Colombia: Petro stringe relazioni strategiche con la Cina
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di Redazione
Pagine Esteri, 25 ottobre 2023 – Da ieri il presidente colombiano Gustavo Petrosta visitando la Cina nel tentativo di rafforzare i legami con la seconda economia più grande del mondo. La visita di Petro avviene su invito del presidente Xi Jinping; il viaggio è iniziato ieri e si concluderà domani.
Tra i punti in discussione tra i rappresentanti dei due paesi i progressi nella costruzione di due linee della metropolitana di Bogotà, che è coordinata dalla “China Harbour Engineering Company” (CHEC) e finanziata al 30% da alcune banche di Pechino, e vari programmi di cooperazione economica nell’ambito della cosiddetta Belt and Road Initiative o “Nuova via della seta”.
Bogotà non ha ancora aderito a tale iniziativa ma Gustavo Petro, il primo presidente di sinistra della Colombia, sta comunque cercando di attirare nuovi investimenti cinesi.
A tal scopo Petro ha nominato il regista Sergio Cabrera – che trascorse gran parte della sua infanzia in Cina e prestò servizio nelle brigate giovanili della Guardia Rossa di Mao Zedong durante la Rivoluzione Culturale – come ambasciatore a Pechino di Bogotà.
Oggi, dopo l’incontro tra il presidente colombiano e il primo ministro cinese Xi Jinping, quest’ultimo ha annunciato il varo di un partenariato strategico con la Colombia, intensificando così le relazioni con uno degli ex alleati più solidi degli Stati Uniti per espandere la propria influenza in America Latina.
Le importazioni cinesi dalla Colombia sono aumentate notevolmente negli ultimi anni, a ta punto da trasformare Pechino nel secondo partner commerciale della nazione sudamericana dopo gli Stati Uniti. Nel 2022, le esportazioni colombiane in Cina hanno toccato quota 7 miliardi di dollari, in aumento del 20% rispetto a cinque anni prima.
Ora Pechino può contare su legami strategici con 10 degli 11 paesi sudamericani con cui intrattiene relazioni; la Guyana è l’unico paese della regione con cui intrattiene legami bilaterali ordinari. Il Paraguay è rimasto l’unico paese del Sud America a riconoscere Taiwan, che la Cina invece rivendica come parte del suo territorio nazionale.
La visita di Petro a Pechino segue di pochi giorni quella del presidente cileno Gabriel Boric e di un mese quella dell’omologo venezuelano Nicolas Maduro. – Pagine Esteri
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Chat control: Johansson vainly tries to dismiss lobbying network in LIBE Committee
Today, the EU Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, had to answer to the LIBE Committee in the course of the lobbying affair concerning Chat control (#ChatControlGate)[1]. Last month, several European media outlets had revealed the close involvement of lobbyists in the preparation of the controversial regulation on sexual child abuse and the interconnections of the EU Commission with a foreign network.[2] Johansson was asked countless critical questions from all parliamentary groups, but she insisted no mistakes had been made. It would only be examined whether she had violated the Digital Services Act with an emotional advertising campaign in member states that reject her Chat control proposal as it stands.
Pirate Party MEP Patrick Breyer, digital freedom fighter and co-negotiator of the proposed regulation, comments:
“It was only to be expected that Johansson would respond to the revelations with her usual propaganda, such as citing a biased and suggestive Eurobarometer survey that violates the rules of good public opinion research.”[1]
“In order to really hold Johansson accountable for her foreign-influenced bill and her lobbying in office, my committee, on our initiative, has demanded full access to all correspondence of her office with lobbying organisations – such as the secret letters of the dubious US foundation Thorn. Only then can we see the full extent of the entanglement with our own eyes.
“We are having the Legal Service look into legal action against the EU Commission for unfair influence and pressure on the legislative process through targeted false advertising in critical countries. And I have today lodged a complaint with the EU Ombudsman.
“The European Data Protection Supervisor is already investigating. We will hold Ms Johansson accountable for her crimes against our fundamental rights and our democracy!”
—
Breyer’s question to Johansson in the LIBE Committee today was:
“It is about #ChatControl Gate today, about your links with a foreign lobby network, so close that you wrote to the Thorn boss yourself: ‘The regulation I propose is a strong European response. Without your help we would not have come this far.’
May I congratulate you on your new side job as a surveillance influencer on the internet? Recently, you actually dared to try to put pressure on critical member states in the current legislative process by means of a targeted emotional disinformation campaign using taxpayers’ money.
What would you actually say if Parliament were to place targeted advertisements in your home country, Sweden, in order to criticise your authoritarian Chat control proposal, which is contrary to fundamental rights?
Have you lost all respect for democracy and your role in the legislative process?
If these methods are really as normal as you write, when else did you purposefully pressure specific countries?
The best thing about your scandalous methods is that they have failed politically in the Council and also in Parliament.
We will hold you accountable for your illegal methods! Our legal service is examining a possible lawsuit against the EU Commission . Today I have lodged a complaint with the EU Ombudsman.”
[1] patrick-breyer.de/en/breyer-on…
[2] balkaninsight.com/2023/09/25/w…
[3] patrick-breyer.de/en/chat-cont…
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Colpevoli & vincenti di Davide Giacalone
Viviamo nell’area più ricca, libera, sana e longeva del mondo. Eppure non si sente che parlare delle colpe occidentali, del declino, della soccombenza, della debolezza, della povertà e così andando con difetti e drammi. Che non mancano, perché le cose peggiori prodotte dalla storia sono quelle che pensano d’essere perfette. Mentre noi siamo orgogliosamente imperfetti. Ma c’è una radice profonda, in quell’antioccidentalismo degli occidentali, e va cercata nella paura della libertà, che comporta sempre una collettiva e personale responsabilità. Molti orfani delle ideologie novecentesche non apprezzano la libertà di sognare e realizzare, ma tremano alla mancanza delle false certezze. Senza le quali si vive assai meglio.
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Un patto Leonardo-Fincantieri. Il piano di Cingolani per l’industria della Difesa
Cooperazione, sinergia, partenariati. Sono queste le parole-chiave che sono emerse dall’intervento dell’amministratore delegato e direttore generale di Leonardo, Roberto Cingolani, nel corso della usa audizione in commissione Difesa della Camera. “Dobbiamo aprire l’orizzonte e capire che la sicurezza nazionale è una questione molto più complessa rispetto a quella vista finora, motivo per cui i Paesi europei devono fare sinergia”, ha sottolineato il manager di Monte Grappa, descrivendo come il gruppo stia lavorando per essere “uno dei motori della creazione dello spazio europeo della sicurezza, per rendere il nostro un Continente forte e sicuro”.
