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In viaggio


Il carretto di cui aveva parlato Gavin era molto vecchio e definirlo “malandato” era fargli un complimento: oltre ad assi malconce e qualcuna mancante, gli assali delle ruote erano molto arrugginiti e scricchiolavano a ogni scossone sotto l’ingente peso dei passeggeri, delle vettovaglie nel sacco, dalle armi e le armature riparate e dai materiali da fabbro. Fortunatamente il mulo che Gavin aveva preso per trainare il carretto era giovane e forte, dato che era lo stesso che serviva a mantenere in azione i mastici della fornace della casa di campagna. Avere un carretto ci permetteva di affrontare molta più strada senza faticare, dimezzando i tre giorni di cammino che ci separavano da Barleigh.
«Senti, Gavin. Tu sei il fabbro della Guardia reale, giusto?»
«Sì, sono uno dei sei fabbri che riparano e riforniscono la Guardia reale di armature e spade: quattro sono a Barleigh, uno si trova a Tamrias e poi ci sono io, che faccio la spola tra la città e la mia casa di campagna.»
«E perché non ti trasferisci in città?»
«In realtà, la casa in campagna è la casa dove ho abitato fin da piccolo. A tredici anni iniziai a lavorare come ciabattino in città, ma colpivo le suole con troppa forza e Johnas, uno dei migliori fabbri della città, mi prese come apprendista nella sua fucina. Da allora batto il ferro praticamente tutti i giorni. Per qualche anno ho lavorato nella fucina di Johnas e, una volta guadagnato abbastanza, comprai la fucina del vecchio Estmund, a pochi passi dall’ingresso della cittadella. A quei tempi abitavo con Mairead nella periferia della città, non lontano al fiume Ormeir, che scorre tra la periferia e le case dei ricchi.
«Un giorno mia madre si ammalò. Tornai nella casa di campagna per starle vicino, ma fin da quando lavoravo nella fucina di Johnas ero alle dipendenze della Guardia reale. Chiesi al Re di poter avere fondi per costruire una nuova fucina vicino alla casa di mia madre, in modo da poter continuare a lavorare mentre mi prendevo cura di lei. Il Re approvò la mia richiesta e assunse i migliori artigiani, in modo da completare i lavori nel più breve tempo possibile. La fucina venne completata il giorno dopo la morte di mia madre.
«Per onorare la memoria di mia madre continuai, con il permesso del Re, a lavorare alla nuova fucina. Gli ordini arrivano puntualmente con il messo cittadino e una volta pronti li porto in città.»
«Gentile da parte del Re.»
Gavin rise «Gentile. Non è per gentilezza, ma perché sono il migliore dei fabbri della regione.»
«E la fucina in città?»
«L’ho data in gestione pochi giorni dopo aver completato quella in campagna, ma quando torno in città ho sempre qualche lavoretto che mi attende. Ora comanda Verdu. È il nipote di Johnas, ma è un giovane promettente. Tra qualche anno potrebbe perfino essere migliore di me.»
Restammo in silenzio mentre avanzavamo tra file ininterrotte di campi coltivati. Lanchestry era una regione completamente coperta da campi coltivati, per la maggior parte campi di grano, ma alcuni contadini avevano cominciato a coltivare piccoli appezzamenti con cotone e luppolo, per poter dare alla regione un po’ di indipendenza sulle materie prime per abiti e bevande. A ovest, vicino al confine con la regione montuosa di Feldmill, si trovavano lunghi filari di viti e frutteti a perdita d’occhio. Lanchestry riforniva quasi la metà del cibo che veniva consumato nella regione di Bede. L’altra metà proveniva dagli allevamenti di bestiame e dai frutteti di Athol, a Nord, dalle attività di pesca nell’Isola di Visoma e, in misura minore, a Keelay, che occupava tutta la regione costiera a Sudest. Feldmill era l’unica regione in cui non veniva prodotto alcun tipo di cibo, ma era ricca di miniere e giacimenti, che rifornivano di metallo e pietra tutta Bede.
Passammo vicini a campi vastissimi dove si vedevano lunghe strisce nere irregolari, segni lasciati dai draghi che volavano sopra la campagna e bruciavano i raccolti. In uno di questi vidi un uomo chinato, intento a strappare le erbacce che minacciavano di far fallire il suo raccolto. Gavin prese fiato ed emise un fischio fortissimo. L’uomo nel campo si alzò di scatto e, giratosi, ci corse incontro pieno di gioia.
«Gavin! Torni in città col solito carico?»
«In parte, Vedarg. Sto riportando alcune armature riparate e sto dando un passaggio al mio amico Jason.»
«Molto piacere Jason, il mio nome è Vedarg Dorug. Sono un umile contadino, ma ogni amico di Gavin è anche amico mio, perché so che Gavin è una persona che sceglie i suoi amici con cura. Sono i nemici che non sa scegliersi!» disse ridendo e dandomi una gomitata nel fianco. La botta mi colse impreparato e cominciai a tossire violentemente.
«Vedarg, tratta bene il mio amico. Potrebbe esserci utile.»
«Tu dici? Mi sembra piuttosto mingherlino per avere una qualche utilità. Anche se, forse, come spaventapasseri…»
«Speriamo funzioni anche come spaventa-draghi» aggiunse Gavin sottovoce.
«Come?»
«Niente, niente. Come vanno le cose, qui al campo?»
«Ah, non bene» sospirò. «Il raccolto è stato piuttosto scarso e la Guardia reale è venuta a esigere la solita parte per i granai del regno, ma Mabel e io dovremmo averne abbastanza per sopravvivere fino al prossimo anno. Spero solo che i due sputafiamme volanti non vengano ad azzuffarsi nelle mie proprietà.»
«Se succede, Vedarg, tu e tua moglie sarete i benvenuti da me e Mairead.»
«Ti ringrazio Gavin, ma spero di non dover mai usufruire del tuo favore. A proposito, Mabel dovrebbe essere a casa. Fermati pure e chiedile una pagnotta per il viaggio. E se fa storie, dille che ti ho mandato io.»
«D’accordo Vedarg. Riguardati.»
«Lo stesso a te, Gavin. Ciao, mingherlino!» disse, fingendo di darmi un’altra gomitata. Riuscii a scostarmi in tempo, ma, a giudicare dalla sua risata, il suo vero intento era spaventarmi, non colpirmi.
Arrivammo alla casa di Vedarg dove Mabel ci accolse calorosamente.
«Oh, Gavin. Come state tu e Mairead? E questo è Gwyn? Si è alzato molto, ma è molto più scheletrico del padre!»
«Stiamo bene, grazie. No, questo non è Gwyn, lui cresce esattamente come me, forte e grosso. Lui è Jason, un mio caro amico.»
«Molto lieta» mi salutò Mabel inchinandosi. Feci un cenno con la testa in risposta.
«Abbiamo incontrato Vedarg e ci ha parlato di una certa pagnotta.»
Mabel sospirò.
«Ancora. Lo sa che abbiamo poche riserve per l’inverno ora che l’esercito ha preso la sua parte, ma ogni volta che un conoscente passa dal campo, lui gli offre una pagnotta. Di questo passo, non so se riusciremo ad arrivare al prossimo raccolto.»
Si girò per entrare in casa, ma Gavin la fermò.
«Tienila Mabel, abbiamo parecchie provviste e quella pagnotta è più importante per voi che per noi.»
«Grazie Gavino. Non tutti sanno rinunciarci, ma tu sei sempre un uomo di gran cuore.»
«Figurati, siamo sulla Terra per aiutarci l’un l’altro. Addio, Mabel.»
«Addio, Gavin. Addio, Jason.»
Mabel si inchinò e tornò in casa inveendo contro il marito.

Dopo alcune ore, ci accampammo sotto un castagno vicino a un torrente, secco per la lunga stagione estiva. Gavin tagliò alcuni rami dagli alberi sugli argini e accese un fuoco. Dopo aver riempito con l’acqua di un’otre un piccolo secchio, lo infilò su un bastone e lo mise sopra il fuoco. Poi, prese quattro pannocchie dalle nostre provviste: due le mise dentro al secchio pieno d’acqua e due le infilzò su due bastoni e le mise sopra il fuoco.
«Preferisci le pannocchie lesse o abbrustolite?» mi chiese.
«In realtà entrambe.»
«Molto bene, allora le divideremo equamente.»
Restammo in silenzio per un po’, ascoltando il crepitio del fuoco mentre il sole tramontava, lasciando solo il focolare a illuminare la nostra sistemazione.
Durante la nostra cena a base di pannocchie e succo di mele, chiesi a Gavin di parlarmi di re Thelnet. Gavin fece un lungo respiro e guardò il cielo.
«Re Thelnet è un brav’uomo. È salito al trono dopo la morte di suo padre, Herment, che aveva governato Lanchestry per quasi cinquanta anni. Thelnet non è così diverso dal padre: entrambi sono degli ottimi diplomatici ed entrambi hanno dovuto lavorare molto per alleggerire le tensioni tra due regioni rivali.
«Herment ha fatto da pacere tra Keelay e l’isola di Visoma quando, trent’anni fa, il pesce sulle coste iniziò a scarseggiare: le due regioni si accusavano a vicenda di aver pescato troppo pesce e di aver utilizzato metodi che avevano ucciso anche specie di pesci non commestibili, ma necessari alla crescita delle specie che finiscono sulle tavole di Bede. Herment fece raggiungere ai due regnanti un accordo e introdusse nel patto una regola a cui entrambi i regni dovevano sottostare: sia Keelay che Visoma ora hanno un peso massimo di pesce che possono pescare, misurato grazie a bilance precisissime create dalla miglior manodopera di Feldmill. Lo stretto tra l’isola e la terraferma viene controllato periodicamente dalle guardie di Athol in cerca di eventuali banchi di pesci non commestibili che sono stati uccisi dalla pesca non consentita: nel caso trovassero dei pesci, la pesca verrebbe interdetta a entrambe le regioni per tre cicli lunari.
«Re Thelnet, invece, aiutò Athol a comprendere che le frane e gli smottamenti che avevano distrutto diversi frutteti erano di origine naturale, e non erano stati causati dai lavori di scavo dei minatori nella vicina regione di Feldmill. Siccome Athol era già ricorsa alle riserve di cibo e non aveva merce da vendere per poter sostenere le spese, gli altri regni finanziarono la costruzione e installazione di reti che proteggessero i frutteti dalle frane.
«Herment e Thelnet sono stati acclamati allo stesso modo: ora, nella piazza davanti alla scalinata che porta a palazzo Gudfost, residenza del Re, si trova una grossa statua di re Herment e stanno erigendo quella per re Thelnet.» Gavin fece una piccola pausa e aggiunse quasi sussurrandolo: «È un buon Re. È un buon Re.»
Aveva abbassato la testa e ora guardava corrucciato nel suo bicchiere colmo di succo. Sembrava triste, come se volesse dirmi qualcosa, ma non sapesse come dirmelo.
«Se è un buon Re, perché sei preoccupato?»
Alzò la testa e mi guardò. Vidi i suoi occhi, colmi delle lacrime che tentava di trattenere.
«Questa situazione ha incrinato la fiducia nei suoi confronti. Il popolo è stanco e a loro sembra che re Thelnet non stia facendo niente per salvarli. Ma io so che lavora giorno e notte per trovare una soluzione e per salvarci dai draghi. Le guardie parlano spesso di un colpo di Stato in preparazione, ma non ho capito quando succederà né chi ci sia alla guida, anche se ho alcuni sospetti: primo tra tutti, sir Romont Eloytt, il generale della Guardia reale, che da quando i draghi sono arrivati a Lanchestry ha costretto i suoi uomini a svolgere turni doppi e ormai ha un esercito ridotto al minimo; anche il Gran ciambellano Adlard non mi è mai piaciuto: è sempre schivo, non esce mai in pubblico ed è sempre vestito con grandi vesti molto più larghe di quelle che necessiterebbe un uomo della sua costituzione; poi c’è Lord Artor, cugino del Re, che potrebbe volerlo spodestare, in quanto era secondo in linea di successione prima della nascita di Gænor, la prima e unica figlia del Re e attuale erede al trono. Se Thelnet venisse tolto dal potere, Artor diventerebbe il sovrano reggente fino al diciottesimo compleanno di Gænor, ma mentre è al potere potrebbe modificare le leggi del regno e impedire che le figlie femmine possano ereditare il trono.
«So solo che se il colpo di Stato accadesse ora, il popolo appoggerebbe i ribelli, non certo il Re. Per questo ho bisogno di te. Per questo ho bisogno che tu riesca a convincere il Re che sei davvero nipote di Sir Martin. Ho bisogno che tu riesca a trovare una soluzione per tutto questo. Lanchestry ne ha bisogno. Tutta Bede ne ha bisogno.»
Riuscì a non piangere ma i suoi occhi erano gonfi.
«Farò tutto quello che posso Gavin e spero che sia abbastanza. Re Thelnet è fortunato ad averti come fabbro.»
«Spero di essere suo fabbro ancora a lungo e spero che lui sia il mio Re ancora a lungo» disse con una risata amara.
Si sdraiò per riprendersi e allontanare i brutti pensieri. Non so se fosse per la giornata pesante, la stanchezza o la tristezza, ma si addormentò in pochi minuti sull’erba fresca.
Rimasi a guardare il fuoco che ardeva in mezzo ai sassi che segnavano il confine del braciere fino a che la stanchezza del giorno fu troppa e mi addormentai.

Ci svegliammo in piena notte completamente fradici: il piccolo torrente vicino al quale ci eravamo accampati si era ripreso e, probabilmente gonfiato da forti piogge cadute a monte, aveva iniziato a straripare; fortunatamente, avevamo lasciato le rimanenti provviste e le armature che Gavin doveva portare a Barleigh sul carretto, assicurato a un albero su una piccola altura, che lo aveva protetto dai primi flutti usciti dal letto del torrente.
Gavin svegliò il nostro mulo, che aveva dormito vicino al carretto, e lo legammo al giogo. Il cielo nero della notte stava lasciando il posto all’indaco delle prime luci dell’alba.
Viaggiammo per qualche ora in un immenso bosco di larici che dal verde estivo stavano diventando gialli per l’arrivo dell’autunno. Usciti dal bosco, la strada continuava verso la cima di una piccola e brulla altura. La salita affaticava il nostro mulo, quindi Gavin e io scendemmo e spingemmo il carretto.
Giunti in cima all’altura ci fermammo, sfiniti. Ci sedemmo sull’erba e ammirai la foresta di larici, con le sue particolari chiazze gialle nel manto verde delle cime degli alberi. La valle era delimitata a ovest da una grossa catena montuosa, che Gavin mi spiegò essere il confine del regno di Feldmill, e a nord una zona collinare dove crescevano i frutteti di Athol.
Gavin richiamò la mia attenzione e con un cenno della testa mi suggerì di voltarmi. Guardai dall’altra parte della collina e davanti a me vidi Barleigh. La città si trovava al centro di una grande vallata ed era circondata da campi coltivati a perdita d’occhio. Dalla città uscivano otto strade che collegavano la città con le altre regioni di Bede e con le città periferiche del regno di Lanchestry. Da dove eravamo, si vedeva bene il percorso del fiume Ormeir che divideva la città in due.

