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Giorgia Meloni e la guerra informativa dei russi. L’analisi del generale Tricarico


Che nell’imminenza dei fatti tutti parlassero di “scherzo telefonico” alla presidente Meloni è più che comprensibile e quindi scusabile. Che però ancora oggi tale termine venga usato per riferirsi ad un vero e proprio attacco malevolo al vertice di govern

Che nell’imminenza dei fatti tutti parlassero di “scherzo telefonico” alla presidente Meloni è più che comprensibile e quindi scusabile.
Che però ancora oggi tale termine venga usato per riferirsi ad un vero e proprio attacco malevolo al vertice di governo è meno perdonabile ed indice soprattutto di una colpevole inconsapevolezza, di una maniera superficiale di fare informazione, di un non stare al passo con i tempi di chi dovrebbe invece vegliare come un cane da guardia su ogni segnale che sia spia di un rischio per la collettività.

Che è il seguente: l’attacco alla presidente Meloni è catalogabile come un evento di information warfare, di guerra dell’informazione, condotto da un gruppo filo russo noto come TA499, che vede nella compagine due cittadini russi noti pubblicamente con i nomignoli di Vovan e Lexus.

Attivo dal 2021, il gruppo criminale ha prediletto in passato principalmente l’arma delle e-mail, per condurre a termine operazioni contro obiettivi occidentali.
Esso si è reso responsabile di campagne divulgative volte a preservare l’immagine della Russia e di Putin nelle varie controversie o circostanze, ed in particolare, in occasione dell’invasione russa dell’Ucraina, a divulgare narrative che sostenessero le ragioni del Cremlino.

Uno “scherzo” ben riuscito nel tempo è stato quello di indire conference call registrate, utilizzando tecniche di social engineering, tra esponenti governativi statunitensi, europei, esponenti di vertice di società, persone famose ed altro.

Per conferire le caratteristiche di verosimiglianza ed attendibilità all’inganno propinato, TA499 ha fatto ricorso all’intelligenza artificiale creando dei veri e propri avatar dalle sembianze di reali personaggi pubblici. Il Gruppo non ha invece profuso molta tecnologia nel ricostruire le voci dei personaggi chiamati in causa, contando sulla scarsa conoscenza che ognuno aveva della voce dell’altro e quindi ponendosi al riparo da sorprese che qualche voce potesse essere riconosciuta come falsa.
Le riunioni iniziavano in maniera formalmente corretta, andavano avanti con tale cifra fin quando i soggetti target non venivano “spremuti” a fondo, facendo loro dire tutto il possibile sulla tematica di interesse dei criminali.
Come detto, le attività malevole di TA499 si sono concentrate negli ultimi tempi su personaggi di spicco, principalmente istituzionali, aventi un ruolo di primo piano nella guerra russo ucraina.
Altro che comici! Veri e propri professionisti del crimine, asservito a questo o quel dossier di spessore internazionale.

Lo scherzo è semmai quello subito dal povero Francesco Talo’, il Capo dell’Ufficio del Consigliere Diplomatico. La Presidenza del Consiglio ha da rimproverarsi non di non aver evitato uno scherzo alla presidente, -che sarebbe stato grave in sé – ma di non aver riconosciuto e frustrato – in maniera più incolpevole- un vero e proprio attacco malevolo, rubricabile senza ombra di dubbio come un atto di guerra in tempo di pace con la quale prima o poi sarà meglio prendere dimestichezza.


formiche.net/2023/11/giorgia-m…



Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 20 novembre 2023, Torino


Intervengono, unitamente all’autore: LUCA ASVISIO, President Ordine Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Torino ANNA CHIUSANO, Past President Camera Penal Piemonte Occidentale e Valle D’Aosta ANDREA MALAGUTI, Direttore Quotidiano “La Stampa” CES

Intervengono, unitamente all’autore:

LUCA ASVISIO, President Ordine Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Torino
ANNA CHIUSANO, Past President Camera Penal Piemonte Occidentale e Valle D’Aosta
ANDREA MALAGUTI, Direttore Quotidiano “La Stampa”
CESARE PARODI, Procurator aggiunto presso la Procura della Repubblica di Torino
ALESSANDRO PRUNAS TOLA, Consigliere Prima Sezione Penal Corte d’Appello di Torino

Evento accreditato per il riconoscimento de crediti formativi
Iscrizioni mediante la piattaforma RICONOSCO

L'articolo Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 20 novembre 2023, Torino proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Political advertising: EU won’t ban voter manipulation and microtargeting


Yesterday, the EU Parliament and Council agreed on new rules on transparency and targeting of political advertising. The Parliament was able to secure a publicly accessible library of online political advertising, …

Yesterday, the EU Parliament and Council agreed on new rules on transparency and targeting of political advertising. The Parliament was able to secure a publicly accessible library of online political advertising, but targeting political messages based on the individual preferences, weaknesses, situation and personality of every user will remain legal (so-called surveillance advertising). Patrick Breyer, EU lawmaker and digital freedom fighter for the Pirate Party, who co-negotiated the regulation in the Civil Liberties Committee (LIBE), takes stock:

“The targeting rules are a farce. The digital manipulation of elections in the style of Cambridge Analytica, targeted disinformation before referendums such as Brexit, contradictory election promises to different voter groups – all of this remains legal. Anti-democratic and anti-european movements will benefit most: they can continue to use surveillance advertising to target hate messages and lies at voters who are susceptible to them in order to undermine our democracy. Here, the short-sighted self-interest of those in power and the surveillance capitalist interests of big tech have combined to create a toxic mixture for democracy.”

The agreed targeting rules in detail:

  1. The existing prohibition in the Digital Services Act of analysing the user’s political opinion, sexual orientation or health for advertising purposes remains in place. In practice, however, political advertising tends to be based on matching interests and other correlations, which remains legal. Even Cambridge Analytica did not analyse the political opinion of users before Trump’s election as US president, but rather their personalities.
  2. The user consent already required under the General Data Protection Regulation (GDPR) remains a precondition for being allowed to tailor political advertising to the individual situation of the user and profiling their digital lives. Surveillance data from third-parties may not be used. For the first time, Parliament could implement a ban on annoying consent banners if the user rejects personalised political advertising via their browser settings (“do not track”). Parliament was also able to ensure that consent to political surveillance advertising may not be made a precondition for accessing websites (“tracking walls”).

“Every user will be able to decide in favour of or against political surveillance advertising,” explains Breyer. “In the best-case scenario, yesterday’s agreement heralds the beginning of the end of annoying cookie banners and tracking walls. We can build on this foundation in the ePrivacy negotiations and extend these rules to all banners. In the worst case scenario, the new rules will be undermined by suggestively designed consent banners and consent clauses hidden deep in terms and conditions. Letting individual internet users decide on the protection of democratic elections is a dangerous failure of the legislator, for which the EU Commission and EU governments are responsible.”

The new rules will come into force in 2025.


patrick-breyer.de/en/political…



VERSIONE ITALIANA USA, SECONDO LA DUKE UNIVERSITY SI POSSONO COMPERARE ON LINE I DATI DEL PERSONALE MILITARE La Duke University grazie ad un recente studio ha individuato più di 500 siti web di data broker che vendono le informazioni personali dei membri del personale militare degli Stati Uniti. I ricercatori sono riusciti ad acquistare, per …


In Cina e Asia – L’Ue fa appella alla stabilità strategica per affrontare rivalità con Pechino


In Cina e Asia – L’Ue fa appella alla stabilità strategica per affrontare rivalità con Pechino ue
Ue fa appella alla stabilità strategica per affrontare rivalità con Pechino Cina: più controlli sull’export di terre rare Lo “zar dell’economia cinese” negli Usa per stabilizzare le relazioni Ripartono i colloqui tra i leader di Australia e Cina Fuga di capitali stranieri dalla Cina Cina, dirigente di azienda di livestreaming in isolamento Terremoto in Nepal: la comunità scientifica avverte dei ...

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#53


Signal e Whatsapp in fuga, cybersicurezza FIAT in UE, nuovi strumenti di (auto)sorveglianza.

businessinsider.com/insurance-…

pirati.io/2023/10/accordo-stor…

freenet.org/blog/882/zero-know…

Nelle Cronache della settimana:

  • In UK l’Online Safety Bill è legge, guai in arrivo per le comunicazioni cifrate
  • Il Regolamento eIDAS e la cybersicurezza “FIAT”
  • In Canada la polizia potrà accedere alle telecamere private

Nelle Lettere Libertarie: La posizione libertaria sul confitto Hamas-Israele

Scenario OpSec della settimana: Luca desidera proteggere le sue parole chiave (seed words) di Bitcoin da hacker, ladri, agenti di polizia e disastri naturali. Vuole anche assicurarsi che, nel caso in cui lui muoia, le parole chiave siano conservate in sicurezza e sua moglie possa recuperarle anche senza di lui.

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In UK l’Online Safety Bill è legge, guai in arrivo per le comunicazioni cifrate


Nel Regno Unito è da poco legge l’Online Safety Bill, uno strano mix tra il Digital Services Act e il Chatcontrol di matrice europea. Come da sempre accade, l’Online Safety Bill propone di contrastare la pedofilia online e i contenuti terroristici a fronte di una pervasiva sorveglianza e ingerenza nella vita delle persone.

Proprio come potrebbe accadere per il Chatcontrol, la legge inglese rischia di mettere in serio pericolo la diffusione di servizi di chat e comunicazioni cifrate come Signal e Whatsapp. La sezione 1211 della legge obbliga infatti i fornitori di questi servizi a usare tecnologie per identificare contenuti terroristici e pedopornografici sulle loro piattaforme e nelle comunicazioni degli utenti.

Subscribe now

Per servizi come Signal e Whatsapp significa in pratica costruire una backdoor nei loro stessi sistemi di crittografia end-to-end per poter sorvegliare e analizzare le comunicazioni degli utenti.

Meredith Whittaker, presidente di Signal Foundation, commenta così la nuova legge:

“We’re really worried about people in the U.K. who would live under a surveillance regime like the one that seems to be teased by the Home Office and others in the U.K.”


Purtroppo, il rischio è che i prossimi saremo noi.

Il Regolamento eIDAS e la cybersicurezza “FIAT” di stampo europeo


Il testo del Regolamento eIDAS europeo, che tratta di temi legati all’identità digitale, è da poco stato approvato a porte chiuse durante i triloghi tra le istituzioni europee e potrebbe diventare presto legge.

