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Verrebbe da esclamare “Finalmente!” la comunità scientifica prende la parola e denuncia che la sanità e il diritto alla salute in Italia è da anni il fan


L’anno scorso al corteo del 25 aprile a Milano noi di Rifondazione Comunista portammo uno striscione con la scritta «Fuori la guerra dalla storia», lo sloga


Non ci uniamo al coro di sostenitori della NATO. Il superamento della NATO e la costruzione di un sistema di sicurezza comune in Europa come quello progettato a


Le proteste seguite alla decisione presa da parte dell'apparato repressivo nel kurdistan turco, di destituire il neo sindaco del partito DEM (Partito per l’ug


TicketZon: un bridge per portare concerti e mostre nel fediverso (compatibile con gli eventi di Friendica)

TicketZon è l'istanza Mobilizon creata da @Roberto Guido che ripubblica eventi attingendo dalle piattaforme di vendita online di ticketing.

Per ciascuna provincia esiste un “gruppo”, followabile con un qualsiasi account nel fediverso per ricevere le notifiche di nuovi concerti, spettacoli teatrali, mostre o altre attività nella propria zona.

Qui il post sul forum di @Italian Linux Society

@Che succede nel Fediverso?


ticketzon.it/

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Gli USA inviano altre armi a Israele: più di 2.000 bombe da sganciare su Gaza


Fonti del Pentagono confermano l’ok del presidente Biden all’invio, in questi giorni, di miliardi di dollari in armi a Tel Aviv. Colpita un'auto delle Nazioni Unite nel sud del Libano L'articolo Gli USA inviano altre armi a Israele: più di 2.000 bombe da

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di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 30 marzo 2024. Fonti di sicurezza americane hanno rivelato al Washington Post che negli ultimi giorni l’amministrazione Biden ha segretamente autorizzato il trasferimento a Israele di oltre 2.000 bombe e 25 aerei da guerra per miliardi di dollari.

Nonostante gli Stati Uniti critichino il modo in cui Netanyahu sta gestendo la guerra a Gaza e si dicano preoccupati per un attacco su larga scala a Rafah, dove la maggior parte della popolazione palestinese è rifugiata, il sostegno armato non viene assolutamente messo in discussione. Secondo rivelazioni pubblicate a marzo, dal 7 ottobre gli USA hanno inviato 100 carichi di armi a Tel Aviv.

Su richiesta di Biden, alcuni funzionari di sicurezza israeliani avrebbero dovuto recarsi alla Casa Bianca ad ascoltare le proposte americane per limitare il numero dei morti civili. Ma Netanyahu ha annullato la visita in seguito alla decisione degli Stati Uniti di astenersi e non porre il veto sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiede un cessate il fuoco temporaneo a Gaza e il rilascio di ostaggi, senza subordinare la prima istanza alla seconda.

Washington consegnerà 1.800 bombe MK84 da 900 chilogrammi, e 500 bombe MK82 da 225 chilogrammi. Si tratta di armi con una potenza tale da demolire interi isolati e che non vengono più, di norma, utilizzate dagli eserciti su strutture civili o in contesti densamente abitati. Tuttavia, Israele ne ha fatto largo uso sulla Striscia, come nel caso dell’attacco al campo profughi di Jabalya, lo scorso 31 ottobre, che uccise circa 100 persone. Gli Stati Uniti hanno sganciato numerose MK84 durante la guerra del Vietnam e durante l’attacco all’Iraq del 1991, nell’operazione da loro denominata “Desert Storm”. Si tratta di ordigni utilizzati quando gli obiettivi principali sono forza e vastità della deflagrazione piuttosto che precisione nel colpire il bersaglio.

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Foto aerea di una bomba M84 sganciata in Vietnam nel 1972

Dal 7 ottobre l’esercito israeliano ha sganciato 70.000 tonnellate di esplosivo su Gaza, utilizzando armi fornite principalmente da Stati Uniti e Germania.

I 25 caccia F-35A che Washington ha trasferito la scorsa settimana a Tel Aviv hanno un valore di 2,5 miliardi di dollari.

La risposta ufficiale dell’amministrazione USA è che l’accordo di fornitura era stato approvato prima della guerra e che per questo non richiedeva notifica pubblica. Lo stesso varrebbe per il nuovo pacchetto di 2.300 bombe.

Ma non sono democratici, compresi alcuni alleati del presidente Biden, ritengono che il governo degli Stati Uniti abbia la responsabilità di non consegnare armi fin quando Israele non si impegnerà seriamente a limitare le vittime civili e a far entrare aiuti a Gaza assediata sull’orlo della carestia. E che chiedono maggiore trasparenza e condivisione nelle decisioni sul sostegno militare a Tel Aviv.

Il senatore statunitense Bernie Sanders ha commentato la notizia criticando l’amministrazione Biden: “Non possiamo dire a Netanyahu di smetterla di bombardare civili e il giorno dopo mandargli migliaia di bombe”.

La notizia dell’invio segue una visita a Washington del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, durante la quale ha chiesto all’amministrazione Biden di accelerare la consegna di armi.

In 175 giorni nella Striscia di Gaza sono state uccise 32.600 persone, di cui 8.850 donne e 13.800 bambini.

Questa mattina a Rmeish, nel sud del Libano, è stato colpito un veicolo delle Nazioni Unite appartenente all’UNIFIL, la forza di interposizione ONU. L’esplosione ha causato almeno quattro feriti. Israele nega di aver effettuato il raid. All’inizio del mese, tuttavia, un drone israeliano ha colpito e distrutto un veicolo proprio nell’area di Naqoura, non lontano da Rmeish, uccidendo 3 persone.

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Forze di interposizione ONU presenti in Libano

Sempre a Naqoura, alla fine di ottobre un missile aveva colpito la base militare dell’UNIFIL, senza causare vittime, come nel mese di novembre, quando i colpi di Israele hanno raggiunto invece una delle pattuglie ONU. All’inizio di marzo l’UNIFIL ha presentato la relazione finale dell’inchiesta sull’uccisione in Libano, nell’ottobre 2023, del giornalista di Reuters Issa Abdallah. Il report denuncia la volontà israeliana di colpire deliberatamente i civili presenti lungo il confine, chiaramente identificabili come giornalisti. L’Italia è presente in Libano con un contingente di circa 1.000 soldati. L’UNIFIL è composta da circa 10.000 militari provenienti da 49 diversi Paesi. Pagine Esteri

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L'associazione criminale più grande dal dopoguerra.


STORIA. Il femminismo panarabo e l’identità palestinese (quarta parte)


Le leader dell’associazione femminile di Gerusalemme furono le vere ispiratrici del futuro femminismo panarabo che nascerà proprio per la difesa della Palestina. L'articolo STORIA. Il femminismo panarabo e l’identità palestinese (quarta parte) proviene d

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di Patrizia Zanelli* –

Pagine Esteri, 4 aprile 2024. Fleischmann spiega che, in Palestina, discorsi femministi cominciarono a comparire sui giornali arabi verso il 1890, quando la rivoluzione educativa iniziata a metà ‘800 aveva determinato importanti cambiamenti sociali nel paese che, tuttavia, era ancora povero, poiché privo di risorse minerarie, nonché conservatore. Questo conservatorismo era dovuto sia alle istituzioni religiose e ai notabili locali sia alla volontà del Sultano di mantenere lo status quo nell’Impero.

Erano state prima le famiglie moderniste palestinesi cristiane e poco dopo quelle musulmane a permettere alle proprie figlie – e ai propri figli – di frequentare le scuole missionarie moderne occidentali impiantate in Palestina, dove, per via della povertà, non esistevano università. Essendo le chiese locali conservatrici, molti giovani di rito greco-ortodosso desiderosi di libertà si convertirono all’anglicanismo, scatenando crisi familiari a non finire, tipiche del divario generazionale che caratterizzava le società arabe durante la Nahḍa. Benché considerassero l’istruzione femminile una necessità della vita moderna, le famiglie moderniste di tutte le comunità religiose permettevano solo ai figli maschi di andare a studiare all’università a Beirut, al Cairo o a Istanbul. Abituate sin da bambine a uscire di casa per andare a scuola, le giovani dell’élite urbana non erano disposte né costrette a vivere segregate; la loro presenza, in maggioranza a volto scoperto, in pubblico era ormai normale; indossavano cappellini e un abbigliamento sobrio all’europea; e per le occasioni speciali, talvolta, il tradizionale thobe ricamato palestinese; alcune musulmane non abbandonarono subito il velo. Tutte, però, sapevano che, a differenza dei loro fratelli e altri ragazzi della loro generazione, non potevano studiare all’università; fu anche per questa discriminazione di genere che cominciarono a maturare una consapevolezza femminista; in diversi casi studiavano in un istituto di formazione pedagogica.

Grazie alla scolarizzazione di massa lanciata dalla riforma ottomana e alla presenza delle scuole missionarie russe nei villaggi della Galilea, inoltre, molte giovani del proletariato rurale e urbano erano ormai istruite; quindi, potevano svolgere nuove professioni, come per esempio le impiegate negli uffici municipali, e aiutare economicamente le proprie famiglie. La rivoluzione educativa stava generando gradualmente in Palestina tre novità parallele: la mobilità sociale, la dissoluzione della dicotomia città/campagna e un lento smantellamento della segregazione di genere.

Intanto, spiega Masalha, si era registrata nel paese una forte crescita demografica, dovuta a una fioritura di strutture sanitarie moderne pubbliche, fondate dall’amministrazione ottomana, e private; da qui un notevole calo della mortalità infantile, l’aumento del numero di bambine e bambini da istruire, e della richiesta di docenti, medici e infermiere. Nei centri urbani teatro delle narrazioni evangeliche – Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e Tiberiade – i missionari europei e americani crearono inoltre ospedali, alcuni destinati alla formazione medica e infermieristica, e ospizi per le cure sia dei pellegrini sia della popolazione locale. Quindi, anche la modernizzazione della sanità offrì nuove opportunità di lavoro per la società palestinese, donne incluse.