Nelle due ore che ci separavano dalla periferia della città, Gavin mi raccontò la storia che portò Barleigh a essere la capitale di Lanchestry.
«La parte più esterna della città è la periferia, dove abitano le persone più povere. Il fiume Ormeir la separa dalla parte ricca, che si trova a ridosso dell’altura su cui sorge palazzo Gudfost, sede del regno e residenza del Re di Lanchestry; il palazzo deve il suo nome a Gudfost III, il re che lo ha fatto edificare per rimpiazzare la vecchia sala del consiglio, utilizzata dagli Jarl fin dall’era antica come luogo dove prendere le decisioni comunitarie, placare le diatribe e amministrare la giustizia. Prima della sala consiliare, in cima alla collina era posto un altare sacrificale agli dei; il culto venne abbandonato poco dopo l’avvento degli Jarl in favore di una nuova religione, e le pietre che costituivano l’altare vennero utilizzate per costruire il trono dello Jarl, che è stato utilizzato come basamento per l’attuale trono reale.
«Inizialmente, i contadini del regno si radunavano alla base dell’altura due volte l’anno, per le celebrazioni dell’incoronazione del Re e per ricordare la creazione del Regno. Col tempo, il numero delle celebrazioni aumentò e molti cominciarono a costruirsi una casa al di qua del fiume e pian piano si formò la periferia della città. Oltre il fiume, erano già presenti i palazzi delle famiglie più influenti del regno, per la maggior parte commercianti o proprietari terrieri, ma anche artigiani indispensabili, come i fabbri e i sarti.
«Di recente, palazzo Gudfost è stato separato dalla città ai piedi della collina, creando una piccola cittadella fortificata, delimitata da grandi mura di cinta, a cui si può accedere solo passando da una grande porta sempre presidiata dalla Guardia reale.
«La cinta muraria fu costruita dopo la guerra che vide contrapposti Lanchestry, Feldmill e Keelay, che si erano affrontate per il controllo di una piccola area al margine tra i tre regni, vicino al borgo di Tamrias, eccellente punto strategico, dove il fiume Orrac, che passa da Fusgate, capitale del regno di Keelay, e sfocia nella baia di Krendel vicino a Idoton, passa sotto ponte Dufell, sotto cui passano ogni anno migliaia di navi cariche di tronchi e pietre: chi controlla il ponte di Dufell, ha praticamente il monopolio dei prezzi su quelle materie prime. I tre regni si equivalevano, nessuno riuscì a spuntarla e da allora il ponte è equamente diviso in tre parti, ciascuna assegnata a un regno; le parti vengono sorvegliate da guardie inviate da Athol e Visoma, che essendo fuori dall’accordo, sono le uniche a poter vigilare con imparzialità. Nonostante la diatriba sia stata risolta, le battaglie lasciarono aperte molte ferite e le tre capitali si dotarono di grosse mura – con gran felicità delle casse di Feldmill.
«Dalla parte bassa della città partono quattro strade che permettono un collegamento veloce con le capitali degli altri regni – l’isola di Visoma è facilmente raggiungibile grazie al collegamento marittimo tra Gardeter e Osemery – e strade minori che collegano le altre città e borghi di Lanchestry.
«Queste strade, costruite in tempi antichissimi, sono state un importante mezzo per stabilire Barleigh come capitale ufficiosa di Bede e per facilitare l’arricchimento della città e il commercio tra le varie regioni. Scegliere questa altura e nominare Barleigh capitale del regno fu un vero colpo di genio di Gudfost, poiché il fiume Ormeir ha permesso di ricevere con facilità materiali da Feldmill e commerciare con Visoma, inoltre ha aiutato la creazione di un regno basato su un’economia agricola, grazie anche alla creazione di importanti opere che canalizzano l’acqua del fiume nei campi vicino alla capitale. Il resto del regno è alimentato da fiumi minori e dall’Orrac.»
Gavin aveva terminato il suo racconto sulla storia di Barleigh, ma mancava ancora un po’ prima di raggiungere le prime case della periferia della città. Il rumore dell’acqua che passava nei canali tra i campi e lo sbattere d’ali di uccelli intrepidi che si buttavano nei campi a beccare i semi nei campi ci accompagnarono fino alle prime case.
Gavin si incupì molto quando arrivammo a pochi minuti dalla città, ma non seppi mai quali fossero i pensieri che lo tormentavano. Io ero concentrato sulle case che si vedevano in lontananza, piuttosto spoglie, in contrasto con gli sfarzosi palazzi alla base della collina e quasi nascoste dal bianco bagliore accecante delle mura di cinta di Palazzo Gufost immerso nella luce del sole di mezzogiorno.

#fantasy #libri #Romanzi #romanziFantasy

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20 settembre: incontro del centroscritture nella marsica

centroscritture.it nella Marsica
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In occasione dell’incontro sarà presentato, e sarà possibile sfogliare e prendere gratuitamente, il n. 19 della rivista “La scuola delle cose” (Lyceum/Mudima, 2025), numero monografico dedicato alla scrittura di ricerca, a cura di MG. Non mancheranno inoltre altri libri di sperimentazione letteraria.

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Toccare il cielo con un PCTO

edu.inaf.it/approfondimenti/cr…

Uno sguardo d’insieme sui PCTO INAF: a spasso fra alcuni progetti della sede di Milano, dalle particelle elementari agli ammassi di galassie.

#alternanzaScuolaLavoro #comunicazioneDellaScienza #IASFMIlano #INAF #laboratori #PCTO #perLeScuole #studenti


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Ma mentre scrivo spara sempre un cannone in lontananza


Dunque, sono rimaste due scelte per il popolo italiano: essere collaborazionista o resistente, come il parroco vicentino Don Luigi Rondin esplica nel suo diario: “Il Duce è stato liberato dalla prigionia, con un colpo di mano da parte dei tedeschi, ed ora si trova in Germania. I giornali, ormai al servizio dei tedeschi, danno il grande annuncio e si notano le prime conseguenze di questa liberazione: i fascisti si riorganizzano e dimostrano propositi feroci. Grande avvicendamento di cariche pubbliche che portano una vera babele ed approfondiscono nel cuore di tutti una avversione profonda per questo partito al quale si addossa tutta la responsabilità della guerra. Figure abbiette di traditori conducono i tedeschi a far man bassa negli ammassi e nei negozi: sembra la giustizia di Dio che gravi su questa povera Italia. […] Circolano voci insistenti che si siano costituite bande armate clandestine, per preparare una difesa”. <240
Tale situazione catastrofica è presente anche nel diario decespedesiano: «Ma è troppo doloroso per chi era avvezza solo alle vittorie – almeno militari – del proprio paese, vedere i soldati fuggire, gli ufficiali consegnare le armi, e nelle strade circolare da padroni soldati stranieri e prepotenti» <241. In una lettera indirizzata alla madre nel 1944 la scrittrice riporta per un’altra volta lo sconvolgimento panoramico della capitale devastata dei tedeschi: «Dopo l’armistizio la città di Roma, fu in preda al più grande disordine per l’invasione tedesca: i giornali ti avranno resa edotta delle loro barbarie. E quello che i giornali scrivono è una pallida idea della realtà. Andavano attorno prendendo gli uomini per portarli con loro a lavorare o deportarli in Germania» <242.
La calamità che grava sul Paese suscita in de Céspedes una tensione morale che le dà coraggio di non tacere più, decide di fronteggiare tutto insieme al suo compagno: «Sto in casa, chiusa. Ma decisa a non vivere di sorda ostilità soltanto. Se chiederanno il proprio parere dirlo. E non tremare più, non nascondersi. S’odono colpi sparare forte, la casa trema. E Franco ed io siamo così vicini, così decisi. Non importa come e dove, ma a testa alta. Anche questo, anche la guerra, anche le privazioni, le umiliazioni sopportate insieme, spalla a spalla sono leggere» <243. Rinasce poi in quel caos bellico la voglia di proseguire nel suo romanzo, nonostante si trattasse di un progetto incompiuto fino alla scomparsa della scrittrice: «Voglio riprendere stasera dopo una settimana di pausa – l’armistizio, l’invasione, questa pena profonda e irrequieta – il romanzo cubano. Che gran voglia, malgrado tutto di scrivere, di lavorare!» <244.
Da Roma a Bari: la fuga, il rifugio e «la decisione di traversare le linee, il passaggio rischioso, la libertà»
La decisione di abbandonare Roma sorge in Alba e Franco per due motivi: il primo è dovuto all’insopportabilità psicologica della scrittrice causata dalla gran confusione nella capitale. Annota così nel diario: “Il cerchio dei tedeschi si stringe sempre di più. L’aria è irrespirabile, si vive nel terrore. Per qualunque ordine inadempiuto la pena di fucilazione. Oh, scapparsene a piedi per le montagne, come Kira di Noi vivi! I bambini, qua sotto, sul piazzale delle Muse giocano alla guerra. È difficile, per gli esseri ragionati, pensare ad altro, c’è bisogno di un lavoro meccanico, forse stanno bene gli operai nelle officine, che debbono girare una vite per ore. E tuttavia avrei tanta voglia di lavorare. C’è un invito dappertutto. Nel sole, nel colore del Tevere, azzurro e morbido sotto le mie finestre. Ma mentre scrivo spara sempre un cannone in lontananza”. <245
La seconda ragione si presenta più pratica, data l’impossibilità di proseguire nel proprio lavoro per Alba e Franco: «Siamo incerti per la mia sorte, per la sorte di Franco, lui non può tornare al suo lavoro, è impossibile» <246. Come accennato prima, de Céspedes spiega alla madre in una corrispondenza familiare la necessità della loro fuga da Roma: a lei stessa, considerata antifascista per il suo romanzo “Nessuno torna indietro”, viene tolta la tessera pochi giorni prima del crollo della dittatura. Insomma, dato il suo inconciliabile rapporto con l’autorità fascista, deve lasciare la capitale per sottrarsi alla persecuzione e in quanto a Bounous, invece, siccome è ufficiale del Ministero degli
Affari esteri, dopo l’armistizio, è costretto a scegliere di essere il collaborazionista del regime nazifascista o di essere fedele del governo del Re. Se avesse scelto il governo del Re, avrebbe affrontato la minaccia di morte.
La data di partenza, come documenta la corrispondenza familiare <247 è il 23 settembre 1943: “Io ero disperata all’idea che potessero prendere Franco e lui desiderava non collaborare con i nazisti. Perciò – benché tutto ci trattenesse a Roma segnatamente le carte dell’annullamento che avremmo dovuto avere pochi giorni dopo, per poterci sposare finalmente – siamo fuggiti, in poche ore, insieme con quella mia cuginetta mezzo cubana Barbara del Castillo, la quale nel frattempo ha sposato un italiano. Anche lui era giovane, ufficiale, e temeva d’essere preso. Fuggimmo con una valigia ciascuno credendo di rimaner fuori, pochi giorni che Roma sarebbe stata presto liberata. (Questo fu il 23 settembre, più di 7 mesi fa!) Tutta la mia bellissima casa smontata e affidata alla mia fedele Maria, tutti i miei vestiti, i miei libri, oggetti d’arte, di grande valore, tappeti, argenteria, ecc.: tutto, insomma”. <248
Ovviamente la scrittrice è troppo ottimista nel prevedere la permanenza fuori Roma, l’esercito degli Alleati temporeggia nel Sud Italia e non raggiunge Roma prima del giugno del 1944. Così, de Céspedes e Bounous avviano la loro vera avventura in Abruzzo, in attesa di attraversare le linee per raggiungere poi l’Italia liberata degli Alleati.
Arrivano il 28 settembre in Abruzzo nel paesino Casoli dove si trattengono fino al 12 ottobre: «Un paese accucchiato [sic] su una rocca, tutto fatto di bianchi e grigi, sormontati da un [sic] torre merlata, alto come una bandiera. Sembra uno dei paesi che i santi portano sul piatto dorato, nel palmo della mano. Straducce da paese come piace a me, con quell’odore nei negozi che mi ricorda l’infanzia» <249. La scrittrice si distende nell’atmosfera pacifica di Casoli e si gode la bellezza dell’Abruzzo: «C’è in me una possibilità innata di intendere subito i paesi, subito trovarmi a fiato con loro, sì da conoscere immediatamente il segreto sapore di ogni regione. Dappertutto sto bene adesso sono già a contatto con l’Abruzzo, mi pare di conoscere la spinta che ha mosso D’Annunzio e Michetti. […] È un mondo che mi affascina, è qui che i miei personaggi trovano vita» <250.
Presto, la tranquillità di Casoli viene infranta dall’incursione aerea dei tedeschi, la scrittrice è di nuovo in preda al terrore: «Sveglia alle 7 stamani, sotto gli aerei che passavano, timore, bombe vicine. La pacifica quiete di questi giorni, di questo ritorno a me stessa è guastata da questo timore!» <251.
L’insicurezza e la precarietà dei primi giorni da profuga non arrestano la volontà di scrivere di de Céspedes né modificare la sua abitudine di proporsi continuamente le nuove considerazioni. Presa dalla propria vena poetica, la scrittrice ragiona sul «rapporto tra realtà oggettiva e soggettiva nonché la possibilità per il romance di sopravvivere al cospetto dei drammatici avvenimenti di una storia in fieri di cui tutti e tutte si sentivano attori e testimoni» <252, come lei commenta nel diario: “Ho molta voglia di scrivere, gran voglia di scrivere. Il romanzo, il racconto per N[uova] Antologia, il pezzo sugli aeroplani. Mi piace viaggiar sola, e scrivere quando viaggio sola. Lo scrittore inventa, arricchisce, soprattutto descrive le cose come le vede lui, non come le vedono tutti. Ha detto Wilder <253 che solo i santi e i poeti capiscono un poco, qualche volta, la vita. Ma scrivere di quel che s’è visto con un testimone, è difficile. Bisognerebbe che questi non leggesse mai. Altrimenti sembra già d’immaginare i suoi occhi ironici: non era veramente così, questi scrittori sono esagerati, senza capire che era così soltanto, lui non lo vedeva”. <254
Il diario tace dal 7 ottobre e ricomincia il 12 ottobre quando de Céspedes è ormai a Torricella, dopo la fuga con le tre sorelle Ricci <255, riparata nella capanna di Maria Tilli. Franco è malato («È la festa di Franco. È malato. Qui, accanto a me, rosso in viso, con 39° di febbre» <256). Essendo la data in cui Alba avrebbe firmato le carte dell’annullamento del primo matrimonio, la scrittrice si rincresce di dover rinunciare all’opportunità di sposare Franco: «A quest’ora i giudici sono andati già a letto, anche gli avvocati sono andati già a letto poveracci, avranno detto, oppure meno male: ma qualcosa è deciso e noi non lo sappiamo, non lo sapremo che tra un mese forse» <257. Tuttavia, non può apprendere quello che succede fuori del paesetto: «Le comunicazioni sono interrotte, Roma è lontanissima, solo a piedi si può andare e venire da Roma: tanti anni di progresso, treni, elettrotreni, littorine, e oggi, ecco di nuovo si vedono viaggiatori a dorso d’asino, arrivare in paese, sospinti dalla guerra, impauriti dalla guerra, sfuggenti con visi pavidi ai manifesti e alle ordinanze» <258.
Trovatasi in condizioni materiali di estrema povertà, la scrittrice riflette sulla vita benestante che possedeva a Roma prima della fuga, si sente inadeguata a questo modo di vivere così facile: «Penso a via Duse, spesso, e tutto quanto è nella mia casa, comodità, preziosità, letto rosa, giornata di nervi, insomma, tutto mi sembra ingiustificato, immeritato, la vera vita è questa che altra gente simile a noi patisce, senza sapere com’è fatta la vita più facile e comoda» <259.
Il contatto con la realtà rurale d’Abruzzo sprona de Céspedes alle nuove invenzioni letterarie, sembra che non esaurisca mai quella sua ardente voglia di osservare, di scrivere e di raccontare: «Inesauribile voglia di scrivere» <260. Nel frattempo, presta molta attenzione alle donne, spesso disgraziate e spregiate, che aveva conosciuto durante la sua permanenza da esule.

[NOTE]239 Don Luigi Rondin, Diario 1931-1948, Vicenza, Neri Pozza, 1994, cit., pp. 310-311.
240 Ibid.
241 Alba de Céspedes, Diario, 15 settembre 1943, ore 22, in Laura Di Nicola, Diari di guerra di Alba de Céspedes, cit., p. 192.
242 Lettera di Alba de Céspedes a Laura Bertini, Napoli, 7 maggio 1944 (FAeAM, FAdC, 1.3.1, serie “Corrispondenza”, sottoserie “Familiare”).
243 Alba de Céspedes, Diario, 15 settembre 1943, ore 22, in Laura Di Nicola, Diari di guerra di Alba de Céspedes, cit., p. 192.
244 Ivi, p. 193.
245 Alba de Céspedes, Diario, 17 settembre [1943], ore 11, in Laura Di Nicola, Diari di guerra di Alba de Céspedes, cit., p. 194.
246 Ibid.
247 Lettera di Alba de Céspedes a Laura Bertini, Napoli, 7 maggio 1944 ((FAeAM, FAdC, 1.3.1, serie “Corrispondenza”, sottoserie “Familiare”).
248 Ibid.
249 Alba de Céspedes, Diario, Casoli, 28 settembre [1943], ore 13, in Laura Di Nicola, Diari di guerra di Alba de Céspedes, cit., p. 195.
250 Ivi, p. 196.
251 Alba de Céspedes, Diario, 6 ottobre [1943], ore 17, in Laura Di Nicola, Diari di guerra di Alba de Céspedes, cit., p. 199.
252 Lucia De Crescenzio, La necessità della scrittura. Alba de Céspedes tra Radio Bari e «Mercurio» (1943-1948), cit., p. 43.
253 Thornton Niven Wilder, nato a Madison 17 aprile 1897, è stato un drammaturgo e scrittore statunitense vincitore di tre premi Pulitzer: uno per il romanzo Il ponte di San Luis Rey e due per il teatro inoltre ottenne il National Book Award per L’ottavo giorno (The Eight Day) nel 1968.
254 Alba de Céspedes, Diario, 6 ottobre [1943], ore 17, in Laura Di Nicola, Diari di guerra di Alba de Céspedes, cit., p. 199.
255 Sono Maddalena, Francesca e Annunziata Ricci.
256 Alba de Céspedes, Diario, Torricella, 12 ottobre 1943, ore 23, in Laura Di Nicola, Diari di guerra di Alba de Céspedes, cit., p. 200.
257 Ibid.
258 Ibid.
259 Alba de Céspedes, Diario, 12 ottobre 1943, ore 23, Torricella, in Laura Di Nicola, Diari di guerra di Alba de Céspedes, cit., p. 201.
260 Ibid.
Yuan Yao, La libertà e l’amore sono illusioni? Impegni e tentativi di Alba de Céspedes per la Resistenza civile e la costruzione della nuova cultura italiana del secondo dopoguerra, Tesi di dottorato, Università Ca’ Foscari – Venezia, 2023

#1943 #Abruzzo #AlbaDeCéspedes #diario #fascisti #guerra #ottobre #partigiani #Roma #settembre #tedeschi #YuanYao


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Ci scusiamo per il disagio

edu.inaf.it/rubriche/editorial…

EduINAF, dopo un’assenza di due settimane, torna online più carico di prima!