Il patto Leonardo-Fincantieri
Naturalmente, questo lavoro deve iniziare a livello nazionale, mettendo insieme il lavoro dei colossi nazionali. “Si tratta di politica nazionale, ma anche di geopolitica europea” ha sottolineato Cingolani. È in questo quadro che si inserisce la rinnovata collaborazione che caratterizza l’attuale fase delle relazioni tra Leonardo e Fincantieri. “È scoppiata la pace” ha ironizzato l’ad, spiegando come con l’amministratore delegato del gruppo triestino, Pierroberto Folgiero, abbiano concordato sul fatto che “la situazione all’esterno è talmente complicata che non possiamo avere competizione interna”. Per questo i due gruppo stanno lavorando a un accordo industriale su determinati temi: “Non è così complicato, loro fanno cose che galleggiano e noi che volano, con l’elettronica fa da collante”. L’obiettivo è quello di mettere a sistema il patrimonio industriale italiano, un progetto che intende coinvolgere tutte le altre realtà e aziende, anche le più piccole, in modo che “sul piano industriale sia tutto più chiaro”.
Sinergie continentali
Quello a livello nazionale è solo il primo passo per Cingolani, che punta su alcune alleanze “per creare poli europei su settori fondamentali della Difesa, con alcune joint venture di levatura gigantesca”. Esempio fondamentale e modello da seguire, per l’ad, è il consorzio sul caccia di sesta generazione Global ai combat programme (Gcap), che vede coinvolti Italia, Giappone e Regno Unito. Cingolani, tra l’altro, aveva già sottolineato a inizio mese, a margine della Cybertech Europe 2023, come l’Italia dovesse cogliere il momento per rivedere “al rialzo” la propria posizione all’interno del consorzio. L’obiettivo è cercare di stare “su tutti i tavoli alla pari nei contesti che ci interessano, in modo da contribuire in maniera forte a una visione di politica industriale italiana”. Il punto però, sottolinea Cingolani non è “essere i numeri uno di qualcosa, non è quello l’obiettivo. Nessuno può essere campione del mondo della sicurezza e della difesa”, ma bisogna essere “i migliori in tutte le piattaforme e gli ambiti relativi a questi comparti che ci riguardano”
Una corsa tecnologica
Tra i settori che dovranno vedere più di altri l’iniziativa industriale e degli investimenti c’è quello della protezione e sicurezza cibernetica. “Il conflitto in Ucraina ci sta insegnando che sono i bites, i dati che stanno diventando importantissimi per condurre una guerra”, attraverso l’uso combinato di satelliti, cellulari e droni accanto ai mezzi militari convenzionali. “La corsa che dobbiamo fare per il futuro è tecnologica”, ha proseguito Cingolani, registrando come a livello europeo si stia sviluppano un approccio alla difesa che guardi a un livello generale più ampio. È la sicurezza continentale, che tiene insieme non solo la difesa tradizionale, ma guarda anche alla sicurezza energetica, delle infrastrutture, cyber e di tutti gli altri campi essenziali per il benessere delle nostre società. In questo quadro “Leonardo sta portando avanti una digitalizzazione a marce forzate”, dal momento che in filiere come quella dei chip o del cloud “la sicurezza è difficile da mantenere se si è dipendenti dalle forniture esterne”.
Manovrando
Pareva brutto aumentare il prelievo fiscale sulla benzina dopo avere promesso quel che non era possibile, ovvero la cancellazione di tutte le accise, ma si ripresenta un ‘sempre verde’ degli aumenti: quello del prezzo delle sigarette. Un consumo, quello delle bionde, che non si concentra fra i pochissimi onestamente e redditualmente ricchi. Fortuna che il contrabbando è stato contrastato con efficacia, altrimenti sarebbe stato un vantaggio per quel settore. Anche gli assorbenti (che vedono risalire l’Iva) o il latte in polvere non sono consumi limitati all’ambiente dei riccastri.
Per le pensioni taluni degli odierni governanti avevano promesso lo smantellamento della legge Fornero. Si va, ragionevolmente e meritoriamente, in direzione opposta rendendo più gravose le uscite anticipate. Prima o dopo si prenderà atto del prevalere del sistema contributivo, sicché ciascuno potrà essere libero di ritirarsi quando gli pare, ma esclusivamente sulla base del versato e senza regali a carico di altri.
Nel testo della legge di bilancio resta la riduzione del cuneo fiscale, ma soltanto per i redditi bassi. Resta anche la riduzione del canone Rai, ma con un che di fastidioso: quella roba va cancellata e la Rai messa sul mercato, mentre cincischiare sulle cifre è irritante.
Chi si aspettava chissà quali diversità non aveva letto i numeri delle previsioni economiche. A criticare son tutti bravi e a fare i fenomeni promettenti anche. Quel che pare disdicevole è il metodo: sgravi fiscali coperti da aggravi fiscali, mentre la riduzione della spesa resta una promessa legata a un automatismo che genererà mostri, come quello delle multe ai medici per i troppi straordinari.
Misteriosa, infine, la ragione per cui s’insiste a volere tenere fuori i buoni del debito pubblico dal calcolo del reddito equivalente (l’Isee), la cui finalità è quella di assegnare contributi o consentire sgravi. Hanno idea che esistano bisognosi gonfi di Btp? Non soltanto i risparmiatori italiani non comprano quei buoni (capaci di assorbire circa il 6-7% del risparmio privato), ma quel tipo di favore contabile – per non essere illegittimo oltre che inutile – dovrebbe riguardare tutti gli analoghi titoli europei, con il che saremmo il solo posto al mondo in cui i presunti poveri investono in Bund e Bonos. In quel caso sarà bene denominarli in maniera più precisa: evasori fiscali.
La Ragione
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Le Università digitali come fattore di riduzione delle diseguaglianze
Relatori
Andrea Cangini, Segretario General FLE
Gian Marco Bovenzi, Ricercatore FLE
Alessandra Ghisleri, Direttrice di Euromedia Research
Prof. Paolo Miccoli, Presidente UNITED
Interverranno
Sen. Alberto Balboni, President Commissione Affari Costituzionali al Senato
Sen. Roberto Marti, Presidente Commissione Cultura al Senato
On. Nazario Pagano, President Commissione Affari Costituzionali alla Camera
Sarà possibile seguire l’evento online, in diretta streaming su webtv.senato.it e sul canale YouTube del Senato Italiano. Le opinion e i contenuti espressi nell’ambito dell’iniziativa sono nell’esclusiva responsabilità dei proponenti e dei relatori e non sono riconducibili in alcun modo al Senato della Republica o a organi del Senato medesimo. L’accesso alla Sala – con abbigliamento consono, e per gli uomini, obbligo di giacca e cravatta – è consentito fino al raggiungimento della capienza massima. Gli operatori ed i giornalisti devono accreditarsi scrivendo a stampa@fondazioneluigieinaudi.it
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Oggi alla seconda giornata della 40ª Assemblea nazionale dell'ANCI parteciperà il Ministro Giuseppe Valditara.
Potete seguire il suo intervento dalle ore 12 su ▶️ facebook.com/comunianci/videos…
Ministero dell'Istruzione
Oggi alla seconda giornata della 40ª Assemblea nazionale dell'ANCI parteciperà il Ministro Giuseppe Valditara. Potete seguire il suo intervento dalle ore 12 su ▶️ https://www.facebook.com/comunianci/videos/710224583863386/ #Anci2023Telegram
Presentazione del libro “Il diritto dei controlli societari” di Alessandro De Nicola
Saluti Istituzionali
Giuseppe Busia, Presidente A.N.A.C.
