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In Cina e Asia –


In Cina e Asia – israelo-palestinese
I titoli di oggi:

Conflitto israelo-palestinese, le reazioni di Cina e Asia
Milizie popolari, le aziende cinesi ritornano alle tradizioni del Maoismo
Ex ufficiale dell'esercito americano accusato di aver tentato di fornire informazioni riservate alla Cina
Usa, la delegazione del Senato in visita in Cina riaccende lo scontro sulla crisi del Fentanyl
Cina, i viaggi durante la Golden Week arrivano quasi ai livelli del 2019
Dissidente cinese bloccato all'aeroporto di Taiwan ottiene asilo in Canada
Corea del Nord, boom di trasporti su rotaia. Gli analisti: "Fornitura di armi alla Russia"

L'articolo In Cina e Asia – proviene da China Files.



LIVE. Gaza/Israele. Giorno 3: più di 1.000 morti, si combatte senza sosta


100.000 riservisti israeliani schierati al confine con Gaza. Bombardamenti intensi nella Striscia. Continuano scontri a fuoco tra Hamas e esercito israeliano L'articolo LIVE. Gaza/Israele. Giorno 3: più di 1.000 morti, si combatte senza sosta proviene da

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dalla redazione –

Pagine Esteri, 9 ottobre 2023. Una notte di furiosi bombardamenti sulla Striscia di Gaza, quella tra domenica e lunedì, all’avvio del terzo giorno di combattimenti dopo l’attacco senza precedenti operato da Hamas.

Il numero dei morti sale ora dopo ora. Le vittime israeliane hanno superato le 700 persone, molte delle quali civili, uccise dagli uomini di Hamas che sono entrati e hanno preso il controllo degli insediamenti israeliani vicini alla Striscia di Gaza. Almeno 260 vittime sono giovani che partecipavano ad un rave party. Sono stati colti di sorpresa alle prime luci dell’alba, dai miliziani di Hamas che sono arrivati armati e hanno cominciato a sparare sulla folla. Tra i giovani non solo israeliani, ragazzi e ragazze di diverse cittadinanza tra cui statunitensi e tedeschi.

Più di 100 persone, tra cui ufficiali di alto rango, sono state fatte ostaggio e portate all’interno della Striscia, dove morte e distruzione stanno cadendo dal cielo, con i missili e le bombe rilasciate da Israele, che stanno distruggendo edifici residenziali, palazzi, moschee, scuole. Le vittime, solo a Gaza, sono almeno 436. Tra di loro molti bambini. Ieri è stata sterminata un’intera famiglia, 19 membri, tra cui bambini, quando un razzo israeliano ha colpito il palazzo degli Abu Quta in un campo profughi vicino Rafah. Secondo le Nazioni Unite i bombardamenti hanno causato circa 123.538 di sfollati.

Continuano, intanto, combattimenti violenti in 6 località a sud della Striscia di Gaza, dove uomini di Hamas ingaggiano scontri a fuoco con gli israeliani.

Gli eventi precipitano anche nella Cisgiordania occupata: incursioni israeliane e scontri tra combattenti palestinesi e soldati si sono registrati a Hebron e a Ramallah. Alle azioni militari prendono parte anche i coloni israeliani, spesso armati. Nelle ultime ore in Cisgiordania sono stati uccisi 7 palestinesi.

Le autorità stanno rastrellando i palestinesi che lavorano in Israele per espellerli. Alcune immagini mostrano centinaia di lavoratori deportati nella Valle del Giordano.

Un enorme schieramento di truppe israeliane si sta muovendo verso la Striscia di Gaza. Circa 100 mila riservisti si sono già ammassati al confine.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito a porte chiuse per discutere della situazione ma non è riuscito a raggiungere l’unanimità per emettere una dichiarazione congiunta.

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Sto provando Bluesky


Sto provando Bluesky.
Ci sono alcuni aspetti che trovo scomodi, rispetto a quello che invece offrono Mastodon e Friendica

A) i post non possono superare le 300 battute;

B) una volta pubblicato, un post non può essere modificato, si può solo cancellare e ripubblicare

C) per leggere un post o "sbirciare" un profilo, bisogna essere per forza loggati



Terremoto in Afghanistan: migliaia di morti


Il sisma ha colpito ieri le regioni occidentali del Paese: migliaia i feriti, almeno 2.000 i morti, ma il numero delle vittime continua a salire. L'articolo Terremoto in Afghanistan: migliaia di morti proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2

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di Valeria Cagnazzo –

Pagine Esteri, 8 ottobre. La mattina di sabato 7 ottobre, un terremoto di magnitudo 6.3 con epicentro a circa 40 km a nord-ovest di Herat ha scosso l’Afghanistan. Nelle ore successive, ulteriori scosse di assestamento hanno continuato a far tremare il Paese, che già contava a centinaia le proprie vittime. A circa ventiquattro ore dal sisma, il bilancio è drammatico: oltre 2.000 sono i morti e almeno 9.000 le vittime, mentre nelle regioni colpite, almeno 8 i villaggi distrutti, si continua a scavare e a cercare i dispersi.

La tragedia si abbatte su un Paese che già sta attraversando una profonda crisi umanitaria, i cui fondi statali sono congelati e in cui gli aiuti internazionali sono stati tagliati da quando nell’agosto 2021 le truppe americane hanno abbandonato i loro ultimi avamposti e i talebani hanno autoproclamato il loro governo.

“Questo terribile terremoto avviene in un momento di estremo bisogno umanitario in cui 15 milioni di persone non sanno da dove arriverà il loro prossimo pasto”, si legge sull’account del World Food Programme.

🚨#Afghanistan: “This terrible earthquake comes at a time of immense humanitarian needs when 15 million people do not know where their next meal will come from.”

More about the #AfghanistanEarthquake: t.co/ouwPNSQwNi pic.twitter.com/t9GSvHknFt

— World Food Programme in Afghanistan (@WFP_Afghanistan) October 8, 2023

Il rappresentante delle Nazioni Unite Stephane Dujarric ha intanto dichiarato che l’Onu e i suoi partner in Afghanistan stanno coordinando le proprie azioni di soccorso con le autorità de facto per raggiungere le comunità colpite. Il governo talebano, intanto, ha chiesto alle organizzazioni assistenziali locali di recarsi nelle regioni colpite per fornire aiuto ai superstiti e contribuire al recupero dei corpi intrappolati sotto le macerie e alla ricerca dei dispersi. Ha, inoltre, chiesto “ogni possibile collaborazione e aiuto ai fratelli afflitti” da parte dei loro “ricchi compatrioti”.

Nel giugno 2022, l’Afghanistan era stato colpito da un altro terremoto che aveva provocato almeno 1.500 morti.

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  di LAURA TUSSI Con Antonio Mazzeo ripercorriamo la storia controversa della costruzione del MUOS, il sistema militare di telecomunicazioni satellit

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L’attacco di Hamas nel puzzle della guerra mondiale frammentata. Scrive Trenta


È guerra in Israele, un’altra tessera nella “guerra mondiale a pezzi”, un conflitto che non è iniziato ieri ma è frutto di una di quelle situazioni che, colpevolmente, non si è voluta risolvere e per questo mantiene una potenzialità di destabilizzazione e

È guerra in Israele, un’altra tessera nella “guerra mondiale a pezzi”, un conflitto che non è iniziato ieri ma è frutto di una di quelle situazioni che, colpevolmente, non si è voluta risolvere e per questo mantiene una potenzialità di destabilizzazione enorme.

L’attacco criminale dei terroristi di Hamas

L’aggressione criminale dei terroristi di Hamas nei confronti di Israele è senza precedenti: diretta contro i civili, di sabato, quando in un giorno di preghiera e di festa, si recano in sinagoga e celebrano lo Shabbat.

Sono già più di 500 morti, 300 israeliani e 232 palestinesi, più di 3.000 i feriti e numerosi i civili e soldati israeliani presi in ostaggio da Hamas e portati a Gaza.

Iniziando la controffensiva Netanyahu ha detto che “sarà una guerra lunga e difficile”. Più di 250.000 sono accorsi alla chiamata.

Il partito di Netanyahu, Likud, vuole allargare l’esecutivo e fare un «governo di emergenza allargato», indispensabile quando ci si prepara a un attacco di terra a Gaza che, come ha promesso il primo ministro israeliano, distruggerà le capacità di Hamas e renderà rovine “tutti quei luoghi dove Hamas si nasconde”.

Un’operazione pianificata con cura da Hamas

L’operazione terroristica non è stata decisa all’improvviso ma pianificata in ogni dettaglio incluso quello della data dell’aggressione. Esattamente 50 anni fa, infatti, il 6 ottobre del 1973, iniziò la guerra dello Yom Kippur con l’attacco di Egitto e Siria nei confronti di Israele.

Il mondo si chiede come mai l’intelligence israeliana, una delle migliori al mondo, si sia fatta trovare impreparata di fronte a un bulldozer che buttava giù la rete di uno dei confini più pieno di telecamere e sensori al mondo, mentre gruppi di terroristi entravano sulle moto o lo superavano con i deltaplani a motore. Ma veramente questa crisi è arrivata non annunciata?

Un attacco a sorpresa ma non una sorpresa

In verità l’attacco non è così sorprendente. Da tempo l’Iran, preoccupato del riavvicinamento dell’Arabia Saudita ad Israele e delle sue conseguenze sui rapporti di potere regionali, ha minacciato i paesi arabi che stanno normalizzando le loro relazioni con Israele. La Guida Suprema Ali Khamenei li ha avvisati che stanno “scommettendo sul cavallo sbagliato” e “subiranno perdite” e ha annunciato che Israele è un cancro che “sarà presto eradicato per mano dei Palestinesi e delle forze di resistenza presenti nella regione”.

Sia i leader di Hamas che di Hezbollah, attori per procura dell’Iran in Medio Oriente, dall’estate hanno iniziato a parlare di una guerra totale contro Israele rispondendo all’invito dell’Iran. Ad aprile 2023 Esmail Qaani, comandante del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica dell’Iran-Quds Force, aveva incontrato segretamente Hezbollah, Hamas e la Jihad Islamica Palestinese per coordinare gli attacchi contro Israele, mentre a maggio, il presidente iraniano Ebrahim Raisi aveva incontrato i funzionari di Hamas e PIJ in Siria, dopo che avevano lanciato razzi da Gaza in Israele.

Dunque questa guerra non può essere stata una sorpresa e le numerose schermaglie nella zona di confine tra Israele e il Libano avevano certamente fatto prevedere ai funzionari israeliani un probabile attacco da parte di Hamas o Hezbollah, o entrambi.

Possibili effetti di questa crisi sulla regione

Sarà facile per Israele uscirne fuori? Probabilmente sì, ma non senza spargimento di sangue. Esprimo invece forti dubbi sul fatto che la situazione della regione possa restare immutata.

Mentre Usa, Eu, Nato, condannano l’attacco a sorpresa sferrato da Hamas e sottolineano il diritto di Israele a difendersi, e la Russia e la Cina, l’Arabia Saudita e l’Egitto invitano le parti a cessare il fuoco ed evitare l’escalation, l’Iran si è detta “fiera” dei “combattenti palestinesi” e ha promesso di restare al loro fianco fino alla liberazione di Gerusalemme e della Palestina, confermando così quanto dichiarato alla Bbc dal portavoce di Hamas, che l’Iran abbia supportato direttamente Hamas nell’attacco a sorpresa contro Israele.

D’altra parte anche Hezbollah è pronto ad intervenire dal Libano contro Israele. Il suo leader, Hassan Nasrallah, ha dichiarato che l’attacco di Hamas “invia un messaggio al mondo arabo e islamico, e alla comunità internazionale nel suo insieme, specialmente a coloro che cercano la normalizzazione con questo nemico, che la causa palestinese è eterna, viva fino alla vittoria e alla liberazione”.

