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Scrivere a mano fa bene


L a calligrafia non viene più insegnata nelle scuole elementari italiane dal 1985. Da obbligatoria è diventata opzionale, così molti docenti non vi si dedicano più. Del resto, tanti bambini entrano in prima sapendo già scrivere o così credono: lo fa

L a calligrafia non viene più insegnata nelle scuole elementari italiane dal 1985. Da obbligatoria è diventata opzionale, così molti docenti non vi si dedicano più. Del resto, tanti bambini entrano in prima sapendo già scrivere o così credono: lo fanno ricorrendo alle maiuscole.Imparare a scrivere non è facile. Prima dei 5 o 6 anni è raro che un bambino riesca a farlo in modo adeguato, poiché tra l’omero e il pollice ci sono 29 ossa il cui coordinamento è un effetto progressivo dello sviluppo delle attività psico-motorie. Per questo ai piccoli, che in età prescolare impugnano una matita o una penna a sfera per imitare gli adulti, viene più facile la scrittura maiuscola. Così avviene, come ha riscontrato Bianca de Fazio scrivendo delle scuole italiane, che l’assenza dell’apprendimento del corsivo riduca le capacità cognitive dei ragazzi. Come sanno gli allievi delle scuole steineriane, Waldorf, frequentate nella Silicon Valley dai figlidei dipendenti delle industrie tecnologiche, scuole in cui ogni strumento di scrittura e lettura elettronica è bandito, le attività manuali come la scrittura corsiva, il lavoro a maglia o l’intarsio del legno favoriscono le capacità cosiddette problem solving. Ci sono studi che dimostrano che imparare l’alfabeto a mano manifesta una maggior memoria rispetto all’orientamento delle lettere, e sia pprende a leggere con più rapidità riconoscendo le lettere in anticipo. Perché? Lo spiega Roland Barthes in Variazioni sulla scrittura (Einaudi): la scrittura impegna l’intero corpo ed è una esperienza singolare, unica. Ogni scrittura è diversa dall’altra, e scrivere non è solo una attività tecnica ma implica una pratica corporea di godimento. Maria Montessori suggeriva ai maestri d’iniziare sempre con le forme rotonde. Certo imparare a scrivere in corsivo — il corsivo in uso nelle scuole italiane è il “corsivo stile inglese” — non è agevole e implica fatica, tuttavia comporta effettip ositivi: si armonizzano meglio le attività manuali e intellettuali. L’abolizione della pratica calligrafica non è, come si crede, il necessario portato della modernità. In un suo libro la calligrafa Francesca Biasetton ( La bellezza del segno, Laterza) ha fatto notare che parliamo di calligrafia come se fosse una unica pratica, mentre si tratta di tre realtà diverse: la scrittura amano che s’apprende a scuola; la scrittura a mano educata, ora scomparsa nelle aule; la calligrafia che è arte conquistata per lo più da adulti con un addestramento specifico. La scrittura è la cosa più personale che abbiamo. Ciascuno di noi possiede un segno specifico che un archivista tedesco, Wilhelm Wattenbach, nel 1866 ha chiamato ductus, che consiste non in una forma quanto in un movimento e in un ordine: “è il gesto umano nella sua ampiezza antropologica”. Il gesto più breve che possiamo compiere mentre scriviamo non è mai inferiore a 8 centesimi di secondo, e ognuno di noi ha una diversa velocità di tracciamento che corrisponde a una forma, la quale si modifica nel corso della nostra vita così come si modifica il nostro corpo. La perdita della parte tattile delle nostre azioni quotidiane, a causa della pervasività delle tecnologie visive, ci rende meno recettivi, e meno abili, nelle interconnessioni neuronali. Barthes ha scritto che la scrittura è dalla parte del gesto e mai del volto. A fronte delle immense possibilità cognitive offerte dalle tecnologie, quello che stiamo perdendo è prima di tutto il senso dello spazio, quello di essere dei corpi che si muovono in una estensione che non è una stanza o un appartamento, ma la superficie del mondo aperto intorno a noi com’è stato per migliaia e migliaia di anni per i nostri predecessori. Uno studioso di geometria scomparso di recente, Narciso Silvestrini, ha detto una volta che la nostra scrittura somiglia al nostro modo di camminare: con entrambe noi creiamo delle cicloidi. Se si potesse collegare alle nostre gambe un pennino e vedere il tracciato che facciamo mentre camminiamo, si scoprirebbe che il segno che rilasciamo è molto simile a quello che produciamo con le nostre mani: scrivere e camminare sono due attività profondamente collegate ed entrambe fanno bene al pensiero.

di Marco Belpoliti, La Repubblica

L'articolo Scrivere a mano fa bene proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



La vera realtà criminale degli atlantisti, mimetizzata e pubblicizzata come associazione "benefica", viene sempre a galla, solo che molti governi sono complici o si girano dall'altra parte invece di uscirne.
ilfattoquotidiano.it/2024/02/1…


Israele libera con un blitz due ostaggi. Intensi bombardamenti su Rafah, decine di morti palestinesi


Pesanti bombardamenti su Rafah hanno preceduto e seguito il blitz israeliano. Sono decine i morti palestinesi. L'articolo Israele libera con un blitz due ostaggi. Intensi bombardamenti su Rafah, decine di morti palestinesi proviene da Pagine Esteri. htt

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della redazione

Pagine Esteri, 12 febbraio 2024 – L’esercito israeliano ha annunciato di aver liberato la scorsa notte, con l’azione di un commando, due israeliani, Fernando Marman, 60 anni, e Fernando Luis Herr, 70 anni, sequestrati il 7 ottobre nel Kibbutz Nir Yitzhak durante l’attacco di Hamas nel sud di Israele. Il portavoce militare ha detto che l’esercito è riuscito a liberarli durante un’operazione condotta in una abitazione della città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, con il servizio di intelligence Shin Bet e un’unità speciale della polizia. Marman e Herr sono in buone condizioni.

Israele ha comunicato l’uccisione di due suoi militari ieri a Gaza – in totale dalla fine di ottobre sono 229 – ma non legata all’operazione della scorsa notte che avrebbe provocato solo un ferito tra i membri del commando.

Il premier Netanyahu ha elogiato i soldati protagonisti dell’incursione e ribadito la sua linea di attacco anche contro Rafah.

L’annuncio è arrivato dopo una serie di pesanti raid aerei contro diverse aree di Rafah che hanno fatto decine di morti. La Mezzaluna Rossa riferisce di almeno 60 persone uccise tra cui donne e bambini, il movimento islamic0 Hamas ha parlato di un centinaio di morti. Molte decine i feriti. Le immagini giunte da Rafah, mostrano ampie distruzioni in aree residenziali e anche in almeno un accampamento di sfollati.

RAFAH DOPO IL BOMBARDAMENTO

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Questi attacchi, secondo alcuni, potrebbero essere il preludio dell’offensiva israeliana contro Rafah di cui si parla di giorni e che Netanyahu intende portare avanti – “fino alla vittoria”, afferma – nonostante le critiche e le preoccupazioni internazionali per la sorte di 1,4 milioni di civili palestinesi che negli ultimi mesi si sono ammassati nella città sulla frontiera con l’Egitto nella speranza di sfuggire ai bombardamenti. Dove sfollati e residenti a Rafah potrebbero spostarsi se Israele lancerà la sua operazione militare non è chiaro. A Gaza non ci sono luoghi sicuri per i civili come dimostra il bilancio di morti dal 7 ottobre: tra gli oltre 28mila palestinesi uccisi dai bombardamenti israeliani, il 70% sono donne e minori.

Resta nel frattempo resta incerta la sorte dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi, accusata da Israele di “operare per conto di Hamas” perché 12 suoi dipendenti palestinesi avrebbero partecipato all’attacco del 7 ottobre. Sulla scia delle accuse, paesi tra cui Regno Unito, Australia, Finlandia, Italia, Germania, Paesi Bassi, Canada e Stati Uniti hanno sospeso i finanziamenti all’agenzia.

L’agenzia ha detto che spera che i donatori rivedano le loro decisioni sui finanziamenti entro poche settimane, avvertendo che potrebbe rimanere senza fondi per gestire i servizi entro la fine di febbraio. L’Unrwa denuncia che da diversi giorni Israele blocca nel porto di Ashdod, materiale e aiuti umanitari dell’agenzia necessari per l’assistenza alla popolazione di Gaza.

Le accuse contro l’Unrwa hanno riacceso le richieste israeliane di vecchia data di smantellare un’agenzia che ritiene un simbolo della questione dei rifugiati palestinesi e del loro diritto al ritorno nella terra d’origine, che risale alla Nakba del 1948. Pagine Esteri

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Partito il “piano finale” israeliano. Netanyahu: “Attaccheremo Rafah. La popolazione deve evacuare”


Nonostante il timido e tardivo “no” di Biden, Israele attaccherà Rafah, dove ci sono 1,2 milioni di palestinesi su una popolazione totale che a Gaza, prima della guerra, era di 2,3 milioni. L'articolo Partito il “piano finale” israeliano. Netanyahu: “Att

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di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 9 febbraio 2024. “È impossibile raggiungere l’obiettivo di eliminare Hamas lasciando quattro battaglioni di Hamas a Rafah. Al contrario, è chiaro che l’intensa attività a Rafah richiede che i civili evacuino le zone di combattimento”. La dichiarazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato ciò che già da giorni si immaginava sarebbe accaduto e che metà della popolazione palestinese, per la maggior parte sfollati mandati a Rafah dall’esercito israeliano, più di tutto ora teme.

Il “piano finale” israeliano è partito. Nonostante il seppur timido e tardivo “no” del presidente degli Stati Uniti d’America. “Israele sta esagerando” ha dichiarato Biden dopo 28.000 morti. “Ogni operazione a Rafah, con oltre un milione di palestinesi che vi si rifugiano, sarebbe un disastro e non la sosterremmo senza un’appropriata pianificazione” gli ha fatto eco il segretario di Stato Blinken dopo la sua ultima, infruttuosa visita a Tel Aviv.

E il momento della pianificazione, per bocca dello stesso Netanyahu, è subito arrivato. Il premier ha infatti ordinato alle forze armate di presentare al governo un “piano combinato per l’evacuazione della popolazione e la distruzione di Hamas”.

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Dopo il via libera americano alle “ammonizioni” per Israele, anche l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha scritto su X che l’attacco israeliano a Rafah avrebbe “conseguenze catastrofiche, peggiorando la già terribile situazione umanitaria e l’insopportabile bilancio civile”

1.4 million Palestinians are currently in #Rafah without safe place to go, facing starvation.

Reports of an Israeli military offensive on Rafah are alarming. It would have catastrophic consequences worsening the already dire humanitarian situation & the unbearable civilian toll.
— Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) February 9, 2024

Sono almeno 21 le persone uccise oggi dai cecchini israeliani appostati sui tetti delle abitazioni a Khan Yunis. Tutte provavano a entrare nell’ospedale Nasser o a uscirne. Anche il personale sanitario è stato attaccato. Un video mostra una giovane ragazza colpita dai cecchini a pochi metri dalle scuole piene di sfollati di fronte alla struttura sanitaria. Il sangue si è allungato in una lunga pozzanghera ed era ancora lì quando, ore dopo, decine di persone disperate provavano a conquistare due taniche di acqua potabile senza affacciarsi in strada. Con una lunga corda tiravano un piccolo carretto che doveva arrivare dall’ospedale alle scuole, attraversando così la strada, diventata ormai letale per gli esseri umani e, talvolta, anche per gli animali.

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L’Autorità Nazionale Palestinese ha condannato le dichiarazioni di Netanyahu e ha dichiarato che l’intenzione di attaccare Rafah e di evacuare i cittadini palestinesi costituisce “un serio preludio all’attuazione della politica israeliana volta a cacciare il popolo palestinese dalla propria terra”. L’ANP ha aggiunto, con toni minacciosamente impotenti, che riterrà il governo israeliano e gli Stati Uniti responsabili delle ripercussioni. Facendo appello al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Autorità ha chiesto un intervento che possa evitare “un’altra Nakba che spingerà l’intera regione in infinite guerre”.

In serata, dal Libano, Hezbollah ha effettuato uno dei più numerosi lanci di missili (60 verso Kiryat Shmona) da quando il confronto armato con Israele ha avuto inizio.

A Rafah ci sono circa 1,2 milioni di palestinesi su una popolazione totale che a Gaza, prima della guerra, era di circa 2,3 milioni. Secondo Save the Children la maggior parte dei 610.000 bambini sfollati sono ora intrappolati a Rafah in un’area inferiore a un quinto della superficie totale della Striscia. Molti di loro sono stati già sfollati più volte dall’esercito israeliano, dal nord di Gaza verso il centro e poi dal centro verso il sud. Le autorità israeliane hanno lanciato volantini per avvisare la popolazione di andar via, nell’imminenza di attacchi aerei e incursioni dei mezzi di terra, indicando loro con complicate numerazioni, le zone designate come sicure. Una per una quelle zone sono state attaccate e alla popolazione è stato detto ancora di spostarsi. Sempre più al sud, fino a raggiungere il punto più estremo, al confine con l’Egitto, che è appunto Rafah.

Intanto al nord e al centro i bulldozer, i carri armati e gli esplosivi israeliani distruggevano interi quartieri residenziali, campi coltivati, stadi sportivi, moschee, scuole. Con l’obiettivo, non di rado pubblicamente dichiarato, anche sui social network, di rendere impossibile il ritorno dei cittadini gazawi mandati via dalle proprie case.

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La situazione umanitaria a Rafah è disperata. Vi è affollata ormai circa metà dell’intera popolazione della Striscia. Non c’è spazio e non ci sono risorse per tutti. Si dorme in rifugi di fortuna, nelle scuole, negli ospedali, nelle macchine o per strada. Manca l’acqua e procurarsela, con i cecchini israeliani appostati, è estremamente difficile e pericoloso. I feriti non possono raggiungere gli ospedali e quelli che lo fanno trovano una situazione agghiacciante: non c’è spazio, non c’è personale, non bastano le medicine, i pazienti sono stesi a terra, tra i rifiuti medici non più smaltibili. La notizia di un’imminente attacco israeliano manda nel panico la popolazione già inumanamente provata. Non c’è altra via da percorrere per fuggire. Schiacciati al confine con l’Egitto che non intende prendersi cura di una popolazione che non vorrebbe lasciare la propria terra, il “piano finale” di cui lo stesso governo israeliano parlava a inizio guerra e che era stato apparentemente messo da parte, pare ore l’unico sviluppo possibile. A meno che non si trovi il modo di costringere Netanyahu a desistere, “l’evacuazione” della popolazione non potrebbe che avvenire al di fuori della Striscia di Gaza, fatta a pezzi, saccheggiata, deflagrata, resa inabitabile, cancellata.