Intervengono
Giuseppe Benedetto, Presidente Fondazione Luigi Einaudi
Margherita Bianchini, Vice Direttore Generale, Assonime
Alessandro De Nicola, Senior Partner, Orrick
Giorgio Martellino, Presidente AITRA e General Counsel AVIO
Daniele Santosuosso, Professore Diritto Commerciale, Università La Sapienza
Stefano Toschei, Consigliere di Stato e Presidente Comitato Scientifico AITRA
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In Cina e Asia – China rich list, ecco chi sono i miliardari cinesi del 2023
China rich list, ecco chi sono i miliardari cinesi del 2023
Cina, Li Shangfu rimosso dall'incarico di ministro della Difesa
Cina, Xi alla Banca centrale mentre viene nominato il nuovo ministro delle Finanze
Conflitto Israele-Hamas, Wang al telefono
Corea del Sud, sequestrata nave con presunti defectors a bordo
Hong Kong, Lee promette "nuove leggi per la sicurezza"
Indonesia, Prabowo è ufficialmente candidato alla presidenza
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Africa rossa – Il terzo Belt and Road forum e la risposta dell’Occidente
L’Ue corteggia l’Africa all’indomani del Belt and Road Forum. Il debito africano aumenta e gli investimenti cinesi calano. L’ideologia torna al centro dell’agenda estera cinese, mentre Pechino punta a sviluppare settori più sostenibili e a minore intensità di capitale – non senza incappare in qualche incidente di percorso. Un bilancio delle relazioni tra la Cina e il continente africano nell’ultima ...
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Weekly Chronicles #51
Nelle Cronache della settimana:
- Tradito dall’app di fitness
- La tua città è pronta per la rivoluzione dei 15 minuti?
- Snowden se la prende con la community crypto al Bitcoin Amsterdam
Nelle Lettere Libertarie: La Rivoluzione Francese e le sue conseguenze sono state un disastro per il genere umano.
Scenario OpSec della settimana: Giulia, un'impiegata in un’azienda di circa 150 dipendenti, usa spesso il suo computer aziendale per questioni personali durante le pause. Non vuole che i suoi superiori sappiano quali siti web visita o le attività personali che svolge con il computer personale.
Tradito dall’app di fitness
Stanislav Rzhitskiy, capitano della marina russa, è stato trovato morto con alcuni colpi di pistola nella schiena1. Pare sia stato ammazzato mentre faceva jogging. L’assassino, secondo le notizie, l’avrebbe trovato grazie all’app Strava, su cui il capitano era solito pubblicare le sue routine di jogging.
Sembra che l’omicidio sia stato una sorta di vendetta per alcuni bombardamenti nel corso della guerra in Ucraina. La lezione qui però è un’altra: condividere le proprie routine online non è mai una buona idea; che siano social network o app di fitness.
La privacy è questione di libertà e autodeterminazione, ma anche di incolumità fisica. Se durante le tue corse su Strava non ti ritrovi davanti due energumeni che ti chiedono cortesemente di porgergli il portafoglio, è solo perché fortunatamente la maggior parte delle persone sono troppo sceme o troppo pigre per capire quanto sia facile oggi identificare e trovare le persone in strada.
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GAZA/ISRAELE. Giorno 19. Guterres (Onu): “Palestinesi soggetti a 56 anni di soffocante occupazione”.
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AGGIORNAMENTI 25 OTTOBRE
Quattro palestinesi sono stati uccisi e più di 20 feriti da un bombardamento israeliano, pare con un drone, nei pressi del cimitero del campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. Poco prima la Brigata Jenin (Jihad islamico) aveva annunciato via Telegram di essersi scontrata con l’esercito israeliano. L’agenzia Wafa riferisce che truppe israeliane hanno effettuato un’incursione nella città di Burqin. Dallo scorso 7 ottobre i palestinesi uccisi in Cisgiordania sono almeno 100.
della redazione
Pagine Esteri, 25 ottobre 2023 – È scontro aperto tra Israele e Antonio Guterres. L’ambasciatore israeliano all’Onu, Gilad Erdan, ha invitato o, meglio, “esortato”, il segretario generale delle Nazioni Unite a dimettersi dopo le sue dichiarazioni secondo cui gli attacchi di Hamas in Israele il 7 ottobre non possono giustificare la “punizione collettiva del popolo palestinese”. Guterres ha aggiunto che quanto è accaduto nel sud di Israele poco più di due settimane fa “non nasce dal nulla” e ha sottolineato con tono perentorio che i palestinesi sono stati soggetti a “56 anni di soffocante occupazione”.
Parole che hanno fatto infuriare il governo Netanyahu. Il ministro degli Esteri, Eli Cohen, all’Onu ha fatto ascoltare la registrazione di un membro di Hamas che si vantava con i suoi genitori aver appena ucciso dieci ebrei. “Signor segretario generale, lei in che mondo vive? Sicuramente non nel nostro. Questo è il mondo in cui viviamo”, ha inveito il capo della diplomazia israeliana.
Lo scontro all’Onu ha irrigidito la posizione delle forze armate israeliane sul divieto di ingresso del carburante a Gaza. “Il carburante non entrerà a Gaza poiché Hamas lo utilizza per lanciare i suoi attacchi ai cittadini israeliani” ha affermato il portavoce delle Forze armate israeliane rispondendo all’allarme lanciato dall’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi, che in poche ore rischia di cessare le sue operazioni per mancanza di benzina e gasolio. Lo stesso problema che affrontano gli ospedali palestinesi che, secondo il ministero della sanità a Gaza, sarebbero già di fatto fermi. Lo stesso ministero ha aggiornato ieri a quasi 6mila il numero dei morti causati dai bombardamenti aerei e ad oltre 15 mila i feriti.
Israele intanto ripete di essere pronto a cominciare la sua offensiva di terra a Gaza “per smantellare la struttura di Hamas” che ieri ha tentato una infiltrazione via mare a Zikim fermata dai soldati di guardia che avrebbero ucciso una decina di uomini del movimento islamico. Ieri il presidente americano Joe Biden, a chi ha chiesto se gli Stati Uniti stiano domandando agli israeliani di rimandare l’operazione militare, ha risposto che “Israele sta prendendo le decisioni che ritiene opportune”. Nei giorni scorsi sono circolate indiscrezioni su pressioni Usa per ritardare l’invasione israeliana di Gaza. Pagine Esteri
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Prime considerazioni sul voto in Provincia di Trento: contribuiamo in maniera determinante ad eleggere il nostro candidato presidente Degasperi , pur con un risultato non esaltante della lista Unione Popolare
La coalizione “Onda Popolare”, composta da Onda, Unione Popolare, La me val Primiero, Vanoi Mis, è riuscita a far eleggere il proprio candidato, Filippo DeRifondazione Comunista
finalmente suona!