Come spiega Salim Tamari [14], infatti, è storicamente dimostrato che intorno al 1895, infermiere palestinesi e straniere lavoravano nel Muristan, l’ospedale pubblico di Gerusalemme; venivano assunte tramite la Società Ottomana della Mezzaluna Rossa. Dunque, stava emergendo nella società urbana palestinese un proto-femminismo, di cui è però difficile capire esattamente la genesi, per la già indicata dispersione delle fonti storiche disponibili al riguardo, dovuta alla Nakba, nonché per la rigida censura sulla stampa imposta dalla Porta in Palestina.

Gli scontri di Affula (al-Fūla), avvenuti nel 1884, dopo che il proprietario libanese del villaggio lo aveva venduto all’agenzia sionista, e citati da Fleischmann per rilevare la partecipazione delle contadine alla resistenza esplosa contro la fondazione della colonia, sono significativi soprattutto in termini di diffusione popolare dell’autocoscienza anti-colonialista. Sanbar nota, infatti, che l’opposizione palestinese al sionismo nacque prima dalla pubblicazione, nel 1896, de Lo Stato ebraico di Theodore Herzl (1860-1904). Il rischio di una sostituzione etnica era l’argomento di un dibattito generale sulle pagine dei giornali arabi; uno dei dirigenti che presero iniziative importanti in merito è il gerosolimitano Yusuf Diyā‘ al-Din al-Khalidi (1842-1906), deputato di Gerusalemme al Parlamento ottomano del 1877 e per due mandati sindaco della città, il quale, nel 1889, scrisse al gran rabbino di Francia, Zadok Kahn: “In nome di Dio, lasciate in pace la Palestina”. Sin dal 1891 petizioni simili per richiedere il controllo dell’immigrazione ebraica e l’interdizione delle vendite dei terreni agli immigranti saranno rivolte invano alle autorità di turno. Perciò lo stesso evento di Affula del 1884 è ritenuto emblematico; lo cita infatti anche Masalha, confermando il parere di altri storici, come Rashid Khalidi, Beshara Doumani, Ilan Pappé, Baruch Kimmerling e Joel S. Migdad, che collocano la nascita di un proto-nazionalismo territoriale locale e di una percepita identità nazionale palestinese a fine ‘800, prima della comparsa del sionismo politico (sancita dal congresso di Basilea del 1897). Come già detto, tale percezione era dovuta anzitutto alla massiccia presenza di stranieri occidentali e orientali in Palestina, dove, per via della crescita economica, risiedevano, solo per esempio, immigrati egiziani, libanesi e siriani. In quel contesto, le immigrazioni ebraiche, materializzatesi in colonie sioniste, non generavano nelle menti delle donne e degli uomini palestinesi più di tanto riflessioni sulla questione identitaria bensì seri timori per la loro stessa sopravvivenza nel loro paese.

Pur non essendo famosa, la vera pioniera della Nahḍa femminile palestinese è la scrittrice nazarena cristiana greco-ortodossa Kulthum Odeh (1892-1965), che, in un breve testo autobiografico, dice: “Il mio arrivo in questo mondo è stato accolto dalle lacrime, poiché tutti sanno come gli arabi, quali siamo pure noi, si sentono quando viene annunciata loro la nascita di una femmina, specialmente se questa bambina sfortunata è la quinta delle sue sorelle, e la famiglia non è stata benedetta da un maschietto. Tali sentimenti di odio mi accompagnavano sin dalla tenera età. Non ricordo che mio padre sia mai stato compassionevole con me. La cosa che aumentava l’odio dei miei genitori nei miei confronti è il fatto che pensavano che fossi brutta. Perciò sono cresciuta, evitando di parlare, eludendo gli incontri con persone e concentrandomi solo sulla mia istruzione”.

In questo breve testo autobiografico – uno dei rarissimi della Nahḍa femminile palestinese -, Odeh spiega bene cosa significasse essere una giovane in Palestina e altrove nel mondo arabo all’epoca. Aveva frequentato una scuola a Nazareth e poi l’istituto di formazione pedagogica di Beit Jala, dove uno dei suoi docenti era il già citato letterato Khalil al-Sakakini. Era una studentessa eccellente. Appena diplomata all’età di 16 anni, lei stessa insegnò arabo in una scuola russa a Nazareth. Iniziò inoltre a pubblicare articoli in alcune delle quasi 50 testate palestinesi esistenti all’epoca. A un certo punto, si innamorò del medico russo, Ivan Vasilev, che ricambiava i suoi sentimenti, ma la sua famiglia non voleva che sposasse uno straniero. Quindi, lei e lui andarono a sposarsi a Gerusalemme. Quando rientrarono a Nazareth, non ebbero vita facile; perciò, nel 1914 circa, si trasferirono in Russia. Odeh avrà tre figlie ma, nel 1919, durante la guerra civile seguita alla Rivoluzione d’ottobre, suo marito, allora volontario nell’Armata Rossa, morirà di tifo. Lei continuerà a studiare e, per esigenze economiche, lavorerà come infermiera. Nel 1928, ottenne il dottorato presso l’Università di Leningrado, dove poi insegnò; fondò anche un istituto di studi di dialetti arabi a Mosca. Odeh fu la prima donna del mondo arabo a laurearsi e a diventare un’accademica. L’autrice palestinese condusse una brillante carriera professionale in Russia, ma a livello personale non ebbe mai vita facile. Fu importante come letterata, e per i suoi studi di dialettologia e letteratura araba; era anche un’attivista marxista.

Tornando alla Palestina, agli inizi del ‘900 alcune palestinesi cristiane greco-ortodosse del ceto medio cominciarono a creare associazioni caritatevoli femminili. Appartenendo a una minoranza religiosa, volevano aiutare la loro comunità, sapendo che era poco tutelata dallo Stato ottomano. Questo attivismo sociale, consentiva loro di emanciparsi, di avere una vita pubblica, aiutando bambine bisognose o/e orfane a istruirsi, e, una volta diplomate, inserirsi nel mondo del lavoro ed essere donne emancipate, almeno economicamente. Nella comunità cristiana palestinese esisteva, poi, una vecchia divisione tra la maggioranza greco-ortodossa, considerata più popolare, e la minoranza cattolica più elitaria, poiché più vicina all’Europa. Tamari spiega che, a prescindere dalla fede di appartenenza, le attiviste di questa prima generazione del proto-femminismo erano state ispirate dal volontarismo delle suore missionarie che le avevano educate. Va da sé che, proprio come i loro fratelli, erano state influenzate sin dall’infanzia dalle idee moderniste e nazionaliste degli uomini adulti delle loro famiglie. Non volevano vivere come le loro madri, di solito dalla mentalità più tradizionalista rispetto ai padri che, però, non permettevano alle figlie di svolgere professioni “inadatte” al loro status sociale, come le infermiere o le impiegate del settore pubblico e privato, appartenenti al proletariato urbano. Il passaggio dalla tradizione alla modernità non fu liscio in Palestina né altrove nel mondo arabo, dove il marxismo era – e rimarrà – un’ideologia marginale, specialmente nella sua espressione comunista; Odeh fu una pioniera anche in tal senso.

In breve, le giovani palestinesi del ceto medio – e dell’alta borghesia –, desiderose di un minimo di libertà e indipendenza, avevano più ragioni per fondare associazioni caritatevoli femminili. Dopo la Società Ortodossa di Aiuto ai Poveri, creata ad Acri, nel 1903, ne nacquero altre simili, tra cui una a Giaffa, nel 1910, un’altra a Haifa, nel 1911, e un’altra ancora a Gerusalemme, nel 1919. Le associazioni caritatevoli nate in questa fase erano confessionali, ma non settarie; erano rivolte alle famiglie bisognose, incluse le persone ammalate, di tutte le comunità religiose. Le attiviste erano appunto giovani docenti, perlopiù ancora single.

Tamari spiega l’esperienza di una figura molto interessante, futura leader famosa, la già citata Adele Azar di Giaffa, autrice di un altro dei rarissimi testi autobiografici rappresentativi del femminismo palestinese della Nahḍa; lo scrisse nel 1963, in un quaderno di appunti e nella forma di una lunga lettera per i/le nipoti. Figlia unica, ad appena due anni d’età, i genitori l’avevano mandata a scuola: la Miss Arnot’s Mission School, dove alle alunne veniva insegnata anche educazione fisica. Come già detto, le missionarie delle scuole femminili britanniche erano, però, piene di preconcetti orientalistici nei confronti delle società arabe, che pensavano di dovere “civilizzare”, secondo la loro mentalità eurocentrica, tramite l’istruzione delle bambine. Finite le medie, Adele, che ormai conosceva l’inglese, fu iscritta alla St. Joseph School (sempre a Giaffa), perché imparasse anche il francese. Nel 1899, ancora studentessa, si fidanzò con Afteem Yaqub Azar, che sposerà nel 1901. Le fonti storiche non offrono informazioni sulla professione di suo marito.

Adele Azar è un po’ un caso eccezionale, perché era appunto già sposata, il 15 febbraio 1910, quando divenne la presidente e una delle fondatrici della Società delle Signore Ortodosse, che, nel suo testo, definisce come “la prima organizzazione femminile nazionale a essere stata fondata in Palestina”; nello stesso segmento testuale poi ripete l’aggettivo “nazionale”. Questa insistenza forse serviva a sottolineare che l’associazione non era settaria e di certo rivela il patriottismo e il linguaggio modernista di Azar e delle altre attiviste che lavoravano per il futuro della loro nazione. Il nazionalismo non era una mera opzione per la società palestinese alle prese con la minaccia sionista e imperialismi vari.

