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Non si può permettere al TPLF di monopolizzare il governo ad interim del Tigray


Traduzione dell’articolo apparso su Ethiopia Insight: TPLF cannot be allowed to monopolize Tigray’s interim government Tentando di escludere i partiti di opposizione e le voci indipendenti dall’amministrazione regionale ad interim, i funzionari del TPLF s

Traduzione dell’articolo apparso su Ethiopia Insight: TPLF cannot be allowed to monopolize Tigray’s interim government


Tentando di escludere i partiti di opposizione e le voci indipendenti dall’amministrazione regionale ad interim, i funzionari del TPLF stanno dimostrando che la devastante guerra non ha insegnato loro nulla.

Il panorama politico di igray ha subito cambiamenti drammatici in numerose occasioni da quando è scoppiata la guerra civile tra le forze federali e regionali nel novembre 2020.

Mentre le elezioni del settembre 2020 hanno rafforzato la posizione del TPLF alla guida del governo della regione, lo svolgimento di questo voto ha spianato la strada alla guerra civile. Da allora, due anni di conflitto hanno spinto le dinamiche politiche della regione in direzioni impreviste.

Gli alti e bassi della guerra includevano l’espulsione del TPLF da Mekelle da parte delle forze invasori etiopi, amhara ed eritree alla fine di novembre 2020 e la resistenza armata del Tigray che si univa in risposta ad atrocità inimmaginabili .

Dopo che le forze del Tigray hanno riconquistato gran parte della regione nel luglio 2021, le autorità federali hanno imposto un disumano assedio al Tigray e una situazione di stallo difficile fino a quando l’ultimo e più brutale round del conflitto ha avuto luogo tra agosto e novembre 2022.

Questo round di combattimenti si è concluso con la capitolazione della leadership del Tigray ed è stata costretta a firmare un accordo di pace altamente sfavorevole in Sud Africa. La prevista istituzione di un’amministrazione regionale ad interim – un elemento centrale dell’accordo di Pretoria firmato il 2 novembre 2022 – porta qualche speranza per un vero cambiamento nella politica del Tigray.

Tuttavia, tutti i segnali indicano che il TPLF è tornato ai suoi vecchi trucchi di essere intollerante nei confronti di qualsiasi opposizione interna. I tigrini sono ora più divisi che mai, poiché alcuni ritengono che, nella sua collaborazione con le autorità federali, il TPLF abbia svenduto il popolo del Tigray.

Campagna indipendente


Uno sviluppo importante all’inizio del conflitto fu che la grande comunità della diaspora del Tigray si unì nella mobilitazione di massa contro la guerra.

Sono nate nuove organizzazioni della società civile che hanno avuto successo nell’aumentare la consapevolezza internazionale, lanciare campagne di advocacy e organizzare manifestazioni (alcune segnalate in Italia 1 2 3 4) Gli individui si sono impegnati volontariamente, a volte rischiando la vita e la carriera, e hanno lavorato instancabilmente per creare una rete globale e attirare le parti interessate per una diplomazia pubblica di successo.

Durante i primi nove mesi di guerra, a causa di un vero e proprio blackout delle comunicazioni nel Tigray, c’era poca o nessuna comunicazione tra il TPLF e la diaspora del Tigray. Questo spiega perché le prime iniziative sono rimaste in gran parte indipendenti, con discussioni obiettive e depoliticizzate all’interno della comunità della diaspora che hanno plasmato l’agenda.

Il movimento che è emerso ha lanciato con successo campagne sui social media (video approfondimento in italiano grazie al format di Matteo Flora – Ciao Internet) e si è impegnato nella diplomazia digitale internazionale, esponendo gli orrori della guerra e condividendo con il mondo informazioni che le autorità federali hanno cercato con tutte le loro forze di sopprimere.

La conseguente mobilitazione e lobbying per fermare le atrocità ha dato voce a coloro che erano stati silenziati nel Tigray, riempiendo un vuoto che in circostanze normali sarebbe stato occupato dai canali ufficiali.

Anche se tali sforzi non sono riusciti ad alleviare la devastazione inflitta dalle forze d’invasione, la comunità internazionale è stata almeno costretta a prestare la dovuta attenzione alla crisi umanitaria nel Tigray.

D’ora in poi, nonostante l’impegno diplomatico concertato e aggressivo del governo etiope, l’amministrazione ha dovuto affrontare continue condanne e severe sanzioni economiche . La diaspora ha anche mobilitato un sostanziale sostegno finanziario e materiale per la popolazione del Tigray.

Riaffermando il dominio


Le forze del Tigray alla fine hanno spinto gli eserciti invasori fuori da Mekelle e da gran parte della regione nel giugno 2021. A quel tempo, il TPLF ha iniziato a ristabilire collegamenti diplomatici formali e rafforzare le sue reti.

Come si suol dire, le vecchie abitudini sono dure a morire. La famigerata rete uno a cinque , lo strumento di lunga data del TPLF utilizzato per monitorare i cittadini e monopolizzare la politica, ha iniziato a cambiare la struttura dei movimenti della diaspora.

Durante questo processo, lealisti e rappresentanti del partito hanno acquisito il controllo delle iniziative della diaspora. Le organizzazioni comunitarie sono state ristrutturate in un modo che meglio si adattava all’agenda del partito.

Coerentemente con la pratica consolidata del partito , le voci dissenzienti che offrivano un punto di vista oggettivo sono state isolate. La vibrante mobilitazione formata contro la guerra è stata riorganizzata per servire gli interessi politici del TPLF, non quelli del pubblico in generale nel Tigray.