sono finalmente riuscito a far funzionare il mio primo abbozzo di sintetizzatore scritto in scheme, ovviamente è ora di suonare Flowering Night
@"Hello, World!" - Programmazione
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Su Radio Onda Rossa, l'intervento a Le dita nella presa, degli amministratori di Puntarella.party, l'istanza autogestita di Roma
Nella trasmissione di approfondimento tecnologico di Radio @Radio ondarossa RSS Feed con @Rolery e altri @admin di Puntarella.party Si è parlato di fediverso, puntarella.party ma anche di gattini e @Chiese Brutte
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Prepariamoci, le prossime europee saranno le elezioni della storia più inquinate dalla disinformazione
Breve premessa in tre punti essenziali. Punto primo. Da una ricerca realizzata dal Censis due anni fa risulta che un italiano su tre si informa esclusivamente sui social; nel 2021 il trend era in forte crescita, c’è pertanto da credere che la percentuale sfiori oggi il 50%. Punto secondo. Uno studio del Mit di Boston ha dimostrato che su Twitter, ma non c’è ragione di ritenere che su Tik Tok o altri social network la percentuale sia inferiore, le notizie false si diffondono sei volte più velocemente delle notizie vere. Punto terzo. Come ha osservato nel lontano 1917 il senatore americano Hiram Johnson, “quando scoppia la guerra, la prima vittima è la verità”; di guerre guerreggiate ne sono scoppiate due (la prima conseguente l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, la seconda conseguente l’attacco ad Israele da parte di Hamas), mentre la guerra tra il risorgente impero cinese e quel che resta del vecchio impero americano è per il momento contenuta ai livelli commerciali, di intelligence, di propaganda. È quella che gli esperti chiamano guerra “ibrida”.
Non occorre, dunque, disporre di informazioni riservate per prevedere che le prossime elezioni europee saranno le più inquinate dalla disinformazione della storia democratica dei 27 Paesi che fanno parte dell’Ue. Per convincersene, basta unire con spirito critico i tre punti della premessa. Minare la legittimità dei processi democratici e favorire le forze politiche meno affini alla sensibilità europeista ed atlantista sarà, allora, l’obiettivo della propaganda russa, di quella cinese e di quella islamica filo Hamas, per l’occasione unite in un unico fascio legato insieme da interessi strategici comuni.
Grazie ai social, e grazie al progressivo abbandono da parte dei cittadini-elettori delle fonti di informazione per così dire tradizionali, l’opera di disinformazione appare oggi quantomai semplice. Un recente studio dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr) ne ha dimostrato le potenzialità. Nei mesi tra la caduta del governo Draghi e le successive elezioni politiche, gli analisti del Ecfr hanno studiato l’output di 235.428 account su Twitter e ne hanno trovato 1763 insolitamente attivi. Rappresentavano l’1,2% del totale, ma hanno pubblicato il 33,3% di tutte le attività identificate come discussione politica su Twitter in quel periodo. Poco più dell’un per cento dei profili ha determinato oltre il trenta per cento delle conversazioni. Naturalmente, si trattava di profili filo russi e filo cinesi, filo sovranisti e filo grillini, che hanno sistematicamente avvelenato i pozzi dell’informazione con false notizie tese a determinare una forte, fortissima polarizzazione nell’elettorato.
Allora, la questione arabo israeliana non era ancora esplosa. Da quando è esplosa, tutte le agenzie di intelligence riscontrano un’esorbitante crescita sui social della propaganda anti occidentale e pro Hamas. In parte il fenomeno è dovuto all’attività cyber dei gruppi filo russi, filo cinesi e filo islamici. In parte è dovuta alla natura stessa della Rete. L’obiettivo di tutti gli operatori del Web è tenere gli utenti incollati il più a lungo possibile al video dello smartphone. Come? Radicalizzando le discussioni grazie ad una sapiente programmazione degli algoritmi e ad una consistente dose di fake news capaci di alimentare i pregiudizi di ciascuno di noi.
Non è un segreto, è una regola. Regola involontariamente svelata dal proprietario di X, il vecchio Twitter, Elon Musk, che nei giorni scorsi ha suggerito ai propri follower di seguire due siti in particolare per informarsi su quanto stava accadendo in Medio Oriente. Erano due due siti dichiaratamente anti semiti. Quando, travolto dalle polemiche, Musk li ha cancellati, i suoi post erano già stati visualizzati, e si presume introiettati, da 11 milioni di utenti.
Le prossime europee saranno le elezioni più inquinate della Storia, impensabile governare il mondo senza essere prima riusciti a governare la Rete.
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Frusciante
Scoppia subito la polemica sul limite all’uso del contante: quanto deve essere? Lo vogliamo più alto! È una questione di libertà. Favorisce l’evasione fiscale. Temo sia in grandissima parte una discussione è totalmente inutile.
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Siete fra quanti hanno considerato una follia sanzionare medici e infermieri per avere fatto troppi straordinari e avete poi apprezzato l’intervento del Presidente della Repubblica? Bene, siete fra le persone ragionevoli. Ma non ce la si deve prendere con la “burocrazia”, si deve capire cosa sia successo e perché. Dopo di che si sarà molto, ma molto più arrabbiati. Anche perché l’errore a monte della questione, che si trova nella legge, si riprodurrà adesso in quella di bilancio.
Non basta che una spesa abbia una nobile motivazione per essere anche giusta. Si può avere un encomiabile intento e una pessima spesa. Quindi non basta dire “salute” (ma neanche “Covid”) per giustificare spese crescenti. Si deve sempre controllare. Ed è qui che cascano gli asini.
Una spesa relativa a un periodo che va dal giugno 2021 al settembre 2022 non può essere sanzionata alla fine del 2023, quando è già stata effettuata e continuata. Con quei tempi di controllo e intervento andrebbe in fallimento qualsiasi impresa. Ma, appunto, la spesa era stata controllata e approvata dai direttori delle Aziende sanitarie che, però, sono sia gestori che controllori della spesa, facente capo alla Regione d’appartenenza. Tanto è vero che, nel caso di Bari, il direttore generale competente aveva presentato ricorso avverso la sanzione di cui all’intervento del Quirinale. Sanzione che era stata fatta dall’Ispettorato del lavoro, che con la sanità non c’entra nulla ma che è preposto al controllo della spesa per la retribuzione dei dipendenti. E questi sono i due primi ragli.
Poi: per il periodo precedente quello oggetto della sanzione, tutto bene? Strano, perché per i 12 mesi antecedenti – quelli più duri e difficili per la pandemia – ci si sarebbe aspettato un utilizzo massiccio dello straordinario e dei mancati riposi. Eppure nulla. Strano, a meno che quei reparti non si fossero nel frattempo svuotati di medici e infermieri. E se invece i controllori avessero fatto finta di non vedere, sarebbe anche peggio.
Perché l’asineria più inquietante si trova nella norma. La spesa va sempre controllata e può sempre essere migliorata, anche senza farla crescere, anche tagliandola o aumentandola a ragion veduta. Se questo mestiere non lo si sa fare, se (come capita da noi) il controllore è il controllato e la revisione della spesa non funziona né in italiano né nell’inglese della spending review, allora – per evitare che finisca del tutto fuori controllo – si ricorre a meccanismi automatici. E uno di questi è qui scattato innescando la sanzione, che dovrebbe essere automatica quanto il meccanismo. Solo che sono ciechi.
