaria per equilibrare il nostro sistema giustizia, per garantire l’effettiva parità tra accusa e difesa nel processo, e una battaglia di civiltà. Abbiamo promosso questa iniziativa indipendentemente dalle proposte di legge già depositate in Parlamento, perché pensiamo sia importante mantenere alta l’attenzione sul tema e arrivare a una rapida approvazione.
E abbiamo da subito raccolto adesioni in modo trasversale. Nella sala stampa della Camera dei deputati erano presenti insieme a noi il nuovo presidente dell’Unione camere penali, Francesco Petrelli, Enrico Costa di Azione, Roberto Giachetti di Italia Viva, Raffaele Nevi di Forza Italia, Stefano Maullu di Fratelli d’Italia, e il presidente della Fondazione Unione Camere Penali, Beniamino Migliucci. Tutti convinti sostenitori dell’importanza di questa riforma.
Per noi la questione centrale a favore della separazione delle carriere non è l’enorme potere di questo o di quel Pm, ma la totale irresponsabilità dello stesso nel sistema giudiziario italiano che non vede eguali in nessun altro Paese europeo. Oggi pensiamo sia indispensabile avere un doppio Csm, uno per i giudici e uno per la pubblica accusa. In uno Stato liberal-democratico il magistrato non deve essere il sacerdote dell’etica pubblica, ma deve limitarsi ad applicare correttamente le leggi.
Chiariamo, nessun Pm deve essere controllato dall’esecutivo, infatti quella dei magistrati controllati dal Ministero della Giustizia è una bufala, una strumentalizzazione che arriva da una certa parte di magistratura militante che ogni volta che viene messa sul tavolo questa riforma si attiva per farla fallire. Il primo a dire che, pur separando le carriere dei magistrati, nessuno vuole mettere in discussione l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, è stato proprio il ministro Carlo Nordio.
A chi ci chiede quando sia il momento giusto per arrivare a questa riforma, noi rispondiamo “ieri”. Separare le carriere dei magistrati rappresenterebbe il completamento logico e cronologico del percorso di riforma iniziato nel 1989 con il nuovo Codice di Procedura Penale di Giuliano Vassalli, che ha segnato il passaggio dal rito inquisitorio al rito accusatorio, e proseguito dieci anni dopo con la riforma dell’art. 111 della Costituzione, che vede il giudice terzo. Oggi manca proprio quest’ultimo step, ci auguriamo che il Parlamento non si lasci sfuggire questa occasione.
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La guerra subita
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Unknown parent • •@Matthew Exon
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Signor Amministratore ⁂
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