Complessivamente, il forte controllo del partito ha indebolito la partecipazione della vasta diaspora tigraya. Questo intervento prepotente ha compromesso il successo della diplomazia pubblica e ha limitato la capacità e le risorse del movimento.

Il TPLF ha anche iniziato a impegnarsi diplomaticamente sulla scena internazionale. Coloro che hanno guidato questo appello erano volti noti della precedente amministrazione, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.

Non sorprende quindi che abbiano fatto un pessimo lavoro ottenendo un sostegno significativo per arginare le sfide poste da una delle principali crisi umanitarie mondiali.

L’attenzione si è concentrata sulla mobilitazione della diaspora per raccogliere ingenti contributi finanziari. Mentre già affrontano l’onere di fornire sostegno finanziario alle loro famiglie allargate nel Tigray – con un’allarmante commissione del 40-50% prelevata dai contrabbandieri – i tigrini all’estero sono stati costretti dalle reti dei partiti a contribuire con ingenti somme alle autorità regionali.

Come è stata la norma per decenni, non c’è trasparenza sullo scopo dei milioni di dollari raccolti e su come questi soldi sono stati spesi.

La situazione è resa più difficile dal fatto che i funzionari del TPLF non hanno chiaramente articolato l’obiettivo centrale del conflitto se non invocando vaghe dichiarazioni sull’autodeterminazione.

Per questo motivo, i diplomatici e gli esperti stranieri che stanno monitorando attentamente la situazione sono stati in gran parte incapaci di comprendere gli obiettivi fondamentali della resistenza popolare.

Unità sfruttata


Il monopolio sulla politica e l’istituzione dell’autorità da parte del TPLF esercitato sulla diaspora era ancora più forte all’interno della regione stessa. Lì, le autorità hanno lanciato diverse strategie per riprendere il controllo, spesso utilizzando i bollenti sentimenti nazionalisti del popolo creati dalla guerra.

Testimoniando la profondità delle atrocità sul campo e l’entità dell’incitamento all’odio contro i tigrini diffuso sui media convenzionali e sui social media, la stragrande maggioranza dei tigrini ha riconosciuto la natura esistenziale della guerra.

Condividendo questa convinzione, i partiti politici hanno smesso di litigare con il TPLF e hanno contribuito in ogni modo possibile. Questa unità ha alimentato le speranze di una nuova cultura emergente nell’ambiente politico antidemocratico del Tigray, qualcosa che è stato reso possibile solo dal contesto straordinario.

Adempiendo ai loro giuramenti, leader e membri dei partiti di opposizione hanno combattuto e sono morti in difesa della loro società. L’ ondata di reclute ha incluso medici, professori universitari, colletti bianchi e tigrini della diaspora provenienti da Stati Uniti, Europa e altrove.

Nel corso della guerra ci fu un incredibile livello di mobilitazione pubblica. Ciò ha portato alla costituzione di una nuova forza, popolarmente chiamata Tigray Defence Forces (TDF), composta principalmente dalle nuove generazioni.

Si è costruito un forte consenso attorno al ruolo del TDF come custode della libertà delle persone. Ancora più importante, si credeva che questa forza avrebbe trattato allo stesso modo tutti i tigrini, compresi quelli affiliati ai partiti di opposizione, e che sarebbe stata un attore indipendente negli affari interni del Tigray.

Quella che in retrospettiva potrebbe sembrare un’aspettativa ingenua era in realtà una valutazione razionale del debito di gratitudine che i leader del TPLF avevano nei confronti del pubblico a causa dei sacrifici del popolo fatti durante una guerra scoppiata in parte a causa di fatali fallimenti strategici del partito.

Tuttavia, la speranza che il pluralismo delle opinioni all’interno della regione venisse finalmente accettato non durò a lungo.

I generali del TDF che controllano l’alto comando dell’esercito, molti dei quali erano combattenti del TPLF negli anni della lotta armata contro il brutale regime del Derg dal 1975 al 1991, hanno rivelato la loro lealtà al TPLF nelle loro interviste. Uno di loro ha espressamente avvertito i giovani di attenersi rigorosamente al monopolio del potere del partito al potere.

Nel tentativo di rafforzare l’autorità politica sul nuovo ruolo dei militari nella società del Tigray, Getachew Reda, uno dei massimi funzionari del TPLF, ha aggiunto che il Tigray non può mantenere il suo esercito finché rimane parte dell’Etiopia. Ha continuato affermando che era stato lui ad aver coniato spontaneamente il termine “TDF” in un’intervista, affermando inoltre che l’espressione non denota legittimamente alcuna istituzione.

Queste dichiarazioni facevano parte delle manovre politiche da parte dei funzionari del TPLF dietro le quinte per limitare l’opinione pubblica emergente secondo cui l’esercito era un’istituzione indipendente che deve essere preservata in un aspirante “nuovo Tigray”.

Narrazione monopolizzata


La legittimità del TPLF è stata influenzata negativamente dalla guerra. Con questo in mente, le strategie concertate dei leader del TPLF per riaffermare il monopolio sulle narrazioni politiche dovrebbero essere intese come aventi molteplici obiettivi.

Quello chiave era mostrare alla società del Tigray la forza e la legalità delle azioni del partito anche durante i tempi di guerra. A tal fine, anche se il governo regionale era stato sciolto dopo essere stato espulso da Mekelle nel novembre 2020, il partito ha continuato a usare il termine “governo” per la sua propaganda.