Tale modalità operativa si ritrova pari pari nella legge di bilancio, che per far quadrare i conti sulla carta non soltanto apposta privatizzazioni per un valore solo sperato, ma prevede un taglio delle spese in capo alle amministrazioni pubbliche, nazionali e locali, che ove non sia effettuato darà luogo a un taglio lineare del 5%, ovvero il meccanismo automatico che ora tutti sono pronti a bollare come assurdo e forse anche offensivo. Salvo moltiplicarlo su scala assai più vasta.
A fronte di questo il Colle può imprecare, ma non risolvere. Le semplificazioni giornalistiche non soltanto fuorviano, ma illudono. Devono intervenire il governo e il legislatore (quest’ultimo manco conosce le leggi che sforna, sicché ci sarà un decreto che poi verrà convertito con l’aggiunta di altre astruserie), che però s’erano appena apparecchiati a fare l’esatto opposto, ovvero rimediare per via lineare e meccanica all’incapacità di controllare e riqualificare il dettaglio di ciascuna spesa. Ove prevalesse la seconda cosa nessuno avrebbe mai contestato che si sia rimasti a intubare troppo a lungo, mentre sarebbe bene contestare le corsie dove il lavoro non ferve proprio per niente o le liste d’attesa per diagnosi che si potrebbero fare in fretta, se soltanto qualcuno non spegnesse le macchine.
Insomma, la vicenda è uno dei ritagli della spesa pubblica inefficiente. E non è risolta manco per niente.
La Ragione
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Perché Washington manda in Israele un generale dei Marines
Il supporto militare di Washington a Tel Aviv continua a concretizzarsi, e non solo tramite l’invio di armi (con muniziono e altri equipaggiamenti che continuano comunque a fluire nella regione). Nelle scorse ore l’amministrazione Biden ha infatti diffuso la notizia dell’invio di una delegazione di ufficiali guidata da James Glynn, generale a tre stelle del US Marine Corps con esperienze di comando durante le operazioni militari contro lo Stato islamico negli scorsi anni.
Il compito di questo gruppo di ufficiali “con un’esperienza pertinente all’operazione che gli israeliani stanno conducendo” è “condividere il loro punto di vista e porre domande difficili, le stesse domande difficili che abbiamo posto alle nostre controparti israeliane fin dall’inizio” riferisce il capo delle comunicazioni strategiche del National Security Council John Kirby.
Quelle domande difficili sono un fattore determinante sia dal punto di vista tecnico — che riguarda il cosa si aspettano davanti i reparti israeliani che invaderanno la Striscia — sia dal punto di vista politico. Come gestire i combattimenti tra civili senza suscitare il clamore internazionale? Come evitare successivamente la ri-insorgenza di Hamas?
Glynn e i suoi uomini possono aiutare non a dare risposte definitive, ma a mettere a disposizione dei vertici delle Israeli Defence Forces, impegnati nella pianificazione dell’operazione di terra contro il gruppo palestinese responsabile dell’attacco del 7 ottobre, le proprie conoscenze e le proprie esperienze nel campo dell’urban warfare. La realizzazione di un’operazione militare terrestre nella Striscia, volta a sradicare Hamas, dev’essere preceduta da un attento lavoro di pianificazione infatti, per evitare di trasformarsi in uno scenario catastrofico come quello evocato dal generale David Petraeus.
Gli Stati Uniti hanno acquisito esperienza di combattimento in contesti urbani negli anni recenti grazie al supporto fornito ai gruppi di combattenti curdi e iracheni impegnati nella lotta contro il Califfato. In particolare, all’interno degli scontri per la liberazione delle città di Raqqa e di Mosul. E adesso gli ufficiali mandati in Terra Santa devono capire quale approccio Israele intenda utilizzare, domanda a cui non si ha ancora risposta. A certificarlo è stato lo stesso Joe Biden, che durante il suo discorso tenuto a Tel Aviv pochi giorni fa ha specificato che sia necessaria una “chiarezza negli obiettivi, e nel percorso da seguire al fine di raggiungerli”.
Le alternative sono due: la prima è quella di cercare di eliminare Hamas usando attacchi aerei chirurgici, combinati con interventi mirati da parte di truppe per operazioni speciali, esattamente come hanno fatto gli aerei da guerra americani e le truppe irachene e curde a Mosul. Altra opzione: entrare a Gaza con un contingente più massiccio composto da carri armati e fanteria, in uno scenario simile a quello della battaglia di Falluja del 2004.
Secondo gli ufficiali americani, entrambi gli approcci comporteranno gravi perdite. Ma ancora di più nel caso di un “approccio Falluja”. Al Pentagono si preferirebbe infatti che le operazioni si ispirassero a quelle condotte contro l’Is negli scorsi anni, così da prevenire al massimo tanto vittime militari quanto vittime civili.
Glynn ha guidato è stato vice comandante generale delle operazioni speciali dell’operazione “Inherent Resolve”, da luglio 2017 a luglio 2018. In quel periodo, l’Is (noto anche come Isis) si stava trasformando da organizzazione statuale che controllava una larga fetta di territorio nel Siriaq a forza ribelle insorgente.
“Una delle cose che abbiamo imparato è come tenere conto dei civili nello spazio di battaglia, e loro sono parte dello spazio di battaglia, e noi, in conformità con la legge di guerra, dobbiamo fare ciò che è necessario per proteggere quei civili” ha affermato il segretario alla difesa americano Lloyd J. Austin, che nel corso di una conversazione telefonica con il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha sottolineato l’importanza del “rispetto delle leggi della guerra” e della “protezione dei civili”.
Ma il coinvolgimento americano è solamente di tipo consultivo. Sia Washington che Tel Aviv rimarcano come gli Stati Uniti non stiano facendo pressioni di sorta sul governo presieduto da Benjamin Netanyahu, né tantomeno stiano prendendo decisioni in sua vece. Lo stesso Glynn tornerà in patria una volta assolto il suo compito, e non sarà presente sul terreno quando le truppe israeliane metteranno in atto l’operazione.
Messina, cinque borse di studio per i corsisti under 32
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CINA. Rimosso il ministro della difesa
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Pagine Esteri, 24 ottobre 2023. Il Ministro cinese delle Difesa Li Shangfu è stato rimosso dal suo incarico.
Shangfu, nominato lo scorso marzo, non si vedeva in pubblico dal mese di agosto.
È il secondo ministro a perdere il lavoro negli ultimi mesi, dopo la cacciata dell’ex Ministro degli Esteri Qing Gang.
Qing Gang, ex Ministro cinese degli Affari Esteri
Xi Jin Ping sta portando avanti una sorta di campagna di rafforzamento della sicurezza nazionale che sta causando sconvolgimenti ai livelli più alti di leadership del Paese.
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Honoré De Balzac – Il colonnello Chabert
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Washington Post: “Daria Dugina uccisa dai servizi di Kiev addestrati dalla CIA”
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di Redazione
Pagine Esteri, 24 ottobre 2023 – La giornalista figlia dell’ideologo ultranazionalista russo Aleksandr Dugin, uccisa ad agosto dello scorso anno nei pressi di Mosca da una bomba piazzata nell’ auto sulla quale viaggiava, sarebbe stata vittima di un attentato organizzato da alcuni agenti segreti ucraini addestrati dalla Central Intelligence Agency.
