ISRAELE. Futuro nero: Lgbt+, giudici e diritti nella morsa del Bibi III
di Michele Giorgio*
Pagine Esteri, 29 dicembre 2022 – Susciterà timori, solleverà interrogativi e animerà dibattiti il programma del governo che il risorto premier Benyamin Netanyahu, sotto processo per corruzione, farà giurare oggi alla Knesset. Il più a destra della storia della storia di Israele. Non perché i suoi ministri più estremisti come Itamar Ben Gvir (Pubblica sicurezza) e Bezalel Smotrich (Finanze), leader dei partiti accusati di razzismo Otzmah Yehudit e Sionismo Religioso, minacciano di attuare politiche più dure e punitive contro i palestinesi sotto occupazione militare da 55 anni. Dei diritti dei palestinesi non importa a nessun governo in giro per il mondo, le eccezioni sono rare. L’intenzione annunciata di dare un nuovo e più forte impulso alla colonizzazione israeliana nei Territori occupati non è poi diversa da quella realizzata dai governi precedenti. E l’esclusività nella biblica Terra di Israele alla piena autodeterminazione riservata solo al popolo ebraico e negata ai palestinesi dal primo ministro Netanyahu, è già affermata nella legge fondamentale, approvata nel 2018 dalla Knesset, che proclama Israele-Stato solo della nazione ebraica e non di tutti i suoi cittadini.
Dell’esecutivo messo in piedi da Netanyahu si parlerà tanto anche nelle comunità ebraiche, negli Usa più che in Europa, perché minaccia i diritti della comunità Lgbt+, perché punta a limitare i poteri dei giudici e la libertà di espressione, perché vorrebbe fare della religione sempre di più il fondamento dello Stato. E per tanti altri motivi che alcuni commentatori locali, vicini al centrosinistra, hanno elencato ogni giorno da quando lo scorso primo novembre la destra radicale e religiosa ha vinto le elezioni legislative, a conferma della tendenza all’estremismo che contagia settori sempre più larghi dell’opinione pubblica israeliana.
Uno di questi opinionisti, il noto scrittore David Grossman, ieri sulle pagine del quotidiano Haaretz, facendo riferimento a leggi in fase di elaborazione che ridimensionano la Corte Suprema, legittimano discriminazioni per motivi religiosi e favoriscono la costituzione di «una milizia privata nei Territori (palestinesi occupati)», ha dipinto il governo nascente come una minaccia «per il nostro futuro e per quello dei nostri figli». «Le dimensioni della catastrofe – ha scritto Grossman – vengono ora alla luce. Netanyahu rischia di scoprire che dal punto in cui ci ha portato non c’è una via di ritorno. Il caos che ha creato non potrà essere annullato o ammaestrato». Grossman in sostanza prova a scuotere Netanyahu, gli chiede di fermarsi prima che sia troppo tardi. Lo scrittore invece dovrebbe rendersi conto che Netanyahu non ha concesso così tanto alla destra estrema perché è debole e ricattabile a causa, si dice, dei suoi problemi con la giustizia. Lo ha fatto perché ideologicamente è vicino a quella parte politica. Non a caso ha destinato ben 125 milioni di dollari al partito religioso omofobo Noam che avrà l’incarico di salvaguardare «l’identità ebraica». La nomina a speaker della Knesset di Amir Ohana, un esponente gay del Likud, il partito di Netanyahu, è vista da più parti come una cortina fumogena per le politiche che le forze più conservatrici dell’esecutivo intendono attuare nella società.
Questa mattina gruppi di dimostranti di sinistra dovrebbero raggiungere Gerusalemme con un convoglio di automobili da Tel Aviv e si raccoglieranno di fronte alla Knesset. Si tratta però di piccole formazioni, fra cui Peace Now, Bandiere nere, Israeliani e palestinesi per la pace, associazioni Lgbt. E si è appreso che, dopo i comandi militari, anche cento ex diplomatici israeliani hanno pubblicato una lettera aperta rivolta a Netanyahu in cui esprimono la preoccupazione che la politica preannunciata del suo nuovo governo pregiudicherà i rapporti esteri di Israele. Non certo con il governo di destra di Giorgia Meloni, che all’inizio del 2023 sarà accolta con grandi onori in Israele dal governo di estrema destra di Netanyahu.
Il premier israeliano respinge le critiche, nega che saranno negati diritti e nei giorni scorsi ha accusato di sedizione il primo ministro uscente Yair Lapid. Netanyahu ieri ha fatto sapere che andrà tutto per il meglio, dentro e fuori Israele, grazie ai suoi progetti. Anche se con ogni probabilità ci scapperà un attacco aereo israeliano all’Iran (che lui invoca da anni). Ha annunciato, tra le altre cose, l’estensione degli Accordi di Abramo con i vicini arabi. Non si fida di lui re Abdullah II di Giordania, custode dei luoghi santi islamici e cristiani a Gerusalemme. In un’intervista alla Cnn il sovrano hashemita ha sottolineato che c’è «preoccupazione» per possibili violazioni da parte israeliana dello status quo sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme. Pagine Esteri
*Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto
ilmanifesto.it/futuro-nero-lgb…
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La Francia ritira i soldati dalla Repubblica Centrafricana. Cresce in Africa l’influenza degli Usa
della redazione
Pagine Esteri, 19 dicembre 2022 – Con l’intento di spostare gradualmente il suo focus in Benin, Ghana e Costa d’Avorio e, più di ogni altra parte, in Niger, paese centrale per le forniture di uranio che alimentano i suoi reattori atomici, la Francia ha ritirato gli ultimi soldati stanziati in Repubblica Centrafricana dove erano stati inviati, ufficialmente, per combattere i gruppi armati che destabilizzavano il Paese. A giugno si è anche concluso il ridispiegamento volto a dimezzare entro il 2023 da 5mila a circa 2.500 i soldati francesi stanziati in Mali (missioni Barkhane e Takuba). Il 13 dicembre il campo di M’Poko – ospitante le forze francesi – è stato consegnato alle autorità centrafricane in coordinamento con la missione dell’Onu (Minusca) e con quella dell’Unione europea.
La missione Mislognella Repubblica Centrafricana “non aveva più alcuna giustificazione operativa”, ha spiegato il ministero della difesa francese annunciando in rientro in patria di 47 soldati (inizialmente era 130 uomini) rendendo definitiva la separazione fra Parigi e Bangui annunciata lo scorso anno. Una scelta che, dissero gli analisti francesi, era la conseguenza dell’arrivo nel Paese africano del gruppo paramilitare russo Wagner come già avvenuto in precedenza in Mali. “Nel 2021, quando la presenza della compagnia militare privata Wagner era sempre più invadente nel Paese, la Francia ha constatato l’assenza delle condizioni per continuare a lavorare a beneficio delle forze armate centrafricane”, ha dichiarato il generale Francois-Xavier Mabin, comandante della Mislog.
In realtà il ritiro di Parigi, ex potenza coloniale in Africa – accusata di svolgere, seppur con modalità diverse, ancora quel ruolo – da Bangui deve leggersi all’interno del contesto regionale. La Francia, e il presidente Macron ne è ben consapevole, risulta sempre più perdente nella competizione con Russia e Cina che allargano e conquistano terreno, in termini economici e di influenza, nel continente africano ricco di risorse. Un ulteriore segnale del suo declino è stato anche il raffreddamento delle relazioni con il Burkina Faso, frutto di un crescente sentimento antifrancese.
L’invio in Africa di contingenti militari francesi come di altri Paesi occidentali per “combattere il terrorismo” si scontra sempre di più con l’idea che spetti agli Stati africani di decidere e attuare in piena autonomia le strategie più idonee per affrontare le formazioni jihadiste – Isis e al Qaeda – che infoltiscono i loro ranghi e rafforzano le loro posizioni. Diverse organizzazioni regionali negli ultimi mesi hanno programmato l’invio di forze militari in situazioni di crisi. Come nel caso della Comunità dell’Africa orientale (Eac) nella Repubblica democratica del Congo, della Comunità dei Paesi dell’Africa meridionale (Sadc) in Mozambico e della Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale (Cedeao) che formerà una forza armata regionale incaricata di intervenire in questioni di terrorismo e sicurezza.
Se la Francia, cosciente delle difficoltà cheincontra a svolgere il ruolo che si era assegnata, di fatto, unilateralmente in Africa, ritira parte delle sue forze e le ridispiega in apparenza in forma più contenuta solo in alcune regioni africane, gli Stati Uniti al contrario continuano a penetrare nel continente allo scopo fin troppo evidente di limitare la crescente influenza di Mosca e Pechino, al momento molto marcata nell’Africa orientale. La strategia americana al momento è soprattutto economica ed “umanitaria”. Stati uniti e Unione africana, nei giorni scorsi, al summit dei leader Usa-Africa a Washington, hanno affermato il loro impegno a “rafforzare la sicurezza alimentare” nel continente, avviando una “partnership strategica” volta a guidare e accelerare il più possibile il sostegno ai Paesi africani. La collaborazione, non è certo una sorpresa, punta a rafforzare il settore privato in modo che faccia fronte, al posto dello Stato, alle carenze di cibo. Al vertice di Washington, il presidente Joe Biden ha annunciato che l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid) ha approvato un pacchetto di aiuti umanitari da due miliardi di dollari per le popolazioni africane colpite dalla crisi legata alla pandemia, ai conflitti regionali, alla siccità e agli eventi meteorologici estremi. Aiuti che aprono la strada a una presenza statunitense che in futuro potrebbe essere anche militare nell’Africa sub-sahariana. Pagine Esteri
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Russia e Cina si sono coalizzate per contrastare le sanzioni degli Stati Uniti - Controinformazione
"Nel mondo è sorta una resistenza organizzata alle sanzioni economiche degli Stati Uniti e dei suoi alleati. La capacità di Washington di esercitare pressioni economiche è dovuta al primato del dollaro sui mercati mondiali. A questo proposito, altri paesi ricorrono a innovazioni finanziarie volte a ridurre il vantaggio americano. Questo si esprime nel rifiuto del sistema bancario SWIFT e nell’uso della moneta elettronica."
#uncaffèconluigieinaudi☕ – Da millenni la sapienza popolare…
Da millenni la sapienza popolare ha affermato la distinzione tra la democrazia e la demagogia
da Maior et sanior pars, in “Idea”, gennaio 1945
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PD: caro arzigogolo-Cuperlo, ma ‘ndo vai se le idee (di sinistra) non ce le hai?