Ignorando la loro responsabilità condivisa nel causare il conflitto e incolpando le circostanze esterne al di fuori del loro controllo, i funzionari del TPLF hanno fuorviato il pubblico sugli sviluppi sul campo di battaglia fin dall’inizio.

Resta il fatto che centinaia di migliaia di combattenti e civili tigrini hanno sacrificato le loro vite a causa in gran parte dei fallimenti strategici del TPLF prima e durante la guerra. Ciò è stato particolarmente vero quando i leader del TPLF hanno deciso di marciare verso Addis Abeba alla fine del 2021 invece di perseguire opzioni che avrebbero evitato il blocco mortale.

Un altro obiettivo strategico di questa offensiva di comunicazioni era segnalare alla comunità internazionale che il TPLF rimane il loro unico interlocutore nel Tigray in grado di articolare e combattere per gli interessi della regione.

Avendo compreso la strategia del partito di governo, i gruppi di opposizione e gli studiosi indipendenti del Tigray hanno chiesto la formazione di un governo di transizione inclusivo.
40° Anniversario del TPLF; Mekelle, Etiopia; 18 febbraio 2015; Paul Kagame40° Anniversario del TPLF; Mekelle, Etiopia; 18 febbraio 2015; Paul Kagame
Durante la guerra, il TPLF ha respinto apertamente tali proposte, sostenendo che la sua legittimità continuava a derivare dalle elezioni del settembre 2020. Allo stesso modo, Getachew Reda ha ribadito che il suo partito è stato eletto per salvaguardare il popolo in un momento precario, sorvolando sulla responsabilità condivisa della sua amministrazione per la devastazione che ne è seguita.

Nello spirito di una critica costruttiva, intellettuali indipendenti hanno proposto idee alternative su come affrontare le minacce esistenti e formare una nuova amministrazione.

Temendo la voce crescente di questo gruppo, il TPLF ha istituito la Tigray University Scholars Association (TUSA) all’inizio del 2022 per indebolire la Global Society of Tigray Scholars and Professionals (GSTS), che era stata determinante nell’organizzazione della comunità della diaspora.

Ciò è avvenuto subito dopo la spinta morbida del GSTS per un governo onnicomprensivo, dimostrando ancora una volta le aspirazioni egemoniche del TPLF. La cosa ironica, tuttavia, è che GSTS, un gruppo di migliaia di studiosi del Tigray, come afferma, ha servito gli obiettivi del TPLF piuttosto che esercitare la dovuta pressione sui suoi leader e organizzare la comunità per affrontare le sfide attuali.

La pace dei signori della guerra


Dopo diverse fasi di deliberazioni infruttuose, il 2 novembre 2022 è stata firmata una cessazione definitiva delle ostilità tra il governo dell’Etiopia e il TPLF. L’accordo di pace è stato celebrato come una vittoria da diversi attori, comprese le autorità del Tigray.

È lecito concludere che con esso il governo etiope ha raggiunto la maggior parte dei suoi obiettivi di guerra. In particolare, l’accordo di pace ha assicurato il ripristino dell’autorità federale nel Tigray e ha imposto lo scioglimento del governo regionale.

Inoltre, includeva una tempistica irrealisticamente ambiziosa per il disarmo, la smobilitazione e il reinserimento dei combattenti TDF, mentre istituiva scarsi processi di monitoraggio e verifica per l’attuazione dell’accordo, compreso il ritiro di tutte le forze armate diverse da quelle federali dalla regione.

Non si può negare che l’accordo di pace ha, almeno temporaneamente, fermato la guerra, migliorato il flusso degli aiuti umanitari e portato alla parziale ripresa dei servizi di base.

Tuttavia, l’accordo ha deluso le aspettative in molti modi, tra cui le disposizioni insoddisfacenti sulla giustizia di transizione per le atrocità in tempo di guerra e l’assenza di soluzioni durature alle questioni sottostanti.

È particolarmente preoccupante che l’accordo di pace abbia escluso principi e linee guida consolidati dal quadro di giustizia di transizione basato sulle Nazioni Unite. Invece, la costituzione etiopica, nonostante la mancanza di articoli a tal fine, e la politica di giustizia di transizione dell’UA recentemente adottata sono gli strumenti centrali che guidano questo processo.

In questo senso, l’accordo di pace cede alle persistenti obiezioni del governo etiope ai meccanismi internazionali e sembra aver eluso con successo la responsabilità internazionale per i crimini commessi dalle sue forze e da quelle dei suoi alleati amhara ed eritrei.

Si può sostenere che il lungo assedio , le sconcertanti atrocità seguite al nuovo ciclo di scontri iniziato nell’agosto 2022 e l’insopportabile costo umano della guerra abbiano costretto il Tigray ad accettare qualsiasi accordo, per quanto sfavorevole.

Per i leader del TPLF, l’accordo di pace ha aperto un capitolo imbarazzante, poiché è stato costretto a fare concessioni dolorose. L’infame elezione che ha avuto un ruolo scatenante nel conflitto è stata annullata, l’amministrazione regionale ha accettato di essere sciolta e il Tigray ha accettato di tornare sotto l’autorità esclusiva del governo federale.

Questi passaggi sono in netto contrasto con la designazione di genocidio sostenuta dal TPLF approvata dal defunto Consiglio di Stato nel gennaio 2022 riguardante gli sforzi militari del governo federale.

A difesa di queste scelte, il TPLF – in dichiarazioni rilasciate attraverso gli uffici governativi e gli organi del partito – ha cercato di vendere l’accordo come una storia di successo che ha portato al “ripristino dell’ordine costituzionale”.

