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Il giorno in cui la mia mente è diventata open source


Ripubblico qui su Friendica una vecchia traduzione dell'articolo "Il giorno in cui la mia mente è diventata open source" di Phil Shapiro

Qui il testo originale: opensource.com/life/12/4/day-m…, distribuito con licenza Creative Commons by-sa

Avevo letto l'articolo per la prima volta su Framablog nella traduzione francese di Alexis Kauffmann

Buona lettura 😀

Ricordo chiaramente il giorno esatto in cui la mia mente è diventata open source. Era una giornata fresca e soleggiata del novembre 1973. Dopo le lezioni alla scuola media, ho chiamato il mio migliore amico, Bruce Jordan e gli ho chiesto: “Posso venire a giocare adesso?” Bruce ha risposto: “Certo.” Sono saltato sulla mia bicicletta Schwinn, rossa e senza cambio e ho pedalato come un matto per tre chilometri fino alla casa di Bruce. Sono arrivato senza fiato, ma felice.

Era divertente giocare con Bruce, perché lui stava sempre inventando nuovi giochi da giocare sia all'interno che all'esterno. Non c'è mai stato un momento di noia a casa di Bruce. Così, quando quel giorno ci siamo seduti per giocare a Scarabeo, Bruce ha proposto spontaneamente: “Prendiamo ciascuno 10 lettere invece di 7, questo migliorerà molto il gioco». Ho protestato, "Ma le regole sulla scatola del gioco dicono che puoi prendere solo 7 lettere.”

Bruce subito ha risposto: “Quelle stampate sulla scatola non sono regole. Quelle sono regole suggerite. Tu ed io siamo liberi di migliorarle”. Ero un po’ stupito. Non avevo mai sentito prima un’ idea simile. “Ma le regole sulla scatola non sono scritte da adulti che sono molto più intelligenti di noi?” ho protestato.

Bruce mi ha spiegato con disinvoltura: “Le persone che hanno inventato questo gioco non sono più intelligente di me e di te, anche se sono adulti. Siamo in grado di creare per questo gioco regole migliori delle loro. Regole molto migliori”.

Ero ancora un po' scettico, fino a quando Bruce ha detto: “Senti, se questo gioco nei primi cinque minuti non è molto più divertente, torneremo a giocare il gioco con le regole della scatola.” Che mi sembrava un modo intelligente di procedere.

E in effetti, le regole di Bruce per Scarabeo hanno reso il gioco molto più divertente da giocare.
A metà, non ho potuto fare a meno di chiedergli: “Se le regole per Scarabeo possono essere migliorate, si possono migliorare anche le regole degli altri giochi?”

Bruce ha risposto: “Le regole di tutti i giochi possono essere migliorate. Non solo, tutto ciò che vedi nel mondo intorno a te, progettato dalla mente umana, tutto può essere migliorato. Tutto si può migliorare.”

Ascoltando queste parole, un fulmine mi ha attraversato la mente. In pochi secondi, la mia mente è diventata open source. In quel momento preciso ho saputo qual era lo scopo della mia vita e il mio destino: cercare intorno a me le cose che potevano essere migliorate, e quindi migliorarle.

Quando quella sera sono montato sulla mia bicicletta Schwinn per tornare a casa, la mia mente era intossicata da idee e possibilità. Avevo imparato più da Bruce Jordan in quel giorno di quanto avessi imparato in un intero anno di scuola. Venticinque anni prima che la frase “open source” venisse coniata, Bruce Jordan aveva reso open source la mia mente. Gli sarò sempre grato per questo.

Tornando a casa quella sera, ho deciso che nella mia vita avrei rivolto le mie energie ad ampliare le opportunità di apprendimento al di fuori della scuola, perché a volte l'apprendimento e le realizzazioni più significative avvengono al di fuori delle mura scolastiche. Oggi lavoro in una biblioteca pubblica nella zona di Washington DC e ogni giorno parlo con gli studenti delle scuole elementari e medie che si fermano per dire ciao. Ogni tanto incontro studenti la cui mente è ricettiva alle grandi idee. Quando succede, pianto dei piccoli semi nelle loro menti e li mando per la loro strada. Spetta a loro coltivare quei semi. Il mio ruolo è quello di piantare dei semi di idee nelle loro menti. Il loro ruolo è quello di osservare quei semi germogliare e scegliere se annaffiarli o no.

Ho imparato un'altra lezione importante da Bruce Jordan. Nello stesso anno, mi ha chiesto se volevo giocare a frisbee baseball. “Che cos'è il frisbee baseball?” ho chiesto incuriosito. Bruce mi ha risposto: “Non lo so, ma sembra un gran bel gioco. Creeremo le regole mentre andiamo verso il campo da baseball.”

In effetti, Bruce ha inventato le regole per il frisbee baseball mentre camminavamo lungo l'isolato che ci separava dal campo da baseball. E abbiamo giocato la partita con grande gioia fino a quando si riusciva a malapena a vedere il frisbee nel cielo serale. Quello che ho imparato da Bruce quel giorno è di non avere paura di andare avanti quando il tuo istinto ti dice che troverai delle cose buone che ti aspettano. Bruce era assolutamente sicuro che ci saremmo divertiti moltissimo a giocare a frisbee baseball. Ed è stato proprio così.

L'open source è un movimento per il software, ma è anche molto di più di questo. E’ un modo ottimista di guardare ad ogni oggetto e idea costruiti dall'uomo. Tutto può essere migliorato da cima a fondo. Tutto quello che serve è un po’ di creatività e la volontà di applicare la nostra mente al compito.

Vogliamo provarci? Le regole originali di ogni gioco sono stampate sulla scatola, ma queste regole sono solo dei suggerimenti. Sono migliorabili e devono essere migliorate per quanto possibile.

#OpenSource #giochi #apprendimento

@macfranc @Alexis Kauffmann @scuola@a.gup.pe

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Proposta di riforma per la privacy e la ricerca scientifica – Tavolo Salute di State of Privacy

@Privacy Pride

Dal Tavolo Salute di “State of Privacy”, sono emerse le seguenti 3 sfide e 3 azioni correlate:

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Il governo Meloni con la fine definitiva del mercato di maggior tutela dell'energia contribuisce al caro bollette per milioni di italiane/i.  Questa fine del


#NoiSiamoLeScuole questa settimana è dedicato al plesso scolastico “Giovanni Modugno” dell’I.C. “Rita Levi Montalcini” di Bitritto (BA) e al plesso “Giovanni XXIII” della Scuola secondaria di I grado “Cotugno-Carducci-Giovanni XXIII” di Ruvo di Pugli…


Come corre (finalmente) l’industria della difesa europea


“A marzo la Commissione presenterà una strategia per l’industria della difesa”. L’annuncio della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, da Stoccolma, si inserisce all’interno di un moto riformatore che, seppure in ritardo, ha preso avv

“A marzo la Commissione presenterà una strategia per l’industria della difesa”. L’annuncio della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, da Stoccolma, si inserisce all’interno di un moto riformatore che, seppure in ritardo, ha preso avvio all’interno delle consapevolezze europee. La concomitanza di eventi esterni di un certo peso, come le guerre in Ucraina e in Medio Oriente, può fungere da acceleratore di un’esigenza che è presente ormai da tempo e che non è più ulteriormente procrastinabile, anche in considerazione del fatto che l’elemento della pace si è andato assottigliando sempre di più, sia ai nostri confini meridionali che orientali dell’Ue.

Perché più difesa

Già la bozza dedicata alla sicurezza e alla difesa nelle conclusioni del Consiglio europeo dello scorso dicembre aveva previsto un quadro normativo per il settore industriale della difesa europea. L’obiettivo è coordinare gli acquisti congiunti e aumentare l’interoperabilità e la capacità produttiva dell’industria europea della difesa.

Non solo Gaza o Kyiv, anche l’emergenza legata agli attacchi dei ribelli houthi influisce su tale esigenza. Lo ha sottolineato qualche giorno fa il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani al question time sul tema della libertà di navigazione sul Mar Rosso, a proposito di “una minaccia alle porte di casa che ci ricorda che per giocare un ruolo più decisivo dobbiamo dotarci in prospettiva di una autentica difesa comune europea”.

Tesi che si ritrova nelle parole che l’amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani, ha affidato pochi giorni fa al Ft quando ha spiegato che l’Unione Europea deve semplificare l’industria della difesa poiché attualmente “è ostacolata dalla concentrazione degli Stati membri sulle proprie industrie nazionali”. Secondo l’ex ministro la guerra in Ucraina “ha funzionato come un campanello d’allarme per l’industria europea”.

Pesco

La cooperazione strutturata permanente chiamata Pesco (Permanent Structured cooperation) è nata nel 2017 ed è stata basata su progetti di collaborazione con impegni vincolanti: prevede infatti squadre di risposta rapida, un sistema di sorveglianza marittima, un comando medico europeo, l’assistenza reciproca nella cyber-sicurezza e una scuola di intelligence europea. Il consiglio affari generali dello scorso autunno ha approvato le direttrici di marcia per affrontare i nuovi dossier alla voce difesa, comprese le minacce per la sicurezza marittima, tramite un’azione di interoperabilità Ue sommata ad una maggiore cooperazione con Nato.

Mossa che, dal punto di vista politico, ha inteso anche lanciare un forte messaggio all’esterno, ovvero a big players che operano nei suddetti teatri di guerra. Particolare attenzione verrà dedicata alla difesa navale tramite “lo sviluppo delle capacità civili e militari nel campo della sicurezza marittima, coinvolgendo l’industria, se del caso”.