Per avere un’istruzione moderna, le bambine dell’alta borghesia e del ceto medio, cristiane e musulmane, dovevano per forza di cose frequentare le scuole missionarie straniere cattoliche e protestanti, ricevendo un’educazione europea; quindi, non conoscevano la cultura araba. A Gerusalemme molte figlie dell’élite frequentavano la Scuola delle Sorelle di Nostra Signora di Sion, in cui imparavano più che altro economia domestica. Le femministe palestinesi, perciò, volevano realizzare una rivoluzione educativa per le bambine e le ragazze della Palestina.

Azar era, inoltre, stata ispirata da Labiba Jahshan e Zarifa Sarsuq che, nel 1881, avevano fondato a Beirut la tuttora esistente Ecole Zahrat al-Ihsān (Fiore della Carità), che dirigevano insieme nell’ambito della loro associazione femminile che aveva lo stesso nome. In questo istituto scolastico fornivano un’istruzione moderna in materie umanistiche e scientifiche a bambine e ragazze della comunità cristiana ortodossa. Fu la risposta locale libanese alla crescente influenza delle scuole missionarie cattoliche e protestanti straniere in Libano. Divenne poi un modello anche per gli istituti scolastici delle associazioni femminili palestinesi e siriane. Azar lo adottò, infatti, per l’offerta didattica della scuola della Società delle Signore Ortodosse, della quale era la preside; era lei che preparava il programma; lo scriveva nel suo succitato quaderno di appunti. Le lingue insegnate erano l’arabo e l’inglese; le attiviste organizzavano anche corsi di taglio e cucito in un laboratorio allestito appositamente. Ricevevano le risorse finanziarie per le loro attività dalla chiesa e da privati della comunità ortodossa. La vice-preside della scuola era Alexandra Kassab Zarifeh (1897-?), un’attivista per i diritti delle donne, definita la “ribelle” di Giaffa. Per le occasioni speciali, talvolta si vestiva all’ultima moda parigina, considerata osé all’epoca. Aveva studiato alla Ecole Zahrat al-Ihsān di Beirut e iniziato sin da ragazza l’attivismo sociale nella Croce Rossa e nella Mezzaluna Rossa.

Fleischmann spiega che, per le femministe palestinesi di questa prima generazione, il principale elemento identitario era la femminilità; si associavano alle loro corrispettive egiziane, libanesi e siriane, con le quali aderivano allo stesso movimento, la Nahḍa femminile. D’altro canto, loro avevano problemi specifici locali da affrontare: la crisi nazionale provocata dal sionismo oltre alla povertà ancora predominante nel paese, nonostante la recente crescita economica. Alcune erano mogli o sorelle dei teorici della palestinesità, teorie che tutte conoscevano e in cui si identificavano, così come erano vicine al panarabismo; volevano salvaguardare l’arabicità della Palestina, nonché la cultura ecumenica tipica della loro stessa società palestinese. Perciò, non erano settarie sul piano confessionale né esclusiviste per quanto riguarda il nazionalismo; erano cresciute ricevendo svariati stimoli nelle città cosmopolite in cui vivevano e/o studiavano. Bilingue e talvolta poliglotte, le palestinesi avevano gli strumenti necessari per tenersi aggiornate sugli sviluppi della Nahḍa in Egitto (il Cairo era ormai il cuore propulsivo del movimento), in Libano e Siria, e sulla modernità importata dall’Occidente; erano state esposte a modelli femminili anzitutto francesi e inglesi, con cui sapevano interagire culturalmente, rifiutando di essere mere imitatrici delle donne occidentali. Le docenti diplomate a Beit Jala conoscevano, inoltre, le grandi opere della letteratura russa moderna.

In definitiva, le femministe palestinesi di questa prima generazione sia cristiane che musulmane, le quali emergeranno sulla scena pubblica durante la Grande Guerra, stavano sviluppando sin da giovani un attivismo sociale e culturale comunque legato alla crisi nazionale e, dunque, politico. Varie fonti storiche sottolineano che sono, di fatto, queste pioniere, e soprattutto le già citate più politicizzate leader famose dell’associazione femminile di Gerusalemme, le vere ispiratrici del futuro femminismo panarabo che nascerà proprio per la difesa della Palestina.

[14] Salim Tamari, “Adele Azar: Public Charity and Early Feminism”, Jerusalem Quarterly, 74, 2018.

*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Ha scritto L’arabo colloquiale egiziano (Cafoscarina, 2016); ed è coautrice con Paolo Branca e Barbara De Poli di Il sorriso della mezzaluna: satira, ironia e umorismo nella cultura araba(Carocci, 2011). Ha tradotto diverse opere letterarie, tra cui i romanzi Memorie di una gallina (Ipocan, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī, e Atyàf: Fantasmi dell’Egitto e della Palestina (Ilisso, 2008) della scrittrice egiziana Radwa Ashur, e la raccolta poetica Tūnis al-ān wa hunā – Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad. Ha curato con Sobhi Boustani, Rasheed El-Enany e Monica Ruocco il volume Fiction and History: the Rebirth of the Historical Novel in Arabic. Proceedings of the 13th EURAMAL Conference, 28 May-1 June 2018, Naples/Italy (Ipocan, 2022).

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Siori e siore, la barzelletta del giorno, direttamente dagli Usa, ecco a voi...
Ambasciata Usa: 'Nato impegnata in risoluzione pacifica delle controversie' • Imola Oggi
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L'ignobilità di questo uomo non ha limiti. Ci racconti bene com'è stata la sua non aggressività in Serbia...
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In Cina e Asia: L’Ue lancia un’indagine sui sussidi alle aziende cinesi del fotovoltaico


In Cina e Asia: L’Ue lancia un’indagine sui sussidi alle aziende cinesi del fotovoltaico pannelli solari
I titoli di oggi: L’Ue lancia un’indagine sui sussidi alle aziende cinesi del fotovoltaico Cina, le aziende di Stato guideranno la corsa all’avanguardia tecnologica Uno studio dimostra come la Cina starebbe promuovendo il suo modello politico in Medio Oriente Il nuovo sistema operativo di Huawei può competere contro iOS e Android Hong Kong facilita le condizioni per il cambio di ...

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Terremoto a Taiwan: il racconto da Taipei


Terremoto a Taiwan: il racconto da Taipei 14215129
Un sisma di magnitudo 7.2 ha colpito l'isola, il più forte degli ultimi 25 anni. Decine di scosse di assestamento fino a tarda notte, danni limitati a Taipei ma più seri altrove. Immagini impressionanti tra Hualien e la costa orientale

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Could the US Government Self-Host a Fediverse Server?


Reflecting on some of the hurdles for procuring a Fediverse instance for the US Government. There are a lot of hoops to jump through, but is it worthwhile? The post Could the US Government Self-Host a Fediverse Server? appeared first on We Distribute. h

In our report yesterday about President Biden and the White House opting in to ActivityPub federation, there were a number of responses from people wishing that the White House (and other organizations) would simply self-host their own server to be a part of the network. I agree with this sentiment, and have been thinking about the requirements that would make this kind of thing possible.

Here are my thoughts, based on my limited experience working for both tech startups and government.

Why Would Anyone Want This?


There are a number of people in the Fediverse that would like all forms of government to stay the heck away from the network, citing the problems of bringing the military-industrial-complex and surveillance capitalism to our cozy little space on the Internet. Depending on which government we’re talking about, what their policies are, and how they interact with the network, this isn’t necessarily an unreasonable reaction.

However, there are a number of benefits that bringing government to self-hosted infrastructure might bring:

  • Government Officials – Communicating with and representing their constituents.
  • Service Notifications – Are there outages on certain train lines? Are roads closed down? Has a natural disaster occurred?
  • Bureau Interactions – interacting with municipal services, civic organizations, and emergency / non-emergency services for a variety of jurisdictions.
  • Department Information – easy promotion and access to studies from, say, the Department of Labor, or the Department of Energy.
  • Legislature – coverage of meeting notes, policies passed, votes on the House or Senate floor.

As of today, these things primarily exist within the domain of corporate social media. You’re more likely to see a smattering of accounts across Twitter, Facebook, and Threads, and those accounts might be pretty limited in what they’re able to actually accomplish, since they’re not even running on government infrastructure.

The fact of the matter is, being able to directly access all of the things listed above could be a boon to users of the Fediverse. Rather than trying to rely on a Facebook page or Twitter account to get necessary information, it could be seen from verified accounts on your timeline, with receipts, and would be accessible to journalists, researchers, developers, and citizens alike.

Technical and Organizational Hurdles


There are a number of hoops to jump through, so let’s talk about them. Before diving in: I’m aware of the effort being done by the European Union as well as some EU governments. I think those are great, and give us some kind of playbook to look to for examples. These musings are more focused on the United States.

Funding


The first headache with any government project is setting aside the funds and people to work on it. A political figure could introduce a bill with provisions to set aside a budget for such a program, but then there are questions pertaining to who actually carries out this effort. How much of the work is being contracted out to another business or agency? What’s the criteria for “winning” the contract, and who carries out what tasks?

Procurement


Then there’s the choice of software itself: the platform and its dependencies need to be audited, examined, and vouched for. Off the top of my head, relatively few Fediverse platforms actually fulfill this expectation: I believe that Mastodon may be one of the few that has actually gone through this process, but there may be significant differences between a security audit by a compliance group, and a security audit by a government.

Aside from choosing an official platform to stake operations on, there’s also the matter of finding an ideal third-party vendor. Currently, managed Fediverse hosting services are still in their infancy, and I’m not sure they’re up to scratch for what a government entity demands: comprehensive compliance requirements, service-level agreements, user training and onboarding materials, and promises pertaining to security upgrades and threat mitigations.

