Ben(e)detto del 5 agosto 2023
Fatti e PNRR
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A scuola da Al-Haq: reimparare la “Nakba” sperimentando le forme dell’occupazione
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A cura del Collettivo Zenobia –
Pagine Esteri, 5 agosto 2023. A quasi un anno dall’ultima incursione delle forze israeliane negli uffici di Al-Haq a Ramallah, si conclude la nona edizione della “Applied International Law Summer School” organizzata dalla Ong palestinese nella West Bank.
Dal momento della sua designazione da parte israeliana, nell’ottobre del 2021, quale organizzazione terroristica – sulla base di accuse mai comprovate, come hanno avuto modo di osservare diversi paesi dell’Unione europea tra i quali l’Italia – Al-Haq non ha mai mancato l’appuntamento iniziato nel 2015. Ogni anno, da metà a fine giugno, decine di studentesse e studenti provenienti da tutto il mondo, attivisti dei diritti umani e persone impegnate in differenti gradi e forme a sostegno della causa palestinese, hanno l’opportunità di verificare sul campo l’importante lavoro che questa e le altre Ong incontrate nel corso del programma portano avanti.
Un lavoro meticoloso, di documentazione e di sostegno legale, che facilita la ricomposizione delle tante frammentate esperienze di resistenza del popolo palestinese e scava tra le crepe di un sistema che, dal 1948, riproduce una “Nakba continua” e strutturale.
Risalire il corso delle crepe, arrivare al cuore della falla: per comprendere il senso dell’operato di Al-Haq, e il suo contesto, vogliamo ripercorrere alcune delle tappe più significative del programma della Scuola.
Due allevatori della comunità beduina su cui insiste la fabbrica di Mishor Adumim, nella Valle del Giordano. Foto di Collettivo Zenobia
Natura e vite sfruttate: la Valle del Giordano
Attraversando quest’ampia distesa di terra arsa dal sole, assale la sfacciata presenza delle architetture dell’occupazione che l’Ong palestinese documenta da decenni: tubazioni serpeggianti, gigantesche fabbriche avvolte nella polvere e insediamenti come Kalya, famosa per le spiagge che si affacciano sul Mar Morto e per i datteri delle sue aziende agricole.
In nessun’altra zona della West Bank è più evidente l’esproprio di risorse naturali realizzato dalle grandi e medie compagnie israeliane ai danni della popolazione palestinese: dall’acqua, estratta e redistribuita dalla società Mekorot, che dal 1982 detiene il monopolio sulle riserve idriche cisgiordane e ne gestisce l’allocazione, profondamente diseguale sia nelle quantità che nei costi, tra le colonie israeliane e le comunità palestinesi, alle riserve minerarie, la cui estrazione produce nugoli di polveri inquinanti nelle terre popolate da comunità beduine; alla forza lavoro.
Il report pubblicato nel 2022 dall’Ufficio centrale di statistica palestinese mostra come il mercato del lavoro israeliano, entro i confini ufficiali dello Stato e nelle colonie, rappresenti la seconda fonte di impiego per i palestinesi della Cisgiordania. Un dato che aiuta ad interpretare il ricatto che i lavoratori delle piantagioni di palme da datteri di Kalya subiscono ogni giorno, dove donne e bambini, come ha denunciato Human Rights Watch nel 2015, sono impiegati in condizioni di sfruttamento e sottopagati.
L’altro aspetto del ricatto del mercato del lavoro israeliano è il prezzo concorrenziale con cui i diversi attori israeliani riescono a rivendere, spesso alla stessa popolazione palestinese, ciò che viene prodotto da manodopera a basso costo e senza diritti (o importato con tariffe doganali irrisorie rispetto a quelle cui sono soggetti i beni importati in Palestina).
Dalla negazione dell’accesso alle risorse naturali allo sfruttamento e al ricatto lavorativo, la colonizzazione sionista si muove sul doppio binario della sistematica espulsione e dello scacco socio-economico che consente a Israele di prosperare ed espandersi con l’acqua e il sudore dei palestinesi.
Gli impianti della fabbrica di Geshuri visti dall’azienda agricola palestinese di Hakoritna, a Tulkarem. Foto di Collettivo Zenobia
Auto-organizzarsi contro l’inquinamento: area industriale di Geshuri, Tulkarem
La storia della fabbrica di Geshuri e della famiglia di agricoltori di Hakoritna può aiutarci ad inquadrare una seconda crepa nella quale si inserisce il lavoro di Al-Haq. Nel corso di tutta la visita non smette mai di accompagnarci il respiro tossico degli impianti di produzione di componenti chimiche per pesticidi e fertilizzanti, impianti originariamente collocati nella parte israeliana dei confini del 1948. Nel 1987, in seguito alle continue proteste dei residenti indignati dalle condizioni di inquinamento da essa prodotte, la fabbrica è stata delocalizzata sul versante cisgiordano: in pochi anni, le famiglie del posto hanno visto aumentare significativamente il tasso di tumori e disturbi respiratori tra i propri membri- come ha documentato Lancet in un report del 2013.
A pochi metri di distanza dalle ciminiere, al riparo dei capannoni della fattoria di Hakoritna crescono cetrioli, pomodori e ortaggi coltivati rigorosamente secondo agricoltura biologica, le tecniche e i benefici della quale sono oggetto di varie iniziative in cui la famiglia proprietaria della fattoria coinvolge la comunità locale. L’acqua è ricavata da meccanismi di filtraggio della pioggia e accumulata in alcune cisterne ai quattro angoli della serra; l’elettricità è prodotta grazie ai pannelli solari che sono sul tetto. Dal governo palestinese la fattoria ha ricevuto poco più di qualche incoraggiamento.
Secondo l’ultimo sondaggio pubblicato dal Palestinian Center for Policy and Survey Research, oltre l’80% della popolazione palestinese ritiene che l’Autorità nazionale, i cui rappresentanti sono stati eletti l’ultima volta nel 2006, sia corrotta e distante dai bisogni delle persone, collusa con Israele in materia di sicurezza e ad esso subordinata sul piano economico. Di fronte a questa situazione, reale e percepita, le tante forme di auto-organizzazione produttiva diventano pilastri fondamentali per il sostentamento e lo sviluppo sociale (per quanto relativo, per via della limitazione e negazione dell’accesso alle risorse naturali imposte dall’occupante) delle comunità palestinesi, che riescono così ad affrancarsi dalla morsa di un mercato del lavoro quasi completamente dipendente da Israele.