#astronomia #EduINAF


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Oltre i confini: equità e inclusione nella cultura scientifica

edu.inaf.it/approfondimenti/st…

L’inclusività in un ente di ricerca, e non solo: questo l’argomento del meeting organizzato dall’INAF lo scorso maggio. EduINAF dà voce ai protagonisti per dare il via a una riflessione su come rendere più equa la vita nel mondo della ricerca.

#INAF #inclusione #ricerca

Oltre Confini 2025 Evidenza
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roberto cavallera: “errata porridge” (dati, estratti, informazioni, note)


biblionedizioni.it/prodotto/er…

errata porridge


di Roberto Cavallera

“saremo molto severi. indovineremo il sudore dell’ineffabile. la
guancia monoalfabetica compone alla tastiera poemi accidentali – a
quale densità a quale distanza la vista si perde. formidabili consensi
a muzzo”

Roberto Cavallera (1968). Per Arcipelago Edizioni ha pubblicato Slm (2009) e ha partecipato al volume collettivo Ex.it – Materiali fuori contesto (2013). Altri suoi testi sono presenti in rete su gammm.org e issuu.com/differxhost. Insieme a Marco Giovenale cura i blog compostxt.blogspot.com e pontebianco.noblogs.org e collabora a slowforward.net.

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Roberto Cavallera, Errata porridge, Zacinto/Biblion, collana Manufatti poetici, Milano 2023
cliccare per ingrandire

da Roberto Cavallera, Errata porridge, Zacinto/Biblion, collana Manufatti poetici, Milano 2023
cliccare per ingrandire

da Roberto Cavallera, Errata porridge, Zacinto/Biblion, collana Manufatti poetici, Milano 2023
cliccare per ingrandire

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un frammento su slowforward:
slowforward.net/2023/09/04/un-…

tre frammenti su gammm:
gammm.org/2023/07/24/tre-framm…

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youtube.com/embed/8iGGKX3x5AE?…

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youtube.com/embed/3W9CNywwBvA?…

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Nel titolo Errata Porridge si trova una delle poche, se non l’unica, locuzione in veste di calembour, dell’intera opera. Quest’ultima suona, in realtà, tutt’altro che allegra o spiritosa, intraducibile in satira così come in poesia. Si può paragonare l’autore di questo esemplare lavoro di scrittura – che sa mettere nero su bianco in creativa sequenza e solo in questo modo vuole esprimersi – a un attore sublime, a un tenore eccelso, a un ballerino che supera la gravità terrestre, a un atleta da record, a un musicista di genio, ecc. Se intervistati spesso costoro rispondono evasivamente o con palese disagio perché solo in scena, cioè in atto di creazione, si sentono nella propria pelle e nei propri panni, ossia si trasfigurano. Preambolo che dice assai poco – se prima non si è letto e meditato il testo di Roberto Cavallera – e per niente esaustivo circa la complessità e la straordinaria ars (s)combinatoria della sua scrittura. Intanto in copertina appare una decisa biffure, un colpo di spugna che segnala un avvertimento, un chiaro avviso per il lettore. È lo stesso Roberto a dire, circa il titolo Errata Porridge, di essersi ispirato a un banale refuso trovato chissadove ma quanto mai azzeccato per uno scritto che mette a soqquadro ogni possibile parentela con la pagina zeppa di parole che si pretendono narrative, didascaliche, morali, erotiche, fantasiose… Quasi una nemesi, un castigo inflitto alle parolibere di futuristica memoria emerge dal frasario intenzionalmente predatorio e pronto al dileggio dell’autore che si direbbe voglia indicare la presente non-libertà della parola, il singhiozzo afasico della cosiddetta comunicazione/condivisione. Se protagonista del manufatto è l’esplorazione della scrittura in vista di una sua possibile salvezza, immediata conseguenza ne è la completa desertificazione, raggiunto l’anno zero dopo millenni di storia. Alla base c’è il rifiuto di modi e tempi del nostro vivere dove Roberto pare riscontrare una totale latitanza qualitativa in ogni parola, atto, o rapporto. Ne discende un amaro sarcasmo che investe il perdurare e il perdersi dei giorni. Fin dal titolo l’autore insiste sul motivo dell’errore quale dramma e sapienza, unica arte possibile del presente. Le citazioni contenute nel testo alludono, più o meno velatamente, ad autori disertati e orfani del loro stesso messaggio come Pasolini che, qui attualizzato in “performar trasumanar”, ci ricorda aver preconizzato il disimpegno totale, il cannibalismo dell’uomo postmoderno travolto da una inarrestabile e irreversibile mutazione antropologica. La scrittura di Cavallera, apparentemente criptica, percorre in realtà tutti i sentieri e i disastri relativi al sociale, per trarne una chiusa apocalittica che ne caratterizza il più sostanziale pensiero. Dal fallimento dell’educazione formativa alle star dello sport agonistico con inevitabile processione di vestali/escort ambiziosissime, dalla smodata pubblicazione di centoni pseudoletterari alla desolante certezza della solidarietà come atto inutile, si trascorre alla visione dell’universo donna dove continua a dominare la bella di turno che splende ammiccando. Qui l’impostura delle parole suadenti e del rotocalco da parrucchiere si pongono come vera frode ai danni dell’insensata femmina. Quanto appreso, o soltanto intuito, vale a parziale esemplificazione degli infiniti motivi del manufatto letterario di Roberto Cavallera che, non a caso, pare tornare bruscamente alla realtà a conclusione della sua allucinata parabola-monologo. Ora egli si rivolge all’eventuale lettore con la convinzione del dissolversi di ogni senso, rinnegando tutto salvo la “gravità postuma della poesia”. Messo in catene il pensiero, vi è comunque paura per tutti mentre giunge la catastrofe finale con la Twingo che si schianta non più passata sotto metafora e di cui pare udirsi il fragore.

Ida Isoardi
ottobre 2023

#Arcipelago #Biblion #BiblionZacinto #compostxt #ErrataPorridge #EXIT #EXITMaterialiFuoriContesto #gammm #ManufattiPoetici #ponteBianco #pontebianco #RobertoCavallera #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca #Slm #slowforward #Zacinto

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sistemanza dei joycojoni per giocare senza troppo sclerare (fix/riparazione Joycon drift con la carta)


“Dunque”… parola che in questo caso significa “odio Nintendo“… Questa settimana mi starei divertendo a tenere la specie di nuovo diario di gioco degli Animali Crostini, ma, nonostante mesi e mesi di inutilizzo, i joycon dello Swiss non si comportano affatto bene (o meglio, nello specifico il sinistro, perché il destro mi va a posto… anche se è comunque rotto in altre parti, che disastro!): lo stick drifta, e oggettivamente persino più di tutti quei tizi che negli anni 80 in Giappone facevano le corse clandestine con le auto. 🏎️

Questo è… non un enorme problema per giocare ad ACNH, visto che comunque il drift non è pesantissimo, e il massimo che succede è che il personaggio se ne vola lentamente verso nord (“[em]oh mia bela madunina” aah tipo di merda[/em]), e nei menu sembra raramente rompere le scatole… ma comunque, il drift è costante, e di conseguenza il fatto che il coso non stia fermo è bello fastidioso per fare movimenti precisi (gaming) o mettersi in posa per fare foto. 😭

Visto che stasera, per fare 1 o 2 schermate (che alla fine nemmeno ho incluso nel post, lasciamo stare) stavo per perdere la pazienza, dopo aver chiuso la sessione di giocaggio ho subito aperto il joycon merdoso, per poterlo riparare con un metodo che fa, ma guarda un po’, molto me-core… ma, a differenza del solito, questo sembra davvero funzionare. Insomma, stick nuovi non li compro, perché tanto col tempo prenderanno a driftare tali e quali ai vecchi e sarò sempre punto e a capo (e poi sono tirchia, è bene non dimenticarlo), ma… uno spessorino di carta precisamente architettato, nel controller ce lo ficco. 😈

…E, si, la riparazione è tutta qui. So che sembra stramboide, ma in realtà su YouTube gira da tanti anni, e il video più famoso che la spiega ha (ad ora) 1,7 milioni di visualizzazioni e 99mila like, quindi è d’uopo fidarsi: How To Fix Your Joycon Drift Permanently!” di VK’s Channel, il famigerato. Io stessa, dopo averla finita e visto il risultato, fatico a credere di non star sognando, ma, se non ho perso completamente la capacità di distinguere il reale dall’immaginato, allora questo fatto è proprio reale!!! 😍

Come carta, da mettere precisamente sopra al retro di metallo dello stick, io ho tagliato dei pezzetti rettangolari grandi circa quanto il fondo dello stick in un lato e il doppio nell’altro, di modo da piegarli in un quadratino al punto tale da creare circa (a occhio) 0.5mm di spessore, per poi fissarli con dello scotch andando giù (che aggiunge un altro po’ di spessore, ma ideale, non troppo), e il risultato mi è venuto talmente preciso da (quasi, ci sarà 0.1mm di differenza visibile solo di profilo; possiamo dire che è niente) non deformare nemmeno il controller quando riassemblato! 👍
Dettaglio del retro dello stick, si vede il piegato in diagonaleRetro dello stick, si vede il piegato più solo verso il centroInterno del joycon con la carta applicata
Non metto un mio video, perché sarebbe la solita noia di vedere una manina che con il ditino muove lo stickino, ma le foto parlano già abbastanza da sole. Non solo la differenza tra il prima e il dopo la sistemazione è sbalorditiva, ma attenzione alla forma dello stick rotto… il retro è piegato verso l’esterno al centro, come se (e beh, è proprio questo il caso; il video di sopra lo spiega molto bene, facendo riferimento a stick smontati e ai design dei brevetti) questo fosse stato tenuto tipo sospeso nel vuoto, quindi tendente a sprofondare su sé stesso con l’usura, dunque a non stare più in posizione centrale da fermo, e dunque a smaranarsi. 🙏
Prima della riparazione, si vede un drift verso nord-estDopo la riparazione, il cursore dello stick è centrato
Vabbè, speriamo che questo fix octoso duri… non dico per sempre, come il video secondo me inutilmente fa sperare, ma quantomeno qualche annetto… anche perché smontare e poi rimontare un joycon non è divertentissimo. A tal proposito… aprendo il controller ho perso il bottoncino di plastica per l’espulsione, quello che sta dietro… e ho cercato sul pavimento (l’ho sentito cadere e rimbalzare chissà dove), ma non l’ho trovato. Sicuramente uscirà domani mattina, ma io non avrò voglia di riaprire il controller per metterlo… e questo in realtà non è un problema, perché il fermino di plastica nel mio joycon è così consumato che questo si estrae semplicemente tirando, senza dover premere… che è tipo l’unica volta al mondo in cui lo spacc torna utile. 😴

#fix #joycon #JoyconDrift #NintendoSwitch #repair #riparazione #switch

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“Oggi arrivano anche le parole di Papa Francesco, che dice…” (gaffe papistica TG2 Post lol)


Stasera sorprendentemente continuano i momenti epici del Tg2, quelli simpatici come morbosamente piacciono a me, perché… Stavolta la conduttrice ci fa sapere che oggi, normalissimo mercoledì di settembre 2025, Papa Francesco avrebbe definito “inaccettabile” la situazione di Gaza… Ma quindi, vuoi vedere che hanno ragione i complottisti e in realtà non è mai morto, è semplicemente andato in pensione divina??? 🤯

Questa gaffe fa specialmente ridere perché, a giudicare da come lei non si è corretta subito dopo (e decine di secondi dopo sarebbe stato comunque troppo tardi, immagino) sicuramente non si è proprio accorta di aver fatto il lapsus… ma a questo punto è un vero peccato che il nome nella grafica a schermo sia invece stato corretto, altrimenti ci sarebbe stato proprio da sputare dalle risate! 🙏

Che poi… apparentemente un sacco di gente ha questo specifico lapsus, per qualche motivo. Mia nonna, gente qualunque parlando così… tanti e tanti si sbagliano e dicono ancora “Francesco”, qualche volta accorgendosene e qualche altra no. A me non capita (potere divino?), però mi pare un grande mistero… sarà forse dovuto al fatto che “Leone Quattordicesimo” è troppo seccante da dire, e solo “papa leone” ha delle vibe da bestemmia simile ai famosi “dii” di CiccioGamer? 🥱

#gaffe #lapsus #Papa #Rai #Telegiornale #TG #TG2 #TG2Post

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da oggi nel podcast ndn – ‘niente di nuovo’, a cura di antonio syxty: riccardo innocenti e matteo tasca in dialogo su “scrittura e verità”


Quella fenditura sottile che separa parola e realtà è il terreno su cui si muovono i nostri ospiti di oggi: interrogarsi se la scrittura sia davvero la dimora della verità o piuttosto il suo travestimento, la sua menzogna più raffinata. Ecco, anche noi da questa frattura vogliamo incominciare.

Prima parte

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Seconda parte

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Terza parte

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#AntonioSyxty #audio #letteratura #materiaSentimentale #MatteoTasca #MicheleZaffarano #ndn #NDNNienteDiNuovo #NienteDiNuovo #podcast #poesia #RiccardoInnocenti #scrittura #scritturaEVerità #Yellow

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Al via la terza edizione del concorso “Giovani Astronomi al Telescopio Nazionale Galileo”

edu.inaf.it/news/premi-e-conco…

Riparte con la terza edizione il concorso “Giovani Astronomi al TNG” per gli studenti delle scuole superiori: inizia la prima fase!

#concorsi #INAF #SAIt #scuola #TNG

Concorso Tng Studenti 2025 2026 Evidenza V2
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‘radio popolare’, 16 sett. 2025: “gaza city brucia di fronte al suo mare”. israele lancia l’offensiva di terra sulla città


da Radio Popolare:

esplosione tra i palazzi di Gaza City

16 sett. 2025: “L’esercito israeliano ha lanciato […] l’invasione di terra su Gaza City. […] I carri armati sono entrati nel cuore della principale città della striscia, e i bombardamenti hanno colpito senza sosta strade, case, infrastrutture. Da questa mattina, i morti sono 89. Centinaia di migliaia di persone vivono ancora nella città. Migliaia di persone stanno invece cercando di fuggire, in un esodo verso un sud che non ha più spazio per ospitarli”.

Il servizio di Valeria Schroter: radiopopolare.substack.com/i/1…

#Gaza #genocide #genocidio #Palestine #Palestina #warcrimes #sionismo #zionism #starvingpeople #starvingcivilians #iof #idf #colonialism #sionisti #izrahell #israelterroriststate #invasion #israelcriminalstate #israelestatocriminale #children #bambini #massacri #deportazione #concentramento #famearmadiguerra #valeriaschroter #GazaCity #radiopopolare

#bambini #bombardamenti #carriArmati #children #colonialism #concentramento #deportazione #distruzione #famearmadiguerra #Gaza #GazaCity #gazacity #genocide #genocidio #GENOCIDIOPALESTINESE #ICC #icj #IDF #invasion #IOF #israelcriminalstate #israelestatocriminale #israelterroriststate #izrahell #massacri #Palestina #Palestine #RadioPopolare #RadioPopolare #sionismo #sionisti #starvingcivilians #starvingpeople #valeriaschroter #warcrimes #zionism

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Ex cinema Concordia, storia di una biblioteca e di uno spreco di risorse


Era l’anno 1999 e con fondi in parte europei (FESR, FSE) e in parte nazionali, veniva finanziato il Programma di Iniziativa Comunitaria URBAN, finalizzato a promuovere un miglioramento durevole delle condizioni di vita delle città, in particolare dei quartieri più poveri e socialmente degradati.