Lo affermano alcuni “funzionari anonimi statunitensi e ucraini” citati dal quotidiano “Washington Post”, secondo cui proprio le spie addestrate dalla CIA sono impegnate sin dallo scorso anno in un sanguinoso “conflitto ombra” contro la Russia.
Le fonti citate dal quotidiano ricostruiscono così l’attentato contro la donna: i componenti della bomba sarebbero stati introdotti in Russia quattro settimane prima dell’attentato, all’interno di un compartimento segreto ricavato in un trasportino per gatti, su un’auto in cui viaggiavano una donna e la figlia 12enne. La donna prese casa nello stesso condominio della famiglia Dugin e sorvegliò i suoi componenti per alcuni giorni. L’ordigno avrebbe dovuto uccidere Dugin, che però salì su un’altra vettura.
L’operazione – scrive ancora il quotidiano statunitense – è stata pianificata dal Servizio di sicurezza interna ucraino (Sbu), ed è parte di una campagna di attentati e operazioni sotto copertura in cui rientrano anche gli attacchi al ponte di Crimea, a navi russe nel Mar Nero e al Cremlino.
Nell’ultimo decennio, l’Sbu e le altre agenzie di sicurezza ucraine «hanno forgiato nuovi legami con la Cia» scrive il WP, secondo il quale dal 2015 l’intelligence statunitense «ha speso decine di milioni di dollari» per trasformare i servizi segreti ucraini, all’epoca strutturati sul modello sovietico, in «potenti alleati contro Mosca». L’agenzia statunitense «ha fornito sistemi di sorveglianza, addestrato reclute in territorio ucraino, costruito nuovi quartieri generali per l’intelligence militare di Kiev e condiviso informazioni»
Il capillare coinvolgimento della Central Intelligence Agency statunitense nel conflitto tra Russia e Ucraina è già stato oggetto di altre rivelazioni da parte della stampa Usa: secondo “Newsweek“, ad esempio, la Cia sarebbe la vera coordinatrice delle operazioni belliche ucraine, occupandosi di ruoli cruciali che vanno dalla logistica “informale” delle armi alla segnalazione degli obiettivi da colpire sul campo.
Secondo il Washington Post, negli ultimi 20 mesi l’Sbu e la sua controparte militare, il Gru, «hanno compiuto decine di omicidi» di ufficiali, funzionari e figure pubbliche russi, oltre a sostenere e organizzare gruppi terroristici e di resistenza in Russia e nei territori occupati. Tra gli omicidi il quotidiano cita quello del comandante di un sottomarino russo ucciso mentre faceva jogging in un parco, un blogger nazionalista ucciso dall’esplosione di una bomba in un bar e un comandante ribelle ucciso da una donna che lo aveva accusato di stupro. Alcune di queste operazioni condotte dall’SBU, secondo i media statunitensi, avrebbero incontrato la contrarietà di Washington.
Le autorità ucraine per ora non commentano mentre quelle russe trovano una insperata conferma alle accuse lanciate nei mesi scorsi contro gli Stati Uniti. – Pagine Esteri
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ANALISI. Biden si rifiuta di parlare di cessate il fuoco anche se ciò potrebbe impedire una guerra regionale
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di Trita Parsi* – Responsible Statecraft
I terribili attacchi di Hamas lo scorso fine settimana e i successivi bombardamenti israeliani su Gaza hanno messo in agitazione il mondo intero. Oltre alle preoccupazioni per la sorte dei 2,2 milioni di palestinesi intrappolati a Gaza senza un posto dove fuggire, c’è anche il timore palpabile che il conflitto si trasformi in una guerra a livello regionale. Nessuno dei principali attori – con la possibile eccezione di Hamas – vuole o trae vantaggio da una guerra del genere, eppure tutte le parti agiscono in modo tale da aumentarne il rischio di giorno in giorno.
C’è poco che suggerisca che Israele o il primo ministro Benjamin Netanyahu cerchino di ampliare la guerra. Il caos in Israele e l’incapacità del suo governo non solo di prevenire l’attacco ma anche di gestirne le conseguenze sfidano l’idea che si stesse preparando o desiderasse una guerra più grande. Israele si troverebbe infatti in una situazione precaria se finisse in una guerra su due fronti con Hezbollah che attacca Israele da nord.
Non c’è nemmeno nulla che suggerisca che Hezbollah desideri una guerra con Israele, nonostante il Wall Street Journal abbia riferito che Hamas aveva coordinato l’attacco con Hezbollah e l’Iran. Solo Hamas ha attaccato Israele, e non vi è stato alcun attacco simultaneo o successivo su larga scala da parte del nord. Considerata la terribile situazione economica del Libano – che è al quarto anno di profonda crisi economica e politica, con un’inflazione al 350% e il 42% della popolazione totale alle prese con un’acuta insicurezza alimentare – una guerra con Israele rischierebbe di portare l’intera nazione a un punto di rottura. .
Allo stesso modo, non ci sono prove che Teheran trarrebbe beneficio da una guerra più ampia. Come mi ha detto un diplomatico europeo, “l’Iran preferisce un conflitto a bassa intensità con Israele, piuttosto che una guerra aperta”. Il regime di Teheran è appena sopravvissuto a una delle più grandi sfide al suo governo e sembra sollevato dal fatto che l’anniversario dell’uccisione di Mahsa Amini non abbia riacceso queste proteste su larga scala.
Anche la sua economia è in gravi difficoltà, e il suo obiettivo è stato principalmente quello di raggiungere un accordo di allentamento della tensione con Washington che garantirebbe il rilascio di fondi iraniani e l’allentamento dell’applicazione delle sanzioni statunitensi sulle vendite di petrolio iraniano. Invece di coordinare l’attacco con Hamas, Teheran è stata colta di sorpresa, secondo l’intelligence statunitense .
Teheran ha anche compiuto il passo insolito di inviare un messaggio a Israele attraverso le Nazioni Unite , sottolineando che cerca di evitare un’ulteriore escalation. Ha tuttavia avvertito che sarà costretto a intervenire se Israele continuerà a bombardare Gaza.
Se c’è qualche razionalità nella politica in Medio Oriente dell’amministrazione Biden, anch’essa si opporrà a un’ulteriore escalation dei combattimenti. Tra la guerra in Ucraina e una potenziale crisi con la Cina su Taiwan, l’amministrazione Biden semplicemente non può permettersi una guerra più ampia nella regione. L’attenzione dell’amministrazione – per quanto fuorviante – si è invece concentrata sulla garanzia di un accordo di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita. La Casa Bianca è così ossessionata da questa idea che ha persino iniziato a considerare di offrire ai governanti sauditi un patto di sicurezza e una tecnologia di arricchimento nucleare. La guerra in Medio Oriente non è stata nell’agenda di Biden.