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In Cina e Asia – Capodanno lunare, viaggi in Cina a un livello "storico”


In Cina e Asia – Capodanno lunare, viaggi in Cina a un livello capodanno
I titoli di oggi: BASF chiude con due joint venture cinesi per violazione diritti umani Cina, il galà di capodanno torna un un aumento del 13% dello share Capodanno lunare, viaggi in Cina a un livello “storico” Usa, presidente del Comitato della Camera sulla Cina annuncia ritiro dalla politica Taylor Swift porta il femminismo anche in Cina Myanmar, entra in ...

L'articolo In Cina e Asia – Capodanno lunare, viaggi in Cina a un livello “storico” proviene da China Files.



VERSIONE ITALIANA UE, ENISA CELEBRA 20ESIMO ANNIVERSARIOL’ENISA – Agenzia dell’Unione europea per la sicurezza informatica – festeggia quest’anno il suo 20° anniversario in un momento molto complesso per il mondo legato ai dati, alla conservazione e alla loro trasmissione. Il Documento Unico di Programmazione 2024-2026 dell’ente descrive la pianificazione dell’agenzia e che sarà il punto …

@Informatica (Italy e non Italy 😁)

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Darwin, tecnologia, società e il caso del Fediverso. Torna il nostro consueto appuntamento con il #DarwinDay

Il post poliverso.org/display/0477a01e… è stato pubbicato anche su @Che succede nel Fediverso?

Come ogni anno (questa è la quarta volta) cercheremo di festeggiare il #DarwinDay con una riflessione che, prendendo spunto da quella teoria del caos che viene fissata per la prima volta nell'opera darwiniana, cerca di applicarla a realtà molto diverse. Oggi lo faremo parlando di fediverso, tecnologia e società.

Tra la fine del 2022 e quella del 2023 il Fediverso si è evoluto da fenomeno di nicchia, conosciuto al massimo da una comunità ristretta e orgogliosamente alternativa, ad argomento di tendenza per un pubblico generalista.
Contro ogni previsione e malgrado la sua apparente marginalità, le recenti condizioni ambientali (come l’insofferenza degli utenti verso il giardino recintato dei social tradizionali o la necessità delle aziende informatiche di reinventarsi) hanno premiato le caratteristiche del Fediverso che è diventato esso stesso un fattore di condizionamento ambientale per tutto il mondo dei social e del web.

Su quanto sia determinante il condizionamento ambientale e i meccanismi con cui esso agisce, la biologia evolutiva ci ha fornito un quadro concettuale così valido da poter essere impiegato anche oltre l’ambito biologico, per capire ad esempio il motivo per cui nella storia si sono affermate certe popolazioni, certe ideologie, certe tecnologie: non per un particolare merito, ma solo perché spesso le condizioni ambientali ne rendevano vantaggiose alcune caratteristiche. Inoltre l’affermazione di queste realtà determinavano a loro volta alcune modificazioni dello scenario che in seguito avrebbero premiato coloro che erano già forti o, paradossalmente, avrebbero agevolato altri nuovi attori concorrenti.

Il Fediverso rappresenta uno di questi casi: esiste da quasi un decennio, ma fino alla metà del 2022 non aveva riscosso particolare successo, né aveva inciso su alcun aspetto della tecnologia o, tantomeno, della società. A un osservatore imparziale il Fediverso sarebbe anzi sembrato un “caso di insuccesso” anche solo per il disinteresse di quello che doveva essere il suo pubblico ideale: infatti, benché una buona parte degli utenti storici del Fediverso fosse costituita da attivisti appartenenti alle più note comunità legate al software libero (quella dei linuxiani o quella dei wikipediani o quella degli hacker, per esempio), solo una minoranza di questi attivisti aveva un account nel Fediverso, mentre la maggior parte di essi preferiva frequentare i social commerciali.

Che il Fediverso potesse avere un successo così grande da poter diventare un fattore di condizionamento ambientale, abbiamo faticato a capirlo anche noi amministratori di istanza (se non lo sapete, siamo amministratori di tre istanze: poliverso.org, feddit.it e poliversity.it), sebbene quella del Fediverso fosse già la comunità basata su software open source più numerosa al mondo (già a inizio 2022 si contavano più di 400.000 utenti attivi nel Fediverso, contro i 32.000 di Wikipedia che pure è una comunità costituita da centinaia di milioni di utenti!); eppure tutto è cambiato quando nell’arco di un anno sono avvenuti tre eventi dirompenti: gli effetti dell’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk, la svolta "autoritaria" di Reddit e il lancio di Threads da parte di Meta.

Questi tre eventi sono stati sicuramente causati dalle recenti politiche USA sui tassi di interesse che, impedendo alle Big Tech di attingere a finanziamenti a costo zero, le costringe a reinventarsi dopo anni di vita facile; ma al di là delle cause che li hanno determinati, quello che importa è che tali eventi hanno agito sul Fediverso come farebbe una fionda gravitazionale su una sonda interplanetaria: l’immensa massa critica delle tre piataforme, Twitter Reddit e Instagram, ha attratto il fediverso e l’ha rilanciato a una velocità impensabile.

Con il primo evento, l’epifania del Fediverso ha assunto la forma di Mastodon, un software nato dall’ingegneria inversa operata su Twitter. Il primo fattore ambientale ad averlo agevolato è stato l’aumento dell’avversione per Twitter da parte del pubblico più progressista (o, come dicono gli anglosassoni, “liberal”) e il fatto che proprio quel pubblico potesse contare su un prodotto nato a immagine e somiglianza (ma anche in opposizione a Twitter). Le reazioni scomposte del suo nuovo proprietario (il blocco degli account che pubblicizzavano Mastodon e degli stessi link verso le istanze più importanti) insieme ad altri provvedimenti (i licenziamenti, la limitazione delle API, le spunte blu a pagamento), hanno confermato il già pessimo pregiudizio degli utenti più insofferenti, accelerando la migrazione già in atto.

Il secondo evento è stato determinato dalle scelte dell’AD di Reddit, Steve Huffman che, annunciando l’accesso a pagamento alle API, avrebbe reso impossibile l’esistenza delle amatissime app non ufficiali. In questo caso, la migrazione è avvenuta verso un altro progetto del Fediverso, ossia Lemmy: la migliore alternativa federata a Reddit ha avuto un incremento tale da diventare il secondo servizio del Fediverso dopo Mastodon per utenti attivi.

A differenza dei due precedenti, il terzo evento non è stato provocato da una qualche tempesta reputazionale (non sarebbe stato insolito, considerando l’impatto talvolta drammatico delle creature di Zuckerberg sulla politica o la società), ma da un contributo attivo. Meta ha inaugurato Threads, un social di microblogging ispirato a Mastodon, pensato per attrarre gli utenti del vecchio Twitter (e del nuovo Bluesky) e già predisposto per interoperare con il Fediverso. Con Threads il Fediverso è diventato un “inserto” allegato a Instagram, il social più attivo e giovanile della scuderia di Meta, e l’entità di questa operazione ci racconta forse più cose sulla grandezza di Instagram che sull’importanza del Fediverso, ma il risultato è stato comunque l’adesione (anche se per ora quasi totalmente incompleta) di centinaia di milioni di utenti al Fediverso.

All’impatto determinato da questi tre eventi si è aggiunto anche quello, meno rilevante ma comunque significativo, dell’apertura al Fediverso di realtà come Wordpress, TumbIr, Flipboard, Discourse: questa “corsa all’apertura” ha probabilmente fatto preoccupare lo stesso Bluesky, che non fa parte del Fediverso, ma che ha deciso finalmente di aprire i suoi post al pubblico almeno in sola lettura e che nei giorni scorsi ha liberalizzato le iscrizioni che prima erano consentite solo su invito.

L’impatto sulla società digitale

L’impatto di Threads sui social network e sulla stessa comunità del “Fediverso libero” è stato spiegato su diverse testate e noi stessi ne abbiamo parlato su quste pagine, ma (anche se quasi tutti i nostri lettori conoscono il Fediverso) conviene fermarsi un momento sul concetto di interoperabilità tra piattaforme federate: questa è la possibilità di trasmettere in modo comprensibile, tra i diversi software installati su diversi server, tutte le informazioni su come descrivere “oggetti” (utenti o messaggi), “eventi” (dare o ricevere like, chi segue chi) e “visibillità” (chi può vedere cosa).

Il “protocollo” che fissa queste regole, il cosiddetto ActivityPub, fa funzionare il fediverso come un sistema di centri ricreativi convenzionati tra loro: i social come Mastodon o Friendica (su qualsiasi server si trovino) sono come comunità abitative: gli utenti li “abitano” come farebbero con motel, resort o campeggi e fruiscono di piattaforme di pubblicazione come Peertube e Funkwhale come farebbero con cinema e auditorium; tutti possono andare dovunque e restare vicendevolmente in contatto.

ActivityPub non è certo il migliore dei protocolli possibili, ma alcune sue caratteristiche ne hanno reso possibile il successo:

1. la diffusione: dieci milioni di utenti sono un pubblico interessante;
2. la versatilità: tanti utenti con esigenze diverse hanno fatto nascere progetti diversi: una palestra di ingegneria del software e ingegneria inversa (spesso si tratta di cloni di piattaforme famose) che ha attirato l’interesse delle aree ricerca e sviluppo;
3. il fattore “conoscenza aperta”: uno standard aperto attira chi sviluppa software libero ed ecco una biblioteca aperta in cui gli sviluppatori hanno potuto leggersi, copiarsi, infettarsi, ispirarsi e ramificare le proprie esperienze;
4. l’indeterminazione: ActivityPub non è un protocollo perfetto (complesso, documentato male e soggetto a processi decisionali poco chiari) ma questo ha fatto germinare tante idee utili a risolvere volta per volta problemi inattesi;
5. compatibilità con le attuali condizioni abientali: per i social commerciali in crisi reputazionale, reduci da fallimenti (qualcuno ha detto Metaverso?), incapaci di attirare nuovi utenti, colpiti dalle normative europee e sempre meno innovativi, il Fediverso è diventato un serbatoio di soluzioni e di utenti; e una terra promessa, per gli utenti delusi dai social.

Come spesso avviene, la fitness darwiniana conta più delle qualità intrinseche e così ormai nessun soggetto dei social, del web in generale e della produzione e fruizione dei contenuti potrà fare a meno di implementare strumenti di comunicazione con il Fediverso, né di riservare risorse allo sviluppo di soluzioni compatibili con il protocollo ActivityPub.

Il Fediverso è così diventato una di quelle realtà che modificano la realtà, così come quando l’atmosfera terrestre, satura di CO2, ha agevolato gli organismi che la utilizzavano per accrescersi ed espellevano ossigeno come prodotto di scarto; ma in tal modo la proliferazione di quegli organismi ha modificato l’ambiente rendendo l’atmosfera più ricca di ossigeno e determinando lo sviluppo delle specie più adattate a respirarlo.

Una società interoperabile?

Ma ActivityPub riverserà ossigeno nella nostra società reale? Quale sarà questo ossigeno? Quali saranno le specie che questo ecosistema potrà avvantaggiare?

L’interoperabilità ha diverse analogie con l’ossigeno, che può essere un gas instabile e infiammabile ma anche necessario a respirare: nell’economia dei servizi, l’interoperabilità espone i “gestori” a più imprevisti rispetto a un sistema chiuso, oltre al fatto che chi detiene un monopolio guarda all’interoperabilità come a un rischio esistenziale; tuttavia il consumatore-utente può solo essere avvantaggiato quando si sottrae al controllo di un unico fornitore.

Il valore dell’interoperabilità non è stato ancora apprezzato nella cultura di massa: i cittadini, le associazioni civiche, le unioni sindacali o gli stessi partiti, preferiscono ancora le strutture piramidali chiuse (o “federate” solo al proprio interno). D’altra parte le migliori élites intellettuali dell’Unione Europea hanno intuito da qualche anno che il valore dell’interoperabilità deve essere promosso.

La tecnologia è naturalmente l’aspetto in cui è più facile favorire l’interoperabilità, cosa che la Commissione Europea sta facendo sia in generale, con la pressione normativa determinata da Digital Markets Act e Digital Service Act, sia nello specifico, col finanziamento di progetti basati proprio su ActivityPub: la Next Generation Internet Initiative, che ha finanziato diversi progetti del Fediverso come Mastodon, PeerTube, Pixelfed, GoToSocial, Lemmy e Owncast, ha motivato chiaramente la finalità di queste iniziative:

“Nell’ambito della Next Generation Internet Initiative, abbiamo lavorato verso futuri alternativi di Internet per creare un’Internet resiliente, affidabile e sostenibile. Questi futuri alternativi hanno una cosa in comune: si basano su tecnologie comuni: standard aperti, software e hardware libero&open‑source e dati aperti. Questi sono ingredienti ideali per ripristinare la salute di Internet perché consentono ai singoli utenti e alla comunità di gestire i propri servizi Internet piuttosto che elevare una singola entità aziendale in una sovrapposizione dominante (link)”

e, più oltre,

“Offrendo ai cittadini un'alternativa ai principali attori commerciali, ActivityPub fornisce gli elementi concettuali per una cooperazione trasversale. Apre inoltre la porta a un’adozione diffusa del Fediverso, rendendo Internet nuovamente un’infrastruttura decentralizzata in grado di accogliere la diversità (grassetto nostro), formando un’alternativa libera e più democratica alla situazione odierna”

La diversità è quindi ufficialmente uno dei valori guida dell’Unione Europea: non solo la semplice tutela della diversità, ma la promozione della diversità futura. Con la NGI Initiative, la UE è forse la prima entità che abbia investito deliberatamente sulla diversità come risorsa per il futuro.