Per Catania furono oggetto del programma alcuni quartieri del centro storico (Civita, […]

Leggi il resto: argocatania.it/2025/09/17/ex-c…

#Biblioteca #ComuneDiCatania #DecretoCaivano #FondiEuropei #PNRR


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roberto cavallera su ‘neutopia’ blog


dall’estate, su invito della redazione di ‘neutopia’, che ringrazio, collaboro al loro blog, e ieri è uscito il primo post: due testi di Roberto Cavallera, accompagnati da una sua grafica, e una davvero notevole sonorizzazione a cura di Elena CappaiBonanni: neutopiablog.org/2025/09/16/du…

buona lettura, buon ascolto

#DavideGalipò #ElenaCappaiBonanni #Neutopia #NeutopiaBlog #NeutopiaBlog #RobertoCavallera #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca

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Il 1° maggio 1945 a Belluno fu un giorno di sangue


Belluno: la chiesa di San Liberale. Fonte: Wikiloc

[…] La ritirata tedesca e la resistenza partigiana
A fine aprile 1945, la strada tra Belluno e Ponte nelle Alpi era percorsa da un flusso continuo di truppe tedesche in fuga verso il Cadore. Il Battaglione partigiano “Palman”, comandato da Francesco Del Vesco detto “Macario”, operava nella zona tra San Liberale e Safforze. Il 25 aprile, nei pressi di Andreane, i partigiani attaccarono una colonna motorizzata tedesca, infliggendo gravi perdite. Da quel momento si aprì una fase di scontri quasi continui, culminata in una battaglia nel centro di Fiammoi, dove persino le donne del paese parteciparono attivamente respingendo l’avanzata nemica.
Il 21 aprile 1945 a Giamosa, frazione del comune di Belluno, viene fermato dai tedeschi un partigiano (sul cui nome non c’è certezza) che, trovato in possesso di un caricatore, viene fucilato sul posto.
Il 30 aprile 1945 le operazioni insurrezionali attorno a Belluno sono in pieno svolgimento. Fin dal mattino i partigiani attaccano il presidio tedesco di Castion (Belluno), che oppone una dura resistenza. I tedeschi prendono molti ostaggi in paese, incendiano diversi edifici, costringono il parroco a togliere il tricolore dal campanile della chiesa e saccheggiano la canonica, oltre a molte case. Infine uccidono, forse perché scambiato per partigiano, un uomo malato di mente che si trovava sulla loro strada.
Quella mattina (30 aprile 1945) i partigiani della zona di Bolzano Bellunese (Belluno) fanno prigionieri 25 tedeschi in ritirata che avevano trovato alloggio in una stalla a Travazzoi (Belluno). I tedeschi, però, informati del fatto, inviano rinforzi per liberare i compagni. Durante le operazioni viene ucciso Mario Mares e ferito un altro uomo.
La situazione era ormai esplosiva: le strade erano intasate da soldati tedeschi allo sbando. Quella notte, il “Palman” ingaggiò nuovi combattimenti. Alle prime luci del 1° maggio, con gli Alleati ormai vicini, i tedeschi iniziarono a scatenare rappresaglie violente sulla popolazione.
L’ira cieca dei nazisti sui civili
Il 1° maggio fu un giorno di sangue. A San Pietro in Campo, i tedeschi, in ritirata e sotto pressione sia dalle forze partigiane sia dalle avanguardie alleate, reagirono con ferocia contro la popolazione civile. La strada che da Belluno porta a Ponte nelle Alpi, diventata una delle principali vie di fuga, si trasformò anche in un teatro di stragi.
Per garantirsi il passaggio, i soldati tedeschi iniziarono a prendere civili come ostaggi, con l’obiettivo di usarli come scudi umani. Tra questi, a San Pietro in Campo, cercarono di prelevare Lino Fistarol e il figlio Gino. La moglie e madre, Luigia Rossa, si oppose disperatamente: si aggrappò ai suoi congiunti per impedirne la cattura. I soldati, innervositi, tentarono di strapparla con la forza. La picchiarono brutalmente con i calci dei fucili e, infine, fucilarono tutti e tre davanti alla loro casa. Luigia Rossa aveva già visto morire un cognato nei giorni precedenti.
Alla Rossa, poche ore dopo, vennero uccise altre persone. I tentativi dei tedeschi di entrare a Fiammoi vennero invece respinti: la popolazione, affiancata dai partigiani, oppose una resistenza decisa. Si scatenò una vera battaglia in cui persero la vita Fiori Sala, Marino Schiocchet (ricordato nella chiesetta di San Matteo a Sala), Antonio Brino “Italo” e Antonio Pampanin “Rapido”. Il comandante del battaglione Palman, Francesco Del Vesco “Macario”, fu gravemente ferito e morì il 14 maggio all’ospedale di Belluno.
L’eccidio di Porta Feltre (ora Piazzale Marconi) a Belluno
Il 1° Maggio 1945 anche Piazzale Marconi a Belluno, registrò delle vittime a causa della furia nazista, in particolare sette partigiani che tentarono di bloccare una colonna corazzata tedesca. I nomi di questi caduti sono Pietro Poletto (Peter), Ardeo De Vivo (Mimi), Oscar Pisciutta (Paolo), Sergio Salomon (Dax), Renato Sottomani (Venerdì), Bruno Tormen (Mario) e Giovanni Sommavilla (Squalet).
Un’ultima minaccia e la risposta alleata
I tedeschi, messi alle strette, arrivarono a prendere in ostaggio donne, bambini, anziani e persino il parroco di Cusighe, usandoli come scudi umani per aprirsi un varco verso il Cadore. Di fronte al rifiuto dei comandi partigiani di lasciarli passare, minacciarono di bombardare Belluno con cannoni da 80 mm puntati sulla città.
Fu solo grazie alla mediazione tra il comando della zona “Piave” e la missione inglese “Simia”, guidata dal maggiore Tilman, che si decise di richiedere un intervento aereo alleato. Otto cacciabombardieri si alzarono in volo e colpirono la colonna tedesca: l’inferno si scatenò sulla strada. I tedeschi superstiti fuggirono verso il monte Serva, ma vennero infine sopraffatti dalle truppe partigiane.
Una liberazione pagata a caro prezzo
Il 1° maggio 1945 si concluse così con un misto di vittoria e lutto. Belluno e l’Oltrardo furono finalmente liberi, ma il prezzo fu altissimo: vite spezzate, famiglie distrutte, ferite ancora aperte. L’episodio è ricordato anche nel libro “Polenta e sassi” di Emilio Sarzi Amadè, che racconta con crudezza la battaglia finale e la ferocia della ritirata tedesca:
“… quando il battaglione di Macario ha visto i carri armati americani che venivano su da Ponte nelle Alpi si è lanciato all’attacco della colonna tedesca che era sulla strada, e i carri armati sono tornati indietro e i tedeschi hanno sparato con un fuoco d’inferno e hanno fatto fuori una dozzina di uomini e adesso Macario è pieno di pallottole, e poi hanno fucilato dei civili vicino alla strada”.
Il 2 maggio 1945 i tedeschi in ritirata presso Salce (Belluno) uccidono Amorino Cassol.
Sempre il 2 maggio 1945 giunge ad Orzes, frazione di Belluno, una colonna tedesca in ritardo rispetto alle altre in ritirata. I soldati sparano sui passanti e ne feriscono due. Luigi Merlin viene ricoverato in ospedale ma muore per l’infezione alla ferita il 5 maggio 1945.
Oggi, a distanza di ottant’anni, è fondamentale non dimenticare.
Quelle giornate tragiche e valorose raccontano la forza di una popolazione che ha resistito all’orrore e ha combattuto per la libertà, anche a costo della vita.
Michele Sacchet, 1° Maggio 1945: a Belluno l’ultimo sangue prima della libertà, Gruppo Alpini Salce, 1 maggio 2025

#1 #1945 #21 #30 #alleati #aprile #Belluno #chiesa #fascisti #Fiammoi #frazioni #fuga #Giamosa #gruppoalpinisalce #guerra #maggio #MicheleSacchet #partigiani #Resistenza #ritirata #Safforze #SanLiberale #SanPietroInCampo #stragi #tedeschi

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night lights / gerry mulligan. 1963


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As a central figure in West Coast Jazz, Gerry Mulligan was active in deepening exchanges with trumpeter Chet Baker and others.
Returning to New York, Mulligan co-starred with Thelonious Monk in 1957 (Mulligan Meets Monk)

In 1963, he released Night Lights, which has a quiet style different from the progressive work that impressed with the baritone sax of the 1950s, and became his masterpiece.

Recorded Sept. 1963
baritone sax, piano Gerry Mulligan
trumpet, fl.horn Art Farmer
trombone Bob Brookmeyer
guitar Jim Hall
bass Bill Crow
drums Dave Bailey


1. Night Lights
2. Morning Of The Carnival
3. Wee Small Hours


src: youtu.be/UrX4mqXmapE

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la spantofolanza autodistruggente porta alla fine di ogni momento (pantofole usurate malamente in 2 anni)


Ok… lo so che tutto sommato non freca a nessuno, e anche io forse mi sentirei meno peggio se non dovessi più fare questo tipo di post, ma… Mi si continua a rompere letteralmente ogni immaginabile cosa!!! E così, non solo proprio negli ultimi giorni per il WiiU è uscito uno spacc nuovissimo, che però ora non spiego, in quanto sarebbe un enorme deja-vu, ma ultimamente mi si è rotta anche una cosa completamente a caso, ossia la pantofola… Le pantofole, a dire il vero, ma dopo mesi in cui non ci ho prestato la minima attenzione ultimamente si sono consumate ad un livello non più ignorabile. 😳

Mannaggia a tutti gli spiriti della demolizione non autorizzata e del caos entropico! Livelli di distruzione così stupidi che fatico a credere che, in tutto il mondo, proprio e solo a me devono capitare di continuo. Pantofole non-so merdinose dell’unica azienda-che-non-nomino (e che ho censurato pure dalle foto, perché non voglio querele, grazie) che vende solo pantofole, eppure vende pantofole appunto merdose, spesso di cartone (o qualunque cosa sia quello strano materiale suppongo da 4 soldi che spero abbiano tutti in mente), che si rompono in appena un (1) anno di uso… Beh, queste qui sono un modello non di cartone, e infatti sono durate ben di più… due (2) anni, minchia che qualità. In ordine cronologico, più o meno, la caduta di questo paio di cosi si è avuta così: 💥

  • La parte di gomma sotto che si è parzialmente ben consumata (non completamente, e comunque tecnicamente da non considerarsi una rottura… è usura normale e penso non evitabile nemmeno con materiali di altissima fattura, ma va detto)
  • La copertura di stoffa interna (che ricopre il materiale duro tipo gomma) che si è parecchio consumata…
    • Prima tipo restringendosi di circa mezzo centimetro più in dentro (wtf?), almeno sulla parte esterna…
    • Poi staccandosi e piegandosi su sé stessa verso sinistra, nella parte più interna, per la pantofola destra…
    • E poi ancora, in qualche modo bucandosi proprio, nella zona più interna: per entrambe le pantofole, sono usciti buchi di dimensioni comparabili alle dita del piede, nella stoffa… e non ho idea di dove sia finita la materia che stava lì, fisicamente, in realtà


  • A causa dei pollicioni (si, lo so che si chiamano alluci, ma non mi piace, sembra un nome che ha a che fare con le malattie o con insetti disgustosi), si sono a tutti gli effetti aperti dei buchi nella parte alta delle pantofole…
    • Qualche mese fa uno nella destra, che ora è diventato così grande che il dito quasi ci esce fuori…
    • …E proprio ultimamente mi sa, perché non ci avevo fatto caso prima di poco fa, anche nella sinistra se ne sta facendo uno.


  • Infine, la goccia che ha fatto traboccare il vaso: si è, in qualche misura a me non troppo ovvia, rotto il cosino di metallo che aggancia la linguetta orizzontale della pantofola sinistra, che ha tipo iniziato a non stare più fermo bene, quindi facendo completamente uscire la linguetta, e allentando in modo terribile la pantofola.


Fondo delle pantofole con l'usura evidenziataLati esterni delle pantofole con l'usura della stoffa evidenziataInterno della pantofola come descritta con la stoffa consumataPunti alti della pantofola con il buchino (poco visibile) e il bucone evidenziatiLinguetta della pantofola fissata al metallo e al resto con la colla a caldo come brevemente descritto
Tutto ciò è veramente da manicomio… Ed è proprio per questo che, almeno l’ultimo danno, stasera l’ho sistemato… con la colla a caldo, come nessuna persona normale farebbe per delle pantofole. Non è il massimo, forse la tenuta ora è leggermente più stretta di come fosse prima che si rompesse, ma si va avanti. Tutto il resto, ovviamente, non ci sta versi di acconciarlo, e si vede che relativamente a breve farò bene a comprarlo, uno stramaledetto paio di nuove pantofole… Però boh, se queste fanno schifo, quali cavolo dovrei comprare? Considerato che il negozio locale è mal fornito… o spero nel fatto che cercando a settembre, anziché facendo tardi come al solito e arrivando quindi a fine novembre, si trovi effettivamente qualcosa… o sennò dove cazzo devo cercare, su AliExpress??? 💔

P.S., ecco un fatto pantofoliaco non particolarmente divertente, ma importante per la lore: queste pantofole le ho da letteralmente quasi 2 anni, nel senso di 2 anni di uso ininterrotto… perché sono tecnicamente invernali, ma non sono davvero pesanti, e quindi è successo che per questi 2 anni le ho usate anche per tutta l’estate… yikes. Questo perché verso l’estate scorsa ho cercato ciabatte estive che non fossero di plastica (quelle le uso al mare, ma in casa non gradisco), ma non le ho trovate, mentre quest’estate… da un lato la cosa mi è sfuggita di mente, visto anche come l’estate stessa mi è un po’ scivolata dalle mani, ma dall’altro lato mi ero semi-rassegnata a fare come l’anno precedente. Quindi, ok, c’è sicuramente anche questo da tenere in conto per l’usura… però che tremendicità assoluta comunque!!! 🥴

#danni #Mannaggia #pantofole #spacc #usura

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alcuni post, da agosto a oggi, su compostxt, pontebianco e differx


various : decoder
compostxt.blogspot.com/2025/08…

harry partch : delusion of the fury. a ritual of dream and delusion, 1969
compostxt.blogspot.com/2025/08…

riccardo cavallo : legenda
compostxt.blogspot.com/2025/08…

various : luna park 0,10 (feat. guillaume apollinaire, vladimir maiakovski, tristan tzara, brion gysin, james joyce…)
compostxt.blogspot.com/2025/08…

002, 004 / enea roversi
compostxt.blogspot.com/2025/08…

inventario / ermanno guantini. 2025
compostxt.blogspot.com/2025/09…

variazioni, luminescenze, onde / antonio devicienti. 2025
pontebianco.noblogs.org/post/2…

various : luna park 0,10 (feat. guillaume apollinaire, vladimir maiakovski, tristan tzara, brion gysin, james joyce…)
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riccardo cavallo : legenda
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david lynch: a few artworks (post @ slowforward, jan 2025)
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-falsariga / luca zanini. 2025
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l’astratto del segno / differx. 2025
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dormono per sempre, uccisi per sempre da israele
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un articolo su charlie kirk e i sionisti, ripreso dal sito ‘the grayzone’
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#compostxt #differx #ponteBianco #pontebianco #scritturaDiRicerca #scrittureDiRicerca #siti


variazioni, luminescenze, onde / antonio devicienti. 2025


antonio devicienti_ variazioni asemiche del grigio_ pontebianco 2025
variazioni asemiche

antonio devicienti_ luminescenze_ pontebianco 2025
luminescenze

antonio devicienti_ onde del tempo_ pontebianco 2025
onde del tempo

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19 settembre, milano: “le gioconde di patella”, incontro con giuseppe garrera al ferrobedò


Gioconda con la mosca al naso (particolare) 1985 Museo Ideale Leonardo da Vinci, Vinci (FI)
Gioconda con la mosca al naso (particolare) 1985 Museo Ideale Leonardo da Vinci, Vinci (FI)

Venerdì 19 settembre 2025, alle ore 18:30
@ Ferrobedò / via Moscova 40, Milano

Le Gioconde di Patella

a cura di Giuseppe Garrera

In mostra, a Ferrobedò, le innumerevoli Gioconde (santini, cartoline, souvenir, locandine, ritagli da giornali) rinvenute dappertutto sulle pareti e nel riordinare i cassetti di quella che fu l’ultima abitazione di Luca Maria Patella a via Reggio Emilia a Roma. Attestazioni di una magnifica ossessione e di un culto privato, ma anche indagine ininterrotta di Patella sulle ragioni, le ragioni d’ombra, di tale fissazione.