Questa argomentazione è una debole razionalizzazione e nasconde la realtà che uno degli obiettivi primari dell’accordo era garantire la sopravvivenza politica del partito attraverso la rimozione pianificata della sua designazione di terrorista da parte delle autorità federali.

Confronti interni


Dopo aver affrontato temporaneamente i suoi nemici esterni, il Tigray deve ora affrontare molte sfide interne. In un momento simile, l’inclusività nel processo decisionale è di fondamentale importanza e gli appelli a costruire un governo di unità nazionale sono più importanti che mai.

Sfortunatamente, il TPLF non sembra aver imparato molto dai suoi fallimenti di leadership che hanno contribuito a portare la guerra in primo luogo. Il partito ha condotto la regione, come sua forza politica di governo, in una terribile guerra e ora vuole riprendere il monopolio del potere nel Tigray.

L’accordo di pace di Pretoria obbliga l’istituzione di un’amministrazione provvisoria regionale inclusiva, ma il processo finora è stato dettato da solo dalla leadership del TPLF, con grande sgomento dei partiti di opposizione , degli studiosi e dei generali dissenzienti .

Se il Tigray vuole avere qualche speranza di forgiare un futuro più pacifico e prospero in circostanze così terribili – in cui le autorità federali ora controllano la regione, le truppe eritree predoni continuano a vagare liberamente e le forze di Amhara controllano ancora il Tigray occidentale – i leader del TPLF devono cambiare il loro modi e promuovere una dispensazione politica più inclusiva.


Questo è il punto di vista dell’autore. Tuttavia, Ethiopia Insight correggerà evidenti errori fattuali.

Foto principale: 40° Anniversario del TPLF; Mekelle, Etiopia; 18 febbraio 2015; Paul Kagame.


AUTORI:

Emnet Negash: è un dottorando presso l’Università di Ghent in Belgio e Assistant Professor presso l’Università di Mekelle, in Etiopia. I suoi interessi di ricerca includono il clima, i sistemi agricoli e il monitoraggio delle crisi.

Getachew Gebrekiros Temare: ha una laurea in giurisprudenza ed è uno studente laureato in risoluzione dei conflitti. È un difensore dei diritti umani ed è attivo sui diritti delle persone disabili.

Gebrehiwot Hadush Abera: ex decano del College of Law and Governance presso la Mekelle University. Attualmente è un dottorato di ricerca. ricercatore presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università KU Leuven, Belgio.


Licenza: Pubblicato sotto licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International . Non è possibile utilizzare il materiale per scopi commerciali


Traduzione dell’articolo apparso su Ethiopia Insight: TPLF cannot be allowed to monopolize Tigray’s interim government


tommasin.org/blog/2023-03-07/n…



Le minoranze etiopi rimangono timorose nonostante l’accordo di pace


“Le persone non si sentono al sicuro, quindi stanno cercando di proteggersi.” Quando è scoppiata la guerra nella regione settentrionale del Tigray in Etiopia nel novembre 2020, i residenti della città di Adebay, vicino al confine con l’Eritrea, si sono sv

“Le persone non si sentono al sicuro, quindi stanno cercando di proteggersi.”

Quando è scoppiata la guerra nella regione settentrionale del Tigray in Etiopia nel novembre 2020, i residenti della città di Adebay, vicino al confine con l’Eritrea, si sono svegliati al suono degli spari e dei motori in moto.

I soldati eritrei picchiavano i civili e li costringevano a salire su camion militari, hanno riferito due testimoni a The New Humanitarian. Hanno stimato che fino a 70 persone fossero state rapite quella notte da Heletkoka, un quartiere alla periferia di Adebay.

Le vittime erano Kunama, un piccolo gruppo etnolinguistico che si trova a cavallo del confine tra Etiopia ed Eritrea. Circa 5.000 Kunama si erano stabiliti in Etiopia nei primi anni 2000 , in fuga dall’espropriazione della terra e dalla coscrizione militare ( spesso indefinita ) dell’Eritrea .

Quando è iniziata la guerra del Tigray del 2020, il governo etiope ha permesso alle forze eritree di attraversare il confine per combattere il loro nemico comune: il Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF). Ma i soldati eritrei hanno anche rapito i rifugiati Kunama, riportandoli con la forza in Eritrea.

Quindici persone sono riuscite a sfuggire al raid su Adebay quella notte, compiendo un pericoloso viaggio a piedi verso il Sudan orientale, stabilendosi nei campi profughi intorno alla città di Gedaref. Tra loro c’era Muna*, che si identifica come Kunama.

Due anni dopo, non è più vicina al ritorno a casa. Nonostante un accordo di pace firmato a novembre tra il governo federale e il TPLF per porre fine alla guerra, come molti altri rifugiati delle comunità minoritarie, è ancora preoccupata per la sua sicurezza in Etiopia.

Nessuna fiducia nell’accordo di pace


Si stima che la guerra, combattuta contro il TPLF dalle forze federali sostenute dagli alleati regionali eritrei e amhara, abbia ucciso direttamente centinaia di migliaia di persone. Innumerevoli altri hanno subito gli effetti di ricaduta del conflitto durato due anni, incluso un blocco de facto che ha lasciato milioni di persone senza un adeguato accesso a cibo e medicine.