Infatti la lezione di Darwin ci ha insegnato che se una “specie” presenta maggiore variabilità, allora alcuni dei suoi membri potranno avere più spesso caratteristiche diverse che in futuro potranno determinare una capacità adattativa utile al momento opportuno, portando alla sopravvivenza di quei membri o, almeno, allo sviluppo di una nuova specie “figlia”. E infatti, avere stanziato degli investimenti (cifre tutto sommato limitate, ma indicative comunque di un certo coraggio visionario), su progetti diversi basati su ActivityPub, ci ha consentito oggi di disporre di un bouquet di soluzioni nuove, forse non sempre del tutto mature, ma che possono costituire dei semilavorati o almeno laboratori di idee utili ad affrontare problemi che ieri non eravamo neanche in grado di pensare.

E l’interoperabilità, intesa come il modo di mettere in comunicazione e far collaborare entità diverse malgrado le rispettive differenze, potrebbe essere l’ossigeno che, anche al di fuori dell’ambito tecnologico, offrirà un habitat ideale alla diversità ed è proprio qui che la nostra società potrà fare tesoro del modello del Fediverso e valutare quanto sia possibile investire in una ricerca etica e politica finalizzata a sperimentare forme di aggregazione sociali partecipate, interoperabili e aperte.

La gestione delle diversità può essere il principio per la costituzione di nuove organizzazioni sociali e, a offrirci un interessante modello “in vitro” dei sistemi di convivenza civica, potrebbero essere proprio le differenti gestioni delle istanze del Fediverso, le loro prassi di moderazione, i rapporti tra un’istanza e un’altra, le forme con cui queste istanze si organizzano e si autoregolano in funzione dei fattori ambientali.

Ancora più attuale è il modo in cui il fediverso ha gestito la convivenza a fronte delle recenti “grandi migrazioni”, del ricambio generazionale (i geek della prima ora, gli ex tweeter della prima migrazione, i redditors della terza, i curiosi dell’ultima), della gentrificazione di alcune istanze, dell’affermazione identitaria o dello spopolamento che ne ha caratterizzato altre: tutto ciò ci offre esempi di come può essere gestito un mondo policentrico e interculturale a “demografia differenziata” come quello in cui ci troviamo oggi.

Infine il modo in cui queste comunità reagiscono all’invazione da parte di BigTech come Meta, in base alla propria cultura di comunità o agli strumenti messi a disposizione dai software con cui funzionano le diverse istanze, è un interessante “ambiente di simulazione” per studiare come una società può reagire e resistere a una rivoluzione religiosa, a campagne di marketing politico e disinformazione oppure a una privatizzazione o, al contrario, a una collettivizzazione della società.

Sia chiaro: il Fediverso è un tema ancora troppo recente perché rilevare il suo influsso sulle teorie sociali e politiche; gli stessi seguaci di Abdullah Öcalan non si sono ancora accorti che il “confederalismo democratico” è oggi l’elaborazione politica che meglio rispecchia la gestione delle istanze del Fediverso e del sistema di cittadinanze trasversali dei suoi utenti. E se già è più pensabile calare la struttura federata nella società reale, ancora più complesso è traslare il concetto di interoperabilità nei processi sociali e politici.

Forse il “protocollo ActivityPub” della società futura risiederà nei nuovi metodi di democrazia partecipativa, ausiliaria a quella delle cadenze elettorali; o in nuove modalità per far comunicare e mettere a fattor comune diverse organizzazioni sindacali e associazioni di quartiere; o nell’elaborazione di nuovi concetti di transazione economica e di proprietà; e tutto ciò magari porterà a una rielaborazione di forme già conosciute in passato, come il corporativismo o il modello dei soviet, ma senza la struttura piramidale che li caratterizzava.

L’esperienza tuttavia ci mostra che capire quale sarà l’ActivityPub dietro al “Fediverso della società”, va al di là del nostro perimetro di conoscibilità. La lezione del Fediverso è che un nuovo modello arriva con più facilità se ci si allena a elaborare più “modelli possibili” e per farlo bisogna esercitare la fantasia: non solo quella che nasce dalla spontaneità, ma anche quella che deriva dalla conoscenza, quella grazie alla quale si possono realizzare costruzioni intellettuali come i protocolli informatici e il codice con cui sono scritti i software, come le regole di convivenza e i processi previsti per tutelare la privacy degli utenti, come la cultura progettuale e finanziaria per rendere i progetti sostenibili dal punto di vista economico e ambientale, e come la cultura sociale di tutti quegli utenti che si sono mostrati pronti ad apprezzare un ambiente piacevole, paritario e aperto come il Fediverso.

Le condizioni che hanno decretato il “successo” di ActivityPub e del Fediverso sono quindi contingenti, ma quelle -ben più importanti- che hanno permesso di realizzarlo prima che avesse successo, dipendono dal fatto che utenti e sviluppatori sono il prodotto di una società mediamente molto istruita e che dispone di un agevole accesso alla conoscenza.

Probabilmente riconosceremo il “fediverso della società” solo quando ci comparirà davanti ben vestito e con un grande cartello in mano, ma per ora possiamo renderne più facile la sua nascita, creando un sistema che incentivi sempre più istruzione (istruzione, non formazione) per tutte le fasce sociali e -non meno importante- tutte le fasce di età, incoraggiando il confronto transfrontaliero per renderlo più sostenibile e accessibile a tutti coloro che vogliano imparare o insegnare: un tale rimescolamento consentirà di contaminare culture e generazioni diverse con metodologie, conoscenze e didattiche diverse e sarà il miglior antidoto all’impoverimento, all’obsolescenza o al vero e proprio sottosviluppo che già colpisce alcuni sistemi educativi nazionali.

Ecco allora che lo scenario che ha prodotto il Fediverso può farci capire quanto il diritto all’istruzione e il diritto alla conoscenza siano ancora gli ingredienti più importanti per costruire una società evoluta. E forse proprio la tecnologia del Fediverso ci aiuterà a creare ambienti e strumenti per promuovere attivamente questi due diritti fondamentali, rivolgendosi con qualcuno dei suoi progetti, alle realtà che più di tutte ne condizionano l’esercizio: la scuola, la ricerca e l’editoria, ossia i tre settori fondamentali per costruire nuovi linguaggi o per recuperarne di meno nuovi, così da consentire a culture e società differenti di comunicare, riconoscersi e “interoperare” più facilmente l’una con l’altra.


Cos’è Lemmy?


Il nostro canale Le Alternative Fresh prende automaticamente i post pubblicati sulla nostra comunità Lemmy (Feddit). Ma che cos’è Lemmy?

lealternative.net/2022/04/06/c…


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TURCHIA. Raid e arresti. L’appello internazionale dei giuristi: “rilasciate gli avvocati”


A seguito dell'attacco al tribunale di Istanbul sono state numerose e violente le retate dei servizi di sicurezza turchi, che hanno perquisito 67 abitazioni, comprese case private e sedi di associazioni che si occupano di diritti umani. Anche l’Ufficio le

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Eliana Riva –

Pagine Esteri, 12 febbraio 2024. Il 6 febbraio 2024 due persone, Emrah Yayla e Pinar Birkoc, un uomo e una ragazza, hanno attaccato, armati, il tribunale di Çaglayan, a Istanbul, morendo poi sotto i colpi delle forze armate.

Secondo fonti della polizia, si tratta di due membri del Partito-Fronte Rivoluzionario di Liberazione del Popolo (in turco Devrimci Halk Kurtuluş Partisi-Cephesi, DHKP-C), una formazione politica marxista-leninista considerata dal governo turco organizzazione terroristica. Nell’azione armata sono rimaste ferite sei persone, tra cui tre agenti di polizia. Uno dei civili coinvolti è morto a causa delle ferite riportate.

A seguito dell’attacco sono state numerose e violente le retate dei servizi di sicurezza turchi, che hanno perquisito 67 diverse abitazioni, comprese case private e sedi di associazioni che si occupano di diritti umani. Anche l’Ufficio legale popolare è stato preso d’assalto e sono stati arrestati quattro avvocati, tutt’ora trattenuti senza accuse. Nel giro di due giorni sono state più di 90 le persone fermate. A tutte, per 24 ore, è stato vietato consultare i propri legali.

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Tra gli arrestati figurano membri dell’associazione TAYAD, partecipata dai parenti dei prigionieri politici detenuti nelle carceri turche. Molti dei membri di Tayad sono persone anziane, che hanno figli, mariti o mogli in prigione, condannati a pene pesanti, a volte con accuse pretestuose.

La polizia ha attaccato e vandalizzato l’Idil Cultural Centre, sede della band musicale Grup Yorum, gruppo da sempre politicamente impegnato.

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Tra gli arrestati, Ayten Öztürk, l’oppositrice politica turca che ha denunciato di essere stata sequestrata e torturata per sei mesi dalla polizia segreta. Ayten era agli arresti domiciliari da più di due anni e mezzo, costantemente sorvegliata e perquisita. La polizia non ha concesso che le si staccasse la cavigliera elettronica neanche per il tempo necessario all’operazione chirurgica alla quale è stata lo sottoposta qualche mese fa.

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Ayten Ozturk

È in attesa della pronuncia della Corte che potrebbe condannarla in via definitiva a due ergastoli con accuse che, secondo i suoi legali e le organizzazioni dei diritti umani, sono un obbrobrio normativo e rappresentano un’arma politica utilizzata per punire le sue denunce di tortura. Durante il raid a casa di Ayten, la polizia ha distrutto armadi, rovesciato librerie e sotto gli occhi di testimoni ha trascinato fuori la prigioniera sui vetri delle finestre rotte.

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Tra gli avvocati arrestati, Didem Baydar Unsal, Berrak Çaglar, Seda Saraldi e Betül Vangölü Kozagaçli, ci sono anche i legali che seguono i casi di Ayten.

La Comunità giuridica internazionale, in un comunicato pubblicato l’8 febbraio, ha condannato l’incursione delle forze armate turche nell’Ufficio legale popolare e l’arresto dei membri dell’Associazione degli avvocati progressisti (CHD). Anche loro, come le altre persone arrestate, non hanno potuto incontrare familiari né legali. Né è consentito accedere ai propri fascicoli e dunque conoscere le accuse formulate e le ragioni dell’arresto. Cinque avvocati dell’Ufficio legale popolare sono in carcere ormai da anni. Secondo la Comunità giuridica internazionale, rappresentata da numerose associazioni, fondazioni, enti di diversi Paesi del mondo, gli avvocati sono stati arrestati in quanto si occupano o si sono occupati della difesa di presunti membri e sostenitori del DHKP-C: “questa inaccettabile identificazione degli avvocati con i loro clienti sembra essere anche la ragione dell’attacco del 6 febbraio all’Ufficio legale popolare […] Ricordiamo alle autorità turche che il mondo vi sta osservando”.

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Anche il Consiglio Nazionale forense della Turchia ha espresso preoccupazione per gli arresti e chiesto di garantire l’esercizio di diritto alla difesa. Quattordici Organizzazioni internazionali di avvocati e di osservatori per i diritti legali, tra i quali UA Institute for the Rule of Law, The Law Society of England and Wales, International Observatory for Lawyers in Danger (OIAD), Institut des droits de l’Homme du Barreau de BRUXELLES, European Association of Lawyers for Democracy & Human Rights, World Organisation Against Torture (OMCT), FIDH (International Federation for Human Rights) e Giuristi Democratici italiani, hanno chiesto il rilascio immediato e incondizionato degli avvocati.

Abbiamo incontrato Ayten solo pochi mesi fa, a novembre, presso la sua abitazione e anche all’interno del tribunale Çaglayan di Istanbul, dove abbiamo assistito all’udienza per una nuova accusa, quella di “propaganda per un’organizzazione terroristica”, formulata in seguito alla pubblicazione di un libro in cui denuncia gli abusi subiti dalla polizia segreta. In quell’occasione, alla presenza di giornalisti e osservatori internazionali, il suo team di avvocati è riuscito a ottenere l’assoluzione. In una lunga intervista rilasciataci, l’Avv. Seda Saraldi, ora in prigione insieme agli altri legali, ci ha parlato dell’inconsistenza delle accuse mosse contro Ayten Öztürk e di come avesse scelto di sostenere legalmente la sua lotta contro la tortura di stato e quella di altre donne vittime di orribili violenze, comprese quelle sessuali.

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Seda Şaraldı, avvocata di Ayten Öztürk

Ayten è in prigione dal 7 febbraio. Non si sa, al momento, quale sarà la sua sorte. Il fatto che non si possa rivolgere ai suoi stessi avvocati, tutt’ora agli arresti, rende la sua posizione ancora più complicata. All’inizio del mese aveva denunciato la decisione del tribunale di non consentirle di effettuare una visita medica di controllo in seguito all’operazione chirurgica di asportazione di alcune masse per la quale è rimasta ricoverata in ospedale diversi giorni. “Esaminando il contenuto della richiesta, considerando l’entità della pena inflitta all’imputato, la richiesta viene respinta”. Queste sono state le motivazioni del tribunale.

Lo stato della giustizia in Turchia e le condizioni dei detenuti nelle carceri sono stati oggetto di numerose critiche e denunce da parte di organizzazioni internazionali e delle Nazioni Unite.

Il documentario “La rivoluzione di Ayten”, prodotto da Pagine Esteri, racconta la storia sua storia e quella di atri oppositori e oppositrici politici in Turchia.

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Locandina del documentario “La rivoluzione di Ayten. Realizzato da Eliana Riva e prodotto da Pagine Esteri

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L'articolo TURCHIA. Raid e arresti. L’appello internazionale dei giuristi: “rilasciate gli avvocati” proviene da Pagine Esteri.



The major news of the week is that Bluesky drops the invite codes, and that it turns out to be massively popular in Japan. The network grew from just over 3 million to some 4.7 million accounts this week.



Spunti di riflessione


Cambiano nomi, date, luoghi, ma la strategia è sempre quella.

Cambiano nomi, date, luoghi, ma la strategia è sempre quella.


tommasin.org/blog/2024-02-11/s…



Dallo Spazio agli abissi. Ecco i progetti su cui punta il Pentagono


Dalle profondità cosmiche alle profondità marine, il Dipartimento della Difesa di Washington mira a mantenere quella superiorità tecnologica che ha caratterizzato sino ad ora la sua postura militare. Suddividendo in modo equilibrato le risorse, ma al temp

Dalle profondità cosmiche alle profondità marine, il Dipartimento della Difesa di Washington mira a mantenere quella superiorità tecnologica che ha caratterizzato sino ad ora la sua postura militare. Suddividendo in modo equilibrato le risorse, ma al tempo stesso prestando particolare attenzione a determinati domini.