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la_r_go* reshared this.

in reply to The Privacy Post

Un bordello lisergico di links che sembra fatto apposta per scoraggiare la lettura - e che invece merita un trattamento di tutto riguardo, cazzo.

poliverso.org/display/0477a01e…

@la_r_go


#53

https://www.businessinsider.com/insurance-companies-get-you-to-pay-more-deny-claims-2023-10?r=US&IR=T

https://pirati.io/2023/10/accordo-storico-su-chatcontrol-il-parlamento-europeo-vuole-salvaguardare-la-crittografia-sicura/

https://freenet.org/blog/882/zero-knowledge-proofs-and-anonymous-reputation-in-freenet.html

Nelle Cronache della settimana:

  • In UK l’Online Safety Bill è legge, guai in arrivo per le comunicazioni cifrate
  • Il Regolamento eIDAS e la cybersicurezza “FIAT”
  • In Canada la polizia potrà accedere alle telecamere private

Nelle Lettere Libertarie: La posizione libertaria sul confitto Hamas-Israele

Scenario OpSec della settimana: Luca desidera proteggere le sue parole chiave (seed words) di Bitcoin da hacker, ladri, agenti di polizia e disastri naturali. Vuole anche assicurarsi che, nel caso in cui lui muoia, le parole chiave siano conservate in sicurezza e sua moglie possa recuperarle anche senza di lui.


In UK l’Online Safety Bill è legge, guai in arrivo per le comunicazioni cifrate


Nel Regno Unito è da poco legge l’Online Safety Bill, uno strano mix tra il Digital Services Act e il Chatcontrol di matrice europea. Come da sempre accade, l’Online Safety Bill propone di contrastare la pedofilia online e i contenuti terroristici a fronte di una pervasiva sorveglianza e ingerenza nella vita delle persone.

Proprio come potrebbe accadere per il Chatcontrol, la legge inglese rischia di mettere in serio pericolo la diffusione di servizi di chat e comunicazioni cifrate come Signal e Whatsapp. La sezione 1211 della legge obbliga infatti i fornitori di questi servizi a usare tecnologie per identificare contenuti terroristici e pedopornografici sulle loro piattaforme e nelle comunicazioni degli utenti.

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Per servizi come Signal e Whatsapp significa in pratica costruire una backdoor nei loro stessi sistemi di crittografia end-to-end per poter sorvegliare e analizzare le comunicazioni degli utenti.

Meredith Whittaker, presidente di Signal Foundation, commenta così la nuova legge:

“We’re really worried about people in the U.K. who would live under a surveillance regime like the one that seems to be teased by the Home Office and others in the U.K.”


Purtroppo, il rischio è che i prossimi saremo noi.

Il Regolamento eIDAS e la cybersicurezza “FIAT” di stampo europeo


Il testo del Regolamento eIDAS europeo, che tratta di temi legati all’identità digitale, è da poco stato approvato a porte chiuse durante i triloghi tra le istituzioni europee e potrebbe diventare presto legge.

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Il James Webb e Chandra hanno trovato il buco nero più distante mai rilevato nei raggi X | AstroSpace

«La notevole massa del giovane buco nero in UHZ1, insieme alla quantità di raggi X prodotta e alla luminosità rilevata da Webb, confermano le previsioni teoriche fatte nel 2017 riguardo a un “buco nero fuori misura” che si è formato direttamente dal collasso di una massiccia nube di gas. Ulteriori studi sono in corso per analizzare questo particolare oggetto cosmico. E per sfruttare questi risultati (insieme ad altri) per una comprensione sempre maggiore del nostro Universo ai suoi primordi.»

astrospace.it/2023/11/07/il-ja…



Giappone e Filippine varano un accordo militare contro la Cina


Le Filippine e il Giappone hanno raggiunto un accordo, in chiave anticinese, per consentire lo schieramento reciproco di forze militari. Tokyo rafforza l'assistenza militare a Manila sotto l'egida di Washington L'articolo Giappone e Filippine varano un a

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 7 novembre 2023 – Continuano in Asia le manovre contro Pechino da parte di due importanti alleati degli Stati Uniti e con la supervisione di Washington. Le Filippine e il Giapponehanno infatti raggiunto un accordo per consentire lo schieramento reciproco di forze militari, come ha annunciato ieri il Ministro della Difesa di Manila.

Controversie territoriali
Sia Manila sia Tokyo sono in contrasto con Pechino a causa di alcune controversie territoriali che negli ultimi anni hanno causato un innalzamento della tensione nella regione e diversi scontri. Nel Mar Cinese meridionale, oltre alle Filippine, anche la Malesia, il Brunei, il Vietnam e Taiwan rivendicano dei tratti di mare e degli isolotti che Pechino considera sotto la sua sovranità.
Invece il Giapponesi contende con la Cina le isole Senkaku-Diaoyu nel Mar Cinese orientale. Si tratta di un piccolo arcipelago dalle acque ricche di pesce e il cui sottosuolo nasconde importanti giacimenti di petrolio e gas.

Verso un “Accordo di accesso reciproco”
«Attendiamo con ansia un Accordo di Accesso Reciproco tra i nostri due paesi, dato l’impegno del governo giapponese e di quello filippino a preservare l’ordine internazionale basato sulle regole e il diritto internazionale», ha detto il responsabile della Difesa filippino, Gilberto Teodoro, in una conferenza stampa.
Teodoro ha parlato a margine di una cerimonia in una base militare, a nord della capitale, che è una delle nove a cui gli Stati Uniti hanno avuto accesso nell’ambito dell’Accordo di Cooperazione Rafforzata per la Difesa (EDCA) varato nei mesi scorsi. Washington ha stanziato già 100 milioni di dollari per ammodernare e ampliare le basi aeree e navali alle quali ha avuto accesso.
«Gli Stati Uniti stanno aiutando il governo filippino a rafforzare la sua posizione difensiva per includere l’affermazione dei suoi diritti legittimi nel Mar delle Filippine occidentali» ha detto Teodoro.
Filippine e Giappone dovrebbero varare presto un accordo che prevede l’invio di truppe nel territorio del partner per effettuare esercitazioni e rafforzare la cooperazione. Una volta raggiunto, l’accordo dovrà essere sottoposto alla ratifica del Senato filippino e del parlamento di Tokyo.

Il patto dovrebbe assomigliare all’accordo già raggiunto tra le Filippine e gli Stati Uniti, che fornisce un quadro giuridico in base al quale gli Usa mantengono una presenza militare costante ma a rotazione nelle Filippine, finalizzato allo svolgimento di esercitazioni, al pattugliamento delle aree marittime contese con la Cina, all’addestramento.

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La triangolazione con gli Stati Uniti
Il primo ministro giapponese Fumio Kishida, in visita nelle Filippine lo scorso fine settimana, ha affermato che il suo Paese, le Filippine e gli Stati Uniti stanno collaborando per “proteggere la libertà” nel Mar Cinese Meridionale. «Il Giappone continuerà ad aiutare il rafforzamento delle capacità di sicurezza delle Filippine, contribuendo così alla pace e alla stabilità regionale», ha dichiarato il capo del governo nipponico che sabato è salito a bordo di una nave pattuglia di Manila – di fabbricazione giapponese – in una simbolica dimostrazione di sostegno.

L’assistenza militare giapponese a Manila
Negli ultimi anni il Giappone ha fornito una dozzina di navi pattuglia alle Filippine, inclusa quella visitata da Kishida, la “Teresa Magbanua”, lunga 97 metri. La guardia costiera di Manila utilizza queste navi per i pattugliamenti e per trasportare i rifornimenti e le truppe verso nove isole, isolotti e barriere coralline occupate dalle Filippine nel Mar Cinese Meridionale.
Ora il governo di Tokyo si è impegnato a fornire alle Filippine altre navi, oltre ad alcuni radar di sorveglianza che saranno posizionati in cinque aree lungo le coste, e a inviare un certo quantitativo di attrezzature militari.
Il Giappone è inoltre già il principale finanziatore di progetti infrastrutturali nelle Filippine, e fornisce aiuti economici per la realizzazione di progetti come la metropolitana di Manila, ponti e ferrovie in tutto il paese.
I legami militari sono iniziati nel 2012, dopo che Shinzo Abe è entrato in carica come primo ministro giapponese, e si sono notevolmente sviluppati da quando Ferdinando Marcos Junior (figlio dell’omonimo dittatore che ha governato il paese tra il 1965 e il 1986) è diventato presidente della Repubblica delle Filippine nel giugno del 2022.

Diversi movimenti nazionalisti e di sinistra si oppongono all’alleanza militare con il Giappone e gli Stati Uniti – che configura quella che molti analisti e lo stesso governo cinese considerano una sorta di “Nato asiatica” – memori della brutale occupazione nipponica nel corso della Seconda Guerra Mondiale e timorosi che il braccio di ferro con Pechino possa sfociare in un conflitto cruento. Le opposizioni accusano Tokyo, che recentemente ha deciso di raddoppiare gli stanziamenti per le spese militari, di voler imporre alle Filippine la propria egemonia militare ed economica sfruttando il contenzioso territoriale con la Repubblica Popolare Cinese. Pagine Esteri

10212081* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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TURCHIA. Oggi il processo all’oppositrice politica che denuncia la tortura di Stato


Questa mattina la nuova udienza per Ayten Öztürk, accusata di "propaganda illegale" per la pubblicazione del libro in cui denuncia le torture subite in un centro segreto ad Ankara L'articolo TURCHIA. Oggi il processo all’oppositrice politica che denuncia

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Pagine Esteri, 7 novembre 2023. È attesa per le 9.00 di questa mattina, le 11.00 in Turchia, l’udienza al tribunale di Istanbul per Ayten Öztürk, l’oppositrice politica turca che ha denunciato di essere stata rapita e torturata. Di recente, i suoi avvocati sono riusciti a individuare ad Ankara il centro segreto di tortura nel quale è stata trattenuta e abusata per sei mesi.

Da quando ha cominciato a denunciare di aver subito torture, Ayten è stata vittima di un forte accanimento giudiziario: attualmente è agli arresti domiciliari da più di due anni e rischia due ergastoli con accuse pretestuose.

Pochi mesi fa la polizia ha ritirato il suo libro, nel quale denuncia appunto gli abusi subiti e l’ha accusata di sostenere, con i proventi, un’organizzazione terroristica. Nell’ultima udienza, il 28 settembre, il Pubblico Ministero ha chiesto una condanna per “propaganda a un’organizzazione illegale”.

Oggi la nuova udienza, alla quale parteciperanno rappresentanti politici turchi, giornalisti, avvocati e osservatori indipendenti da tutto il mondo.