Le tante Gioconde di Patella sono infatti capitoli e pezzi di un puzzle disperso per la decriptazione di una presenza e di un sogno. Accanto alle operazioni artistiche ufficiali di Patella sulla Gioconda (Gioconda con la mosca sul naso o Gioconda in fronte), e alla partecipazione ad importanti esposizioni sul tema (ricorderei qui almeno la grande mostra giapponese itinerante del 2000 Les 100 sourires de monna Lisa a cura di Jean-Michel Ribettes con tappe a Tokio, Shizuoka e Hiroshima) a illuminare l’oscurità ci sono anche queste intimità personali e apotropaiche. Intanto si parte sempre da Duchamp e sempre si torna a Duchamp. C’è, ad esempio, un ritaglio dell’orinatoio – Fontana – di Duchamp che Patella conservava gelosamente nel cassetto del suo comodino: scontornato, ridotto a sagoma, sovrapposto alla Gioconda, l’orinatoio rivela, in maniera fulminante, essere l’ombra della Gioconda. È solo l’inizio di un viaggio che ci porterà alla scoperta di Gioconde purgative e per la diarrea, di Gioconde con la mosca al naso, o sedute su sedie “comode” per defecare, o per minzioni attese dai suoi ammiratori a bocca aperta; o ancora Gioconde scomparse (le immaginette devozionali, le riproduzioni kitsch sono in realtà sempre segnali di tale terrore), fuggite di casa, perché “siamo stati cattivi”; o ancora, sorridenti dopo essersi arrabbiate o che ritornano a sorriderci ma con pizzo e baffi in faccia o ammiccanti e che si denudano il petto davanti a noi.

La collezione di Gioconde di Patella si rivela una delle ricerche, e uno dei repertori di conforto, più perturbanti e intimi intorno ad un’immagine e all’inseguimento di una apparizione.

#art #arte #cartoline #conferenza #Duchamp #Ferrobedò #Garrera #Gioconda #gioconde #GiuseppeGarrera #JeanMichelRibettes #locandine #LucaMariaPatella #Patella #ritagli #santini #souvenir

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università iuav, venezia, 17 settembre: finissage della mostra di indagini e immagini dal fondo daniela palazzoli


Mostra della biblioteca Palazzoli @ IUAV
cliccare per ingrandire

UNA BIBLIOTECA DI FOTOGRAFIA COME OPERA CREATIVA

mostra dal 27 agosto al 19 settembre
finissage 17 settembre, sala Gradoni, ore 17

Indagini e immagini dal fondo Daniela Palazzoli

Mostra a cura di Lisa Andreani
Intervengono durante il finissage Lisa Andreani e Giuseppe Garrera

La selezione di volumi appartenenti al fondo Daniela Palazzoli mostra una delle possibili strade per indagare e lasciare emergere l’interesse, l’incontro e scontro della storica e critica d’arte con l’immagine.

L’evento fa parte del ciclo di incontri “I mercoledì della biblioteca”.

Università Iuav di Venezia

#FondiLibrariSpeciali #FondoPalazzoli #Photography #mostrainbiblioteca #danielapalazzoli #lisaandreani #giuseppegarrera

#art #arte #critica #criticaDArte #DanielaPalazzoli #danielapalazzoli #FondiLibrariSpeciali #fondoDanielaPalazzoli #FondoPalazzoli #FondoPalazzoli #fotografia #GiuseppeGarrera #giuseppegarrera #IMercoledìDellaBiblioteca #IUAV #LisaAndreani #lisaandreani #mostrainbiblioteca #photography #UniversitàIuav #UniversitàIuavDiVenezia


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Treno Intercity 511 per Salerno con E401.020 in transito a Bolgheri (17/07/2024)


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Con l’armistizio tentarono la costituzione di una Guardia Nazionale


Per meglio comprendere le opposte politicizzazioni cui furono soggetti i soldati, esposti ai «megafoni che gridano promiscuamente in lingue politiche diverse» <1270, è necessario approfondire i termini con cui, nell’autunno del 1944, si arrivò all’arruolamento di migliaia di volontari provenienti dalle fila partigiane.
Già nel corso della guerra fascista, il Regio Esercito confermò la propria diffidenza nei confronti di uomini particolarmente motivati come i volontari. Temuti portatori di un sistema di valori slegato dalla semplice obbedienza all’autorità, la loro fedeltà politica materializzatasi nell’assunzione dell’onere del combattimento metteva implicitamente in discussione la legittimità di una gerarchia, incardinata sull’obbligo giuridico e personale di servire la patria in armi.
Il volontarismo per la guerra fascista fu visto da Mussolini come un’occasione per confermare il ruolo di guida del Partito, ma proprio l’istituzione militare era diffidente di fronte a forme troppo aperte di politicizzazione.
[…] Dopo l’armistizio l’arruolamento di volontari ebbe una storia parimenti travagliata, i partiti di sinistra proposero proprio il volontarismo come condizione per ricostruire un Esercito screditato <1272. Alla supposta incompetenza dei quadri dirigenti, compromessi con il fascismo e responsabili di una guerra perduta, venne contrapposto lo slancio che i volontari avrebbero potuto portare ad una struttura stanca e burocratica. Lo spirito patriottico dei volontari avrebbe potuto ridare linfa e spirito combattivo anche ai militari di leva. Presentati come quieti, fedeli ed obbedienti, i soldati sarebbero stati vittime dell’inettitudine degli alti gradi, responsabili della guerra fascista.
I governi che si susseguirono nel corso della Guerra di Liberazione promulgarono due bandi per l’arruolamento di volontari, emessi però in condizioni e con obiettivi molto diversi.
Dopo il 25 luglio, i partiti riammessi all’agone politico dopo la destituzione di Mussolini, sopratutto quelli con un’anima più “rivoluzionaria” come il Partito d’Azione ed il Partito Comunista Italiano, si diedero da subito una politica militare che avrebbe dovuto fare i conti con il Regio Esercito e con il suo ruolo istituzionale. Il PCI chiese al governo di siglare la pace con gli Alleati e di iniziare la guerra contro i tedeschi <1273. Con l’Armistizio i comunisti, assieme agli altri partiti antifascisti, tentarono la costituzione di una Guardia Nazionale – un nome che rimandava a fasti risorgimentali e giacobini – che potesse affiancare le truppe regolari nella lotta contro i tedeschi. Ogni tentativo fu frustrato dal rifiuto dei militari di armare delle formazioni politicizzate <1274.
All’indomani dell’8 settembre, Ferruccio Parri ribadì agli stupiti rappresentanti dei servizi segreti americani la sua intenzione di organizzare un’armata di volontari da affiancare alle truppe regolari nella lotta contro i tedeschi, suscitando in Allen Dulles una certa diffidenza. Nei mesi seguenti, il Partito d’Azione fu fra i maggiori assertori del volontarismo come mezzo di rinnovamento delle forze armate <1275.
Il giorno dell’armistizio, le richieste di armi da parte dei “volontari” si moltiplicarono <1276. Come ricorda Giuseppe Conti, ci fu chi cercò di fare del volontariato antifascista «uno strumento nuovo di guerra, in contrapposizione all’ormai superato esercito monarchico», ma anche chi cercò di organizzare un volontariato meno politico e ostile alle forze armate regie <1277.
Con lo stabilizzarsi della situazione nel “Regno del sud”, Badoglio cercò di regolare definitivamente la questione. Nella porzione di terre liberate i volontari cominciarono ad essere arruolati da privati cittadini più o meno vicini ai partiti, allo scopo di dimostrare la volontà degli italiani di combattere e di sottrarre alla monarchia il monopolio dell’ancora inesistente sforzo bellico per il concorso alla liberazione della penisola. A Bari l’iniziativa passò nelle mani degli antifascisti, nella forma di un manifesto affisso a firma del Fronte Nazionale d’Azione, composto dai quattro partiti presenti in città. Il Prefetto ordinò l’arresto del tipografo e dei due esponenti del PdA e del PCI responsabili di aver diffuso dei manifestini incoraggianti per l’arruolamento <1278. Allo stesso tempo, un gruppo di monarchici organizzò una colonna volontari che avrebbe dovuto tanto combattere i tedeschi, quanto puntellare la monarchia di fronte ad una temuta rivolta comunista, che si sarebbe dovuta manifestare anche durante il congresso di Bari nel gennaio del 1944 <1279.
Il IX Corpo d’Armata propose di organizzare un vero e proprio «partito dell’ordine» con i reduci della Grande guerra, in modo da contrastare l’efficace propaganda del PCI <1280. Questa vicenda non rimase isolata nei confusi giorni successivi all’8 settembre, dato che «Comitati di volontari di guerra e Comitati d’azione» erano presenti in molte città pugliesi <1281. Lo stesso Badoglio decise di bloccare ogni tentativo di organizzare «irresponsabili bande di volontari», almeno nelle province sotto la sua giurisdizione, precisamente per assicurare l’ordine pubblico alle spalle degli eserciti alleati da poco sbarcati in Italia. In fin dei conti, «a coloro i quali fossero effettivamente animati da volontà di combattere, si era data la possibilità di arruolarsi in reparti regolari dell’Esercito» <1282. Il 10 ottobre 1943 Badoglio diramò una circolare ai prefetti, nella quale ribadì che: “nessun individuo, ente o associazione è autorizzato alla formazione di bande di volontari. Solamente l’Esercito è incaricato di ricevere, armare e istruire volontari. Chiunque operi contrariamente a queste tassative disposizioni sarà immediatamente arrestato e deferito al Tribunale di Guerra. Le bande eventualmente costituite o in corso di costituzione, vanno immediatamente sciolte e diffidati i promotori ad astenersi da ulteriori attività in merito” <1283.
In questo modo Badoglio cercò di rassicurare Vittorio Emanuele, che «mostrava di avere una fiducia più piena in Roatta, Ambrosio e gli altri militari “puri”, ostilissimi al volontariato». Per questo il 10 ottobre diffidò ogni cittadino dall’arruolare privatamente reparti volontari, ponendo un freno ai movimenti apparentemente appoggiati anche dagli alleati, come i Gruppi Combattenti Italia del generale Giuseppe Pavone <1284. Chiunque avesse voluto far guerra ai tedeschi avrebbe dovuto usare gli ordinari canali istituzionali. Questi vennero aperti dal Bando 8 del 28 ottobre 1943, con cui Ambrosio ordinò che fossero costituiti dei reparti composti unicamente da volontari da affiancare alle unità regolari <1285. I termini d’arruolamento previsti dal Bando 8 non mancarono di deludere quei partiti che avevano chiesto a gran voce una riforma dell’Esercito. “Si proibiscono dapprima come criminali di lesa maestà gli arruolamenti di volontari e quando, dopo la mortificazione prodotta dal troppo indugiare, lo slancio volontaristico è stato sviato e ridotto, si indicono arruolamenti concepiti con la tipica mentalità delle caserme per la quale un uomo è un numero e non già il portatore di un’esperienza e di un’idea” <1286.

[NOTE]1270 ISNENGHI, Le guerre degli italiani…, p. 317.
1272 Vedi SANNA Daniele, Riorganizzazione e ridimensionamento del regio esercito durante la luogotenenza (giugno 1944 – giugno 1946), in «Amministrare. Rivista quadrimestrale dell’Istituto per la Scienza dell’Amministrazione pubblica», n. 1, 2010, pp. 248-250; CONTI, Aspetti della riorganizzazione…; pp. 100-103.
1273 Pavone, Una guerra civile…, p. 11.
1274 In questo senso andò una delle prime azioni del Fronte Nazionale costituito a Napoli, cui partecipò fra gli altri il futuro sottosegretario comunista al Ministero della Guerra, Mario Palermo, assieme a Pasquale Schiano, Adriano Reale e Vincenzo Arangio Ruiz. La speranza fu quella di convincere il generale Del Tetto, responsabile della difesa di Napoli, ad armare delle bande popolari. Le armi non furono date, PALERMO, Memorie…, pp. 159-160.
1275 PAVONE, Una guerra civile…, pp. 10-11; POLESE REMAGGI Luca, La nazione perduta. Ferruccio Parri nel Novecento italiano, Il Mulino, Bologna 2004, pp. 231-232; DE LUNA Giovanni, Storia del Partito d’Azione. La rivoluzione democratica (1942/1947), Feltrinelli, Milano 1982, pp. 99-101. CONTI, Aspetti della riorganizzazione…, pp. 101-103.
1276 Il comitato antifascista di Venezia chiese all’aiutante di campo del duca di Genova (che nel frattempo era fuggito) di poter essere armato per formare una «Legione Veneta» forte di 1.500 uomini, ma ottenne un secco rifiuto. A Ravenna le richieste di armi incontrarono l’opposizione del generale Carabba. A Novara il rifiuto venne dal generale Sorrentino, che comunque promise di armare una “Guardia Nazionale”. A Torino Adami Rossi non ricevette i rappresentati politici che chiedevano di essere armati, e lo stesso accadde nella Milano del generale Ruggero, che consegnò ottanta fucili il 9 settembre ma, dopo la resa ai tedeschi del 10, fece affiggere un proclama che minacciava di passare per le armi chiunque avesse accennato ad una resistenza. A Firenze il generale Chiappi usò un po’ di tatticismo incoraggiò i comunisti ad organizzarsi, salvo poi rifiutare loro le armi. A Piombino, nonostante l’opposizione dei comandi militari i “partiti” riuscirono anche a respingere un primo sbarco tedesco, ma Cesare Maria De Vecchi ordinò poi di liberare i prigionieri e di non aprire il fuoco sulle truppe tedesche. A Napoli il Comitato dei Partiti Antifascisti propose al comandante militare della città di armare il popolo LONGO Luigi, Un popolo alla macchia, Mondadori, Milano 1952, pp. 54-55, pp. 91-92; SPRIANO, Storia del partito comunista italiano. 7. La Resistenza, Togliatti e il partito nuovo, Einaudi, Torino 1975, pp. 24-37. Per entrare nel campo delle testimonianze, in questo senso vanno sia il racconto di Pasquale Plantera, che avrebbe partecipato allo sfortunato tentativo di fermare delle autocolonne tedesche tentato dal 5º Reggimento Bersaglieri a Volterra; sia quello di Alvaro Sabatini (Marco), che, assieme ad altri, avrebbe cercato di organizzare una difesa organizzata a Montepulciano. Sia Plantera che Sabatini sarebbero poi stati tra i partigiani senesi arruolatisi volontari del Gruppo “Cremona”. Vedi testimonianza di Pasquale Plantera (Serpente), e quella di Alvaro Sabatini (Marco) in Lo strano soldato…, p. 304, pp. 327-328; di natura molto diversa la “brigata proletaria” composta da operai di Monfalcone che avrebbero cercato di difendere le infrastrutture dove lavoravano, Voce Trieste, brigata Garibaldi, in COLLOTTI, SANDRI, SESSI (a cura di), Dizionario della Resistenza, vol II., Luoghi, formazioni, protagonisti, Torino, Einaudi, 2006, p. 234.
1277 CONTI, Aspetti della riorganizzazione…, p. 96; vedi anche PAVONE, I Gruppi Combattenti Italia. Un fallito tentativo di costituzione di un corpo di volontari nell’Italia Meridionale (settembre-ottobre 1943), in «Il Movimento di Liberazione in Italia», 1955, f. 1-2, n. 34-35, pp. 80-119.
1278 DEGLI ESPINOSA, Il regno del sud…, pp. 41-42, vedi anche p. 181. Dell’episodio parla anche PAVONE, I Gruppi Combattenti Italia…, pp. 82-83. ALOSCO A., L’arresto dei liberalsocialisti di Bari nel 1943, in «Annali dell’istituto Ugo La Malfa», vol. III, 1987.
1279 Il gruppo dirigente della colonna fu processato dal Tribunale Militare Territoriale di Bari nel gennaio del 1945, proprio a causa delle azioni violente che avrebbe organizzato in vista del congresso dei CLN, vedi ASBa, Tribunale Militare Territoriale di Guerra di Bari, vol. 9, Sentenze 1945, come citato in LEUZZI Vito Antonio, Lotta politica dopo l’8 settembre 1943. Reazione monarchica e organizzazione di una colonna armata contro il Congresso di Bari dei Cln, in SOVERINA, 1943…, pp. 236-239.
1280 ACS, PCM Napoli-Salerno 1943-1944, c. 4, n. 10 Situazione politica interna, sf. 9, Propaganda del partito comunista, Comando del IX Corpo d’Armata. Ufficio Affari Civili, prot. N. 349/AC/Ris, Combattenti della guerra 1915-1918.-, 19 novembre 1943.
1281 ACS, PCM Brindisi-Salerno, 1943-’44, c. 2-6, f.1, CC.RR. Italia merid., 4 ott. ’43, n. 23-1 prot., in CONTI, Aspetti della riorganizzazione…, p. 96n.
1282 BADOGLIO Pietro, L’Italia nella seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano 1946, p. 281.
1283 ACS, PCM Brindisi-Salerno, 1943-’44, c. 3-5, telegramma di Badoglio ai prefetti, 10 ott. ’43, n. 513, in CONTI, Aspetti della riorganizzazione…, p. 98.
1284 PAVONE, I Gruppi Combattenti Italia…, p. 101; un impressione, quella sull’isolamento di Badoglio rispetto a Vittorio Emanuele III e alla cerchia dei capi di stato maggiore, Roatta e Ambrosio in testa, confermata anche da Piero Pieri e Giorgio Rochat in PIERI Piero, ROCHAT Giorgio, Badoglio, UTET, Torino 1974, pp. 828-829.
1285 Raccolta ufficiale dei provvedimenti emanati dal governo italiano dall’8 settembre all’8 luglio 1944, Roma, 1944, p. 44, Bando del 28 ottobre 1943, n. 8, Arruolamento volontari nel Regio Esercito, emanato nella «Gazzetta Ufficiale», 27 novembre ’43, n. 3-B.
1286 «L’Italia del Popolo», n. 4, 19 nov ’43, Esercito e Milizia, p.2, citato in CONTI, Aspetti della riorganizzazione…, p. 100.
Nicolò Da Lio, Il Regio Esercito fra fascismo e Guerra di Liberazione. 1922-1945, Tesi di dottorato, Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, 2016

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21 settembre, parte il campionato di calcio in Burkina Faso.