Il lavoro che Al-Haq porta avanti, di documentazione e di sostegno legale presso le corti internazionali di realtà come la fattoria Hakoritna o come le aziende agricole palestinesi nella Valle del Giordano, serve a riunificare queste esperienze – frammentate non solo geograficamente dalle infrastrutture dell’occupazione, ma anche sul piano della narrazione – favorendone la rappresentazione in uno stesso quadro.
Ghettizzazione e gentrificazione: Gerusalemme est
Qual è questo quadro? Per rispondere vogliamo ripercorrere un’ultima tappa del programma della Summer School: quella che ci ha portati ad osservare come a Gerusalemme est l’apartheid sistematico dei palestinesi si riproduca seguendo tre direttrici fondamentali.
Una prima direttrice è la ghettizzazione, nella forma della reclusione delle famiglie dei rifugiati dalle espulsioni del ’48 in campi come quello di Shu’fat che ospita anche tante coppie discriminate dalla Legge contro l’unificazione familiare e palestinesi che non possono affrontare i costi sempre più elevati delle case in città. O in quartieri come Kufr Aqab, ufficialmente parte della municipalità della Città santa, ma tagliato fuori da essa dal checkpoint di Qalandiya, uno dei più grandi e tristemente noti per l’alto numero di vittime delle forze israeliane. In entrambi questi casi, la maggior parte della popolazione residente sceglie di abitare in aree asfissianti per l’addensamento di abitazioni, altamente insalubri e insicure per via dell’abbandono e della marginalizzazione, perché è l’unico modo per non perdere la cittadinanza gerusalemita: il risultato, come riporta JLAC nel report del 2022, è la concentrazione di oltre il 33% della popolazione palestinese di Gerusalemme est in circa il 4% della superficie totale di questa parte della città.
Intervengono, poi, operazioni di esproprio ed espulsione che riproducono in una grande area metropolitana quanto avviene nel resto della West Bank: è il caso di Sheikh Jarrah o dell’area di Silwan, o del “Piano E1” pensato per collegare Gerusalemme est con la colonia di Ma’aleh Adumim con un sistema di strade, parchi commerciali e servizi turistici. Interventi che mescolano la violenza dell’espulsione coatta all’ideazione di masterplan urbani che favoriscono la gentrificazione, dunque l’allontanamento della popolazione palestinese, strutturalmente meno tutelata.
Si arriva, così, a quell’ultima direttrice che è l’obiettivo e il risultato combinato delle prime due: il perseguimento di un “equilibrio demografico” che mantenga la popolazione palestinese, il cui tasso di crescita è più alto di quello della popolazione ebraica, entro livelli numericamente controllati e controllabili, facilmente sfruttabili economicamente senza diventare demograficamente e politicamente preoccupanti. Ghettizzazione ed espulsione sono, perciò, due facce della stessa medaglia: la colonizzazione sionista della Palestina, realizzata attraverso la creazione artificiosa di una maggioranza ebraico-israeliana e di un mercato vincolato di forza lavoro a basso costo, a cui peraltro vendere i prodotti del suo stesso sfruttamento.
Il campo rifugiati di Shu’fat, a Gerusalemme est. Foto di Collettivo Zenobia
Questo è il senso del lavoro di Al-Haq, che la Summer School vuole trasmettere: documentare le diverse forme attraverso cui si riproduce l’occupazione e la colonizzazione per ricostruire, tassello dopo tassello, il disegno di un mosaico che, lungi dall’essere legato all’atto di fondazione (il 1948) o alla fase più notoriamente espansionistica dello Stato di Israele (il 1967), ridescrive il concetto di Nakba come un processo che ha avuto inizio 75 anni fa e che continua, in forme diverse, ininterrotto. Pagine Esteri
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Inondazioni in Cina, la priorità è salvare la "città del futuro” di Xi
Nei giorni scorsi piogge senza precedenti si sono abbattute sull'area di Pechino e sulla provincia dello Hebei. Proteste sui social per le affermazioni dei funzionari tese a dare priorità assoluta alla capitale e a Xiong'an, la smart city con caratteristiche cinesi voluta dal presidente
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Il taglio dei parlamentari ha compromesso il Parlamento, la demagogia mina la democrazia
La demagogia è il peggior nemico della democrazia. Due esempi. Il taglio lineare e demagogico della rappresentanza parlamentare ha reso quasi ingovernabili la Camera e soprattutto il Senato. I parlamentari sono pochi, gli incarichi troppi. Gli eletti rimbalzano, dunque, da una commissione parlamentare all’altra e dalle commissioni all’aula senza avere né il tempo né il modo di studiare adeguatamente i dossier, di riflettere sui problemi, di calibrare i propri interventi legislativi. Gli errori si moltiplicano (ultimo, il via libera, poi rientrato, della maggioranza alla patrimoniale proposta da Nicola Fratonianni), la superficialità ne cosegue come regola generale. E ne consegue il malfunzionamento del Parlamento, cioè del cuore della democrazia rappresentativa. Un danno non tanto per i rappresentanti del popolo, quanto per il popolo che dai parlamentari è rappresentato. Un limite oggettivo alla qualità del nostro sistema democratico.
Il secondo esempio è di carattere generale. Da ormai trent’anni la politica viene raccontata dai media, e molto spesso anche dagli stessi politici, come una questione che attiene prevalentemente al privilegio e al malaffare. Una questione di Casta, appunto. Ne cosegue che, salvo pochi idealisti, le persone perbene e competenti girano alla larga dall’agone politico. Chi ha un mestiere se lo tiene stretto: perché compromettere la propria carriera per avventurarsi in politica squalificandosi socialmente e, essendo la politica la più pericolosa tra le “professioni”, mettendo a rischio la serenità propria e della propria famiglia?
Inutile, dunque, lamentarsi per la modesta qualità del ceto politico. Inutile stupirsi se i presidenti del Consiglio incaricati non trovano ministri all’altezza della funzione che dovrebbero ricoprire e se i partiti non riescono ad attirare dalla cosiddetta società civile personalità di spessore da candidare a sindaco di una grande città. È la logica conseguenza di trent’anni di ipocrisie, di demagogia e di populismo. Anche in questo caso, evidentemente, a subire il danno non è la Casta: è il popolo.