Pagine Esteri seguirà da Istanbul gli sviluppi e seguiranno aggiornamenti.

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È disponibile da oggi lo Sportello di edilizia scolastica #PNRR, strumento a supporto degli enti...

È disponibile da oggi lo Sportello di edilizia scolastica #PNRR, strumento a supporto degli enti locali che consentirà a comuni, province e città metropolitane di prenotare un incontro online con l'Unita di missione per chiedere informazioni, evidenz…

#pnrr


Se Meloni vuole il premierato, serve un accordo con le opposizioni


Se non ti chiami Charles de Gaulle, se non vuoi suicidarti politicamente e se vuoi sul serio cambiare la forma di governo, devi ottenere il consenso di una parte significativa dell’opposizione. La riforma potrebbe nascere solo grazie a un «patto costituzi

Se non ti chiami Charles de Gaulle, se non vuoi suicidarti politicamente e se vuoi sul serio cambiare la forma di governo, devi ottenere il consenso di una parte significativa dell’opposizione. La riforma potrebbe nascere solo grazie a un «patto costituzionale» fra la maggioranza e, quanto meno, una frazione quantitativamente rilevante degli oppositori parlamentari.

Quindi, se Giorgia Meloni avesse voluto davvero puntare (o se fosse stata nelle condizioni di poterlo fare) sulla riforma della nostra forma di governo, avrebbe dovuto lasciare perdere l’elezione diretta e proporre una soluzione diversa (come ha osservato Antonio Polito, sul Corriere del 5 novembre), ossia una qualche forma di Cancellierato: la fiducia al capo del governo (e non al governo nel suo insieme) da parte di una sola Camera e il suo diritto di licenziare i singoli ministri. Soprattutto, avrebbe dovuto mettere nelle mani del capo del governo il vero potere deterrente, l’arma decisiva per garantire la stabilità dell’esecutivo: la facoltà di ottenere, se le circostanze lo richiedono, lo scioglimento delle Camere (proprio come prevede la Costituzione tedesca). Il tutto accompagnato da una riforma elettorale adeguata: un qualche tipo di maggioritario, per esempio a doppio turno. Se questa fosse stata la proposta, Meloni avrebbe ottenuto un immediato successo politico: avrebbe spaccato in due il fronte dell’opposizione.

Una parte di essa, quella più ideologica, avrebbe fatto il solito fuoco di sbarramento. E siccome il Cancellierato sposta effettivamente alcuni poteri (come quello di scioglimento) dal presidente della Repubblica al capo di governo, apriti Cielo, gli ideologici avrebbero subito gridato al «golpe», alla svolta autoritaria. Come, del resto, fanno sempre e comunque. Avrebbero seguito, cantando Bella ciao, i soliti pifferai di Hamelin, quelli che «Non si tocca la Costituzione nata dalla Resistenza». Però, questa volta, un’altra parte dell’opposizione, composta dai pragmatici, non avrebbe potuto evitare di aderire al progetto. Una riforma del genere, infatti, se fosse passata, non avrebbe solo accresciuto le chance di creare e stabilizzare un grande partito conservatore sulla destra. Avrebbe anche offerto ai pragmatici di sinistra la possibilità di operare in un habitat istituzionale più favorevole a loro che alla parte più estremista dell’opposizione. Insomma, si sarebbe determinata una convergenza di interessi fra Meloni e gli oppositori pragmatici. E questa volta, forse, gli ideologici sarebbero usciti dallo scontro con le ossa rotte.

Meloni ha fatto invece una proposta che compatta contro di lei l’opposizione. Non solo: è un progetto che, per come è concepito, divide anche il fronte dei fautori di una riforma della Costituzione, quelli che, per intenderci, hanno perseguito proprio quel disegno — venendo alla fine sconfitti — fin dai tempi dei referendum Segni.

E allora perché Meloni, alla quale nessuno può negare accortezza e capacità politiche, ha scelto la strada più impervia, quella che porta più facilmente all’insuccesso che al successo? Forse ciò è avvenuto perché non aveva alternative. È probabile che il progetto tirato fuori dal governo sia una sorta di punto di equilibrio, il solo su cui le forze di maggioranza siano state in grado di convergere, di trovare un accordo.

Il testo presentato sembra più un ballon d’essai che una proposta compiuta. Destinato ad essere rimaneggiato in mille modi durante l’iter parlamentare. Ma se restiamo a ciò che ci è stato dato in pasto fin qui, si può forse dire quanto segue. Il principale aspetto negativo non consiste nel fatto che l’elezione diretta del premier non c’è da nessuna parte. Questa non può essere una obiezione decisiva. Nemmeno il semi-presidenzialismo esisteva prima che De Gaulle lo imponesse in Francia e ha funzionato a lungo e piuttosto bene nonostante che, quando nacque, fossero in tanti a prevederne il fallimento. L’aspetto negativo è un altro. Ossia il fatto che, stando a questa prima versione della riforma, il premier eletto sarebbe in realtà debole nonostante l’investitura popolare. Anche se gli ideologici, privi di fantasia, parlano già di «svolta autoritaria», il rischio, al contrario, è quello di un premier in balia dei ricatti di questa o quella frazione della maggioranza. Senza la possibilità di tenerle in riga minacciando lo scioglimento delle Camere. L’esito più probabile non è l’autoritarismo ma il caos, un blocco di sistema «alla messicana» (Francesco Clementi, Corriere del 4 novembre).

L’elezione diretta del premier potrebbe funzionare solo in un contesto bipartitico (governa un solo partito). Ma dove ci sono governi di coalizione, dove l’instabilità dipende dalla competizione fra i partiti entro l’alleanza di governo, l’elezione diretta del premier non stabilizza alcunché. Non basta cercare di irrigidire il sistema per impedire alla dinamica coalizionale (la competizione entro la maggioranza ) di paralizzare l’azione di governo. Tenuto conto della cosiddetta norma anti-ribaltone prevista (se cade il premier può essere sostituito, una volta sola, da un esponente della stessa maggioranza), la stabilità potrebbe essere forse assicurata da un patto segreto, tenuto nascosto agli elettori, stipulato fra i leader della coalizione prima delle elezioni, ossia un accordo che preveda una staffetta: ti presenti tu come candidato premier agli elettori perché hai più probabilità di vincere. A metà legislatura, ti dimetti e io ti sostituisco. Ma è concepibile che si possa stipulare, alle spalle degli elettori, un patto simile?

In ogni caso, comunque venga rimaneggiato in seguito il progetto, non potrebbe ottenere la maggioranza dei due terzi che serve per scongiurare un referendum. Da ormai molto tempo i referendum, non solo in Italia, si risolvono in sonore sconfitte dei governi. Votano soprattutto quelli che vogliono prenderli a legnate. Quando vieni sconfitto, il tuo carisma svanisce, la tua popolarità crolla. Ai sostenitori di Meloni conviene che la proposta si areni in Parlamento. Si scommette su tutto. Ma forse solo pochi temerari scommetteranno sul fatto che al prossimo giro eleggeremo direttamente un premier.

Corriere della Sera

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Il governo Meloni ha deciso di cedere la rete Tim direttamente alla CIA. Non chiamateli più sovranisti. Il governo ha scelto di andare verso la separazione tra

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In Cina e Asia – CIIE: Xi promette maggiore apertura al commercio internazionale. E incontra Albanese


In Cina e Asia – CIIE: Xi promette maggiore apertura al commercio internazionale. E incontra Albanese CIIE
I titoli di oggi:

CIIE: Xi promette maggiore apertura al commercio internazionale. E incontra Albanese
La Cina punta a diventare leader nella produzione di robot umanoidi
La Cina mette in guardia i diplomatici dalle infiltrazioni occidentali

Xi chiede a Scholz di cooperare per la pace a Gaza e in Ucraina

Clima, Ia, mar Cinese meridionale: Usa e Cina tornano a parlarsi
Giappone, rafforzata la cooperazione militare con le Filippine

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.



Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione del prof. Maurizio Ballistreri sul tema “Il futuro della Democrazia”


Terzo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredic

Terzo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.

La terza lezione si svolgerà lunedì 6 novembre dalle ore 17 alle ore 18.30, presso l’Aula n. 6 del Dipartimento “COSPECS” (ex Magistero) dell’Università di Messina (sito in via Concezione n. 6, Messina); dell’incontro sarà altresì realizzata una diretta streaming sulla piattaforma ZOOM (ID Riunione 817 3306 8640 – Passcode 855442).

La lezione sarà tenuta dal prof. Maurizio Ballistreri (Ordinario di Diritto del Lavoro presso l’Università di Messina), con una relazione sul saggio “Il futuro della Democrazia” di Norberto Bobbio.

La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.

Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.

Per le iscrizioni alla XIII edizione della Scuola di Liberalismo di Messina ed ulteriori informazioni riguardanti il corso, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM

Pippo Rao, Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina

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CISGIORDANIA. Arrestata Ahed Tamimi, palestinese ucciso ad Halhul. Due poliziotti feriti a Gerusalemme


La nota attivista palestinese avrebbe minacciato di morte i coloni israeliani in un post sui social. L'articolo CISGIORDANIA. Arrestata Ahed Tamimi, palestinese ucciso ad Halhul. Due poliziotti feriti a Gerusalemme proviene da Pagine Esteri. https://pag

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della redazione

Pagine Esteri, 6 novembre 2023 – La nota attivista palestinese Ahed Tamimi è stata arrestata la scorsa notte dall’esercito israeliano nel suo villaggio, Nabi Salih, in Cisgiordania, perché avrebbe minacciato di uccidere coloni israeliani in un post sui social scritto nei giorni scorsi.

Nel 2018, Tamimi venne arrestata e accusata di aver “aggredito un soldato”, dopo essere stata ripresa con un telefonino mentre schiaffeggiava il militare. Successivamente è stata condannata a otto mesi di reclusione e a una multa di 5.000 shekel (circa 1.200 dollari). Il ministro israeliano della Sicurezza, Itamar Ben-Gvir, ha reagito alla notizia dell’arresto elogiando i soldati israeliani per aver “arrestato una terrorista”.