Come ad esempio quello spaziale. La Space Force del Pentagono sta lavorando all’espansione delle capacità dei suoi satelliti Gps, e sta chiedendo alle aziende di proporre idee per la fornitura di veicoli spaziali dimostrativi a basso costo finalizzati a testare nuove tecnologie. “Il governo sta studiando modi per ridurre i costi del ciclo di vita e aumentare il ritmo di sviluppo, produzione e messa in orbita dei satelliti GPS”, ha dichiarato il Comando dei sistemi spaziali, che con un avviso pubblicato il 5 febbraio ha affermato pubblicamente di star conducendo una ricerca di mercato per perfezionare il suo concetto di costellazione di satelliti dimostrativi Gps. “Il governo sta sviluppando una visione per tranche di satelliti prototipo dimostrativi con capacità sempre più complesse”.

Al momento la Space Force ha in orbita circa trentuno satelliti operativi, un mix vecchie e nuove che forniscono vari livelli di capacità. I satelliti più recenti (denominati Gps III) sono costruiti da Lockheed Martin e forniscono una precisione tre volte superiore, oltre che capacità anti-jamming molto migliorate rispetto alle varianti precedenti. Offrono inoltre una capacità chiamata M-code, che garantisce un segnale sicuro e preciso agli utenti militari. Lockheed sta già lavorando a un modello più avanzato (Gps IIIF), il cui lancio è previsto per il 2027. Accanto a questi satelliti, la Space Force sta valutando l’impiego di sistemi alternativi, più piccoli, più economici, più facili da produrre e in grado di operare in aree degradate dove il Gps non è oggi accessibile.

“L’intento di questo sforzo complessivo è quello di esplorare le opportunità per i fornitori spaziali non tradizionali e/o tradizionali di produrre rapidamente, integrare e rendere disponibili per il lancio, carichi utili per la navigazione che siano interoperabili con le apparecchiature utente GPS esistenti e future, riducendo al minimo le modifiche ai segmenti di controllo a terra GPS attuali e futuri”, ha dichiarato il Comando.

Ma oltre allo Spazio, ci sono anche gli abissi marini. La Defense Innovation Unit (unità responsabile dell’innovazione commerciale) del Pentagono ha assegnato ad Anduril Industries un contratto che porterà la sua famiglia di droni subacquei dalle grandi dimensioni nelle mani della Us Navy.

L’aggiudicazione avviene sulla base dei risultati di un test promosso l’anno scorso dalla Diu. In questo test i droni subacquei di grandi dimensioni già disponibili in commercio venivano messi alla prova per valutarne la maturità e l’applicabilità nel condurre “rilevamenti subacquei distribuiti, a lungo raggio e persistenti e per la consegna di carichi utili in ambienti contesi” secondo quanto si legge in un comunicato stampa rilasciato da Anduril l’8 febbraio.

La US Navy sta registrando difficoltà nel dotarsi di veicoli di questa tipologia. Nel 2017 ha avviato il programma di veicoli subacquei senza equipaggio di grande diametro Snakehead, anche se il programma di ricerca originale risale a prima del 2015. Il primo prototipo di Snakehead è stato battezzato solo nel 2022 e la Marina e il Congresso hanno deciso di cancellare il programma nel corso dello stesso anno. Tuttavia, è stato in qualche modo resuscitato come ricerca di mercato per identificare la tecnologia disponibile in commercio che potrebbe essere utile alla flotta statunitense. Parallelamente, la US Navy ha portato avanti anche il programma Orca, che a sua volta sta riscontrando dei ritardi, ma che continua a mantenere late le aspettative.


formiche.net/2024/02/spazio-ab…



#laFLEalMassimo – Episodio 114: DDL Capitali Gattopardi e Silver Bullet


Questa rubrica, mantiene la consuetudine di ribadire in apertura il proprio sostegno al popolo ucraino e la ferma condanna della dell’invasione perpetrata dalla Russia, che rimane una minaccia per tutte le società aperte e i paesi democratici. Di recente

Questa rubrica, mantiene la consuetudine di ribadire in apertura il proprio sostegno al popolo ucraino e la ferma condanna della dell’invasione perpetrata dalla Russia, che rimane una minaccia per tutte le società aperte e i paesi democratici.

Di recente si è parlato del provvedimento legislativo che con un tocco di bacchetta magica dovrebbe guarire tutti i mali del nostro mercato dei capitali, indurre piccole e medie aziende a quotarsi con entusiasmo, investitori stranieri accorrere con le tasche piene e dulcis in fundo convincere marchi storici come la Ferrari a ritornare a quotarsi in patria.

Trattandosi di materia molto tecnica non mi permetto di emettere giudizi definitivi e mi limito a formulare qualche considerazione di principio. Troppe volte in questo paese, quando i problemi strutturali non vengono impunemente ignorati, si procede con una strategia diversiva per la quale si attribuiscono virtù taumaturgiche a provvedimenti marginali, attraverso staw man argument retorici, neanche troppo nascosti, che suggeriscono di sparare a un mosca con un cannone, per risolvere i mali del mondo.

Vorrei concedere il beneficio del dubbio al nuovo DDL capitali auspicando che possa portare qualche miglioramento al nostro sistema, se non altro per il merito di aver sottolineato diversi dei limiti che lo caratterizzano.

Rimane tuttavia opportuno mantenere un sano e scettico realismo: se i risparmiatori, piccoli e grandi, italiani e stranieri, non trovano abbastanza attraente o conveniente investire nella borsa di Milano, così come rare e poche sono le aziende che scelgono di quotarsi, non è modificando qualche regola macchinosa sui diritti di voto che si può immaginare di modificare radicalmente la situazione.

Uno dei benefici indiretti della libera circolazione dei capitali e delle persone è che innesca una salutare concorrenza tra i diversi ordinamenti. L’Italia per il momento ha battuto un colpo e il tempo ci dirà se si tratta di una misura efficace e utili oppure dell’ennesimo miagolio del gattopardo che si a parole si propone di cambiare tutto, ma nei fatti sta bene attento a che nulla cambi.

youtube.com/embed/KwyxiM_p2ik

L'articolo #laFLEalMassimo – Episodio 114: DDL Capitali Gattopardi e Silver Bullet proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Il boomerang delle sanzioni. Russia e Cina aumentano le loro capacità ai danni del potere strategico degli USA l Red Hot Cyber

"Le recenti dinamiche geopolitiche stanno evidenziato un fenomeno già anticipato nel panorama tecnologico internazionale. Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti nei confronti di paesi antagonisti stanno spingendo questi ultimi verso una maggiore autonomia e indipendenza tecnologica."

redhotcyber.com/post/il-boomer…



La rivoluzione dei droni. Dottrina militare e nuove tecnologie viste da Borsari (Cepa)


Negli scenari di crisi del mondo attuale, l’impiego dei droni continua a crescere sempre di più. E questo incremento oggettivo rappresenta uno stimolo che le strutture politico-militari dei singoli attori internazionali non possono assolutamente ignorare.

Negli scenari di crisi del mondo attuale, l’impiego dei droni continua a crescere sempre di più. E questo incremento oggettivo rappresenta uno stimolo che le strutture politico-militari dei singoli attori internazionali non possono assolutamente ignorare. Federico Borsari, analista del Cepa ed esperto in materia, ne ha parlato con Formiche.net.

Quali sono i principali aspetti su cui si concentrano gli sforzi di ricerca e sviluppo nel mondo degli Uncrewed Aerial Systems (Uas)?

Il trend che stiamo vedendo a livello globale è quello di una trasformazione dei droni da semplici velivoli a pilotaggio remoto, de facto spostando il pilota dalla cabina di pilotaggio al centro di comando e controllo, in sistemi che possono fare tutto, o quasi, in modo autonomo. Da semplici velivoli pilotati da remoto a veri e propri computer volanti. Gli sforzi tecnologici mirando a rendere i droni sempre più autonomi per quel che riguarda tutte le loro capabilities. Quindi raccogliere dati, trasmetterli in tempo reale, ma anche processarli sul velivolo stesso, così da permettere al drone di sfruttare tali dati per scegliere quali courses of action seguire, dal continuare il monitoraggio all’ingaggiare un tale obiettivo piuttosto che un altro; ma anche processare le informazioni in modo complesso per estrapolare determinati indicatori che poi vengono trasmessi alla rete comando e controllo a distanza. Poi c’è ovviamente tutta la parte più legata alla fisica del volo e alle performance aereonautiche, al raggio d’azione, alla capacità di carico. Sotto questo aspetto l’impegno è profuso nella ricerca di nuovi materiali più leggeri, o di nuovi sensori che migliorino le prestazioni, o ancora nel miglioramento dell’efficienza della propulsione per garantire minor consumo e maggior durata della missione. Ma il “core” dei processi di ricerca e sviluppo è lo sforzo per rendere i droni, se non completamente autonomi, completamente automatizzati e semi-autonomi. Per arrivare, in un futuro, a droni completamente autonomi. Che apre le porte per il concetto di swarming.

Che si intende per swarming?

La capacità di operare in grande numero e all’unisono. Un determinato numero di droni, cento come un migliaio, connessi l’uno con l’altro, capaci di condividere informazioni in tempo reale e compiere scelte sulla base di quello che il contesto fornisce loro, reagendo anche a cambiamenti repentini dello stesso.

Un concetto affascinante. Per renderlo operativo ed efficiente però sembra che sia più importante la quantità, che la qualità…

Certo. Non a caso c’è una tendenza generale nel cercare di abbassare i costi, investendo su tecnologie dual-use facilmente rimpiazzabili e replicabili, favorendo sistemi considerati come “sacrificabili” proprio per i costi contenuti che ne consentono la produzione su larga scala. E in caso di conflitto sarebbe un fattore importante, poiché ci sarebbe la necessità di sostituire un gran numero di sistemi che vengono persi per varie ragioni, e che però visto il costo più ridotto rispetto non solo agli aerei tradizionali, ma anche rispetto a droni più costosi e sofisticati, sarebbe decisamente più sostenibile come processo. Perdere un qualsiasi drone First-Person View non è come perdere un MQ-9 Reaper. Ma anche perderne cento, o mille. Il concetto di affordable mass si basa proprio questo principio.

Un’evoluzione tecnologica che presuppone anche un adattamento dottrinario. Secondo quale processo?

Se ci pensiamo i droni non sono una tecnologia nuova. La sua introduzione nei sistemi militari era già avvenuta anni fa. Prima però i droni venivano perlopiù utilizzati quasi esclusivamente con funzioni di ricognizione in contesti a bassa intensità, come in operazioni di counterinsurgency caratterizzate da spazi arei praticamente non contesi e con larghissimo spazio di manovra. Oggi invece i droni vengono impiegati in una serie di missioni diverse, dalla ricognizione all’attacco, dalla soppressione delle difese aeree nemiche al combat search and rescue. C’è quindi la necessità di adattare la dottrina militare a questi nuovi ruoli, integrando al suo interno la componente tecnologica. E allo stesso tempo serve testare la “nuova dottrina” sul campo, per sviluppare determinati concetti operativi necessari ad una dottrina generale più ampia, che serve per determinare che ruolo avrà il drone in ciascuna situazione, e come integrarlo con altre capabilities.

Secondo una notizia recente, le forze armate ucraine starebbero istituendo al loro interno una vera e propria branca dedicata esclusivamente ai droni. Cosa significa?

Il caso dell’Ucraina è esemplare. Kyiv si stava accorgendo dell’importanza dei droni già nelle settimane immediatamente successive all’invasione russa, e stava già adattando di conseguenza la propria dottrina. Ricordiamoci che l’Ucraina è stato uno dei primi Paesi occidentali a introdurre delle vere e proprie unità specializzate esclusivamente nell’impiego di Uas. Lo abbiamo visto soprattutto nel dominio navale, dove queste unità hanno impiegato “droni suicidi” per infliggere duri colpi alla flotta russa del Mar Nero. Ma il loro utilizzo si sta ampliando sempre di più, anche nelle altre dimensioni. Ogni unità dell’esercito ucraino ha le proprie capacità unmanned integrate, e questo permette grande flessibilità. A cambiare non è solo la dottrina, ma la struttura stessa delle forze armate. Il nuovo servizio che Kyiv sta istituendo, dedicato all’addestramento all’uso dei droni e allo sviluppo dei concetti operativi, che va proprio in questa direzione, è una cosa senza precedenti. Ed è ovviamente conseguenza delle necessità dell’Ucraina impegnata in guerra. Questi aspetti sono tanto importanti quanto la tecnologia stessa.

Maggiore l’importanza che assumono questi sistemi, maggiore l’importanza di avere a disposizione contromisure efficaci. Si è visto un adattamento proporzionale in questo senso?

I sistemi counter-Uas hanno acquisito sempre più importanza di pari passo con il ruolo offensivo di questi sistemi, che è aumentato esponenzialmente nell’ultimo periodo. Fino a poco tempo fa c’era una situazione di sostanziale svantaggio per chi doveva difendersi dai droni, soprattutto di piccole dimensioni, per via del loro numero sempre maggiore. Svantaggio che derivava non tanto dall’ incapacità di colpirli, quanto da una sostanziale diseconomicità nell’utilizzo di difese aeree tradizionali. Abbattere droni che costano ventimila o trentamila dollari impiegando sistemi intercettori con un costo unitario di un milione di dollari non era assolutamente sostenibile. Inoltre, l’utilizzo di Uas in numero sempre maggiore, anche all’interno della stessa operazione offensiva, rende difficile un loro contrasto con sistemi di difesa aerea tradizionali. Quindi le soluzioni sono due: o si aumenta il numero di sistemi aerei difensivi e di intercettori, con gli enormi costi che ne conseguono, oppure si cercano soluzioni alternative che possano offrire flessibilità e modularità nell’approccio.

Come ad esempio?

Come ad esempio il ricorso alla guerra elettronica, che sta vedendo un interesse rinnovato in questo periodo. La guerra elettronica offre una vasta gamma di “soluzioni”, dall’interruzione del segnale di navigazione del drone o della connessione con l’operatore, all’invio di dati di navigazione falsi all’apparecchio (il cosiddetto spoofing). Un approccio molto efficace, soprattutto quando integrato con sistema di difesa aerea “tradizionali” per offrire un ulteriore livello di protezione. Ma anche sistemi d’intercettazione “tradizionali” specifici per droni, di dimensioni relativamente piccole e basati sull’uso di testate a frammentazione che rilasciano tantissimi frammenti proprio per distruggerei droni avversari, stanno vedendo un uso sempre più estensivo. E ancora, ci sono soluzioni “passive”, e anche banali, ma comunque efficaci: pensiamo alle reti anti-drone impiegate con successo in Ucraina.