L’impressione è che si sia giunti ad un punto di non ritorno. Ne abbiamo avuto amara contezza in questi giorni. Nell’arco delle 24 ore successive all’intervento con cui Piero Fassino a Montecitorio ha difeso gli emolumenti dei parlamentari, su 600 tra senatori e deputati c’è n’è stato solo uno che ha osato schierarsi in maniera inequivocabile dalla sua parte. Si chiama Roberto Bagnasco, è una seconda fila di Forza Italia. Molti si sono accaniti sull’ex segretario dei Ds, e tra i tanti i più sferzanti sono stati Conte e Salvini in memoria delle antiche ed evidentemente mai sopite liason populiste. Tutti gli altri hanno preferito tacere.
“Demagoghi!”, ha detto Bagnasco. E ha detto bene. Non l’ha detto in difesa della Casta, l’ha detto in difesa della democrazia. Ma nessuno se n’è accorto.
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Con lo schema di decreto del Presidente della Repubblica, deliberato dal Consiglio dei Ministri, saranno autorizzate le assunzioni in ruolo a tempo indeterminato di:
📌 52 unità di personale educativo-PED;
📌 50.
Ministero dell'Istruzione
Con lo schema di decreto del Presidente della Repubblica, deliberato dal Consiglio dei Ministri, saranno autorizzate le assunzioni in ruolo a tempo indeterminato di: 📌 52 unità di personale educativo-PED; 📌 50.Telegram
La Cina e il suo sforzo “olistico” contro Usa e alleati
“La Cina sta conducendo una campagna senza precedenti al di sotto della soglia del conflitto armato per espandere l’influenza del Partito comunista cinese […] e indebolire gli Stati Uniti e i suoi partner. Questa campagna implica sofisticate attività di spionaggio cinese, operazioni informatiche offensive, disinformazione sulle piattaforme social, coercizione economica e operazioni di influenza su aziende, università e altre organizzazioni”.
Questo il quadro di massima tratteggiato dagli autori di “Competing Without Fighting” (competere senza combattere), l’ultimo rapporto del think tank Center for Strategic and International Studies, che approfondisce ciascuna di queste tematiche per mappare quelle che definisce “attività di guerra politica cinese”. Che vanno viste nel loro insieme, perche l’approccio di Pechino è “whole-of-state” – olistico e trasversale, appoggiato su una serie di istituzioni e condotto in innumerevoli ambiti da un’ampia gamma di attori statali e non.
LA LEZIONE DELLA GUERRA FREDDA
Il faro del rapporto Csis è George Kennan, architetto della strategia di contenimento dell’Urss durante la Guerra fredda e mente dietro le linee guida del Dipartimento di Stato Usa sulla guerra politica “che sono tuttora valide nell’ottica della competizione odierna con la Cina”. Secondo Kennan, una parte significativa della competizione tra grandi potenze riguarda le attività al di sotto della soglia della guerra convenzionale e nucleare. “Oggi la Cina è fortemente coinvolta in molte di queste attività”, l’oggetto del rapporto, che evidenzia anche le “notevoli debolezze e vulnerabilità” cinesi su cui fare leva. Ma è imperativo che la strategia di risposta sia condivisa dagli alleati occidentali e coerente con i principi e valori democratici.
TEMPERATURA IN AUMENTO
Le istituzioni Usa sono di gran lunga l’obiettivo preferito della Cina, come evidenzia il rapporto, a partire dalla formazione, dove il Dragone “sta conducendo una campagna sempre più attiva e aggressiva per penetrare in un’ampia gamma di istituzioni”. La portata di queste azioni “è senza precedenti”; un alto funzionario dell’Fbi ha dichiarato agli autori del rapporto che l’agenzia non ha “mai visto un tale livello di attività di intelligence e di influenza cinese all’interno e intorno al territorio nazionale”.
Ne è prova il numero altissimo di arresti e incriminazioni per “spionaggio, operazioni informatiche e campagne di influenza illegali” negli ultimi dodici mesi. Spiccano il condirettore di un think tank che avrebbe agito come agente cinese e una lunga serie di attacchi informatici aggressivi contro alti funzionari del governo statunitense e aziende come Microsoft. In parallelo, il Dragone porta avanti l’espansione di siti di raccolta di intelligence nei Paesi come Cuba.
CACCIA AI DISSIDENTI ESPATRIATI
Nel mentre la Cina ha condotto “una vasta campagna di monitoraggio, molestia e coercizione nei confronti di residenti negli Stati Uniti e in altri Paesi, nell’ambito di uno sforzo di rimpatrio extralegale noto come Operazione Fox Hunt”. Quest’anno l’Fbi ha arrestato due individui che gestivano una stazione di polizia illegale a Manhattan – non dissimile da quelle comparse anche in Italia e nel resto d’Europa. E il Dipartimento di giustizia ha “incriminato decine di funzionari” del Ministero cinese per la Pubblica sicurezza per aver condotto intimidazioni online contro cittadini cinesi residenti negli Usa che avevano criticato Pechino.
INTELLIGENCE E SPIONAGGIO INDUSTRIALE
Le azioni cinesi contro gli Usa “sono più estese di quanto si sappia” e si sviluppano in una serie di ambiti, a partire dalle sopracitate operazioni di intelligence che riguardano le persone, il monitoraggio di segnali e altri metodi di raccolta dell’informazione in modo pervasivo. Sul versante informatico, le organizzazioni cinesi (comprese le unità dell’esercito) mandano avanti una campagna “contro le aziende statunitensi e internazionali, le università, le agenzie governative, i media, i think tank, le ong e altri obiettivi”.
Lo scopo di questo sforzo è aiutare la Cina a superare l’Occidente, saltando le fasi di ricerca e sviluppo di nuove tecnologie e impossessandosi dei segreti industriali, ma anche “influenzare il pubblico estero e nazionale, assistere le campagne militari offensive e di migliorare le capacità di intelligenza artificiale e di big data analysis del Paese”.