Esiste una reale possibilità che Hezbollah entri nello scenario da attore protagonista, che si riaccendano scontri in Cisgiordania e con gli sciiti in Siria e questo è indicativo del fatto che l’aggressione di Hamas non sia solo una decisione del gruppo terroristico ma sia parte di uno scenario strategico ben pianificato con l’aiuto dell’Iran.
È opportuno aggiungere anche un’altra ipotesi: quella dell’esistenza di un appoggio russo all’attacco di Hamas attraverso i suoi proxy, il Wagner per esempio, ma non solo.

È noto infatti che la guerra in Ucraina abbia fatto diventare la già esistente collaborazione tra Russia e Iran una necessità strategica, sia dal punto di vista economico-commerciale (aiuto reciproco per superare le sanzioni), che della sicurezza interna (collaborazione nella cybersicurezza mediatica e intelligence), sia della difesa (fornitura di droni e aiuti militari dell’Iran alla Russia).

La situazione non deve sfuggire di mano

Lo scenario davanti a noi è molto pericoloso e le reazioni di tutta la comunità internazionale – non solo quelle di Israele – saranno determinanti per il corso degli eventi.

Hamas potrà uscire distrutta dalla guerra che ha innescato ed è possibile che il già dichiarato supporto degli Stati Uniti possa essere una forte deterrenza nei confronti di eventuali voglie di avventure iraniane. Ora è necessario che l’Arabia Saudita dimostri la volontà di andare avanti con il progetto di riavvicinamento ad Israele e sarebbe anche auspicabile che l’Autorità nazionale Palestinese, che partecipa ai negoziati degli accordi con l’Arabia Saudita, facesse lo stesso. Purtroppo così non sembra e il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, nel chiedere una riunione urgente della Lega Araba sulla situazione a Gaza, ha citato la “brutale aggressione israeliana in corso contro il popolo palestinese, inclusa l’escalation dell’assalto alla Moschea di Al Aqsa da parte di centinaia di coloni”.
Come sempre, nelle guerre che non finiscono tutti hanno delle ragioni tranne qualcuno: i terroristi. Sarebbe stato utile ascoltare una loro condanna da Abu Mazen. Al momento non è successo.


formiche.net/2023/10/israele-h…




Mentre viene rilasciata la Release Candidate di Friendica 2023.09, in attesa dell'integrazione con il protocollo Bluesky, ricordiamo che sono disponibili codici Bluesky per gli utenti di Poliverso.

Con l'integrazione del protocollo AT di Bluesky, Friendica diventa lo stato dell'arte della connettività tra social decentrati. Gli utenti di Poliverso che desiderassero dei codici di invito per Bluesky possono chiederlo a questo account (devono prima seguirlo) o a quello di @informapirata :privacypride:


Abbiamo appena separato i rami 2023.09-rc dall'attuale ramo di sviluppo di Friendica, ma è già Hacktober! È vero, almeno per l'RC ci atterremo al numero fondamentale.😉

Se vuoi aiutare a trovare aspetti irregolari e comportamenti fasulli e, si spera, risolverli prima della prossima versione, controlla il nuovo ramo e segnala i problemi che incontri.

Le modifiche più importanti in questa versione sono:

1. Un nuovo connettore #Bluesky, che ti consente di utilizzare il tuo account Bluesky da Friendica. Effettua il crosspost su quella piattaforma e interagisci con i tuoi contatti Bluesky.
2. Abbiamo rinominato alcune delle nostre funzionalità esistenti nella speranza di renderle più facilmente riconoscibili. I tuoi #gruppi di contatto ora si chiamano #Cerchie e i vecchi forum pubblici/privati ​​ora si chiamano Gruppi pubblici/privati.
3. Una novità sono i #Canali che si integrano nella visione di rete di un utente di Friendica e offrono una visione filtrata sui contenuti postati dai contatti. Ciò include post di contatti con cui hai interagito maggiormente o post che sono diventati più interattivi nelle ultime 24 ore. Abbiamo intenzione di dare agli utenti il ​​controllo della definizione su come appare una definizione di canale.

@Che succede nel Fediverso?

Con l'integrazione del protocollo AT di Bluesky, Friendica diventa lo stato dell'arte della connettività tra social decentrati


Friendica 2023.09 Release Candidate available

We have just branched off the 2023.09-rc branches from the current development branch of Friendica, but it is Hacktober already! True at least for the RC we’ll stick to the milestone number 😉 If you want to help finding rough edges and bogus behaviour and hopefully fix them before the upcoming release, please checkout the new branch and report problems that you encounter.

The most notable changes in this release are:

  • A new Bluesky connector, that allows you to use your Bluesky account from within Friendica. Crosspost to that platform and interact with your contacts there.
  • We renamed some of our existing features in the hope to make it more easily to recognize what they are. Your contact groups are now called Circles, and the old public/private forums are now public/private Groups.
  • A new feature are the Channels that are integrated into the network view of a Friendica user and offer a filtered view on the content posted contacts. This includes thinks like postings from contacts that you mostly interacted with, or postings that got the most interactive within the last 24 hours. We plan to give the users definition control over what a Channel definition looks like.


What is Friendica


Friendica is a decentralised communications platform, you can use to host your own social media server that integrates with independent social networking platforms (like the Fediverse or Diaspora*) but also some commercial ones like Twitter.

How to use the 2023.09 RC Version of Friendica


If you want to help in the release process, you can checkout the 2023.09-rc branch from the main git repositories (because of technical problems the mirrors of the core and addons repository currently don’t work).
git fetchgit checkout 2023.09-rcgit pullbin/composer.phar install --no-dev
Note that you only need to pull the composer dependencies in the core repository.

And yes, this means the main git repositories at git.friendi.ca/friendica/friendica-addons and github.com/friendica/friendica.

Should the upgrade process of the database get stuck


If you encounter this, please initiate the DB update manually from the command line by running the script
./bin/console dbstructure update
from the base of your Friendica installation. If the output contains any error message, please let us know using the channels mentioned above.
What to do with Quirks

The 2023.09-rc phase is meant to identify and preferable resolve quirks and bugs that should not be in the 2023.10 release, but have slipped through so far. So if you switch your node to the 20232.09-rc version of Friendica, please let us know about rough edges you find, either at the issue tracker (github account required), in the support forum or in the development forum.

Thanks a lot for helping with the release 🙂



#release

friendi.ca/2023/10/05/friendic…




Difesa spaziale, serve una sinergia militare-civile. Scrive Bianchi


Ho letto con molta attenzione l’articolo dell’ingegner Marcello Spagnulo nel numero di luglio di Airpress nel quale, nel descrivere la sollecitazione da parte del generale Saltzman, capo di Stato maggiore della Us Space force per una più stretta integrazi

Ho letto con molta attenzione l’articolo dell’ingegner Marcello Spagnulo nel numero di luglio di Airpress nel quale, nel descrivere la sollecitazione da parte del generale Saltzman, capo di Stato maggiore della Us Space force per una più stretta integrazione militare tra alleati anche nel dominio spaziale, rilevava una risposta europea poco reattiva e raccomandava al governo italiano di superare la stagione delle conferenze e mettere in campo una nuova governance lungimirante e spinta da una più precisa volontà politica.

Ho condiviso molte delle cose scritte da Spagnulo, un riferimento autorevole per chi si interessa od opera nel settore spaziale, ma non vorrei che questa critica fosse indirizzata anche alla Difesa italiana, fortemente impegnata nell’elaborazione di una nuova politica spaziale, anche attraverso l’interazione e il confronto con le molteplici realtà civili, commerciali e internazionali. Proprio l’organismo al quale mi onoro di appartenere, il Centro studi militari aeronautici «Giulio Douhet» (Cesma), in quest’ottica, ha inteso pianificare nella stagione 2023/2024 una serie di dibattiti e conferenze sull’argomento per sollecitare così il confronto e approfondire la discussione sul settore.

Vero è comunque che la Difesa ha bisogno di aggiornare la propria governance sia per rimanere al passo con l’evoluzione dello spazio militare sia per rendere più efficiente e tempestivo il procurement di capacità. L’Italia non avrà mai una specifica Forza armata che si occupi delle esigenze del dominio spaziale (come la Space force negli Usa), ma appare sempre più urgente assegnare a una Forza armata di riferimento le responsabilità di protezione degli assetti e conduzione delle operazioni spaziali e, per competenza, la scelta appare obbligata.

Da un punto di osservazione esterno si percepisce, inoltre, l’urgenza di una legge per lo Spazio (promessa dal ministro Urso entro la fine del ‘24) in quanto visibile è un certo scollamento tra le attività istituzionali civili, che in questi anni stanno ricevendo ampi finanziamenti anche legati alla possibilità di accedere ai fondi del Pnrr, e quelle militari.

Il mondo civile istituzionale sembra muoversi in autonomia con progetti come la costellazione Iride e il Ssa/Sst di Matera che non sembrano abbiano a riferimento anche le esigenze della comunità difesa. In questo ci si trova pienamente d’accordo con Spagnulo in merito alla governance nazionale che istituita con la legge 7 del 2018 sembra operare, ora, in maniera distorta, con un Ufficio spazio dalle ampie attribuzioni, ma scarse relazioni funzionali con gli enti istituiti dalla stessa legge 7, come ad esempio il Comitato interministeriale Comint e l’ufficio del Consigliere militare della Presidenza del Consiglio, cinghia di trasmissione con lo Stato maggiore della Difesa.

Ci si muove in Italia in controtendenza con l’indirizzo dominante dei governi occidentali di riferimento nel settore spaziale, anche quelli con dimensioni e ruolo paragonabili all’Italia; nel Regno Unito, per esempio, il documento di Politica spaziale nazionale è stato elaborato in coordinamento e congiunzione con quello della Difesa, proprio per rimarcare la necessità di un’intima connessione che queste entità devono mantenere.

Va certamente riconosciuto quanto sia complesso e difficile elaborare un documento di politica spaziale militare che sia ragionevolmente visionario ed ambizioso, sia in grado di immaginare il futuro, che tenga conto realisticamente delle risorse sia finanziarie sia umane (perché non cominciare a pensare al outsourcing del engineering support) e che rappresenti una linea guida di riferimento reale in grado di definire chiaramente priorità, politiche di acquisizione e un indirizzo sulle tecnologie più rilevanti. Questo è vieppiù complesso visti gli sviluppi incalzanti che il settore spazio attraversa con il “boom” della Space economy e la conseguente ingombrante presenza di capacità spaziali commerciali (in grado di influenzare eventi bellici come quelli in Ucraina), il miglioramento della microelettronica commerciale che ha reso possibili satelliti più piccoli in Leo/Geo, la progettazione e la produzione digitali che hanno accelerato i tempi di sviluppo e integrazione, nuovi modelli di business che hanno ridotto i costi di lancio ma soprattutto il nuovo scenario di sicurezza spaziale con assetti e capacità vulnerabili alla attività di counterspace degli avversari.

In ambito del dipartimento della Difesa Usa, i cui budget per il settore non sono certo confrontabili con quelli europei della difesa, si osserva comunque la continua ricerca di soluzioni efficaci ma al tempo stesso economiche. Molto innovativa e promettente appare la politica del Dod verso il mondo commerciale del Remote sensing, in fortissimo fermento ed evoluzione. La linea guida è quella di portare avanti una acquisizione di sistemi specificatamente militari solo dopo aver verificato che il settore commerciale (nazionale) non sia in grado di offrire capacità simili/comparabili alle esigenze della difesa.