E per il futuro a cosa si guarda, da questo punto di vista?

A metodi sofisticati come le armi che utilizzano l’energia diretta: laser ad alta intensità, emettitori di microonde, et cetera. Queste tecnologie va ad agire sul drone in diversi modi: mentre i laser sfruttano l’energia della luce per fondere il drone, o comunque danneggiarlo, le microonde distruggono o danneggiano i circuiti interni dello stesso. Queste tecnologie sono ancora in una fase embrionale, anche se alcune sono già operative. Israele è uno dei pionieri nel campo, soprattutto per le armi che sfruttano il laser. Tel Aviv sta concentrando sforzi importanti nel programma noto come “Iron beam”, un sistema non ancora operativo, ma che è stato già testato con successo. Lo svantaggio di queste armi sono le dimensioni molto grandi, che rendono complesso l’aspetto logistico. Ma sono già in sviluppo sistemi più piccoli e portatili che possono essere installate su piattaforme mobili. Gli Usa lo stanno testando con il loro programma “M-Shorad”, di cui vedremo le prime applicazioni entro due anni circa. E anche dei “droni anti-droni” stanno venendo testati con successo.


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Io scendo qua – Pensieri disordinati di una povera pazza


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Così la Russia ruba Starlink all’Ucraina


Per Kyiv, Starlink potrebbe essere un’arma a doppio taglio. Pare infatti che le forze russe stiano utilizzando il servizio di comunicazione che SpaceX aveva messo a disposizione delle truppe ucraine e che ora invece starebbe aiutando anche i suoi invasori

Per Kyiv, Starlink potrebbe essere un’arma a doppio taglio. Pare infatti che le forze russe stiano utilizzando il servizio di comunicazione che SpaceX aveva messo a disposizione delle truppe ucraine e che ora invece starebbe aiutando anche i suoi invasori, ha spiegato DefenseOne.

Fonti ucraine riportano che le truppe di Kyiv avrebbero rilevato per la prima volta l’utilizzo in prima linea da parte della Russia dei dispositivi collegati al satellite diversi mesi fa, a cui sono poi seguiti altri episodi dove veniva registrato un simile utilizzo. Al momento, le forze russe sembrano utilizzare decine di terminali Starlink lungo l’intero fronte. A diffondere questa notizia non sono solo fonti ucraine: anche importanti gruppi di volontari russi che sostengono l’invasione hanno mostrato i terminali Starlink acquistati per le unità dell’esercito.

Il portavoce del Pentagono Jeff Jurgensen ha dichiarato che i funzionari statunitensi sono a conoscenza delle notizie, ma ha rimandato le domande ai “nostri partner ucraini per qualsiasi informazione operativa attuale riguardante attività di comunicazione satellitare di questo tipo”.

In un post su X dell’8 febbraio, i funzionari di SpaceX hanno dichiarato che l’azienda “non fa affari di alcun tipo con il governo russo o con i suoi militari. Starlink non è attivo in Russia, il che significa che il servizio non funzionerà in quel Paese. SpaceX non ha mai venduto o commercializzato Starlink in Russia, né ha spedito attrezzature a località russe […] Se i negozi russi affermano di vendere Starlink per il servizio in quel Paese, stanno truffando i loro clienti”, si legge nel tweet.

Ma questo divieto può essere aggirato: i russi possono facilmente acquistare i servizi Starlink all’estero e poi distribuirli alle loro forze armate, ha osservato la seconda fonte ucraina. Non a caso, nel post SpaceX non ha fatto riferimento all’effettivo impiego dei servizi di Starlink in Ucraina.

In linea teorica, SpaceX sarebbe in grado di impedire l’uso dei dispositivi Starlink nel territorio occupato dalla Russia. Il suo fondatore Elon Musk afferma di aver rifiutato una richiesta dell’Ucraina di abilitare l’accesso a Starlink nella Crimea occupata dai russi, così da permettere di sfruttarlo in operazioni offensive. Tuttavia, secondo Bryan Clark, senior fellow dell’Hudson Institute, le truppe russe potrebbero nascondere a SpaceX l’uso di Starlink.

La Russia potrebbe semplicemente “fornire un falso segnale GPS al terminale Starlink in modo da fargli credere che l’utente si trovi in territorio ucraino” ha detto Clark, che ha anche sostenuto l’idea che l’Ucraina potrebbe capire se la Russia sta usando Starlink, poiché i segnali dei terminali possono essere identificati con apparecchiature di intelligence dei segnali.

I dispositivi consentono alle truppe di prima linea di creare reti di comunicazione mobili da utilizzare nei centri operativi e per coordinare i colpi di artiglieria. Anche l’esercito americano utilizza sempre più spesso i dispositivi Starlink, come si è visto nelle recenti esercitazioni presso il National Training Center in California. A settembre il Comando spaziale ha assegnato a SpaceX un ordine di 70 milioni di dollari per Starshield, una versione militare di Starlink.


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Ucraina due anni dopo. Il ruolo della deterrenza secondo Caruso (Sioi)


Il 24 febbraio verrà ricordato nei libri di storia e da tutti noi come lo è stato per la caduta del muro di Berlino o l’attacco alle Torri gemelle. Le conseguenze e le ripercussioni dell’invasione russa dell’Ucraina hanno avuto un impatto profondo su dive

Il 24 febbraio verrà ricordato nei libri di storia e da tutti noi come lo è stato per la caduta del muro di Berlino o l’attacco alle Torri gemelle. Le conseguenze e le ripercussioni dell’invasione russa dell’Ucraina hanno avuto un impatto profondo su diversi aspetti della geopolitica e della sicurezza internazionale. A due anni dall’inizio dell’invasione russa, il conflitto ha segnato profondamente il panorama internazionale, con ripercussioni che vanno ben oltre i confini dei due Paesi coinvolti.

Indubbiamente l’invasione russa dell’Ucraina ha causato un riorientamento dell’ordine internazionale accelerando un riassetto geopolitico già in corso e spingendo molti Paesi a rivalutare le loro alleanze e le loro strategie di sicurezza. La risposta dell’Occidente, in particolare dell’Unione europea e degli Stati Uniti, ha mostrato un rafforzamento della solidarietà transatlantica, ma anche l’emergere di divisioni più profonde a livello mondiale, accentuandone la polarizzazione globale.

Il conflitto ha evidenziato l’importanza della tecnologia e dell’innovazione militare, con un particolare focus sull’uso dei droni, della difesa missilistica, della guerra cibernetica e delle tecniche di informazione e disinformazione. Questo ha portato ad una riconsiderazione delle priorità di difesa e degli investimenti in tecnologia da parte di molti Paesi. L’Ucraina si è rapidamente militarizzata in risposta all’invasione, ricevendo un significativo supporto militare da parte dei Paesi occidentali con un conseguente cambiamento nelle dinamiche di potere nella regione. Allo stesso tempo, la minaccia percepita dall’aggressione russa ha accelerato i dibattiti sull’ampliamento della Nato, con la Svezia e la Finlandia che hanno cercato l’adesione all’alleanza, marcando una significativa evoluzione nella politica di sicurezza europea che ha cambiato profondamente gli equilibri geo-strategici, in Europa e nel mondo intero. La guerra ha spinto i Paesi Nato, e non solo, a rivedere le loro strategie di deterrenza e di difesa, con un’enfasi rinnovata sulla prontezza militare, la difesa collettiva, la sicurezza energetica e nuovi strumenti per affrontare le minacce ibride e cibernetiche.

La situazione sul campo di battaglia, secondo esperti consultati dall’Atlantic Council, è lontana dall’essere in stallo, evidenziando invece una dinamica di costante cambiamento. In particolare, l’Ucraina ha ottenuto successi significativi nel mar Nero, compromettendo le operazioni di blocco russe e aprendo corridoi marittimi per l’esportazione del grano ucraino sui mercati globali. Questi sviluppi dimostrano l’adattabilità e la resilienza ucraina, mentre la Russia non ha ottenuto il totale controllo del mar Nero, area che Vladimir Putin ritiene di vitale importanza per considerare la Russia come una potenza continentale.

Permangono, tuttavia, molteplici interrogativi riguardo alla sufficienza dell’aiuto militare fornito, con rilievi sulla necessità di un supporto più significativo per garantire successi concreti anche sul fronte terrestre. Le titubanze di molte cancellerie occidentali, l’incapacità delle economie europea e statunitense – a differenza di quella russa – di trasformarsi rapidamente in economie di guerra, hanno evidenziato l’incapacità dei Paesi occidentali di affrontare conflitti su larga scala e per lunghi periodi di tempo, che richiedono grande impegno di risorse economiche e umane.

Risorse umane che l’Ucraina ha dimostrato di saper impegnare sia in campo militare che civile. Se le Forze armate ucraine hanno subito perdite significative, la popolazione civile ucraina ha subito perdite devastanti e sfide umanitarie immense. Milioni sono stati sfollati, sia internamente che come rifugiati nei Paesi vicini, affrontando la distruzione delle infrastrutture e gravi crisi umanitarie. La resilienza civile, tuttavia, è stata notevole, con un forte senso di unità nazionale e di resistenza culturale emergente in risposta all’aggressione.

Dal punto di vista economico, le sanzioni economiche imposte alla Russia da una larga coalizione di Paesi hanno avuto un impatto significativo sulle relazioni commerciali internazionali, accelerando i processi di decoupling economico e la ricerca di catene di approvvigionamento più resilienti e diversificate. Fattori che stanno anche influenzando il dibattito su temi come la sicurezza energetica, la fragilità delle supply chain globali, specialmente in settori critici come quello energetico e alimentare. Paesi in tutto il mondo hanno risentito degli shock alle supply chain, con conseguenze sulla sicurezza alimentare, sui prezzi dell’energia e sull’inflazione globale.

Sul fronte della ricostruzione, la guerra ha imposto un pesante fardello all’Ucraina. Secondo Rand corporation, il costo per la ricostruzione del Paese è stato stimato in 349 miliardi di dollari già a settembre 2022, superiore al Pil pre-invasione dell’Ucraina e tre volte maggiore rispetto all’assistenza militare, umanitaria e finanziaria fornita dall’inizio del conflitto. Nonostante le richieste di riparazioni, appare improbabile che l’Ucraina riceva compensazioni dirette dalla Russia, preparandosi piuttosto a un conflitto prolungato e su larga scala.

In conclusione, l’invasione russa dell’Ucraina ha generato una complessa rete di sfide e cambiamenti che vanno dalla sicurezza militare alla geopolitica, dall’economia alla sicurezza energetica. La risposta internazionale e la resilienza ucraina continuano a essere fondamentali nel plasmare il futuro di questa crisi, con implicazioni che vanno ben oltre i confini regionali. Guardando al futuro, è chiaro che la guerra in Ucraina continuerà ad avere un impatto profondo a livello globale. La sfida per la comunità internazionale sarà non solo quella di sostenere l’Ucraina nel suo percorso di ricostruzione e resistenza, ma anche di riconfigurare le relazioni internazionali in un modo da prevenire conflitti futuri di questa scala. Il presidente americano Theodore Roosevelt usava dire: “Parla con gentilezza e portati dietro un grosso bastone”.

La deterrenza giocherà un ruolo essenziale in questi equilibri tra potenze sempre più polarizzate. La prevenzione dei conflitti si potrà ottenere solo con una visione lungimirante, un saggio impiego della diplomazia unito ad uno strumento militare credibile, ingredienti essenziali per affrontare le sfide poste da questa crisi senza precedenti e cruciali per navigare nelle acque turbolente dei prossimi anni.


formiche.net/2024/02/ucraina-d…




Di che si trattora


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Ogni 10 febbraio siamo costretti ad assistere alla perpetua falsificazione della memoria. Ogni anno la storia viene riscritta, i carnefici diventano le vittime

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Ritrovata senza vita Hind, la bimba palestinese scomparsa. Uccisi anche i due paramedici inviati a salvarla


Dopo 12 giorni di appelli e di speranza, è stato recuperato il corpo della bambina di 6 anni che aveva trascorso ore, bloccata in auto, al telefono con i suoi soccorritori. Uccisi anche i volontari della Mezzaluna Rossa L'articolo Ritrovata senza vita Hi

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Pagine Esteri, 10 febbraio 2024. Si è conclusa nel peggiore dei modi la storia e la vita di Hind Hamada, La bambina palestinese di soli 6 anni che è rimasta per ore al telefono con i soccorritori nell’automobile attaccata dai carri armati israeliani.

Dopo 12 giorni la piccola, per la cui sorte si era alzato un coro di appelli internazionali, è stata ritrovata morta nel mezzo in cui viaggiava insieme ai suoi parenti, mentre fuggiva da Gaza City verso il sud della Striscia.

Tutti uccisi i membri della sua famiglia, compresi altri bambini.

La storia di Hind ha fatto il giro del mondo: la sua voce spaventata che supplicava aiuto, registrata per ore dal centralino della Mezzaluna Rossa Palestinese, rimarrà per sempre un grido inascoltato.

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Come quella della sua cuginetta Layan, di 15 anni, la prima a rispondere ai volontari della PRCS. La sua morte è avvenuta in diretta audio: “siamo bloccati in macchina, ci sono i carri armati vicino a noi, ci stanno attaccando”. Poi spari, urla e nulla più.

Alla chiamata successiva è stata Hind a rispondere. Ha detto che tutti gli altri erano morti e che lei era ferita. Ha parlato per ore con Rana al-Faqeh, una coordinatrice della Mezzaluna Rossa e anche con sua madre, Wissam, che pur essendo di poco distante non poteva accedere alla zona in cui l’esercito israeliano stava operando con i mezzi corazzati.

Lo stesso valeva per le ambulanze della Mezzaluna che hanno provato a coordinare una difficile operazione di soccorso con i militari, per garantire il passaggio sicuro del mezzo e degli operatori che si trovavano all’interno, Yousef Zeino e Ahmed Madhoun.

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Yousef Zeino e Ahmed Madhoun, i due volontari della Mezzaluna Rossa uccisi mentre provavano a salvare Hind, di 6 anni

Quel lunedì 29 gennaio l’ambulanza, infine, è partita: si stava facendo sera e Hind pregava al telefono di essere portata via, diceva di aver paura del buio.