Come acquistare

Il nodo, in secondo luogo, verte il modo con cui procedere agli acquisti. Una strada è stata indicata dal presidente francese, Emmanuel Macron, che due giorni fa si è detto favorevole a nuovo debito comune europeo per finanziare la difesa. In sostanza ha proposto la soluzione degli eurobond basati su priorità industriali, come appunto la difesa.

Lo scorso settembre inoltre il Parlamento europeo aveva approvato in via definitiva la legge sul rafforzamento dell’industria europea della difesa attraverso appalti comuni (Edirpa). Si tratta di un regolamento, già concordato con il Consiglio il 27 giugno 2023, che dà vita ad un braccio operativo europeo da 300 milioni che sostenga in concreto l’industria europea della difesa tramite appalti comuni. Vi sono alcuni parametri da rispettare: il costo dei componenti Ue o dai Paesi associati non deve essere inferiore al 65% del valore del prodotto finale. In secondo luogo appaltatori e subappaltatori non devono essere soggetti al controllo di un paese terzo o di un’entità non associata, ma devono essere in Ue o in un Paese associato.


formiche.net/2024/01/ndustria-…



Steadfast Defender è la più grande esercitazione Nato dalla Guerra Fredda. Ecco i dettagli


Nei prossimi mesi avrà luogo la più grande esercitazione mai realizzata dall’Alleanza Atlantica sin dalla fine della guerra fredda. I numeri parlano chiaro: nell’edizione 2024 di Steadfast Defender sarà ancora più grande di quanto preventivato nei mesi sc

Nei prossimi mesi avrà luogo la più grande esercitazione mai realizzata dall’Alleanza Atlantica sin dalla fine della guerra fredda. I numeri parlano chiaro: nell’edizione 2024 di Steadfast Defender sarà ancora più grande di quanto preventivato nei mesi scorsi. Nelle fasi iniziali di pianificazione di quest’operazione simulata si parlava di circa 40.000 soldati; oggi il numero è più che raddoppiato, con il previsto coinvolgimento nelle manovre militari di oltre 90.000 uomini provenienti da tutti i Paesi membri dell’Alleanza, più la Svezia. Accanto a questi saranno coinvolte più di 50 navi, dalle portaerei ai cacciatorpedinieri, più di 80 jet da combattimento, elicotteri e droni, e almeno 1.100 veicoli da combattimento, tra cui 133 carri armati e 533 veicoli da combattimento di fanteria. L’ultima esercitazione di dimensioni simili è stata Reforger nel 1988, con 125.000 partecipanti.

Ad annunciare le nuove cifre è stato Cristopher Cavoli, il Supreme Allied Commander Europe (Saceur, il più alto grado militare del sistema di difesa integrato dell’Allenza Atlantica), durante una conferenza pubblica svoltasi pochi giorni fa in occasione dell’avvio dell’esercitazione, prevista per la prossima settimana. Con essa “la Nato dimostrerà la propria capacità di difesa dello spazio euro-atlantico in caso di minaccia militare, trasferendo truppe dagli Stati Uniti in direzione dell’Europa. Una chiara dimostrazione della nostra unità, della nostra forza e della nostra determinazione a proteggerci reciprocamente, a proteggere i nostri valori e l’ordine internazionale basato sul diritto” ha affermato il militare statunitense.

Cavoli ha anche annunciato che la Allied Reaction Force, la neo-istituita forza multinazionale e multidominio che fornisce ulteriori opzioni per rispondere rapidamente alle minacce e alle crisi in tutte le direzioni in tutto il territorio dell’Alleanza, si appoggerà al comando italiano del Nato Rapid Deployment Corps.

Gli alleati hanno approvato i piani regionali al vertice di Vilnius del 2023, ponendo fine a una lunga era in cui l’Alleanza non aveva percepito la necessità di piani di difesa su larga scala, poiché i Paesi occidentali erano impegnati in altri tipi di conflitti come quelli in Afghanistan e Iraq, e non vedevano la Russia post-sovietica non rappresentasse più una minaccia esistenziale.

Durante la seconda parte di Steadfast Defender, un’attenzione particolare sarà rivolta al dispiegamento della forza di reazione rapida della Nato sul fianco orientale dell’alleanza, e in particolare nei territori di Polonia e Stati Baltici, considerati più a rischio di un potenziale attacco russo. Altri territori su cui sarà posto il focus sono la Germania (come centro di smistamento dei rinforzi in arrivo) e i Paesi siti ai margini dell’alleanza, come Romania e Norvegia.

Norvegia che sarà invece, assieme a Finlandia e Svezia, uno dei teatri principali di Nordic Response, la seconda esercitazione Nato prevista per quest’anno. All’esercitazione, conosciuta come Cold Response fino allo scorso anno, parteciperanno più di 20.000 truppe della Nato provenienti da 14 diversi Paesi membri, accompagnate da 50 navi da guerra, sottomarini e altre imbarcazioni e più di 110 jet da combattimento, elicotteri e altri aerei. Nordic Response darà agli alleati l’opportunità di imparare a operare in questo ambiente vasto e complicato, di testare nuovi equipaggiamenti e tattiche e, infine, di prepararsi a lavorare e combattere senza problemi l’uno accanto all’altro.


formiche.net/2024/01/steadfast…



Il nuovo reato di non-violenza


Nella sua foia legiferante e nella sua irresistibile produzione di nuovi reati (in termini sofisticati: panpenalismo), il governo Meloni ha raggiunto un altro primato. Tra le quindici inedite fattispecie penali introdotte o in via di introduzione c’è una

Nella sua foia legiferante e nella sua irresistibile produzione di nuovi reati (in termini sofisticati: panpenalismo), il governo Meloni ha raggiunto un altro primato. Tra le quindici inedite fattispecie penali introdotte o in via di introduzione c’è una norma che, secondo il giurista Paolo Borgna, non ha precedenti nei codici degli stati democratici. È quella prevista dall ’art. 18 del disegno di legge in materia di sicurezza, approvato dal Consiglio dei Ministri qualche settimana fa. Quell’articolo intende punire gli atti di «resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti», commessi da detenuti.

Si consideri quel «anche passiva». Ciò significa, a esempio, che un recluso sollecitato a consumare il pasto, se si rifiutasse di farlo, sarebbe sanzionato, e pesantemente. È una disposizione davvero inquietante: innanzitutto perché pretende di interferire con la sfera più intima dell’individuo. Quella, cioè, dove vengono assunte le decisioni più delicate, dove si esercita il libero arbitrio, dove si sceglie di obbedire o dissentire, di accettare o rifiutare, di conformarsi o astenersi. Ovvero qualcosa che appartiene ai fondamenti stessi della personalità umana.

C’è, poi, un’altra ragione che rende odiosa quella norma: nel faticosissimo e impervio processo di emancipazione dalla mentalità delinquenziale la «resistenza anche passiva» — ovvero la rinuncia alla violenza — rappresenta, per il detenuto, una tappa fondamentale della presa di coscienza e dell’integrazione in un sistema di relazioni sociali non criminali.
Di conseguenza, il recluso che si astiene dal cibo o che non si reca in cortile per l’ora d’aria può essere sanzionato penalmente e, così, ricacciato indietro, in una dimensione dove la sola risorsa per affermare i propri diritti apparirà il ricorso alla forza. Contro altri o contro sé stessi. Nel 2023 i suicidi sono stati 68, l’anno precedente 84. Nel corso dei primi diciotto giorni del 2024 già 7 detenuti si sono tolti la vita e un altro è deceduto a seguito di uno sciopero della fame.
La vicenda più tragica — semmai fosse possibile una gerarchia dell’orrore — è quella di Matteo Concetti, uccisosi mentre si trovava in una cella di isolamento del carcere di Ancona Montacuto: e appena poche ore dopo che i suoi familiari si erano rivolti a tutte le autorità e a tutte le istituzioni che un genitore può immaginare di sensibilizzare per salvare la vita di un figlio.
Concetti, 23 anni, aveva un disturbo bipolare e un sofferto passato di borderline, tra microcriminalità e dipendenze, tra ricoveri e comunità. Avrebbe dovuto scontare ancora otto mesi e, dopo un periodo in regime di detenzione domiciliare, era stato riportato in cella a causa del ritardo di un’ora nel ritorno alla propria abitazione.

Leggete l’intervista rilasciata dalla madre di Concetti, Roberta Faraglia, ad Alessandra Ziniti su queste pagine. È un eccezionale documento di amore genitoriale e, allo stesso tempo, di dignità umana e di intransigente coscienza civile. Vi si trova un dolore immenso e un rigoroso atto di accusa contro il sistema penitenziario e la sua natura patogena e letale. Un luogo insensato e mortifero.

Dice la madre di Concetti che, nell’incontro precedente di poche ore la sua morte, il giovane dichiarava di essere stato «picchiato da un agente mentre altri due lo tenevano fermo» e che «non gli davano le sue medicine». Tra sopraffazione e incuria «hanno lasciato che si suicidasse».
Nel novembre scorso, nel carcere di Sanremo, Alberto Scagni, paziente psichiatrico, subì violenze per ore a opera dei compagni di cella. Ancora incuria e gestione disastrosa della componente più vulnerabile della popolazione detenuta. Una quota di reclusi che costituisce quasi il 10 percento deltotale. E che risulta pressoché priva di adeguate terapie e di una sufficiente assistenza. Secondo l’associazione Antigone, nel complesso delle carceri italiane, le ore di sostegno psichiatrico sono circa dieci a settimana per ogni cento detenuti, e diciotto quelle per il supporto psicologico.