There may also be requirements for custom development, for example, integrating federal single sign-on, such as ID.me or something similar. There would also need to be a deployment strategy for various users, departments, and bureaus. It may be possible for an existing government IT provider to adopt Mastodon or another platform and develop everything needed here, but it’s much harder for any business started in the Fediverse today.

Policy


Another relatively grey area here would be the setting of policy for a US Government-run instance. Dealing with hate speech, CSAM, trolling, harassment, and other nastiness is a job and a half for ordinary instance admins, but I would imagine that this could be compounded further by hosting a government server with potentially millions of followers.

How does a government handle that kind of thing without violating the First Amendment? Does moderation even count as violating free speech, as some people believe? Is there perhaps a threshold for what’s tolerated in civil discussion?

I’m not a lawyer, and don’t have a complete answer. They might be able to get away with something similar to the Mastodon Server Covenant, in which ground rules for participation are set. Alternatively, maybe only allowing inbound federation from other government servers is an answer. I don’t know.

Tooling


One final consideration: departments and organizations are unlikely to get very far if they only have a default web interface to rely on. The Fediverse needs tools like Buffer, Fedica, and Mixpost for teams to come together and coordinate their presence in this new space. As the ecosystem evolves, we’ll likely need alternative tools and frontends to deal with emerging challenges.

It’s Still Worth Trying


I’ll be the first to admit that, looking at everything above, there’s a lot of unanswered questions. People asked why President Biden and the White House opted in to using Threads with ActivityPub federation, rather than stand up their own server. For the time being, the cost of setup, onboarding, and training is cheaper. They’re also making a smart bet by migrating to where a lot of people are, in the hopes that they will be heard by the greatest amount of potential followers.

As the Fediverse continues to grow, and both the protocol and platforms continue to evolve, my hope is that government entities might see the Fediverse as viable. One day, we may see a lot of municipal entities and departments setting up their base of operations right here on the network. I think it’s important that we continue thinking about how to get there.

The post Could the US Government Self-Host a Fediverse Server? appeared first on We Distribute.

in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

io penso che tutti gli enti pubblici dovrebbero togliersi da tutte le piattaforme privative e usare esclusivamente il fediverso come sistema di comunicazione diretta, oltre ad offrire il servizio ai cittadini, con tutte le restrizioni che comporta.

Allo stesso modo esorterei tutti i politici a non usare le piattaforme privative per fare annunci istituzionali o politici.

E inviterei gli stessi partiti ad aprire i loro server e a togliersi dalle varie piattaforme privative.



Giovanni Russo Spena* Toglie ancora più autonomia al Parlamento, riduce il ruolo del presidente della Repubblica a quello di un notaio. Il premierato è una


Israele e la “guerra totale”: attacco ai civili, agli operatori umanitari, all’Iran e ai suoi stessi alleati


La guerra di "contenimento" in Medio Oriente potrebbe straripare di fronte alle azioni militari israeliane che allargano il conflitto, destabilizzando governi amici e nemici L'articolo Israele e la “guerra totale”: attacco ai civili, agli operatori umani

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di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 3 aprile 2024. Sono più di 200 gli operatori umanitari uccisi a Gaza in sei mesi. Quasi tre volte il bilancio delle vittime registrate in un anno in qualsiasi singolo conflitto mondiale.

Secondo l’ONU ne erano 196 fino al 20 marzo, prima quindi del sanguinoso attacco israeliano che ha ucciso martedì 2 aprile sette membri della World Central Kitchen. Un convoglio di 3 autovetture che aveva coordinato il proprio percorso con i militari israeliani, è stato colpito dopo che il gruppo di operatori umanitari, identificabile con il logo della WCK, ha consegnato 100 tonnellate di aiuti alimentari a Deir al-Balah, nel centro della Striscia di Gaza. Un attacco mirato, che non ha lasciato scampo agli operatori, tre di nazionalità inglese, uno con doppio passaporto statunitense-canadese, uno polacco, uno australiano e un palestinese. Il secondo veicolo è stato colpito a 800 metri di distanza dal primo. E il terzo a 1 chilometro e 600 metri dal secondo, con estrema precisione. Il premier Netanyahu ha parlato di un “tragico errore”, cose che però “in guerra accadono”. È difficile immaginare che un tale grossolano sbaglio sia riconducibile allo stesso esercito che poche ore prima ha distrutto con chirurgica accuratezza l’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria.

Con l’aumentare dello sdegno internazionale, le parole di scusa sono divenute più chiare, accompagnate però dal funambolico tentativo di descrivere il raid come un’azione isolata. Difficile inquadrarla in questo modo ormai anche per gli storici sostenitori d’Israele: le uccisioni di operatori umanitari, di giornalisti, di civili, di donne e bambini hanno raggiunto numeri inimmaginabili, l’orrore della fame è denunciato ovunque come arma di guerra saldamente impugnata da Netanyahu e dal suo governo. “Se Israele sperava che il suo controllo sull’ingresso degli aiuti sarebbe servito come mezzo di pressione per il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas, ha perso la scommessa” scrive oggi il quotidiano israeliano Haaretz.

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I passaporti di alcuni degli operatori umanitari della WCK uccisi da Israele a Gaza

Il dibattito interno inglese è diventato rovente quando è stata ventilata l’ipotesi che i tre cittadini inglesi della WCK possano essere stati uccisi con una delle tante armi che la Gran Bretagna ha consegnato a Israele. L’opinione pubblica era già rimasta scossa da una fuga di notizie: nonostante il governo abbia ricevuto un parere legale secondo cui l’esercito israeliano sta violando il diritto internazionale, il flusso di armi non è stato bloccato. Insieme a Jeremy Corbyn, altri deputati hanno chiesto la sospensione della vendita di armi a Israele: “dobbiamo chiedere un cessate il fuoco immediato, e porre fine alla nostra complicità in questo orrore”, ha dichiarato l’ex leader laburista.

All’indomani dell’attacco drone al convoglio, la World Central Kitchen ha annunciato la sospensione delle proprie attività nella Striscia di Gaza. Secondo il Cogat, l’organismo del ministero della difesa israeliano che controlla l’amministrazione civile dei territori palestinesi occupati, la WCK garantiva circa il 60% degli aiuti non governativi che entrano nel territorio. Altre Organizzazioni non governative hanno seguito l’esempio, dichiarando di aver interrotto il lavoro di supporto alla popolazione sull’orlo della carestia.

L’immagine di Israele che i governi, soprattutto occidentali, stanno tentando disperatamente di difendere e di presentare, a volte oltre ogni evidenza, a un’opinione pubblica con le idee più chiare di quelle dei propri reggenti, sta cadendo a pezzi. Sotto le immagini dell’ospedale al-Shifa, che fatto a pezzi e dato alle fiamme vengono presentate come un successo militare, con le foto dei corpi di decine di palestinesi senza nome sepolti dalle ruspe, come dalle notizie delle centinaia di arresti arbitrari, dalle testimonianze degli anziani pazienti sopravvissuti.

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L’ospedale al-Shifa di Gaza, distrutto dopo l’assedio israeliano

Ma anche per la cacciata dei giornalisti di Al Jazeera, il più importante network di notizie del mondo arabo, che potrebbe essere seguito da tanti piccoli pezzi di libertà di stampa tenuti a forza da Israele fuori dai confini propri così come da quelli che forzatamente continua ad occupare. L’annunciata operazione militare israeliana su Rafah, dove è rifugiata la maggior parte della popolazione palestinese, è stata ufficialmente bocciata dagli Stati Uniti d’America. Secondo gli USA evacuare i civili in quattro settimane, come programmato da Tel Aviv, è semplicemente impossibile. Sarebbero necessari, per Washington, non meno di quattro mesi.

Sono ormai 32.975 i morti nella Striscia di Gaza, dei quali 14.500 bambini e 9.560 donne. 75.577 feriti, 30 bambini morti di fame. Il Programma alimentare mondiale (WFP) ha ribadito il suo appello per un cessate il fuoco a Gaza avvertendo dell’avvicinarsi della carestia e della malnutrizione tra i bambini che si diffonde a “ritmo record”: un bambino su tre sotto i due anni è gravemente malnutrito. Un’indagine pubblicata da The Guardian, realizzata dal sito di notizie israeliano Sicha Mekomit rivela che l’esercito israeliano utilizza a Gaza un sistema di intelligenza artificiale che, in base a dati preinseriti indentifica potenziali simpatizzanti di Hamas. 37.000 persone sarebbero state arrestate con l’utilizzo del software.

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Familiari degli ostaggi israeliani a Gaza irrompono alla Knesset per protestare contro la gestione della guerra da parte del governo Netanyahu

Eppure, Netanyahu e il suo governo, nonostante le contestazioni interne, godono di un forte sostegno. La narrazione della “vittoria totale” contro Hamas continua a scaldare i cuori di gran parte della popolazione israeliana ma pone sempre più interrogativi sull’avvenire. Gli oppositori lo incolpano di fare la guerra per la guerra, scopo e ultimo obiettivo, senza un reale piano per un futuro di pace. Pace per gli israeliani, sia chiaro, perché i palestinesi rimangono un problema da domare e di cui preferibilmente sbarazzarsi.

Non solo la guerra contro Hamas. Per ritardare l’inevitabile resa dei conti sulle responsabilità del fallimento militare e di intelligence del 7 ottobre, quando il gruppo islamico ha attaccato uccidendo 1200 persone e rapendone circa 250, anche una “guerra totale” potrebbe diventare appetibile. E così la posta in gioco diventa sempre più alta, attacco dopo attacco. “Bibi” sembra sfidare i suoi più forti avversari, testandone i limiti, spinto dal desiderio di marcare il territorio dello scontro ma tentato sempre più a istigare una reazione che, se messi con le spalle al muro, l’Iran e i suoi gruppi alleati potrebbero persino decidere di avere.