I membri della Mezzaluna hanno comunicato alla sala operativa di essere arrivati sul posto in cui si trovava l’automobile con la bambina e la sua famiglia massacrata. Erano le 18 circa.

Secondo lo zio, Hind è riuscita a dire al telefono, in collegamento con la madre, di vedere da lontano l’ambulanza. E queste sono state le sue ultime parole.

Poi più nessuna notizia, per 12 giorni, di Hind né dei volontari della Mezzaluna.

Questa mattina è venuta a galla la terribile verità: tutti morti. La bimba di 6 anni, i suoi cuginetti e i suoi zii e anche Yousef e Ahmed. Uccisi tutti. L’ambulanza è stata bombardata.

Dal giorno della scomparsa la Mezzaluna ha pubblicato appelli quotidiani per provare ad avere notizie dei suoi membri e di Hind. Ma è stato tutto inutile. Erano tutti morti quel giorno eppure l’esercito israeliano ha prima dichiarato di non essere a conoscenza di “incidenti” nella zona e poi ha detto che avrebbe “indagato”.

Non è stato possibile per nessuno raggiungere l’area.

Hind si trovava in quell’automobile solo perché troppo piccola per camminare ore a piedi, come invece hanno fatto i suoi fratelli più grandi e i suoi genitori, per provare a raggiungere l’ospedale Ahli, nella speranza di trovarvi rifugio.

Quella mattina l’esercito israeliano aveva ordinato agli abitanti di evacuare la zona Ovest di Gaza City ed era esattamente quello che la famiglia di Hind stava facendo.

Mentre procedeva in direzione sud, l’automobile si è trovata circondata dai carri armati. Lo zio di Hind ha provato a fermarsi nella stazione di servizio di Fares, sperando di essere al sicuro. Ma è stato tutto inutile.

12 giorni ci sono voluti per avere notizie della loro sorte, per recuperare i corpi, in una Striscia di Gaza occupata ormai alla violenza senza controllo, dove la distruzione e gli omicidi extragiudiziali sono diventati il pane quotidiano per una popolazione abbandonata a se stessa e alla legge dell’esercito israeliano.

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Oggi #10febbraio ricorrono i 20 anni dall’istituzione del #GiornodelRicordo dedicato alla memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra.


VERSIONE ITALIANA FRANCIA, SECONDO LA CNIL LA VIOLAZIONE DEI DATI DELLE ASSICURAZIONI SANITARIE RIGUARDA QUASI LA META’ DELLA POPOLAZIONEAlla fine di gennaio in Francia I dati di oltre 33 milioni di persone sono stati compromessi in un attacco informatico. L’incidente coinvolge due compagnie di assicurazione sanitaria, Viamedis ed Elmer’s, e riguarda gli assicurati e le …


Arma dei Carabinieri italiana e la Polizia di Malta (Pulizija) impegnati in un'operazione contro una rete criminale coinvolta nel favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, nella frode documentale e nella falsificazione di valuta.


Nove arresti a Napoli e lo smantellamento di sette tipografie contraffatte sono il risultato di una prolungata attività di indagine avviata dal Comando Carabinieri Antifalsificazione Monetaria di Roma nel settembre 2020. I sequestri comprendono centinaia di documenti di identità falsi, apparecchiature e materiali contraffatti nonché altri beni, per un valore complessivo di circa 1 milione di euro.
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I membri della rete criminale avrebbero agevolato l'immigrazione clandestina attraverso la produzione e la diffusione di patenti di guida, documenti di immatricolazione e documenti di identificazione nazionale falsi, nonché falsificazione e traffico di banconote in valuta estera.
Il gruppo criminale è stato particolarmente attivo in Italia e a Malta, dove ha distribuito grandi quantità di passaporti vergini falsi a migranti irregolari provenienti da paesi sub-sahariani e del Medio Oriente. I documenti falsificati, di qualità particolarmente elevata, hanno permesso ai migranti di imbarcarsi su voli da Malta e dall'Italia verso numerose destinazioni dell'Europa occidentale. Le autorità hanno sequestrato molti di questi documenti contraffatti in Belgio, Svizzera, Francia e Italia.
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L'indagine ha inoltre rivelato che il gruppo criminale era coinvolto in una serie di altre attività criminali, tra cui l'occultamento di veicoli rubati e la produzione di grandi quantità di banconote da 20.000 franchi congolesi contraffatte. Si stima che banconote contraffatte per un valore totale di 54 milioni di franchi congolesi (circa 18.000 euro) siano state prodotte con l'intenzione di essere introdotte nel sistema finanziario della Repubblica Democratica del Congo.
Anche #Europol ha sostenuto questa indagine facilitando lo scambio di informazioni, coordinando le attività operative e fornendo supporto analitico operativo su misura, nonché con due esperti – uno specialista nel traffico di migranti e uno nella contraffazione monetaria – per supportare le attività sul campo effettuando un controllo incrociato delle informazioni operative raccolte in tempo reale.

Per saperne di più sul Comando carabinieri Anfalsificazione Monetaria =>
carabinieri.it/chi-siamo/oggi/…

#Armadeicarabinieri #ComandoCarabinieriAntifalsificazioneMonetaria #Pulizija #Malta



GAZA. Mentre Israele attacca Rafah, gli Stati Uniti lanciano solo inviti alla cautela


Funzionari Usa e lo stesso Biden hanno espresso in questi giorni le critiche più taglienti per le vittime civili fatte da Israele a Gaza, ma non c'è nulla che suggerisca che la retorica di Washington sarà sostenuta da qualche azione. L'articolo GAZA. Men

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della redazione con informazioni diffuse dall’agenzia Reuters

Pagine Esteri, 9 febbraio 2024Funzionari statunitensi hanno espresso in questi giorni le critiche più taglienti per le vittime civili fatte da Israele a Gaza. Lo stesso presidente Joe Biden ha descritto ieri come “esagerata” la reazione di Israele all’attacco di Hamas il 7 ottobre. Ma mentre lo Stato ebraico sposta il centro della sua offensiva militare su Rafah, ma non c’è nulla che suggerisca che la retorica di Washington sarà sostenuta da qualche azione concreta.

Mercoledì, durante il suo quinto viaggio nella regione dopo l’attacco mortale di Hamas del 7 ottobre, il Segretario di Stato Antony Blinken ha criticato l’attività militare israeliana a Gaza, affermando che il numero delle morti civili resta troppo alto anche dopo ripetuti avvertimenti e ha suggerito a Israele passi specifici da seguire.

Qualsiasi “operazione militare intrapresa da Israele deve mettere i civili al primo posto… E questo è particolarmente vero nel caso di Rafah”, a causa della presenza di più di un milione di sfollati, ha detto Blinken in una conferenza stampa. Ma quando gli è stato chiesto se gli Stati Uniti sarebbero rimasti a guardare mentre le forze israeliane prendevano di mira Rafah, Blinken ha solo ripetuto la posizione americana secondo cui l’operazione militare israeliana dovrebbe mettere i civili al primo posto.

I diplomatici statunitensi hanno esortato Israele a cambiare la sua tattica a Gaza per mesi, senza successo. Washington però non ha avviato misure che avrebbero potuto esercitare una maggiore pressione, come ridurre i 3,8 miliardi di dollari di assistenza militare annuale a Israele o modificare il sostegno alle Nazioni Unite al suo alleato di lunga data. I critici affermano che ciò fornisce un senso di impunità a Israele.

Aaron David Miller del Carnegie Endowment for International Peace ha citato fattori, tra cui il sostegno personale del presidente Joe Biden a Israele e alla sua politica come ragioni per cui gli Stati Uniti non hanno intrapreso tali passi. L’Amministrazione continuerà a “lavorare con gli israeliani, a volte parlerà duro, ma finché non si vedrà qualche prova concreta che sono pronti a fare davvero delle cose…non vedo cosa potrebbe accadere”, ha detto Miller.

Più della metà degli abitanti di Gaza si trovano a Rafah, al confine egiziano, molti dei quali si sono spostati più volte per sfuggire al conflitto. Israele ha già bombardato Rafah e i residenti temono un attacco di terra. Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha detto che la campagna israeliana si espanderà alla città per prendere di mira i militanti (di Hamas). Ieri, il portavoce della Casa Bianca, John Kirby, ha affermato che qualsiasi attacco a Rafah senza la dovuta considerazione per i civili sarebbe “un disastro”. Secondo funzionari del ministero della sanità a Gaza, quasi 28.000 persone sono state uccise nella campagna militare israeliana.

Israele ha scatenato la sua guerra affermando di voler sradicare Hamas dopo che i militanti di Gaza avevano lanciato un’incursione shock nel sud di Israele il 7 ottobre, uccidendo 1.200 persone e sequestrando circa 240 ostaggi. “Gli israeliani sono stati disumanizzati nel modo più orribile il 7 ottobre…Ma questa non può essere una licenza per disumanizzare gli altri”, ha detto Blinken.

Israele afferma di adottare misure per evitare vittime civili e accusa i militanti di Hamas di nascondersi tra i civili, anche nei rifugi scolastici e negli ospedali, provocando ulteriori morti tra i civili. Hamas lo nega. Pagine Esteri

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Netanyahu: “Attaccheremo Rafah. La popolazione deve evacuare”


Il "piano finale" israeliano è cominciato. A Rafah ci sono circa 1,2 milioni di palestinesi su una popolazione totale che a Gaza, prima della guerra, era di circa 2,3 milioni. Secondo Save the Children la maggior parte dei 610.000 bambini sfollati sono or

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di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 9 febbraio 2024. “È impossibile raggiungere l’obiettivo di eliminare Hamas lasciando quattro battaglioni di Hamas a Rafah. Al contrario, è chiaro che l’intensa attività a Rafah richiede che i civili evacuino le zone di combattimento”. La dichiarazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato ciò che già da giorni si immaginava sarebbe accaduto e che metà della popolazione palestinese, per la maggior parte sfollati mandati a Rafah dall’esercito israeliano, più di tutto ora teme.

Il “piano finale” israeliano è partito. Nonostante il seppur timido e tardivo “no” del presidente degli Stati Uniti d’America. “Israele sta esagerando” ha dichiarato Biden dopo 28.000 morti. “Ogni operazione a Rafah, con oltre un milione di palestinesi che vi si rifugiano, sarebbe un disastro e non la sosterremmo senza un’appropriata pianificazione” gli ha fatto eco il segretario di Stato Blinken dopo la sua ultima, infruttuosa visita a Tel Aviv.

E il momento della pianificazione, per bocca dello stesso Netanyahu, è subito arrivato. Il premier ha infatti ordinato alle forze armate di presentare al governo un “piano combinato per l’evacuazione della popolazione e la distruzione di Hamas”.

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Dopo il via libera americano alle “ammonizioni” per Israele, anche l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha scritto su X che l’attacco israeliano a Rafah avrebbe “conseguenze catastrofiche, peggiorando la già terribile situazione umanitaria e l’insopportabile bilancio civile”

1.4 million Palestinians are currently in #Rafah without safe place to go, facing starvation.

Reports of an Israeli military offensive on Rafah are alarming. It would have catastrophic consequences worsening the already dire humanitarian situation & the unbearable civilian toll.
— Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) February 9, 2024

Sono almeno 21 le persone uccise oggi dai cecchini israeliani appostati sui tetti delle abitazioni a Khan Yunis. Tutte provavano a entrare nell’ospedale Nasser o a uscirne. Anche il personale sanitario è stato attaccato. Un video mostra una giovane ragazza colpita dai cecchini a pochi metri dalle scuole piene di sfollati di fronte alla struttura sanitaria. Il sangue si è allungato in una lunga pozzanghera ed era ancora lì quando, ore dopo, decine di persone disperate provavano a conquistare due taniche di acqua potabile senza affacciarsi in strada. Con una lunga corda tiravano un piccolo carretto che doveva arrivare dall’ospedale alle scuole, attraversando così la strada, diventata ormai letale per gli esseri umani e, talvolta, anche per gli animali.

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L’Autorità Nazionale Palestinese ha condannato le dichiarazioni di Netanyahu e ha dichiarato che l’intenzione di attaccare Rafah e di evacuare i cittadini palestinesi costituisce “un serio preludio all’attuazione della politica israeliana volta a cacciare il popolo palestinese dalla propria terra“. L’ANP ha aggiunto, con toni minacciosamente impotenti, che riterrà il governo israeliano e gli Stati Uniti responsabili delle ripercussioni. Facendo appello al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Autorità ha chiesto un intervento che possa evitare “un’altra Nakba che spingerà l’intera regione in infinite guerre”.

In serata, dal Libano, Hezbollah ha effettuato uno dei più numerosi lanci di missili (60 verso Kiryat Shmona) da quando il confronto armato con Israele ha avuto inizio.

A Rafah ci sono circa 1,2 milioni di palestinesi su una popolazione totale che a Gaza, prima della guerra, era di circa 2,3 milioni. Secondo Save the Children la maggior parte dei 610.000 bambini sfollati sono ora intrappolati a Rafah in un’area inferiore a un quinto della superficie totale della Striscia. Molti di loro sono stati già sfollati più volte dall’esercito israeliano, dal nord di Gaza verso il centro e poi dal centro verso il sud. Le autorità israeliane hanno lanciato volantini per avvisare la popolazione di andar via, nell’imminenza di attacchi aerei e incursioni dei mezzi di terra, indicando loro con complicate numerazioni, le zone designate come sicure. Una per una quelle zone sono state attaccate e alla popolazione è stato detto ancora di spostarsi. Sempre più al sud, fino a raggiungere il punto più estremo, al confine con l’Egitto, che è appunto Rafah.

Intanto al nord e al centro i bulldozer, i carri armati e gli esplosivi israeliani distruggevano interi quartieri residenziali, campi coltivati, stadi sportivi, moschee, scuole. Con l’obiettivo, non di rado pubblicamente dichiarato, anche sui social network, di rendere impossibile il ritorno dei cittadini gazawi mandati via dalle proprie case.