È un indirizzo coraggioso (non credo incontri il totale plauso dell’industria militare Usa), pragmatico e in grado di indirizzare il budget difesa in maniera sempre più efficace. Ovvio che una tale politica non potrebbe mai essere applicata in Italia dove il settore delle imprese commerciali nazionali non è in grado di offrire, con propri sistemi, capacità spaziali strategiche “spinte” come quelle Usa; ma una traduzione di questa politica statunitense alla realtà italiana potrebbe essere quella di sfruttare la dualità della tecnologia spaziale, verificando preventivamente che le iniziative civili, che generalmente partono dall’Agenzia spaziale o da fondi nazionali attestati in Esa, possano essere rimodulate e reindirizzate per soddisfare anche esigenze difesa; valutare la fattibilità di questa operazione, quindi, prima di avviare programmi specificatamente militari.

L’Italia è il paese che per primo ha progettato, sviluppato, realizzato, lanciato e operato un sistema pienamente duale: Cosmo SkyMed; abbiamo insegnato al mondo come la tecnologia consenta di poter utilizzare un unico sistema per esigenze diverse e a diverso grado di sicurezza, ma tutta questa esperienza sembra si sia persa o non la si ritenga più attuale o conveniente da perseguire. In quell’ottica di sistema Paese, la politica spaziale difesa potrebbe dare un più ampio respiro tecnologico e una più profonda portata strategica anche a programmi spaziali civili come quelli del Pnrr che sembrano carenti di afflato innovativo e di una platea di “committed users”.

La politica spaziale USA in questo senso indica la strada di far uso ragionevole e oculato della Space economy per ciò che tale incredibile fase storica può dare alla capacità spaziale militare. In Europa e in Italia non possiamo contare su colossi come SpaceX o Amazon, ma il nostro mondo commerciale presenta delle assolute eccellenze su cui la difesa italiana potrebbe far leva.

Alcune aziende hanno realizzato capacità commerciali nel downstream che potrebbero risultare di assoluta rilevanza per la difesa qualora, ad esempio, si puntasse a realizzare quello che la guerra in Ucraina sta dimostrando essere aspetto molto importante, cioè l’accesso a dati di Intel, anche a livello delle truppe in operazioni. Nel mondo del upstream, grazie a capacità imprenditoriali di assoluta rilevanza sono state realizzate piattaforme spaziali che possono agire da test bed per payload di varia natura, fino ad arrivare ad una piena logistica spaziale. In quest’ottica, per la difesa, avere una logistica spaziale operante ed efficace pone in una diversa prospettiva ogni futura capacità spaziale militare.

Non vi è dubbio che, concomitante allo sviluppo di una nuova legge per lo spazio, è urgente definire la politica spaziale militare nazionale per aprirsi al mondo commerciale così promettente; un esercizio complesso che, per essere utile, ha bisogno dei suoi tempi e di un approfondito lavoro di raccolta dati, confronto e visione strategica.

(Articolo pubblicato su Airpress 147 di settembre 2023)


formiche.net/2023/10/difesa-sp…



GAZA/ISRAELE. Giorno 2: Raid aerei, lanci di razzi, colpi di mortaio dal Libano. Stop a elettricità e carburante per Gaza


Sono già 400 i raid aerei israeliani sulla Striscia a cui è stata sospesa la fornitura di elettricità, carburante e merci. 256 palestinesi uccisi 1700 feriti. L'attacco di Hamas ha ucciso 350 gli israeliani, altri 100 sono prigionieri a Gaza. 313 i palest

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della redazione

Pagine Esteri, 8 ottobre 2023 – Sono andati avanti per tutta la notte i bombardamenti aerei israeliani su Gaza, 400 raid nelle ultime 24 ore, mentre nel sud di Israele continuano in sei località gli scontri a fuoco tra soldati e alcuni delle centinaia di militanti armati di Hamas penetrati ieri mattina in Israele.

Il bilancio di morti israeliani è di circa 350, i feriti 1800. Video circolati nelle ultime mostrano strade e località del sud di Israele come un terreno di battaglia con decine di carcasse di auto distrutte.

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I palestinesi uccisi sono 313 e 1990 i feriti, ma si attendono i dati aggiornati del ministero della sanità di Gaza poiché nella notte il bilancio sarebbe cresciuto in modo significativo. I raid aerei hanno colpito anche zone densamente popolate e le “torri” come a Gaza chiamato i palazzi con più di 10 piani. I civili in molti casi sono riusciti a fuggire prima delle esplosioni ma fonti locali parlano di altri morti e feriti. Sono state colpite anche moschee. Le unità di soccorso palestinesi parlano di numerose persone sotto le macerie.

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Il Gabinetto di sicurezza israeliano la scorsa notte ha deciso di tagliare le forniture di elettricità, carburante e merci alla Striscia di Gaza.

Intanto da fonti ufficiose si è appreso che gli israeliani presi prigionieri a Gaza sono un centinaio e non 52 come era stato riferito ieri, tra loro anche donne e ufficiali di alto rango.

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Lo sviluppo delle ultime ore sono stati i colpi di mortaio sparati da militanti di Hezbollah dal Libano verso Israele che ha risposto con l’artiglieria. Il movimento sciita ha poi detto di aver sparato quei colpi in solidarietà con i palestinesi.

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Il successo della manifestazione di oggi dimostra che nel paese è forte la richiesta di un'opposizione sociale al governo. L'agenda Meloni e quella di Dragh

Marino Bruschini reshared this.



C'è un aggressore e un aggredito . Il popolo palestinese subisce da decenni l'occupazione illegale dei suoi territori. Gaza è una prigione a cielo aperto.


Hamas attacca Israele. Come tutto è cominciato


della redazione – Pagine Esteri, 7 ottobre 2023 – Un improvviso attacco con razzi e incursioni è scattato alle prime ore di sabato da Gaza verso decine di località in Israele. Sono stati lanciati da Hamas e altre organizzazioni in pochi minuti centinaia

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della redazione –

Pagine Esteri, 7 ottobre 2023 – Un improvviso attacco con razzi e incursioni è scattato alle prime ore di sabato da Gaza verso decine di località in Israele. Sono stati lanciati da Hamas e altre organizzazioni in pochi minuti centinaia di razzi verso il sud di Israele fino alla periferia di Tel Aviv, razzi diventati, secondo le autorità israeliane, 2.500 in poche ore.

I sistemi di difesa israeliani sarebbero stati colti di sorpresa e diversi razzi hanno colpito vari centri abitati, uccidendo una donna di 70 anni e facendo numerosi feriti. Nello stesso momento, secondo notizie diffuse dai media, almeno 4 unità scelte delle Brigate Ezzedin al Qassam, a bordo di pick-up si sono infiltrate in territorio israeliano ingaggiando combattimenti con l’esercito israeliano, con morti e feriti.

Decine di uomini di Ezzedin El Qassam, l’ala militare di Hamas, sono penetrati in territorio israeliano per molti chilometri, infiltrandosi negli insediamenti israeliani e assaltando la stazione di polizia della città di Sderot. Si sono impossessati di diverse jeep dell’esercito israeliano, portandole dentro Gaza.

Nel video, palestinesi armati a bordo di jeep militari israeliane portate all’interno di Gaza:

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Sono 57, tra civili e militari, gli israeliani catturati dai miliziani di Hamas e portati all’interno Gaza. Non è chiaro se siano tutti vivi.

Il leader di Hamas, Mohammad Deif, ha dichiarato che l’operazione “Tempesta di Al Aqsa” è stata lanciata per rispondere all’occupazione del sito religioso di Al Aqsa e alle azioni dei coloni israeliani che sono penetrati nei villaggi palestinesi, saccheggiando, distruggendo e uccidendo alcuni abitanti. “Questo è il giorno della più grande battaglia per porre fine all’ultima occupazione sulla terra“, ha dichiarato Mohammad Deif, chiamando i gruppi armati palestinesi del Libano alla guerra contro Israele.

Israele ha dichiarato di aver lanciato l’operazione “Spada di Ferro” in risposta all’attacco di Hamas e sono cominciati i bombardamenti della Striscia di Gaza. Le autorità hanno fatto anche sapere che alcuni israeliani sono morti durante gli attacchi di Hamas ma non hanno parlato di numeri. Nei video pubblicati in rete si vedono decine di corpi tra quelli dei militari israeliani e dei combattenti palestinesi.

pagineesteri.it/wp-content/upl…

Israele ha proclamato lo stato di guerra.

In un comunicato il partito islamista Hezbollah ha dichiarato che l’attacco di Hamas è la conseguenza dell’occupazione illegale israeliana della Palestina.

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Radio Alhara. La Palestina fa rete con il mondo


Nella New Orleans degli anni '10, il jazz era il linguaggio della resistenza per gli afro-americani. Nella stessa tradizione, la musica della Palestina, attraverso Radio Alhara, si dichiara uno spazio di resistenza contro l'oppressione politica. L'artico

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Di Micol H. Meghnagi –

Pagine Esteri, 6 ottobre 2023È una domenica di settembre. Accovacciati davanti a una consolle, Elias e Yousef Anastas muovono i piatti, preparando il mix e regolando le atmosfere del brano ambient in diretta su Radio Alhara. Siamo al Wonder Cabinet, hub culturale alle porte del check-point 300 che divide Gerusalemme da Betlemme. Un progetto a firma dei fratelli Anastas, che ospita al suo interno anime molteplici, tra cui la prima casa fisica di Radio Alhara.

Era il momento dei lockdown in tutto il mondo, e sei amici decidono di dare vita ad una «communal radio», ovvero una stazione nata «dal basso» e basata sul desiderio di condividere musica e contenuti. I co-fondatori di Radio Alhara si sono incontrati sul dancefloor. La comunità culturale e musicale palestinese è il luogo in cui Elias e Yousef – che sono entrambi architetti e gestiscono insieme uno studio di architettura – hanno incontrato Yazan Khalil, già direttore del Khalil Sakakini Center, un’istituzione artistica e culturale di Ramallah. Ad Amman, i graphic designer Saeed Abu Jaber e Mothanna Hussein, hanno conosciuto il sound designer Ibrahim Owais, alle feste da loro organizzate. È stata l’esposizione di sedie progettate da Elias e Yousef presso lo studio di design di Saeed e Mothanna a far nascere l’amicizia tra i co-fondatori e la successiva formazione della stazione.

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Radio Alhara nasce quasi per gioco, su base volontaria e senza un vero e proprio progetto politico alle spalle. « Ci siamo ispirati ad una web radio di Beirut a cui abbiamo chiesto una mano per imparare a trasmettere, ma anche all’esperienza di Radio Quartiere nata a Milano nello stesso anno » – raccontano Elias e Yousef, co-fondatori di Radio Alhara. « Nel sito abbiamo inserito la possibilità di chattare e questo ha creato una comunità che ascoltava musica e allo stesso tempo interagiva. Essere online ha reso globale la dimensione di questo luogo digitale. La radio è uno spazio pubblico che appartiene a tutti. Oggi è una comunità di oltre 300 persone, da Tokyo a New York, passando per Betlemme», spiega Elias. Al Hara, in arabo, quartiere, è riuscita a penetrare in ogni angolo del mondo, con i suoi programmi in arabo, inglese, italiano, francese e una cartella Dropbox che invita chiunque a caricare un programma per la trasmissione.

Radio Alhara è diventata con il tempo anche uno spazio per le voci soppresse. Durante il movimento Black Lives Matter e l’uccisione di George Floyd, Radio Alhara ha risposto alla chiamata internazionale per un blackout delle trasmissioni. Dopo questa esperienza, è stata la volta della raccolta fondi per Beirut in seguito all’esplosione al porto, poi in solidarietà con le rivolte iraniane, con il Marocco e la Libia per il recente terremoto, e per la situazione in Palestina. «Nel 2020 abbiamo dato vita a Fil MishMish per rispondere al piano di Israele del 2020 di annettere altre terre della Cisgiordania. Una campagna di protesta online che ha portato 20.000 persone ad ascoltare la radio durante i tre giorni di lineup. Una manifestazione straordinaria di solidarietà sotto l’ombrello del rifiuto di ogni forma di violenza. Quando nel 2021, con i fatti avvenuti a Sheikh Jarrah sono stati censurati migliaia di account di palestinesi, abbiamo stretto una collaborazione con numerose web radio per creare quello che è diventato il Sonic Liberation Front: una programmazione gemella in tutte le emittenti in solidarietà con la Palestina».