Il quadro generale dice questo: il 42,4 percento dei reclusi consuma psicofarmaci e in particolare sedativi e, secondo la rivista «Altreconomia», la spesa complessiva relativa a tali trattamenti supera i due milioni di euro per anno. Questo mentre la popolazione detenuta, dopo un breve periodo di contenimento, ha ripreso a crescere e ha superato ormai le 60.000 unità, a fronte di una capienza regolamentare di 51.249 posti e di una capienza effettiva poco superiore ai 47.000.
Sono numeri che certificano inequivocabilmente il collasso del sistema, ma nessuno sembra curarsene.

In altre parole il circuito penitenziario sembra non avere più scampo e la sua irreversibile rovina è tra i fattori più importanti della crisi dei nostri sistemi di sicurezza collettiva. Una cosa è certa: non saranno i nuovi reati di «incendio boschivo» e di «deturpamento e imbrattamento» di muri a salvarci.

La Repubblica

L'articolo Il nuovo reato di non-violenza proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Nasce STEREO, l'istanza Funkwhale di Kenobit

@Che succede nel Fediverso?

Oggi lanciamo ufficialmente STEREO, un'istanza #funkwhale per l'underground italiano (e non solo).

Ho preparato delle slide per comunicarlo su Instagram, ma le pubblico anche qui perché il messaggio è quello.

STEREO è nostro. È appena nato ma abbiamo una marea di dischi da caricare, proposti da amicǝ, alleatǝ e in generale gente che si è stufata di regalare bellezza a Spotify.

Provatelo!
STEREO.KENOBIT.IT



Oggi lanciamo ufficialmente STEREO, un'istanza #funkwhale per l'underground italiano (e non solo).

Ho preparato delle slide per comunicarlo su Instagram, ma le pubblico anche qui perché il messaggio è quello.

STEREO è nostro. È appena nato ma abbiamo una marea di dischi da caricare, proposti da amicǝ, alleatǝ e in generale gente che si è stufata di regalare bellezza a Spotify.

Provatelo!
STEREO.KENOBIT.IT


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in reply to Aldo

Da fastidio anche a me, visto che non riesco a recuperare il mio account di Funkwhale.it, poiché il gruppo Devol non mi manda la mail.


di Tommaso Di Francesco STORIA E MEMORIA. Il 19/1/ 1969 moriva a Praga il giovane che tre giorni prima si era immolato per protesta contro la normalizzazione d


📣 #IscrizioniOnline: importante successo della Piattaforma #Unica. Le domande inserite sul portale, alle 8 di questa mattina, sono state oltre 231.000.


Export della difesa. Oltre l’ideologia, serve una riflessione politica. L’opinione del gen. Tricarico


Non stupisce che Vignarca e company, un sodalizio di associazioni pacifiste più rumoroso che folto, continui con il fuoco di sbarramento sulla legge 185/90 e sulle iniziative parlamentari volte ad avviare una serie di miglioramenti all’attuale disposto di

Non stupisce che Vignarca e company, un sodalizio di associazioni pacifiste più rumoroso che folto, continui con il fuoco di sbarramento sulla legge 185/90 e sulle iniziative parlamentari volte ad avviare una serie di miglioramenti all’attuale disposto di legge. Fanno semplicemente il loro lavoro.

Quello che stupisce è che sull’argomento non ci sia dibattito pubblico, né tanto meno consapevolezza e quindi cultura, con il risultato che le tesi a volte esclusivamente ideologiche di Vignarca e seguaci divengano la narrativa dominante e acquisiscano proseliti a non finire a cominciare dal mondo politico, stranamente collocato per l’occasione in un campo largo.

Nello specifico, l’impegno del momento dei paladini della pace a prescindere e senza condizioni, è quello di aprire un robusto fuoco di sbarramento sulle attività parlamentari ergendosi ad istituzione dello Stato, a partito politico di opposizione, quasi che le piazze non siano più il loro unico e naturale ambiente. “Impugneremo il testo di legge, se questa formulazione verrà confermata fino alla fine” confida Vignarca ad Avvenire.it del 18 gennaio. Impugneremo?Dove, e con quale potestà?

I temi del dibattere riguardano in particolare la reintroduzione del Cisd (Comitato interministeriale per lo scambio di armamenti per la Difesa) nel processo decisionale sull’autorizzazione delle operazioni commerciali di esportazione ed il ruolo degli istituti bancari nel finanziamento di dette attività.

Nel primo caso chiunque, con un minimo di senso dello Stato o, in assenza di questo, con un minimo di raziocinio, plaudirebbe al fatto che le decisioni finali circa una attività di esportazione di materiali della Difesa siano allocate presso un consesso di Ministri di rango sotto la guida del vertice di governo, anziché nell’ufficio di un funzionario della Farnesina di medio livello cui le pressioni politiche, mediatiche o appunto del pacifismo, finiscono per inibire le capacità di discernimento e decisione.

E se non ci vuole molto a capire questo primo punto, ancora più agevole risulta la comprensione del secondo.

Agli inizi del 2000, tre istituti bancari decisero di sospendere le operazioni di finanziamento delle esportazioni di armamento.
A nulla valsero, in una apposita riunione convocata a Palazzo Chigi, cui parteciparono presidente e direttore generale di Abi di allora, Sella e Zadra, le argomentazioni volte a far recedere gli istituti bancari dalla decisione, che tra l’altro riguardava attività perfettamente allineate al disposto di una legge italiana, appunto la 185/90.

A nulla valse soprattutto l’avvertimento che così facendo le banche, ed il movimento pacifista dietro di loro, avrebbero realizzato una perfetta eterogenesi dei fini. Infatti, venendo a mancare le informazioni sui finanziamenti da parte di queste banche e non essendo gli istituti stranieri cui le società esportatrici si sarebbero rivolte tenute a relazionare il governo italiano, la Relazione annuale del governo al Parlamento sarebbe risultata monca di un allegato importante, quello delle operazioni bancarie degli istituti obiettori, e quindi l’intera attività avrebbe perduto un importante dato di controllo. E di trasparenza nella percezione pacifista.
Di fatto, non solo i tre istituti non recedettero dalla loro decisione, ma il fenomeno che poi prese il nome di “banche armate”, si estese considerevolmente fino ad oggi in cui Vignarca e company lamentano la possibile omissione dell’indicazione degli istituti bancari nella Relazione Annuale.

Chi è causa del suo mal pianga sé stesso verrebbe da dire.

In conclusione, sarebbe giunto il momento per il nostro Paese di avviare, dopo queste prime schermaglie, una revisione seria della 185/90, una revisione che tenga conto della vera rivoluzione occorsa dal 1990 ad oggi nelle relazioni internazionali e negli equilibri geopolitici, una revisione che possa contare su un riequilibrio delle parti in causa nei processi autorizzativi, in cui la politica si riappropri delle sue prerogative rioccupando gli spazi che per troppi anni ha lasciato al movimentismo, anche per questo divenuto un fattore serio di inibizione della volontà dello Stato e della tutela dei suoi interessi.


formiche.net/2024/01/export-di…



Il puzzle Africa nella "guerra mondiale a pezzetti" l L'Antidiplomatico

"Se ci si sforza di osservare con più attenzione provando a capire chi si muove dietro le quinte, ci si rende conto che in tutte le aree di grande crisi le grandi potenze giocano una partita senza esclusione di colpi e senza lesinare uomini e mezzi. L'Africa, dunque, come un campo di battaglia silenzioso (anche a causa dell'indifferenza dei nostri mass media) ma non per questo meno insanguinato e meno pericoloso di altri teatri bellici. Un continente ancora una volta piegato ai giochi di potere di altre capitali che sono pronte a sacrificare l'ancora fragile sviluppo di questa area del mondo."

lantidiplomatico.it/dettnews-i…



GAZA. Gli obiettivi dell’offensiva israeliana: Netanyahu vuole dal «fiume al mare»


Il premier israeliano non vuole lo Stato palestinese e riconoscere i diritti dei palestinesi. Ed è deciso a dire di no anche agli alleati americani L'articolo GAZA. Gli obiettivi dell’offensiva israeliana: Netanyahu vuole dal «fiume al mare» proviene da

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di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 19 gennaio 2024 – «Per la vittoria ci vorranno mesi, ma siamo determinati ad ottenerla». Benyamin Netanyahu non cambia una virgola della linea che porta avanti dal 7 ottobre. Anche ieri sera ha ripetuto che non scenderà a compromessi, vuole una «vittoria totale su Hamas». «La guerra continua su tutti i fronti – ha detto il primo ministro israeliano – fermare la guerra senza raggiungere i nostri obiettivi danneggerà la sicurezza dello Stato per generazioni, creerà un messaggio di debolezza e il prossimo massacro sarà solo questione di tempo». Infine, ha ribadito che Israele dopo la guerra controllerà la sicurezza della Striscia di Gaza e tutti gli insediamenti ebraici a ovest del fiume Giordano. «Un primo ministro deve essere in grado di dire ‘no’ quando necessario, anche ai nostri migliori amici». Frasi che riaffermano il “no” di diritti dei palestinesi e allo Stato di Palestina. E smentiscono la possibilità di una politica più flessibile che gli alleati americani, almeno a parole, chiedono a Israele per il transito dall’Egitto degli aiuti umanitari indispensabili per la popolazione di Gaza sprofondata in una emergenza umanitaria gravissima a causa dell’offensiva militare in corso.

Sono minime le possibilità di un cessate il fuoco generale e di un eventuale accordo per la liberazione degli ostaggi israeliani in cambio della scarcerazione di prigionieri politici palestinesi. Netanyahu, secondo l’emittente statunitense Nbc News, ha respinto la proposta del segretario di Stato Usa, Antony Blinken, di normalizzare le relazioni con l’Arabia saudita in cambio dell’accettazione da parte dello Stato ebraico di un «percorso» per la nascita dello Stato palestinese indipendente. Durante l’incontro, Blinken avrebbe reagito al rifiuto di Netanyahu, affermando che Hamas «non può essere rimosso solo con mezzi militari» e che il mancato riconoscimento da parte dei leader israeliani del dossier palestinese «porterà alla ripetizione della storia».