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La situazione umanitaria a Rafah è disperata e inumana. Vi è affollata ormai circa metà dell’intera popolazione della Striscia. Non c’è spazio e non ci sono risorse per tutti. Si dorme in rifugi di fortuna, nelle scuole, negli ospedali, nelle macchine o per strada. Manca l’acqua e procurarsela, con i cecchini israeliani appostati, è estremamente difficile e pericoloso. I feriti non possono raggiungere gli ospedali e quelli che lo fanno trovano una situazione agghiacciante: non c’è spazio, non c’è personale, non bastano le medicine, i pazienti sono stesi a terra, tra i rifiuti medici non più smaltibili. La notizia di un’imminente attacco israeliano manda nel panico la popolazione già esageratamente provata. Non c’è altra via da percorrere per fuggire. Schiacciati al confine con l’Egitto che non intende prendersi cura di una popolazione che non vorrebbe lasciare la propria terra, il “piano finale” di cui lo stesso governo israeliano parlava a inizio guerra e che era stato apparentemente messo da parte, pare ore l’unico sviluppo possibile. A meno che non si trovi il modo di costringere Netanyahu a desistere, “l’evacuazione” della popolazione non potrebbe che avvenire al di fuori della Striscia di Gaza, fatta pezzi, saccheggiata, deflagrata, resa inabitabile, cancellata.

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   Paolo Favilli*   «È una gran cosa essere capaci di vedere ciò che è sotto il proprio naso. Di solito non lo facciamo, ma è un grande tal

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Brasile. Retata contro il partito di Bolsonaro. Trovate prove sul tentato golpe


La polizia brasiliana avrebbe trovato le prove dell'organizzazione di un colpo di stato da parte dell'ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro per impedire l'insediamento di Lula L'articolo Brasile. Retata contro il partito di Bolsonaro. Trovate pr

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di Redazione

Pagine Esteri, 9 febbraio 2024 – La polizia brasiliana ha realizzato una vasta operazione, denominata “Tempus Veritatis”, che ha sinora portato al sequestro del passaporto dell’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro (che lo scorso anno, in occasione dell’apertura delle indagini, si rifugiò per alcuni mesi negli Stati Uniti) e all’arresto di due suoi ex collaboratori, Felipe Martins e Marcelo Camara, oltre che del presidente del Partito Liberale, Valdemar Costa Netto, trovato in possesso di un’arma da fuoco illegale.

Le indagini coinvolgono anche Augusto Heleno, già ministro e capo del servizio di sicurezza statale, l’ex ministro della Giustizia Anderson Torres, l’ex ministro della Difesa, nonché candidato vice presidente, Walter Braga Netto, l’ex comandante dell’esercito Paulo Sergio Nogueira.

Nel corso di una perquisizione nei locali della sede del Partito liberale (Pl), della residenza di Bolsonaro e degli uffici di vari generali, la polizia avrebbe trovato le prove che una vasta rete politico-militare nel 2022 aveva organizzato un colpo di Stato alla vigilia delle elezioni di ottobre.

Nell’ambito delle indagini sul golpe organizzato per non riconoscere il risultato della competizione vinta da Lula da Silva – e che vide, l’8 gennaio 2023, migliaia di estremisti di destra marciare su Brasiliae mettere a ferro e fuoco numerose istituzioni federali sul modello dell’assalto al Campidoglio di Washington – la polizia ha affermato di aver trovato nella sede del Partito Liberale anche la bozza di un documento che «annuncia la dichiarazione dello stato d’assedio».
«Alla luce di quanto sopra, e per garantire il necessario ripristino dello Stato di diritto democratico in Brasile (…) sulla base di espresse disposizioni della Costituzione federale del 1988, dichiaro lo stato d’assedio e, come atto continuo, decreto l’operatività per garantire la legge e l’ordine», si legge nel paragrafo finale del documento, non firmato ma che presumibilmente avrebbe dovuto essere applicato dal presidente in carica per impedire l’avvicendamento con il vincitore delle elezioni.

Secondo gli inquirenti, sulla base della testimonianza del consigliere della Corte Suprema Federale Alexandre de Moraes, Bolsonaro non solo era a conoscenza del progetto di golpe ma ne era di fatto il regista occulto. Il leader dell’estrema destra avrebbe visionato personalmente la bozza del piano, correggendone alcune parti e dettando i tempi e le modalità di applicazione.

Nel corso della perquisizione gli agenti hanno anche rinvenuto, nel computer dell’ex aiutante di campo di Bolsonaro ed ora “collaboratore di giustizia” Mauro Cid, un filmato girato il 5 luglio 2022 in cui l’ex presidente Bolsonaro rivolge un appello ai ministri a lui più vicini, per preparare una strategia basata su fake news che contribuisse a creare un clima di forte conflitto nel paese alimentando i dubbi sulla trasparenza del sistema elettorale. Nel video Bolsonaro incita ex ministri e generale a diffondere informazioni false per sobillare una rivolta e ribaltare l’esito delle elezioni previste nel gennaio del 2023. Pagine Esteri

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Movie Star Junkies Boy, Life Is Chaos/Days Gone 7"


Due sono le canzoni proposte; la prima è Boy, Life Is Chaos, tesa allo spasimo come una corda che sta per spezzarsi, evocando atmosfere poeticamente decadenti da crepuscolo della repubblica di Weimar.

@Musica Agorà

iyezine.com/movie-star-junkies…

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Questo personaggio ne spara una più grossa delle altre. L'UE che è diventato il Raich del XXI secolo, il cancro dell'Europa stessa; ora è spacciata per la medicina, la cura per la societa. Nemmeno riesce più a nascondere la sua sottoscrizione, invece di difendere la sua nazione e la Costituzione.
imolaoggi.it/2024/02/09/mattar…


#Scuola, il Ministro Giuseppe Valditara ha firmato i due decreti che prevedono uno stanziamento di oltre 700 milioni di euro a favore delle scuole paritarie per l’anno scolastico 2023/2024.


La giustizia ingiusta


Macroscopiche invasioni nello spazio pubblico, in cui dovrebbe astenersi dall’entrare. Pericolosa tendenza a riscrivere le leggi. Utilizzazione di magistrati in uffici del potere esecutivo, a cominciare dal ministero della Giustizia. Debole esercizio del

Macroscopiche invasioni nello spazio pubblico, in cui dovrebbe astenersi dall’entrare. Pericolosa tendenza a riscrivere le leggi. Utilizzazione di magistrati in uffici del potere esecutivo, a cominciare dal ministero della Giustizia. Debole esercizio del potere di nomofilachia. Utilizzo del Consiglio superiore della magistratura (Csm) come organo di autogoverno, invece che di garanzia dell’indipendenza dei giudici. Crescente sfiducia dell’opinione pubblica nell’ordine giudiziario. Non tutti questi malfunzionamenti della macchina della giustizia dipendono solo dai giudici stessi. Ad esempio, la Corte costituzionale ha prima lasciato spazio, poi richiesto che i giudici rimettenti tentassero essi stessi un’interpretazione costituzionalmente orientata delle leggi da valutare, così aprendo spazi alla riscrittura delle leggi. Il Parlamento ha approvato leggi che lasciano troppa discrezionalità ai giudici, o mal scritte, o contraddittorie, così obbligando le corti a cavarsela da sole. La pubblica amministrazione non svolge i compiti amministrativi che ad essa spettano, lasciando quindi spazio alla supplenza giudiziaria.

Dipende, invece, in larga misura, dai giudici stessi il maggiore malfunzionamento della giustizia, la lentezza dei giudizi e la conseguente grande quantità di procedure pendenti. Questo è un problema capitale, come osservato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio il 17 gennaio di quest’anno in Parlamento, affermando che quella di una giustizia rapida è la sua preoccupazione fondamentale.

Le statistiche giudiziarie

La produttività della macchina della giustizia è misurabile in termini statistici e l’Italia è stata, un secolo fa, all’avanguardia in questo settore. Oggi dispone di numerosi dati, la maggior parte dei quali prodotti dalla Direzione generale di statistica e analisi organizzativa, che è un ufficio del ministero della Giustizia, ma fa parte del Sistema statistico nazionale.

La Direzione generale di statistica e analisi organizzativa – si può leggere nel sito del ministero – produce statistiche sull’attività degli uffici giudiziari di primo e secondo grado in ambito civile e penale e sulle spese di giustizia. Inoltre, la Direzione monitora il funzionamento di specifici istituti, quali la mediazione civile e commerciale e le procedure di composizione della crisi da sovra-indebitamento. Tuttavia, le statistiche dell’amministrazione penitenziaria sono prodotte dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e quelle della giustizia minorile dal Dipartimento della giustizia minorile e di comunità.

Poi, a inizio d’anno, un bilancio dello stato della giustizia viene presentato sia in Parlamento, sia all’opinione pubblica. In Parlamento ha svolto questo compito il ministro della Giustizia Nordio, il 17 gennaio di quest’anno, con una ampia relazione a cui era allegato un voluminoso rapporto. Per un pubblico più vasto si è prodotta la Corte di cassazione con la “Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2023”, presentata dalla prima presidente della Corte di cassazione il 25 gennaio di quest’anno. In questa relazione vi sono i dati relativi al funzionamento degli uffici di merito nel settore civile e penale.

Infine, ulteriori dati sono prodotti dai servizi statistici del ministero per tener conto del “vincolo esterno” costituito dal Piano nazionale di ripresa e di resilienza, che richiede un’accelerazione dell’attività giudiziaria, nonché una presentazione dei dati relativi, a consuntivo.

Questa pluralità di fonti può essere utilizzata soltanto tenendo conto che gli aggregati di riferimento sono diversi sotto il profilo temporale, sotto il profilo del contenuto e sotto il profilo della scansione, in qualche caso annuale, in altri semestrale e trimestrale. Ad esempio, i dati relativi alle relazioni di attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza contengono i dati di contenzioso, non quelli relativi alle procedure di esecuzione, mentre quelli forniti dalla Corte di cassazione sono aggregati per anno giudiziario, piuttosto che per anno solare. Per questo motivo, le tabelle riprodotte in queste pagine sono tratte dall’Annuario statistico 2023 dell’Istat.

Una giustizia lenta

Il bilancio che si trae da questi dati è quello di una giustizia lenta. Se si considerano le questioni giudiziarie sopravvenute, quelle esaurite e quelle pendenti negli anni più recenti, si nota un generale leggero miglioramento, con una riduzione dei tempi delle procedure e una diminuzione tra il 6 e il 13 per cento delle questioni pendenti. Tuttavia, la generale lentezza delle procedure giudiziarie conduce alla formazione di nuovi arretrati.

Le procedure pendenti civili a fine anno diminuiscono costantemente dal 2009 e quelle pendenti penali a fine anno diminuiscono dal 2013, ma con minore intensità. Tuttavia, il numero totale delle questioni ancora pendenti a fine anno (1922) supera i cinque milioni e l’accelerazione delle procedure non è sufficiente, per cui nel settore civile mediamente occorrono cinque anni e sei mesi per percorrere i tre livelli di giurisdizione, con una riduzione di soli quattro mesi rispetto all’anno precedente; in quello penale tre anni, con una riduzione di sette mesi rispetto all’anno precedente.

Istruttivo il caso recente del saluto fascista, una questione disciplinata con legge da settant’anni e che quindi non dovrebbe porre grandi problemi interpretativi. I fatti che hanno dato origine alla questione sono del 2016, la decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione del 2024, ma la controversia è ancora aperta perché è ora necessario che i principi stabiliti dalla Corte di cassazione trovino applicazione da parte della prima sezione penale della stessa Corte.

Cause ed effetti della giustizia lenta

I fattori che influiscono sui tempi dei procedimenti sono molti. Vi è in primo luogo il fattore legislativo, perché sono le norme che dettano regole sul merito delle questioni e disposizioni sulla procedura. Viene poi l’aumento o la diminuzione delle questioni sopravvenute, cioè della domanda di giustizia. In terzo luogo, il fattore relativo all’organizzazione del lavoro e alla produttività dei giudici.

Ora, al leggero miglioramento, ma insufficiente perché la giustizia italiana sia veramente giusta, contribuisce una migliore organizzazione del lavoro, ma anche la diminuzione delle questioni sopravvenute, in corso dal 2014. Il miglioramento assume un significato diverso se l’arretrato diminuisce perché aumenta il cosiddetto smaltimento (e cioè le decisioni), oppure perché diminuiscono le questioni sopravvenute. Nel primo caso, si può dire che si sta ponendo rimedio alla lentezza della giustizia. Nel secondo caso, il giudizio deve essere diverso perché la diminuzione delle questioni sopravvenute può essere il sintomo di una fuga dalla giustizia, prodotto proprio dei suoi tempi, che scoraggiano i cittadini a rimettere ai giudici la soluzione dei conflitti, cercata in altra sede.

Un altro fattore è quello relativo alla disponibilità di personale. L’attenzione portata sull’eccessivo numero di cause pendenti e sulla lunga durata dei processi ha animato una reazione relativa al personale. E’ stato notato che vi sono posti vacanti in organico, ma dimenticando che quello che conta non è l’organico, bensì il carico di lavoro, perché gli organici delle amministrazioni pubbliche si sono formati in epoche diverse e molto spesso sono stati gonfiati inutilmente.

Altra questione è quella della distribuzione delle corti sul territorio. Da trent’anni si lamenta che vi sono “tribunalini” da chiudere per sopperire al carico di lavoro delle maggiori corti (si pensi solo alla crisi attuale del Tribunale di Roma). Bisogna quindi verificare la geografia giudiziaria italiana per adeguarla alla domanda di giustizia.

Connessa a questa c’è l’altra questione, quella della distribuzione del personale, anche in relazione alle progressioni di carriera, spesso fatta non per soddisfare le esigenze della funzione, ma per rispondere alle richieste dei magistrati.

C’è infine il collo di bottiglia costituito dalla Cassazione il cui carico di lavoro dovrebbe essere governato dall’organo stesso, se vuole svolgere il suo ruolo di vero e proprio organo di cassazione.

Accanto alle cause, vi sono gli effetti, e questi sono sotto gli occhi di tutti. Sfiducia nella possibilità che la giustizia dia una risposta in tempi brevi. Quindi allontanamento della giustizia dal “Paese reale”. Ricorso a succedanei, in modo da “bypassare” l’ostacolo costituito dalla lentezza della giustizia. Grave costo complessivo per l’economia.