Infine, gli stati arabi della regione, dall’Egitto alla Siria all’Arabia Saudita, non hanno nulla da guadagnare e molto da perdere da una guerra più ampia. L’Egitto teme un massiccio afflusso di cittadini di Gaza nel Sinai che, secondo le parole di David Hearst, ha il “potenziale di spingere l’Egitto oltre il limite dopo un decennio di declino economico”. Il siriano Bashar al-Assad si è concentrato sulla normalizzazione delle relazioni con gli stati arabi sunniti e sul rientro nella Lega Araba, aspetto fondamentale sia per la sua riabilitazione politica che per la ricostruzione economica della Siria.
Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman – che era sul punto di normalizzare le relazioni con Israele e gettare i palestinesi sotto l’autobus – si è sentito obbligato a rilanciare il profilo tradizionalmente filo-palestinese dell’Arabia Saudita data l’immensa rabbia del mondo arabo più ampio per il bombardamento di Gaza da parte di Israele. La sua telefonata di questa settimana con il presidente iraniano Ebrahim Raisi – la prima volta che i due hanno parlato – è stata almeno in parte motivata dal desiderio di non cedere la leadership su questo tema a Teheran.Sia un bagno di sangue a Gaza che una guerra più ampia complicheranno gravemente la sua ambizione di affermarsi come leader indiscusso del mondo arabo, dato il suo disprezzo per i palestinesi.
Nonostante i chiari interessi di quasi tutte le parti contrarie a una guerra regionale, tutte le parti si comportano in modo tale da rendere questa guerra sempre più probabile. Se l’invasione israeliana di Gaza si rivelasse efficace in termini di decimazione di Hamas, Hezbollah potrebbe sentirsi obbligato a intervenire – non necessariamente per salvare Hamas, ma per salvare se stesso.
Una campagna israeliana di successo contro Hamas sposterà gli equilibri nella regione, dando a Israele mani più libere per attaccare Hezbollah. Un attacco da nord da parte di Hezbollah potrebbe non salvare Hamas, poiché renderà troppo costoso per il governo Netanyahu estendere la guerra al Libano dopo la sconfitta di Hamas. Hezbollah potrebbe non essere in grado di impedire una vittoria israeliana, ma avrà un interesse impellente a trasformare la situazione in qualcosa di pirro.
Il coinvolgimento di Hezbollah, a sua volta, porterà l’Iran molto più direttamente nel conflitto. Pur dichiarando la sua opposizione a una guerra più ampia, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha avvertito che, a meno che Israele non interrompa i suoi attacchi, la guerra si allargherà e che Israele subirà “un enorme terremoto”.
Con l’Iran e Hezbollah coinvolti nel conflitto, l’amministrazione Biden sarà sottoposta a un’enorme pressione per intervenire militarmente, nonostante il chiaro interesse degli Stati Uniti a restarne fuori. Finora c’è poco nella condotta di Biden che suggerisca che, in questo scenario, egli darà priorità all’interesse strategico a lungo termine dell’America rispetto a ciò che è politicamente conveniente per lui nell’immediato.
L’intervento militare diretto americano a Gaza, o contro Hezbollah e l’Iran, è quasi certo che genererà gravi attacchi contro le truppe e gli interessi statunitensi in tutto il Medio Oriente da parte di gruppi armati sostenuti da Teheran. Le milizie in Iraq e Yemen hanno già lanciato severi avvertimenti riguardo ad una risposta su più fronti a qualsiasi intervento americano.
La Casa Bianca è ben consapevole di questi rischi di escalation. In un incontro all’inizio di quest’anno tra due alti funzionari americani e un rappresentante di alto livello del governo iraniano, uno degli americani ha avvertito Teheran che se avesse arricchito l’uranio al 90% di purezza, gli Stati Uniti avrebbero colpito militarmente l’Iran. Senza battere ciglio, il funzionario iraniano ha risposto che l’Iran avrebbe risposto immediatamente distruggendo quattordici basi americane nella regione facendo piovere su di loro migliaia di razzi entro 24 ore.
È in questo contesto che il rifiuto dell’Amministrazione Biden di chiedere una riduzione della tensione e un cessate il fuoco – o di fare praticamente pressione su Israele affinché eserciti il suo diritto a difendersi entro i confini del diritto internazionale – è così problematico.
Non è solo la bancarotta morale della Casa Bianca di Biden a ostacolare gli sforzi per porre fine alla crisi (scioccanti email interne hanno rivelato che ai funzionari del Dipartimento di Stato è stato proibito di usare termini come allentamento dell’escalation, cessate il fuoco, fine dello spargimento di sangue e ripristinare la calma). Non si tratta del palese disprezzo per la vita umana mostrato dalla Casa Bianca quando il suo portavoce attacca i legislatori democratici che sostengono un cessate il fuoco e li definisce “ ripugnanti ”.
È anche una negligenza strategica quella di dare a Israele carta bianca per agire come desidera pur conoscendo e comprendendo l’enorme rischio che le azioni sfrenate di Israele a Gaza possano trascinare Washington in una guerra regionale più ampia che non serve né gli interessi degli Stati Uniti né Israele. La combinazione di avvertimenti a Hezbollah e all’Iran di mostrare moderazione, mentre non si chiede alcuna moderazione a Israele, può essere politicamente conveniente per Biden, ma è probabile che crei proprio lo scenario da incubo che Biden presumibilmente cerca di evitare.
Come ha affermato Ben Rhodes della Casa Bianca di Obama nel suo podcast la scorsa settimana, consigliare moderazione e invitare “a seguire le leggi della guerra, non significa mostrare una mancanza di rispetto per ciò che Israele ha attraversato. Al contrario, è un po’ quello che vorrei che qualcuno avesse fatto per gli Stati Uniti dopo l’11 settembre”.
Ma Biden non sta solo dando cattivi consigli a Israele. Sta dando a Israele un cattivo consiglio che rischia di far uccidere migliaia di americani in un’altra guerra insensata e prevenibile in Medio Oriente. Se gli manca l’umanità per chiedere un cessate il fuoco per impedire l’uccisione di migliaia di palestinesi, almeno non dovrebbe abdicare alla sua responsabilità di presidente degli Stati Uniti di tenere gli americani fuori dalla zona di sterminio.
*Trita Parsi è cofondatore e vicepresidente esecutivo del Quincy Institute for Responsible Statecraft.
L’articolo originale in lingua inglese può essere consultato questo link:
responsiblestatecraft.org/bide…
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ELEZIONI ARGENTINA. Milei non sfonda ma l’estrema destra può ancora vincere
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di Massimo D’Angelo –
Pagine Esteri, 24 ottobre 2023. Alla fine, il candidato ultraliberista di estrema destra, Javier Milei, non è riuscito a vincere al primo turno delle elezioni presidenziali argentine del 22 ottobre, contrariamente alle aspettative o alle preoccupazioni di molti. Non solo, Milei non è neppure riuscito a ottenere il primo posto. Infatti, nessuno dei candidati è riuscito a superare il quaranta percento dei voti, quindi si procederà al ballottaggio. Inaspettatamente però l’attuale ministro delle Finanze Sergio Massa, a capo della coalizione progressista peronista, ha sconfitto il suo avversario. Massa ha vinto il primo turno delle elezioni argentine con il 36,7% dei voti e sfiderà l’ultraconservatore Javier Milei (30%) per la presidenza. La conservatrice Patricia Bullrich (23,8%) è stata sconfitta, con un’affluenza del 74% dell’elettorato.