Tra le vittime c’erano Kunama, Irob, Qemant e Agew, gruppi minoritari che vivono principalmente nelle regioni etiopi del Tigray e dell’Amhara. In un conflitto caratterizzato dalla soppressione dell’informazione , si sa poco della violenza che queste comunità hanno subito e delle minacce che continuano a subire.

“Dopo la guerra, vuoi stare con la tua gente”


I rifugiati in Sudan hanno detto a The New Humanitarian che dubitano che saranno al sicuro, protetti e rappresentati politicamente nell’Etiopia postbellica.

Diverse comunità minoritarie hanno risposto a queste paure in modi diversi. Alcuni si stanno ritirando nelle proprie comunità, agitandosi per una maggiore autonomia politica. Altri si stanno armando o si stanno allineando con altri gruppi armati non inclusi nell’accordo di pace. Alcuni temono di non poter mai tornare. Tutti furono travolti in una guerra che non avevano creato loro.

Aida* e Fissha* sono di Irob, una comunità di circa 30.000 persone che vive lungo il confine montuoso dell’Etiopia con l’Eritrea. Se tornano in Etiopia, non torneranno in città diverse come quelle che hanno lasciato nel Tigray occidentale, una regione che è stata testimone di alcuni dei combattimenti più feroci. “Dopo la guerra, vuoi stare con la tua gente”, ha detto Fishha.

Prima dell’inizio del conflitto, Aida e Fissha si erano trasferite da Irob in una cittadina vicino a Dansha, nel Tigray occidentale, in cerca di lavoro. La regione è ufficialmente parte del Tigray, ma storicamente la vicina regione di Amhara l’ha rivendicata come propria.

Quando le forze amhara e federali sono arrivate nell’area all’inizio della guerra, le case delle due donne sono state saccheggiate da Fano, una milizia della regione amhara. Sono stati sparsi anche volantini che avvertivano i tigrini che avevano una settimana per andarsene o sarebbero stati uccisi.

Poiché Irob è culturalmente vicino ai tigrini, Aida e Fissha credevano che anche loro sarebbero stati presi di mira. Quando tre dei parenti maschi di Aida sono stati duramente picchiati dai soldati etiopi, la famiglia spaventata ha preso la difficile decisione di lasciare l’Etiopia.

Tuttavia, se il governo etiope potesse garantire la sua sicurezza, Aida ha detto che sarebbe tornata nel Tigray occidentale. Le piaceva il suo lavoro di insegnante e aveva una vita dignitosa nella comunità. Ma Fishha rise all’idea: “Sarai l’unico Irob rimasto a Dansha!”

Continua l’occupazione eritrea


Nessun rifugiato Irob crede che sia sicuro tornare nella propria regione d’origine. È una delle poche aree del Tigray che rimane ancora inaccessibile alle agenzie umanitarie, secondo il Tigray Regional Emergency Coordination Centre, un gruppo di ONG internazionali e locali e funzionari del governo regionale.

“Gli eritrei occupano ancora metà di Irob”, ha detto Tesfaye Awala, presidente della Irob Anina Civil Society , un’organizzazione basata sulla diaspora. Crede che l’Eritrea stia cercando di “cancellare” la comunità Irob e stabilire una zona cuscinetto militare nei loro altipiani strategici. In una rara conferenza stampa a Nairobi la scorsa settimana, il presidente eritreo Isaias Afwerki ha eluso le domande riguardanti la presenza dell’Eritrea nel Tigray.

“Sarai l’unico Irob rimasto a Dansha!”


Le aggressioni sessuali da parte delle forze eritree sono persistite nonostante l’accordo di pace. Un sacerdote che ha aiutato le donne sopravvissute allo stupro ad accedere ai medici locali ha detto a The New Humanitarian che le donne stanno ancora fuggendo da Irob. I sopravvissuti hanno camminato per giorni per evitare i blocchi stradali eritrei diretti a Dawhan, la capitale di Irob.

Il fatto che il ritiro delle forze eritree non sia stato esplicitamente menzionato nell’accordo di pace di novembre è motivo di preoccupazione sia per i rifugiati Irob che per quelli Kunama in Sudan. Sono preoccupati che le loro comunità rimangano ancora vulnerabili ad attacchi e rapimenti transfrontalieri.

“L’accordo di pace dice che l’esercito etiope dovrebbe proteggere il confine”, ha detto a The New Humanitarian Tesfaye, l’attivista della società civile. “Ma come possono proteggerci quando hanno collaborato con i nostri aggressori?”

Proprio la scorsa settimana, un rifugiato Kunama ha detto a The New Humanitarian che continuano a ricevere segnalazioni di rapimenti da parte di soldati eritrei intorno a Sheraro. La città è vicina al campo di Shimelba , che ha ospitato i rifugiati di Kunama fino a quando non è stato bruciato nel dicembre 2020 mentre era sotto il controllo delle forze eritree.

Lottare per l’autodeterminazione


Nel frattempo, nella regione di Amhara, anche le comunità di Qemant e Agew sono state travolte dalle violenze legate alla guerra del Tigray. I civili sono stati uccisi e sfollati dall’esercito etiope, dalle forze regionali di Amhara e dalla milizia di Fano, che li hanno accusati di sostenere il TPLF.

La violenza durante la guerra ha aggravato le tensioni preesistenti sulla terra, l’identità culturale e la rappresentanza politica ad Amhara. Le fazioni di Qemant e Agew hanno ora preso le armi per combattere per il proprio “stato regionale”, che secondo la costituzione dell’Etiopia significa che possono formare forze di sicurezza su base regionale e avere una rappresentanza federale.