[:it]32 i nuovi club affiliati alla federazione[:]

Il 13 settembre 2025, la Federazione Burkinabè di Calcio (FBF) ha tenuto un’importante Assemblea generale a Ouagadougou, segnando il primo incontro ufficiale sotto la presidenza del colonnello Oumarou Sawadogo. Nel corso dell’evento sono state prese importanti decisioni riguardo allo sviluppo del calcio nel Paese.

Durante l’assemblea, i partecipanti hanno approvato l’affiliazione di 32 nuovi club alla FBF e hanno fissato l’inizio del campionato per il 21 settembre 2025. La stagione 2025-2026 è stata al centro del dibattito, con i rappresentanti delle leghe regionali, dei distretti e dei club che hanno discusso dettagliatamente l’organizzazione della prossima stagione calcistica. È stata espressa l’intenzione di consentire ai club di disputare le proprie partite sui terreni di gioco che possiedono. Il Presidente della FBF ha sottolineato l’importanza di questa richiesta, affermando di considerare favorevolmente tale richiesta, quando possibile.

Infatti tra i club di prima divisione che potrebbero beneficiare di questa misura figurano l’ASFA, l’EFO, il RCK, il Salitas e il RAHIMO FC; tuttavia, è stata evidenziato come molti di questi terreni non siano attualmente attrezzati in modo adeguato per ospitare le partite del campionato.

Inoltre, durante l’assemblea è stato confermato che diversi club hanno ricevuto la loro nuova affiliazione alla federazione, requisito di base per poter partecipare ai campionati federali. Tra questi, due squadre di terza divisione, inclusa una proveniente da Ouagadougou, hanno cambiato denominazione. Il giovane club Basga Jo, originariamente affiliato alla regione del Kadiogo, ha trasferito le sue attività nella regione dell’Oubri.

Un altro punto saliente dell’incontro è stato il bilancio delle attività dell’ufficio esecutivo, che ha concluso il primo anno di mandato. La relazione ed il bilancio sono stati approvati dai partecipanti, i quali hanno inoltre fornito indicazioni per il prossimo anno con l’obiettivo di sviluppare ulteriormente il calcio burkinabè.

calcio

Fonte: leconomistedufaso.com


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pod al popolo #078, “prima dell’oggetto” a radiotre suite (con ‘la scuola delle cose’)


Sull’intervista a RadioTre Suite, a cura di Fabio Cifariello Ciardi, per Prima dell’oggetto e “La scuola delle cose”, era già comparso questo post: slowforward.net/2025/08/25/rad…, con relativo rinvio a https://www.raiplaysound.it/audio/2025/08/Radio3-Suite—Magazine-del-24082025-aef7d6cc-546a-474c-bcbb-3db0019727f8.html. Ora l’audio è anche in Pod al popolo. Podcast irregolare ed ennesimo fail again fail better dell’occidente postremo. Buon ascolto

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radiotre suite, 24 ago. 2025: fabio cifariello ciardi in dialogo con mg su “prima dell’oggetto” (déclic) e la rivista ‘la scuola delle cose’ (lyceum/mudima)


RadioTre Suite, 24 ago. 2025. dialogo con Fabio Cifariello Ciardi su Marco Giovenale, "Prima dell'oggetto" (déclic, 2025)

https://www.raiplaysound.it/audio/2025/08/Radio3-Suite—Magazine-del-24082025-aef7d6cc-546a-474c-bcbb-3db0019727f8.html

grazie a Fabio Cifariello Ciardi per il dialogo, l’attenzione e il grande spazio accordato al mio libro e a ‘La scuola delle cose’

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La scuola delle cose, n. 19, aprile 2025, SCRITTURA DI RICERCA (pubbl. Mudima / Lyceum)
link alla rivista

copertina di "Prima dell'oggetto", di Marco Giovenale (déclic, 2025)
link al libro

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[r] _ sostenere le librerie indipendenti: iniziando da ‘mannaggia’, di perugia, che ha un ricchissimo catalogo online


La libreria Mannaggia ha un sito finalmente! e SPEDISCE IN TUTTA ITALIA! ... solo da MANNAGGIA è possibile trovare praticamente TUTTA l'editoria di qualità e le collane indipendenti che fanno la buona anzi l'ottima letteratura

La libreria Mannaggia ha un sito che SPEDISCE IN TUTTA ITALIA! … solo da MANNAGGIA è possibile trovare praticamente TUTTA l’editoria di qualità e le collane indipendenti che fanno la buona anzi l’ottima letteratura.

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☞ Nella pagina dei prodotti potrete inserire, nella barra di ricerca, i titoli o gli autori dei libri che cercate: https://mannaggialibreria.sumupstore.com/prodotti

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● I consigli della libraia e del libraio mannaggici:

Carlo: mannaggialibreria.sumupstore.c…

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Per dubbi, richieste e informazioni, contattateci sui nostri social o scrivete a mannaggialibreria@gmail.com.

Fate scorte e buone letture!

Vi aspettiamo in libreria e sullo store, sempre a libri aperti!

Carlo e Francesca

________________________

MANNAGGIA
Libri da un altro mondo

MANNAGGIA LIBRERIA s.n.c. di Francesca Chiappalone e Carlo Sperduti
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Via Cartolari 8, 06122, Perugia (PG)
Tel: 0759665399
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su Animal Crossing, nuovi orizzonti e brutali abbandoni… (cancellazione isola)


Ieri, volendo resettare il salvataggio di Animali Crostini Nuovi Orizzonti, ho scoperto di averci dovuto perdere svariati minuti, perché non è esattamente ovvio il come… e un pochino mi sento stupida. Certamente ho pensato di dover andare sul menu impostazioni semi-nascosto di avvio del gioco (tasto MINUS), e non di continuare normalmente come se volessi giocare, ma… in realtà, a parte che è tutto mezzo criptico lì e ho dovuto perdere qualche minuto solo per beccare il tasto giusto di 5, ho scoperto che è comunque tutta una presa in giro: Tom Nook rigira la frittata e dice di andare nelle impostazioni della console, per compiere il lavoro, che questa roba della formattazione non è mestiere suo ormai! 🤯

E, un po’, la cosa è triste. Cancellare la città (ai tempi di prima dell’isola, appunto) era a suo modo un’esperienza mistica nella sua brutalità, perché l’entità di turno si prendeva in carico la cosa, ma prestava molto impegno a fare un discorso dissuadente, ansiogeno, per certi versi con un valore filosofico palpabile, pur di soltanto posticipare l’inevitabile, con qualche ulteriore paragrafo di dialogo ed una tripla conferma… Chi mai sarà il mortale giocatore per pretendere l’eliminazione nel nulla, una condanna per certi versi peggiore della semplice distruzione, di un intero villaggio con tutti i suoi esseri viventi al seguito, come se questi non fossero mai esistiti in primo luogo, e ciò nonostante dall’altra parte i tali esseri non possono fare altro che obbedire, sotto il peso del codice macchina che li definisce? 🙀

Insomma, mi fa quasi strano che Tom Nook non mi dica sostanzialmente niente di ché, dopo avergli rivelato di voler commettere il crimine. E così, dalle sterili impostazioni di sistema, compiere l’operazione è stato stranamente indolore, fin troppo leggero rispetto all’abitudine… anche perché, ovviamente, un ulteriore backup (…che credo sia l’unico attualmente, perché i precedenti non li trovo più) l’ho fatto prima, ma non è solo quello. Cancellare tutto per mezzo di un menu asettico, senza i suoni di animaletti terrorizzati in sottofondo, non da il giusto rispetto alla cosa. 🤥

…Comunque… Nel caso qualcuno voglia vedere altre cose tristi di New Horizon, forse, è possibile attraverso la stufoctt… con il post-diario che ho scritto stasera giocando, avendo creato l’isola nuova: stuff.octt.eu.org/2025/09/rico…! 🙏 (E, come ho detto proprio lì, non ho idea di se questa cosa possa reggere a lungo… e per lungo non intendo anni, ma anche solo almeno una settimana… ma intanto ho già 1 pagina, che è più di 0, quindi pure se andrà male sarà andata bene, credo.)

#ACNH #AnimalCrossing #AnimalCrossingNewHorizons #pensieri


passatanza crostanzica non salvata ma perduta (il casino coi salvataggi su ACNH)


Ieri ho casualmente menzionato gli Animali Crostini? E dunque, per volere del solito mio destino contorsionista, oggi proprio a riguardo dei Crostini Animali scopro una cosa che a suo modo fa sicuramente ridere, anche se non è per nulla divertente. Ho aperto il gioco su Swiss, circa al volo, perché mi serviva un’immagine, per scrivere un altro post per cui non trovo quello che voglio su Pinterest… e forse mi servivano dei nuovi vestiti… e quindi stavo per andare dalle Sorelle Ago e Filo sperando di trovare qualcosa… al che mi sono accorta che il negozio non ci sta… non si trova nemmeno sulla mappa. 💀

Mooolto strano, ho pensato, perché ricordo di averlo avuto in passato — e con assoluta certezza, perché ricordo perfettamente alcuni momenti di gioco relativi ad esso… ho sicuramente anche screenshot, da qualche parte. Il mio cervello ha, come al solito, immediatamente iniziato a pensare ai complotti, e quindi subito ho trovato una discussione su Reddit “THE ABLE SISTERS DISAPPEARED!?!?“, dove non solo chi ha creato il post, ma anche altri gamer, riportano l’inspiegabile sparizione del preciso negozio… e questa singola paginetta sembra il solo posto sul web in cui se ne parla. 😩

Già così la cosa è pericolosamente strana, ma comunque sia purtroppo il danno c’è, e quindi devo indagare oltre. Seguendo il consiglio di un commento nel post (che, a rivederlo ora, è evidentemente dato totalmente alla cazzo di cane; classico momento Reddit), vado a parlare con Nook, per fare come per spostare l’edificio della sartoria… ma, giustamente, nella lista non c’è. Ho pure perso un botto di tempo nei sottomenu di ‘sto procione, perché con il gioco in giapponese non ci capisco granché… finché, giusto per scrupolo, non ho parlato con Fuffi, che mi ha detto di parlare con Nook, perché “ci sono delle cose da fare” o roba del genere (la prima opzione nel menu), e a quel punto lui ha parlato di Project K… e io sono morta fulminata sul colpo. 💔

Cioè, quasi. Project K sarebbe l’ultima fase del prologo di New Horizons, quella che fa venire K.(K). Slider sull’isola, e porta anche allo sblocco degli strumenti di terraforming… ma io, anche questo, lo avevo fatto — e anzi, sono ancora più sicura di averlo fatto, perché, a parte il concerto del cane che si pensa VIP, ricordo perfettamente come ho distrutto malamente l’isola, una settimanella prima di abbandonare virtualmente per sempre il gioco, nel lontano 2020, prima che qualche anno dopo non ripristinassi un backup precedente del salvataggio, per provare almeno a vedere se mi tornasse un minimo la voglia di giocare e…

…MANNAGGIA! Ho realizzato solo in questo istante, dopo letterali anni dall’azione maledetta, di aver ripristinato un backup troppo vecchio. Si perché, anche qui, ricordo benissimo di aver fatto il ripristino con il solo intento di riportare l’isola ad uno stato giusto precedente alla mia opera di spacc, e non con lo scopo di portare indietro la progressione del gioco. All’epoca usai un homebrew fatto apposta per i Nuovi Crostini, prima che gli altri gestori di salvataggi supportassero il formato usato dal gioco (associato alla console, anziché agli utenti), che non aveva una GUI per selezionare diversi salvataggi… e quindi, quello che credo sia successo è che avrò sbagliato a spostare le cartelle da PC per scegliere il backup da ripristinare, prendendone uno troppo vecchio (…o, forse, semplicemente non ne avevo uno più nuovo che non fosse già distrutto); fatto sta che solo ora mi sto accorgendo dell’errore. 😭

Il danno ora è chiaro, ma la beffa stavolta è più subdola del solito: al momento, su due piedi, non trovo più questi miei fantomatici backup di ACNH, né tantomeno quel tool (che ormai sarà deprecato), di cui non ricordo nemmeno il nome! Mentre credo che il secondo non sia un vero problema, perché JKSM dovrebbe comunque leggere tranquillamente la cartella esportata, ad ogni modo senza le copie dei salvataggi non si va da nessuna parte. Se va bene, forse staranno da qualche parte tra i miei fin troppi e fin troppo disordinati dischi e dispositivi, dove almeno una o due volte avrò ciclicamente svuotato la microSD di Switch per liberare spazio o per formattare… ma, francamente, a questo punto, accetto il bruh momento e piuttosto inizio un nuovo salvataggio di New Leaf (e sarebbe l’ennesimo…) ma in giapponese (…perché ai tempi Animal Crossing era region-locked e il salvataggio non è cross-compatibile, ho provato), e forse riuscirò a copare. 😤
Schermata di me su Animal Crossing New Horizons che starnutisco in riva al fiume al tramonto, forte zoom, cornice filmE questa qui, ovviamente, non è la foto che cercavo all’inizio. Rappresenta sempre adeguatamente il mio stato d’animo e d’essere, ma solo relativamente a questa ennesima rivelazione dei miei infiniti problemi di skill, e non a cos’altro avevo da scrivere prima. Non si capisce nemmeno se sto piangendo, o starnutendo, o mi voglio semplicemente buttare nel fiume così da farla finita con tutte le merdate che per via del software mi accadono (in questo caso per colpa mia, ok, ma comunque)… e ciò non era voluto, ma forse è meglio così. (E, c’è da dire, le foto sceniche sono davvero l’unica cosa che manca a New Leaf, a parte il poter piazzare mobili fuori.) 😾
#ACNH #AnimalCrossing #AnimalCrossingNewHorizons #BruhMoment #hacking #Mannaggia #NewHorizons #salvataggi #savegame #SkillIssue


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Incontro di Arte e Cultura: 2025 Tea Party della Cultural Association a Taipei.


Il 13 settembre si è svolto un evento di grande rilievo presso il Taipei Guest House, incentrato sul tema "Riunire l'arte contemporanea, accogliere il futuro dell'arte": il Tea Party della Cultural Association del 2025. L'evento ha visto la partecipazione

Il 13 settembre si è svolto un evento di grande rilievo presso il Taipei Guest House, incentrato sul tema “Riunire l’arte contemporanea, accogliere il futuro dell’arte”: il Tea Party della Cultural Association del 2025. L’evento ha visto la partecipazione di personalità di spicco del mondo culturale, riunite per un momento di scambio e celebrazione.

L’incontro è stato onorato dalla presenza del Presidente e Capo della Cultural Association, Lai Ching-te, il quale ha invitato illustri ospiti, tra cui Chen Rong-chang, Direttore del Bureau of Culture di Kinmen, e poeti come Gu Yue, Yan Ai-lin, Wu Jun-yao, Chen Miao-ling, e molti altri membri della comunità culturale di Kinmen, formando un gruppo noto come “Collettivo (幫) Kinmen”.

Lai Ching-te, prendendo la parola, ha espresso la sua gioia nel riunirsi con amici del campo artistico, sottolineando l’importanza della cultura come anima della nazione e motore del progresso taiwanese. Ha rimarcato che grazie agli sforzi incessanti del settore culturale, Taiwan continua a dimostrare una vita culturale vibrante, posizionandosi come un paese libero, democratico, diversificato e inclusivo.

Durante il suo discorso, il Presidente ha ribadito l’impegno del governo nel difendere la libertà di creazione e nel supportare i professionisti del settore. Ha esortato a una maggiore collaborazione tra le forze politiche e la società civile per promuovere lo sviluppo culturale, affinché sempre più talenti emergenti possano essere valorizzati e contribuire alla realizzazione di un futuro culturale per Taiwan.