Questa mattina un palestinese è stato ucciso e tre sono rimasti feriti dagli spari dell’esercito nel villaggio di Halhul, a nord di Hebron. A Gerusalemme un adolescente palestinese di 16 anni è stato ucciso dopo aver, secondo la versione ufficiale dell’accaduto, ferito a coltellate due agenti della polizia israeliana, di cui uno gravemente. Pagine Esteri

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REPORTAGE. Lavoratori di Gaza descrivono gli abusi subiti durante la detenzione in Israele


Alcuni dei 4.500 palestinesi con regolari permessi di lavoro israeliani, arrestati dopo l'attacco del 7 ottobre, raccontano a Middle East Eye le loro terribili condizioni di detenzione. L'articolo REPORTAGE. Lavoratori di Gaza descrivono gli abusi subiti

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Di Lubna Masarwa a Gerusalemme e Nadda Osman a Londra – Middle East Eye

(articolo tradotto dall’inglese da Federica Riccardi*)

I lavoratori palestinesi di Gaza detenuti da Israele hanno raccontato di essere stati maltrattati, umiliati e torturati per quattro settimane dopo essere stati arrestati in risposta all’attacco guidato da Hamas del 7 ottobre. Si stima che circa 4.500 lavoratori di Gaza si trovassero in Israele quando centinaia di combattenti palestinesi hanno preso d’assalto le comunità israeliane vicino alla Striscia di Gaza, uccidendo circa 1400 persone.

Nonostante si trovassero in Israele con un permesso di lavoro, sono stati tutti radunati in strutture di detenzione e, secondo le testimonianze di prima mano, ripetutamente umiliati e maltrattati.

I lavoratori recentemente rilasciati da Israele hanno raccontato a Middle East Eye che i loro permessi di lavoro erano stati revocati e che sono stati rimandati a Gaza a piedi, nonostante l’enclave costiera fosse sottoposta a continui bombardamenti e a un’invasione di terra israeliana. I lavoratori sono stati costretti a camminare per 6 km fino a quando sono arrivati a Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom, vicino alla città meridionale di Gaza, Rafah.

Nei video che circolano online, si vedono centinaia di lavoratori tornare a Gaza a piedi. Non è chiaro quanti dei 4.500 lavoratori siano stati rilasciati. I palestinesi hanno raccontato a MEE di vari abusi subiti durante la detenzione, molti dei quali sembrano equivalere a torture.

Un uomo mi ha chiesto se volevo qualcosa da bere, poi mi ha gettato addosso acqua bollente”. “Ragazzi della stessa età dei miei figli ci hanno spogliato e urinato addosso… nessuno ha parlato di noi lavoratori detenuti in Israele, non la Croce Rossa; l’Autorità Palestinese ci ha tradito, il mondo intero ci ha tradito”, ha detto un lavoratore ad Al Jazeera al suo arrivo a Gaza.

Miriam Marmur, direttrice del gruppo israeliano per i diritti Gisha, ha dichiarato a MEE che le informazioni ricevute sulla detenzione dei lavoratori sono “estremamente preoccupanti e allarmanti”. “Non abbiamo modo di sapere quante persone siano state trattenute illegalmente nei centri di detenzione israeliani perché Israele si è rifiutato di rivelare i nomi e la posizione delle persone detenute”, ha dichiarato Marmur.

Marmur ha aggiunto che i lavoratori sono stati trattenuti in strutture all’interno di basi militari israeliane nella Cisgiordania occupata e non è a conoscenza di quanti lavoratori siano ancora detenuti.

“Ci sono diverse segnalazioni di incursioni da parte delle forze israeliane, che prelevano i lavoratori palestinesi e li portano nei centri di detenzione”, ha detto Marmur, aggiungendo che “da quello che descrivono, le condizioni sono estremamente, estremamente terribili”.

Middle East Eye ha chiesto un commento all’esercito israeliano.

Abusi psicologici e fisici

I lavoratori palestinesi rilasciati hanno dichiarato di non aver avuto accesso a una rappresentanza legale. Agli operatori umanitari è stato anche vietato di entrare nelle strutture di detenzione per effettuare valutazioni delle condizioni.

“Siamo stati maltrattati per 25 giorni, eravamo circa 5.000-6.000 persone detenute”, ha dichiarato una persona ad Al Jazeera. Molti dei lavoratori hanno raccontato di essere stati costantemente minacciati mentre venivano loro poste domande su Hamas. “Alcune persone sono state interrogate. Hanno avuto la peggio, sono stati incatenati e picchiati. Ci hanno chiesto se conoscevamo qualcuno di Hamas”, ha raccontato un anziano signore ai media locali. “Ovviamente non sappiamo nulla, siamo solo lavoratori”, ha detto un altro uomo in un filmato che circola online.

I lavoratori hanno dichiarato che le autorità israeliane non hanno permesso loro di accedere ai telefoni o di telefonare alle loro famiglie, lasciando molti di loro preoccupati per il benessere dei loro cari sotto i bombardamenti.

“Se Dio vuole, torneremo e troveremo i nostri figli e le nostre famiglie sani e salvi”, ha dichiarato un uomo ai media locali. “Siamo stati torturati, nessuno ha avuto pietà di noi. Ci hanno preso soldi e vestiti, ci hanno lasciato nudi per tre giorni mentre ci torturavano. Eravamo affamati, ci hanno preso a calci e pugni, ci hanno calpestato la testa, ne sto ancora soffrendo”.

Secondo i lavoratori, sono stati consegnati alle forze israeliane dai loro datori di lavoro.

Nei filmati diffusi online, si vedono i lavoratori che mostrano le targhette blu applicate alle loro caviglie. Hanno dichiarato che nessuno dei loro effetti personali, compresi telefoni e denaro, è stato loro restituito prima del rilascio.

Gli israeliani acclamano i filmati degli abusi

Dopo l’attacco del 7 ottobre, la retorica e il sentimento anti-palestinese hanno raggiunto un massimo storico in Israele. I funzionari israeliani hanno chiesto l’eliminazione di Gaza e hanno invitato a torturare i palestinesi collegati all’attacco.

Nel frattempo, si sono intensificati gli attacchi contro i cittadini palestinesi di Israele e i palestinesi della Cisgiordania occupata. All’inizio di questa settimana, gruppi israeliani di estrema destra hanno condiviso e celebrato sulle app di messaggistica video di quelli che sembravano essere lavoratori palestinesi in Cisgiordania maltrattati da soldati israeliani.

Molti di questi video sono stati pubblicati su “Without Limits”, un canale Telegram della destra israeliana, che conta oltre 117.000 iscritti, tra gli altri gruppi di destra.

In un video straziante, si vedono uomini palestinesi bendati con fascette intorno alle mani che vengono assaliti da truppe pesantemente armate. Gli uomini, alcuni dei quali sono stati spogliati completamente nudi, si sentono urlare mentre giacciono a terra. I soldati li trascinano per terra, mentre un soldato israeliano calpesta la testa di un detenuto. I suoi colleghi si sentono ridere in sottofondo.

La clip ha quasi 2.000 emoji di risate e centinaia di emoji di celebrazione, oltre a reazioni di occhi innamorati. L’esercito israeliano ha dichiarato in precedenza a MEE che le azioni dei soldati visti nel filmato sono “deplorevoli” e ha detto che indagini sono in corso. Pagine Esteri

GUARDA IL VIDEO – AVVERTENZA: IMMAGINI FORTI NON ADATTE A PERSONE IMPRESSIONABILI

pagineesteri.it/wp-content/upl…

* l’articolo originale può essere visionato al link seguente

middleeasteye.net/news/israel-…

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La tattica "globale” della Cina di Xi


La tattica xi
Più in generale la recente latitanza di Xi ai vertici internazionali rientra in una ristrutturazione delle competenze all’interno del partito-Stato. Dopo essersi accerchiato di fedelissimi, sempre più spesso, il presidente preferisce delegare la diplomazia. Per Eric Olander, fondatore di The China-Global South Project, l’assenteismo del presidente “non è una questione di riluttanza”, quanto piuttosto “una decisione diplomatica tattica”.

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L'ultima settimana nel Fediverso – ep 42: nuovi sviluppi per Mastodon, Pebble muore e rinasce con Mastodon, Mozillaverso, Mbin vs Kbin

Qui la newsletter di @Laurens Hof

@Che succede nel Fediverso?

- Pebble spegne e avvia un server Mastodon
- Mastodon prevede l'aggiornamento 4.3
- Registri di sviluppo Kbin e Mbin
- riflessioni sul primo anniversario dall'inizio della migrazione di Twitter
- il prossimo server fediverso di Mozilla
- Pixelfed ha semplificato la registrazione per i nuovi utenti
- Pleroma ha rilasciato un aggiornamento significativo e recentemente ha ottenuto anche un finanziamento NLnet


It’s been exactly one year since I joined to the Fediverse. Let me tell you my Fediverse story. It does not fit in 500 characters, but glad I have 10000 here.

It first started with Musk tweeting about the sink. I had already given up on Twitter couple of years prior this, but that was the final straw. I saw people talking about Mastodon and I was skeptical. First I looked at mastodon.social, but quickly noticed the username rolle is taken. "That’s it, then", I angrily tweeted that I do not want to join with another nickname, I’m rolle eveywhere AND THE NICK IS TAKEN. Someone immediately pointed out that I should join another instance. An instance, what's that, huh? I then joined to a Finnish instance mastodontti.fi and quickly learned no English is allowed. A moderator pointed out that I should remove my post. Again, I angrily tweeted THAT'S IT THEN, MASTODON SUCKS, STUPID RULES. Another user politely explained that each instance has their own rules, why don't you create another account. An instance, huh?

I quickly learned about the nature of the service. I vaguely remember favoriting tootsuite/mastodon back in 2017 and thought it was just a forum-kinda software back then, for one small community. I consider myself quite witty but I didn't realize Mastodon servers are interconnected. So I joined mstdn.social. And how fun was that! I was elated! My head exploded when I realized how active it was and how amazing the community is.

But then the sudden influx of users made mstdn.social slow and unresponsive. I was thinking about building my own instance, after all I'm a server guy. During 5th of November, 2022, I got my instance up and running, #MementoMoriSocial was born: mementomori.social/@rolle/1092…

I wanted my instance to be well federated and active from the start. I followed everyone, I still do. I use a dozen active relays. I managed to finance the instance through my company and get a bit more powerful hardware than necessary. I was alone on my instance first, then invited my wife, colleague and my company.

What I liked in the Fediverse is that I can build my own tools, I own my data and I can help making things better. I have contributed to things via form of:

- #MastodonBirdUI
- #MastoAdmin
- #FediOnFire
- an idea about #Mastopoet
- #TheMastodonList
- #MastodonLista
- and some other things that have been affecting in the general development of Mastodon.

I'm very pleased I can have fun and make my own things while other people like it as well. I first thought all this would be a huge cause of mental stress but it's been on the contrary.