Come dicevo l’altro giorno, in queste feste natalizie, cupe e largamente tristi, addirittura con minacce di esclusione da San Sanremo per cantanti presunti falsificatori di ‘green pass’, e così via, arriva tra capo e collo, messa sotto l’albero di Natale, la notizia bomba: Cuperlo si candida. Questa sì che è una notizia. E sarebbe pure […]
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Russia e Iran costruiscono una nuova rotta commerciale per aggirare le sanzioni - L'Indipendemte
"Le sanzioni occidentali imposte ai cosiddetti Paesi non allineati alle politiche dell’unipolarismo statunitense, insieme alla recente crisi russo-ucraina, stanno paradossalmente imprimendo un impulso determinante alla formazione di nuovi equilibri internazionali che si riflettono, da un lato, nella tendenza alla dedollarizzazione e, dall’altro, nel modellamento di nuove rotte commerciali."
Aggravio
Me lo trovate, per favore, un politico che non sia per la diminuzione della pressione fiscale? Già che vi mettete alla ricerca, me ne trovate uno che non sia per l’aumento di questa o quella spesa? Siccome non li troverete, in mezzo alla marea di quelli che vogliono meno tasse e più spese, vi sarà chiaro in che consiste il problema: hanno smesso di fare politica. E i politici senza politica diventano vagamente inutili, il che spiega il proliferare di quanti ben rispondono a questo non esaltante profilo.
Promettere sgravi programmando aggravi è sport avvincente per gli amanti del raggiro, ma si risolve in un rumoroso nulla. Fra il tortellino e lo zampone sarà approvata la legge di bilancio, nella rituale corsa che si conclude con il rituale traguardo. Tutto secondo tradizione. Stiamo ai fatti: attorno all’equilibrio dei saldi si muove un pulviscolo di abbozzi senza senno.
Forza Italia avrebbe voluto aumentare le pensioni minime a 1.000 euro, il che sarebbe costato 36 miliardi l’anno, che non ci sono. Se anche ci fossero stati sarebbe stato interessante guardare la faccia di quelli che prendono una pensione da 1000 euro con i contributi effettivamente versati, raggiunti da quanti versarono meno o nulla. Non essendoci soldi per finanziare questa genialata, ci si è accontentati di aumentare le minime in ragione dell’età (ma che criterio è?), al prezzo di 859 milioni in due anni. Prego segnare, perché qualcuno deve pagare.
Questo avviene avendo l’Italia una spesa per le pensioni pari al 17.6% del prodotto interno lordo, superati solo dalla Grecia, a dimostrazione non certo dell’equità sociale, ma della dispendiosa e sperequata iniquità. La media dell’Unione europea è al 13.6%. La Germania si ferma al 12.6%. Spendiamo più degli altri europei, ovvero degli altri Paesi ricchi in cui nessuno fa la fame, e la gara politica è a chi riesce a trovare lo scivolo per fare andare prima in pensione e/o aumentare quelle in pagamento. Ergo chi lavora non potrà pagare di meno, altrimenti la baracca delle regalie s’accartoccia. Siccome la scena è piena di politici che promettono più pensioni e meno cuneo fiscale, ne deriva che anziché cercare il retroscena si dovrà stabilire se tenersi l’avanspettacolo.
Nel Paese in cui quasi tutte le famiglie hanno una casa di proprietà e sui conti correnti sono fermi 2mila miliardi di euro, fa impressione che 50 miliardi siano stati ritirati per pagare le bollette. Ci si dovrebbe impressionare anche, però, del fatto che è il medesimo Paese in cui tutti reclamano d’essere aiutati. Che è il medesimo Paese in cui le imprese fanno sapere che il 41% dei lavori che offrono restano senza lavoratori adeguati. Una enormità. Ma mettiamo che stiano mentendo, gli imbroglioni, diciamo che sono il 30%, anzi no: diamo che sono la metà, il 20%, comunque i conti non tornano, perché basta formare le persone, che mica si deve essere tutti ingegneri aerospaziali, e quei lavori trovano il loro lavoratore che guadagna e paga contributi e imposte. Invece abbiamo una disoccupazione altissima. Ma abbiamo anche la più alta evasione europea dell’Iva, il che significa avere la più alta evasione anche fiscale (fatture mai emesse) e contributiva (lavori in nero). Ed ecco che i conti cominciano a tornare: abbiamo una spesa pubblica alta e disfunzionale; un’evasione alta che sottintende lavori e pagamenti in nero; il che spiega i redditi bassi e i consumi non altrettanto; e aiuta a capire le richieste d’aiuto, che servono a mascherare l’insieme. I politici non sono marziani, ma figli di questo mondo, sicché si presentano promettendo i soldi di altri e assicurando che prenderanno meno. Il nero (si sa) sfina, il Pos (s’è capito) sfila.
Il solo modo per tenere assieme questo autentico falso nel racconto collettivo è dire che si è sempre in crisi e alla fame, anche dopo due anni di crescita imponente e diminuzione del peso percentuale del debito pubblico. Il fastidioso aggravio è ammettere che ce la meritiamo, questa roba.
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Corea del Sud: decadimento democratico?
Il governo tedesco ha recentemente arrestato 25 membri di un gruppo cospiratore di destra che complottava per rovesciare il governo. Uno degli arrestati era un membro di una defunta famiglia reale tedesca che il gruppo sperava di insediare come nuovo leader della Germania. Negli Stati Uniti, il Partito Repubblicano ha fatto abbastanza bene nelle elezioni […]
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Report Corno d’Africa, Etiopia Tigray – EEPA n. 340- 28 dicembre 2022
Negoziati di pace (per 28 dicembre)
- L’Unione Africana (UA) invierà una delegazione per verificare e monitorare il processo di attuazione dell’Accordo di Cessazione delle Ostilità (CoH).
- La delegazione dell’UA si recherà nella capitale del Tigray “entro la fine dell’anno” con l’obiettivo di seguire i progressi dell’accordo di pace.
- La delegazione dell’Unione africana segue una visita di 50 delegati di alto livello il 26 dicembre, compresi i ministri del governo federale dell’Etiopia a Mekelle, che sono stati cordialmente accolti all’aeroporto dai leader della chiesa e da membri del pubblico.
- Entrambe le visite fanno seguito a un secondo round di negoziati terminato il 22 dicembre a Nairobi, i cui risultati sono stati annunciati dall’ex presidente keniota, che guida gli sforzi del team di mediazione.
- Dopo il secondo round di negoziati, Kenyatta ha dichiarato che i negoziatori dell’Etiopia e del Tigray avevano concordato di “dare pieno accesso al team di monitoraggio e verifica dell’Unione africana”.
- Kenyatta ha affermato che la delegazione dell’Unione africana adotterà “un punto di vista completo a 360 gradi per garantire che tutti gli elementi degli accordi vengano effettivamente implementati”.
- Resta inteso che la visita della squadra di mediazione dell’UA darà loro una piena comprensione della situazione sul campo, per aiutare a informare i passi necessari per far avanzare il processo di pace.
- Desta preoccupazione la presenza di truppe eritree nel Tigray.
- I funzionari del Tigray affermano che il governo eritreo sta ancora intervenendo sul terreno nel Tigray e ostacolando il processo di pace.
- I funzionari del Tigray hanno chiesto che il governo del PM Abiy garantisca il rispetto dei termini dell’accordo di pace in merito al ritiro delle forze straniere e non federali, ancora presenti nel Tigray.
Situazione nel Tigray (al 28 dicembre)
- Il rapporto del Comitato di coordinamento delle emergenze afferma che la ripresa dei servizi essenziali (compresi servizi bancari, comunicazioni e altri fattori abilitanti) in tutto il Tigray è fondamentale, così come il flusso di beni commerciali per garantire che l’assistenza umanitaria possa essere fornita.
- L’ECC riferisce che un gran numero di nuovi sfollati interni è arrivato a Shire nei siti BGI, Embadanso, Tsehaye, Midre-Genet, Fre-Seweat, Guna, Atsede e Preparatory IDP dove sono necessari assistenza alimentare immediata e altri servizi.
- I nuovi sfollati provenienti dal Tigray nordoccidentale: Seyemti, Adiabo, Maekelay Adiabo, Tahtay Adiabo, Sheraro, Tselemti, Zana, Adi’mehmeday, Hitsats, Mai-hanse, Tselemti, Maitsebri e Tahtay Koraro.
- L’ECC osserva i rapporti secondo cui i siti sono accessibili da gruppi militari. Gli sfollati temono di essere presi dalle forze di sicurezza.
- Secondo quanto riferito, il sito degli sfollati di Hitsats presenta una situazione umanitaria disastrosa, ma non può ancora essere raggiunto.
- Il rapporto dell’ECC afferma che i gruppi armati, in particolare le forze eritree, entrano frequentemente nei siti degli sfollati e minacciano gli sfollati di sequestro e detenzione.
- Un esempio è una madre di 25 anni con il suo bambino che è stata presa dalle forze eritree e nessuno sa dove sia ora (denunciato ad Adua).
- Il rapporto afferma che tre autobus di sfollati interni sono stati caricati e rapiti da Fano e forze militari, ad Aksum. Secondo quanto riferito, i civili tigrini ad Aksum si sentono intimiditi e minacciati.
Situazione in Etiopia (al 28 dicembre)
- Una delegazione militare etiope guidata dal capo di stato maggiore, il feldmaresciallo Berhanu Jula, ha effettuato ieri una visita ufficiale in Turchia, afferma FBC citando l’ambasciata etiope nel paese.
- Il capo di stato maggiore dell’Etiopia ha tenuto un incontro con il suo omologo turco e, secondo quanto riferito, ha discusso della cooperazione militare bilaterale.
- I vescovi cattolici dell’Etiopia hanno accolto con favore il recente accordo per la “cessazione definitiva delle ostilità” tra il governo etiope e il Tigray People’s Liberation Front (TPLF).
- In un messaggio diffuso alla chiusura dell’Assemblea ordinaria annuale il 22 dicembre, i Vescovi etiopi hanno esortato tutte le parti interessate a continuare a lavorare “diligentemente” per una pace praticabile e duratura nel Paese.
- Fana Broadcasting Corporation (FBC) ha riferito che 682 migranti etiopi sono tornati a casa ieri dall’Arabia Saudita.
- Dal capodanno etiope (11 settembre), un totale di 18.962 etiopi sono stati rimpatriati dall’Arabia Saudita, secondo il ministero etiope delle donne e degli affari sociali, aggiunge FBC.
- Ieri, l’esplosione di una bomba ha ucciso una persona e ferito tre persone nella città etiope di Adama, in particolare presso l’hotel Gudissa della sottocittà di Bole, secondo l’ufficio di comunicazione della regione di Oromia.
- Secondo quanto riferito, la polizia sta svolgendo indagini sui sospetti arrestati.
Situazione internazionale (al 28 dicembre)
- Il Fondo monetario internazionale afferma che l’accordo di pace tra il governo etiope e il TPLF potrebbe migliorare le attività economiche di Gibuti, invertendo il declino dell’attività portuale.
- L’ex inviato del Corno degli Stati Uniti Jeffrey Feltman scrive che “sulla base della storia del tentativo di Isaias di destabilizzare i suoi vicini, si può concludere che vuole anche impedire il riemergere di un’Etiopia stabile che domina l’ambiente politico e di sicurezza del Corno d’Africa”.