Etenesh*, una rifugiata Qemant sulla sessantina, ha tremato raccontando la morte del marito durante un attacco delle forze federali e regionali alla città di Gubay . I militanti di Fano hanno ucciso il marito davanti a lei, e ora occupano la sua casa. “L’hanno tagliato con i coltelli”, ha detto, mentre le lacrime le rigavano il viso. Non è mai riuscita a seppellire il suo corpo.

“L’Etiopia è una federazione di etnie e tutti meritano di sentirsi al sicuro vivendo in qualsiasi parte del paese”.


Lei e dozzine di altri rifugiati Qemant hanno detto a The New Humanitarian che non possono tornare a casa nelle città pattugliate dalle stesse forze di sicurezza che hanno attaccato le loro comunità. La violenza contro i civili ha contribuito a galvanizzare il sostegno all’Esercito di liberazione del Qemant (QLA) . Continua a lottare per reclamare le terre occupate dalle milizie e ottenere lo stato regionale per i Qemant, che ora si ritiene siano oltre 172.000 – la loro popolazione è stata contata l’ultima volta nel 1994 .

Anche le comunità di Agew nell’Amhara sudoccidentale hanno subito attacchi da parte delle forze di sicurezza di Fano e Amhara. I terreni agricoli sono stati sequestrati e gli è stato impedito di parlare la loro lingua, hanno detto a The New Humanitarian gli attivisti per i diritti di Agew. Queste esperienze hanno aiutato a sostenere il Fronte di Liberazione Agew (ALF), che sta anche cercando l’autodeterminazione regionale per i circa 900.000 Agew.

“Credevo in un’identità etiope”, ha detto Mola Mekonen, un’attivista di Agew in esilio in Australia. “Ora mi identifico di più come Agew.”

Alla fine del 2021, i gruppi politici Qemant e Agew si sono uniti pubblicamente a una coalizione “federalista” nella diaspora guidata dal TPLF. La coalizione comprendeva l’Esercito di Liberazione Oromo (OLA) e altre sette organizzazioni i cui membri ritengono che un sistema federale decentralizzato sia necessario per proteggere la diversità etnico-linguistica dell’Etiopia.

Mentre il conflitto andava avanti, i membri armati della coalizione iniziarono a collaborare in Etiopia. Il governo regionale di Amhara vede questi gruppi come una minaccia alla loro sicurezza.

L’ascesa dell’OLA


In base all’accordo di pace , il TPLF è obbligato a interrompere il sostegno ad altri gruppi armati. Di conseguenza, QLA e ALF hanno perso un potente sostenitore. Ma i membri della coalizione hanno detto a The New Humanitarian che continueranno a lavorare con altri gruppi che sostengono i diritti di “autodeterminazione” in Etiopia.

Per ora, dicono che la loro scommessa migliore è l’OLA, la cui insurrezione in Oromia non è coperta dall’accordo di pace e si è intensificata da quando l’accordo è stato raggiunto. Un rappresentante dell’OLA, che vive fuori dall’Etiopia, ha affermato che sono state condotte operazioni di addestramento congiunte con l’ALF nell’Oromia occidentale.

Ma la durata di queste nuove alleanze non è chiara. Un rifugiato Qemant ha notato che il TPLF ha fatto poco per proteggere i Qemant quando hanno guidato il governo federale dell’Etiopia dal 1991 al 2019, ed era arrabbiato per il fatto che i Qemant fossero esclusi dal processo di pace.

“L’Etiopia è una federazione di etnie e tutti meritano di sentirsi al sicuro vivendo in qualsiasi parte del paese”, ha affermato un ricercatore etiope che ha chiesto l’anonimato per timore di rappresaglie. “Le persone non si sentono al sicuro, quindi stanno cercando di proteggersi”.

L’accordo di pace richiede all’Etiopia di adottare una politica di “giustizia di transizione” per combattere l’impunità per i crimini commessi. Ma la proposta di responsabilità del governo federale rimane vaga. Ha impedito a una squadra investigativa delle Nazioni Unite di accedere all’Etiopia, suggerendo che tale lavoro potrebbe minare le istituzioni nazionali.

Attivisti e rifugiati non sono d’accordo. Dicono che la guerra abbia distrutto la fiducia nelle istituzioni statali, comprese le forze di sicurezza, quindi il coinvolgimento esterno nelle indagini potrebbe aiutare a stabilire i fatti e ricostruire la fiducia. Questo sembra improbabile che accada. Anche il TPLF, una volta così esplicito sulla necessità di indagini indipendenti, ora parla molto meno di responsabilità.

I rifugiati hanno preoccupazioni più immediate. Etenesh, che ha visto suo marito morire, vuole semplicemente tornare a casa in una comunità sicura dove i suoi assassini non vagano più per le strade che prima camminavano insieme.

Per ora resterà in Sudan, accanto a tanti profughi colpiti dalla guerra ma esclusi dalla pace.

*I nomi sono stati modificati per proteggere le identità reali delle persone per motivi di sicurezza.

A cura di Obi Anyadike.