A Gaza, intanto, si muore ancora sotto le bombe. La battaglia più violenta è a Khan Younis. Anche oggi altri morti e feriti tra i civili palestinesi. Le forze israeliane avanzano nella principale città meridionale di Gaza e i colpi di artiglieria e le cannonate cadono vicino all’ospedale Nasser, uno delle poche strutture sanitarie ancora funzionanti nella Striscia, scatenando il panico tra i pazienti e gli sfollati che vi hanno trovato un rifugio. I bombardamenti continuano nel nord e nell’est della città e, per la prima volta, ieri hanno preso di mira la zona occidentale in cui i carri armati israeliani sono avanzati in profondità prima di ritirarsi.

L’ong Medici Senza Frontiere riferisce che all’ospedale Nasser, i pazienti e gli sfollati fuggono in preda al panico. «Secondo il chirurgo di Msf, all’ospedale di Nasser, le forze israeliane hanno bombardato pesantemente l’area accanto all’ospedale senza ordine di evacuazione, causando la fuga in preda al panico dei pazienti e di molte delle migliaia di civili sfollati che avevano cercato rifugio al Nasser» ha detto l’associazione medica. A Rafah, più a sud, dove oltre due milioni di abitanti di Gaza sono stipati in una piccola area al confine egiziano, sono stati portati via 16 corpi avvolti in sudari bianchi. Metà dei fagotti erano minuscoli e contenevano i corpi di bambini piccoli. «Ieri giocavo con i bambini laggiù. Sono morti tutti, sono l’unico ancora vivo», ha raccontato Mahmoud Al Zemeli, 10 anni. A più di tre mesi dall’inizio di una guerra che ha ridotto in macerie gran parte della Striscia di Gaza, Israele afferma di voler ridurre le sue operazioni di terra e di passare a tattiche su scala più ridotta. Ma prima di farlo, sembra determinato a catturare tutta Khan Younis, che ora sarebbe la base principale dei combattenti di Hamas e del loro capo Yahya Sinwar. Le perdite palestinesi sono elevatissime ma anche

Si aggrava ulteriormente la crisi umanitaria con aree di Gaza isolate e difficili da raggiungere a causa dei bombardamenti dove si soffre la fame, avvertono le Nazioni unite. La popolazione di Rafah al confine con l’Egitto è passata da 300 mila a oltre 1,2 milioni di persone, il quadruplo rispetto al periodo precedente la guerra. Secondo quanto riferito dall’Unrwa (Onu), i palestinesi sfollati cercano riparo in campi e tende sovraffollate. È salito 24.762 il bilancio dei morti a Gaza dallo scorso 7 ottobre. Pagine Esteri

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Prima di effettuare le #IscrizioniOnline, sulla Piattaforma #Unica è possibile scoprire tutti i percorsi disponibili nel sistema scolastico italiano.
Qui la Guida ▶ unica.istruzione.gov.it/it/ori…


Davos (Svizzera) (EuroEFE) – L’intelligenza artificiale, le sfide che pone e il rapporto con i media sono stati tra i temi più importanti della quarta giornata (giovedì 18 gennaio) del Forum di Davos (Svizzera), dove hanno giocato un ruolo importante...

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Le PMI dell’ASEAN nell’economia circolare


Le PMI dell’ASEAN nell’economia circolare asean pmi
Più che un semplice modello di produzione, l’economia circolare potrebbe presentarsi come una strategia di sopravvivenza mirata a frenare la deriva distruttiva dell’ecosistema terrestre. Si tratta di un sistema produttivo alternativo a quello del “take-make-dispose” in quanto si basa sui concetti di riduzione, riutilizzo e riciclaggio delle risorse impiegate nel ciclo di vita del prodotto. Quindi, che il futuro del ...

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In Cina e Asia – Mar Rosso, dagli Houthi rassicurazioni alle navi cinesi e russe


In Cina e Asia – Mar Rosso, dagli Houthi rassicurazioni alle navi cinesi e russe mar rosso
I titoli di oggi:

Mar Rosso, dagli Houthi rassicurazioni alle navi cinesi e russe
L'Australia smentisce i commenti di Pechino su un incidente navale di novembre
Cina, circa il 70% dei cinesi supporta la leadership di Xi Jinping

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TAIWAN. Lai è un presidente dimezzato


Le reazioni di Pechino e Washington alla vittoria di Lai - più “indipendentista” rispetto alla sua predecessora Tsai Ing-wen - sono state improntate alla prudenza, come suggerito dai guardrail piazzati il 15 novembre scorso nell’incontro tra Xi Jinping e

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di Michelangelo Cocco

(questo articolo è stato pubblicato in origine da Rassegna Cina)

Pagine Esteri, 19 gennaio 2023 – Con la vittoria di William Lai Ching-te di sabato scorso, il Partito progressista democratico (Dpp) ha conquistato per la terza volta consecutiva la presidenza di Taiwan. Non era mai successo nella storia dell’isola, dove il Dpp e i nazionalisti del Kuomintang (Kmt) l’avevano mantenuta al massimo per due mandati di fila. Lai l’ha spuntata grazie all’incapacità del Kmt e del Partito popolare (Tpp) di presentare un candidato unitario: è stato eletto con il 40,05% delle preferenze, Hou Yu-ih del Kmt ha ottenuto il 33,49% e Ko Wen-jie del Tpp il 26,45%.

Il Dpp ha subìto un’emorragia di voti, passando dagli 8.170.231 (il 57,13 per cento) delle presidenziali di quattro anni fa a 5.586.019. Complessivamente il Kmt e il Dpp ne hanno ottenuti 8.361.487 (il 59,95%). Le elezioni legislative, che si sono svolte assieme alle presidenziali, hanno dato vita a un parlamento (113 seggi) in cui il Dpp ne avrà 51 (-10), il Kmt 52 (+14) e il Tpp 8 (+3).

Questo significa che Lai (che si insedierà il prossimo 20 maggio) dovrà scegliere i ministri (che saranno nominati il 1° febbraio) tenendo conto dei nuovi rapporti di forza nell’unica camera (lo Yuan legislativo) e che dovrà scendere a patti con le opposizioni su tutto – dalla politica economica alle relazioni con la Repubblica popolare cinese – se vorrà far passare i provvedimenti del suo governo.

Le reazioni di Pechino e Washington alla vittoria di Lai – più “indipendentista” rispetto alla sua predecessora Tsai Ing-wen – sono state improntate alla prudenza, come suggerito dai guardrail piazzati il 15 novembre scorso nell’incontro tra Xi Jinping e Joe Biden a San Francisco. Il governo cinese ha riaffermato l’inviolabilità del principio “una sola Cina”, mentre Biden ha dichiarato: «Non sosteniamo l’indipendenza» di Taiwan. Con il presidente democratico in corsa per la riconferma (negli Usa si voterà il 5 novembre), è probabile che nei prossimi mesi la sua amministrazione frenerà le iniziative del Dpp che potrebbero apparire a Pechino più “provocatorie”.

Due giorni dopo la vittoria di Lai, Taiwan ha subìto lo schiaffo di Nauru: il micro-stato insulare della Micronesia ha riconosciuto la Rpc invece di Taiwan, lasciando quest’ultima riconosciuta ufficialmente come Repubblica di Cina solo da undici staterelli più il Vaticano.

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I risultati delle elezioni presidenziali e legislative di Taiwan del 13 gennaio

Le associazioni imprenditoriali taiwanesi hanno subito invitato il presidente eletto a promuovere una politica più pragmatica nei confronti della Rpc, a ripensare cioè il “de-risking”, la riduzione della dipendenza dalla Cina per quanto riguarda commercio e investimenti promossa negli ultimi anni.

Nei prossimi mesi Pechino insisterà – attraverso una costante opera di moral suasion, e con strumenti di pressione economica e commerciale – per il rispetto da parte di Taiwan del “Consenso del 1992” raggiunto tra rappresentanti del partito comunista e del Kmt, potendo contare dopo otto anni su una solida sponda parlamentare a Taipei, dove sia il Kmt che il Tpp sono favorevoli alla ripresa del dialogo interrotto nel 2016, con l’elezione di Tsai Ing-wen. Pagine Esteri

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VERSIONE ITALIANA NEW JERSEY, NUOVA LEGGE SULLA PRIVACY Il governatore DEL New Jersey Phil Murphy ha firmato recentemente una legge che si prefigge lo scopo di protegge la privacy dei consumatori. La legge richiede ai siti web e i fornitori online di notificare ai clienti la modalità di raccolta e la divulgazione dei dati personali …


I SETTE OBIETTIVI GLOBALI DI INTERPOL E LA LORO REVISIONE


Interpol, l’Organizzazione internazionale di cooperazione tra le Forze di Polizia di 196 Stati Membri (leggi qui => noblogo.org/cooperazione-inter…) , ha rilasciato i suoi Global Policing Goals (GPG).
Le sfide odierne alla sicurezza sono interconnesse e globali e minacciano lo sviluppo sostenibile della società. La collaborazione multilaterale tra le forze dell’ordine è quindi vitale per affrontare questi rischi per la sicurezza complessi e in evoluzione.
Essendo l’unica organizzazione di polizia che opera a livello globale, l’INTERPOL svolge un ruolo unico nel sostenere gli sforzi internazionali per salvaguardare le comunità e rendere il mondo un luogo più sicuro.
Per fare ciò in modo coerente in tutto il mondo, è importante che tutti gli attori dell’architettura di sicurezza globale condividano una comprensione delle minacce e lavorino per raggiungere gli stessi risultati.