DISINFORMAZIONE E CONTROLLO DELL’IMMAGINE
È appunto sul fronte dell’influenza che gli autori del Csis – e non solo loro – identificano una campagna di informazione e disinformazione globale “volta a influenzare il processo decisionale e il sostegno popolare per ottenere un vantaggio competitivo” e provare a controllare l’immagine della Cina all’estero “anche influenzando aziende, organizzazioni e individui che criticano la Cina”, dall’Associazione nazionale di basketball (Nba) agli studios di Hollywood, senza dimenticare di influenzare le persone ben posizionate per amplificare i messaggi preferiti dal Partito comunista su questioni politiche, economiche e non solo.
AZIONI MILITARI IRREGOLARI
Questo campo è appannaggio di una serie di attori, spiega il rapporto, che comprendono esercito, marina, aeronautica, forze missilistiche e milizie marittime cinesi, ma anche organizzazioni di ricerca e società di sicurezza private legate allo Stato. Tutti sono “coinvolti in sforzi diffusi per espandere l’influenza cinese” ma restando “al di sotto della soglia del conflitto armato”, e oltre a proteggere gli interessi cinesi nel Mar Cinese Meridionale ci sono “quasi due dozzine di società di sicurezza private cinesi che operano all’estero, tra cui in Africa, Medio Oriente, Asia e America Latina”, secondo i dati raccolti dal think tank statunitense.
COERCIZIONE ECONOMICA
Lo studio si concentra anche sugli sforzi internazionali della Cina di penetrare, o tentare di farlo, in quasi tutti i settori dell’economia statunitense e di molti suoi partner. In parallelo c’è lo sforzo di coercizione, ossia minacciare di imporre costi (o incentivi) per influenzare Paesi terzi e ottenere un vantaggio competitivo. La strategia regina in questo campo è la Nuova Via della Seta, intesa come “parte di un più ampio sforzo per influenzare i governi stranieri”. Il Csis rileva l’importanza particolare della cosiddetta Via della Seta Digitale “che mira a diffondere l’influenza cinese attraverso le telecomunicazioni, il commercio elettronico, l’hardware” ma anche il software di marche cinesi.
GLI OBIETTIVI DI PECHINO
Questa vera e propria guerra politica ha diversi scopi, ma i più importanti sono la conservazione del ruolo governativo del Partito comunista cinese e l’espansione dell’influenza cinese, che va di pari parro all’indebolimento degli Usa nell’ambito della competizione globale. Obiettivi che la strategia nazionale definisce come il “grande ringiovanimento della nazione cinese su tutti i fronti”, perseguiti attraverso una guerra non guerreggiata per evitarne, appunto, una convenzionale e astenersi dal provocare altri Paesi.
COME SI PUÒ REAGIRE: IN DIFESA…
Alla luce di tutto questo, scrivono gli autori, Usa e partner “sono stati lenti nell’identificare e contrastare la guerra politica cinese. Questa situazione deve cambiare”. Una strategia di risposta efficace prevede diverse componenti fondamentali, che vanno fondate sui principi democratici “che restano fondamentali nella lotta contro i regimi autoritari”. Dopodiché si passa alle misure difensive, tra cui più controspionaggio (con più risorse e agenti con competenze di cinese mandarino) e l’integrazione della strategia nazionale e locale.
… E ALL’ATTACCO
Il Csis immagina anche “la conduzione di una campagna offensiva più efficace” da parte di Usa e partner. Gli alleati occidentali possono puntare all’indebolimento del Grande Firewall, sostenendo le attività in grado di creare varchi nel “muro” attorno alla sfera internet cinese attraverso istituzioni e attori terzi come le ong. Ma anche creare “un blocco multilaterale per contrastare la coercizione economica cinese”, cosa che richiede “uno sforzo collettivo da parte di Stati Uniti, Australia, Corea del Sud, Giappone, India e altri Paesi, tra cui quelli europei”.
Questo ultimo concetto prevede che i Paesi interessati si mettano nelle condizioni di “sanzionare la Cina in risposta alle minacce o alle azioni cinesi non conformi alle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e finalizzate a raggiungere obiettivi politici cinesi non legati al commercio”. Si potrebbe anche creare “un fondo di compensazione collettiva per le perdite e offrire mercati alternativi di esportazione o importazione per deviare il commercio in risposta alle sanzioni cinesi”, per scoraggiare uno scenario simile a quanto accaduto con la Lituania.
Infine, essendo la competizione Cina-Occidente imperniata anche sullo sviluppo tecnologico, servirà “aumentare la competitività del settore privato nelle tecnologie emergenti” sviluppando partenariati pubblico-privati per competere più efficacemente con il Dragone nelle aree come il Sud Globale. Qui la reazione passerebbe dalle risposte europee e statunitensi alla Via della Seta (Global Gateway, Build Back Better World, e il più recente Blue Dot Network) ma anche da sostegni coordinati alle aziende tecnologiche che tentano di competere con quelle cinesi nei Paesi terzi.
Il Mar Cinese Meridionale è (anche) una questione pop
Hanoi vieta la proiezione del film di Barbie. Ma non è l’unica volta che un governo ASEAN frena l’industria dell’intrattenimento che, volontariamente o no, sostiene la versione di Pechino
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L’esorbitante numero delle partecipate di Stato
Il consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva, il 26 luglio scorso, il nuovo regolamento di organizzazione del ministero dell’Economia e delle finanze. Si è così conclusa la procedura iniziata il 16 marzo per istituire un Dipartimento dell’economia, composto da tre direzioni generali, incaricato delle funzioni che riguardano il patrimonio pubblico, le società partecipate e gli interventi finanziari nell’economia; separato dal Dipartimento del tesoro, che continuerà a interessarsi di macroeconomia, del debito pubblico e della vigilanza sul sistema bancario e finanziario. Se si aggiunge il Dipartimento della giustizia tributaria, istituito di recente, il ministero dell’Economia e delle finanze passa così da quattro a sei dipartimenti.
Compito principale del Dipartimento dell’economia è di interessarsi delle società con partecipazione pubblica, dello Stato e di altri enti. Il nuovo «Direttore generale dell’economia», come si chiamerà il capo del Dipartimento, ha un compito difficile che è però agevolato da tre rapporti, che sono stati presentati negli ultimi sette mesi, sulle partecipazioni pubbliche, il primo, nel dicembre scorso, proprio dal Dipartimento del tesoro, il secondo nel gennaio dall’Istat, e il terzo negli ultimi giorni dal Servizio per il controllo parlamentare della Camera dei deputati.