FONTE: thenewhumanitarian.org/news-fe…


tommasin.org/blog/2023-02-17/l…



Tigray, Aggiornamento Operativo del Centro di Coordinamento delle Emergenze. 27 Gen. 2023 // TGHAT


Questo rapporto è stato pubblicato dal Centro regionale di coordinamento delle emergenze del Tigray il 7 febbraio 2023. Include aggiornamenti dai seguenti cluster: Cibo agricoltura Rifugio di emergenza e NFI Logistico Nutrizione Salute WASH Cluster CCM Fo

Questo rapporto è stato pubblicato dal Centro regionale di coordinamento delle emergenze del Tigray il 7 febbraio 2023. Include aggiornamenti dai seguenti cluster:

  • Cibo
  • agricoltura
  • Rifugio di emergenza e NFI
  • Logistico
  • Nutrizione
  • Salute
  • WASH Cluster
  • CCM
  • Formazione scolastica
  • Protezione

Si noti che l’aggiornamento di questa settimana è stato notevolmente più breve rispetto alle edizioni precedenti e fornisce meno dettagli. Si spera che questa sia un’aberrazione, piuttosto che una tendenza.

Principali punti salienti

  • Per lo più vecchie notizie:
    • Servizi essenziali parzialmente restaurati, no servizi commerciali.
    • L’accesso stradale è migliorato, affrontando ancora problemi di linea di controllo.
    • Lavoratori governativi, insegnanti, operatori sanitari ancora non pagati.
    • La maggior parte delle strutture sanitarie e delle scuole sono state distrutte.
  • Dal 2 novembre sono arrivate 148.000 tonnellate di aiuti, di cui solo il 51% distribuito.
  • Le stime attuali sono di circa 2,5 tigrini sfollati.

Aggiornamenti per cluster:

Aggiornamento del cluster alimentare

  • L’attuale popolazione bisognosa (PiN) di assistenza alimentare è di 6,5 milioni secondo la valutazione stagionale multisettoriale di Meher. C’è un divario di 1,3 milioni tra gli obiettivi del WFP/JEOP e l’effettiva necessità.
  • Dalla fine di gennaio è in corso una nuova valutazione di emergenza sulla sicurezza alimentare condotta dal WFP.
  • Sfide:
    • Molti PiN, compresi gli sfollati interni, richiedono assistenza alimentare mensile. Il sistema basato sui turni non funziona.
    • I gruppi di aiuto devono ancora affrontare difficoltà per raggiungere Adet, Egela e Naeder nella zona centrale; Erob e Gulo Mekeda nella zona orientale; e Dima nella zona nordoccidentale; così come l’intera zona occidentale.
    • L’assistenza alimentare deve essere integrata con l’agricoltura e il sostegno ai mezzi di sussistenza al fine di migliorare la sicurezza alimentare. Per ulteriori informazioni sui bisogni agricoli del Tigray, vedere questo rapporto , anch’esso incluso in questa analisi .
    • C’è carenza di liquidità. Con il sistema bancario nel Tigray ancora in crisi, i gruppi umanitari sono costretti a trasportare denaro contante nel Tigray in aereo.
    • Hanno bisogno che la società civile locale del Tigray possa ripartire. I governi locali non sono stati in grado di pagare il personale, le forniture commerciali non sono disponibili ei servizi di base non sono ancora ripresi nelle aree del Tigray.

Gruppo Logistico

  • Il cluster logistico non sembra fornire una suddivisione settimanale delle forniture umanitarie in arrivo nel Tigray.
  • Mancanza di carburante che ostacola la distribuzione degli aiuti.

Cluster nutrizionale

  • Quasi 44.000 bambini sotto i 5 anni sottoposti a screening per malnutrizione: il 5% presentava malnutrizione grave, il 19% presentava malnutrizione moderata, 2.483 bambini SAM ricoverati per assistenza, 114 ricoverati.
  • 14.507 donne in gravidanza o in allattamento sottoposte a screening: il 40% gravemente malnutrito
  • Il benessere degli operatori sanitari è citato come il maggiore ostacolo alla fornitura di servizi sanitari e nutrizionali tempestivi e di qualità; le sfide secondarie sono l’abuso dell’offerta e l’aumento del costo del RUSF.

WASH

  • Il 72% degli schemi di approvvigionamento idrico è stato danneggiato (13.284 siti). Lasciando 4,7 milioni fuori dall’accesso all’acqua potabile sicura.
    • Il 63% dei punti d’acqua nelle scuole è danneggiato.
    • Il 76% dei punti d’acqua nelle istituzioni sanitarie è danneggiato.
  • La risposta WASH deve aumentare considerevolmente, con forniture, finanziamenti e un sistema governativo pienamente funzionante.

Gruppo Salute

  • Le attuali epidemie includono malaria, malattie diarroiche, malattie zoonotiche, tifo e HIV.
  • Un numero “scioccante” di donne ha subito violenze di genere.
  • Cifre di mortalità elevate rispetto all’anteguerra: materna (5 volte più alta), neonatale (4 volte più alta), neonato/bambino (2 volte più alta).
  • Le strutture sono distrutte, gli operatori sanitari sono dispersi o non pagati, basso livello di forniture e farmaci, necessità schiacciante.

Cluster agricolo

  • Progressi limitati nell’acquisizione di forniture e fattori di produzione per l’agricoltura.
  • Nessun progresso nel ripristino dei sistemi di irrigazione.
  • Le principali sfide citate erano: (1) risorse limitate; (2) input agricoli inadeguati (sementi, pesticidi, fertilizzanti); (3) controllo e prevenzione limitati delle malattie degli animali.

Duke Burbridge ha riassunto il rapporto: Tigray-Regional-Emergency-Coordination-Center-PPT-07-02-2023


FONTE: tghat.com/2023/02/08/tigray-em…


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Etiopia, L’Alto Commissario delle Nazioni Unite Filippo Grandi visita gli sfollati a Mekelle, Tigray


L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Filippo Grandi si è recato questa settimana nella regione del Tigray in Etiopia per incontrare le famiglie sfollate a causa del conflitto. Dal suo arrivo in Etiopia il 5 febbraio, Grandi ha anche inco

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Filippo Grandi si è recato questa settimana nella regione del Tigray in Etiopia per incontrare le famiglie sfollate a causa del conflitto.