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Sono stati così sviluppati sette Global Policing Goals (GPG) per affrontare una serie di questioni legate alla criminalità e alla sicurezza. Approvati dai nostri paesi membri nel 2017, gli Obiettivi sono stati lanciati ufficialmente nel 2018.
Coerentemente con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e il principio di neutralità (sancito rispettivamente negli Articoli 2 e 3 della Costituzione dell'INTERPOL), gli Obiettivi di Polizia Globale sono universali, ambiziosi e sostenuti dall'azione collettiva.
Gli obiettivi di polizia globale si concentrano sugli sforzi collettivi della comunità internazionale delle forze dell’ordine per creare un mondo più sicuro e sostenibile per le generazioni future.
I sette obiettivi di polizia globale dell'INTERPOL:
Obiettivo 1 : consentire alla comunità globale delle forze dell’ordine di contrastare e prevenire in modo più efficace il terrorismo attraverso la cooperazione internazionale,
Obiettivo 2: promuovere la sicurezza delle frontiere in tutto il mondo,
Obiettivo 3: migliorare la risposta delle forze dell’ordine alla protezione delle comunità vulnerabili,
Obiettivo 4: ridurre il danno globale e l’impatto della criminalità informatica,
Obiettivo 5: Contrastare la corruzione e la criminalità finanziaria in tutte le sue forme,
Obiettivo 6: Contrastare le forme gravi di criminalità organizzata e il traffico di droga,
Obiettivo 7: Rafforzare la sicurezza ambientale e sostenere la promozione di mezzi di sussistenza sostenibili contrastando i crimini che colpiscono l’ambiente e il clima.
Impatto positivo sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite
Il Segretariato Generale dell'INTERPOL ha pubblicato un rapporto nel 2020 per mostrare le relazioni – sia dirette che indirette – tra ciascuno dei sette GPG dell'INTERPOL e i singoli SDG delle Nazioni Unite e i loro obiettivi.

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In alcuni casi, tutti e sette i GPG INTERPOL sostengono lo stesso SDG delle Nazioni Unite, a causa della natura trasversale dell’SDG in questione. Ciò è particolarmente vero per l’Obiettivo 5 (Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione di tutte le donne e le ragazze) e per l’Obiettivo 17 (Rivitalizzare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile). In altri casi, i collegamenti tra GPG e SDG sono più specifici.
Processo di revisione del 2023
L’evoluzione del panorama della sicurezza è stata sempre più guidata dall’innovazione tecnologica. I GPG sono stati quindi rivisti nel 2023 come parte di un processo di collaborazione guidato dall’INTERPOL in collaborazione con le forze dell’ordine regionali di tutto il mondo. Il risultato di questa revisione è stato adottato durante la conferenza centenaria della polizia a Vienna, in Austria (leggi qui => noblogo.org/cooperazione-inter…) .
Il processo di revisione dei GPG per il 2023 è stato condotto parallelamente alla revisione intermedia dell’attuazione degli SDG. Questa revisione ha individuato cinque aree principali che avranno un impatto futuro sulla polizia:
• Condivisione di dati e informazioni
• Collaborazione e partenariati
• Buon governo, Stato di diritto e rispetto dei diritti umani
• Sviluppo di capacità e formazione, innovazione e digitalizzazione
• Facilitatori della criminalità informatica e della criminalità finanziaria

#INTERPOL #SDG #ONU #GPG




21 gennaio 2024: 103 anni dalla fondazione del Partito Comunista d'Italia, 100 anni dalla morte di Lenin 


Pubblichiamo la traduzione di un articolo del marxista ungherese Tamas Krausz, autore di una monumentale biografia di Lenin Reconstructing Lenin: An Intellectu


    Cari amici, mentre è in corso un genocidio a Gaza non dimentichiamo l’Ucraina e il futuro stesso del mondo. Le notiz


di Paolo Benvegnù* In queste settimane, a Vicenza e nel Veneto c'è stata una forte e costante mobilitazione contro la presenza di Israele alla fiera del


C'è del ghiaccio sepolto all'equatore di Marte? I MEDIA INAF

"Si tratta del più grande deposito di acqua mai rilevato in questa porzione del pianeta: se si sciogliesse, potrebbe coprire la superficie di Marte con uno strato d’acqua profondo da 1,5 a 2,7 metri. Sulla Terra, una simile massa di acqua sarebbe sufficiente a riempire il Mar Rosso."

media.inaf.it/2024/01/18/ce-de…



I provvedimenti cautelari assunti oggi a Napoli dall'autorità giudiziaria di quattro fascisti di CasaPound che avevano aggredito un antifascista dimostrano anc


Threads, il nuovo social network text-based rivale di Twitter si dovrebbe distinguere per la federazione e la privacy

Oltre alle caratteristiche innovative, come la "federazione" e l'utilizzo del protocollo #ActivityPub, #Threads solleva importanti questioni riguardo alla privacy e ai rischi associati all'iscrizione. Esaminiamo a fondo gli aspetti che definiscono Threads e il suo impatto sulle esperienze digitali degli utenti.

@Che succede nel Fediverso?

altalex.com/documents/news/202…

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in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

Privacy... Ma non sanno manco cos'è! Infatti, la loro app ha bisogno di prelevare diversi dati per "funzionare".
in reply to Ryoma123

@Ryoma123 Come vedi ho inserito il condizionale in luogo dell'indicativo dell'articolo originale...😁


Sfrontati


Il tema non è bello, ma fuggirne lo peggiora. Pone inaggirabili problemi politici, che una parte dovrebbe far valere sull’altra, mentre si ha l’impressione che se li risparmino a vicenda. Vivere in pace non è una condizione naturale ma una conquista, un d

Il tema non è bello, ma fuggirne lo peggiora. Pone inaggirabili problemi politici, che una parte dovrebbe far valere sull’altra, mentre si ha l’impressione che se li risparmino a vicenda. Vivere in pace non è una condizione naturale ma una conquista, un delicato prevalere della ragione sulla forza, degli interessi commerciali sulle allucinazioni nazionalistiche, ideologiche o mistiche. La pace si conserva mettendo la deterrenza al posto della guerra, predisponendo la forza militare, regolandone l’uso e contando in questo modo di farla valere senza doverla dispiegare. Ed è su quel che serve a conservare la pace che c’è pericolosa confusione.

Le guerre sono tutte brutte, ma non tutte uguali. Si dice che dopo la Seconda guerra mondiale abbiamo avuto la più lunga stagione di pace, ma vale solo per noi: in realtà non c’è stato un solo giorno senza guerre. Ma anche dove riguardavano nostri interessi, non attentavano alla nostra sicurezza. Lo scenario è cambiato, purtroppo.

La criminale offensiva scatenata da Putin in Ucraina non è una qualsiasi guerra, ma una scelta che ha nel mirino l’ordine seguito all’ultimo conflitto mondiale. Lì si è aperto un inferno le cui disastrose conseguenze si liberano anche a fronte del fallimento dell’attacco russo e della trasformazione dell’invasore in difensore delle poche terre che è riuscito a invadere. È l’inferno ucraino ad avere portato l’Iran nella posizione di fornitore essenziale di armi ai russi (assieme alla Corea del Nord) e, quindi, ad avere suggerito l’opportunità di usare Hamas per il colpo di maglio a Israele, giustamente considerato un bastione occidentale in Medio Oriente. Lo stesso Iran che ha finanziato e armato gli Houthi yemeniti, capaci di mettere a repentaglio la sicurezza dei trasporti nel Mar Rosso, quindi arrecando un danno immediato alla prosperità e produttività delle nostre libere economie. Non si tratta di focolai separati, ma di fronti collegati. E destinati ad allargarsi, come dimostra l’attacco iraniano in Pakistan.

Tutto questo porta a un aumento delle spese militari. Sia per alimentare la resistenza del fronte ucraino – la cui caduta non riguarderebbe solo gli ucraini, ma noi direttamente, con una drammatica perdita di sovranità e sicurezza in casa nostra – sia per evitare quel che il nostro ministro della Difesa va ripetendo, ovvero che appaia vuoto l’arsenale. L’aumento della spesa militare non è soltanto una questione economica – tanto più che siamo anche produttori di sistemi difensivi – ma eminentemente politica. E qui si viene all’incredibile vuoto nella nostra discussione pubblica.

Ci sta eccome che la maggioranza di destra non conceda tregua alla sinistra, sulla spesa militare e sulla fornitura di aiuti all’Ucraina. Ci sta perché la sinistra ha avuto il Ministero della Difesa fino a ieri mattina, perché ha condiviso la scelta di stare al fianco degli ucraini e perché sono stati molti i suoi governi che hanno sottoscritto l’assicurazione – data in sede Nato – di portare al 2% la spesa militare. Chiedere conto dei cambiamenti è mettere in evidenza l’incoerenza e, quindi, l’inaffidabilità.

Ci sta che la sinistra ponga alla destra il tema dell’integrazione europea, perché quello è il solo razionale livello di difesa della sovranità (monetaria e difensiva), quello il solo ambito in cui la spesa può contare su economie di scala (e su un più vasto mercato), quella la sola alternativa a tornare alla divisione dell’Europa in aree di influenza, con minore sovranità. Chiedere conto delle castronerie dette in passato (e di talune ripetute) è mettere in evidenza l’incoerenza, quindi l’inaffidabilità.

È pur interessante discutere delle candidature alle europee, purché solo fino a un certo punto e sebbene riguardi solo ed esclusivamente i partitanti. Mentre fissare la propria posizione sul fronte della sicurezza, segnalando la sfrontatezza di certe giravolte, sarebbe essenziale. Ma, all’evidenza, meno attraente, dovendosi riconoscere che serve più spesa e maggiore integrazione Ue.