- Feltman sottolinea che gli Emirati Arabi Uniti ospitano la Red Sea Trading Corporation (RSTC) che è sanzionata da Stati Uniti e UE in quanto canale per attività illegali e criminali e supporto alla guerra. L’RSTC è la più grande struttura offshore su cui Isaias fa affidamento per le importazioni e le esportazioni, comprese le armi.
Link di interesse
- https://www.theeastafrican.co.ke/tea/news/rest-of-africa/ethiopia-tigray-discuss-withdrawal-of-eritrea-forces-4067260
- Ethiopian chief of staff visits Turkey on military cooperation
- Ethiopian Bishops applaud peace agreement for Tigray
- Explosion at Adama city in Ethiopia kills one and injures others
- Almost 19000 Ethiopian migrants return home from Saudi Arabia in less than four months
- Ethiopia’s truce agreement forecasted to spring Djibouti economic activities
- https://reader.foreignaffairs.com/2022/12/26/ethiopias-hard-road-to-peace/content.html
Errore della sinistra è definire “islamofobia” ogni critica al radicalismo islamico
Ciò che è accaduto nel Parlamento europeo dipende da gruppi privi del senso della politica e della storia che orienta le scelte delle autentiche classi dirigenti
Diceva Mark Twain che non conviene fare un uso eccessivo della morale nei giorni feriali: si rischia di ritrovarsela tutta stropicciata la domenica. È una regola della politica quella secondo cui, se ci si trova con le spalle al muro, la mossa più conveniente consiste nel «buttarla in morale», ridurre tutto a una faccenda di «mariuoli». Evitando così di parlare delle precondizioni politiche che spiegano l’esistenza del mariuolo.
In che contesto politico si inserisce il Qatargate, questa faccenda di mariuoli e Stati corruttori? Il contesto è dato dall’ambiguo rapporto fra settori della sinistra europea e il fondamentalismo islamico. Il riferimento qui non è, ovviamente, alla sua ala combattente. Ma a quelle forme di fondamentalismo che non fanno ricorso alle armi ma che tuttavia, a causa del loro spirito anti occidentale, sono comunque per noi assai insidiose. Quando in Europa si parla male del Qatar ci si riferisce ai diritti umani violati dall’emirato a casa propria. Ma in gioco c’è di più. Il Qatar, con le sue ricchezze, è uno dei più importanti sponsorizzatori della penetrazione del fondamentalismo nel mondo islamico e nelle comunità musulmane in Europa. Tramite al-Jazeera, l’emittente televisiva più popolare di lingua araba, finanziata dallo Stato, e tramite il sostegno finanziario e organizzativo a gruppi fondamentalisti, il piccolo Qatar è ormai da anni un centro di influenza internazionale di prima grandezza.
Anche se non sapevano della corruzione, i dirigenti del Pd e il gruppo socialista europeo sapevano che Panzeri e soci erano stretti collaboratori sia del Qatar che di altri centri di potere del Medio Oriente, i cui valori sono incompatibili con quelli della civiltà europea. Ma, prima che esplodesse lo scandalo, non hanno mai avuto nulla da obiettare. Da dove deriva questa indulgenza nei confronti di regimi e movimenti apertamente ostili alla civiltà occidentale? Quell’indulgenza può stupire solo chi non si è reso conto dei mutamenti intervenuti nelle forze politiche europee e nel loro retroterra intellettuale dopo il tramonto delle ideologie otto-novecentesche. Se a destra si è imposto il neonazionalismo, una reazione difensiva nei confronti della accresciuta interdipendenza internazionale e delle sue conseguenze sociali, la sinistra ha preso un’altra strada, ha riempito di nuovi contenuti la sua antica alleanza con i chierici, con l’intellighenzia.
Un tempo, a cementare quell’alleanza, erano i miti connessi al ruolo della classe operaia, della lotta di classe, dell’utopia socialista variamente declinata. Persino il partito laburista britannico aveva allora, fra i suoi scopi statutariamente definiti, la statalizzazione dei mezzi di produzione. Andato in cenere quel mondo con che cosa si potevano sostituire gli antichi miti? Come tenere in piedi l’alleanza fra sinistra politica e chierici? La scelta è stata di dare vita a varianti del catch-all party , a partiti pigliatutto. Organizzazioni che tutelano una pluralità di interessi ma anche agenzie dedite alla promozione di diritti: qualunque diritto (o supposto tale), purché rivendicato da una minoranza.
Tramontato il socialismo, una vaga e indefinita ideologia progressista è ora la ragione sociale dei partiti pigliatutto della sinistra. Con due conseguenze. La prima è che il progressismo è un surrogato debole del socialismo, fatica a entrare in sintonia con le richieste delle maggioranze. Proprio per questo, nel tentativo di vincere le recenti elezioni, o di contenere le perdite, il partito socialdemocratico svedese ha dovuto assumere una posizione molto dura sull’immigrazione. La seconda conseguenza è che vengono messe insieme cose che fanno a pugni fra loro. Come il sostegno al movimento Lgbt e, per l’appunto, l’indulgenza verso il fondamentalismo islamico. Di quella indulgenza le prove sono tante. Si pensi alla copertura data per anni dai socialisti belgi e dalla sinistra francese alla islamizzazione (nel segno dell’islamismo radicale) di interi quartieri delle città belghe e francesi.
In Italia, se si va a spulciare fra gli eletti dei partiti di sinistra in ambito locale, qua e là si scopre la presenza di fondamentalisti. C’è una parte della sinistra che definisce «islamofobo» qualunque discorso che metta in guardia contro il radicalismo islamico. Ma poiché il termine islamofobia è stato inventato da islamici fondamentalisti per squalificare le critiche, che esponenti della sinistra abbiano adottato quell’espressione testimonia di un avvenuto cortocircuito culturale. Certamente, c’è anche un calcolo politico: l’indulgenza verso i più attivi (che sono spesso i più radicali) delle comunità islamiche europee dovrebbe aiutare a canalizzare voti verso la sinistra medesima. Ma conta, soprattutto, la crisi identitaria: se non sai più bene chi sei, non riesci a distinguere fra quelli con cui puoi accompagnarti e quelli con cui non devi farlo.
Vediamo, a proposito di Qatar, di chiarire bene. Una cosa sono gli accordi dettati da esigenze geo-politiche, nonché gli affari fra diversi che restano consapevoli delle loro radicali diversità – della loro incompatibilità politica – e altro sono i rapporti di stretta collaborazione che cercano di occultare quelle diversità. Prendiamo il tema dell’energia. Non possiamo più dipendere dalla Russia. Dobbiamo differenziare i fornitori. Ma molti di loro, come la Russia di Putin, non ci sono affini, sono retti da governanti che, alla luce degli standard occidentali, consideriamo tipacci. Il problema, come abbiamo ormai capito, è che non possiamo più dipendere da un solo tipaccio. Cosicché se il «tipaccio A» vuole ricattarci dobbiamo poterlo scaricare e rivolgerci al «tipaccio B». Per dire che non c’è niente di scandaloso nel fare accordi col Qatar in materia di energia. Altro è invece pretendere di annullare le differenze, stabilire «legami pericolosi» con mondi che sono dichiaratamente ostili alle libertà occidentali. La causa di ciò che è accaduto nel Parlamento europeo va ricercata nello stato confusionale di
gruppi politici culturalmente fragili, in crisi di identità, privi di quel senso della politica e della storia che orienta le scelte delle autentiche classi dirigenti. Prede perfette per chi quel senso politico possiede. E sa come sfruttare tutte le risorse che servono per la conquista delle menti e dei cuori, nelle lotte per l’egemonia.
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Il Qatar e i politici fragili
Ciò che è accaduto nel Parlamento europeo dipende da gruppi privi del senso della politica e della storia che orienta le scelte delle autentiche classi dirigenti
Diceva Mark Twain che non conviene fare un uso eccessivo della morale nei giorni feriali: si rischia di ritrovarsela tutta stropicciata la domenica. È una regola della politica quella secondo cui, se ci si trova con le spalle al muro, la mossa più conveniente consiste nel «buttarla in morale», ridurre tutto a una faccenda di «mariuoli». Evitando così di parlare delle precondizioni politiche che spiegano l’esistenza del mariuolo.
In che contesto politico si inserisce il Qatargate, questa faccenda di mariuoli e Stati corruttori? Il contesto è dato dall’ambiguo rapporto fra settori della sinistra europea e il fondamentalismo islamico. Il riferimento qui non è, ovviamente, alla sua ala combattente. Ma a quelle forme di fondamentalismo che non fanno ricorso alle armi ma che tuttavia, a causa del loro spirito anti occidentale, sono comunque per noi assai insidiose. Quando in Europa si parla male del Qatar ci si riferisce ai diritti umani violati dall’emirato a casa propria. Ma in gioco c’è di più. Il Qatar, con le sue ricchezze, è uno dei più importanti sponsorizzatori della penetrazione del fondamentalismo nel mondo islamico e nelle comunità musulmane in Europa. Tramite al-Jazeera, l’emittente televisiva più popolare di lingua araba, finanziata dallo Stato, e tramite il sostegno finanziario e organizzativo a gruppi fondamentalisti, il piccolo Qatar è ormai da anni un centro di influenza internazionale di prima grandezza.
Anche se non sapevano della corruzione, i dirigenti del Pd e il gruppo socialista europeo sapevano che Panzeri e soci erano stretti collaboratori sia del Qatar che di altri centri di potere del Medio Oriente, i cui valori sono incompatibili con quelli della civiltà europea. Ma, prima che esplodesse lo scandalo, non hanno mai avuto nulla da obiettare. Da dove deriva questa indulgenza nei confronti di regimi e movimenti apertamente ostili alla civiltà occidentale? Quell’indulgenza può stupire solo chi non si è reso conto dei mutamenti intervenuti nelle forze politiche europee e nel loro retroterra intellettuale dopo il tramonto delle ideologie otto-novecentesche. Se a destra si è imposto il neonazionalismo, una reazione difensiva nei confronti della accresciuta interdipendenza internazionale e delle sue conseguenze sociali, la sinistra ha preso un’altra strada, ha riempito di nuovi contenuti la sua antica alleanza con i chierici, con l’intellighenzia.
Un tempo, a cementare quell’alleanza, erano i miti connessi al ruolo della classe operaia, della lotta di classe, dell’utopia socialista variamente declinata. Persino il partito laburista britannico aveva allora, fra i suoi scopi statutariamente definiti, la statalizzazione dei mezzi di produzione. Andato in cenere quel mondo con che cosa si potevano sostituire gli antichi miti? Come tenere in piedi l’alleanza fra sinistra politica e chierici? La scelta è stata di dare vita a varianti del catch-all party , a partiti pigliatutto. Organizzazioni che tutelano una pluralità di interessi ma anche agenzie dedite alla promozione di diritti: qualunque diritto (o supposto tale), purché rivendicato da una minoranza.