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Ibrahim Owais, sound producer e co-fondatore di Radio Alhara. Foto di Micol H Meghnagi e Luca Bonaventura, Betlemme, luglio 2023

Lo spazio sociale della musica e della danza è stato storicamente un luogo di resistenza sociopolitica. A New Orleans negli anni Dieci del Novecento, il jazz è stato il linguaggio della resistenza per gli afroamericani, che hanno usato la musica per costruire collettivamente una cultura e un movimento nonostante i tentativi di sopprimerla. A Detroit, nei primissimi anni Novanta, la musica techno diventa un antidoto contro il conformismo delle istituzioni ed il loro distacco dalle reali esigenze dei popoli. Un sistema oppressivo radicalmente attaccato dalle note degli Underground Resistance in dischi come Riot Ep, Revolution For Change e Message To The Major. Nella stessa tradizione, la comunità musicale e culturale in Palestina, attraverso Radio Alhara, si dichiara uno spazio di resistenza contro l’oppressione politica, dove si è liberi nonostante le crescenti restrizioni dovute all’occupazione militare israeliana e alle repressioni interne per mano dell’Autorità Palestinese.

Radio Alhara si affida a una rete di stazioni radiofoniche in tutto il mondo che Elias descrive come una forma di «solidarietà strutturale». Le stazioni sorelle di Radio Alhara, che comprendono stazioni online indipendenti in quasi tutti i continenti, trasmettono a turno la programmazione giornaliera dell’emittente per aiutarla a raggiungere un pubblico globale più ampio, massimizzando l’ascolto attraverso un effetto domino. La visibilità della radio è stata favorita anche dal sostegno di artisti di fama mondiale. Il compositore e musicista cileno-americano Nicolas Jaar ha contribuito alla campagna Sonic Liberation Front eseguendo composizioni inedite e recitando un monologo dal vivo su come la disuguaglianza nell’accesso all’acqua sia stata un mezzo fondamentale di segregazione in Israele e Palestina. La popolarità di Jaar come musicista ha attirato alla sua trasmissione persone non informate sulla condizione in cui verte la Palestina. In altre parole, «usare il vettore della cultura e della musica per rivolgersi a un pubblico vario e diversificato funziona», conclude Yousef.

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Un’ora di ambient selezionato dai fratelli Anastas è seguita da una discussione tra i ricercatori Nora Akawi e Khyam Allami sulla sfida ai pregiudizi occidentali insiti nei software di produzione musicale. Il venerdì successivo, gli spettacoli passano da un pezzo di minimal techno libanese e una lettura di opere del romanziere tuareg Ibrahim Al-Koni. L’ibridazione di cultura, musica e arte di Radio Alhara confluisce anche nel mondo fisico, attraverso lo studio di architettura dei fratelli Anastas, AAU Anastas.

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Inaugurazione di Wonder Cabinet, Betlemme, maggio 2023. Foto di Micol H. Meghnagi e Luca Bonaventura

Il loro ultimo progetto, il Wonder Cabinet, inaugurato di recente a Betlemme, si pone come obiettivo quello di restituire voce alla scena artistica locale e internazionale nella Cisgiordania occupata. Tra i suoi spazi aperti, i dj mixano abilmente una gamma di musica che va dal jazz all’afro-punk. Ecco il marchio «Al Hara»: la capacità dei residenti della stazione di esibirsi in un quartiere immaginario o reale, che incoraggi con fervore la libertà di espressione. Queste note sono metafore potenti dell’idea che un giorno questo stesso tipo di libertà sarà raggiunto anche per la Palestina. Pagine Esteri

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VIDEO. ISRAELE/GAZA. Attacco dalla Striscia con centinaia di razzi, incursioni di terra e dal cielo


Israele ha proclamato lo stato di guerra. Sono avvenuti combattimenti tra palestinesi armati e soldati nel territorio israeliano. Esplosioni, forse di razzi, udite anche nei pressi di Gerusalemme L'articolo VIDEO. ISRAELE/GAZA. Attacco dalla Striscia con

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della redazione

Pagine Esteri, 7 ottobre 2023 – Un improvviso attacco con razzi è scattato alle prime ore del giorno da Gaza verso decine di località in Israele. Sono stati lanciati da Hamas e altre organizzazioni in pochi minuti centinaia di razzi verso il sud di Israele fino alla periferia di Tel Aviv. I sistemi di difesa israeliani sarebbero stati colti di sorpresa e diversi razzi hanno colpito vari centri abitati, uccidendo una donna di 70 anni e facendo numerosi feriti. Nello stesso momento, secondo notizie diffuse dai media, almeno 4 unità scelte delle Brigate Ezzedin al Qassam, a bordo di pick-up si sono infiltrate in territorio israeliano ingaggiando combattimenti con l’esercito israeliano con morti e feriti. E’ stato colpito e distrutto anche un carro armato. Secondo indiscrezioni i palestinesi avrebbero prelevato il corpo di un soldato israeliano ferito o ucciso portandolo dentro Gaza. Un video mostra un deltaplano con un uomo in apparenza armato atterrare in una località nel sud di Israele. Si sono udite esplosioni anche a Gerusalemme. Israele poco fa ha proclamato lo stato di guerra.

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Sento il dovere di esprimere il più netto dissenso nei confronti delle dichiarazioni a Porto del Presidente della Repubblica Mattarella. Lo scrivo con amare


di Enzo Scandurra C’è un libro che, più di ogni altro, smaschera le illusioni e gli inganni di una narrazione neoliberista sulle città: L’invenzione di


Domani noi di Rifondazione Comunista e Unione Popolare parteciperemo alla grande manifestazione indetta dalla Cgil e da centinaia di associazioni perchè siamo

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Ricerca preliminare sugli utenti per contrastare la disinformazione sui social network. Zappa: un progetto basato su Bonfire

@Che succede nel Fediverso?

Il progetto Zappa è finanziato da un contributo del fondo Cultura della Solidarietà per sostenere iniziative culturali transfrontaliere di solidarietà in tempi di incertezza e "infodemia". Lo scopo di questa ricerca iniziale sugli utenti era quello di aiutare a guidare lo sviluppo di un'estensione @Bonfire personalizzata per fornire alle comunità uno strumento dedicato per gestire la disinformazione online.

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Sul dovere del giudice di apparire imparziale


È sempre buona norma provare a mettersi nei panni dell’interlocutore, e dei fatti controversi sforzarsi di dare una rappresentazione a parti invertite. Ad esempio. Immaginiamo il caso di un giudice dichiaratamente di destra, una destra liberale, che nel 2

È sempre buona norma provare a mettersi nei panni dell’interlocutore, e dei fatti controversi sforzarsi di dare una rappresentazione a parti invertite. Ad esempio. Immaginiamo il caso di un giudice dichiaratamente di destra, una destra liberale, che nel 2019 avesse infarcito i propri social di giudizi sprezzanti sul reddito di cittadinanza, che fosse poi sceso in piazza per protestare animatamente contro il decreto con cui il primo governo Conte introdusse il sussidio e che, infine, dovendo sentenziare su un caso giudiziario inerente, avesse dichiarato illegittimo il decreto. Cosa avrebbero detto il presidente del Consiglio in carica, l’allora leader del Movimento 5stelle Luigi Di Maio e gli opinionisti dei giornali vicini al governo come il Fatto quotidiano? Avrebbero detto quel che Giorgia Meloni, molti esponenti della maggioranza e la totalità dei quotidiani affini al centrodestra dicono oggi della giudice catanese Iolanda Apostolico e della congruità della sentenza con cui ha scardinato il recente decreto del governo sui migranti. Avrebbero cioè detto che quella sentenza era viziata dall’ombra del pregiudizio. E avrebbero detto la verità.

Come ha ricordato il presidente della Prima commissione del CSM, Enrico Aimi, la Corte Costituzionale, le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, nonché la Corte europea dei Diritti dell’uomo hanno stabilito con chiarezza che il giudice non deve solo essere imparziale, ma deve anche apparire tale. E come può apparire imparziale nel giudicare una vicenda che riguarda le politiche di un governo di destra in materia di migranti un giudice di sinistra che, come la dottoressa Apostolico, ha scritto sui social e urlato in piazza frasi di fuoco contro i decreti Salvini? Non può, è ovvio.

Ineccepibile, dunque, il giudizio espresso oggi sul Riformista dal presidente delle Camere penali Gian Domenico Caiazza: “Padronissima, la giudice, di manifestare liberamente il proprio pensiero, ma ad una condizione elementare: che di tutto potrà poi occuparsi professionalmente fuorché di quei temi”. La Apostolico avrebbe, dunque, dovuto astenersi dal giudicare sulle vicende inerenti i migranti di Pozzallo. Non avendolo fatto ha gettato un’ombra sulla sentenza del tribunale di Catania e sull’intera categoria togata cui appartiene.

Formiche.net

L'articolo Sul dovere del giudice di apparire imparziale proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Domani a Milano, in Piazza Leonardo da Vinci, c'è depreDATI, l'evento rivolto a tutti i "non-specialisti", "non-geek", "non-maghi dell’informatica" che amano la propria privacy nel mondo digitale

@Etica Digitale (Feddit)

Sabato 7 Ottobre, al politecnico di Milano, @quinta :ubuntu: e @gualdo :privacypride: :cc: terranno #depreDATI, il laboratorio per difendersi dalla sorveglianza online:

🔐 depredati.eu

Il laboratorio si rivolge a non specialisti che hanno a cuore la propria privacy e che desiderano sottrarsi alla #profilazione delle Big Tech.

🔎L’obiettivo è informare sulle finalità anche non commerciali della profilazione; comprendere il grado dell’esposizione e suggerire i comportamenti da seguire, qua l'evento su mobilizon:

▶️QUI L'EVENTO SU MOBILIZON



Milano Digital Week - DepreDATI
Inizia: Sabato Ottobre 07, 2023 @ 9:30 AM GMT+02:00 (Europe/Rome)
Finisce: Sabato Ottobre 07, 2023 @ 12:30 PM GMT+02:00 (Europe/Rome)
DepreDATI è un laboratorio in cui si imparano e si condividono le <b>tecniche di difesa dalla sorveglianza digitale.</b></p><p>Si rivolge a tutti <b>coloro che hanno a cuore la propria privacy nel mondo digitale </b>e che<b> non vogliono essere profilati dalle Big Tech</b>. Si propone a non specialisti, non geek, non maghi dell’informatica, che vogliono riappropriarsi della loro vita digitale e non regalare la propria identità a chi ne trae profitto.</p><p>La progressiva privatizzazione di Internet da parte delle Big Tech ha costruito un’economia dal valore inimmaginabile. A ottobre 2022 la capitalizzazione dei GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) è stata stimata nell’ordine dei 7 triliardi di dollari, poco meno della metà del PIL di tutti i Paesi dell’Eurozona.</p><p>Uno dei principali fattori di questa economia è <b>la monetizzazione dei dati comportamentali degli utenti</b>. Gli utenti dei servizi Internet vengono costantemente profilati, e i loro profili, le loro identità digitali vengono venduti al migliore offerente; e gli acquirenti non sono solo fornitori di pubblicità, ma anche partiti politici ed enti governativi.</p><p>• DepreDATI – perché</p><p>DepreDATI intende <b>sviluppare consapevolezza sulla sorveglianza digitale</b>, perché crediamo che la divulgazione sia un valore. Il funzionamento e le tecniche del <b>capitalismo della sorveglianza </b>non sono di dominio pubblico ma impattano il dominio pubblico: per questo la divulgazione a un pubblico non specialistico è importante</p><p>• DepreDATI – come</p><p>L’approccio del laboratorio è concreto: spieghiamo e condividiamo <b>soluzioni per limitare la sorveglianza digitale </b>a livelli diversi, dai più semplici a quelli radicali su smartphone, tablet e PC.</p><p><b>Venue: Politecnico di Milano, Piazza Leonardo da Vinci 32, edificio 6 (dipartimento di chimica), Sala Pietro Pedeferri.</b>

in reply to Privacy Pride

bello. bene. ma...
...mi domando quanti "non geek" abbiano a cuore la propria privacy o quella dei propri cari/simili (o anche solo sapere cosa sia la privacy e cosa possa causare la non privacy).
Dovreste andare nelle medie e nelle superiori !! Ormai noi adulti ci siamo bruciati irriparabilmente...