After a couple of months of successful running I opened my instance to the world. Now there's about 150 active users from companies to regular folk and everything has been running smoothly. I have been able to moderate because I require a reason for joining to my instance, so I really do know who the people are. I also welcome each user personally. I know my shit thoroughly and completely. This is why it has been easy to moderate. I've been able to be mostly absent during regular week days from 8am to 6pm, but still be aware of what's happening via effective monitoring, good apps and infrastructure.

For me the key thing is to optimize everything to the tooth. I also regulate my own social media usage, because I get too easily hooked. Mastodon and all its tools have taken an enormous amount of time, but it's been really fun, didn't even notice a full year has passed.

As for the Finnish community, there were thousands of active users, I kept a list. However, for some reason lately the narrative everywhere about Mastodon is that it is difficult and it has no future and people have mostly left to Bluesky. I kinda get that, because even for me starting last year was messy. But things get better, I wish more people would see that.

Mastodon is special. The Fediverse is special. Here's to another year! 🎉 :neon_skull:

#Mastodon #Fediverse #MementoMoriSocial #MastoAdmin


in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

This article gives the light in which we can observe the reality. This is very nice one and gives indepth information. Thanks for this nice article
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Mastodon shares some plans for future updates, social network Pebble shuts down and starts a Mastodon experiment, and more information about Mozilla's fediverse project.


La stupidità al vertice dell'Europa genera mostri. E farebbe anche ridere, se non fosse drammatica... L'intervista di Andreas Ericson a Ylva Johansson su chatcontrol

[Andreas Ericson] Posso chiederti solo una cosa, Ylva. Se ciò accadesse, ai sensi di questo disegno di legge, tu ed io potremmo avere contatti in futuro, se, ad esempio, ritieni di voler denunciare la Commissione europea e contattare Svenska Dagbladet protetti dalle leggi sulla protezione delle fonti? E con questo disegno di legge potremmo anche avere contatti crittografati che le autorità non sono in grado di leggere?

[Ylva Johansson] Sì, è ovvio.

[Andreas Ericson] Ma se così fosse, i pedofili non utilizzerebbero tutti quanti gli stessi strumenti criptati? E quindi, cosa ci avremmo guadagnato?

[Ylva Johansson] No, ma il fatto è che... (pausa) l'unica cosa è che... (pausa) l'abuso sessuale sui bambini, le immagini del genere, sono sempre criminali

#chatcontrol #stopchatcontrol

@Privacy Pride

L'intervista è visibile su Twitter

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GAZA. Violenti attacchi aerei nelle ultime ore, nuovo stop a internet e telefoni


Compiuti oltre 100 bombardamenti in appena 30 minuti. Si concentrano nella zona di Gaza city ma è stata colpita anche Khan Yunis nel sud. L'articolo GAZA. Violenti attacchi aerei nelle ultime ore, nuovo stop a internet e telefoni proviene da Pagine Ester

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della redazione

Pagine Esteri, 5 novembre 2023 – Raid aerei molto violenti sono in corso questa sera sul centro-nord di Gaza. Lo riferiscono fonti giornalistiche locali. Si concentrerebbero su Jabaliya, Gaza city (nei quartieri di Al Nasr, Rimal Shujayeh, Tel Al Hawa e al Jalaa) ma anche più a sud a Khan Yunis.

Fonti israeliane scrivono su X (ex Twitter) che sono stati compiuti oltre 100 bombardamenti in appena 30 minuti.

Nel frattempo le comunicazioni telefoniche e la rete internet sono di nuovo ferme. come accaduto nei giorni passati in occasione prima di altri massicci attacchi aerei israeliani.

La Mezzaluna Rossa comunica di aver perduto ogni contatto con i suoi team medici e le ambulanze.

Da parte israeliana si segnalano lanci di razzi palestinesi verso i centri abitati adiacenti a Gaza. Colpita una abitazione a Yated.

Proseguono anche i combattimenti tra soldati israeliani e militanti di Hamas mentre i reparti corazzati dello Stato ebraico hanno o avrebbero completato l’accerchiamento di Gaza city. Il portavoce militare comunica che 33 soldati sono stati uccisi durante gli scontri a fuoco dall’inizio dell’offensiva di terra.

La tensione è in forte aumento anche al confine tra Israele e il Libano. I media libanesi riferiscono che un drone israeliano ha colpito un’auto civile nella zona di Bint Jbeil, uccidendo tre bambini. Il parlamentare di Hezbollah Hassan Fadallah ha affermato che l’attacco è uno “sviluppo pericoloso” che avrà ripercussioni e ha affermato che i bambini uccisi avevano tra gli otto e i 14 anni.

Poco fa l’esercito israeliano ha riferito che Hezbollah ha ucciso un civile israeliano con un razzo anticarro sparati lungo il confine. Pagine Esteri

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L’America Latina si schiera contro la guerra a Gaza


Nelle ultime ore si è aggiunto l'Honduras. La presa di posizione più netta arriva dalla Bolivia, dove il presidente Luis Arce ha interrotto le relazioni diplomatiche con Israele, considerando l’offensiva a Gaza “aggressiva e sproporzionata”. L'articolo L

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di Tiziano Ferri –

Pagine Esteri, 2 novembre 2023 – A fronte di un’Unione europea che lascia mano libera alle operazioni militari di Israele, il resto del mondo, ad eccezione di Washington e dei suoi stretti alleati, prende posizione contro il massacro di civili a Gaza. Nello specifico, dall’America latina arrivano le posizioni più nette per un immediato cessate il fuoco e per il rispetto del diritto internazionale. Al sud del Rio Grande solo Guatemala e Paraguay hanno votato contro, mentre Haiti, Panama e Uruguay si sono astenuti, per la risoluzione Onu “Protezione dei civili e rispetto degli obblighi legali e umanitari”, approvata il 27 ottobre con 120 voti a favore, 14 contrari e 45 astenuti.

La presa di posizione più netta arriva dalla Bolivia, dove il presidente Luis Arce ha interrotto le relazioni diplomatiche con Israele, considerando l’offensiva dello stato ebraico “aggressiva e sproporzionata”. Dal paese andino anche la richiesta di terminare il blocco di Gaza, che impedisce l’ingresso di acqua e alimenti. L’ex presidente Evo Morales chiede uno sforzo in più al suo governo: dichiarare Israele uno stato terrorista, denunciare Netanyahu dinanzi alla Corte penale internazionale, chiedere conto agli ambasciatori di Usa e Ue del motivo del loro appoggio politico, militare e diplomatico che permette i crimini dello stato sionista in Palestina. Cuba condanna i bombardamenti su Gaza e gli assassinii di persone innocenti, senza distinzione di etnia, nazionalità, origine o credo religioso. Il presidente Diaz-Canel condivide anche il dolore per la sofferenza delle vittime civili israeliane, ma non accetta un’ “indignazione selettiva” che disconosce la gravità dell’attuale genocidio a Gaza, presentando il lato israeliano come la vittima, e disconoscendo così 75 anni di occupazione. “La storia non perdonerà gli indifferenti, e noi non saremo tra di loro”, afferma il presidente cubano. Anche il Venezuela condanna ciò che il presidente Maduro definisce un genocidio contro il popolo palestinese, e richiama l’attenzione sulle grandi marce per la pace in tutto il mondo, compresa l’occupazione della stazione centrale di New York da parte di centinaia di attivisti della comunità ebraica. La rappresentante messicana all’Onu condanna gli attacchi alla popolazione civile, ai medici e al personale umanitario, mettendo in guardia Israele da quelli che possono essere considerati “crimini di guerra”. Il Messico, criticando la risposta sproporzionata in corso su Gaza, ricorda che le rappresaglie sono contro il diritto internazionale, ed esige che la “Potenza Occupante cessi l’occupazione e tutti gli atti che ledono l’integrità territoriale dello stato di Palestina”. Anche l’Argentina, ricordando di aver condannato a suo tempo gli attentati del 7 ottobre scorso, sottolinea che Israele sta passando i limiti del diritto internazionale, e deve fermare gli attacchi alle infrastrutture civili. Il vicino Brasile, membro non permanente del Consiglio di sicurezza Onu, propone una risoluzione per una pausa umanitaria che consenta l’accesso pieno e in sicurezza delle agenzie delle Nazioni unite, ma viene bloccata dal veto degli Stati Uniti. Il Cile, dopo aver inviato aiuti umanitari, accusa Netanyahu e il suo esercito di violare ripetutamente il diritto internazionale. Richiamando il dato fornito dall’Unicef sui più di 420 bambini feriti o assassinati ogni giorno a Gaza, e “di fronte alle inaccettabili violazioni del diritto internazionale umanitario promosse da Israele nella Striscia di Gaza”, il governo cileno decide di convocare a Santiago per consultazioni il proprio ambasciatore a Tel Aviv. Pur condannando “senza dubbi” gli attentati e i sequestri perpetrati da Hamas, il presidente Boric dichiara che “nulla giustifica questa barbarie a Gaza. Nulla”. Per quanto riguarda la Colombia, già da settimane la tensione è alta con Israele, a seguito del paragone fatto dal presidente Petro tra la situazione di Gaza e il campo di concentramento di Auschwitz. Dopo l’ultima strage di civili a Jabalia, Bogotà ha deciso di richiamare l’ambasciatrice da Tel Aviv: “Se Israele non ferma il massacro del popolo palestinese, non possiamo stare là”, le parole del presidente colombiano. Decisione presa anche dall’Honduras, nello stesso giorno in cui giunge la notizia di altri edifici e ambulanze oggetto dei bombardamenti israeliani. Il ministro degli esteri del paese centroamericano comunica che il governo di Xiomara Castro ha richiamato “immediatamente” l’ambasciatore a Tegucigalpa per consultazioni, vista la grave situazione umanitaria che soffre la popolazione civile palestinese nella Striscia di Gaza. Con questo atto l’Honduras torna a chiedere un immediato cessate il fuoco per fermare i gravi danni sofferti dai civili, e per consentire la consegna di aiuti umanitari alla popolazione.

Hamas ringrazia Cile e Colombia per aver ritirato gli ambasciatori, ed esorta gli stati arabi e islamici a seguire l’esempio boliviano, rompendo le relazioni diplomatiche con Israele. Dal canto suo, il governo Natanyahu condanna la presa di posizione del governo di La Paz, accusandolo di essere “sottomesso al regime iraniano” e di allinearsi all’ “organizzazione terrorista Hamas”. Parole più concilianti per Cile e Colombia, in quanto la speranza di Israele è che i due paesi “non si allineino a Venezuela e Iran nell’appoggio ad Hamas”, e che “sostengano il diritto di uno stato democratico a proteggere i propri cittadini”. La risposta di Petro non potrebbe essere più chiara: “Si chiama Genocidio, lo compiono per togliere il popolo palestinese da Gaza e appropriarsene. Il capo di stato che compie questo genocidio è un criminale contro l’umanità. I suoi alleati non possono parlare di democrazia”.