La Ragione

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Etica bancaria, il carteggio Malagodi-Mattioli


Concluso il cinquantenario della scomparsa di Raffaele Mattioli, non vengono meno gli interessi per ulteriori approfondimenti su uno dei principali banchieri italiani del Novecento. Nell’archivio dellaFondazione Luigi Einaudi di Roma emerge il carteggio f

Concluso il cinquantenario della scomparsa di Raffaele Mattioli, non vengono meno gli interessi per ulteriori approfondimenti su uno dei principali banchieri italiani del Novecento. Nell’archivio dellaFondazione Luigi Einaudi di Roma emerge il carteggio fra Mattioli e Giovanni Malagodi che fu il suo principale collaboratore alla Banca Commerciale Italiana, soprattutto nei difficili anni 30. Molto importante, in particolare per l’etica e il risparmio, è una lettera di Mattioli a Malagodi sullo scandalo Giuffrè, l’ex bancario autore delle truffe che, negli anni 50, colpirono soprattutto sacerdoti e suore. Il 12 gennaio 1959 Mattioli scrisse a Malagodi: «Caro Giovanni, ho letto attentamente la relazione Giuffrè e non posso che confermarti il parere negativo che già ti diedi circa l’opportunità di modificare la legge bancaria (…) La Commissione accerta che il Giuffrè non ha esercitato il credito, non è quindi incappato nelle sanzioni previste dall’art. 96 della legge bancaria», ma, continua (pag. 22), «poiché il caso Giuffrè è «un fenomeno abnorme» che può recar nocumento, «direttamente o di riflesso», alle normali attività delle aziende di credito, ci vorrebbe un’“integrazione” della legge bancaria per tutelare il risparmio «contro forme organizzate di rastrellamento di capitali», ecc. Ora, la legge bancaria regola l’attività delle banche e se anche le banche avessero avuto un nocumento qualsiasi dall’attività del Giuffrè, riconosciuto non-banchiere, ne sarebbero state le vittime, ma in nessun modo le complici, nemmeno involontarie.

Aggravare e complicare le norme che regolano l’attività delle banche, vorrebbe dire prendersela con le vittime (putative), non con il colpevole. E già recherebbe gravissimo, sicuro nocumento al buon nome delle banche qualunque provvedimento ad esse relativo che volesse giustificarsi con il caso Giuffrè. «Ma –si dice – è a protezione
delle banche che s’invocano nuove regolamentazioni (…) Se per “rastrellare” capitali a detrimento del sistema bancario occorre offrire interessi come quelli pagati (o promessi)dal Giuffrè, il pericolo è immaginario. (…) La misura degli interessi offerti dal Giuffrè è la prova incontestabile che egli non faceva il banchiere: non avrebbe mai potuto impiegare i fondi“rastrellati” allo stesso saggio. Che cosa pensavano dunque quelli che gli portavano quattrini? Che avesse il segreto per vincere alla roulette? Che avesse scoperto la pietra filosofale? Certamente no».«Che cosa c’entra con tutto questo la legge bancaria?» – scriveva ancora Mattioli – «(…) Alle banche lo scandalo Giuffrè – nonostante le insistenze quotidiane sulla “anonima banchieri” – non ha fatto male alcuno, anzi è stato un giovamento. Non è serio chiedere che la vigilanza sulle attività bancarie venga estesa e rafforzata per colpire anche chi non svolge attività bancaria. Si arriverebbe così a un intervenzionismo aprioristico ed esasperato, che deformerebbe e smusserebbe proprio quegli organi di vigilanza e controllo che già esistono e funzionano ai fini di ciò che li fa esistere.

Si intralcerebbe un’attività sana, lecita, di sua natura espansiva, per la fisima di prevenire, meglio, per darsi l’aria di voler prevenire imprevedibili, truffaldine irregolarità (“fenomeni abnormi”). Per i delinquenti ci sono le leggi penali (anche i
ladri rastrellano fondi!), le leggi di polizia, le leggi fiscali». «È tutelato dalla legge» – aggiungeva Mattioli – «chi i propri soldi li porta alle banche. Ma ognuno è libero di fare con i propri soldi quel che vuole; e se li dà a un imbroglione, si accomodi pure. Equando scoppierà l’imbroglio, le leggi esistenti – civili e penali – sono quelle che debbono“rendergli giustizia”. Ma non la legge bancaria, quella non regola l’attività degli imbroglioni – e non può aspirare a regolarla. La legge bancaria non è per usurai, strozzini, giocolieri, benefattori – ma è legge intesa a regolare l’attività delle banche, cioè di chi fa credito e per far credito raccoglie quattrini. La legge stabilisce che chi fa credito raccogliendo quattrini deve essere iscritto nell’apposito albo – e se chi fa credito raccogliendo quattrini non è iscritto all’albo incappa appunto negli artt. 87 e 96 della legge bancaria. Ed è una legge molto restrittiva che ha funzionato e funziona egregiamente. Si vuole renderla inefficiente?» rilevava Mattioli. Nel carteggio fra Mattioli e Malagodi, negli anni in cui Giovanni non era più in Comit, ma nelleIstituzioni della Repubblica, molta parte riguarda, oltre all’economia e alla finanza, la storia e la cultura che accomunavano i loro
interessi e passioni ideali. Di particolare significato è una lettera del 5 febbraio 1968 di Malagodi a Mattioli, allora Presidente della Banca Commerciale, in cui gli segnala che il nipote di Giovanni Giolitti, Architetto Chiaraviglio, stava mettendo in ordine il carteggio fra Giovanni Giolitti e Alfredo Frassati che era stato Direttore de «La Stampa» di Torino nei primi decenni del Novecento e molto vicino a Giolitti.

Mattioli, anche a fine anni 60, continuava ad avvalersi della competenza bancaria di Malagodi chiedendogli anche pareri preventivi sulle attività e sulle innovazioni da inserire nella BancaCommerciale Italiana, in particolare sull’importanza «del capitale di una banca come presidio e garanzia dei depositi».La questione era particolarmente importante e complessa, poiché allora la Banca Commerciale apparteneva al mondo
delle Partecipazioni Statali e, quindi, le decisioni relative al capitale della banca implicavano procedure complesse. Il 24 aprile 1972, proprio nei giorni dell’uscita di Mattioli dal vertice della Banca Commerciale, Malagodi scrisse una lettera molto riservata all’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone in cui proponeva «di nominare alla prima occasione possibile Senatore a vita il nostro comune amico Raffaele Mattioli. Tu ne conosci i grandissimi meriti verso l’Italia, sia sul piano culturale, sia sul piano della politica economica e di conseguenza sociale. Lo conosci e lo apprezzi anche personalmente, per le sue doti veramente insigni di animo e di mente. Sai anche quanto sia valido e vigoroso. Quanto a me sono 46 anni che lo conosco, che lo apprezzo e gli voglio bene, che lavoro con lui da vicino e da lontano, nella professione bancaria o nella concordia discorde delle opinioni – entrambi però sempre sul piano di una intransigente intuizione di libertà. So che è una decisione che rileva nella tua competenza esclusiva.Perciò ti faccio questa proposta in via confidenziale…» Purtroppo, Mattioli scomparve un anno dopo, il 27 luglio 1973, e non ebbe tempo di poter ricevere l’importante riconoscimento.

Il Sole 24 Ore

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Il rapporto del centro studi NIST sulla privacy dei dati genetici

I dati genetici sono fra i più delicati e più pericolosi quindi bisogna proteggerli in maniera adeguata

Il National Cybersecurity Center of Excellence del NIST ha pubblicato un interessante documento su sicurezza informatica e protezione dei dati personali connessi all’utilizzo di dati genetici o genomici. Ecco un’analisi dettagliata per sottolinearne alcuni aspetti rilevanti e proporre utili riflessioni

@Privacy Pride

cybersecurity360.it/legal/priv…

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Resistere all'inevitabile. Iniziano oggi le pubblicazioni della nuova newsletter di Diletta Huyskes

Gli argomenti trattati? Etica, filosofia e sociologia, intelligenze artificiali, femminismo e discriminazioni, costruzione sociale, decisioni automatizzato, impatti sociali (con casi studio) delle tecnologie, politiche digitali

«Da tempo penso se e come fare una cosa del genere, e alla fine a inizio ottobre 2023, durante un volo Fiumicino-L’Havana, ho sentito definitivamente il bisogno di condividere con altre persone alcuni pensieri. Ho iniziato a scrivere. Perché non voglio più che tutte le mie domande rimangano solo sulle note del mio telefono: penso sia più bello se vengono accolte anche da altre persone. E quindi, anche se non ho ancora capito bene come si usa e nonostante l’assenza di un piano chiaro, ho deciso di partire.»

dilettahuyskes.substack.com/

@Etica Digitale (Feddit)

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FPF Files Comments with the Consumer Financial Protection Bureau Regarding Personal Financial Data Rights


On December 21st, 2023, the Future of Privacy Forum filed comments with the Consumer Financial Protection Bureau (CFPB) in response to the notice of proposed rulemaking (NPRM) regarding personal financial data rights. FPF’s comments focus on promoting pri

On December 21st, 2023, the Future of Privacy Forum filed comments with the Consumer Financial Protection Bureau (CFPB) in response to the notice of proposed rulemaking (NPRM) regarding personal financial data rights. FPF’s comments focus on promoting privacy as a core tenet in the U.S. open banking ecosystem in order to protect individuals’ personal information while enhancing user trust.

Read our comments here.