Tramontato il socialismo, una vaga e indefinita ideologia progressista è ora la ragione sociale dei partiti pigliatutto della sinistra. Con due conseguenze. La prima è che il progressismo è un surrogato debole del socialismo, fatica a entrare in sintonia con le richieste delle maggioranze. Proprio per questo, nel tentativo di vincere le recenti elezioni, o di contenere le perdite, il partito socialdemocratico svedese ha dovuto assumere una posizione molto dura sull’immigrazione. La seconda conseguenza è che vengono messe insieme cose che fanno a pugni fra loro. Come il sostegno al movimento Lgbt e, per l’appunto, l’indulgenza verso il fondamentalismo islamico. Di quella indulgenza le prove sono tante. Si pensi alla copertura data per anni dai socialisti belgi e dalla sinistra francese alla islamizzazione (nel segno dell’islamismo radicale) di interi quartieri delle città belghe e francesi.
In Italia, se si va a spulciare fra gli eletti dei partiti di sinistra in ambito locale, qua e là si scopre la presenza di fondamentalisti. C’è una parte della sinistra che definisce «islamofobo» qualunque discorso che metta in guardia contro il radicalismo islamico. Ma poiché il termine islamofobia è stato inventato da islamici fondamentalisti per squalificare le critiche, che esponenti della sinistra abbiano adottato quell’espressione testimonia di un avvenuto cortocircuito culturale. Certamente, c’è anche un calcolo politico: l’indulgenza verso i più attivi (che sono spesso i più radicali) delle comunità islamiche europee dovrebbe aiutare a canalizzare voti verso la sinistra medesima. Ma conta, soprattutto, la crisi identitaria: se non sai più bene chi sei, non riesci a distinguere fra quelli con cui puoi accompagnarti e quelli con cui non devi farlo.
Vediamo, a proposito di Qatar, di chiarire bene. Una cosa sono gli accordi dettati da esigenze geo-politiche, nonché gli affari fra diversi che restano consapevoli delle loro radicali diversità – della loro incompatibilità politica – e altro sono i rapporti di stretta collaborazione che cercano di occultare quelle diversità. Prendiamo il tema dell’energia. Non possiamo più dipendere dalla Russia. Dobbiamo differenziare i fornitori. Ma molti di loro, come la Russia di Putin, non ci sono affini, sono retti da governanti che, alla luce degli standard occidentali, consideriamo tipacci. Il problema, come abbiamo ormai capito, è che non possiamo più dipendere da un solo tipaccio. Cosicché se il «tipaccio A» vuole ricattarci dobbiamo poterlo scaricare e rivolgerci al «tipaccio B». Per dire che non c’è niente di scandaloso nel fare accordi col Qatar in materia di energia. Altro è invece pretendere di annullare le differenze, stabilire «legami pericolosi» con mondi che sono dichiaratamente ostili alle libertà occidentali. La causa di ciò che è accaduto nel Parlamento europeo va ricercata nello stato confusionale di
gruppi politici culturalmente fragili, in crisi di identità, privi di quel senso della politica e della storia che orienta le scelte delle autentiche classi dirigenti. Prede perfette per chi quel senso politico possiede. E sa come sfruttare tutte le risorse che servono per la conquista delle menti e dei cuori, nelle lotte per l’egemonia.
L'articolo Il Qatar e i politici fragili proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
L’ipocrisia liberaldemocratica - La Città Futura
"La liberaldemocrazia occidentale, che pretende di dare lezioni di diritti, civiltà, democrazia, difesa delle minoranze a tutto il mondo, è in realtà da sempre la migliore alleata proprio dei regimi più dispotici, oscurantisti e totalitari del globo, ai quali offre il decisivo sostegno per mantenersi al potere. [...]
I diritti sociali ed economici e ogni forma di eguaglianza sostanziale sono stati sempre aspramente contrastati da tutte le sedicenti liberaldemocrazie che, di fatto, stanno progressivamente cancellando ogni traccia di democrazia sostanziale nei loro stessi sistemi. Questi ultimi si stanno sempre più trasformando da formalmente liberaldemocratici in regimi che sarebbe decisamente più appropriato definire liberal-oligarchici."
Etiopia, La Difficile Strada Verso la Pace
I problemi del Paese vanno ben oltre il Tigray
Stupri, uccisioni extragiudiziali, carestie provocate dall’uomo, negazione di assistenza e servizi medici ed espulsioni descritte dal Segretario di Stato americano Antony Blinken come “pulizia etnica” sono tra gli orrori della brutale guerra esplosa negli altopiani settentrionali dell’Etiopia nel novembre 2020. Fino a Si stima che 600.000 persone, per lo più di etnia tigrina, siano morte, la maggior parte per fame e malattie. Per quasi due anni, le potenze occidentali e regionali si sono torse le mani, ma hanno fatto ben poco per fermare la violenza o impedire la disintegrazione del secondo stato più popoloso dell’Africa.
Poi, nel novembre 2022, l’Unione africana ha fatto una svolta inaspettata, facilitando un accordo di cessate il fuoco tra il governo etiope e il Fronte di liberazione del popolo del Tigray ribelle. L’accordo e un successivo piano per la sua attuazione sono tutt’altro che perfetti e lasciano irrisolte molte spinose questioni di pace. Ancora più preoccupante, quasi ignorano il più grande potenziale spoiler. L’Eritrea, che ha combattuto a fianco del governo etiope nel Tigray, non è né parte dell’accordo né menzionata per nome nel testo. Sebbene Asmara sia stata allineata con Addis Abeba durante il conflitto, vede il TPLF come una minaccia esistenziale e potrebbe non accontentarsi di un accordo di pace che lasci l’organizzazione intatta e i suoi leader in vita.
Tuttavia, ci sono cose che i partner internazionali dell’Etiopia possono fare per sostenere l’accordo di pace e dargli le migliori possibilità di successo. Possono cercare di creare più slancio possibile per l’accordo, riunendosi per fornire un supporto unificato per la sua attuazione e usando la loro influenza limitata per dissuadere l’Eritrea e altri potenziali spoiler dal prolungare il conflitto. Accelerando gli aiuti umanitari salvavita, spingendo per un meccanismo credibile di monitoraggio e verifica e incoraggiando le parti in guerra a integrare i colloqui sull’attuazione del cessate il fuoco con un processo politico, le potenze straniere possono rafforzare quella che finora è stata una incoraggiante ma fragile offerta etiope per la pace.Un membro della milizia a Kasagita, Etiopia, febbraio 2022
Alla fine della giornata, tuttavia, il governo etiope dovrà guadagnarsi il sostegno dei suoi partner internazionali attraverso l’attuazione in buona fede dell’accordo. I parametri di riferimento che la comunità internazionale dovrebbe monitorare includono il ritiro delle truppe eritree dall’Etiopia e delle forze locali Amhara dal Tigray, l’avvio di credibili meccanismi di giustizia transitoria e di responsabilità e l’istituzione di un processo politico che si basi e protegga l’accordo di cessate il fuoco da spoiler e che affronta le tensioni e la violenza in altre parti dell’Etiopia. Solo una volta che i partner internazionali dell’Etiopia saranno convinti che Addis Abeba stia compiendo costanti progressi in queste aree, dovrebbero ripristinare tutta l’assistenza economica e allo sviluppo che avevano sospeso nelle prime fasi della guerra.
CONFLITTI A CASCATA
La guerra nel Tigray ha causato sofferenze inimmaginabili. Tutte le parti sono accusate di aver commesso crimini di guerra contro i civili, con i tigrini che sopportano il peso maggiore della violenza. Durante il conflitto, il governo etiope e le amministrazioni regionali di Afar e Amhara hanno utilizzato una varietà di mezzi per limitare severamente la consegna di cibo, medicine e servizi al Tigray, mettendo essenzialmente i sei milioni di residenti della regione sotto un assedio che sembrava violare un accordo delle Nazioni Unite Divieto del Consiglio di sicurezza di utilizzare il cibo come arma di guerra.
Il governo etiope ha anche alimentato la rabbia popolare contro il TPLF, spesso usando un linguaggio oltraggiosamente disumanizzante nei confronti di tutti i tigrini. (Milioni di etiopi già detestano il TPLF perché ha dominato il governo repressivo del paese dal 1991 fino al 2018, quando il primo ministro Abiy Ahmed è salito al potere). Con Internet e servizi energetici tagliati all’interno del Tigray, i leader del Tigray erano meno in grado di plasmare le narrazioni popolari della guerra, ma la diaspora del Tigray è entrata nel vuoto con il vetriolo incendiario contro Abiy e il suo governo.
La cosa più grave per la sicurezza interna dell’Etiopia è che l’attenzione prevalente del governo sulla guerra nel nord lo ha portato a trascurare le crescenti tensioni e la violenza in altre parti del paese, un amalgama inquieto di circa 90 gruppi etnici. Mentre l’impressionante crescita economica prebellica dell’Etiopia è rallentata sotto il peso della guerra e delle interruzioni del COVID-19, i conflitti a fuoco lento nelle regioni di Benishangul-Gumuz, Gambella e Oromia hanno iniziato a ribollire. A giugno, centinaia di civili Amhara che vivevano in Oromia sono stati massacrati in un attacco per il quale funzionari etiopi e combattenti Oromo si incolpano a vicenda.
SANZIONI VS. DRONI
Nonostante le forti dichiarazioni di alcuni paesi all’inizio della guerra, la risposta internazionale è stata poco brillante. Guidati dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, la maggior parte dei donatori occidentali ha sospeso parte dell’assistenza economica e allo sviluppo all’Etiopia nella primavera e nell’estate del 2021. E nel giugno di quell’anno, il G7 ha chiesto un accordo negoziato per porre fine alla guerra e preservare il unità dello stato etiopico. Ma anche prima che l’invasione russa dell’Ucraina iniziasse a dominare l’agenda dei leader in Nord America e in Europa, l’attenzione internazionale sull’Etiopia era insufficiente – e insufficientemente coordinata – per cambiare la traiettoria di base del conflitto.
I vicini e i partner dell’Etiopia si sono consultati frequentemente tra loro, concordando sull’imperativo della stabilità etiope. Ma divergevano sul modo migliore per aiutare. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea speravano che, insieme all’assistenza umanitaria di emergenza, misure punitive come la minaccia di sanzioni e il rifiuto degli aiuti allo sviluppo avrebbero fermato le atrocità e spostato le parti dal campo di battaglia al tavolo dei negoziati. Ma la Cina, la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno raddoppiato il proprio sostegno ad Abiy, fornendo al suo governo supporto militare, inclusi sofisticati droni. Con l’eccezione dell’Eritrea, che è profondamente coinvolta nella guerra, i paesi africani per lo più guardavano e si preoccupavano. I tre membri africani di turno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – apparentemente per volere dell’Etiopia – sono riusciti in gran parte a tenere la guerra nel Tigray fuori dai dibattiti del consiglio, nonostante la minaccia che rappresentava per la pace e la sicurezza internazionali. La stessa Unione Africana, con sede ad Addis Abeba, è rimasta per lo più zitta, presumibilmente per evitare di infastidire il suo ospite.