La prima sorpresa è stato appunto il rovesciamento totale dei risultati delle primarie di agosto, quando Milei era arrivato al primo posto con il 30 percento, Bullrich seconda con il 28,27 e Massa ultimo con il 27,27 percento dei voti. I risultati di domenica scorsa dimostrano fondamentalmente due cose: innanzitutto, le folli promesse elettorali di Milei possono aver avuto l’effetto non tanto di galvanizzare gli indecisi, quanto quello di spaventare gli elettori e le elettrici: Milei ha perso voti, rispetto alle primarie, tanto al nord (dove ci sono le regioni più povere del paese) quanto al sud, da tempo feudo della famiglia Kirchner e del Partito Giustizialista.
Un altro dato interessante che è emerso è la persistente forza del peronismo nel paese: in effetti, il partito è riuscito a recuperare voti praticamente ovunque: delle 24 province argentine, Sergio Massa ha recuperato sensibilmente dappertutto, con la sola eccezione della piccola provincia di Catamarca al confine settentrionale con il Cile. Diversamente, la conservatrice Bullrich ha perso consenso in tutte le province del paese. Secondo l’analista politica Di Marco, che scrive per uno dei quotidiani più letti in Argentina, il conservatore La Nación, il peronismo si conferma ancora una volta la principale religione del paese. Dall’altra parte, secondo il quotidiano progressista Página 12, a premiare la coalizione di governo è stata la profonda conoscenza delle periferie, l’attenzione – diversamente da quanto fatto dal governo conservatore di Macri – verso i segmenti più svantaggiati della popolazione.
La vittoria di Sergio Massa, l’attuale Ministro dell’Economia di un paese con un’inflazione al 130 percento, mette in evidenza il notevole potere del peronismo o dell’apparato, come viene comunemente definito dagli argentini. Tuttavia, questo successo rappresenta anche la principale sfida del candidato progressista. Il peronismo, che oggi è evoluto nell’attuale Kirchnerismo, ha governato il paese per sedici degli ultimi venti anni. Sebbene abbia contribuito al recupero di un paese devastato dalla crisi economica del 2001, è stato spesso oggetto di critiche per il suo potere sconfinato e le accuse di corruzione. La persecuzione giudiziaria subita dalla leader e attuale vicepresidente, Cristina Kirchner, unita alla sua retorica spesso incendiaria, ha alimentato la polarizzazione politica. Milei, dunque, avrà gioco facile a chiamare a raccolta tutti coloro che nel paese non si riconoscono nel kirchnerismo e nel peronismo. Questo è quello che ha iniziato a fare già nelle primissime ore dopo la chiusura dei seggi e quando si era ormai certi di andare al ballottaggio. L’appello agli elettori di Bullrich potrebbe certamente far presa.
È importante sottolineare che Massa non è un alleato incondizionato di Cristina Kirchner e nel corso degli anni è riuscito a mantenere una certa distanza da lei. In effetti, la sua scelta come principale candidato è stata vista come un punto di convergenza tra le diverse fazioni del Partido Justicialista peronista, sia quelle più vicine a Kirchner che quelle a lei più ostili. Inoltre, secondo alcuni analisti, ci sono due considerazioni principali che potrebbero facilitare il suo successo. In primo luogo, ci sono i voti dell’estrema sinistra che si è presentata con due candidati indipendenti al primo turno e che è improbabile possano sostenere le proposte di Milei. Questi voti rappresentano circa due milioni e mezzo di elettori. In secondo luogo, secondo l’analista Alfredo Serrano Mancilla del Centro Estratégico Latinoamericano de Geopolítica (CELAG), quando un candidato subisce una sconfitta come quella vissuta da Milei al primo turno, è difficile che riesca a cambiare la narrativa della sua campagna elettorale e a recuperare terreno.
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LIVE. GAZA/ISRAELE. Giorno 18. 400 raid aerei su Gaza nelle ultime 24 ore
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della redazione –
Pagine Esteri, 24 ottobre 2023. I bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza sono continuati anche questa notte. Centinaia di vittime sono state segnalate nelle ultime 24 ore. Al momento i palestinesi uccisi nella Striscia sono più di 5.000.
Gli attacchi israeliani hanno ucciso anche altri 6 membri delle Nazioni Unite, portando il totale delle vittime ONU a 35. Si stima che circa 500 persone siano bloccate a Gaza sotto le macerie, alcune ancora vive, ma i bombardamenti continui e il numero elevato di richieste di aiuto non consente alle squadre di soccorso di intervenire.
È salito, intanto, a 96 il numero dei palestinesi uccisi in Cisgiordania da quando, il 7 ottobre, Hamas ha attaccato Israele, causando 1.400 vittime.
Il presidente francese Emmanuel Macron è arrivato questa mattina in Israele. Oltre al premier Benjamin Netanyahu e al presidente israeliano Isaac Herzog, ai quali ha espresso solidarietà, incontrerà anche il leader dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen. Sono 28 i cittadini francesi uccisi da Hamas e 7 risultano dispersi. Macron incontrerà anche le famiglie degli ostaggi.
I due ostaggi che sono stati rilasciati ieri da Hamas, sono arrivati questa mattina, attraverso l’Egitto, dalle proprie famiglie.
Nella giornata di ieri razzi e missili anticarro sono stati lanciati da Hezbollah verso Israele, che a sua volta ha risposto colpendo in Libano. Missili libanesi sono stati intercettati sulla città di Haifa. Il presidente israeliano Isaac Herzog ha dichiarato che il Libano “sta giocando con il fuoco”.
Le forze armate israeliane hanno comunicato questa mattina di aver colpito 400 obiettivi nelle ultime 24 ore all’interno di Gaza, tra i quali varie moschee.
L’Emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani ha chiesto questa mattina un immediato cessate il fuoco, aggiungendo che Israele non può avere il via libera incondizionato per “continuare a commettere atrocità illegali” come i bombardamenti, lo sfollamento forzato della popolazione, l’embargo di acqua, cibo e medicine.
Alcuni ospedali di Gaza sono rimasti al buio. I medici e gli infermieri soccorrono i feriti alla luce di torce e cellulari.
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Taiwan: Xi vara un piano d’integrazione che sa di inglobamento
Il mondo si concentra quasi esclusivamente sulle esercitazioni militari e le manovre di jet e navi sullo Stretto, ma c'è molto di più. Il Partito comunista non ha ancora abbandonato l'idea di una possibile "riunificazione" ("unificazione", secondo Taipei) pacifica. Qualche settimana fa, il Comitato centrale del Partito comunista cinese e il Consiglio di Stato hanno pubblicato congiuntamente un documento di pianificazione contenente 21 punti specifici per trasformare la provincia del Fujian in una zona dimostrativa per lo “sviluppo integrato” con Taiwan.
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