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IA, il caso dello scienziato cinese finanziato dal Pentagono


Il governo degli Stati Uniti ha erogato almeno 30 milioni di dollari in sussidi federali per le ricerche di Song-Chun Zhu, uno scienziato che ritiene l’Intelligenza Artificiale come la bomba atomica per la sua importanza militare e che oggi è in prima lin

Il governo degli Stati Uniti ha erogato almeno 30 milioni di dollari in sussidi federali per le ricerche di Song-Chun Zhu, uno scienziato che ritiene l’Intelligenza Artificiale come la bomba atomica per la sua importanza militare e che oggi è in prima linea nella corsa della Cina allo sviluppo di questa tecnologia. A rivelarlo è Newsweek.

Lo scienziato è stato direttore di un centro pionieristico sull’Intelligenza Artificiale dell’Università della California Los Angeles. Il Pentagono ha continuato a erogargli i finanziamenti pubblici anche quando aveva dato vita a un istituto parallelo vicino a Wuhan, ha occupato una posizione in un’università di Pechino il cui obiettivo principale è sostenere la ricerca militare cinese e si è unito a un “piano di talenti” del Partito comunista cinese i cui membri hanno il compito di trasferire conoscenze e tecnologie in Cina.

Il contesto accademico degli Stati Uniti, noto per la sua apertura alla collaborazione internazionale, ora si trova di fronte a una serie di complessità che trascendono i confini della pura ricerca scientifica. Un’indagine recente ha sollevato preoccupazioni sull’innovazione tecnologica in Cina e sulle sue possibili implicazioni militari, suscitando un dibattito significativo riguardo alla connessione tra lo sviluppo scientifico e le preoccupazioni per la sicurezza nazionale.

Al centro di tale discussione si pone il ruolo di figure chiave come Zhu, il cui contributo nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale non solo solleva interrogativi sulla collaborazione tra nazioni rivali, ma evidenzia anche l’interesse strategico e militare legato a tali progressi tecnologici. Le sue affermazioni esplicite sull’importanza dell’IA possono essere paragonate alla “bomba atomica” nel campo dell’informatica, innescando una corsa all’innovazione in un settore con implicazioni cruciali sia in termini militari che economici.

Mentre gli esperti occidentali rimangono preoccupati per i rischi legati all’intelligenza artificiale generale, la Cina, guidata da Xi Jinping, sta perseguendo attivamente un ruolo di leadership in questo campo. Le connessioni di Zhu con istituti di rilievo nel settore dell’IA in Cina evidenziano il legame stretto tra lo sviluppo tecnologico e gli obiettivi militari e di governance del Paese asiatico.

Negli Stati Uniti, al fine di preservare il proprio vantaggio tecnologico e di sicurezza, sono state avviate misure restrittive nei confronti dei ricercatori cinesi. Queste azioni includono il divieto per studenti laureati con legami militari cinesi, restrizioni sul trasferimento di tecnologia e l’ultimo ordine esecutivo di Biden, finalizzato a garantire la leadership statunitense nella tecnologia, alzando parallelamente gli standard di sicurezza.

La Cina ha costantemente respinto le accuse di furto tecnologico, nonostante la rete di intelligence Five Eyes abbia espresso preoccupazioni sull’ampia estrazione di tecnologia da parte cinese. Questo solleva dubbi sulla leadership degli Stati Uniti e dell’Occidente nella scienza e nell’innovazione, evidenziando la necessità di affrontare le minacce di potenziali falle nel sistema di ricerca.

Ulteriori complicazioni emergono dai casi di ritorno in Cina di altri ricercatori di alto profilo, suscitando preoccupazioni riguardo alle loro affiliazioni non dichiarate e al possibile trasferimento non autorizzato di tecnologia. Questi casi sollevano interrogativi sulla trasparenza nelle fonti di finanziamento, nelle affiliazioni e nei brevetti stranieri all’interno della ricerca, generando dubbi sugli ingenti investimenti statunitensi e sulla potenziale perdita di tecnologia a favore di nazioni concorrenti.

La carriera di Zhu diventa un esempio del delicato equilibrio tra i vantaggi della collaborazione internazionale e i rischi per la sicurezza nazionale nell’ambito della ricerca.

In conclusione, il dibattito attuale sottolinea l’importanza di una rigorosa supervisione e di una stretta collaborazione con le forze dell’ordine per affrontare le minacce alla sicurezza derivanti dalle collaborazioni di ricerca. È evidente che il panorama della ricerca scientifica e tecnologica si trova in una fase cruciale, in cui la trasparenza, la sicurezza nazionale e la collaborazione internazionale devono trovare un equilibrio per preservare l’innovazione senza compromettere la sicurezza globale.


formiche.net/2023/11/scienziat…



LE TRE NEWS DI OGGI: Il garante per la privacy del Paese ha avviato un procedimento civile contro Australian Clinical Labs (ASX: ACL) per l’hacking di Medlab che ha comportato il furto delle cartelle cliniche e dei numeri di carta di credito di oltre 223.000 pazienti e personale alla fine dello scorso anno.Il Commissario australiano …


#laFLEalMassimo – Episodio 106: Nazionalismo Economico e Protezionismo Verde


Continuo a ribadire in apertura la necessità di prendere una posizione chiara in merito al l’ingiusta aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina e auspicare che il conflitto in atto sulla striscia di Gaza possa essere in qualche modo contenuto limitan

Continuo a ribadire in apertura la necessità di prendere una posizione chiara in merito al l’ingiusta aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina e auspicare che il conflitto in atto sulla striscia di Gaza possa essere in qualche modo contenuto limitando il numero delle vittime innocenti.

Passando dall’ambito militare a quello economico, rimanendo in tema di minacce per la libertà individuale, vorrei introdurre l’argomento del nazionalismo economico e del protezionismo verde, che collaborano per costruire un futuro grigio.

Quello che la rivista the Economist ha denominato Homeland Economics, che io tradurrei con nazionalismo economico, costituisce una risposta ai rischi per la sicurezza nazionale derivanti da shock inattesi, come una pandemia o una crisi finanziaria globale e alla volontà di proteggersi riducendo la dipendenza dalle catene di approvvigionamento e distribuzione internazionale.

L’invasione dell’Ucraina ha aggiunto rischi politici e strettamente militari che hanno messo ulteriormente in discussione i vantaggi di un sistema basato sulla libera circolazione di cittadini e merci. Ultimo, ma non per importanza, il cambiamento climatico solleva questioni di coordinamento tra stati, aziende e liberi cittadini che non sembra gestibile con meccanismi puramente privatistici.

Il risultato di questi processi è quindi il protezionismo verde, testimoniato dall’ Inflation Reduction Act degli Stati Uniti, che giustifica con argomenti legati alla sicurezza e al controllo il sussidio di imprese e iniziative domestiche rispetto al resto del mondo.

Questa rubrica si conferma dalla parte del libero mercato tanto quanto da quelle della libertà individuale, caratteristiche che spesso si presentano come due facce della stessa medaglia e neri prossimi proverà a illustrare in maggior dettaglio i limiti e le controindicazioni di questa ingerenza eccessiva dello stato nell’economia.

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L'articolo #laFLEalMassimo – Episodio 106: Nazionalismo Economico e Protezionismo Verde proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



In Ucraina, la Russia prepara i suoi nuovi ordigni per l’inverno


Anche se non vengono registrati significativi spostamenti del fronte, in Ucraina i combattimenti proseguono incessanti. E nonostante le riserve di equipaggiamento e munizioni di entrambe le parti coinvolte continuino a deteriorarsi, questo non impedisce a

Anche se non vengono registrati significativi spostamenti del fronte, in Ucraina i combattimenti proseguono incessanti. E nonostante le riserve di equipaggiamento e munizioni di entrambe le parti coinvolte continuino a deteriorarsi, questo non impedisce ai due eserciti di dispiegare nuovi e più letali equipaggiamenti. L’ultima novità, introdotta sul campo di battaglia dalle truppe di Mosca, è un ordigno molto particolare.

La Fab-1500 appartiene alla famiglia delle glide bombs, termine italianizzabile con “bombe plananti”: ordigni dolati di appositi alettoni che permettono loro di essere sganciati a lunga distanza (così da evitare l’intercettazione da parte della contraerea nemica) e di planare con una discreta precisione contro il bersaglio. Come suggerisce il nome stesso, la Fab-1500 contiene al suo interno una tonnellata e mezzo di esplosivo, e all’impatto è in grado di colpire bersagli in un raggio che si estende fin quasi a 500 metri. Essa può distruggere bunker fino a 20 metri di profondità e sfondare tre metri di cemento armato. Tra i modelli di aereo in forza all’aereonautica di Mosca, sia il Su-30 che il Su-34 e il Su-35 possono essere impiegati come piattaforma di lancio dell’ordigno, che poi viene guidato da un operatore direttamente sul bersaglio.

Segnali dell’utilizzo di questo tipo di bomba erano già stati registrati nella primavera di quest’anno, quando il Ministero della Difesa ucraino ha segnalato sia un uso estensivo delle Fab-500 (le “sorelle minori” contenti mezzo chilogrammo di esplosivo) lungo tutto il fronte, assieme a segnali di preparazione “per un uso estensivo delle Fab-1500”.

L’avvicinarsi dell’inverno rende queste bombe ancora più efficaci, poiché con molta probabilità esse saranno impiegate negli attacchi alle infrastrutture critiche ucraine, accanto ai missili da crociera e alle loitering munitions che Mosca sta già impiegando in questo senso, così da mettere sotto ulteriore pressione i sistemi di difesa aerea avversari.

Secondo Frederik Mertens, analista del Centro di studi strategici dell’Aia, la Russia potrebbe iniziare a usare queste armi per colpire le infrastrutture energetiche dell’Ucraina “non appena l’inverno inizierà a farsi sentire. Negli ultimi mesi Mosca ha usato con parsimonia i suoi missili e dovrebbe di nuovo averne accumulato una discreta scorta-ha dichiarato. Il suo obiettivo più logico sarebbe l’infrastruttura energetica di Kiev, proprio nel momento in cui ne ha più bisogno”, ha dichiarato l’analista a Newsweek.