Privacy Pride reshared this.

in reply to _aid_85_

@_aid_85_ c'è chi ama la privacy (femministe, persone lgbtqi+, sostenitori del diritto all'autodeterminazione, chi si preoccupa dei migranti) ma non lo sa.

Quanto all'invito, lo condividiamo in toto!

@quinta :ubuntu: @gualdo :privacypride: :cc:

Maronno Winchester reshared this.

in reply to _aid_85_

@_aid_85_
Ciao!

Grazie per il commento @_aid_85_

Credo che diffondere informazioni e consapevolezza possa aiutare tutti indipendentemente dall’età… in ogni caso portare depreDATI nelle scuole è qualcosa a cui pensiamo

reshared this

in reply to _aid_85_

@_aid_85_ personalmente avrei già inserito in tutti i programmi scolastici, di medie e superiori, ore per trattare un argomento che coinvolge sempre più persone…
in reply to Antony

@Antony bello ma difficile perchè "la scuola non ha risorse" (e credo sia ovvio che ne avrà sempre meno). Qualche incontro in alcune scuole qua e là mi sembra non certo idoneo ma più fattibile a oggi... magari alcuni dedicati anche agli insegnanti e ai presidi...


Che il ministro delle infrastrutture, ancora sotto processo in quanto accusato di sequestro di persona e abuso d'ufficio quando dirigeva il Viminale, oggi espon


#Scuola, dal 9 ottobre parte piano welfare per il personale scolastico e del Mim con sconti che andranno fino a un massimo del 30% su treni, aerei, negozi, agriturismi e mercati che aderiscono alle convenzioni sottoscritte tra Ministero, aziende e as…


Intesa Sanpaolo va in orbita con Musk. L’investimento in SpaceX


Intesa Sanpaolo chiama Elon Musk. Con una nota l’Istituto ha annunciato di investire in SpaceX, “in coerenza con il Piano d’Impresa 2022-2025 che fa dell’innovazione uno dei principali pilastri” che “ha riconosciuto al settore aerospaziale un ruolo di par

Intesa Sanpaolo chiama Elon Musk. Con una nota l’Istituto ha annunciato di investire in SpaceX, “in coerenza con il Piano d’Impresa 2022-2025 che fa dell’innovazione uno dei principali pilastri” che “ha riconosciuto al settore aerospaziale un ruolo di particolare rilievo nello sviluppo delle economie mondiali”. Perciò, la più grande banca italiana ha deciso di affidarsi a “un player che ha dimostrato una visione d’avanguardia del prossimo futuro”.

Nel comunicato, seguono poi i successi dell’azienda californiana. “È l’unica azienda privata capace di lanciare in orbita e riportare a terra un veicolo spaziale. Nel 2012, Dragon è stato il primo veicolo spaziale commerciale a consegnare un cargo per e dalla Stazione Spaziale Internazionale e nel 2020 è stata la prima compagnia privata a trasportare delle persone nella medesima stazione. Il suo 9”, inoltre, “è tuttora il primo e l’unico modulo spaziale riutilizzabile. Questo permette a SpaceX di riutilizzare le componenti più costose del veicolo, riducendo quindi i costi di accesso ai viaggi spaziali”. Siglarci una partnership, dunque, appare naturale.

A quanto ammonti l’investimento non è chiaro, visto che Intesa Sanpaolo non ha proferito parola in merito. Detto ciò, vista la solennità della comunicazione, va da sé che si tratti di una somma considerevole. Per i dettagli dell’accordo ci sarà dunque tempo, ma non serve molto per comprendere perché SpaceX sia un partner centrale per la strategia dei grandi attori internazionali che intendono investire nel futuro.

Il progetto Starship è infatti uno dei fiori all’occhiello della società di Musk. Si tratta di una nuova generazione di veicoli spaziali di lancio riciclabili, ma non per questo saranno inferiori agli altri. Saranno invece i più potenti mai realizzati, con l’intenzione di trasportare esseri umani su Marte o altri lidi del sistema solare. L’altro grande progetto è quello di Starlink, che garantisce la connessione a Internet a cinquanta Paesi in tutto il mondo tramite quattromila satelliti – molto utile quindi per i Paesi in via di sviluppo che non hanno le infrastrutture adatte o per le operazioni militari, come quelle degli ucraini.

Non a caso, a investire in SpaceX è stato anche il Pentagono. Il primo contratto da 70 milioni di dollari per Starship è stato siglato lo scorso primo settembre e “prevede il servizio end-to-end tramite la costellazione Starlink, terminali utente, apparecchiature ausiliarie, gestione della rete e altri servizi correlati”, ha riferito alla Cnbcla portavoce della Space Force, Ann Stefanek. L’accordo segue quello raggiunto a inizio giugno sempre tra la Difesa americana e l’azienda del magnate di Pretoria sui satelliti Starlink. Anche in quell’occasione, per ragione di sicurezza e riservatezza non sono stati rilasciati dettagli ma gli strumenti sarebbero stati inviati in Ucraina – probabilmente era il modo di Washington per venire incontro alle richieste di Musk, che aveva annunciato di non voler più aiutare Kiev fornendole il suo servizio gratuitamente.

Scontato che anche la Nasa si sia appoggiata al know-how di SpaceX. D’altronde, le due parlano la stessa lingua. L’obiettivo è incrementare le missioni lunari Artemis, così da ottenere nel giro di pochi anni un servizio di trasporto a pieno regime. Nel 2021 l’accordo con Musk prevedeva una missione esplorativa a partire dal 2025, ma non è l’unico. SpaceX ha infatti siglato diversi contratti pubblici, che l’hanno fatta diventare un punto di riferimento per la Nasa e per il Dipartimento di Difesa a stelle e strisce. Nell’agosto scorso di un anno fa, ad esempio, si era arrivati a una collaborazione per trasportare carichi militari su satelliti di SpaceX, per farli arrivare in tutto il mondo in tempi rapidissimi.

Per cogliere le sfide del futuro bisogna giocoforza affidarsi a chi ha come obiettivo ultimo quello di modellarlo. SpaceX è uno di questi attori e anche l’alta finanza italiana sembra averlo capito.


formiche.net/2023/10/intesa-sa…



Manovre russe nel Mediterraneo. L’ultimo sottomarino lascia il Mare nostrum


Durante la fase dei preparativi per l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022, la Russia aveva radunato tre sottomarini classe Kilo aggiornata nel Mediterraneo. Uno di questi è stato spostato nel Mar Nero giorni prima dell’aggressione, lasciandone due ne

Durante la fase dei preparativi per l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022, la Russia aveva radunato tre sottomarini classe Kilo aggiornata nel Mediterraneo. Uno di questi è stato spostato nel Mar Nero giorni prima dell’aggressione, lasciandone due nel Mediterraneo e quattro nel Mar Nero (più un Kilo più vecchio). Così è stato fino a settembre 2022, quando nel Mediterraneo è stato lasciato soltanto il Krasnodar (B-265).

Ora anche quest’ultimo sembra essere in partenza per il Mediterraneo, rivela l’esperto H I Sutton che ha notato come il sottomarino stia navigando in superficie con un rimorchiatore di supporto, il Sergey Balk. Questi movimenti sono coerenti con i trasferimenti a lunga distanza di questi sottomarini, scrive l’analista secondo cui il Krasnodar potrebbe ora lasciare il Mediterraneo e virare verso Nord, attraversando il Canale della Manica per dirigersi verso il Baltico. Così, la Russia non avrà più sottomarini della classe Kilo nel Mediterraneo, a causa, probabilmente, della mancanza di strutture per la manutenzione.

***UPDATE***
Here-> t.co/ZgpXaIZXCs#OSINT: Russia’s Last KILO Class Submarine Leaving Mediterranean. This will bring the submarine force based there to zero.

Would write more but new limit?
Nod @detresfa_ pic.twitter.com/uxQG37eUeB

— H I Sutton (@CovertShores) October 6, 2023

È possibile, però, continua H I Sutton, che un altro Kilo venga inviato nel Mediterraneo o che i sottomarini nucleari vi operino occasionalmente. La Russia ha già utilizzato un sottomarino a propulsione nucleare, probabilmente un Ssgn della classe Severodvinsk, l’anno scorso. Finora questi sottomarini hanno operato solo per un breve periodo, non essendo basati a Tartus, in Siria. come i Kilo.

Questi sono sottomarini diesel-elettrici di epoca sovietica che per mantenere un minimo standard di funzionamento sono stati sottoposti a macchinosi processi di aggiornamento. Testimonianza di come la deterrenza russa sia basata sulla narrazione più che sull’efficienza ed efficacia operativa reale.


formiche.net/2023/10/manovre-r…



Radio Alhara. La Palestina fa rete con il mondo


Nella New Orleans degli anni '10, il jazz era il linguaggio della resistenza per gli afro-americani. Nella stessa tradizione, la musica della Palestina, attraverso Radio Alhara, si dichiara uno spazio di resistenza contro l'oppressione politica. L'artico

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Di Micol H. Meghnagi –

Pagine Esteri, 6 ottobre 2023È una domenica di settembre. Accovacciati davanti a una consolle, Elias e Yousef Anastas muovono i piatti, preparando il mix e regolando le atmosfere del brano ambient in diretta su Radio Alhara. Siamo al Wonder Cabinet, hub culturale alle porte del check-point 300 che divide Gerusalemme da Betlemme. Un progetto a firma dei fratelli Anastas, che ospita al suo interno anime molteplici, tra cui la prima casa fisica di Radio Alhara.

Era il momento dei lockdown in tutto il mondo, e sei amici decidono di dare vita ad una «communal radio», ovvero una stazione nata «dal basso» e basata sul desiderio di condividere musica e contenuti. I co-fondatori di Radio Alhara si sono incontrati sul dancefloor. La comunità culturale e musicale palestinese è il luogo in cui Elias e Yousef – che sono entrambi architetti e gestiscono insieme uno studio di architettura – hanno incontrato Yazan Khalil, già direttore del Khalil Sakakini Center, un’istituzione artistica e culturale di Ramallah. Ad Amman, i graphic designer Saeed Abu Jaber e Mothanna Hussein, hanno conosciuto il sound designer Ibrahim Owais, alle feste da loro organizzate. È stata l’esposizione di sedie progettate da Elias e Yousef presso lo studio di design di Saeed e Mothanna a far nascere l’amicizia tra i co-fondatori e la successiva formazione della stazione.

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Radio Alhara nasce quasi per gioco, su base volontaria e senza un vero e proprio progetto politico alle spalle. « Ci siamo ispirati ad una web radio di Beirut a cui abbiamo chiesto una mano per imparare a trasmettere, ma anche all’esperienza di Radio Quartiere nata a Milano nello stesso anno » – raccontano Elias e Yousef, co-fondatori di Radio Alhara. « Nel sito abbiamo inserito la possibilità di chattare e questo ha creato una comunità che ascoltava musica e allo stesso tempo interagiva. Essere online ha reso globale la dimensione di questo luogo digitale. La radio è uno spazio pubblico che appartiene a tutti. Oggi è una comunità di oltre 300 persone, da Tokyo a New York, passando per Betlemme», spiega Elias. Al Hara, in arabo, quartiere, è riuscita a penetrare in ogni angolo del mondo, con i suoi programmi in arabo, inglese, italiano, francese e una cartella Dropbox che invita chiunque a caricare un programma per la trasmissione.