This NPRM is the latest milestone in the Bureau’s multi-year effort to create a regulatory framework for open banking in the U.S. using its Section 1033 authority. Section 1033 was passed as part of the Consumer Financial Protection Act (CFPA) of 2010 and it governs access to a person’s data held by a consumer financial services provider. The CFPB’s proposed rule requires data providers, such as banks, card issuers, and digital wallets, to share certain kinds of consumer financial data (e.g., transactions information and account balance) with authorized third parties at the consumer’s request. As the CFPB sets out, “[t]his proposed rule aims to . . . push for greater efficiency and reliability of data access across the industry to reduce industry costs, facilitate greater competition, and support the development of beneficial products and services.”1

In our submission, FPF provides several recommendations to the CFPB, including:

  1. Encouraging the development of industry standards for third party privacy rules and data provider denials of access requests;
  2. Supporting an opt-in standard and use of de-identified data, while providing an approach for high-risk uses;
  3. Clarifying an approach to address ‘dark patterns’ to discourage consumer manipulation;
  4. Strengthening the phase-out of and directly prohibiting third parties from engaging in screen scraping of data from online consumer accounts; and
  5. Harmonizing various privacy rules that result in numerous and different notices and choices.


FPF’s comments are the culmination of over a year of meetings with key stakeholders in the open banking ecosystem. Both build upon earlier recommendations that FPF made in response to the Bureau’s “Outline of Proposal and Alternatives Under Considerations for the Personal Financial Data Rights Rulemaking,” which was a prerequisite to the NPRM. Last year, FPF also released an infographic, “Open Banking And The Customer Experience,” visualizing the U.S. open banking ecosystem and the challenges affecting it, which are also addressed in FPF’s latest comment.

1Required Rulemaking on Personal Financial Data Rights, 88 Fed. Reg. 74796, 74843 (Oct. 31, 2023).


fpf.org/blog/fpf-files-comment…



Attacco del Pakistan in Iran, 9 morti


di Redazione Pagine Esteri, 18 gennaio 2024 – L’Iran ha convocato l’incaricato d’affari dell’ambasciata di Pakistan a Teheran per chiedere spiegazioni sugli attacchi sferrati questa notte dalle forze armate pakistane contro presunti obiettivi terroristici

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di Redazione

Pagine Esteri, 18 gennaio 2024 – L’Iran ha convocato l’incaricato d’affari dell’ambasciata di Pakistan a Teheran per chiedere spiegazioni sugli attacchi sferrati questa notte dalle forze armate pakistane contro presunti obiettivi terroristici nella provincia di Sistan e Balochistan, nel sud dell’Iran.

Gli attacchi, una evidente risposta a quelli sferrati il 16 gennaio dall’Iran contro alcuni obiettivi nel Belucistan, sono stati confermati dal ministero degli Esteri pakistano, secondo cui gli attacchi sferrati in territorio iraniano hanno portato all’uccisione di alcuni terroristi «nell’ambito di un’operazione di intelligence dal nome in codice Marg Bar Sarmachar (“Morte ai ribelli”)». «Negli ultimi anni il Pakistan ha costantemente espresso grave preoccupazione per i rifugi sicuri utilizzati dai terroristi di origine pakistana che si autodefiniscono ‘Sarmachar’ nei territori non governati all’interno dell’Iran» afferma una nota del governo pakistano.

Secondo le autorità iraniane, però, i missili pakistani contro l’area di Saravan hanno ucciso nove persone, tra cui quattro bambini e tre donne. Testimoni hanno affermato sui social media che almeno sette località vicino a Saravan – compresi i villaggi di Shamsar e Haghabad, e un’area vicino alla base di Saravan delle guardie rivoluzionarie – sono state presi di mira dalle forze di Islamabad.

Ieri il governo del Pakistan aveva annunciato la decisione di richiamare il suo ambasciatore in Iran. La portavoce del ministero degli Esteri pachistano, Mumtaz Zahra Baloch, ha riferito anche che l’ambasciatore iraniano a Islamabad, attualmente in Iran, per il momento potrebbe non tornare. Inoltre, sono state sospese tutte le visite ad alto livello in corso o previste per i prossimi giorni tra i due Paesi. – Pagine Esteri

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Per mantenere l’integrità online in un anno in cui metà della popolazione mondiale sarà chiamata alle urne, i leader del settore tecnologico riuniti a Davos hanno discusso martedì sera (16 gennaio) l’impatto che l’intelligenza artificiale può avere nel diffondere campagne...


European Parliament o extend voluntary chat control with some modifications


Now that the EU plans for mandatory screening of private communications and the removal of secure encryption (chat control 2.0) have been put on ice for the time being due to …

Now that the EU plans for mandatory screening of private communications and the removal of secure encryption (chat control 2.0) have been put on ice for the time being due to a lack of majority in the EU Council, the European Parliament‘s rapporteur Birgit Sippel (S&D) in today‘s draft report proposes to approve the Commission’s proposal to extend the existing voluntary chat control regime with some changes. So far, the EU‘s regulation greenlighting the indiscriminate scanning of direct messages for suspected content on Instagram Messenger, Facebook Messenger, GMail and XBox is set to expire on 3 August 2024. Pirate Party Member of the European Parliament and most prominent opponent of chat control Patrick Breyer, who is also his group’s lead negotiator, comments:


“Instead of taking up the EU Parliament’s new approach for more effective and court-proof child protection without chat control mass surveillance, EU Commissioner ‘Big Sister’ Johansson is incorrigibly insisting in the destruction of digital privacy of correspondence, playing for time and hoping to manipulate critical EU states into agreeing by running infamous campaigns and spreading misinformation. This approach has gotten us into deadlock politically, failing children and abuse victims alike. We should clearly reject this strategy and insist on finding better solutions than mass surveillance, as proposed by the European Parliament last year.”

According to her draft report, Sippel wants to extend voluntary chat monitoring by one instead of two years as proposed by the Commission or three years as requested by the Council. She wants to phase out the automated searching of chat texts for grooming-related keywords – although this is hardly used anyway and accounts for 0.2% of reports only.

Breyer sharply criticises the instrument of voluntary chat control: “The voluntary mass surveillance of our private communication by US services such as Meta, Google or Microsoft does not make any significant contribution to saving abused children or convicting abusers, but conversely criminalises thousands of minors, overburdens law enforcement officers and opens the door to arbitrary private justice by internet companies. If, according to Johansson’s own statements, only one in four flagged converations are relevant to the police at all, this means 75,000 leaked intimate beach photos and nude pictures for Germany every year, which are not safe with unknown moderators abroad and do not belong in their hands.” 



“The regulation on voluntary chat control is both unnecessary and contrary to fundamental rights: social networks as hosting services do not need a regulation to check public posts. The same applies to suspicious activity reports by users. And the error-prone automated reports from the screening of private communications by Zuckerberg’s Meta Group, which account for 80% of chat messages, will be eliminated anyway by the announced introduction of end-to-end encryption. The legal opinion of a former ECJ judge proves that voluntary chat monitoring as a suspicionless and comprehensive surveillance measure is contrary to fundamental rights. A victim of abuse and I are taking legal action against this and the Ministry of Digital Affairs has confirmed that the exemption regulation does not allow for voluntary chat monitoring in Germany at all.” 



The Committee on Home Affairs (LIBE) is expected to approve the extension of voluntary chat controls on 29 January. The Parliament wants to reach an agreement with the Council in the second week of February, and the extension should be approved shortly afterwards.

Meanwhile, the EU interior ministers are to vote again in March on the introduction of mandatory chat control 2.0 for all providers, according to the Belgian Presidency‘s planning.


patrick-breyer.de/en/european-…

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In Cina e in Asia – Blinken: "Maggiore collaborazione tra Cina e Usa nel prossimo anno”  


In Cina e in Asia – Blinken: 11815657
I titoli di oggi: Blinken: “Maggiore collaborazione tra Cina e Stati Uniti nel prossimo anno” Cina, Shein sotto indagine per trattamento dei dati Cina, la produzione hi-tech segna la crescita più bassa mai registrata Iran e Cina hanno firmato un protocollo di intesa sulle forze di polizia Un laboratorio cinese ha mappato il Covid-19 due settimane prima delle comunicazioni ufficiali ...

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Corno d’Africa: l’Etiopia accende una nuova miccia nella polveriera


L'accordo tra Etiopia e Somaliland per la concessione ad Addis Abeba di uno sbocco sul mare suscita la reazione di Somalia, Egitto ed Eritrea. La mossa di Ahmed potrebbe scatenare un nuovo conflitto armato L'articolo Corno d’Africa: l’Etiopia accende una

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 18 gennaio 2024 – L’accordo firmato il primo gennaio tra Etiopia e Somaliland – uno stato della Somalia che rivendica la propria indipendenza da Mogadiscio – per dotare Addis Abeba di uno sbocco al mare ha già provocato una seria crisi regionale che rischia di degenerare nell’ennesimo conflitto armato.

Uno sbocco al mare per fare grande l’Etiopia
L’utilizzo del grande porto di Berbera, la città costiera del Somaliland oggetto delle mire di Addis Abeba, concederebbe all’Etiopia un accesso diretto al Golfo di Aden e quindi al Mar Rosso, una delle rotte economicamente più redditizie e importanti anche dal punto di vista strategico. L’intesa potrebbe avere infatti anche un risvolto militare, come testimonia un recente incontro tra i capi di stato maggiore degli eserciti dei paesi contraenti. Nell’area di 20 chilometri di coste che il Somaliland assegnerebbe all’Etiopia per 50 anni, o secondo alcune fonti a Lughaya, nella regione di Adal, Addis Abeba ha intenzione di costruire una base navale.