Anche Kyiv utilizza ordigni non troppo diversi da quelli russi, ordigni ricevuti all’interno dei pacchetti d’aiuti militari statunitensi già dal dicembre dello scorso anno. Tra queste le Jdam (Joint Direct Attack Munitions) e le Jdam-Er, versione con raggio ancora più lungo: kit che permettono di trasformare semplici bombe in munizioni “intelligenti” lanciabili da una varietà di aerei, proprio come le bombe della famiglia Fab.


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in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

@FronteAmpio Natale Salvo ha saputo cogliere l'essenziale di Mastodon e le radicali differenze con altri social. È molto importante realizzare qualcosa di diverso da quello che non ci piace e questo è un ottimo esempio


Ho firmato e invito a firmare l'appello on line lanciato da Amnesty International Italia che certo non può essere accusata di essere organizzazione filo-Hamas.


  Di Antonello Patta* Finita la proliferazione delle bozze, figlia della corsa di tutti i partiti di maggioranza a piazzare le proprie bandierine in




Il disprezzo


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La “Dottrina Zaluzhnyi” segna il nuovo approccio di Kyiv al conflitto


Non solo una dottrina militare, ma anche un assessment della situazione al fronte, un manifesto politico e una dichiarazione programmatica. È un po’ di tutto questo “Modern Positional Warfare and How to Win It”, il documento diffuso dallo Stato Maggiore u

Non solo una dottrina militare, ma anche un assessment della situazione al fronte, un manifesto politico e una dichiarazione programmatica. È un po’ di tutto questo “Modern Positional Warfare and How to Win It”, il documento diffuso dallo Stato Maggiore ucraino e vergato proprio dal comandante in capo delle forze armate di Kyiv, Valerii Zaluzhnyi, il quale delinea come si sia arrivati a combattere una guerra di posizione, quali siano le dinamiche che la regolano e quali invece possano essere le soluzioni da adottare per superare questa impasse.

Nell’apertura del suo elaborato Zaluzhnyi prende una forte posizione politica. Egli accusa Mosca di aver causato, con la sua invasione su larga scala del territorio ucraino, “la più grande crisi di sicurezza globale dalla fine della seconda guerra mondiale”, poiché anziché un conflitto localizzato esso è “un confronto armato tra regimi politici democratici e autoritari” che potrebbe estendersi (ed in parte lo sta già facendo) ad “altre regioni del pianeta con modelli geopolitici simili”, dal Medio Oriente alla penisola di Corea, arrivando fino al Mar Cinese Meridionale. Il Comandante in Capo delle forze armate ucraine denuncia l’incapacità delle organizzazioni internazionali (chiamando in causa le Nazioni Unite e l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) di tutelare l’integrità territoriale del suo paese, compito di cui invece si sono fatte carico le forze armate di Kyiv, vedendo nell’utilizzo della forza militare l’unico modo possibile per ripristinare la sovranità nazionale sui suoi territori.

Zaluzhnyi sottolinea come il popolo ucraino, dimostrando “la sua volontà di dare la propria anima e il proprio corpo per la libertà, non con le parole ma con i fatti”, sia stato capace “non solo di fermare l’avanzata” di un nemico “molto più potente, con moltissime armi a disposizione e una capacità di mobilitazione decisamente più alta”, ma anche di lanciare un efficace operazione controffensiva (il riferimento, esplicitato dallo stesso comandante ucraino, è a quanto avvenuto tra l’estate e l’autunno dello scorso anno) e di tenere a bada il nemico su molti fronti. Senza però esimersi dal rimarcare la fondamentale importanza del supporto militare dei partner occidentali, il quale in questo momento sta venendo messo in dubbio come mai prima d’ora.

Soffermandosi poi sul piano strettamente militare, dove vengono analizzate le cause del passaggio ad una guerra di posizione, il generale ucraino elenca cinque dimensioni fondamentali che più di tutte hanno contribuito a questa trasformazione del conflitto.

La prima è il parziale controllo dello spazio aereo: malgrado i numeri garantiscano alle forze armate russe un certo grado di air superiority, le difese contraeree ucraine (che dall’inizio del conflitto hanno inflitto perdite pesantissime alle forze aeree nemiche) limitano sia la libertà di movimento che l’efficacia dell’aviazione nemica. La quale però non è scomparsa dai cieli, e si è anzi adattata alla situazione, riuscendo comunque a rappresentare uno dei principali ostacoli all’avanzata delel forze ucraine.

La seconda è la presenza di enormi campi minati (che in alcuni punti si estendono lungo una profondità di 15-20 km) su entrambe le parti del fronte, assieme alla scarsità di equipaggiamento adatto al creare delle brecce al loro interno. I tentativi di creare varchi in questa tipologia di ostacolo sono spesso neutralizzati dall’artiglieria, sotto la cui copertura i genieri vanno poi a tappare le falle venutesi a creare. Artiglieria che rappresenta la terza dimensione fondamentale indicata da Zaluzhny, che si sofferma sulla specifica dinamica del “fuoco di controbatteria”, ovvero sull’impiego del fuoco d’artiglieria per eliminare i cannoni avversari: l’efficacia di questo tipo di approccio, prioritario nella tipologia di guerra d’attrito in corso, viene però inficiata da numerose tattiche, che vanno dalla dispersione delle bocche di fuoco all’impiego di strumentazione di guerra elettronica.

La quarta dimensione è quella della mobilitazione delle riserve, un fronte su cui entrambe le parti si trovano in difficoltà, anche se per motivi diversi. Mentre la Russia dispone di un ampio bacino di popolazione a cui attingere, ma ha problemi di natura politico-motivazionale (crescente insofferenza verso il conflitto con rischi per la stabilità del regime, soprattutto con l’avvicinarsi della tornata elettorale), l’Ucraina ha molte meno risorse umane a cui attingere, a cui si devono sommare problemi logistici (mancanza di spazi sicuri per l’addestramento) e morali (difficoltà al fronte e durata della guerra che scoraggiano eventuali volontari).

Infine, l’ultima dimensione è quella dell’electronic warfare, dove le forze armate russe godevano di una certa superiorità all’inizio del conflitto, superiorità che però con il tempo è stata erosa dalle forze ucraine (soprattutto grazie al sostegno estero). L’impiego estensivo di questa strumentazione limita trasversalmente la capacità di condurre operazioni complesse, favorendo quindi approccio più cauti e difensivi.

Quali sono dunque le soluzioni per evitare una “guerra di trincea come nel 1914-1918”?

Zaluzhny fornisce dei suggerimenti da applicare ai campi da lui evidenziati in precedenza: dall’uso concentrato di Unmanned Aerial Vehicle in singole operazioni d’attacco, assieme all’impiego apposito di droni per “cacciare” i droni nemici, per guadagnare la superiorità aerea; migliorare le capacità di deception per l’artiglieria, così come quelle di reconnaissance; ricorrere a soluzioni meno convenzionali per aprire delle brecce nei campi minati, come l’uso di cannoni ad acqua o lo scavare tunnel sotto i campi minati da riempire di esplosivo per creare un passaggio sicuro; migliorare l’attrattività delle forze armate ucraine e combattere la renitenza alla leva; espandere ulteriormente le capacità di electronic warfare.

In chiusura, il Comandante in capo ucraino introduce due dimensioni più generali, quella della logistica e quella del Command and Control. Mentre per la seconda sono sufficienti poche righe per evidenziarne l’importanza trasversale, la prima occupa uno spazio decisamente maggiore. Questo spazio viene dedicato ancora una volta a sottolineare l’importanza dell’aiuto occidentale (senza il quale l’Ucraina difficilmente potrebbe portare avanti la sua lotta) nella guerra d’attrito, ma anche la necessità di creare un sistema industriale-militare autonomo.

Pubblicando questo documento, il Comandante in Capo delle forze armate ucraine è stato un po’ un politico, un po’ un militare, un po’ un teorico. Ma quel che è certo è che è proprio grazie a documenti come questo che le forze armate ucraine (e non solo) riusciranno ad adattarsi alle necessità della guerra futura.


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Più fondi e tecnologie, meno corruzione. Le riforme dell’Esercito promosse da Xi


Sin dai primi momenti della sua ascesa al potere come Segretario del Partito Comunista della Repubblica Popolare Cinese, una delle priorità perseguite da Xi Jinping è stata quella di riformare l’Esercito Popolare di Liberazione (acronimo internazionale Pl

Sin dai primi momenti della sua ascesa al potere come Segretario del Partito Comunista della Repubblica Popolare Cinese, una delle priorità perseguite da Xi Jinping è stata quella di riformare l’Esercito Popolare di Liberazione (acronimo internazionale Pla). Nella mente del leader, l’obiettivo era quello di trasformare un obsoleto apparato militare costruito sul modello sovietico in un moderno e tecnologico esercito pronto per affrontare le sfide del XXI secolo.

Per realizzare lo “Strong Army Dream”, componente fondamentale della national rejuvenation ricercata dal Segretario, dal 2015 in poi Xi ha sottoposto le forze armate della Repubblica Popolare a una profonda campagna anti-corruzione (volta sia ad eliminare le inefficienze dentro all’apparato militare che a mettere fuori gioco i nemici politici del segretario), ad una riforma del sistema di comando e ad un processo di aggiornamento tecnologico che ha attraversato, anche sé con intensità differenti, tutte le branche del Pla. L’allineamento dal governo del ministro Li Shangfu la scorsa settimana, e di altre componenti della leadership miliare nei mesi scorsi, è parte di queste campagne di revisione e rimodellamento.

Le sette “regioni militari” dell’Esercito sono state trasformate in cinque comandi di teatro che sovrintendono a diverse direzioni geografiche e sono stati messi in atto piani per ridurre il numero di truppe a 2 milioni di effettivi. Anche i quattro “regni militari” indipendenti del Pla – stato maggiore, politica generale, logistica generale e armamenti generali – sono stati aboliti e i loro poteri sono stati distribuiti in 15 unità più piccole che dipendono direttamente dalla Commissione militare centrale (Cmc) del Partito Comunista Cinese.

Il rapido sviluppo economico della Cina ha permesso al Pla di vedersi costantemente aumentato il budget annuale negli ultimi decenni. Quest’anno le forze armate hanno ricevuto un aumento del 7,2%, arrivando a circa 1,55 trilioni di yuan (224,3 miliardi di dollari), diventando così il secondo budget per la difesa al mondo dopo gli Stati Uniti.