Mettere ordine nelle statistiche

Come già accennato, nella storia della statistica pubblica l’Italia è nota per aver inizialmente avuto le migliori statistiche giudiziarie. E’ stata l’esempio per altri Paesi. Tuttavia, poi si è fermata. Inoltre, il sistema statistico giudiziario incontra ora difficoltà nella raccolta dei dati perché la misura del rendimento viene considerata dai giudici, erroneamente, come interferenza con l’indipendenza della funzione giudiziaria.

Sarebbe utile mettere ordine nelle statistiche attuali perché le differenze degli aggregati possono indurre in inganno o addirittura nascondere una parte della realtà. Infatti, non c’è modo migliore per occultarla di metterla sotto gli occhi di tutti, come dimostra il famoso racconto “La lettera rubata” di Edgar Allan Poe.

Infine, le statistiche possono servire anche ad altri scopi, per migliorare il funzionamento della giustizia, apportare correzioni alla funzione: quindi, non solo per conoscere ma anche per correggere. In secondo luogo, per misurare meglio il rendimento del servizio pubblico della giustizia e la produttività di quest’area dello Stato perché, come scrisse nel 1953 Gabriel Ardant nel libro “Technique de l’État” (Paris, Puf) lo Stato può esser gestito come un’impresa e nessun settore si presta meglio della giustizia a realizzare quella che lui auspicava, la “concurrence sur le papier”.

Il Foglio

L'articolo La giustizia ingiusta proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



La scrittura a mano non è solo un’arte antica, ma anche uno strumento potentissimo per il nostro cervello. Lo studio – orizzontescuola.it


Uno studio riporta alla luce il valore inestimabile della scrittura a mano. Condotto dalla docente universitaria Audrey van der Meer dell’Università Norvegese di Scienza e Tecnologia, e pubblicato sulla rivista “Frontiers in Psychology”, lo studio dimost

Uno studio riporta alla luce il valore inestimabile della scrittura a mano. Condotto dalla docente universitaria Audrey van der Meer dell’Università Norvegese di Scienza e Tecnologia, e pubblicato sulla rivista “Frontiers in Psychology”, lo studio dimostra che scrivere a mano attiva il cervello in maniera più intensa rispetto alla digitazione su tastiera, favorendo l’apprendimento e la memorizzazione.

La ricerca di van der Meer si focalizza sulla connettività cerebrale, cioè le connessioni temporanee tra diverse aree neurali durante la scrittura. “La scrittura a mano implica una connettività cerebrale più elaborata rispetto alla digitazione,” afferma van der Meer. Ciò è cruciale per la formazione della memoria e l’assimilazione di nuove informazioni, rendendo la scrittura a mano uno strumento potente per l’apprendimento.

Lo studio ha esaminato l’attività cerebrale di 36 studenti universitari tramite elettroencefalogrammi (EEG), che utilizzano 256 sensori per misurare l’attività elettrica del cervello. I partecipanti sono stati invitati a scrivere in corsivo o a digitare un testo. I risultati hanno mostrato un aumento della connettività tra diverse regioni cerebrali durante la scrittura a mano, ma non durante la digitazione.

“I movimenti manuali precisi richiesti nell’uso della penna contribuiscono ampiamente ai modelli di connettività cerebrale che favoriscono l’apprendimento,” sottolinea van der Meer. Anche la scrittura in stampatello, secondo la ricerca, avrebbe benefici simili. Al contrario, la digitazione si rivela meno stimolante per il cervello.

Questo studio ha anche implicazioni importanti per l’educazione. Van der Meer evidenzia che i bambini che apprendono a scrivere e leggere su tabletpotrebbero incontrare difficoltà nel differenziare lettere speculari, come ‘b’ e ‘d’, a causa della mancanza di esperienza fisica nella formazione delle lettere. “Gli studenti imparano e ricordano di più prendendo appunti a mano durante le lezioni,” conclude van der Meer, sottolineando l’importanza di mantenere vive le tradizionali tecniche di scrittura a mano nell’educazione contemporanea.

In sintesi, la scrittura a mano non è solo un’arte antica ma anche uno strumento potentissimo per il nostro cervello, che non solo migliora la memorizzazione ma influisce significativamente sulle connessioni neurali. Questo studio ribadisce l’importanza di equilibrare gli strumenti digitali con metodi più tradizionali nell’ambito educativo e di apprendimento.

orizzontescuola.it

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La Cina prova a reclutare i piloti Nato. L’alert Usa


Attuali ed ex piloti di Stati Uniti e Nato sono “molto richiesti” dalle forze armate cinesi “e sono stati oggetto di reclutamento sia palese sia occulto”. Le conclusioni di una riunione tra funzionari di Stati Uniti e Nato tenutasi presso l’Allied Air Com

Attuali ed ex piloti di Stati Uniti e Nato sono “molto richiesti” dalle forze armate cinesi “e sono stati oggetto di reclutamento sia palese sia occulto”. Le conclusioni di una riunione tra funzionari di Stati Uniti e Nato tenutasi presso l’Allied Air Command di Ramstein, in Germania, a fine gennaio confermano quanto già emerso nei mesi scorsi. Pochi giorni fa Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, e Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, hanno annunciato che la Cina sarà al centro del prossimo summit Nato che si terrà a Washington per celebrare il 75° anniversario dell’alleanza.

Nei mesi scorsi Australia, Regno Unito e Nuova Zelanda – tutti membri dell’alleanza Five Eyes per la condivisione di intelligence, che comprende anche gli Stati Uniti – hanno adottato provvedimenti per evitare che ex piloti militari offrano la loro esperienza a Pechino. Nell’ottobre 2022 il ministero della Difesa britannico aveva dichiarato di ritenere che fino a 30 ex piloti militari britannici stessero fornendo addestramento in Cina e che molti altri fossero stati contattati, compresi piloti ancora in servizio.

Di questo fenomeno ha parlato anche il generale americano Charles Q. Brown, prima di diventare capo dello stato maggiore congiunto. Nelle sue precedenti funzioni, cioè quelle di capo di stato maggiore dell’Aeronautica, aveva firmato un documento interno spiegando che le forze armate cinesi vogliono “sfruttare le vostre conoscenze e abilità per colmare le lacune della loro capacità militare”. Aziende straniere, ha aggiunto, stanno “prendendo di mira e reclutando talenti militari statunitensi e della Nato” per addestrare l’Esercito popolare di liberazione cinese.

L’inedita conferenza “Securing Our Military Expertise from Adversaries”, svoltasi il 30 e il 31 gennaio, si è soffermato sulle modalità di reclutamento cinesi e su come affrontare il problema.

Secondo i funzionari statunitensi, si legge in una nota, queste offerte di lavoro provengono da un insieme di aziende private sostenute dalla Repubblica popolare cinese e da quelle direttamente incaricate dal governo di Pechino. L’esperienza ricercata comprende quella di piloti, manutentori, personale dei centri operativi aerei e una varietà di altri esperti tecnici di diverse professioni che potrebbero fornire informazioni sulle tattiche, le tecniche e le procedure aeree degli Stati Uniti e della Nato. Il reclutamento di questa natura da parte della Repubblica popolare cinese avviene principalmente attraverso annunci di lavoro apparentemente tipici, utilizzando siti di lavoro online o attraverso e-mail di headhunting inviate direttamente a persone interessate. Gli Stati Uniti osservano inoltre che i segnali di allarme più comuni sono rappresentati da posti di lavoro situati in Cina o nei dintorni, contratti che sembrano “troppo belli per essere veri” e dettagli vaghi sui clienti finali o sulle mansioni della posizione.

Tra i partecipanti all’evento c’erano militari, intelligence e altri attori chiave degli Stati Uniti e di 22 alleati Nato e partner Five Eye, oltre a una rappresentanza del Consiglio di Sicurezza nazionale degli Stati Uniti. “L’ampia partecipazione indica l’accresciuta importanza che la questione ha assunto sulla scena internazionale”, si legge nel comunicato. Tra gli argomenti trattati, la discussione delle migliori pratiche, il cross-targeting e la definizione di obiettivi condivisi per combattere questa minaccia emergente alla sicurezza degli Stati Uniti e della Nato.


formiche.net/2024/02/cina-pilo…



Il Pd ha votato di nuovo con la destra per l'invio di armi in Ucraina. Le bandiere della pace che sventola alle manifestazioni sono una presa in giro. Ieri la c

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Il Pentagono taglia le psy-ops mentre Cina e Russia spingono sulla propaganda


Nella complessa realtà odierna, così come con altri mezzi nel passato, le cosiddette operazioni di information warfare (infowar) rappresentano uno strumento estremamente efficace nel perorare i propri obiettivi all’interno dell’arena internazionale. Quest

Nella complessa realtà odierna, così come con altri mezzi nel passato, le cosiddette operazioni di information warfare (infowar) rappresentano uno strumento estremamente efficace nel perorare i propri obiettivi all’interno dell’arena internazionale. Questo lo sanno bene “attori revisionisti” come la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese, i quali negli ultimi anni hanno accresciuto notevolmente i mezzi relativi a questo tipo di operazioni, traendone vantaggi concreti. La Russia ricorre alle cosiddette “troll farms” per plasmare le discussioni sulle piattaforme di social media americane, oltre che per convincere le popolazioni locali a rivoltarsi contro le truppe della Nato attribuendo false responsabilità per attacchi sul campo di battaglia e creando ad hoc notizie false. Ma anche la Cina dispone di un sofisticato sistema di guerra dell’informazione, che non ha esitato a sfruttare in occasione delle elezioni a Taiwan. Tuttavia, mentre Pechino e Mosca espandono il proprio arsenale di strumenti legati all’ambito dell’info-war, Washington sembra andare nella direzione opposta.

Secondo quanto riportato da una fonte anonima a DefenseOne, i vertici del Pentagono starebbero valutando tagli alle operazioni di supporto informativo militare, comunemente note col termine di psychological operations (o psy-ops, ancora più in gergo), al fine di risparmiare preziose risorse da destinare a reparti “cinetici” d’élite come i Berretti Verdi o i Ranger. Il dibattito sui tagli sarebbe in corso da almeno un anno, precisamente quando l’ufficio del Pentagono per la valutazione dei costi e dei programmi ha raccomandato una riduzione nel numero di operatori speciali in mansioni di supporto, logistica e comunicazioni. Reparti come l’8° Gruppo per le Operazioni, che costituiscono la maggior parte delle truppe di prima linea del Pentagono per la guerra d’influenza e d’informazione, sarebbero colpiti dai tagli. Secondo le stime, fino a 3.000 operatori speciali potrebbero essere oggetto della “revisione”.

“Tutti i nostri avversari hanno investito molto in questo spazio perché si considerano avvantaggiati rispetto a noi. E si tratta di una barriera all’ingresso poco costosa rispetto ad altre tradizionali forze militari di cui continuiamo a godere” ha dichiarato a DefenseOne un alto funzionario del dipartimento della Difesa statunitense. Che sottolinea anche come nel caso statunitense tali operazioni siano molto più piccole e abbiano obiettivi molto più limitati. “All’interno del nostro stesso governo, in alcuni casi c’è apprensione per i militari che si occupano delle operazioni di informazione, perché sembra che gestiscano un ‘Grande Fratello’. E sembra anche qualcosa che non è particolarmente legato alle operazioni militari”.

Questa branca rappresenta una porzione minuscola all’interno delle forze armate di Washington, ma gioca un ruolo di rilievo dei campi di battaglia dove gli Stati Uniti sono impegnati. Esemplare quanto avvenuto nel 2017 in Africa centrale, quando i soldati delle operazioni psicologiche hanno convinto molti combattenti dell’Esercito di Resistenza del Signore ad abbandonare la loro causa, rendendo possibile la neutralizzazione del gruppo ribelle a costi inferiori sia sul lato umano che su quello economico. Oggi le operazioni psicologiche degli Stati Uniti giocano un ruolo importante in Medio Oriente, in concomitanza ad altre operazioni come gli attacchi missilistici di rappresaglia o gli sforzi nelle pubbliche relazioni.

Il funzionario contattato da DefenseOne ha affermato che sono proprio questo tipo di operazioni siano la causa, diretta o indiretta, della riduzione negli attacchi delle milizie filo-iraniane contro avamposti e navi da guerra statunitensi.

Sebbene resta evidente che la scelta sia stata ponderata, ridurre le proprie capacità in una dimensione così importante in scenari più o meno convenzionali (innegabile il suo ruolo anche all’interno del conflitto ucraino), mentre i principali competitor incrementano i mezzi a loro disposizione, potrebbe rivelarsi una scelta pericolosa per Washington – che potrebbe rendersi più vulnerabile ad azioni rivolte contro il territorio Usa e la sua popolazione.


formiche.net/2024/02/il-pentag…



Settimana delle #STEM: il webinar "La robotica educativa per l'acquisizione di competenze STEM" è rivolto ai docenti delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado statali e paritarie.

Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.

#stem


Sensibilizziamo le istituzioni ad aderire al Fediverso. Ricondividiamo l'appello di @Fedi.Tips

Numerosi governi (Francia, Germania, Svizzera, Paesi Bassi), ONG (UE, Consiglio d'Europa, W3C, ecc.), emittenti pubbliche (ZDF, BBC, affiliati PBS/NPR, ecc.) hanno creato server o account sul Fediverso.

Chiedi ai servizi pubblici del tuo paese/regione/area di seguire il loro esempio!

Il Twitter di Musk nasconde tutti i suoi account dietro una pagina di accesso, quindi non è più un canale pubblico.

@Che succede nel Fediverso?


A number of governments (France, Germany, Switzerland, Netherlands), international organisations (The European Union, The Council of Europe, W3C etc), public broadcasters (ZDF, the BBC, PBS/NPR affiliates etc) have set up servers or accounts on the Fediverse.

Please ask public services in your country/region/area to follow their lead. I can do a shoutout on @FediFollows to help get them started.

Musk's Twitter hides all its accounts behind a sign-in page, so it's no longer a public channel.


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Passi avanti della Schengen militare per una UE armata nella NATO l Contropiano

"Lo scivolamento verso l’economia di guerra è cominciato dunque già da tempo, e non è il risultato di conflitti specifici, bensì della tendenza del capitale in crisi a trovare soluzioni solo nell’uso della forza. Nella distruzione e nella ricostruzione, nella cannibalizzazione di fette di mercato prima inaccessibili.

Se a ciò aggiungiamo le aspirazioni di autonomia della UE, abbiamo il quadro completo. Una corsa verso il baratro bellico di cui le spese sono tutte a carico dei settori popolari."

contropiano.org/news/internazi…