L’attacco all’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria, con l’uccisione di sette persone tra le quali Mohammad Reza Zahedi, un comandante della Forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, è un passo pericoloso.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha tenuto una riunione di emergenza il 2 aprile. L’Iran “ha esercitato una notevole moderazione, ma è imperativo riconoscere che ci sono limiti a tale tolleranza”, ha detto l’ambasciatore iraniano all’ONU, Zahara Ershadi.

Cina e Russia hanno definito l’attacco “una flagrante violazione della carta delle Nazioni Unite e della sovranità sia della Siria che dell’Iran”. “25 anni fa, l’ambasciata cinese in Jugoslavia è stata bombardata da un attacco aereo della NATO guidato dagli Stati Uniti. Comprendiamo il dolore del governo e del popolo iraniani”, ha detto Geng Shuang, vice rappresentante permanente cinese presso le Nazioni Unite.

La “guerra ombra” tra Tel Aviv e Teheran ha avuto fino ad ora le modalità del “contenimento”. Un “botta e risposta” proporzionale garantisce il rituale di dominanza e sottomissione che può terminare, come da più attori auspicato, in un ritorno alle proprie aree di influenza, con soddisfazione egualmente distribuita. In questa mascolina dimostrazione di muscoli si inserirebbe il supporto occidentale concretamente dimostrato a Israele con la presenza militare nel Mediterraneo e nel Mar Rosso. Dunque, supportare uno degli attori in conflitto nei termini del “contenimento”, significa esaltare la propria presenza e la propria capacità d’armi allo scopo di intimidire l’avversario ed evitare l’escalation. L’azione armata di Israele contro l’ambasciata iraniana rappresenta senza dubbio un atto che trascende il contenimento. Una fuga in avanti, una dimostrazione di forza che mette in difficoltà i propri alleati ma anche e di più l’avversario, in questo caso l’Iran, che deve decidere a questo punto quali carte giocare. Il fatto che gli Stati Uniti, secondo fonti riportate da più parti, si siano affrettati a comunicare a Teheran la propria estraneità all’attacco, conferma questa lettura. Le minacce che hanno presentato all’Iran sono spiegate dal timore che la risposta possa mirare a obiettivi statunitensi in Medio Oriente.

La maggior parte degli analisti in giro per il mondo sostiene che l’Iran vuole evitare una guerra diretta con Israele. Ma concordano tutti sul fatto che dovrà rispondere all’attacco all’ambasciata. In fondo, l’ha promesso. Ma come?

Il presidente Joe Biden ha già minacciato che se saranno attaccate basi, ambasciate, cittadini degli Stati Uniti, il suo esercito risponderà. Potrebbe attaccare un “luogo” estero israeliano. Ma probabilmente è questa l’azione che Netanyahu attende per l’escalation. La risposta allora potrebbe arrivare attraverso il Libano, con un attacco nel nord d’Israele. C’è da chiedersi, a questo punto, se Hezbollah sia disposto, su ordine dell’Iran, a rischiare una controffensiva israeliana massiccia: Tel Aviv ha già più volte dimostrato di poter colpire il Libano dal sud al nord, compresa la capitale Beirut, senza subire particolari ritorsioni. Rinforzare e allargare il programma nucleare potrebbe essere, forse, una risposta. Ma non è da escludere che rappresenterebbe, anche questa, una minaccia considerata da Netanyahu “troppo grave”.

Gli Stati Uniti potrebbero dunque ritrovarsi incastrati in una guerra che non vogliono e che neanche i loro avversari desiderano ma che Israele pare deciso a voler provocare. Il “laissez faire” politico e militare accompagnato solo da deboli ed esitanti frasi ammonitive, potrebbe rappresentare l’effetto fatale di una sottovalutazione dell’indipendenza aggressiva di Netanyahu.

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ieri l'app di #BancoPosta mi ha detto che devo "Autorizzare l'app Bancoposta ad accedere ai dati per rilevare la presenza di eventuali software dannosi", avendo poi cura di precisare che "La funzionalità è obbligatoria" e che avrei avuto un numero limitato di accessi dopo i quali non potrò più accedere e operare in app se non mi adeguo.

Ma è legale una cosa del genere?
@Etica Digitale (Feddit)

dday.it/redazione/48945/le-app…



RECENSIONE : MISOPHONIA – WORKING CLASS BLAST BEAT


I Misophonia producono un odi quei lavori che fortunatamente non hanno nessun ritegno né filtro a descrivere il mondo per come è veramente e riescono a fondere il grindcore e il crust con la telefonata delle Brigate Rosse che annunciava la morte di Aldo Moro, la jihad islamica con Stalin e il quarto reich dell’Esselunga. @Musica Agorà


iyezine.com/misophonia-working…

Musica Agorà reshared this.



Sebastian Bieniek


Sebastian Bieniek (classe 1975) è un regista tedesco, artista, drammaturgo e scrittore, nato a Czarnowasy (Polonia) si è poi trasferito in Germania, dove ancora oggi vive e lavora.

iyezine.com/sebastian-bieniek




You Can Now Follow President Biden on the Fediverse


Joe Biden's official account is now connected to the Fediverse, thanks to Threads. We'll see if anything comes of it. The post You Can Now Follow President Biden on the Fediverse appeared first on We Distribute. https://wedistribute.org/2024/04/presiden

In a surprising first, Joe Biden’s social media team enabled Fediverse integration on his Threads account today. For now, the integration is a minor gesture, as it’s only a one-way connection from Threads to the Fediverse.

14179551As viewed from Mastodon.

That being said, the implications make for a pretty big deal: Joe Biden is the first US President to federate with the rest of the network. Even though Donald Trump is on Truth Social, which is based on Mastodon, the backend has never actually federated with another server.

You can follow President Biden and the White House below:


Government Fedi


Over the last few years, a number of governments and officials looked to the Fediverse as the base of their online social presence. The European Union notably offers official Mastodon and PeerTube servers for followers to connect with, and the Dutch government officially uses Mastodon as well.

People familiar with the RSS publishing format may find it helpful to think of Fediverse as “Really Simple Social Syndication”. Similar to RSS an agency can publish subscribable feeds, but with the added bonus of social interaction with citizens and stakeholders.

In effect, this combines the deliverability and reach of email with the personalisation and device-alerting capabilities of social media apps.
IFTAS

Some organizations, such as IFTAS, have begun advocating towards governments currently on Twitter, Instagram, and Facebook to move over. It’s still an emerging part of the network, and definitely will take some time for more organizations to set foot over here. Still, it’s a promising development and will hopefully get more public officials to think about connecting to the Fediverse.

The post You Can Now Follow President Biden on the Fediverse appeared first on We Distribute.



The Brightest Room - Omonimo


Nel caso dei Brightest Room, dei quali ho avuto la fortuna di seguire la crescita artistica, si può, con cognizione di causa, parlare di questo nuovo lavoro come quello della completa maturità. I nostri non sono certamente dei novellini e nei dieci pezzi di  Brightest Room dimostrano di aver ascoltato tanta musica e di averla assimilata e fatta propria nel migliore dei modi.

iyezine.com/the-brightest-room…

@Musica Agorà

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Alan Raul, Founder of Sidley Austin’s Privacy and Cybersecurity Law Practice Elected FPF’s New Board President 


FPF Founder Christopher Wolf and Board Chair steps down after 15 years of service FPF is pleased to announce Alan Raul, former Vice Chairman of the Privacy and Civil Liberties Oversight Board, has been elected to serve as President and Chair of the organi

FPF Founder Christopher Wolf and Board Chair steps down after 15 years of service

FPF is pleased to announce Alan Raul, former Vice Chairman of the Privacy and Civil Liberties Oversight Board, has been elected to serve as President and Chair of the organization’s Board of Directors. Raul succeeds Christopher Wolf, founding Board President and founder of FPF, who is stepping down after a foundational and impactful tenure spanning 15 years.

Wolf, a pioneer in Internet and privacy law, is Senior Counsel Emeritus of Hogan Lovells’ top-ranked Privacy and Cybersecurity practice. As a leading attorney with the firm, he co-founded and led the development of the practice for over a decade, advising and shaping the thinking of Internet free speech, hate speech, and the parameters of government access to stored information. Wolf will continue as a member of FPF’s Board of Directors throughout this year before stepping down.


“In 2008, when I founded the Future of Privacy Forum, our vision was that it would be a place where we could advance the responsible use of data while respecting individual privacy,” Wolf said. “We believed that if dedicated technologists, policymakers, industry groups, and advocates focused on advancing privacy in a manner that businesses can achieve, we could strike a balance between consumer privacy and personalization that enables greater innovation for all.”

FPF flourished under Wolf’s guidance, becoming instrumental in steering collaborative and innovative efforts to address the complexity of the data-driven world. The organization regularly publishes substantive policy papers and reports tracking and analyzing data protection developments in different jurisdictions worldwide. Since launching, FPF has expanded its offices to Europe, Tel Aviv, and the Asia Pacific region and convened numerous international events, including the Brussels Privacy Symposium, now in its 7th year and first annual Japan Privacy Symposium.

Wolf’s dedication has not only set a high benchmark for leadership but also has helped regulators, policymakers, and staff at data protection authorities better understand the technologies at the forefront of data protection law. FPF will honor and celebrate Wolf’s contributions to the privacy sector and FPF during his tenure at their 2024 Advisory Board Meeting’s Opening Night Reception on June 5.

“In my experience in leading privacy and cybersecurity law and research, I’ve come to recognize the qualities that make a dedicated privacy trailblazer,” Wolf said. “Alan Raul shares my commitment to fostering a thriving, diverse privacy landscape that advances responsible data practices and technological innovation. His values align with the needs of FPF, and I am confident

he will work tirelessly with integrity and dedication to build on the successes of recent years and take on new challenges.