A quasi dieci mesi dall’inizio del conflitto, l’Unione africana ha finalmente nominato l’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo Alto rappresentante per il Corno d’Africa, creando l’apparenza di solidarietà regionale e internazionale mentre i leader mondiali si affrettavano a impegnarsi a sostenere un processo di pace guidato dall’UA. Ma le divisioni su come coinvolgere le parti (e soprattutto su come trattare con l’Eritrea) sono rimaste, con i partner dell’Etiopia divisi sul fatto che spingere Abiy o assecondarlo sarebbe stato il modo più efficace per risolvere il conflitto.
Alla fine, sono stati gli eventi sul campo a creare un’apertura per i colloqui e un’opportunità per la pace. Entrambe le parti sembravano avere il vantaggio in vari punti, ma all’inizio del 2022 è emersa una difficile situazione di stallo che con la facilitazione americana si è evoluta in una fragile tregua di cinque mesi. Quella tregua è crollata alla fine di agosto, con il governo che ha incolpato il TPLF per aver attaccato le posizioni del governo vicino al confine regionale tra Amhara e Tigray e gli abitanti del Tigray accusando il governo di fare marcia indietro sugli impegni per ripristinare i servizi di base nel Tigray dopo un blackout di 20 mesi. Entro la metà di ottobre 2022, le forze etiopi ed eritree, così come le milizie amhara alleate, avevano invaso le linee difensive del Tigray nella città strategicamente importante di Shire nel Tigray centrale, aprendo la strada a quella che avrebbe potuto essere una marcia della terra bruciata sulle città e sui paesi del Tigray, inclusa la capitale regionale di Mekelle. Abiy avrebbe goduto di un ampio sostegno popolare per una tale campagna. E sebbene fossero a corto di rifornimenti, i combattenti tigrini avrebbero potuto ritirarsi sulle montagne per perseguire un’insurrezione di guerriglia. Invece, entrambe le parti hanno battuto le palpebre, fermando lo spargimento di sangue e accettando l’invito dell’Unione Africana a partecipare ai colloqui di pace a Pretoria, in Sudafrica.
AVVISO SPOILER
Entrando nei colloqui di pace a Pretoria, il governo etiope era in una posizione militare molto più forte rispetto al TPLF. Non a caso, l’accordo che le due parti hanno raggiunto lì il 2 novembre pende a favore di Addis Abeba, prevedendo il ripristino dell’autorità federale etiope nel Tigray e lo scioglimento dell’amministrazione del TPLF. L’accordo presenta difetti, tra cui un calendario iniziale eccessivamente ambizioso per il disarmo del TPLF, processi di monitoraggio e segnalazione inadeguati, mancanza di chiarezza sulla responsabilità e, cosa più grave, silenzio sull’Eritrea, ad eccezione di un vago divieto di “collusione con qualsiasi forza esterna ostile a entrambe le parti”. Indipendentemente da queste imperfezioni, gli etiopi meritano il merito di aver accettato di porre fine allo spargimento di sangue.
Le due parti hanno anche adottato misure per affrontare alcune delle carenze dell’accordo. Meno di una settimana dopo la firma dell’accordo di Pretoria, alti comandanti militari etiopi e tigrini si sono incontrati nella capitale keniota di Nairobi per elaborare un piano di attuazione. Riconoscendo i timori del Tigray di essere lasciati indifesi contro le truppe eritree ostili e i membri della milizia Amhara ancora presenti nel Tigray, hanno specificato in una dichiarazione rilasciata il 12 novembre che le forze del Tigray devono disarmarsi nello stesso momento in cui le forze federali straniere e non etiopi si ritirano dal regione. I comandanti militari hanno continuato i loro colloqui a Nairobi alla fine di dicembre, con l’agevolazione dell’UA, del Kenya, degli Stati Uniti e della regione, e ci sono indicazioni che i negoziati stiano andando bene.
Ma il potenziale problema posto dall’Eritrea rimane. Mentre quasi tutti i partner dell’Etiopia hanno elogiato gli accordi di Pretoria e Nairobi, l’Eritrea è rimasta in silenzio. In teoria, il disarmo del TPLF dovrebbe incentivare il presidente eritreo Isais Afwerki a ordinare alle sue truppe di tornare a casa. Ma in pratica, potrebbe non essere sufficiente. Il governo di Afwerki ha combattuto una sanguinosa guerra contro il governo etiope dominato dal TPLF dal 1998 al 2000, apparentemente per una disputa sui confini, ma più fondamentalmente sul fatto che Afwerki o il TPLF, un tempo alleati diventati acerrimi nemici, avrebbero dominato il Corno d’Africa. Afwerki potrebbe temere che anche un TPLF disarmato possa un giorno risorgere e minacciare il suo regime. Per questo motivo, potrebbe voler sconfiggere militarmente l’organizzazione se non sterminarla, non solo assicurare lo scioglimento formale della sua amministrazione Mekelle, come afferma l’accordo di Pretoria.
Abiy ha assicurato a me e ad altri che può gestire gli eritrei, fino ad espellerli militarmente dal Tigray se necessario. Ma la fiducia del primo ministro etiope sembra sganciata dalla realtà. Anche se Afwerki ritirasse le truppe eritree dal Tigray, manterrebbe altri metodi per interferire in Etiopia. Tra i delegati etiopi che Asmara ha coltivato ci sono le milizie Amhara dalla linea dura che condividono l’odio di Afwerki per i Tigray e che potrebbero essere persuase a violare il loro obbligo previsto dalla dichiarazione di Nairobi di ritirarsi dalle parti del Tigray che attualmente rivendicano e controllano.
Afwerki sembra impermeabile alla solita serie di incentivi e disincentivi.
Inoltre, Afwerki mira a fare di più che eliminare semplicemente la minaccia del TPLF all’Eritrea. Basandosi sui tentativi di Afwerki di destabilizzare i suoi vicini, si può concludere che vuole anche impedire il riemergere di un’Etiopia stabile che domina l’ambiente politico e di sicurezza del Corno d’Africa, come ha fatto sotto il primo ministro Meles Zenawi, il pesante leader del TPLF che ha governato dal 1991 fino alla sua morte nel 2012. Interferendo in Gibuti, Etiopia, Somalia e Sudan, Afwerki cerca di diventare l’egemone regionale.
A peggiorare le cose, Afwerki sembra impermeabile alla solita serie di incentivi e disincentivi. Respinge come ostilità occidentale la diffusa condanna del suo regime oppressivo. Le sanzioni imposte dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, inclusa la Red Sea Trading Corporation (RSTC), il principale canale di Afwerki per il riciclaggio di armi e denaro, non hanno avuto alcun impatto percettibile sulla sua ingerenza esterna. Le promesse di maggiori aiuti umanitari e allo sviluppo non lo interessano perché disprezza i suoi stessi cittadini. La costa del Mar Rosso dell’Eritrea e il patrimonio architettonico di Asmara potrebbero essere dei magneti per gli investimenti e il turismo. Ma proprio come il leader nordcoreano Kim Jong Un non è stato tentato dall’offerta del presidente degli Stati Uniti Donald Trump nel 2018 di scambiare le ambizioni nucleari con gli hotel, Afwerki non è interessato allo sviluppo del settore privato che potrebbe minacciare la sua presa sul potere. Spogliare l’Eritrea del suo assurdo seggio nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite aumenterebbe la credibilità del consiglio, ma è improbabile che cambi il comportamento di Afwerki.
Ma i vicini dell’Eritrea hanno una certa influenza su Afwerki, anche se spesso affermano il contrario. Gli Emirati Arabi Uniti ospitano la più grande struttura offshore dell’RSTC, su cui Afwerki fa affidamento per le importazioni e le esportazioni, comprese quelle di armi. Semplicemente ponendo domande sulle attività dell’RSTC, gli Emirati Arabi Uniti potrebbero cambiare il calcolo di Afwerki. L’Arabia Saudita, che ha ospitato lo storico accordo di pace tra Eritrea ed Etiopia nel 2018, potrebbe anche collegare il suo sostegno ad Afwerki al suo comportamento nei confronti dell’Etiopia. Negli ultimi anni, Riyadh si è riavvicinata al leader eritreo, in parte per impedirgli di riprendere la sua amicizia di un tempo con l’Iran. Ma fare in modo che uno dei due paesi del Golfo eserciti la sua influenza su Afwerki richiederebbe probabilmente una spinta da parte degli Stati Uniti, e tenere a freno l’Eritrea potrebbe non essere una priorità nella già fitta agenda bilaterale USA-Golfo.
Tuttavia, la comunità internazionale ha un’altra fonte di influenza. Dopo il riavvicinamento del 2018 tra Eritrea ed Etiopia, per il quale Abiy ha ricevuto il premio Nobel per la pace, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha revocato le sanzioni contro l’Eritrea, rimuovendo un embargo sulle armi, nonché divieti di viaggio e congelamento dei beni nei confronti di alti funzionari eritrei. Per quanto indifferente alle sanzioni bilaterali statunitensi o europee, è improbabile che Afwerki voglia rischiare il ripristino delle sanzioni universali del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che gli richiedono di orchestrare soluzioni più complicate per soddisfare i bisogni fondamentali dell’Eritrea.
FINALMENTE UNITÀ
Data la loro influenza limitata su Afwerki, i paesi e le istituzioni che sono preoccupati per il potenziale dell’Eritrea di rovinare il processo di pace nel Tigray potrebbero prendere in considerazione un approccio incentrato sull’Etiopia: potrebbero aiutare sia il governo etiopico che i tigrini a creare quanto più slancio il più rapidamente possibile per il processo di Pretoria guidato dall’UA, anche attraverso la fornitura accelerata di assistenza umanitaria salvavita e il ripristino dei servizi di base.
Afwerki dovrebbe vedere che la comunità internazionale, così divisa nella sua reazione alla guerra, è unita dietro la decisione degli etiopi di creare le condizioni per una cessazione definitiva delle ostilità. La solidarietà internazionale – tra le fazioni in guerra dell’Etiopia, i paesi dell’Africa e del Golfo, gli stati occidentali e altre parti interessate – potrebbe dissuaderlo dal continuare a immischiarsi in Etiopia, soprattutto perché si fa beffe di un consenso quasi universale a favore del disarmo, smobilitazione e reintegrazione di I combattenti tigrini potrebbero ravvivare la sua reputazione di paria internazionale e persino invitare alla reimposizione delle sanzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Un modo per promuovere l’unità all’interno del Corno d’Africa sarebbe rafforzare l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD), un raggruppamento regionale di stati dell’Africa orientale che l’Eritrea ha a lungo ignorato o ha cercato di indebolire. Sebbene i poteri dell’IGAD siano limitati, renderlo più capace e rispondente ai bisogni e alle aspirazioni dei cittadini del Corno d’Africa sarebbe un rimprovero alla repressione interna di Afwerki e un passo verso una più profonda cooperazione regionale. Inoltre, risolvere le divergenze tra Etiopia, Egitto e Sudan sulla controversa diga Grand Ethiopian Renaissance dell’Etiopia darebbe ad Afwerki meno divisioni regionali da sfruttare.