Il Tea Party di quest’anno, con il tema “Riunire l’arte contemporanea, accogliere il futuro dell’arte”, ha visto una programmazione focalizzata sulle tradizioni teatrali taiwanesi, con spettacoli offerti dall’Accademia Nazionale di Teatro di Taiwan, come “Iron String Opera” e “Group Fairy Blessing”. Gli ospiti hanno avuto l’opportunità di assaporare il pregiato tè oriental beauty, un gesto che simboleggia non solo l’ospitalità Hakka ma anche il benvenuto alla trasmissione culturale.

tea party Hakka in un ambiente adornato con maschere e costumi dell'opera tradizionale taiwanese
by MS Copilot

Il menù ha riflettuto le tradizioni Hakka, incarnando i principi di “utilizzare ogni cosa” e “cucina casalinga”. La Presidente del Comitato Hakka, Gu Hsiu-fei, ha anche coinvolto il Presidente Lai in un’esperienza pratica di preparazione del “Hakka Sour Lime Tea”. Inoltre, gli ospiti hanno potuto degustare piatti creativi, come pollo marinato all’aroma di mandarino, ravioli Hakka e un dessert innovativo a base di tè e formaggio.

Questo evento, organizzato dalla Cultural Association, è l’evoluzione delle precedenti “New Spring Cultural Gatherings”, che hanno dal 1995 visto la presenza di diversi presidenti, da Lee Teng-hui a Tsai Ing-wen, fino a Lai Ching-te. Per la prima volta, alcuni membri della comunità culturale di Kinmen, incluso Chen Miao-ling, autrice del recente volume “Girls on the Roof”, hanno avuto l’opportunità di vivere questa esperienza al Taipei Guest House.

La poesia di Zheng Chou-yu, che ha partecipato nel 2009 con “Invito del Ponte”, ha ulteriormente arricchito l’evento, illustrando metaforicamente il significato di un ponte come simbolo di connessione e superamento delle barriere, invitando tutti a costruire ponti sia fisici che culturali.

Grazie a un’atmosfera incantevole, caratterizzata da una leggera brezza serale, amici del mondo culturale di Kinmen hanno potuto apprezzare la bellezza del teatro taiwanese e scoprire la ricchezza della gastronomia Hakka, vivendo un meraviglioso fine settimana insieme.

Il Direttore Chen Rong-chang ha articolato un progetto di “diplomazia culturale”, pianificando una nuova visita a Taipei il 20 settembre per una collaborazione con la Fondazione Zhou Daguan per scambi culturali. Questo evento ha rappresentato un passo significativo nella promozione e nello sviluppo della cultura taiwanese, creando legami tra passato, presente e futuro.

Fonte: Kinmen Daily


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Pratiche, proposte e prospettive da “Oltre i confini”

edu.inaf.it/approfondimenti/st…

Come rendere praticamente e immediatamente più accessibile la scienza? Questa è la domanda a cui ha provato a dare risposta il meeting “Oltre i confini” attraverso quattro workshop incentrati sul problem solving

#disabilità_ #genere #INAF #multiculturalità #neuroatipicità

Oltre Confini 2025 Prospettive Evidenza
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Voci “oltre i confini”: perché la scienza cresca davvero

edu.inaf.it/approfondimenti/st…

L’inclusività in un ente di ricerca, e non solo: questo l’argomento del meeting organizzato dall’INAF. In questo secondo articolo raccontiamo la discussione su temi come neurodivergenza, multiculturalità, genere e disabilità sensoriali e motorie.

#INAF #inclusione #ricerca

Oltre Confini 2025 Tavola Rotonda Evidenza
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Eclissi di Luna in diretta

edu.inaf.it/news/eventi/ecliss…

Il 7 Settembre, a partire dalle 19:15, osserva in diretta dai telescopi INAF uno dei fenomeni più affascinanti, l’eclissi di Luna. Con le immagini di Time & Date e i nostri esperti INAF a commentare il fenomeno e raccontare le curiosità scientifiche sul nostro satellite.

#diretta #eclissiDiLuna #ilCieloInSalotto #INAF #Luna #osservareIlCielo

Diretta Eclissi Luna Settembre2025 Evidenza


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nel podcast ‘la finestra di antonio syxty’: dialogo con niccolò scaffai su “prima dell’oggetto” (déclic, 2025)


open.spotify.com/embed/episode…

open.spotify.com/episode/0mCWU…

Il libro: declicedizioni.it/prodotto/pri…

Antonio Syxty in conversazione con Marco Giovenale e Niccolò Scaffai.

Se c’è un libro che si è stufato sia della poesia sia del narrare usuale, e che va in senso opposto, è questo: si muove verso il senza verso e si interroga sulla fuga caotica delle cose e delle narrazioni, come alice che non capisce le corse del bianconiglio ma si secca pure di seguirlo. il lettore non deve però spaventarsi di questo smarrimento. potrà confidare in alcune chiavi, rammentando:
– che quasi tutto si svolge a Roma, ossessivamente richiamata: e tanto il richiamare quanto il suo oggetto danno sul barocco, con conseguente eco lontana di erotía;
– che una sfumante prima parte del libro si abbandona al flusso fonico del discorso, toccando solo leggermente la sostanza di storie e microstorie;
– che detto flusso si cristallizza pian piano in quasi-racconto, e allora affiorano figure precise, anche se spesso poi si sfaldano, si dissipano;
– che a sfarinarsi è tanto il linguaggio quanto il reale già sotto scacco e fuori fuoco, come per un’apocalisse nascosta in ogni pixel del quadro.

il podcast del dialogo con Niccolò Scaffai su "Prima dell'oggetto"
cliccare per accedere

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alcune pagine lette ieri al ‘falastin festival’


questo post del 2023, interamente: slowforward.net/2023/10/15/pal…

le prime tre poesie (2022) di Mosab Abu Toha leggibili qui: slowforward.net/2023/11/21/alc…

#cronaca #FalastinFestival #Gaza #MosabAbuToha #poesia #testiDiMgInRete #testiDiMgOnline

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Il “Generatore automatico di itanglese Corporate”


Di Antonio Zoppetti

Ho già riferito della feroce critica di Italo Calvino nei confronti dell’antilingua: “L’italiano di chi non sa dire ho fatto ma deve dire ho effettuato” in cui “la lingua viene uccisa”. La questione era stata lanciata nel 1965 dalle pagine de Il Giorno (3 febbraio), attraverso l’esempio di un rapporto dei carabinieri in cui le dichiarazioni veraci e spontanee del testimone erano trascritte in un burocratese astratto che fuggiva da ogni concretezza. E così l’affermazione: “Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata” diveniva: “Non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante”, mentre l’accensione della stufa diventava “avviamento dell’impianto termico” e i “fiaschi di vino” “prodotti vinicoli”.

“L’italiano da un pezzo sta morendo — denunciava lo scrittore — “e sopravviverà soltanto se riuscirà a inventare una lingua strumentalmente moderna; ma non è detto che, al punto in cui è, riesca ancora a farcela.”

Nell’articolo c’era anche una polemica rivolta contro le riflessioni di Pasolini, che l’anno precedente aveva per la prima volta salutato la compiuta unificazione linguistica dell’italiano, dopo tanti secoli di fratture tra la lingua scritta dei ceti colti o degli scrittori e quella orale delle masse dialettofone (“Nuove questioni linguistiche”, Rinascita n. 51, 26 dicembre 1964, pp. 19-22). Pasolini, nel prendere atto che tutti, finalmente, ricorrevano a uno stesso italiano unitario, notava però che era molto tecnologico, perché, finita l’epoca degli scrittori, arrivava soprattutto dai centri industriali del nord. Passando dalle descrizioni alle valutazioni, aveva rilevato come questa lingua fosse poco espressiva, rispetto per esempio ai dialetti, perché aveva un fine perlopiù comunicativo, ed era dunque un po’ piatta e omologata. Per Calvino, al contrario, il linguaggio tecnologico non aveva affatto una valenza negativa, e se Pasolini si concentrava soprattutto sul rapporto tra italiano e dialetti – che nel nuovo scenario precipitavano ancor più a codici marginali – Calvino guardava invece al rapporto con “le lingue straniere”. E aveva replicato:

“Se il linguaggio ‘tecnologico’ di cui ha scritto Pasolini (cioè pienamente comunicativo, strumentale, omologatore degli usi diversi) si innesta sulla lingua non potrà che arricchirla, eliminarne irrazionalità e pesantezze, darle nuove possibilità (…); se si innesta sull’antilingua ne subirà immediatamente il contagio mortale e anche i termini ‘tecnologici’ si tingeranno del colore del nulla.”

“L’italiano da un pezzo sta morendo — denunciava lo scrittore — “e sopravviverà soltanto se riuscirà a inventare una lingua strumentalmente moderna; ma non è detto che, al punto in cui è, riesca ancora a farcela.”

Come è andata a finire?

Le acute intuizioni di Pasolini, accolte dagli intellettuali e dai linguisti di allora “con un coro di fischi” – per citare Claudio Marazzini – si sono rivelate profetiche. Ormai tutti sono concordi nel rilevare che le principali innovazioni lessicali arrivano dagli ambiti di settore e della tecnologia, ma se negli anni Sessanta i centri di irradiazione della lingua erano le città del nord, oggi si sono spostati al di fuori del Paese, e il lessico ci arriva d’oltreoceano direttamente in inglese: i fiaschi di vino e le bottiglierie hanno ceduto il posto a nuove forme di packaging per i nuovi Wine Bar e per il settore del Food che rappresenta un asset portante del Made in Italy (insieme a un altro Must: quello dell’italian design); il nuovo linguaggio tecnologico non è più fatto dai nativi italiani, che si limitano a importare e a ripetere le cose e i concetti presi direttamente dall’anglosfera, legittimandone l’uso senza volerli o saperli tradurre, adattare o reinventare nella nostra lingua. E mentre i dialetti – seppur ancora vivi in alcune regioni – hanno perso terreno e in alcune aree (per esempio a Milano) sono scomparsi, più che con le lingue straniere l’italiano si sta confrontando quasi esclusivamente con l’angloamericano, che lo sta facendo regredire.

Quanto all’antilingua, non è diventata un modello che si è esteso fuori dai propri ambiti di settore, ma – come temeva Calvino – negli anni Duemila il nuovo linguaggio tecnologico anglicizzato si sta sempre più inserendo nell’antilingua, più che nella lingua.

Il “Gas” e il “Tubolario”

All’inizio degli anni Ottanta, due illustri professori ormai scomparsi – l’epidemiologo Pierluigi Morosini dell’Istituto Superiore di Sanità e l’esperto di statistica Marco Marchi dell’Università di Pisa – avevano condotto degli studi sul linguaggio poco trasparente dei piani sanitari che circolavano in quegli anni. E avevano raccolto e analizzato una serie interminabile di frasi stereotipate, generiche e astratte che a quei tempi caratterizzavano non solo i documenti della burocrazia tecnica del settore, ma più in generale anche il modo di esprimersi tipico del politichese, del sindacalese o dell’aziendalese degli anni Settanta. In modo colto e provocatorio – agganciandosi agli esperimenti della letteratura combinatoria o potenziale di autori patafisici come Raymond Queneau (e in parte anche Calvino), in seguito sfociata in giochi di scrittura automatica – provarono a utilizzare una serie di parti astruse ricavate dalle direttive di ambito sanitario per costruire un “Generatore Automatico di piani Sanitari” (Gas) formato da tasselli che si potevano combinare tra loro in ogni modo per dare vita a delle frasi strutturalmente corrette ma prive di ogni significato concreto, per esempio:

Il metodo partecipativo / presuppone / la puntuale corrispondenza fra obiettivi istituzionali e risorse / con criteri non dirigistici / fattualizzando e concretizzando / nel contesto di un sistema integrato / un indispensabile salto di qualità.

Ogni elemento poteva essere sostituito da altre nove varianti intercambiabili, e attraverso delle ricombinazioni casuali si potevano ottenere milioni di frasi incomprensibili. L’idea era allora stata sviluppata attraverso una semplice tabella, in cui era il lettore a leggere i moduli nell’ordine che preferiva. Ebbe comunque un grandissimo successo, e nel 1982 ne fu ricavato un gioco immesso sul mercato dalla ditta Sebino, il “Tubolario”, che era appunto un tubo segmentato che permetteva di ruotare gli elementi di ogni frase combinandoli in tutti i modi manualmente. Ne furono realizzate tre versioni dedicate rispettivamente al linguaggio della politica, dello sport e dell’amore. La notizia dell’esperimento fu addirittura ripresa in prima pagina sul Corriere della Sera in articolo intitolato “10 milioni di frasi inutili”.

Dall’antilingua all’itanglese

A quei tempi l’astrusità comunicativa si poggiava ancora sull’italiano, ma oggi è l’inglesorum a incarnare lo stesso modello. Se Calvino si rammaricava del fatto che “avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d’amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali scrivono parlano e pensano nell’antilingua” e denunciava come ogni giorno “centinaia di migliaia di nostri concittadini” traducessero mentalmente la lingua italiana in questa “lingua inesistente”, oggi i piani sanitari, ma anche della scuola e delle istituzioni guardano all’inglese e si esprimono sempre più spesso in un gergo che si può chiamare “itanglese”. L’italiano, dunque, invece di essere capace di “inventare una lingua strumentalmente moderna” si sta rinnovando attraverso la sua ibridazione con la lingua delle multinazionali, più che della “perfida Albione”.

In un pezzo su Il fatto quotidiano (10 agosto 2025) intitolato “Inglesorum: la neolingua dei grattacielisti milanesi”, Daniela Ranieri ne ha messo in risalto soprattutto l’aspetto edulcorante e allo stesso tempo manipolatorio: “Si sa: quando ci vogliono infinocchiare, i cosiddetti governanti usano l’inglese (‘Jobs act’, ‘Flattax’)”. Ma anche il presidente onorario della Crusca Marazzini ha evidenziato che oggi è l’inglese a svolgere la vecchia funzione del burocatichese: “Basta scorrere i vari comunicati in cui si è discusso l’uso di termini come hot spot, voluntary desclosure, stepchild adoption, whistleblower, home restaurant, caregiver, revenge porn, data breach, compliance, booster e via dicendo. (…) C’è dunque chi coltiva amorevolmente gli anglismi in una miscela di oscurità burocratica, come comodo moltiplicatore di pseudoconcetti che arricchiscono il vaniloquio retorico ammantato di esibita tecnocrazia (“Ecologia degli idiomi nazionali: sostenibilità delle lingue e salute dell’italiano” in L’italiano e la sostenibilità, a cura di Biffi, Dell’Anna, Gualdo, goWare, Firenze 2023, pp. 166-167).
E così, proprio mentre il fenomeno della scrittura automatica sta ormai esplodendo attraverso le nuove modalità tecnologiche della cosiddetta intelligenza artificiale ribattezzata AI invece di IA, ho voluto provare ad aggiornare il vecchio “Gas” di Marchi e Morosini, che non è più rappresentativo del modo di “uccidere la lingua” dei tempi del Tubolario. Ho allora cercato di dare vita a un nuovo “Generatore di itanglese Corporate” in grado di esprimere in modo più moderno la confluenza nell’antilingua del linguaggio tecnologico anglicizzato, come temeva Calvino.

Il “Generatore automatico di itanglese Corporate”

Con qualche titubanza, e non senza emozione, voglio perciò presentare a tutti questo preziosissimo strumento in cui la “stupidità artificiale” riesce finalmente a eguagliare quella umana (o per lo meno italiana). Credo possa costituire una risorsa imprescindibile – informatizzata grazie ai potenzi mezzi messi a disposizione da Italofonia.info – in grado di dare vita a 7 milioni di “testi alla cock”, come si potrebbe definirli con ironico disprezzo. Si possono generare a caso automaticamente (se preferite: attraverso una randomizzazione Writing Machine Generated) e si possono copia-incollare e riutilizzare per una nuova comunicazione english based al passo con i tempi. Per esempio:

Mediante l’analisi dei case history, un endorser di un’azienda leader deve saper scegliere, evitando ogni possibile misunderstanding, il processo di mentoring del proprio staff elaborando con un approccio multitasking il business di qualsiasi competitor, avvalendosi quando serve di appositi hub dedicati al customer care.

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Buon divertimento.

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L’antilingua dell’itanglese


di Antonio Zoppetti

Il giornalista ferma un visitatore in fiera.
L’intervistato, in piedi davanti a lui, risponde alle domande un po’ balbettando, ma attento a dire tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo: “Visto che stamattina volevo fare una pausa per staccare, invece di andare a correre come faccio spesso, ho pensato di fare un giro in fiera per concedermi qualche acquisto. Ho scoperto che ci sono anche dibattiti e spettacoli. Mi sembra una manifestazione di alto livello e senza concorrenti, in questa piccola città di provincia”.