Raul has served on FPF’s board for eight years and is the founder and, for 25 years, the leader of Sidley Austin LLP’s highly-ranked Privacy and Cybersecurity Law practice. He is currently Senior Counsel at Sidley. Raul brings his breadth of knowledge in global data protection and compliance programs, cybersecurity, artificial intelligence, national security, and Internet law. He is also currently a member of the Technology Litigation Advisory Committee of the U.S. Chamber of Commerce Litigation Center. Raul is also a Lecturer in Law at Harvard Law School, where he teaches Digital Governance and Cybersecurity.


“I’m thrilled to take on this role and continue working to advance responsible data practices and safeguard individual privacy rights,” Raul said. “By leveraging my experience in advising global compliance programs and navigating complex regulatory landscapes, I hope I can contribute meaningful insights to the Board of Directors and effectively guide the direction of FPF’s work as we continue to grow globally as well as meet the new challenges and opportunities in the era of Artificial Intelligence.”

Olivier Sylvain and George Little also join FPF’s Board of Directors as two new members to serve. Sylvain is a Professor of Law at Fordham University and a Senior Policy Research Fellow at Columbia University’s Knight First Amendment Institute, where his research has focused on information and communications law and policy. Sylvain served as Senior Advisor to the Chair of the Federal Trade Commission from 2021 to 2023. Little is a partner at the Brunswick Group specializing in crisis communications, cybersecurity, reputational, and public affairs matters. Little co-chairs the firm’s Global Cybersecurity, Data & Privacy Practice, pulling from his experience working in the highest levels of the national security and defense community and the private sector.

Sylvain and Little join the ranks of recently named board members, including Tom Moore, ​​recently retired as AT&T’s chief privacy officer; Jane Horvath, partner at Gibson, Dunn & Crutcher, LLP and former Chief Privacy Officer of Apple; and Theodore Christakis, Professor of International, European and Digital Law at University Grenoble Alpes (France), Director of the Centre for International Security and European Law (CESICE), and Director of Research for Europe with the Cross-Border Data Forum. FPF’s distinguished new Directors join other privacy luminaries on our Board of Directors – namely, Anita Allen, Debra Berlin, Danielle Citron, Mary Culnan, David Hoffman, Agnes Bundy Scanlan, and Dale Skivington.


“It’s been a pleasure getting to work with Chris Wolf and seeing the vision we had for FPF as a hub for privacy education and research develop over the years and grow into the leading institution it is today,” said Jules Polonetsky, CEO of FPF. “I am confident in Alan’s ability to lead the board to greater heights and continue informing the organization’s future work.”


Composed of leaders from industry, academia, and civil society, the input of FPF’s Board of Directors ensures that FPF’s work is expert-driven and independent of any stakeholders.

About Future of Privacy Forum (FPF)
The Future of Privacy Forum (FPF) is a global non-profit organization that brings together academics, civil society, government officials, and industry to evaluate the societal, policy, and legal implications of data use, identify the risks and develop appropriate protections. FPF believes technology and data can benefit society and improve lives if the right laws, policies, and rules are in place. FPF has offices in Washington D.C., Brussels, Singapore, and Tel Aviv. Follow FPF on X and LinkedIn.


fpf.org/blog/alan-raul-founder…



Per la resurrezione non temiamo il futuro


La resurrezione rivoluziona le nostre esistenze e la società. Per questo è negata e travisata e ridotta a un “forse” sbiadito, anche a volte nelle chiese.
Invece è la potenza di Dio in azione, che ci mostra come Egli non sia dalla parte dei poteri di morte di questo mondo, che Egli è veramente il Creatore e sostenitore di questo Creato.
Ecco, è la resurrezione di Gesù Cristo che apre al futuro, all’azione, al non rassegnarsi, ad aprire una pagina nuova anche in questo tempo così caotico e senza buone prospettive. E dunque noi annunciamo il Vivente, Colui che era che è e che viene, per parlare di speranza a chi teme il futuro, di giustizia a chi soffre l’ingiustizia, per annunciare verità e vita a chi è nella sofferenza e nel dolore.


Oggi è la Giornata mondiale per la Consapevolezza sull'Autismo, istituita nel 2007 dall'Assemblea Generale dell'ONU. Anche quest’anno il Palazzo dell'Istruzione si è illuminato di blu per celebrare questa ricorrenza.



Examining Novel Advertising Solutions: A Proposed Risk-Utility Framework


This week, the Future of Privacy Forum released Advertising in the Age of Data Protection: Background for a Proposed Risk-Utility Framework for Novel Advertising Solutions (v 1.0), which will be open for Public Comment until May 26, 2024. The digital adve

This week, the Future of Privacy Forum released Advertising in the Age of Data Protection: Background for a Proposed Risk-Utility Framework for Novel Advertising Solutions (v 1.0), which will be open for Public Comment until May 26, 2024.

  • Download the Proposed Risk-Utility Framework HERE
  • FPF welcomes public comments until May 26, 2024


The digital advertising industry is in the midst of a sea change. Around the world, privacy regulators have become far more critical of mainstream advertising business models. Both lawmakers and enforcers of existing laws are now more focused on strengthening individual privacy rights and specifically preventing many of the harms associated with the use of personal information in advertising. Meanwhile, large platforms such as Apple, Google, and Microsoft have taken significant steps in recent years to limit access to advertising-related data about their users through efforts like App Tracking Transparency (ATT), Intelligent Tracking Prevention (ITP), and an ongoing process to deprecate third party cookies in Google Chrome. Each change has ripple effects throughout the economy, changing the way advertisers do business and often impacting other social values.

In reaction to these regulatory and platform pressures, businesses are actively seeking new tools and solutions to maintain identity and addressability, or to provide greater privacy safeguards, ideally (in their view) doing so while sustaining as much business utility as possible. Many solutions involve privacy-enhancing technologies (PETs), while others involve a significant shift in business models, such as a return to contextual advertising, the use of solely first-party data, or a shift to client-side processing.

The goal of this Risk-Utility Framework and its associated Background (“Advertising in the Age of Data Protection”) is to provide a comprehensive rubric for navigating the many tradeoffs inherent in the evolving digital advertising landscape and the technology it is built upon. We do not assign values to each aspect of utility, risk, or social impact, but rather aim to holistically identify the many factors relevant for a policymaker or privacy leader to evaluate the impact of a given digital advertising proposal, solution, or system.

Download the Risk-Utility Framework HERE.


fpf.org/blog/examining-novel-a…



Perché molti civili palestinesi muoiono nonostante la precisione degli attacchi israeliani? Quanti ne stanno effettivamente morendo secondo fonti attendibili?

precisione? ma se gli israeliani hanno ucciso essi stessi degli ostaggi… come minimo se lo scopo era recuperare gli ostaggi hanno scelto le forze sbagliate… ma sappiamo tutti che l'attacco palestinese era previsto, la reazione deliberata, e che è tutto programmato da 50 anni. lo scopo è non dover rimanere nei confini assegnati dall'onu nel 1948. e in pratica togliere ai palestinesi anche il resto della terra che ancora hanno. allo stato di israele non servono relazioni normalizzate con i palestinesi perché impedirebbero loro ulteriori espansioni. la terra che hanno avuto non basta loro e comunque non sono disposti a condividerla con chi adesso ci vive. per loro era tutta di diritto loro.. si fotta l'ONU. Neppure l'onu ha accesso alle zone "contese", e questo significa che dovrebbe bastare la parola israeliana per dirti quello che avviene li da 50 anni.

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io non ho *mai* ricevuto nessun messaggio #ITalert

intorno a me è stato tutto uno squillare, in almeno due occasioni, in ufficio. Nonostante gli abbondanti preavvisi, questo squillo generalizzato ha sempre finito per creare anche un po' di allarme.

Io mi sono però allarmato per il motivo opposto: non ho mai ricevuto nessuno dei messaggi di test. Tra la prima e la seconda occasione ho anche cambiato operatore. Possibile che il mio cellulare non sia, per qualche motivo, "compatibile"? Esiste un modo per essere certi che lo riceverò anch'io, nel caso non si tratti di un test ma di un'emergenza reale?

Unknown parent

friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
J. Alfred Prufrock

eh, un po' sì
comunque vorrei capire un po' meglio come funziona

nel sito istituzionale leggo che

Sebbene non sia necessario scaricare alcuna App per ricevere i messaggi IT-alert, in alcuni casi potrebbe essere necessaria una preventiva verifica della configurazione del dispositivo come nel caso sia stato effettuato il ripristino di un back up o se si sta utilizzando una vecchia versione del sistema operativo.

La "verifica della configurazione" è esattamente quella che vorrei fare, se fosse chiarito anche cosa andrebbe verificato 😅

Unknown parent

friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
J. Alfred Prufrock
Sì, Android
anch'io fermo alla 9, purtroppo


un "pacifista" moderno, dovrebbe farsi un bel viaggio nel tempo (o immaginare di farlo), andare da un partigiano, di quelli che credeva nella libertà, e dirgli più o meno quello che noi adesso diciamo agli ucraini: voi combattete per un sistema corrotto, in fondo i tedeschi sono sempre uomini, e comunque, come disse un noto saggio, "anche in dittatura un bambino cresce benissimo", quindi perché darvi tanta pena, perdete le vostre vite inutilmente ed esasperata i tedeschi che se la rifanno sulla popolazione civile. salvate le vostre e le nostre vite... smettete di combattere. tanto fra secoli neppure si noterà la differenza tra libertà imperfetta e tirannia perfetta. titolo: "il lamento di un disperato".