I risultati di questi sforzi sono così evidenti e visibili che i vertici militari statunitensi hanno affermato pubblicamente che nel 2027 la Repubblica Popolare avrà una forza militare sufficiente per invadere Taiwan. Ma il divario che separa il Pla dalle forze armate statunitensi è ancora incolmabile. Le tecnologie di cui dispone Washington sono decisamente superiori, e la sua politica di export control è stata sviluppata anche per rallentare l’acquisizione di un simile expertise da parte di Pechino.

Inoltre, l’Esercito Popolare di Liberazione non si impegna in un conflitto reale sin dal 1979, anno dell’invasione del Vietnam. Questa mancanza di esperienza di combattimento rappresenta comunque un limite per l’efficacia militare delle forze armate di Pechino. E non solo per quel che riguarda l’esperienza dei soldati, ma anche perché le tattiche e le dottrine sviluppate non possono essere messe alla prova, se non in wargames con un grado di realismo difficilmente paragonabile a un vero campo di battaglia.

“È troppo presto per concludere se gli sforzi di modernizzazione del Pla stiano funzionando o meno”, ha detto Ni Lexiong, professore del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Scienze Politiche e Giurisprudenza di Shanghai. Per Ni, “le realtà che si stanno verificando sul campo di battaglia ucraino hanno ribaltato molte dottrine militari e giudizi che abbiamo appreso da precedenti guerre convenzionali come la Guerra del Golfo. Una volta ci aspettavamo che i combattimenti tra carri armati su larga scala sarebbero diventati i protagonisti della guerra in Ucraina, e che la fanteria avrebbe svolto un ruolo inferiore per ripulire le conseguenze […] proprio come è successo durante la Guerra del Golfo, ma la realtà ha mostrato che i loro ruoli sono stati scambiati”.

Xi ha indicato alle forze armate tre grandi obiettivi da raggiungere entro un lasso di tempo molto preciso: meccanizzazione di base e grandi progressi nel campo dell’informatizzazione entro il 2020, modernizzazione della difesa nazionale entro il 2035 e costruzione di un esercito di livello mondiale a tutto tondo entro la metà del secolo. Non è difficile leggere tra le righe l’obiettivo trasversale di superare gli Stati Uniti nella dimensione bellica, diventando così la prima potenza militare globale.


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Il 4 novembre è un atto di stima per le nostre Forze Armate. Scrive il gen. Arpino


L’aver perso disastrosamente la guerra e visto l’Italia spaccata tra Nord e Sud, l’aver avuto in Parlamento e nel Paese il più forte partito comunista d’Europa, del quale alcuni rappresentanti di spicco (avevamo da poco aderito alla Nato) continuavano a f

L’aver perso disastrosamente la guerra e visto l’Italia spaccata tra Nord e Sud, l’aver avuto in Parlamento e nel Paese il più forte partito comunista d’Europa, del quale alcuni rappresentanti di spicco (avevamo da poco aderito alla Nato) continuavano a fare la spola con Mosca, sono elementi che a suo tempo avevano disorientato i cittadini e messo in dubbio la nostra credibilità, all’interno e all’esterno.

L’aver persino ridicolizzato e tentato di distruggere, con abili manovre culturali, persino concetti “risorgimentali” fondanti come quelli di Patria, dovere, onore e famiglia, avevano prodotto sin dal primo dopoguerra una strisciante, ma pervasiva, disaffezione per le Forze Armate. Tuttavia, questa sembrava essere in buona parte svanita, se si considera il successo popolare dell’iniziativa del ripristino della sfilata militare nell’ambito del 2 giugno, voluta dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. Era un uomo che durante la guerra aveva indossato le stellette, e non se lo era mai dimenticato. La festa del 4 novembre, che ha anch’essa subito alterne vicende, rientra in questo contesto.

È da allora che, con fatica, abbiamo cominciato a risalire la china. Anche grazie al coraggio del presidente Ciampi – lo posso dire a ragion veduta – da allora ad oggi l’atmosfera sembrava essere cambiata. E, pur senza rinnegare una briciola dei valori che li contraddistinguono, sono cambiati anche i militari. Una maggiore apertura verso il pubblico, la realtà positiva e il comune apprezzamento del loro operato nelle missioni internazionali, la sospensione della leva, l’arruolamento femminile ed un maggior senso di responsabilità collettiva sono tutti elementi che stanno riequilibrando una situazione non simpatica, che gli uomini in uniforme avvertivano e sopportavano con pazienza.

Resta comunque un equilibrio fragile, spesso aggredito da ideologie antiquate, ma persistenti. Il mondo politico in tutto questo non aiuta molto: si va dai sorrisi e gli applausi del due giugno alla richiesta di “provvedimenti esemplari” nei confronti del carabiniere che, aggredito, spara un colpo di pistola. Non si è capito, ad esempio, che una buffa tenuta con blue jeans, camicia bianca, colletto aperto e caritatevole copertura del tutto con una giacca di mimetica presa a prestito (forse nell’intento di dimostrarsi “democratici” ed alla mano verso gli impeccabili, ma perplessi militari schierati sull’attenti) è irrispettosa verso tutto il reparto, e che i soldati, dopo la rottura dei ranghi, ne rideranno a crepapelle. Così come lascia perplessi il fatto che per molto tempo, si sia voluto contrabbandare per “duale” ogni esigenza d’acquisto ed ogni oggetto da mettere in mano a un soldato. Ora, con le guerre che ci toccano da vicino, tutto ciò sembra esaurito, ma il pubblico, stupito e confuso, non capisce. O riceve un messaggio sbagliato.

Il “politicamente corretto”, così attraente ed accattivante nelle aule parlamentari e nei vertici internazionali, sul terreno, in cielo ed in mare non lo è affatto, e non funziona. Non mi dilungo sugli esempi, che sono molti e ricorrenti, dalla guerra del Golfo alla Libia, dal Kosovo all’Afghanistan. Eppure facciamo le cose bene, ma riusciamo a dare sempre l’impressione di quelli che lanciano il sasso e nascondono la mano. Anche questo lascia perplessi i nostri cittadini, e, più ancora, i nostri soldati. E non parlo solo dei famigerati caveat nazionali. Cose di questo tipo sono disdicevoli, perché, l’inevitabile percezione internazionale di questo nostro tormento erode credibilità, affidabilità e pone ingiuste ombre sul generale consenso che invece si conquistano sul campo i soldati. Il cittadino attento se ne accorge, e i suoi dubbi aumentano.

È con questi pensieri che oggi ci apprestiamo a celebrare il “nostro” 4 novembre. È per volere delle nostre Autorità (certo non intendiamo discutere, sappiamo che conoscono il contesto nazionale ed internazionale molto meglio di noi), che questa “nostra” celebrazione, almeno esteriormente, quest’anno trascorrerà in tono minore, senza enfasi e senza festeggiamenti, cercando quasi di passare sottotraccia. Certo, le massime Autorità saranno pur sempre all’Altare della Patria, le Frecce Tricolori passeranno con puntualità cronometrica e in una blindatissima Cagliari parlerà il ministro della Difesa alla Presenza del Capo dello Stato, a conclusione della Cerimonia ufficiale.

E noi, buoni cittadini? Non sentiamoci esclusi da un tono minore che certamente avrà le sue contingenti giustificazioni politiche. Senza dare fastidio a nessuno, senza attrarre odio, senza polemizzare, celebriamo comunque in perfetto silenzio questo “nostro” 4 novembre. A modo nostro. Dentro di noi. Nel profondo del cuore.


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Forze Armate, patrimonio di tutti. La riflessione di Margelletti


Il 4 novembre è prima di tutto la festa dell’Unità nazionale, e poi e anche la festa delle Forze armate, perché senza le Forze armate, senza il loro apporto e il loro sacrificio, non esisterebbe una unità nazionale. Non solo adesso, ma soprattutto nella S

Il 4 novembre è prima di tutto la festa dell’Unità nazionale, e poi e anche la festa delle Forze armate, perché senza le Forze armate, senza il loro apporto e il loro sacrificio, non esisterebbe una unità nazionale. Non solo adesso, ma soprattutto nella Storia, le Forze armate hanno rappresentato il divenire italiani, una tendenza che nella Prima guerra mondiale (che il 4 novembre ricorda, data dell’armistizio ndr) in Italia si realizza compiutamente per la prima volta. Questo è il significato della festa, ricordare che noi siamo l’eredità di quello che eravamo allora.

Il 4 novembre, allora, andrebbe ricordato tutti i giorni, perché l’apporto di uomini e donne in uniforme è quotidiano. Basti pensare ai terribili eventi che si stanno realizzando in queste ore in Toscana per il maltempo, e alla presenza delle Forze armate nell’aiutare la popolazione colpita dalla calamità. Pensiamo ai militari che quotidianamente supportano i processi democratici in tantissimi Paesi e rappresentano un elemento di terzietà rispetto a realtà che altrimenti sarebbero confliggenti tra loro. Pensiamo ai nostri Carabinieri, che sono ogni giorno sulle strade quali militari che si occupano della sicurezza pubblica. E infine, ricordiamo i tanti militari caduti durante la pandemia, e lo straordinario apporto che le Forze armate hanno dato per contenere in maniera determinate il Covid-19, attraverso una incredibile campagna vaccinale il cui merito va al ministero della Difesa, oltre che a quello della Ricerca.

Di fronte a tutto questo, provo allora profondo imbarazzo per quanti alimentano il dibattito sul 4 novembre, perché le Forze armate italiane sono un patrimonio della nazione tutta, non di un governo. La Difesa è al servizio del Paese, e chi pensa che sia “di una parte” piuttosto che di un’altra, evidentemente hanno perso il senso di una nazione e cosa significhi per l’Italia.

Le Forze armate italiane svolgono ogni giorno un’opera incredibile con risorse da sempre estremamente limitate. Peraltro, ricordiamo che i tanti viaggi che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha svolto nelle scorse settimane, anche per la crisi di Gaza, hanno dimostrato coma la diplomazia con le stellette sia un legame estremamente efficace. Non c’è dubbio, del resto, che viviamo in una situazione internazionale estremamente fragile. Al di là delle possibili discussioni su come affrontarla, la mia posizione a riguardo è netta: le Forze armate hanno bisogno di maggiori risorse, perché noi non sappiamo quale sarà il futuro, ma di certo appare sempre più critico. E questo è un dato oggettivo. Abbiamo due conflitti che rischiano di diventare ancora più grandi e di allargarsi fino alle porte di casa nostra. Coloro che dicono, quindi, che non è il momento di parlare di aumentare le spese della Difesa, a questo punto, non solo non si rendono conto, probabilmente, del momento in cui il mondo sta vivendo, ma stanno anche creando dei problemi alla sicurezza nazionale.


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