Radio Alhara è diventata con il tempo anche uno spazio per le voci soppresse. Durante il movimento Black Lives Matter e l’uccisione di George Floyd, Radio Alhara ha risposto alla chiamata internazionale per un blackout delle trasmissioni. Dopo questa esperienza, è stata la volta della raccolta fondi per Beirut in seguito all’esplosione al porto, poi in solidarietà con le rivolte iraniane, con il Marocco e la Libia per il recente terremoto, e per la situazione in Palestina. «Nel 2020 abbiamo dato vita a Fil MishMish per rispondere al piano di Israele del 2020 di annettere altre terre della Cisgiordania. Una campagna di protesta online che ha portato 20.000 persone ad ascoltare la radio durante i tre giorni di lineup. Una manifestazione straordinaria di solidarietà sotto l’ombrello del rifiuto di ogni forma di violenza. Quando nel 2021, con i fatti avvenuti a Sheikh Jarrah sono stati censurati migliaia di account di palestinesi, abbiamo stretto una collaborazione con numerose web radio per creare quello che è diventato il Sonic Liberation Front: una programmazione gemella in tutte le emittenti in solidarietà con la Palestina».

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Ibrahim Owais, sound producer e co-fondatore di Radio Alhara. Foto di Micol H Meghnagi e Luca Bonaventura, Betlemme, luglio 2023

Lo spazio sociale della musica e della danza è stato storicamente un luogo di resistenza sociopolitica. A New Orleans negli anni Dieci del Novecento, il jazz è stato il linguaggio della resistenza per gli afroamericani, che hanno usato la musica per costruire collettivamente una cultura e un movimento nonostante i tentativi di sopprimerla. A Detroit, nei primissimi anni Novanta, la musica techno diventa un antidoto contro il conformismo delle istituzioni ed il loro distacco dalle reali esigenze dei popoli. Un sistema oppressivo radicalmente attaccato dalle note degli Underground Resistance in dischi come Riot Ep, Revolution For Change e Message To The Major. Nella stessa tradizione, la comunità musicale e culturale in Palestina, attraverso Radio Alhara, si dichiara uno spazio di resistenza contro l’oppressione politica, dove si è liberi nonostante le crescenti restrizioni dovute all’occupazione militare israeliana e alle repressioni interne per mano dell’Autorità Palestinese.

Radio Alhara si affida a una rete di stazioni radiofoniche in tutto il mondo che Elias descrive come una forma di «solidarietà strutturale». Le stazioni sorelle di Radio Alhara, che comprendono stazioni online indipendenti in quasi tutti i continenti, trasmettono a turno la programmazione giornaliera dell’emittente per aiutarla a raggiungere un pubblico globale più ampio, massimizzando l’ascolto attraverso un effetto domino. La visibilità della radio è stata favorita anche dal sostegno di artisti di fama mondiale. Il compositore e musicista cileno-americano Nicolas Jaar ha contribuito alla campagna Sonic Liberation Front eseguendo composizioni inedite e recitando un monologo dal vivo su come la disuguaglianza nell’accesso all’acqua sia stata un mezzo fondamentale di segregazione in Israele e Palestina. La popolarità di Jaar come musicista ha attirato alla sua trasmissione persone non informate sulla condizione in cui verte la Palestina. In altre parole, «usare il vettore della cultura e della musica per rivolgersi a un pubblico vario e diversificato funziona», conclude Yousef.

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Un’ora di ambient selezionato dai fratelli Anastas è seguita da una discussione tra i ricercatori Nora Akawi e Khyam Allami sulla sfida ai pregiudizi occidentali insiti nei software di produzione musicale. Il venerdì successivo, gli spettacoli passano da un pezzo di minimal techno libanese e una lettura di opere del romanziere tuareg Ibrahim Al-Koni. L’ibridazione di cultura, musica e arte di Radio Alhara confluisce anche nel mondo fisico, attraverso lo studio di architettura dei fratelli Anastas, AAU Anastas.

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Inaugurazione di Wonder Cabinet, Betlemme, maggio 2023. Foto di Micol H. Meghnagi e Luca Bonaventura

Il loro ultimo progetto, il Wonder Cabinet, inaugurato di recente a Betlemme, si pone come obiettivo quello di restituire voce alla scena artistica locale e internazionale nella Cisgiordania occupata. Tra i suoi spazi aperti, i dj mixano abilmente una gamma di musica che va dal jazz all’afro-punk. Ecco il marchio «Al Hara»: la capacità dei residenti della stazione di esibirsi in un quartiere immaginario o reale, che incoraggi con fervore la libertà di espressione. Queste note sono metafore potenti dell’idea che un giorno questo stesso tipo di libertà sarà raggiunto anche per la Palestina. Pagine Esteri

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Il Pakistan è (di nuovo) nelle mani dell’esercito


Il Pakistan è (di nuovo) nelle mani dell’esercito Khan Bhutto Sharif
La sempre più evidente presenza dell'esercito in politica è di nuovo la normalità, in Pakistan. La crisi della democrazia pakistana (della quale Imran Khan è più che un complice) è ormai cronica.

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In Cina e Asia – Forum sul Tibet. Wang Yi difende l’integrità territoriale della Cina


In Cina e Asia – Forum sul Tibet. Wang Yi difende l’integrità territoriale della Cina tibet
I titoli di oggi: Forum sul Tibet. Wang Yi difende l’integrità territoriale della Cina Il settore delle auto elettriche cinesi continua a crescere, nonostante le perdite He Lifeng, lo zar della diplomazia economica cinese Semiconduttori, cala la quota di Taipei e cresce il vantaggio di Pechino Spazio, la Cina vuole espandere la stazione Tiangong Ieri, in occasione di un forum ...

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Meloni usa Brunetta per dire no al salario minimo. Chi può prendere sul serio un parere del genere? Mentre la Corte Suprema di Cassazione con una sentenza stor


Chi è il gen. Iannucci, nuovo capo di Gabinetto di Crosetto


Il generale di corpo d’armata Giovanni Maria Iannucci, paracadutista dell’Esercito, ha assunto il nuovo ruolo di capo di Gabinetto del ministro della Difesa, in una cerimonia svolta presso il Circolo ufficiali delle Forze armate, a pochi passi dalla sede

Il generale di corpo d’armata Giovanni Maria Iannucci, paracadutista dell’Esercito, ha assunto il nuovo ruolo di capo di Gabinetto del ministro della Difesa, in una cerimonia svolta presso il Circolo ufficiali delle Forze armate, a pochi passi dalla sede del ministero a Palazzo Baracchini, alla presenza del ministro della Difesa, Guido Crosetto. Il generale Iannucci, fino a maggio al comando della missione Nato in Iraq, sostituirà il generale dell’Aeronautica Antonio Conserva, destinato ad assumere il ruolo di comandante del Comando logistico dell’Arma azzurra. Durante il suo mandato da capo di Gabinetto della Difesa, tra l’altro, il generale Conserva si era trovato a gestire momenti anche molto drammatici per la sicurezza del Paese, dall’emergenza Covid, l’operazione “Aquila Omnia” dall’Afghanistan fino all’aggressione della Russia all’Ucraina.
“Grazie al generale Conserva per il prezioso servizio prestato alla Difesa e alle istituzioni in un particolare momento storico e geopolitico internazionale”, si è rivolto il ministro Crosetto al generale uscente nel corso del suo intervento, a margine del rituale passaggio di consegne tra i due generali, con uno scambio di auguri di buon lavoro.

IL CURRICULUM

Il generale Iannucci ha iniziato e svolto la sua carriera come paracadutista dell’Esercito italiano accumulando diverse e molteplici esperienze operative. Promosso generale di brigata, ha prestato servizio come capo Reparto operazioni presso il Comando operativo di vertice interforze (Covi), e capo del III reparto Politica militare e Pianificazione dello Stato maggiore della Difesa. Tra gli incarichi internazionali, il generale Iannucci è stato fino a maggio il comandante della missione Nato in Iraq (Nmi), nella cui veste aveva accolto il ministro Crosetto nel corso della sua ultima visita a Baghdad a maggio. Prima di assumere il ruolo di capo di Gabinetto, il generale Iannucci era comandante delle Forze operative Sud, uno dei comandi di vertice, operativi e territoriali, dell’Esercito italiano, da cui dipendono cinque brigate dell’esercito (“Granatieri di Sardegna”, “Aosta”, “Pinerolo”, “Sassari”, e bersaglieri “Garibaldi”).


formiche.net/2023/10/chi-e-il-…



SIRIA. 100 morti per attacco terroristico con drone durante cerimonia di consegna dei diplomi


Un drone ha causato una strage durante la consegna dei diplomi ai cadetti dell'Accademia militare di Homs L'articolo SIRIA. 100 morti per attacco terroristico con drone durante cerimonia di consegna dei diplomi proviene da Pagine Esteri. https://paginee

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Pagine Esteri, 5 ottobre 2023. All’interno dell’Accademia militare di Homs, in Siria, si stava svolgendo oggi la cerimonia della consegna dei diplomi ai cadetti, quando un drone ha causato una strage.

Sarebbero almeno 100 i morti e più di 120 i feriti, trasportati in diversi ospedali della zona.

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L’Accademia si trova a 140 chilometri a nord di Damasco. Il numero dei morti pare, purtroppo, destinato a salire, considerando le condizioni critiche di molti feriti. Tra le vittime donne e bambini, civili che partecipavano alla cerimonia.

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Mosca avrà una base navale in Abkhazia


Mosca costruirà una base militare in un porto dell'Abkhazia, una ex repubblica autonoma della Georgia resasi indipendente con l'aiuto russo. A Mosca serve un'alternativa a Sebastopoli, presa di mira dagli ucraini L'articolo Mosca avrà una base navale in

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di redazione

Pagine Esteri, 5 ottobre 2023 – La Federazione Russa vuole realizzare in tempi brevi una base navale permanente sulla costa del Mar Nero nell’ex repubblica autonoma georgiana dell’Abkhazia.

L’Abkhazia è una delle due regioni separatiste della Georgia – l’altra è l’Ossezia del Sud – che Mosca ha riconosciuto come stati indipendenti nel 2008, a seguito di una breve guerra durante la quale le forze locali, sostenute dall’esercito russo, hanno sbaragliato le truppe georgiane che avevano attaccato Sukhumi dopo uno scontro tra i due schieramenti. Ma pur rimanendo ferma nel suo impegno come alleato della Russia, l’Abkhazia ha finora rifiutato l’idea di poter essere annessa alla Russia e insiste sul mantenimento della sua sovranità.

L’Abkhazia e la Russia hanno comunque già firmato un accordo e la nuova base militare russa sorgerà nel distretto di Ochamchira, ha detto Aslan Bzhania, presidente del territorio resosi indipendente da Tbilisi agli inizi degli anni ’90, in un’intervista pubblicata oggi dal quotidiano russo Izvestiya. L’annuncio è giunto dopo che nella giornata di ieri ieri Bzhania ha incontrato il leader russo Vladimir Putin.

«Tutto ciò mira ad aumentare il livello di capacità di difesa sia della Russia che dell’Abkhazia, e questo tipo di cooperazione continuerà» ha affermato Bzhania.

La notizia sulla nuova base navale arriva dopo che il Wall Street Journal ha riferito che il Cremlino ha ritirato una parte importante della sua flotta militare del Mar Nero dalla sua base principale in Crimea. Citando funzionari occidentali e immagini satellitari, il giornale ha scritto che la Russia ha spostato due sottomarini e tre fregate da Sebastopoli – presa pesantemente di mira dall’Ucraina con missili britannici che riescono a bucare le difese aeree russe nella penisola – verso altri porti che «offrono una migliore protezione».