Mobilizon gets new ownership. One of the primary suppliers of shared deny lists in the fediverse is spinning down, in favour of IFTAS' new upcoming FediCheck shared deny list project.


raramente l'ignoranza rende le persone migliori... il nozionismo non serve ma studiare si. sopratutto acquisire un metodo di studio è la cosa utile. imparare un metodo che ti permetta di fare tuo qualsiasi contenuto che di volta in volta ti interessa o ti serva apprendere. ma se pensi che i metodi non servano perché dando una struttura al pensiero lo "imbriglino" e "limitino"... non potrai mai progredire. che poi cosa sia e che utilità abbia in realtà un pensiero senza struttura sarei proprio curiosa di saperlo. in natura il crescere dell'entropia e la progressiva rottura di simmetrie va verso una maggiore strutturazione dove la struttura *E'* intelligenza. questo in senso astrofisico. ma è anche una tendenza evoluzionistica per la vita. la vita va verso maggiore complessità, maggiore specializzazione, dove maggiore complessità corrisponde a maggiore struttura, e maggiore struttura è maggiore capacità di pensiero strutturato. il contrario è involuzione, non evoluzione. la destrutturazione NON è progresso. alcune basi credevo fossero almeno "acquisite". invece si riparte sempre da zero e dalle basi. è come un corso base che si ripete all'infinito. senza mai andare avanti e crescere. forse l'umanità non merita l'esistenza. troppo poco consapevole di esistere. un tempo si diceva "penso quindi sono". ma il pensiero non è scontato. se ne desume che chi non pensa non è. e vedo eserciti di persone incapaci a formulare il più basilare dei pensieri, persone per le quali la struttura nel pensiero è addirittura una cosa negativa perché impedisce di arrivare a dio o chissà quale sapienza nascosta, e l'ostilità per un ponte, quello di messina, rende palese questa totale capacità di pensiero. non c'è giustificazione razionale per chi è contrario a un ponte.


🕊️ Il #MIM augura buona Pasqua a tutte e tutti!

🎨 I nostri auguri di quest'anno sono realizzati insieme alle bambine e ai bambini della Scuola Primaria G. Falcone di Taranto, dell’I.C. di Casteggio in provincia di Pavia e dell’I.C. W. A.

#MIM


c'è chi pensa che la malattia non sia un fatto biologico ma sia uno stato della mente. a parte che anche se fosse a volte "correggere" gli stati della mente è comunque una delle cose più difficili da curare, ma comunque l'idea che le malattie non esistono è l'idea più crudele e atroce che si possa portare avanti nei confronti dei malati e di chi sta male. ed è la base di pensiero o la scusa che legittima i medici italiani a non applicarsi nel fare diagnosi.


Quattro italiani su dieci rinunciano a curarsi. Siamo alla sanità “per censo” l Contropiano

"Attualmente, già il 42% dei cittadini meno abbienti è costretto a rinunciare alle cure poichè, non riuscendo ad ottenerle nell’ambito del sistema pubblico, non ha i mezzi per rivolgersi alla sanità a pagamento. Anche le fasce economicamente più deboli sono spinte verso il privato non avendo accesso al Servizio Sanitario Nazionale a causa delle lunghe liste di attesa."

contropiano.org/news/politica-…



Fedi Garden to Instance Admins: “Block Threads to Remain Listed”


A community index of servers added a new rule recently, that requires every participant to defederate from Threads. Some admins are unhappy. The post Fedi Garden to Instance Admins: “Block Threads to Remain Listed” appeared first on We Distribute. https

The presence of Threads within the Fediverse remains a polarizing and controversial subject, with a deepening divide between those that want to embrace it, and those who want to keep it out. Recently, these calls seem to be renewed, with community members even demanding that Mastodon’s flagship instance block the server.

A number of instance admins opened their Private Mentions this week to see the following message:

Hi,

Could I ask, has [your instance] now defederated threads.net?
The rules for being listed on fedi.garden will require blocking instances cited in human rights reports on genocide. This would require blocking Threads.

The rules for being listed on fedi.garden will require blocking instances cited in human rights reports on genocide. This would require blocking Threads.

Of course it’s your decision what you do, I’m asking just so I can update the fedi.garden website accurately.”

These admins had been making use of Fedi.Garden, a community index intended to point prospective new members to vetted parts of the network. Reflecting a recent policy change, the service operator began reaching out to their members.

What is Fedi Garden?


Fedi Garden describes itself as “a small, human-curated list of nice, well-run servers on Mastodon and the Wider Fediverse.” As a service, it follows in a long tradition of directories designed to help connect people to individuals or communities based on interest, location, profession, or politics.

For newcomers, an entry point for discovery can be crucial in deciding whether they stay on the network, or go elsewhere. This initial point of contact can set expectations on behaviors, norms, and other points of connection to discover.

A Change in Policy


For the most part, Fedi Garden’s long-standing policy for included instances mirrored the Mastodon Server Covenant, setting basic standards on community stewardship and admin competency. For many instances, it’s a great starting point for providing a consistent quality of life, in terms of what to expect.

Recently, the project announced the addition of a policy that every listed server will be required to block Threads.net. To be clear: the service operator is not going to defederate with instances who federate with Threads, nor are they advocating for admins to treat each other this way.

“I don’t think it’s nice to federate with a company that has been cited in multiple independent reports of massacres/genocides,” FediGarden’s operator tells us, “That’s why I’m adding the rule about not federating with such companies. If servers want to do that it’s their decision, but it doesn’t seem a nice thing to do. I can’t honestly recommend such servers.”

Why Block Threads?


Aside from the fact that Threads is a Meta product, it also appears to have policy issues that stand in stark contrast with the rest of the network: a recent report by GLAAD reveals that homophobia and transphobia have largely flourished within networks stewarded by Meta, and transphobic content still seems to flow freely from accounts like Libs of Tiktok on the platform. Similarly, Facebook’s own moderation practices have exacerbated cultural tensions to the point of promoting violence and genocide.

Threads has also remained problematic with regards to news and politics: according to The Verge, the platform’s head boss doesn’t see politics and hard news as being worth the risk. Given the platform’s aversion to political content, this could raise questions about organic discovery coming from the rest of the Fediverse to Threads.

Community Members React


Many people celebrated the change, citing the protection against vulnerable users as a valuable decision. Not everyone was happy, though: Some admins, like Cliff Wade from All Things Tech, feel uncomfortable about the fact that they hadn’t agreed to additional requirements when they joined, and now feel pressured.

“It wasn’t really about the stupid ‘I want to change the rules’ thing so to speak,” he writes, “It was all about how we as admins were approached with a bullying attitude as that’s what several other admins mentioned, long before I ever mentioned it.”

Cliff and his co-admin Kyle Reddoch are now working on their own alternative index, that doesn’t include this requirement. It’s a massive undertaking, and requires vetting communities asking permission for inclusion, and regularly checking in on community developments. Still, they’re optimistic.

“[We] are making a list on our Wiki of instance that both federate and defederate from Threads,” Kyle writes, “we feel people [should] have the choice themselves and not have someone else choose for them.”

Moving Forward


Fedi Garden’s operator has updated the rules on their site, and adjusted their lists. Various projects have been tracking FediPact adoption, such as the tracker on Veganism Social. One thing that’s important to understand, though, is that Fedi Garden and this FediPact tracker aren’t the only tools for tracking safe spaces in the network.

“FediGarden is a tiny site with a tiny following, its account has about 1% of the follower numbers of FediTips,” FediGarden tell us, “FediGarden isn’t some massive gateway onto the Fediverse, it’s just a small list of servers that are Covenant-compliant but also under a certain size, to encourage decentralisation.”

With the Fediverse being what it is, we’re bound to see more indexes and discovery tools come and go, with their own processes and policies for inclusion and promotion. There is no singular landing page for the network, nor a standard point of discovery to the network.

The post Fedi Garden to Instance Admins: “Block Threads to Remain Listed” appeared first on We Distribute.


Dear @Gargron,

A fediverse server called Threads is violating mastodon.social’s second server rule:

“2. No racism, sexism, homophobia, transphobia…
Transphobic behavior such as intentional misgendering and deadnaming is strictly prohibited.”

glaad.org/smsi/report-meta-fai…

Can you please defederate from this server to protect the trans people on mastodon.social?

Thank you.

PS. It’s run by these guys: techcrunch.com/2024/03/26/face…

#mastodonSocial #fediblock #threads #meta #mastodon #transphobia




Weekly Chronicles #69


Proibizionismi digitali, pirati incarcerati e placche metalliche

Questo è il numero #69 di Privacy Chronicles, la newsletter che ti spiega l’Era Digitale: sorveglianza di massa e privacy, sicurezza dei dati, nuove tecnologie e molto altro.

Cronache della settimana

  • La Cina dice no al software e hardware statunitense
  • Samourai Wallet decentralizza il Coinjoin
  • L’Unione Europea ha vietato i wallet cripto privati e anonimi, è vero?

Lettere Libertarie

  • Ross ‘Dread Pirate’ Ulbricht compie 40 anni, in carcere

Rubrica OpSec

  • Proteggi le tue seed words con l’acciaio

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La Cina dice no al software e hardware statunitense


La Cina ha recentemente annunciato nuove regole che prevedono il divieto d’utilizzo di processori Intel e AMD su PC e server governativi. Il divieto si estende anche a software come Windows e in generale prodotti da Microsoft, nonché tutti i software per database sviluppati al di fuori della Cina.

Questa è però in realtà una mezza notizia, poiché la Cina già da tempo aveva politiche protezioniste in materia di ICT. Le aziende cinesi già oggi molto spesso usano numerosi strumenti open source per evitare software statunitense. In futuro il fenomeno sarà probabilmente più accentuato.