Si tratta di tre «radiografie» dello «Stato arcipelago», della grande galassia delle società private in cui partecipano i poteri pubblici. Il loro numero, calcolato dall’Istat, ammonta a 7.969, con 908.511 addetti. Se ci si limita, come fa il Servizio per il controllo parlamentare, alle sole società controllate, si tratta di 3.448 società, con 582.669 addetti.
Queste società sono in continuo movimento. Il loro numero si è ridotto, dal 2012 al 2020, di un quarto, ma, nello stesso tempo, si è arricchito di nuove società, come quella per il trasporto aereo, quella per la decarbonizzazione del settore siderurgico, quella per la produzione di energia da fonti rinnovabili, quella per la promozione dell’efficienza energetica.
Dai tre rapporti citati emerge, innanzitutto, l’ottimo funzionamento dei tre organismi che li hanno prodotti, il Dipartimento del Tesoro, l’Istat e il Servizio per il controllo parlamentare. Si tratta di organismi che svolgono bene la loro funzione, censendo le società di primo, di secondo e di terzo livello, elencando i loro amministratori, le loro scadenze, le più diverse problematiche del settore industriale pubblico.
Da questi rapporti, in particolare dall’ultimo, emerge, però, anche che vi sono 559 società prive di dipendenti e 327 con un numero di dipendenti inferiore al numero degli stessi amministratori. Si tratta di società sostanzialmente vuote, dei meri schermi, sui quali dovrebbero esercitarsi i poteri di controllo dello Stato.
La seconda conclusione preoccupante riguarda la razionalizzazione prevista sette anni fa dal Testo unico delle società partecipate. Questa è ferma o va a rilento, tanto che il rapporto conclude che vi è un «basso tasso di adeguamento delle amministrazioni alle prescrizioni del legislatore di adottare misure di razionalizzazione». Un vero e proprio grido di allarme è quello che segnala che poco più del 44 per cento delle partecipate non rispetta uno o più parametri previsti dalla legge come condizione per il loro mantenimento in vita e che delle amministrazioni partecipanti solo poco più dell’82 per cento assolve gli obblighi di comunicazione dei dati. Se ne può dedurre che le amministrazioni difendono le loro partecipazioni e che talvolta lo stesso Parlamento autorizza la disapplicazione dell’obbligo di alienazione. Su questi punti critici dovrebbe esercitarsi il controllo governativo e parlamentare.
La relazione del Servizio per il controllo parlamentare analizza anche il provvedimento del 31 gennaio del 2023 con cui è stata definita la procedura di nomina degli amministratori. Questa merita una valutazione positiva, perché assicura sia il rispetto dei criteri di scelta, sia la trasparenza.
Un punto critico dell’assetto delle partecipazioni pubbliche, quale emerge in particolare dall’ultimo rapporto, riguarda la continua tensione tra il ricorso allo strumento privatistico della società per azioni, e i limiti di ordine pubblicistico che vengono disposti, sia direttamente dalle norme, sia dalle amministrazioni vigilanti, per evitare asimmetrie ed eccessiva discrezionalità. Se, da un lato, si ricorre al codice civile per assicurarsi i vantaggi dell’elasticità, dall’altro, come accade per le retribuzioni degli amministratori delle partecipate, si stabiliscono limiti che riproducono quelle gabbie pubbliche che con il ricorso al codice civile si volevano evitare.
Infine, stupisce che di un numero così cospicuo di addetti, quasi un milione, non tenga conto la Ragioneria generale dello Stato, che pure ha sede nello stesso ministero, nel calcolo degli addetti alla macchina pubblica. Questo consente di giungere erroneamente alla conclusione che il numero delle persone legate al settore pubblico allargato è inferiore a quello di altri Paesi di analoghe dimensioni, avvalorando la tesi che occorra procedere a maggiori assunzioni, che però costituirebbero un peso per la finanza pubblica e un danno per la macchina dello Stato.
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Matteo Renzi e Ferruccio de Bortoli: uno scontro di titani
Anche nelle migliori immagini della sua propaganda, il boy scout di Rignano riesce comunuqe a figurare tra i soggetti meno fotogenici.
Un foglio di inizio agosto 2023 comunica che Matteo #Renzi ha perso in sede civile contro Ferruccio de #Bortoli.
Del primo è persino inutile parlare.
Il secondo è l'ideatore del prodotto Oriana Fallaci. Con questo non si intende dire che la distruzione del Medio Oriente, le stragi quotidiane in #Iraq e in #Siria, i ben vestiti in giro per #Riyadh intanto che nello #Yemen muoiono sotto le bombe donne di cui non importa nulla a nessuno perché sono compostamente vestite siano per intero colpa sua: negare la sua importanza come facilitatore e divulgatore delle più abiette istanze dell'"occidentalismo" contemporaneo sarebbe altrettanto irresponsabile.
Comunque: de Bortoli ha scribacchiato, diversi anni fa, cose che il boy scout di #Rignano non ha gradito. Qualche mese fa una certa Susanna #Zanda gli aveva già fatto presente che i tribunali non sono bancomat, e al tempo stesso gli aveva tolto di tasca sedicimila euro a titolo di maggiore incisività del consiglio.
La cosa deve essere servita a poco: ecco quindi dopo meno di sei mesi un approfondimento in materia di diritto privato.
Docente incaricata, sempre Susanna Zanda.
Che ha praticato a Matteo Renzi lo sconto che è d'uso in ogni ambiente riservare ai clienti affezionati, esigendo mille euro in meno rispetto all'altra volta.
Spiccioli, quando si passa da un ristorante costoso a una consulenza in urbanistica.
Cifra ragguardevole, invece, se si lavora sul serio.
Letture Asiatiche – Voci da Taiwan
Un volume a cura di Rosa Lombardi per Orientalia Editrice che racconta le tante sfaccettature dell'identità taiwanese attraverso la produzione culturale. Dalla corrente modernista a quella nativista, dalla letteratura dei villaggi di guarnigione al grande cinema realista
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Cyanide Pills - Soundtrack to the New Cold War
Garage punk per la vostra estate !