Anche con un sostegno internazionale unificato per gli accordi etiopi, sorgeranno inevitabilmente problemi di interpretazione e sequenza. Le scadenze saranno perse. Gli aspiranti spoiler oltre all’Eritrea, compresi gli Amhara della linea dura e persino i militanti di al Shabab, staranno attenti alle aperture. I partner esterni dell’Etiopia possono aiutare a prevenire il crollo del processo di pace mantenendo gli etiopi concentrati sui benefici politici ed economici che verranno con la pace.
C’è ancora il rischio che l’Etiopia possa disintegrarsi.
È probabile che la smobilitazione e il disarmo del TPLF riceveranno ampio controllo e sostegno dagli etiopi al di fuori del Tigray, ma che il processo molto meno popolare di reintegrazione degli ex combattenti sarà trascurato, angosciando i Tigray. Addis Abeba dovrà resistere all’uso dell’accordo di Pretoria come pretesto per imporre un’occupazione militare ostile e la “pace del vincitore” alla martoriata popolazione del Tigray. In definitiva, un processo politico dovrà anche affrontare l’esplosiva questione a somma zero del territorio rivendicato sia da Amhara che da Tigray, a cui si fa riferimento solo in modo ellittico a Pretoria. In queste aree contese, il ritiro dei combattenti amhara ed eritrei e il ritorno dei tigrini espulsi saranno politicamente difficili per Abiy. Eppure, nonostante tali sfide incombenti, i segnali finora sono incoraggianti. Sono iniziati i lavori per ripristinare le utenze nel Tigray, le consegne umanitarie sono aumentate e le due parti hanno mantenuto contatti costruttivi. La cessazione delle ostilità regge.
Secondo i partecipanti ai colloqui di Nairobi, il governo etiope ei negoziatori del TPLF che stanno ora lavorando su termini di riferimento per una squadra di monitoraggio e verifica del cessate il fuoco hanno lasciato la porta aperta alle Nazioni Unite e ad altre competenze. Se è vero, tale ricettività è incoraggiante e insolita per un paese che è orgoglioso di tenere gli stranieri in generale e le Nazioni Unite in particolare a debita distanza. Il team di monitoraggio e verifica avrà solo dieci membri, secondo i termini dell’accordo di Pretoria, il che significa che non sarà in grado di coprire un terreno sufficiente per dare a ciascuna parte totale fiducia nella conformità dell’altra. Ma le competenze delle Nazioni Unite e di altri luoghi possono contribuire a rendere il team il più credibile possibile come meccanismo di costruzione della fiducia.
Sia l’accordo di Pretoria che la dichiarazione di Nairobi tacciono sul ruolo dei partner esterni, anche se il governo etiopico si aspetta una rapida ripresa dell’assistenza allo sviluppo da parte di Stati Uniti, Unione Europea, Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, nonché finanziamento per la ricostruzione. Mentre aumentano l’assistenza umanitaria per gli etiopi colpiti dalla guerra e da una storica siccità, i donatori dovranno bilanciare la necessità di sostenere l’attuazione dell’accordo di pace con la necessità di vincolare alcuni finanziamenti ai progressi su questioni difficili come la responsabilità per l’umanità violazioni dei diritti. La piena ripresa dell’assistenza finanziaria e allo sviluppo dovrebbe essere subordinata alla situazione in Etiopia nel suo insieme, non solo nel Tigray o alle relazioni tra il governo etiope e il TPLF.
C’è ancora il rischio che l’Etiopia possa disintegrarsi.
Man mano che procede l’attuazione degli accordi di Pretoria e Nairobi, i partner dell’Etiopia dovrebbero incoraggiare il governo federale a sviluppare un processo nazionale credibile e inclusivo per risolvere le tensioni che stanno sorgendo in altre parti del paese, inclusa l’Oromia. Questioni politiche di base come come calibrare l’equilibrio di potere tra le autorità federali e regionali – uno dei fattori scatenanti della guerra nel Tigray – devono essere affrontate in modo pacifico e inclusivo da tutti gli etiopi. Più l’Etiopia diventa unificata, meno estranei intriganti saranno in grado di sfruttare le sue divisioni.
Nel corso della sua lunga storia, l’Etiopia ha sopportato numerosi attacchi di orribili violenze etniche che in genere si sono concluse quando una parte ha definitivamente sconfitto l’altra. Nonostante le atrocità degli ultimi due anni, Abiy e i tigrini stanno tentando qualcosa di diverso: un disarmo negoziato, una smobilitazione e una riconciliazione per consolidare il loro dichiarato desiderio di una cessazione permanente delle ostilità. Tuttavia, come dimostra l’escalation della violenza in Oromia, c’è ancora il rischio che l’Etiopia possa disintegrarsi, un risultato che avrebbe conseguenze devastanti per gli etiopi e i loro vicini e colpirebbe paesi di tutto il mondo.
Gli etiopi hanno la responsabilità primaria di attuare l’accordo di cessate il fuoco e stabilire un processo politico in grado di contrastare le forze centrifughe che minacciano di disgregare il paese. Ma i vicini ei partner dell’Etiopia hanno interesse al successo di questi processi e dovranno rimanere più coinvolti di quanto Addis Abeba possa desiderare, specialmente se l’Eritrea interferisse. I leader africani citano spesso il principio delle “soluzioni africane per i problemi africani”, ma la verità è che i problemi africani possono influenzare gli interessi dei paesi oltre il continente. Nel caso dell’Etiopia, forse il messaggio all’Unione africana dovrebbe essere che, mentre le soluzioni dovrebbero essere africane, il loro sostegno non dovrebbe essere esclusivamente tale.
Autore: JEFFREY FELTMAN è Visiting Fellow presso la Brookings Institution e Senior Fellow presso la United Nations Foundation. In precedenza ha servito come inviato speciale degli Stati Uniti per il Corno d’Africa.
FONTE: foreignaffairs.com/ethiopia/et…
Austerità sociale e ambiguità politica - Contropiano
"Il punto vero è che separare i diritti civili da quelli sociali è stata una trappola nella quale si è fatto cadere il senso comune, lasciando a intendere che certi diritti siano un di più, l’importante è il reddito, per ricevere il quale ogni condizione di lavoro è accettabile, come fosse un dovere categorico."
I coloni si appropriano di terreni palestinesi nel nord della Valle del Giordano | Infopal
"Fonti locali hanno riferito che i coloni hanno recintato con filo spinato un terreno palestinese dedicato al pascolo a est dell’area di al-Farisiya come preludio alla sua confisca."
#uncaffèconluigieinaudi ☕ – Unico limite alle libertà fondamentali
Unico limite alle libertà fondamentali è il pericolo di giovare al nemico, che quelle libertà vuole distruggere
da Maior et sanior pars, in “Idea”, gennaio 1945
L'articolo #uncaffèconluigieinaudi ☕ – Unico limite alle libertà fondamentali proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Ninna nanna di Maria
Testo e musica: Luca AllulliVoce: Serena CaporuscioPianoforte: Giampiero MontiChitarra: Luca AllulliYouTube
✨ Il Ministero dell’Istruzione e del Merito augura a tutte e a tutti buone feste!
Qui il messaggio del Ministro Giuseppe Valditara ▶ miur.gov.it/web/guest/-/messag…
Ministero dell'Istruzione
✨ Il Ministero dell’Istruzione e del Merito augura a tutte e a tutti buone feste! Qui il messaggio del Ministro Giuseppe Valditara ▶ https://www.miur.gov.it/web/guest/-/messaggio-di-natale-del-ministro-dell-istruzione-e-del-meritoTelegram
Ho letto una caratteristica di #GrapheneOS che trovo meravigliosa: quella di poter impostare dei profili utente isolati.
Per me sarebbe la soluzione perfetta per avere un solo device e separare le app che sono costretto a tenere per lavoro (WA, voip aziendale, Teams) in un profilo, mantenendo l'altro pulito e senza servizi Google.
Purtroppo questo significa dover acquistare un Pixel dal 6 in su, i cui prezzi del ricondizionato sono tristemente vicini al nuovo.
Mi chiedevo: si tratta di una caratteristica esclusiva o ci sono altri OS #android che permettono di ottenere uno scenario simile?
Twitter Files, depistaggi politici e psy-ops
In queste settimane numerosi giornalisti sono alle prese con documenti e comunicazioni riservate di Twitter diffusi da Elon Musk. Li chiamano “Twitter Files”.
I primi cinque Twitter Files hanno rivelato i meccanismi interni alla moderazione di Twitter, tra manager politicizzati con deliri di onnipotenza e interferenze da parte dell’intelligence. Oggi scaveremo ancora un po’ nella tana del bianconiglio, per portare allo scoperto le attività di censura, manipolazione e propaganda politica da parte dell’FBI e del Pentagono — con la collaborazione di Twitter.
Se non sai di cosa sto parlando ti consiglio di leggere prima qui:
Twitter Files, una sintesi
Nelle scorse settimane Elon Musk ha distribuito ad alcuni giornalisti migliaia di documenti e comunicazioni riservate di Twitter. L’analisi di questi documenti ha dato vita a un piccolo cataclisma. Le prime notizie che arrivano dai “Twitter Files” raccontano di…
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7 days ago · 12 likes · 2 comments · Matte Galt
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Ancora sul laptop di Hunter Biden
Nel primo articolo dedicato ai Twitter Files abbiamo visto come nel 2020 Twitter abbia censurato a tutto spiano ogni notizia relativa al contenuto del laptop abbandonato di Hunter Biden (figlio di Joe Biden) e di come abbiano anche shadowbannato e sospeso diverse persone che osavano parlarne sul social network.
Ciò che non traspariva pienamente era il ruolo attivo dell’intelligence — in particolare dell’FBI — in tutta questa vicenda.
La storia per l’FBI, come racconta Michael Shellenberger, inizia a dicembre 2019 — quando il proprietario di un negozio di riparazione di computer del Delaware (J.P. Mac Isaac) comunicò all’agenzia federale di avere ricevuto un laptop di proprietà di Hunter Biden. Nel laptop, a suo dire, c’erano delle informazioni che potevano dimostrare l’esistenza di alcuni reati commessi da Hunter Biden. Passarono alcuni giorni e Mac Isaac venne chiamato a comparire per consegnare il laptop nelle mani dell’FBI.