Da un lato l’interesse cinese è certamente aumentare il controllo sulla propria infrastruttura nazionale e sui dati, considerati dal governo una risorsa strategica, ma anche evitare rischi di spionaggio e accessi abusivi a sistemi governativi da parte dell’intelligence statunitense.

Lo stesso problema, per così dire, lo abbiamo noi europei. Da tempo discutiamo proprio della sorveglianza di massa perpetrata attraverso i software e hardware americani a danno di governi, aziende e cittadini europei, senza però alcun effetto reale. In quanto colonia politica, possiamo lamentarci e battere i piedi, ma non certo evitare l’uso degli strumenti di spionaggio di Madre Patria.

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Samourai Wallet decentralizza il Coinjoin


Continuiamo la rassegna con una notizia più tecnica, ma estremamente interessante anche dal punto di vista politico. Il team di sviluppo di Samourai Wallet ha dichiarato di essere finalmente riusciti a decentralizzare il loro strumento di “coinjoin” di Bitcoin, chiamato Whirpool.

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#69


FPF Statement on Vice President Harris’ announcement on the OMB Policy to Advance Governance, Innovation, and Risk Management in Federal Agencies’ Use of Artificial Intelligence 


Following the groundbreaking White House Executive Order on AI last fall, which outlined ambitious goals to promote the safe, secure, and trustworthy use and development of AI systems, Vice President Harris has today announced the publication by the Offic

Following the groundbreaking White House Executive Order on AI last fall, which outlined ambitious goals to promote the safe, secure, and trustworthy use and development of AI systems, Vice President Harris has today announced the publication by the Office of Management and Budget of a binding memorandum on “Advancing Governance, Innovation, and Risk Management for Agency Use of Artificial Intelligence,” which indicates the diligent efforts of agencies toward achieving this objective. This commitment is further highlighted by the National Telecommunications and Information Administration (NTIA) publication earlier this week of the“Artificial Intelligence Accountability Policy Report,” which details mechanisms to support the creation and adoption of trustworthy AI.

Although the OMB memorandum primarily focuses on the government’s use of AI, its influence on the private sector will be significant. This is due to not only the requirements for U.S. government vendors and procurement, but also how this framework will create broadly applicable norms and standards for conducting impact assessments, mitigating bias, providing rights to individuals affected by AI systems that impact their rights and safety, and assessing data quality and data privacy in these systems.


“This is a pivotal moment for the development of AI standards when the public sector has a crucial role to play in setting norms for the assessment and procurement of AI systems. We are particularly enthused by the renewed commitment to bring clarity to the development of AI in the public sector and its national utilization. At FPF, we eagerly anticipate contributing to this crucial work through our evidence-based research on Artificial Intelligence.”
– Anne J. Flanagan, FPF Vice President for Artificial Intelligence

fpf.org/blog/fpf-statement-on-…



le ideologie sono uno degli escamotage pensati per dispensare la gente a pensare. sono idee "preconfezionate". prendere o lasciare in blocco. l'ideologia buona quale sarebbe? troviamone una. pure un ideale non è un'ideologia... perché l'ideale è una scelta più consapevole di cui sei partecipate tu al pari dell'idea. non c'è una gerarchia nell'ideale. la pace nel mondo fra i popoli, pari opportunità... non sono ideologie ma ideali. fondamentalmente le ideologie sono strumenti del potere.


Ecco il “nostro” buco nero in luce polarizzata l MEDIA INAF

"Questa nuova immagine ha svelato la presenza di campi magnetici forti e organizzati che si sviluppano a spirale dal margine del buco nero al cuore della Via Lattea. Inoltre, ha rivelato che la loro struttura è sorprendentemente simile a quella dei campi magnetici del buco nero al centro della galassia M87, suggerendo che questi forti campi magnetici possano essere comuni ai buchi neri."

media.inaf.it/2024/03/27/sgr-a…



#NoiSiamoLeScuole questa settimana è dedicato al Liceo scientifico, linguistico e di scienze applicate “Pitagora” di Rende (CS), che con i fondi del #PNRR “Scuola 4.


Cristo è resurrezione


Dal dialogo fra Gesù e Marta sorella di Lazzaro, apprendiamo che la vita eterna è donata adesso con il credere in Gesù quale il Cristo, il Signore. È un rinnovamento della mente, che porta alla conversione del cuore e delle prospettive di vita. E la morte diviene solo un momento di passaggio ad un’altra avventura per l’esistenza, non ciò che determina il vivere.
Non tutti però credono. Anzi. Gesù Cristo sarà posto a morte proprio per questo suo segno di signoria sulla morte.
Perché? Ci possono essere varie risposte, ma fermiamoci a pensare che chi decide di metterlo a morte lo faccia proprio per evitare che agisca come Signore della vita. Non vogliono abbandonare tutti i privilegi e le aspettative mondane. Forse non tutti vogliono la vita eterna come ci viene da pensare. Sarebbe come essere rinnovati, ma chi vuole realmente essere nuovo? Se poi c’è potere e ricchezza…
A volte invece facciamo questo salto di fede e Gesù Cristo ci ricorda che la gioia e la beatitudine è alla nostra portata credendo nel nostro Signore: il Signore della vita.


Da oggi #27marzo fino al #31maggio è possibile richiedere le agevolazioni dedicate a viaggi di istruzione e visite didattiche attraverso la piattaforma #Unica.

L'iniziativa è destinata a studentesse e studenti delle scuole statali di secondo grado.



Da oggi #27marzo le lavoratrici madri della #scuola possono presentare la domanda online per l’esonero contributivo sino a 3.000 euro annui.


Nella mia esperienza non ho mai visto un'operazione così riuscita. #Pokemon Oro e Argento originali hanno dato una spinta pazzesca, ludicamente parlando, e anche narrativamente parlando, ai predecessori Rosso e Blu. Il remake li ha modernizzati aggiungendo tutti i dettagli che per ovvie ragioni tecniche non potevano essere sul Game Boy originale, già spremuto al limite ma sfruttato con maestria. È la generazione alla quale continuo a essere affezionato, forse anche per l'esperienza di scoperta graduale che ho vissuto: con qualche immagine degli starter sulle riviste giapponippiche del 2000/2001, l'aver messo le mani in anteprima rispetto all'Italia su una rom tradotta in inglese così e così, ma che mi ha riempito di meraviglia. E soprattutto, alla faccia di tutti, #Chikorita rulez!
in reply to Maurizio Carnago

non siamo esperti di pokemon ma... hai mai provato Unbound?

pokeharbor.com/2022/08/pokemon…



Youth Privacy in Immersive Technologies: Regulatory Guidance, Lessons Learned, and Remaining Uncertainties


As young people adopt immersive technologies like extended reality (XR) and virtual world applications, companies are expanding their presence in digital spaces, launching brand experiences, advertisements, and digital products. While virtual worlds may i

As young people adopt immersive technologies like extended reality (XR) and virtual world applications, companies are expanding their presence in digital spaces, launching brand experiences, advertisements, and digital products. While virtual worlds may in some ways resemble traditional social media and gaming experiences, they may also collect more data and raise potential manipulation risks, particularly for vulnerable and impressionable young people.

This policy brief analyzes recent regulatory and self-regulatory actions and guidance related to youth privacy, safety, and advertising in immersive spaces, pulling out key lessons for organizations building experiences in virtual worlds.

Recent FTC Enforcement Actions and Guidance


The Federal Trade Commission (FTC) has shown a strong interest in using its consumer protection authority to bring enforcement actions against a wide range of digital companies for alleged “unfair and deceptive” practices, rule violations, and other unlawful conduct. The Commission has also issued several policy statements and guidance documents relevant to organizations building immersive technologies, touching on issues such as biometric data and advertising to children. It is clear the agency is thinking seriously about how its authority could apply in emerging sectors like AI, and organizations working on immersive technologies should take heed. Lessons from recent FTC privacy cases and guidance include:


Self-Regulatory Cases and Safe Harbor Guidance


Self-regulatory bodies also have an essential role in ensuring privacy and safety in child-directed applications and providing guidance to companies operating in the space. For example, organizations designated as COPPA Safe Harbors can guide companies toward compliant, developmentally appropriate, and privacy-protecting practices. Lessons from recent self-regulatory cases and Safe Harbor guidance include:

  • Advertising disclosures in immersive environments should be designed to be as clear and conspicuous as possible and provided in an age-appropriate manner.
  • Platforms that allow advertisements to children should ensure that developers, brands, and content creators have the necessary tools and guidance to clearly and conspicuously disclose the presence of advertising to children.
  • Privacy by design and by default demonstrate to regulatory and self-regulatory bodies that an organization takes youth privacy seriously.
  • Privacy and advertising practices for teens should take into account the unique considerations relevant to teen privacy and safety, compared to child and adult guidance.
  • Organizations with a robust privacy culture that demonstrate good faith efforts to follow the law are more likely to be given the benefit of the doubt.


Remaining Areas of Uncertainty


Because immersive technologies are relatively new and evolve rapidly, much of the existing regulatory and self-regulatory guidance is pulled from other contexts. Therefore, questions remain about how regulations apply in immersive environments and how to operationalize best practices. These questions include:

  • How age-appropriate design principles will best fit into an immersive technology context, such as how best to ensure strong default privacy settings for underage users; the best methods for clarity and transparency regarding data practices notices and advertising disclosures; and whether an immersive experience should require unique, additional safeguards.
  • What novel data collection and analysis methods in the immersive technology space will require discerning data practices surrounding its safeguarding and use, such as what kinds of inferences are appropriate to make from body-based data or to what extent avatars not derived from a child’s data are considered personal information.
  • How immersive technologyimpacts children and teens; more research is needed to understand whether certain kinds of experiences and privacy practices are harmful for children and teens, if there are unique risks to children’s privacy and mental health, and how organizations, parents, schools, and other stakeholders can address potential issues.


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