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Cyanide Pills - Soundtrack to the New Cold War 2023
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Ma che cos’è uno strumento educativo digitale responsabile?
In occasione della traduzione in italiano della home page di La Digitale, riprendo questo articolo di Emmanuel Zimmert in cui l’autore espone i principi su cui si basa La Digitale, un progetto che sviluppa e distribuisce gratuitamente una raccolta di strumenti digitali e applicazioni libere e responsabili (24 solo quelli online!) da utilizzare soprattutto nell’insegnamento/apprendimento in presenza e a distanza.
Ecco come vengono presentati gli obiettivi di La Digitale nella home page del sito:
1. progetta e sviluppa strumenti e applicazioni digitali liberi e responsabili per insegnanti;
2. accresce la consapevolezza delle buone pratiche e della sobrietà digitale in ambito educativo ;
3. difende una tecnologia digitale educativa virtuosa e inclusiva lontana dalle grandi aziende guidate dalla corsa al profitto e dalla raccolta e vendita di dati.
Viste le premesse, penso che valga la pena provare gli strumenti liberi che Emmanuel Zimmert ha sviluppato e messo a disposizione gratuitamente.
Qui sotto trovate la traduzione italiana del suo articolo che è distribuito con licenza Creative Commons BY-NC-SA.
A questo link potete ascoltare la lettura dell’articolo: funkwhale.it/library/tracks/17…
Buona lettura e buon ascolto 🙂
Ma che cos’è uno strumento educativo digitale responsabile?
Prima di proporre alcune caratteristiche di uno strumento educativo digitale responsabile, è innanzitutto necessario ricordare quali sono i mezzi utilizzati dalle aziende di tecnologia educativa e digitale in generale per monetizzare i propri prodotti.
• Il modello a pagamento: l’applicazione o il servizio è disponibile dopo il pagamento (una tantum o ricorrente).
• Il modello freemium: l’applicazione o il servizio possono essere utilizzati gratuitamente con funzionalità o possibilità di creazione limitate. Tutte le funzionalità vengono sbloccate dopo il pagamento. Questo è un modello comunemente utilizzato dalle società edtech, in quanto consente agli utenti di avere un’idea del prodotto (e potenzialmente di creare una dipendenza) prima di passare alla cassa.
• Il modello gratuito: è anche un modello comune, soprattutto tra i GAFAM. Tutte le funzionalità sono immediatamente disponibili gratuitamente. Il potenziale di monetizzazione, spesso sconosciuto agli utenti, sta altrove: nei dati che queste aziende potranno raccogliere, utilizzare, mixare, rivendere per generare pubblicità mirata, per stabilire abitudini di consumo, ecc.
Bisogna sempre tenere presente che l’obiettivo rimane principalmente commerciale: si tratta ovviamente di offrire contenuti e servizi di qualità, ma si tratta soprattutto e prima di tutto di vendere, con strategie di marketing più o meno eleganti.
Alcune caratteristiche di uno strumento educativo digitale responsabile
Per La Digitale , uno strumento educativo digitale responsabile è …
• uno strumento con un modello economico chiaro e trasparente;
• uno strumento senza pubblicità;
• uno strumento con codice sorgente aperto e conforme ai valori del software libero;
• uno strumento che pone la rilevanza educativa al centro della sua progettazione;
• uno strumento di facile accesso (può essere utilizzato senza dover creare un account o con la creazione di un account senza un indirizzo email);
• uno strumento che non raccoglie dati personali (o che indica molto chiaramente quali dati vengono utilizzati e per quale scopo);
• uno strumento che non raccoglie dati statistici (o che utilizza strumenti gratuiti e self-hosted per farlo);
• uno strumento che ottimizza (compressione delle immagini, ecc.) o limita l’uso dei media (il video è ancora il modo più efficace per presentare un concetto, una nozione?);
• uno strumento con funzionalità mirate che non cerca di fare tutto, ma al contrario di fare una cosa e di farla bene;
• uno strumento che non mostra un numero eccessivo di notifiche e che non è invadente;
• uno strumento che è oggetto di una progettazione, concezione e sviluppo etico: caricamento rapido, codice ottimizzato, scelta delle tecnologie pertinenti, ecc. Su questo argomento, GreenIT.fr, con il supporto di oltre 50 collaboratori che sono membri del collettivo Conception Numérique Responsable, ha realizzato un manuale di 115 buone pratiche di web design ecocompatibile.
Uno strumento digitale responsabile considera anche l’utente responsabile e lo aiuta a implementare buone pratiche.
È sempre necessario essere inondati di notifiche per farci sapere in un flusso continuo cosa sta succedendo online, quello che qualcuno ha fatto o commentato, ecc.? Ovviamente si tratta di catturare il famoso tempo cerebrale disponibile.
È sempre necessario che il nostro telefono, questo caro amico, ci dica (ci detti?) cosa fare, dove andare in ogni momento? Non lo trovi “infantilizzante”? Stiamo ancora usando la nostra buona vecchia memoria umana?
Esempio di responsabilità e buona pratica: quando crei un nuovo contenuto con uno strumento La Digitale, è necessario recuperare e archiviare il collegamento a questo contenuto, perché non c’è altro modo per riottenere l’accesso a questo contenuto. Ciò richiede quindi organizzazione: il collegamento può essere aggiunto in una presentazione, nella cartella del corso o in un file di testo, ecc.
La discussione continua.
Digitalmente vostro
Emmanuel Zimmert
L'articolo si può scaricare anche in formato .pdf da qui: dgxy.link/ladigitale3
#scuola #softwarelibero #sostenibilità
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È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.Telegram
Sabato 8 luglio 2023, gli account utente hanno iniziato a scomparire dall'istanza Mastodon di Vivaldi. Cosa stava succedendo, come è successo e quali sono state le conseguenze?
> Guardando il database ho potuto vedere che gli account interessati erano stati apparentemente cancellati e quindi ricreati come un account completamente nuovo quando l'utente ha effettuato nuovamente l'accesso.