Passarono i mesi e non accadde nulla. Così Mac Isaac decise ad agosto 2020 di inviare una email a Rudy Giuliani (politico repubblicano ed ex sindaco di New York) per spiegare tutta la faccenda e informarlo dei suoi sospetti sul contenuto del laptop.
Tenete presente che a novembre 2020 si sarebbero tenute le elezioni presidenziali. Una storia che raccontava di possibili reati legati a Biden sarebbe stata una pistola fumante per i repubblicani contro la campagna elettorale di Biden. Fu probabilmente per questo che Rudy Giuliani decise di spifferare tutto al New York Post.
Il 14 ottobre 2020 il New York Post pubblicò la storia. Come sappiamo, nel giro di poche ore, Twitter avviò una penetrante opera di censura, giustificata con la scusa della diffusione di possibile materiale “hackerato”.
Ma perché mai Twitter avrebbe dovuto pensare che le notizie sul laptop di Hunter Biden fossero collegate ad operazioni di hacking? Non c’era nulla che lo lasciasse presumere. E come facevano ad essere così preparati a censurare una storia che apparentemente non aveva violato alcuna policy?
Twitter, succursale dell’FBI
Una spiegazione plausibile è che i team di moderazione di Twitter fossero stati preparati e indotti ad agire in quel modo. Ma da chi? Beh, dall’FBI.
I Twitter Files mostrano infatti che già dai primi mesi del 2020, dopo aver preso possesso del laptop, l’FBI avviò una serie di incontri con Twitter per discutere del rischio di possibili campagne di “hack and dump” che avrebbero potuto essere realizzate dai russi a ridosso delle elezioni.
In realtà, come racconta Michael Shellenberger e come affermato anche da Twitter in vari comunicati, nel 2020 ci furono ben poche attività legate ad “interferenze russe”.
Nonostante tutto, l’FBI continuò per tutto l’anno un’opera di persuasione sui rischi di un possibile “hack and dump”. Fu ad agosto 2020 che l’FBI contattò nuovamente Twitter, attraverso Yoel Roth, condividendo alcuni documenti riservati che indicavano il rischio di possibili future attività di “hack and dump” del collettivo hacker russo APT28. Il mese successivo, lo stesso Yoel Roth partecipò a un’esercitazione organizzata dall’Aspen Institute su un possibile scenario di “hack and dump” riguardante proprio Hunter Biden e Joe Biden.
Sempre in quel periodo, a settembre 2020 — un mese prima dello scoop del New York Post — Yoel Roth e Elvis Chan (agente FBI) crearono un network cifrato per le comunicazioni tra Twitter e l’FBI e una “virtual war room” — come se fossero in preparazione per una vera emergenza.
E in effetti erano ben preparati. In poche ore Twitter fu in grado di censurare sistematicamente ogni notizia riguardante il contenuto del laptop di Hunter Biden. Eppure… di hacker russi non c’era traccia, così come non c’era traccia di violazioni.
Lo disse chiaramente Roth in una comunicazione interna: “it isn’t clearly violative of our Hacked Materials Policy, nor is it clearly in violation of anything else, but this feels a lot like a somewhat subtle leak operation” e le confermano anche le seguenti comunicazioni interne:
Nonostante questo, le pressioni e le influenze dell’FBI avevano colpito nel segno e raggiunto il loro obiettivo. Forse, anche grazie ai numerosi ex-agenti e consulenti dell’intelligence che in quel periodo lavoravano dentro Twitter. Come ad esempio Dawn Burton, ex capo dello staff del Direttore dell’FBI James Comey (2013-2017) e assunto da Twitter nel 2019 come “Director of Strategy”.
O forse, grazie ai $3.4 milioni di dollari che l’FBI ha pagato a Twitter per i suoi servizi da fine 2019 a inizio 2021.
Il depistaggio politico dell’FBI
A questo punto vale la pena ripercorrere brevemente i fatti, per capire meglio la gravità di questi eventi:
- L’FBI prese possesso del laptop di Hunter Biden già nel 2019 — un anno prima che uscisse la storia sul NY Post
- L’FBI conosceva i contenuti del laptop e sapeva che Rudy Giuliani aveva passato le informazioni al NY Post, poiché era sotto sorveglianza
- L’FBI sapeva che il contenuto del laptop era reale e che non aveva nulla a che fare con propaganda e o hacker russi, ma nonostante questo spinsero Twitter a censurare i contenuti sotto il falso pretesto dell’influenza russa nelle elezioni
- L’FBI pagò Twitter più di 3 milioni di dollari da fine 2019 a inizio 2021
- Nel 2020 Hunter Biden era oggetto di indagini da parte dei senatori repubblicani Grassley e Johnson
Insomma, è molto probabile che, come affermato anche da Michael Shellenberger, l’attività dell’FBI fosse un vero e proprio depistaggio politico — una campagna di disinformazione per screditare politicamente i contenuti del laptop di Hunter Biden, che sarebbero usciti, e che avevano il potere di affossare Joe Biden durante le elezioni.
A tutti gli effetti, l’FBI potrebbe aver agito come strumento di censura e disinformazione politica con l’aiuto (a caro prezzo) di Twitter — proprio quelle cose da cui i legislatori di tutto il mondo cercano di proteggerci, togliendoci libertà di parola.
Michael Shellenberger scriveva due giorni fa: “At this point, members of Congress should be extremely concerned that FBI is engaged in a cover-up. There needs to be an aggressive investigation of the apparent politicization of the FBI by Congress, and perhaps even a Special Counsel in the DoJ to investigate what happened”.
L’FBI non ha mancato di rispondere alle accuse, con un eccellente esempio di gaslighting:
Cari lettori, siamo certamente un branco di complottisti senza cervello.
Twitter, arma per le psy-ops militari
Se la censura e disinformazione politica dell’FBI non vi basta, continuiamo con il Twitter Files numero 8, di Lee Fang (20 dicembre).
Il thread di Lee approfondisce il ruolo e l’acquiescienza di Twitter nelle “psy-op” (operazioni per influenzare psicologicamente l’opinione delle masse) portate avanti dal Pentagono. Per anni Twitter ha dichiarato di combattere le campagne di propaganda di stato sulla piattaforma, salvo scoprire che erano loro stessi a supportarle.
Le prime avvisaglie di questa particolare partnership arrivano nel 2017, quando il CENTCOM (Comando combattente unificato delle forze armate degli Stati Uniti) inviò a Twitter una lista di 52 account di lingua araba che sarebbero stati usati per “amplificare certi messaggi”.
Gli ufficiali chiesero a Twitter di verificare gli account fake (spunta blu) e di “whitelistarli”.
Il “whitelisting”, da quello che ho capito, è sostanzialmente uno shadowban al contrario: gli account whitelisted sono immuni da attività di moderazione (immagino anche automatizzata) e hanno più visibilità degli accout normali. Gli account whitelisted furono usati, pare, per generare news e meme capaci di influenzare l’opinione pubblica in Yemen, Syria, Iraq, Kuwait e molti altri paesi.
Molti di questi account furono usati per promuovere la guerra in Yemen — una guerra che ha portato alla morte di migliaia di civili e distrutto la vita a milioni di persone.
Ad esempio, uno di questi era l’account @yemencurrent, che veniva usato per diffondere notizie sugli attacchi droni da parte degli Stati Uniti, enfatizzando la precisione degli attacchi aerei, capaci di risparmiare i civili e ammazzare soltanto “terroristi” con grande accuratezza.
Diverse comunicazioni interne mostrano che i manager di alto livello di Twitter sapevano dell’esistenza di questo vasto network di account fake usati per operazioni di manipolazione e propaganda dal Department of Defense, ma scelsero di chiudere un occhio — evitando così di sospenderli. Alcuni di questi account erano ancora attivi fino a pochi mesi fa.
Noi e loro
Mentre i nostri governi ci avvertivano dei pericoli della propaganda russa e cinese; mentre censuravano fonti d’informazione con la scusa della guerra e del covid; mentre promuovevano leggi liberticide contro la “disinformazione” come il Digital Services Act… mentre facevano tutto questo per noi — loro facevano l’esatto opposto: disinformazione, censura politica e propaganda per manipolare l’opinione pubblica.
La speranza è che i Twitter Files possano essere uno spunto per riflettere sugli enormi pericoli che arrivano proprio dalla manipolazione psicologica violenta e subdola dei nostri governi, sempre più “grandi” e sempre più lontani dallo scrutinio dei cittadini. Com’è possibile che un’agenzia come l’FBI possa essere usata così spudoratamente per fini politici? In quali altre occasioni è accaduta la stessa cosa?
Ancora una volta i fatti dimostrano che la “lotta alla disinformazione” non è altro che una lotta per il controllo dell’informazione e per la manipolazione delle masse. D’altronde, è così che i governi di tutto il mondo riescono a sopravvivere.
Ministero dell'Istruzione
Il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha firmato il decreto che approva le Linee guida per l’orientamento, riforma prevista dal #PNRR.Telegram
strano bug in Firefox - post lungo
Nei miei pc uso #firefox installato via #Flatpak, per un paio di motivi: mi piace avere sempre l'ultima versione del browser, mi piace poter controllare (tramite #flatseal) quanto FF possa interagire col resto del mio sistema, e infine per me è stato il modo più semplice e indolore per avviare FF in modalità #wayland senza strani script (sempre grazie a Flatseal).
Tuttavia sto avendo esperienza di uno strano bug. Quando, in Gnome, apro firefox dall'icona, ho esperienza di continui crash, riproducibili. Di solito, basta aprire il browser e andare nelle impostazioni, o aprire due o tre bookmark, e il programma crasha e si chiude. Non viene proposto il tool per esaminare l'errore o inviarlo a FF e a volte riparte in safe mode, con tutte le estensioni disabilitate.
A questo punto ho lanciato il programma da terminale, usandoflatpak run org.mozilla.firefox
per vedere se almeno, al momento del crash, fosse prodotto qualche output indicativo. Ma lanciandolo da terminale il crash non avviene.
Così apro Alacarte e scopro che il launcher grafico di FF è un po' più complesso di quello che avevo digitato in terminale:/usr/bin/flatpak run --branch=stable --arch=x86_64 --command=firefox --file-forwarding org.mozilla.firefox @@u %u @@
copio-incollo la stringa in terminale (senza la parte finale, da @ in poi) per capire se il problema fosse in una delle opzioni passate dal launcher; ma, anche in questo caso, firefox lanciato da terminale è il solito vecchio firefox, solido come una roccia, zero crash, anche con tutte le estensioni attive.
Ho provato anche a fare il contrario, cioè a togliere dal launcher grafico le opzioni aggiuntive, ma aprendo FF da icona continuo a ottenere questi crash dopo le prime interazioni.
Ho cercato su DDG e financo su GGL, ma non sono riuscito a trovare segnalazioni simili.
La situazione si ripresenta in modo identico su entrambi i laptop su cui io abbia questa configurazione (Gnome, Firefox da Flatpak).
Le mie capacità di indagine si fermano qui. Se ci fossero suggerimenti, sarebbero molto graditi!