Recenti attacchi ucraini hanno colpito il quartier generale della flotta del Mar Nero a Sebastopoli e distrutto una nave anfibia e un sottomarino. – Pagine Esteri

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MIGRANTI. Ong: “Rispettare la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia”


Le Organizzazioni impegnate nella tutela dei diritti dei minorenni migranti sono profondamente preoccupate dalle scelte del Governo nel Decreto-legge immigrazione e sicurezza L'articolo MIGRANTI. Ong: “Rispettare la Convenzione Onu sui diritti dell’infan

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Pagine Esteri, 5 ottobre 2023. Chiunque abbia meno di 18 anni è un minorenne e ha diritto a vivere e ad essere protetto e accolto come tale, difeso dai rischi di abusi, sostenuto nel proprio sviluppo. Senza condizioni e senza distinzioni. La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza non fa alcun distinguo: siano italiani o stranieri, maschi o femmine, con o senza documenti, i minorenni sono tutti uguali davanti al diritto internazionale, come per la nostra Costituzione e il nostro diritto interno.

Per tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti che abbiano meno di 18 anni, nessuno escluso, la stessa Convenzione, la più firmata al mondo e parte integrante del nostro diritto pubblico inviolabile di rango costituzionale, prevede un’accoglienza in affidamento in famiglia o in strutture loro dedicate, mai in promiscuità con adulti e certamente non in sezioni di centri destinati a questi ultimi, dei quali peraltro è nota la realtà di profonda inadeguatezza per un minorenne. Ogni trattamento differenziato di chi “ad una prima analisi appaia di età superiore ai sedici anni” come affermato dal Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri che il 27 settembre scorso ha approvato il Decreto-legge immigrazione e sicurezza, va incontro al fortissimo rischio di produrre discriminazioni tra minorenni italiani e stranieri e di porsi in drammatico contrasto con il principio del rispetto del superiore interesse del minore.

La determinazione dell’età, sulla quale il dibattito pubblico, spesso in maniera imprecisa e sommaria, si è soffermato nelle scorse settimane, ha tra i suoi scopi quello fondamentale di scongiurare il rischio che un/a minorenne venga per errore considerato/a un adulto/a. A questo tendono le procedure previste dalla L. 47/2017, attivabili soltanto in caso di fondato dubbio delle autorità sulle dichiarazioni dell’interessato, e i principi fondamentali su cui esse si basano: la presunzione di minore età, il margine di errore e l’applicazione di metodologie multidisciplinari che possono essere applicate, con gradualità e la minore invasività possibile e sempre in seguito a una puntuale, necessariamente preventiva, autorizzazione scritta e motivata della magistratura minorile. Lo scopo è scongiurare un nefando errore che possa portare un minorenne ad essere espulso o detenuto in spregio alle norme italiane, europee e internazionali.

Il testo delle norme adottate dal Consiglio dei Ministri non è ancora disponibile, né è stato condiviso con chi, nella società civile, da decenni si occupa dei migranti bambini, bambine e adolescenti che arrivano in Italia. Tali norme, stando a quanto descritto dal comunicato stampa e illustrato in conferenza stampa dal Governo, vanno in senso nettamente opposto rispetto ai principi enunciati e rischiano di minare alle fondamenta le norme esemplari della L. 47, adottate nel 2017 ad ampia maggioranza parlamentare. Se il testo confermerà l’approccio espresso nelle dichiarazioni, aspetti quali il mancato riferimento al fondato dubbio, la mancanza di previa autorizzazione scritta della magistratura minorile e del tutore, e l’applicazione di “rilievi antropometrici o di altri accertamenti sanitari, anche radiografici” disposti direttamente dalle forze di pubblica sicurezza, con successiva espulsione di chi, secondo questa procedura, fosse dichiarato erroneamente maggiorenne, aprono le porte a un destino rischioso e di possibili gravi violazioni dei diritti fondamentali di migliaia di potenziali minorenni, in particolare se provenienti da paesi cosiddetti “sicuri” e quindi destinati a essere sottoposti a procedure accelerate in frontiera laddove erroneamente considerati adulti.

Questo, per chiunque abbia a cuore la cura e la tutela di bambini e adolescenti, è inaccettabile.

L’Italia si è più volte distinta per l’attenzione ai minorenni, al centro della nostra civiltà e cultura giuridica, e per un generale approccio di tutela verso i piccoli e più giovani migranti, testimoniato ogni giorno da migliaia di tutori e tutrici volontarie, da famiglie affidatarie, attivisti, associazioni e da altre piccole e grandi comunità che più volte si sono strette a incoraggiare, supportare e proteggere i minori non accompagnati nei momenti più difficili.

Per la prima volta dalla sua adozione nel 2017, un Governo della Repubblica ha deciso di intaccare lo scrigno di protezione rappresentato dalla L. 47, senza peraltro chiarire quali siano i dati reali del presunto allarme, che a nessuna delle Organizzazioni firmatarie risulta, rispetto ad abusi diffusi della dichiarazione di minore età. Questo avviene, sorprendentemente, nonostante l’Italia sia stata condannata più volte dalla Corte Europea dei Diritti Umani per aver collocato minorenni migranti in centri per adulti e aver condotto procedure di accertamento dell’età senza garanzie procedurali sufficienti.

Tutto questo ci rattrista profondamente, ci lascia attoniti. Tuttora la nostra fiducia nei principi costituzionali ci impedisce di credere che avremo a breve un testo di legge che consenta a un minore ultra16enne di permanere in un centro per adulti solo perché non italiano. E che sottoponga ragazzini e ragazzine, loro malgrado senza documenti, a esami non caratterizzati da quel rigore e da quelle garanzie che il nostro ordinamento e tutte le norme e gli standard europei e internazionali vigenti riservano a ogni minorenne in qualsiasi procedura lo riguardi.

Poiché il nostro lavoro è improntato alla fiducia e alla determinazione, ci impegneremo, in dialogo con tutte le istituzioni coinvolte, affinché ciò non avvenga. Non ne va soltanto del destino concreto di migliaia di adolescenti che già molto hanno sofferto, ma dello stesso concetto di protezione del minorenne in quanto tale nel nostro ordinamento, e quindi della tutela complessiva di chi rappresenta il futuro del paese.

Ai.Bi.

Amnesty International Italia

ASGI – Associazioni per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione

Caritas Italiana

Centro Astalli

CeSPI ETS

Cir Onlus – Consiglio Italiano per i rifugiati

CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza

CISMAI

Cooperativa CIDAS

Cooperativa CivicoZero

Defence for Children International Italia

Emergency ONG

Oxfam Italia

INTERSOS

Salesiani per il Sociale APS

Save the Children Italia

SOS Villaggi dei Bambini

Terre des Hommes Italia

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Attentato suicida in Turchia. Esplosione vicino al parlamento


Il parlamento avrebbe dovuto riunirsi nel primo pomeriggio. Alla seduta avrebbe partecipato anche il presidente Erdogan L'articolo Attentato suicida in Turchia. Esplosione vicino al parlamento proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/10/0

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Pagine Esteri, 1 ottobre 2023. Nella mattinata di domenica, intorno alle 9.30 locali, una forte esplosione è stata avvertita nei pressi del parlamento turco, ad Ankara, vicino alla sede del Ministero dell’interno.

Proprio il ministro dell’interno, Ali Yerlikaya, ha dichiarato che due persone hanno tentato di compiere un attentato facendo esplodere un ordigno portato con un furgone all’interno dell’area che ospita diversi edifici e sedi governative. L’esplosione, effettivamente avvenuta, ha causato la morte di uno degli attentatori. L’altra persona coinvolta nell’attacco sarebbe poi stata uccisa dalle forze di sicurezza. Colpi di arma da fuoco sono stati uditi subito dopo l’esplosione.

Due agenti di polizia sono stati feriti e trasportati in ospedale. Le loro condizioni non sembrano gravi.

Nel primo pomeriggio di oggi il parlamento si sarebbe dovuto riunire per una seduta alla quale avrebbe dovuto partecipare anche il presidente Recep Tayyip Erdogan.

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In Cina e in Asia – Le mire della Cina sulle infrastrutture del Perù


In Cina e in Asia – Le mire della Cina sulle infrastrutture del Perù 9611401
I titoli di oggi:

Le mire della Cina sulle infrastrutture del Perù
Alibaba nel mirino dei servizi del Belgio per spionaggio
La Cina guadagna spazio nell’Artico
A quanto ammonta la corruzione dei funzionari cinesi?
Sui social network cinesi sempre più giovani usano l’alias “momo”
Arrestati due giornalisti della redazione indiana di NewsClick
I produttori di armi dell’Indonesia riforniscono di armamenti il Myanmar
Sparatoria in Thailandia: il governo vuole regolamentare il possesso delle armi da fuoco

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Turchia e Azerbaigian vogliono un pezzo di Armenia


Russia e UE hanno tollerato la riconquista dell'Artsakh da parte delle truppe azere. Ma Erdogan e Aliyev vogliono il sud dell'Armenia per proiettare la propria potenza dal Mediterraneo all'Asia centrale L'articolo Turchia e Azerbaigian vogliono un pezzo

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 5 ottobre 2023 – Russia e occidente continuano a rimpallarsi le responsabilità per l’ennesima tragedia nel Caucaso.
Per Mosca, la colpa della disfatta degli armeni sarebbe da addebitare al governo armeno guidato da Nikol Pashinyan, che avrebbe tradito la Russia per cercare il sostegno della Nato e dell’UE, che ovviamente non è arrivato. Gli USA nella regione non hanno voce in capitolo, e gli europei sono troppo interessati al gas azero per fare la voce grossa con il dittatore Ilham Aliyev.
É oggettivo che Erevan si sia avvicinata all’Alleanza Atlantica e a Bruxelles, ma non solo in ossequio all’orientamento filoccidentale del primo ministro eletto dopo la “rivoluzione di velluto” del 2018. Se Pashinyan ha cercato nuove sponde a occidente (ma anche in Iran e in India) è anche perché era ormai chiaro che Mosca non aveva alcuna intenzione di spendersi per la difesa degli armeni. Nonostante un patto di mutua assistenza militare con Erevan, Putin non si è mosso neanche quando gli azeri hanno aggredito lo stato sovrano armeno nel settembre 2022, e non più solo l’autoproclamata – ma non riconosciuta da nessuno – Repubblica di Artsakh creata dagli armeni dell’Azerbaigian nel 1991.

Specularmente, per europei e statunitensi la responsabile unica della catastrofe sarebbe Mosca, che cinicamente ha mollato gli armeni per proteggere le consistenti relazioni avviate con il regime di Baku e con la Turchia, paese che importa ingenti quantità di petrolio e gas dalla Russia e che con Mosca ha sviluppato un rapporto di alleanza/competizione distanziandosi dagli interessi di Washington.