L’intesa preoccupa molti paesi
Non stupisce che il progetto abbia suscitato, oltre a quella somala, la contrarietà di diversi paesi – dagli Stati Uniti al Regno Unito, dall’Egitto alla Turchia all’Arabia Saudita – che considerano contraria ai propri interessi una crescita del ruolo geopolitico dell’Etiopia e la destabilizzazione della regione.
Il memorandum rischia inoltre di far entrare Addis Abeba in contraddizione con la Cina, con cui negli ultimi anni l’Etiopia ha sviluppato relazioni preferenziali. Non solo il Somaliland è riconosciuto solo da Taiwan, territorio a sua volta rivendicato da Pechino, ma l’accordo consente ad Addis Abeba di bypassare del tutto Gibuti, paese che finora ha assicurato l’85% delle importazioni e delle esportazioni etiopi e nel quale è presente la più grande base militare cinese all’estero, inaugurata nel 2017. É anche vero che senza uno sbocco al mare l’Etiopia rischia di rimanere in gran parte tagliata fuori dalle potenzialità offerte dalla “Belt and Road Initiative”, l’enorme progetto infrastrutturale guidato proprio dalla Cina.

Il Somaliland spera nell’effetto domino
Secondo vari media regionali, tra cui il sito “Garowe Online”, nei prossimi giorni il primo ministro etiope Abiy Ahmed intende visitare Berbera. La stessa visita di Ahmed costituirebbe una forma di legittimazione per la regione de facto indipendente, rappresentando quindi un’inaccettabile provocazione per la Somalia. Il Somaliland sorge sui territori occupati e amministrati dall’Impero Britannico dal 1884 al 1960, quando la regione ottenne l’indipendenza ma decise di unirsi a quelle liberatesi dal dominio italiano per formare la Repubblica di Somalia. Presto però le tensioni sfociarono in una sanguinosa guerra civile finché nel 1991 l’ex Somalia Britannica ha tagliato completamente fuori Mogadiscio dalla gestione della regione. Da molti anni, poi, il Somaliland è impegnato anche in un conflitto a bassa intensità, causato da contrapposte rivendicazioni territoriali, con il confinante Puntland, stato somalo che pure accampa pretese indipendentiste da Mogadiscio.

Il governo del Somaliland punta molto sull’intesa con Addis Abeba. Nei giorni scorsi, in un’intervista concessa al quotidiano “Observer”, il ministro degli Esteri di Hargheisa (la capitale dell’entità indipendentista) Essa Kayd ha sottolineato che in cambio della concessione all’Etiopia dell’utilizzo di Berbera, il governo etiope dovrà riconoscere formalmente la sovranità del Somaliland. Hargheisa spera che il passo possa generare un effetto domino in Africa e nel resto del mondo spianando la strada ad un ampio riconoscimento internazionale.

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Manifestazione in Somalia contro l’intesa tra Etiopia e Somaliland

La “prigione geografica” è una “ingiustizia storica”
Per ora il premier etiope sembra cauto sul riconoscimento formale del Somaliland, ma Ahmed insiste sull’urgenza di risolvere quella definisce «un’ingiustizia storica», ricordando che a partire dal 1993 – quando l’indipendenza dell’Eritrea sottrasse all’Etiopia centinaia di km di coste – il suo paese è diventato il più grande al mondo senza accesso al mare e che «quest’errore minaccia l’esistenza stessa del popolo etiope». «Nel 2030 avremo 150 milioni di abitanti, che non possono vivere in una prigione geografica» ha affermato il leader etiope.

Ad ottobre il governo etiope ha presentato in parlamento un documento intitolato “Interesse nazionale dell’Etiopia: principi e contenuti” nel quale per la prima volta la rivendicazione di un accesso al mare veniva tramutata in azione concreta.

Tra la fine di ottobre e i primi di novembre, il governo etiope ha poi avanzato alla Somalia, all’Eritrea, al Sudan, al Kenya e a Gibuti la richiesta di concedergli l’uso di alcune porzioni delle loro coste, ricevendo però in cambio dei secchi dinieghi. A quel punto le attenzioni di Addis Abeba si sono concentrate sul Somaliland che, pur essendo uno stato indipendente solo de facto, si è dimostrato interessato alla proposta.

La miccia accesa da Ahmed rischia di accendere il Corno d’Africa
La strategia di Ahmed però rischia ora di accendere una nuova miccia in una regione dove sono già attivi numerosi conflitti e dove altri potrebbero esplodere. La stabilità stessa dell’Etiopia è minata dagli scontri etnici e tribali in numerose regioni, a partire dal Tigray e dall’Oromia, e le condizioni economiche del paese sono peggiorate a tal punto che per pagare l’affitto del territorio concesso dal Somaliland Addis Abeba ha offerto una parte delle azioni della propria compagnia aerea e della Ethio-Telecom.

Nei giorni scorsi il governo somalo ha ottenuto dal proprio parlamento un documento che dichiara “nullo” l’accordo siglato da Etiopia e Somaliland. In un intervento televisivo, poi, il premier Hamza Abdi Barre ha dichiarato che in caso di «intervento etiope in territorio somalo» Mogadiscio sarà costretta ad una risposta militare. Nei giorni scorsi il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud aveva già affermato che Mogadiscio «è in grado di combattere contemporaneamente i terroristi di al Shabaab e gli invasori etiopi».

In realtà da alcuni anni un numeroso contingente di truppe etiopi è presente nelle regioni meridionali somale per affiancare, insieme agli eserciti di altri paesi africani, il debole governo di Mogadiscio nel contrasto alle bande di fondamentalisti islamici. Secondo varie segnalazioni le truppe etiopi schierate nel sud della Somalia starebbero già rafforzando la propria presenza e scavando trincee.

La sortita etiope e la dura reazione somala hanno spinto gli organismi regionali a convocare riunioni urgenti dirette a impedire l’allargamento della crisi. Ieri è stata la Lega Araba a riunire la propria direzione, precedendo di un giorno il vertice dell’Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo (Igad, che riunisce i paesi del Corno d’Africa), convocato in Uganda dal governo di Gibuti che esprime attualmente la presidenza di turno dell’organismo. Sia l’Igad sia l’Unione Africana hanno esortato i due paesi a non esasperare la crisi dopo il richiamo da parte somala dell’ambasciatore ad Addis Abeba. Ma il ministero degli Esteri etiope ha fatto sapere che non parteciperà al meeting ad Entebbe, adducendo difficoltà logistiche.

Inoltre ieri le autorità somale preposte al controllo del traffico aereo hanno bloccato un volo dell’Ethiopian Airlines diretto ad Hargeisa, che secondo alcune indiscrezioni ospitava a bordo dei rappresentanti diplomatici etiopi.

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Repressione in Somaliland contro i contrari all’intesa
Invece le autorità del Somaliland hanno arrestato l’ex ministro dell’Agricoltura, Ahmed Mumin, a causa delle sue dichiarazioni negative a proposito dell’accordo firmato da Ahmed e dal leader locale Muse Bihi Abdi. L’arresto dell’esponente politico segue quello di diverse persone, tra cui alcuni giornalisti, che hanno espresso la propria contrarietà all’accordo con Addis Abeba. Il ministro della Difesa, Abdiqani Mohamud Aateeye, si è invece dimesso contro quella che definisce una minaccia alla sovranità del Somaliland.

La contesa sulla Gerd
Per tentare di convincere i paesi vicini a concedere all’Etiopia l’agognato sbocco al mare, Ahmed ha proposto di barattare alcune delle quote della Grande Diga della Rinascita Etiope(Gerd) che Addis Abeba ha realizzato sul Nilo Azzurro, fortemente contestata però da Egitto e Sudan che accusano il vicino di ridurre la portata del fiume e di mettere a rischio il proprio approvvigionamento idrico e la propria agricoltura. Ma poi, approfittando del relativo coinvolgimento dell’Egitto nella gravissima crisi di Gaza e della guerra civile in corso in Sudan, Addis Abeba ha avviato nei giorni scorsi il processo di completamento dei lavori che apre la strada al quinto e definitivo riempimento del bacino della grande infrastruttura. Il ministro degli Esteri etiope Demeke Mekonnen ha accusato l’Egitto per il fallimento dei negoziati intavolati negli ultimi mesi.
All’opposto, il governo egiziano ha denunciato che le azioni “unilaterali” di Addis Abeba riguardo al riempimento e alla gestione della diga costituiscono una “guerra esistenziale” per l’Egitto e minacciano la sua stabilità.

La controffensiva somala
Dopo l’annuncio dell’intesa tra Etiopia e Somaliland, il presidente somalo Mohamud ha lanciato una controffensiva diplomatica diretta ad assicurarsi il sostegno dei paesi dell’area che hanno dei contenziosi con Addis Abeba, in particolare l’Eritrea – che pure ha partecipato con le sue truppe alla guerra lanciata da Ahmed contro il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray – e l’Egitto.
Mohamud ha ricevuto a Mogadiscio una delegazione egiziana e poi è volato ad Asmara per consolidare le relazioni con il dittatore Isaias Afewerki, che in Eritrea garantisce da tempo ai soldati somali l’addestramento necessario al contrasto militare dei miliziani integralisti di al Shabaab affiliati ad al Qaeda. In un comunicato, i delegati del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi hanno ribadito un «incrollabile sostegno alla sovranità, all’unità e all’integrità territoriale della Somalia».
Anche il governo di Gibuti ha ovviamente espresso «preoccupazione» per la mossa etiope.

L’Etiopia, invece, dovrebbe poter contare sul sostegno degli Emirati Arabi Uniti, che hanno ceduto ad Addis Abeba armi e droni durante l’offensiva in Tigray e che vantano già una presenza militare e commerciale a Berbera, grazie ad un patto del 2019 che affidava il 51% della gestione del porto al gigante emiratino della logistica DP World, il 19% all’Etiopia e il 30% al Somaliland. – Pagine Esteri

11814824* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria

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