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A questo punto mi viene da sospettare di tutta quell'abbondanza di @ e di u nel launcher. Non dovrebbe essere solo un %u?
A meno che non sia una sintassi particolare per passare argomenti a un flatpak
Edit: a quanto sembra è proprio così
docs.flatpak.org/en/latest/fla…
AGGIORNAMENTO
Probabilmente non sarà utile a nessuno e sarò il solo ad averne avuto esperienza (su ben due pc!), ma credo di essere riuscito a risolvere il problema in un modo tanto anti-scientifico da vergognarmene quasi.
In pratica ho riaperto il fido Alacarte, copiato la stringa del launcher creato dal flatpak e fatto un nuovo launcher con la stessa identica stringa.
Se lancio #Firefox da questo nuovo launcher, il programma non crasha.
Se uso il launcher originale invece sì.
Lascio qui la "soluzione", magari torna utile a qualcuno.
Non senza disappunto per non aver capito il mistero dietro tutto questo
Ministero dell'Istruzione
#IscrizioniOnline, il Ministero dell’Istruzione e del Merito accompagna le famiglie con una lettera dedicata, per valorizzare i talenti e le opportunità di studentesse e studenti.Telegram
Dallo Stato Sociale al Great Reset
Come abbiamo visto nella prima parte di questo articolo, l’idea di Stato Sociale nacque negli Stati Uniti da uno strano ma molto efficace connubio tra religione (protestante) e politica.
I pietisti protestanti del tardo ‘800 furono infatti in grado di sfruttare lo Stato centrale come strumento per plasmare la società a loro immagine e somiglianza, spesso attraverso politiche proibizioniste o misure di “welfare universale” che nascondevano in realtà specifiche volontà politiche (come la diffusione delle scuole pubbliche — la prima vera macchina di propaganda). Questo nuovo movimento intellettuale venne poi conosciuto come “progressismo”.
Privacy Chronicles è una newsletter indipendente che si sostiene solo grazie al contributo dei lettori. Perché non ti iscrivi anche tu?
L’idea dei protestanti-progressisti era tanto semplice quanto inquietante: lo Stato era uno strumento di Dio, che doveva essere usato per creare la società perfetta e preparare il mondo per il secondo avvento.
Personalmente, trovo che ci siano molte analogie tra i primi movimenti progressisti e il Great Reset promosso dal World Economic Forum e ormai da moltissimi intellettuali e politici in tutto il mondo. La tecnologia oggi può concretamente trasformare lo Stato in uno strumento divino, proprio come profetizzato dai primi intellettuali progressisti del tardo ‘800.
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.Telegram
Elon Musk ha deciso che su Twitter è possibile promuovere piattaforme come Friendica, Pleroma, Misskey, Bonfire, Lemmy, Akkoma, SocialHome, Hubzilla, etc 😅
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Può anche accorciare i link delle ricerche.
Fatemi sapere se funziona.
googlethatforyou.com/
Here, Let Me Google That For You
Passive-aggressively teach your friends how to Google. For all those people who find it more convenient to ask you rather than search it themselves. Not associated with Google.GoogleThatForYou.com
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Ministero dell'Istruzione
Da domani, 19 dicembre, è possibile abilitarsi al servizio dedicato alle #IscrizioniOnline, effettuando l’accesso tramite SPID, CIE o eIDAS ▶ www.istruzione.Telegram
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Dallo spreco di energia si può uscire
#Derrochólicos è un’iniziativa promossa dal ministero spagnolo per la transizione ecologica, in particolare dall’Istituto per la diversificazione e il risparmio energetico (#IDAE): derrocholicos.es/
Il titolo gioca con i termini “derroche” spreco e “alcoholicos”, alcolisti.
Marcos Martinez ha segnalato il simpatico video di apertura, riprendo qui la sua presentazione che riassume i contenuti del video in spagnolo.
"Il video di apertura è divertente ma purtroppo vero. Imitando una seduta di alcolisti anonimi, si incontrano chi tiene il riscaldamento così alto d'inverno da girare in mutande per casa, chi va in macchina anche a prendere il pane, chi fa partire la lavastoviglie con tre soli piatti, chi non usa la bici mai e poi mai, chi vota contro l'installazione di pannelli solari nel proprio condominio e chi è contrario a migliorare gli imballaggi."
Dallo spreco di energia si può uscire
yewtu.be/watch?v=VfMI2PUtNDg
Qui il toot di Marcos Martinez: framapiaf.org/@euklidiadas@red… Gracias 😀
@maupao @Informa Pirata @Ambiente :verified: @Goofy 📖 🍝 :unverified: @euklidiadas@red.niboe.info
DERROCHÓLICOS – DE MALGASTAR ENERGÍA TAMBIÉN SE SALE
El Ministerio para la Transición Ecológica y el Reto Demográfico e IDAE presentan la campaña “TRANSICIÓN ENERGÉTICA: TRANSFORMACIÓN Y COMPETITIVIDAD” bajo el nombre de DERROCHÓLICOS. Todos somos derrochólicos.Ministerio Transición Ecológica y Reto Demográfico | Invidious
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Il piú grande difetto
"Il più grande difetto che abbiamo, il difetto ineliminabile, è di fare fatica a rimanere concentrati su quello che accade, nel momento preciso in cui viene bene un disegno, quando il respiro dei bambini si fa più lento, prima di addormentarsi. Pensiamo, speriamo, progettiamo, e ci manca qualcuno, ricordiamo il film dell'altra sera, ripensiamo a un messaggio, contiamo sulle dita quanto manca al nostro compleanno, ci distraiamo, ci preoccupiamo, mentre quello che desideriamo è già vicino, speriamo e ci diamo da fare, mentre tutto già brilla e quello che abbiamo voluto e chiesto al cielo molti anni prima è proprio lì, in quel momento."
- Sara Gamberini - Infinito Moonlit
Costruzione dei dispositivi di IA: quali costi sociali?
Partendo dalla visione che il mondo delle Big Tech ci propone dell’intelligenza artificiale (IA) come dello strumento che darà un nuovo volto all’umanità, è necessaria una riflessione su come effettivamente l’IA impatti la vita dell’uomo. Come vedremo più avanti, analisi e reportage hanno svelato la matrice invisibile del lavoro umano e dell’impatto ambientale che si nascondono dietro costruzione...
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OsmAnd+++++
Ho qualche difficoltà a capire se sia una buona notizia, comunque...
techcrunch.com/2022/12/15/meta…
Crea con l'IA un'immagine ispirata a Privacy Chronicles e vinci un abbonamento gratuito!
Ciao a tutti,
grazie a un lettore oggi ho scoperto un software di intelligenza artificiale che permette di creare immagini a partire da un prompt umano. Lo strumento è davvero molto potente e l’unico limite è la fantasia.
Questo lettore l’ha usato per chiedere al software di creare delle immagini di copertina per Privacy Chronicles:
Il software si chiama Midjourney ed è davvero semplice da usare. Bisogna soltanto scaricare Discord, creare un account e poi entrare nel server del bot (discord.gg/midjourney).
Una volta dentro, sarà sufficiente entrare in una delle stanze denominate #newbies e chiedere al bot di creare qualcosa con il comando /imagine. Qui trovate tutte le istruzioni per conoscere le varie configurazioni del bot e avere risultati ottimali, ma in verità non ce n’è neanche bisogno.
Crea un’immagine a tema Privacy Chronicles
Ho giocato anch’io un po’ con il bot, e mi è piaciuto così tanto che ho pensato: hey, perchè non vedere cosa riescono a tirar fuori anche gli altri lettori di Privacy Chronicles?
E allora eccoci qui, vediamo cosa riuscite a tirare fuori dal cappello — o meglio, dall’intelligenza artificiale.
Stimoliamo la fantasia con un po’ di sana competizione tra noi. I lettori che riusciranno a creare l’immagine più bella vinceranno un abbonamento a Privacy Chronicles.
Ecco le regole:
- Crea un’immagine a tema Privacy Chronicles — cioè un’immagine che raffiguri ciò che per te rappresenta Privacy Chronicles. Senza alcun limite, se non quello di spiegarmi l’immagine se eccessivamente astratta.
- Inviami via posta elettronica (crypt04n4rch1st@tutanota.com) la tua immagine con titolo “IA prompt PC” (max 1 a persona)
- Descrivi brevemente l’immagine (anche solo col prompt usato per crearla). Se non la capisco non la prendo in considerazione!
Le prime tre immagini che mi piaceranno di più vinceranno un abbonamento gratuito a Privacy Chronicles, in questi termini:
1° classificato/a: sei mesi di abbonamento gratuito
2° classificato/a: tre mesi di abbonamento gratuito
3° classificato/a: un mese di abbonamento gratuito
N.B. gli abbonati riceveranno un’estensione all’abbonamento già attivo
Verranno prese in considerazione solo le immagini inviate entro le 23:59 del 23 dicembre 2022. Non so quanti di voi parteciperanno a questa piccola gara amichevole, ma siete migliaia e mi ci potrebbe volere del tempo per scegliere i vincitori. Abbiate pazienza 😁
Cercherò comunque di postare le immagini che mi hanno colpito di più sul canale telegram, a prescindere dai primi tre posti. Se non sei ancora iscritto/a, è un buon momento per farlo!
Vi lascio con delle immagini che ho creato oggi e che mi piacciono particolarmente. Al software ho chiesto di immaginare una società in cui le persone sono valutate e punite per ciò che pensano:
Franc Mac
in reply to J. Alfred Prufrock • •Le Alternative
in reply to Franc Mac • • •@macfranc quello che permette di fare Graphene da quanto ne so è soprattutto avere i servizi di Google in un profilo separato per non "intaccare" il proprio.
Conosci già Shelter? lealternative.net/2022/04/22/s… permette di fare esattamente quello che dici tu sfruttando il profilo di lavoro Android
Shelter - Le Alternative
skariko (Le Alternative)J. Alfred Prufrock likes this.
J. Alfred Prufrock
in reply to Le Alternative • •Se così fosse, potrei ottenere il risultato orientandomi anche su device più abbordabili
Le Alternative
in reply to J. Alfred Prufrock • • •Le Alternative
in reply to J. Alfred Prufrock • • •r/MicroG - Gapps in work profile (shelter/island)
redditJ. Alfred Prufrock
in reply to J. Alfred Prufrock • •Leggo che #lineageos implementa SELinux, ma serve a imporre delle policies su cosa possa fare o non fare un processo. Molto importante, ma mi sembra un concetto diverso; immagino che sia così anche per /e/, che lo deriva
J. Alfred Prufrock
Unknown parent • •@matchboxbananasynergy really useful insights and advice, thank you!
I am very much oriented towards GrapheneOS, it seems to me that it is a well-designed system, and that it offers concrete and efficient solutions to have (a little) more control over one's device.
So I'm starting to keep an eye on the ads for a Pixel 😁