Impassibile, il giornalista riassume per il suo pubblico la sua fedele trascrizione: «Per un break e un po’ di relax, invece di fare jogging, meglio concedersi un tour in fiera e approfittarne per fare shopping. Tra talk e show, questo happening al top pare non abbia competitor in città.”

Ogni giorno, soprattutto da cent’anni a questa parte, per un processo ormai automatico, centinaia di migliaia di nostri concittadini traducono mentalmente con la velocità di macchine elettroniche la lingua italiana in un’antilingua a base inglese. Funzionari e tecnici, esperti e consigli d’amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali scrivono, parlano, pensano in itanglese.

Caratteristica principale dell’antilingua in itanglese è quella che definirei il «terrore semantico» verso l’italiano, cioè la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato storico in italiano, da sostituire con elementi dal suono e dalla grafia in inglese, come se «concorrente», «giro» o «pausa» fossero parole oscene di fronte a competitor, tour o break, come se «rilassarsi», «fare compere» o «andare a correre» indicassero azioni turpi rispetto al relax, allo shopping e al jogging.

Nell’itanglese gli elementi distintivi dell’italiano sono costantemente allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli che devono suonare in inglese, anche a costo di risultare vaghi e sfuggenti.(…) Chi parla itanglese ha sempre paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla, crede di dover sottintendere: «(…) La mia «funzione» è ben più in alto delle cose che dico e che faccio, la mia «funzione» è più in alto di tutto, anche di me stesso ». La motivazione psicologica dell’itanglese è la mancanza d’un vero rapporto con la nostra storia e cultura, ossia in fondo l’odio per se stessi. La lingua invece vive solo d’un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d’una pienezza esistenziale che diventa espressione. Perciò dove trionfa l’iitanglese – l’antilingua di chi non sa dire «equivoco», ma deve dire «misunderstanding» – la lingua italiana viene uccisa.

A distanza di 60 anni, ho provato a riscrivere così il celeberrimo passo di Italo Calvino sull’antilingua (uscito su Il Giorno del 3 febbraio 1965), sostituendo gli esempi di “burocatichese” con quelli in itanglese. A parte qualche forzatura, questo attingere all’angloamericano sistematico e compulsivo è diventato la norma, nella comunicazione mediatica e in sempre più settori.

Nel brano originale era la lingua naturale e spontanea del testimone a essere riscritta nell’antilingua del verbale dei carabinieri. “Stamattina presto andavo in cantina ad accedere la stufa e ho trovato tutti questi fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena” diventava: “Il sottoscritto essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel rinnovamento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di avere effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano”.

Anche Claudio Marazzini ha osservato che “oggi l’inglese svolge appunto la funzione di burocratese e sfocia in quello che Calvino chiama antilingua, cioè una lingua che si stacca dalle parole dell’uso comune per rifugiarsi in un orizzonte vago e artificioso, proprio per questo rassicurante, in quanto evasivo rispetto alla realtà.” Per rendersene conto basta leggere il Sillabo per l’imprenditorialità sfornato dal Ministero dell’Università o il Piano scuola 4.0: “Per imparare a essere imprenditori non occorre saper lavorare in gruppo, bensì conoscere le leggi del team building, non serve progettare, ma occorre conoscere il design thinking, essere esperti in business model canvas e adottare un approccio che sappia sfruttare la open innovation, senza peraltro dimenticare di comunicare le proprie idee con adeguati pitch deck e pitch day. Più che un’educazione all’imprenditorialità, questo documento sembra promuovere un abbandono sistematico della lingua italiana e delle sue risorse nei programmi formativi delle forze imprenditoriali del futuro.”(C. Marazzini, “Ecologia degli idiomi nazionali: sostenibilità delle lingue e salute dell’italiano” in L’italiano e la sostenibilità, a cura di Marco Biffi, Maria Vittoria Dell’Anna, Riccardo Gualdo, goWare, Firenze 2023, pp. 166-167).

Tra le principali differenze tra l’antilingua e l’itanglese, la prima incarna la dissoluzione della chiarezza e della concretezza, il secondo va nella stessa direzione ma punta all’abbandono dell’italiano perché vuole infiorettare qualunque cosa con suoni inglesi. Inoltre, fuori dal gergo burocratico degli addetti ai lavori, nessuno difenderebbe lo stile dell’antilingua, nessuno auspicherebbe che un simile modello possa uscire dal suo ambito per penetrare nella letteratura, nella comunicazione di tutti i giorni e nella lingua comune. L’itanglese è invece preferito e ostentato dalle classi alte, si allarga grazie alle scelte lessicali considerate più prestigiose proprio in quelli che Pasolini definiva i centri di irradiazione della lingua, e che per Gramsci costituivano il modello linguistico delle classi dirigenti che poi si estende alle masse che lo prendono come canone e lo imitano. Basta pensare a una comunicazione delle Fs rivolta al cittadino che recita: “Per visualizzare i Barcode del tuo ticketeless effettua il Self Check-in dal tuo smartphone”, mentre si potrebbe formulare più chiaramente: “Per visualizzare i codici a barre del tuo biglietto digitale effettua il convalida dal tuo dispositivo”.

L’itanglese si amplia di giorno in giorno grazie alle scelte lessicali dei comunicatori che invece di impiegare la lingua del destinatario preferiscono educarlo al loro modello linguistico in cui l’anglicismo scalza l’italiano e la lingua di tutti. Ciò dipende da una cultura coloniale dove gli intellettuali non sanno far altro che formarsi su testi inglesi di cui si ripetono le pratiche e i concetti con le stesse parole, senza saperli e volerli tradurre in italiano. In questo contesto l’anglicismo ha il sopravvento, e sul principale quotidiano “italiano” – in una “newsletter” denominata “Big Bubble” – un’espressione incomprensibile ai più come fence-sitting (letteralmente “sedersi sul recinto”) viene usata al posto di indecisione o esitazione, in attesa che anche gli ignavi di Dante diverranno forse fence-sitter(s).

Tutto ciò avviene, giorno dopo giorno, con la complicità di certi linguisti ignavi, che invece di deprecare questo fenomeno lo difendono e lo accettano in nome di un presunto descrittivismo. Questi linguisti si limitano a registrare le parole “in uso” senza voler intervenire, ci raccontano, anche se non raccontano affatto che questo “uso” legittimatore è quello delle élite anglomani, non certo quello delle masse che lo subiscono. Così facendo credono di essere “neutrali”, ma non prendere posizione davanti a una lingua dominante che sta schiacciando l’italiano e lo sta facendo regredire e abbandonare, non significa essere neutrali, significa essere complici di un’anglicizzazione selvaggia che è l’effetto collaterale di una dittatura dell’inglese globale che sta mettendo a rischio le lingue nazionali sul piano della cultura, prima ancora di quello linguistico. E infatti, questi stessi linguisti descrittivi a fasi alterne, non si sognerebbero mai – in nome dell’uso – di legittimare il burocatichese o l’antilingua, che deprecano nonostante sia in uso in molti ambiti, così come non si fanno alcuno scrupolo a diramare linee guida per cambiare l’uso storico dell’italiano in nome del politicamente corretto, per mettere al bando parole come “negro” o “razza”, per educare alla femminilizzazione delle cariche o al linguaggio inclusivo. La sacralità dell’uso viene invocata per affermare l’itanglese, e messa sotto al tappeto negli altri casi, se fa loro comodo.

Con il senno di poi, l’antilingua di Calvino non ha avuto il sopravvento, è rimasta confinata nei suoi settori marginali del burocratichese, senza diventare lingua comune di tutti. L’itanglese, al contrario, si impone come una lingua “superiore”, moderna e internazionale; per qualche anglomane dalla mente colonizzata certe scelte di ricorrere all’anglicismo sarebbero addirittura “necessarie”.

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Festa di di Millan


[:it]Buono il riscontro di pubblico.[:]

Festa Millan 2025Ogni due anni, la Festa di Millan si svolge attorno alla Casa di Jakob Steiner. Tredici associazioni offrono cibo, bevande e musica. Anche noi, l’associazione “Amici del Burkina Faso”, abbiamo partecipato quest’anno dall’1 al 3 agosto.
L’impegnativa organizzazione e la lunga preparazione della festa hanno dato i loro frutti, con la creazione di uno stand accattivante. Abbiamo presentato la nostra associazione con luci colorate, poster e insegne dipinte a mano, musica adatta e una varietà di bevande e snack.
Al nostro stand, allestito nella piazza antistante la sede dell’associazione, abbiamo offerto caffè e torte come di consueto. Cogliamo l’occasione per ringraziare sinceramente tutti coloro che hanno preparato gratuitamente i dolci per la vendita. I passanti sono rimasti entusiasti del delizioso caffè della torrefazione Caroma e hanno apprezzato i dolci offerti. Molti ne hanno portati a casa alcuni per la colazione del giorno successivo. Quest’anno abbiamo venduto anche il gelato in cono, che è stato molto apprezzato, soprattutto la domenica pomeriggio, con il meraviglioso clima estivo. La nostra offerta spaziava dai gusti fruttati a quelli cremosi. L’affogato, così come l’ eiskaffé e l’eisschokolade, sono stati molto richiesti. Un grande ringraziamento va alle pasticcerie e ai gelatai che hanno dimostrato la loro solidarietà alla popolazione del Burkina Faso e ci hanno fornito gratuitamente il gelato. Un ringraziamento speciale va anche al Blaseggerhof, al Bar Mary di Chiusa, alla pasticceria Klemens e alla pasticceria Pupp.

Nel corso dei tre giorni, abbiamo anche preparato e shakerato diversi cocktail. La nostra creazione, l’ “African Sunrise”, ha catturato l’attenzione di tutti, e la Pina Colada ci ha messo di buon umore. Purtroppo, venerdì il meteo non è stato proprio come speravamo. Pioveva e faceva freddo, quindi pochi visitatori sono venuti al nostro stand. Ciononostante, i nostri volontari hanno lavorato con gioia e divertimento al ritmo della musica diffusa dal nostro impianto. Sabato sera, il tempo è stato più stabile, quindi più persone sono venute al nostro stand per sostenerci.
Questo evento ha contribuito in modo significativo alla spedizione del prossimo container di aiuti umanitari alla popolazione del Burkina Faso.
Questo non sarebbe stato possibile senza alcuni dei nostri soci, i loro amici e conoscenti, che hanno contribuito con impegno e passione. Mille grazie a tutti!

I.




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Praticare il parkour nella Striscia di Gaza fra bombe e droni israeliani


"One more jump" è un documentario di Emanuele Gerosa del 2019 su un gruppo di giovani di Khan Yunis che praticano il parkour, e dovrebbe essere rivisto e meditato anche oggi.

One more Jump è un documentario del 2019 realizzato dal filmmaker trentino Emanuele (Manu) Gerosa. Oggi, che nella Striscia di Gaza si sta consumando un genocidio sotto lo sguardo indifferente delle potenze occidentali, è più che mai da riprendere e da rivedere (disponibile su Raiplay). I protagonisti sono dei ragazzi appartenenti al Gaza Parkour Team fondato da Jehad e Abdallah. La maggior parte dell’azione narrativa si svolge a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, stretta nell’embargo israeliano (perfino le medicine sono difficili da reperire): le prime inquadrature mostrano il gruppo che si muove correndo per le strade della città; la macchina da presa li segue nella loro corsa che giunge fino a un edificio semidistrutto in periferia dove i ragazzi continuano a correre saltando fra i muri sbrecciati e compiendo evoluzioni aeree. La loro esistenza quotidiana è raccontata senza retorica, senza inutili fronzoli, senza colonne sonore in sottofondo: ci sono solo i rumori della guerra e della realtà.

Il parkour è uno sport nato in Francia alla metà degli anni Novanta, probabilmente nel contesto delle banlieue, e consiste nel percorrere la distanza da un punto A a un punto B nel modo più efficiente possibile sfruttando la propria abilità fisica. I giovani gazawi si spostano come nuovi stalker urbani in un percorso d’emergenza, sotto i bombardamenti israeliani: come i personaggi del film Stalker di Andrej Tarkovskij (ispirato al romanzo Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugackij), che si muovono in un percorso insidioso e pericoloso, i giovani compiono una nuova mappatura della città di Khan Yunis in una situazione pericolosa e difficile. Ma, a differenza dei personaggi del film, che procedono con lentezza, i membri del Gaza Parkour Team si muovono velocemente, correndo, realizzando – per utilizzare dei termini coniati da Deleuze e Guattari – quasi una “deterritorializzazione” nomadica dello spazio urbano sottoposto a un processo di “striatura” e di controllo (cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma, 2010, pp. 451 e seguenti). Lo spazio della Striscia è tragicamente reso “striato” dal controllo delle truppe israeliane: i giovani, come nomadi vettori di deterritorializzazione, si muovono ‘liberando’ lo spazio dal dolore e dalla tragedia tramite lo sport e l’aggregazione. Non esistono monadi nel Gaza Parkour Team; agiscono tutti come un unico corpo, un’unica squadra comunitaria che si oppone al dolore e alla paura di quei territori martoriati.

Il gruppo, dopo la partenza di Abdellah per l’Europa, è guidato da Jehad, che allena la sua squadra insieme a un gruppo di ragazzini più giovani, poco più che bambini, ai quali insegna le tecniche della disciplina. I ragazzi si spostano nella città e sulla riva del mare, su una spiaggia (bellissima, ma ovunque vi sono i segni della devastazione), mentre si sentono in lontananza i rumori dei bombardamenti e si vedono innalzarsi colonne di fumo nero (“sarà un addestramento di Hamas o un bombardamento israeliano?”, si chiedono i ragazzi guardando il mare). Il dolore e la paura li tengono costantemente stretti nella loro morsa: prima di addormentarsi, Jehad dice che “non c’è niente di più spaventoso che sentire nella notte il rumore di un drone israeliano, spero di non sentirlo stanotte”. Anche Jehad vorrebbe partire, vorrebbe emigrare in Europa come Abdellah, ma non se la sente di lasciare da sola la madre e l’anziano padre bisognoso di cure. La sua lotta e la sua resistenza continuano nella Striscia, insieme a tutti gli altri ragazzi e ragazzini che, per sopravvivere alla guerra e alla disperazione, praticano il parkour appunto come una resistenza quotidiana.

I ragazzi sono in costante contatto con Abdellah, l’altro fondatore del Team, emigrato in Italia. Lo vediamo allenarsi nel sottopasso di una stazione italiana per partecipare a un campionato mondiale di parkour in Svezia dove poi si recherà ma non riuscirà a piazzarsi fra i finalisti. Alla fine del film, una scritta ci informa che Abdellah si trova adesso su una sedia a rotelle a causa di un incidente durante un allenamento mentre Jehad è rimasto nella Striscia di Gaza. “Adesso” vuol dire nel 2019, vale a dire al momento delle riprese del film. Chissà, ci chiediamo, dove si trovano e come stanno adesso Jehad e gli altri ragazzi del suo team; saranno feriti, saranno ancora vivi dopo i terribili massacri perpetrati nella Striscia ad opera del governo israeliano negli ultimi anni, mesi e giorni? Queste atroci domande non possono non entrarci in testa e martellarcela, oggi, dopo aver visto questo bellissimo e tragico documentario, che dovrebbe essere proiettato nelle scuole per far comprendere ai ragazzi italiani che laggiù, nella Striscia di Gaza, a vivere nel dolore e nella paura, a morire sotto i massacri ci sono ragazzi esattamente come loro, uguali a loro, che aspirano come loro alla libertà e alla pace, raggiunte magari tramite lo sport che praticano e che li appassiona.

Un documentario che dovrebbero vedere tutti gli indifferenti, tutti gli allegroni e ironici da social, tutti i politicanti italiani ed europei che non dicono una parola o non muovono un dito di fronte a questo genocidio incessante. Se nel 2019 la situazione era tragica, oggi è orribile: quei ragazzi, quei bambini, quelle donne e quegli uomini che vediamo nel documentario oggi potrebbero essere stati uccisi. Oggi più che mai, perciò, come già detto, One more jump diventa una testimonianza imprescindibile, un documento di passione, dolore e umanità di fronte al quale nessuno può rimanere indifferente.

gvs


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Salviamo la Valle del Morello


Il lago Morello di Villarosa fu realizzato negli anni ’70 con uno sbarramento dell’omonimo fiume, per supportare l’attività mineraria di Pasquasia. Dopo l’interruzione dell’uso industriale, le sue acque sono utilizzate a scopo irriguo per l’agricoltura locale. Oggi è diventato anche un luogo di bellezze naturalistiche e di attrazione turistica.

Siamo al centro della Sicilia, in […]

Leggi il resto: argocatania.it/2025/09/15/salv…

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