198 account in totale sono stati cancellati nel corso di questo incidente e nelle ore successive, insieme agli sviluppatori di Mastodon, abbiamo iniziato a esaminare cosa potesse essere accaduto. Su suggerimento di Eugen, abbiamo esaminato la possibilità che gli UserCleanupScheduleraccount eliminati fossero "non confermati", ma alla fine questo è stato escluso, poiché gli utenti eliminati non avrebbero mai potuto corrispondere alla query su cui operava.
TL; DR
Un bug nel codice combinato con una configurazione del database sconsiderata ha causato l'unione di 198 account utente in un unico account remoto. È stato impiegato un intero fine settimana per trovare la causa e riparare i danni causati.
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Bluesky IN - Twitter OUT: dismesso il connettore Twitter di Poliverso ma è già attivo quello per Bluesky: e forse a settembre Friendica potrebbe federarsi anche con il nuovo social di Jack Dorsey
Il connettore twitter di Poliverso è stato dismesso, dopo aver onorevolmente svolto il suo dovere per quasi due anni: da alcuni giorni però non consentiva più di pubblicare messaggi su Twitter, limitandosi a importare messaggi sulla timeline di Friendica, e questo stava anche provocando continui errori e insopportabili rallentamenti del sistema.
Poco male: ci siamo risparmiati il rebranding e gli ultimi shitposting del suo padrone.
Annunciamo invece che è già attivo il connettore per Bluesky che consente al momento di pubblicare messaggi Friendica sul social azzurro!
Per gli utenti Poliverso sono disponibili alcuni codici di invito: se li volete contattateci qui!
Gli sviluppatori di Friendica però stanno lavorando per implementare con la nuova release di settembre la possibilità di federarsi effettivamente con Bluesky.
Siamo in attesa di capire cosa comporterà questa implementazione in termini di risorse e vi terremo aggiornati.
Infine vogliamo scusarci per i rallentamenti che si stanno verificando sul nostro server: purtroppo siamo giunti a un punto in cui il nostro cloud non può essere più potenziato in termini di potenza di calcolo (che è l'aspetto che più ci sta creando problemi) e perciò stiamo valutando se raddoppiare i costi mensili e passare a una nuova configurazione, oppure se cambiare fornitore.
Si tratta di una scelta che dobbiamo operare con una certa attenzione e probabilmente non riusciremo a compierla prima del mese di settembre. Se riscontrerete disguidi, fatecelo sapere.
A questo proposito ringraziamo tutti coloro che ci hanno generosamente finanziato attraverso la piattaforma Ko-Fi o tramite LiberaPay! Non ci aspettavamo questa attenzione da parte dei nostri utenti e di quelli delle nostre istanze collegate, l'istanza mastodon Poliversity e l'istanza Lemmy Feddit.it, che si è rivelata un bellissimo caso di successo degli ultimi mesi, oltre che un luogo di aggregazione per tutti gli utenti di tutte le istanze italiane del Fediverso
.
Grazie ancora a tutti e buone vacanze,
gli amministratori
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LORDS OF ALTAMONT – TO HELL WITH TOMORROW THE LORDS ARE NOW!
RECENSIONE : LORDS OF ALTAMONT – TO HELL WITH TOMORROW THE LORDS ARE NOW!
iyezine.com/lords-of-altamont-…
LORDS OF ALTAMONT - TO HELL WITH TOMORROW THE LORDS ARE NOW!
In quelle cittadine californiane, nel dicembre 1969 (ma anche nel luglio dello stesso anno, con l'eccidio losangelino di Cielo Drive messo in atto dalla settaIn Your Eyes ezine
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Prenotare un volo Ryanair attraverso un'agenzia di viaggi online potrebbe riservare una brutta sorpresa noyb ha presentato un reclamo contro Ryanair. Quando si prenota tramite un'agenzia di viaggi online, la compagnia aerea spinge alcuni clienti a sottoporsi a un processo di riconoscimento facciale invasivo
Prenotare un volo Ryanair attraverso un'agenzia di viaggi online potrebbe riservare una brutta sorpresa noyb ha presentato un reclamo contro Ryanair. Quando si prenota tramite un'agenzia di viaggi online, la compagnia aerea spinge alcuni clienti a sottoporsi a un processo di riconoscimento facciale invasivo
#40 / Di telecamere, peculiari attivisti e strane priorità
Entro il 2025 mille nuove telecamere a Roma
Il sindaco Gualtieri ha già dato disposizioni per far sì che Roma sia sicura per residenti e turisti in occasione del Giubileo del 2025: mille nuove telecamere, una sala operativa super smart per la polizia e un SOC (Cybersecurity Operation Center) per garantire la sicurezza delle telecamere e della sala operativa1. La sicurezza della sicurezza prima di tutto.
Di tutta questa sicurezza, ne saranno certamente felici gli amici romani. Finalmente potranno essere ripresi in tempo reale mentre vengono derubati in metro.
Hey, il portafoglio sparirà comunque e nessuno certamente sarà né catturato né processato — ma almeno saprete che da qualche parte c’è un vigile urbano che vi osserva, che veglia su di voi, e che prova tanta compassione. Mentre sorseggia il suo caffé con panna.
Lo so, forse sono eccessivamente critico. Magari le telecamere funzionano davvero come mezzo di repressione del crimine. In effetti, Milano è la città con più telecamere d’Italia ed è anche la più sicura. Che gli operatori del 112 la chiamino amichevolmente la Gotham City d’Italia è solo uno scherzo. È sicurissima, fidatevi. Soprattutto in zona Stazione Centrale, che è letteralmente invasa di telecamere.
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Blade Runners, gli attivisti che non ci meritiamo
Non tutti la pensano come Gualtieri e altri sindaci illuminati che non vogliono altro che il nostro benessere e sicurezza. In UK in particolare è da poco nato un movimento chiamato “Blade Runners” che ha una missione particolare: distruggere ogni telecamera di videosorveglianza nella città di Londra2.
A loro la sorveglianza di massa non piace, e non gli piace neanche l’espansione illimitata delle nuove ZTL videosorvegliate che da qualche tempo vengono spacciate come soluzione contro il cambiamento climatico.
Questi gentiluomini, che chiaramente non ci meritiamo, stanno progressivamente distruggendo e smantellando ogni telecamera. Un esponente, rimasto anonimo, ha recentemente dichiarato che non si fermeranno fino a che non le avranno distrutte tutte “no matter what”.