La Repubblica dell’Artsakh non esiste più
Paradossalmente sono vere entrambe le versioni: tutte le potenze attive nel Caucaso, per un motivo o per l’altro, hanno lasciato mano libera all’esercito azero, provocando una catastrofe umanitaria e culturale la cui gravità, forse, la comunità internazionale comprenderà nei prossimi anni.
In neanche due settimane, man mano che le truppe azere prendevano possesso del territorio dell’Artsakh, più di centomila armeni – il 90% o forse più della popolazione totale dell’enclave – hanno abbandonato le loro case e le loro terre per rifugiarsi in Armenia, incolonnati per giorni su quel “corridoio di Lachin” che i 2000 peacekeeper russi schierati nel 2020 avrebbero dovuto difendere e che invece militari e funzionari azeri, travestiti da attivisti ecologisti, hanno completamente bloccato dando vita ad un assedio medievale.
Al termine di 10 mesi di assedio – che hanno causato fame ed estrema penuria di medicine e di carburante – la comunità armena del Nagorno-Karabakh era così stremata che quando a settembre le truppe azere hanno sferrato l’ennesimo attacco, il governo di Stepanakert ha resistito poche ore, dichiarando poi la resa totale.
Il 28 settembre il presidente dell’Artsakh Samvel Sergeyi Shahramanyan ha firmato il decreto che pone fine all’esistenza dell’entità dal primo gennaio del 2024. Le strade e le case di Stepanakerte delle altre città dell’enclave sono già deserte e presto la patria ancestrale degli armeni verrà ripopolata da profughi azeri (cacciati dagli armeni negli anni ’90) e da nuovi coloni inviati da Baku per assimilare le province riconquistate.

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La Turchia approfitta della miopia di Mosca
I peacekeeper russi non si sono mossi e neanche le truppe di Mosca di stanza nella base che la Federazione possiede in Armenia. «Putin non poteva certo rischiare di entrare in conflitto con l’Azerbaigian e la Turchia per difendere un paese il cui governo flirta con la Nato voltando le spalle a Mosca» ripetono i media controllati dal Cremlino. In realtà se forse intervenuta per bloccare l’aggressione azera all’Armenia del 2022 e per evitare il blocco del corridoio di Lachin nei mesi scorsi, Mosca avrebbe potuto utilizzare la sua influenza e il suo peso militare e politico per convincere Aliyev a non forzare la mano senza sparare un colpo. Anche solo cristallizzando lo status quo venutosi a creare dopo l’aggressione azera del 2020, grazie alla quale Baku ha recuperato le 7 province contigue all’Artsakh occupate dagli armeni durante la guerra che ha insanguinato la regione dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni ’90, Putin avrebbe evitato il precipitare degli eventi riuscendo senza scontentare troppo né Erevan né Baku.

Ma a furia di tollerare l’iniziativa dell’asse azero-turco, la presa di Mosca sull’area è notevolmente diminuita e si è affermata l’egemonia turca.
La Nato sfruttando la disillusione armena nei confronti della Russia per stringere accordi militari, economici e politici con Erevan, al solo scopo di indebolire il ruolo russo nel Caucaso. Martedì il parlamento armeno ha approvato l’adesione del paese alla Corte Penale dell’Aja; la mossa ha enormemente contrariato il Cremlino, sul cui inquilino pesa da mesi un mandato internazionale di cattura per crimini di guerra in Ucraina. D’altronde, i partiti e gli ambienti filorussi attivi in Armenia – protagonisti insieme ad altre forze di grandi manifestazioni per le dimissioni di Pashinyan, reo di aver abbandonato a se stessi gli armeni dell’Artsakh – hanno perso ogni credibilità di fronte all’opinione pubblica che considera Mosca non meno colpevole della catastrofe dell’occidente. Le minacce russe di un regime change a Erevan per togliere di mezzo Pashinyan (ma queste cose non le faceva solo il perfido occidente?) non aiutano.

All’UE interessa il gas azero
Anche le promesse di sostegno da parte dei paesi europei e di Washington si sono rivelate inconsistenti. Qualche mese prima dell’aggressione sul confine armeno era arrivata una pattuglia di inviati dell’Unione Europea, senza poteri e senza il sostegno dei propri governi. Durante lo scorso fine settimana, poi – quando l’Artsakh si era ormai svuotato dei suoi abitanti in fuga dalla repressione e dall’assimilazione azera – le Nazioni Unite hanno inviato una missione per “valutare le necessità umanitarie della situazione” nella regione interdetta da Baku ai giornalisti stranieri, mentre decine di leader politici e militari dell’enclave sono stati arrestati dagli occupanti.

Delle sanzioni all’Azerbaigian richieste da una settantina di parlamentari europei – Baku è governata da un regime autocratico spietato con gli armeni quanto con i dissidenti interni – neanche a parlarne: il gas e il petrolio estratti nel Mar Caspio sono troppo preziosi per l’Unione Europea, e soprattutto per Roma, alla ricerca di fonti alternative con cui rimpiazzare le forniture russe boicottate dopo l’invasione dell’Ucraina. Per non parlare dei miliardi in gioco nella ricostruzione delle province azere ripulite dagli armeni, molti dei quali finiscono nelle casse di aziende italiane ed europee.

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Lo schiaffo dell’Azerbaigian a Russia e Ue
Ma il vile comportamento delle varie potenze nei confronti degli armeni non è dettato esclusivamente dal cinismo.
La verità è che tanto a occidente quanto a Mosca i diversi governi hanno subito l’ennesima offensiva dell’asse azero-turco dimostrando una consistente miopia e scarsa lungimiranza.

Ieri l’edizione europea del giornale “Politico” ha informato che alcuni rappresentanti diplomatici di Stati Uniti, Unione Europea e Russia si sono incontrati a metà settembre in Turchia per una riunione diretta a sventare un peggioramento della situazione in Nagorno-Karabakh. L’incontro si sarebbe svolto il 17 settembre a Istanbul con la partecipazione di Louis Bono, consigliere senior di Washington per i negoziati nel Caucaso, di Toivo Klaar, rappresentante speciale dell’UE per la regione, e di Igor Khovaev, inviato speciale di Putin in Armenia e Azerbaigian. I tre paesi avrebbero chiesto e teoricamente ottenuto da Baku un allentamento dell’assedio agli armeni dell’Artsakh e la promessa di un rilancio dei colloqui di pace con Erevan. In quelle ore il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, si è più volte vantato dei presunti risultati ottenuti grazie alle pressioni europee sull’Azerbaigian.

Solo due giorni dopo l’incontro di Istanbul, il 19 settembre, le forze armate di Baku hanno attaccato i 10 mila miliziani dell’Artsakh, male armati e deperiti, in barba alle rassicurazioni offerte poche ore prima ai rappresentanti delle grandi potenze. Il regime azero ha giustificato “l’operazione antiterrorismo” come la necessaria risposta ad una imboscata armena ai propri militari, ma da settimane Baku stava ammassando truppe ai confini dell’Artsakh all’interno di un piano d’invasione evidentemente preordinato.

Durante l’offensiva le truppe azere hanno preso di mira una pattuglia di militari russi, uccidendone 5, compreso il vicecomandante del contingente russo Ivan Kovgan, e hanno bersagliato alcune postazioni dei peacekeeper russi. Solo degli errori, si sono giustificati a Baku; segnali della prepotenza dei soldati azeri che ormai si sentono padroni del Caucaso e non temono neanche il gigante russo, affermano altri.

Sulla base della stessa sensazione di onnipotenza, ieri le autorità azere hanno respinto l’invito a partecipare ad un incontro previsto per oggi a Granada, in Spagna, con i rappresentanti di Armenia, Unione Europea, Francia e Germania, per discutere il futuro della regione di cui Baku è rientrata in possesso dopo 30 anni e siglare un trattato di pace. Gli emissari di Aliyev hanno chiesto che alla riunione prendesse parte anche la Turchia, condizione respinta dai promotori dell’iniziativa, ed espresso forti riserve sulla partecipazione francese. Riconquistato l’Artsakh, Baku non ha alcuna reale necessità di negoziare con Erevan e anzi punta a nuove vittorie.

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Le aspirazioni egemoniche della Turchia, le rivendicazioni azere sull’Armenia e il ruolo di Israele
È inoltre evidente sin dall’inizio della crisi che dietro le pretese dell’Azerbaigian – ormai potenza energetica di primo livello – c’è proprio la Turchia. Ankara considera la repubblica turcofona una parte del grande popolo turco (“un popolo, due stati”) ma anche uno strumento per far valere le proprie aspirazioni da grande potenza in Asia centrale. Per questo in tutti questi anni Erdogan ha armato, addestrato e sostenuto con consiglieri e mercenari le truppe di Baku che contemporaneamente hanno potuto contare anche sul pieno sostegno di Israele. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, tra il 2016 e il 2020 quasi il 70% delle armi acquistate dall’Azerbaigian grazie ai proventi dell’industria petrolifera provenivano proprio dallo “stato ebraico”, incuneatosi così in un’area dove non aveva in precedenza alcuna influenza. Anche pochi giorni prima dell’ultimo blitz contro l’Artsakh di settembre a Baku sarebbero atterrati vari cargo pieni di armi israeliane.

Forse Mosca e le cancellerie europee pensavano di contenere le ambizioni azere e turche tollerando la riconquista dell’Artsakh da parte di Baku, ma appare evidente che Azerbaigian e Turchia nutrono ben altre aspirazioni.
A pochi giorni dalla fulminante vittoria azera contro ciò che rimaneva dell’Artsakh, Aliyev ha incontrato il suo omologo turco Erdogan nella Repubblica del Nakhchivan, una exclave azera separata dal resto del paese da una regione dell’Armenia meridionale. Baku pretende la realizzazione di un corridoio stradale e ferroviario in territorio armeno che colleghi le due parti del paese, esistente fino all’inizio degli anni ’90 e poi saltato dopo l’inizio del conflitto tra le due ex repubbliche sovietiche. Per Erdogan il progetto è ancora più rilevante, perché concederebbe all’economia e alle aspirazioni imperiali turche una proiezione verso l’Asia centrale, le altre repubbliche turcofone ex sovietiche e la Cina, aggirando sia la Russia sia l’Iran.

Lunedì Erdogan e Aliyev hanno già inaugurato i lavori di realizzazione di un nuovo gasdotto che collegherà il Nakhchivan con la regione turca di Igdir, in attesa di poterlo prolungare fino a Baku passando nel corridoio di Zangezur.

Aliyev ha spesso chiarito che se non dovesse ottenere il corridoio di Zangezur con le buone – sul confine meridionale armeno e alle porte dell’Iran, che osserva con preoccupazione il precipitare della situazione a nord della sua frontiera e su è detto disponibile a inviare osservatori al confine tra Armenia e Azerbaigian – lo farebbe con la forza, prendendosi anche i territori dell’Armenia meridionale che d’altronde il “presidente a vita” azero ha definito ancora recentemente “Azerbaigian occidentale”. Senza un consistente sostegno esterno, economico e militare, l’Armenia non avrebbe alcuna chance di fermare le truppe azere e di impedire l’occupazione della provincia di Syunik, dove tra l’altro si trovano degli importanti giacimenti di rame e molibdeno.

A quel punto la Russia, il cui ruolo di paciere è già compromesso, si troverebbe a fronteggiare uno scenario alquanto spiacevale, dovendo decidere se fronteggiare anche militarmente l’iniziativa turco-azera, con tutte le conseguenze del caso, o se tollerare un’ulteriore ascesa di Ankara in un quadrante tradizionalmente di sua competenza.

La Francia offre protezione a Erevan
La difficoltà di Mosca nel Caucaso è tale che nei giorni scorsi la Francia – tradizionale protettore degli armeni e potenza energetica nucleare assai meno dipendente dal gas azero rispetto ai propri partner europei – ha deciso di entrare in scena con maggiore determinazione.
In visita a Erevan la Ministra degli Esteri di Parigi, Catherine Colonna, ha informato che Parigi ha accettato di consegnare non meglio precisati equipaggiamenti militari alla piccola nazione del Caucaso meridionale per garantire una migliore difesa del paese. Segno che l’ipotesi di un’aggressione militare azera all’Armenia è tutt’altro che remota.
Nel frattempo la moneta armena si è svalutata del 15% in un solo giorno e il piccolo e povero paese deve ora pensare a come sistemare i 100 mila profughi dell’Artsakh che nei giorni scorsi hanno varcato la sua frontiera. – Pagine Esteri

Leggi anche: L’Azerbaigian piega gli armeni, abbandonati da Russia e Nato

9609988* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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