Pare che la loro azione sia stata così efficiente finora da aver messo in crisi le autorità locali, che potrebbero perfino decidere di sospendere il progetto ULEZ, simile alla Area B di Milano (una ZTL), per mancanza di apparati di sorveglianza.
Nel dissociarmi da queste terribili notizie di danneggiamento di proprietà pubblica, mi limito a dire che sarebbe davvero terribile se nascessero gruppi di emulazione in altre città europee, vista la fatica e l’amore che i nostri sindaci impiegano per tenerci al sicuro.
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Le strane priorità della Bank of England
La Bank of England ha deciso di dedicare il settimo piano del suo edificio a bagni unisex, o per meglio dire “gender neutral”. La decisione segue una serie di politiche inclusive e alcune dichiarazioni peculiari, anch’esse inclusive, come ad esempio il fatto che chiunque possa avere una gravidanza3.
Voi pensavate che alla Bank of England fossero impegnatissimi a scongiurare la più grande crisi finanziaria del secolo e contrastare l’inflazione (che loro stessi hanno causato). E invece no. Qua bisogna essere inclusivi. Ma perché parlarne su queste pagine?
Perché la questione dei bagni “gender neutral” riguarda molto da vicino anche la privacy e la dignità delle donne, per ovvi e oggettivi motivi, che però oggi sembrano essere fuori dalla portata delle più elevate menti dei nostri continenti.
Condividere un bagno o uno spogliatoio con persone dell’altro sesso può infatti essere un’esperienza negativa per molte donne, che magari preferirebbero non farsi guardare nude da persone dotate di prostata (questo è linguaggio inclusivo?).
D’altronde, se così non fosse, potremmo tutti già oggi usare bagni e spogliatoi uguali per tutti. Se nel corso della storia umana abbiamo deciso di separarli, forse un motivo c’era.
Nella letteratura in materia di privacy (in particolare Solove) si fa spesso riferimento all’impatto di azioni che in qualche modo invadono la sfera privata fisica della persona contro la sua volontà. L’esposizione forzosa di funzioni corporee o di nudità, unita alla sensazione di intrusione nella propria sfera privata, può infatti causare notevoli disagi psicologici nelle persone, oltre ad alterazioni dei loro comportamenti e perfino aumentare il rischio di micro-conflitti e violenze.
Senza contare che i bagni, in generale, sono spesso frequentati anche da bambini — o da adulti con capacità intellettuali di bambini, nel caso delle Banche Centrali.
Quale genitore sarebbe felice di sapere che nel bagno o nello spogliatoio in cui si cambia sua figlia tredicenne dopo l’allenamento è presente anche una persona dotata di prostata di mezza età che ha deciso da un momento all’altro di farsi chiamare Jessica?
In che modo un’imposizione così violenta, che viola la privacy e la dignità delle donne a favore di alcune persone dotate di prostata, può dichiararsi inclusiva? Dov’è finito il femminismo di una volta?
Torna la Privacy Week
Torna la Privacy Week, quest’anno alla sua terza edizione. Un festival di cinque giorni a Milano in cui si alterneranno tanti eventi interessanti come hackaton, interviste, dibattiti, tavole rotonde, serate e incontri di networking. Anche quest’anno tutti gli eventi potranno essere visti comodamente da casa su www.privacyweek.it, mentre per alcuni ci si potrà anche registrare e partecipare dal vivo per chi volesse (posti limitati).
Privacy Week 2023 si terrà dal 25 al 29 settembre e naturalmente ci sarò anch’io, per chi volesse scambiare due chiacchiere dal vivo. Il palinsesto, che è ancora in corso di definizione, è già descritto qui.
Nel frattempo, vi consiglio la registrazione alla piattaforma anche per ricevere la newsletter settimanale e ricevere tutti gli aggiornamenti sulle varie attività!
Meme della settimana
Citazione della settimana
“Don't feel sorry for yourself. Only assholes do that.”
Haruki Murakami
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romatoday.it/politica/sicurezz…
Zaki libero, Assange sepolto vivo. I due volti dell'Occidente | l'interferenza
«Il mondo occidentale esulta per la liberazione del giovane Zaki e nello stesso tempo seppellisce vivo Assange mentre ha già lasciato che fossero seppelliti vivi il leader palestinese di Al Fatah, Marwan Barghouti, e il curdo Ocalan, entrambi imprigionati da più di vent’anni e destinati a non uscire più, come del resto lo stesso Assange, “colpevole” di aver denunciato i crimini dell’esercito americano in Iraq.»
I "fili" di Meta potrebbero creare o distruggere il Fediverso: la promessa di rendere Threads compatibile con ActivityPub ha diviso i sostenitori del Fediverso
"La comunità di Fediverse è stata messa in moto, a causa della paura e dell'odio per Meta, e anche dell'entusiasmo", afferma Dmitri Zagidulin, uno sviluppatore che guida il gruppo del World Wide Web Consortium (W3C) responsabile della discussione sul futuro di ActivityPub. La prospettiva che Meta si unisca al movimento decentralizzato ha persone che cercano di ravvivare i loro progetti e prepararsi per i riflettori. “Ci sono riunioni furiose. Contributi in corso di richiesta. Richieste pull. Spinge per una migliore sicurezza, una migliore esperienza utente. Meglio tutto", dice.
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Sono troppo ottimista forse?
Comunque per ora non ho visto nessuno che usi threads, non ho idea di come cercarlo né c'è apertura da questo, la cosa che lo colleghi al mio account Instagram + che non possa cancellarlo sono due contro che non voglio permettermi.
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Il futuro meccanismo dei social network dipenderà dal successo (o flop) di Threads
La scommessa di Meta è quella di creare un unico grande sistema di condivisione dei contenuti in modo che le varie app social siano interoperabili tra loro, grazie al protocollo di rete chiamato #ActivityPub
Malumori interni a parte, l’ultima parola spetterà a #Meta: se la compagnia implementerà gli strumenti necessari per aderire al fediverso, difficilmente la si potrà fermare. Non sarà la salvezza di Internet come prefigura qualcuno, ma ne vedremo sicuramente delle belle. Tra queste, forse, anche il definitivo tramonto di #Twitter. Chissà.
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J. Alfred Prufrock
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