Dal suo arrivo in Etiopia il 5 febbraio, Grandi ha anche incontrato il presidente dell’Etiopia e i rifugiati eritrei nel campo di Alemwach ad Amhara.

I rifugiati eritrei in Etiopia hanno subito attacchi mirati negli ultimi due anni di guerra. A dicembre, l’UNHCR ha collaborato con i partner per trasferire 7.000 rifugiati eritrei dal Tigray occidentale ad Alemwach.

Sebbene l’accesso agli aiuti al Tigray sia migliorato da quando a novembre è stato firmato un accordo di pace tra il governo federale e le forze del Tigray, le risorse rimangono limitate rispetto alle necessità, secondo un rapporto delle Nazioni Unite.

Grandi ha affermato attraverso una dichiarazione rilasciata su Twitter che l’accordo di pace ha consentito alle agenzie umanitarie di fornire maggiori aiuti nelle aree dell’Etiopia settentrionale colpite dal conflitto.

Dall’accordo, il governo federale ha ripristinato i servizi di base e gli aiuti umanitari nella regione. Come parte dell’accordo, i combattenti del Tigray hanno consegnato armi pesanti al governo federale, mentre le forze speciali di Amhara hanno lasciato la regione del Tigray. Il 3 febbraio, il primo ministro Abiy Ahmed ha incontrato per la prima volta i leader del TPLF per discutere l’attuazione dell’accordo di pace.


FONTE: voanews.com/a/un-high-commissi…


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Etiopia, palazzo faraonico per il Premier Abiy Ahmed, preso da manie di grandezza


Laghi artificiali, zoo, ville di lusso… Gli impulsi edilizi del leader etiope sono sproporzionati. Il Progetto Chaka, sulle alture di Addis Abeba, prenderà un’area di 503 ettari nella foresta di Yeka. Soldati federali fanno la guardia lungo la strada appe

Laghi artificiali, zoo, ville di lusso… Gli impulsi edilizi del leader etiope sono sproporzionati. Il Progetto Chaka, sulle alture di Addis Abeba, prenderà un’area di 503 ettari nella foresta di Yeka.

Soldati federali fanno la guardia lungo la strada appena asfaltata che attraversa, per una trentina di chilometri, la foresta di Yeka, alla periferia di Addis Abeba. In questi boschi che sovrastano la capitale etiope sta emergendo un cantiere faraonico. Il primo ministro, Abiy Ahmed, ha deciso di costruirvi, con tutta discrezione, un gigantesco complesso. Si intravedono le fondamenta dietro i prefabbricati blu di un’impresa edile cinese che si ergono nel fango, su una collina solitamente frequentata da fondisti di giorno e da iene di notte.

Il Progetto Chaka rispecchia le ambizioni del capo del governo etiope: sproporzionato. Su un’area di 503 ettari dovrebbe comprendere un palazzo che dovrebbe ospitare il presidente del Consiglio, ma anche tre laghi artificiali, uno zoo, una cascata e un progetto immobiliare di ville di lusso. Lo stesso Abiy Ahmed lo ha riconosciuto davanti al Parlamento il 15 novembre 2022:

“Abbiamo sentito in città che il Primo Ministro sta costruendo un palazzo per la somma di 49 miliardi di birr [circa 850 milioni di euro] , mentre ‘Veramente sarà di circa 400 miliardi o 500 miliardi di birr. A titolo di paragone, la costruzione del “palazzo dalle mille stanze”, inaugurato nel 2014 dal presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ad Ankara,era costato 491 milioni di euro.

Prezzo colossale


Ma il Premio Nobel per la Pace 2019 non intende frenare il suo slancio costruttivo.

“Non sono venuto in Parlamento con l’intenzione di chiedervi soldi per costruirlo “, ha detto ai parlamentari.

Il finanziamento del progetto dipenderà da fondi privati. Secondo diversi funzionari del municipio di Addis Abeba che hanno parlato in condizione di anonimato, il costo totale del progetto Chaka potrebbe raggiungere circa 800 miliardi di birr (13,8 miliardi di euro), una somma approssimativamente equivalente al budget annuale etiope. Secondo queste stesse fonti, gli Emirati Arabi Uniti, stretti alleati di Abiy Ahmed, finanzierebbero gran parte del palazzo. L’entourage del leader etiope conta anche sulle ricadute economiche dei vari progetti immobiliari per assicurarne la fattibilità.

Non è la prima volta che il Presidente del Consiglio aggira in questo modo il Parlamento. Per i suoi precedenti progetti infrastrutturali, ha più volte fatto appello a ricchi etiopi della sua cerchia o della diaspora, raccogliendo miliardi di birr in occasione di cene di gala chiamate “Dine for Ethiopia”. Dal 2018, l’uomo forte di Addis Abeba ha intrapreso, con grandi spese, una serie di vistosi progetti destinati ad abbellire la capitale: ammodernamento della centrale piazza Meskel, conversione del palazzo dell’imperatore Haile Selassie in un museo, creazione di numerosi parchi, biblioteche e musei…

Oggi il nuovo palazzo è diventato “la sua principale preoccupazione”, confida un dirigente del Partito della Prosperità (Prosperity Party), la formazione del Primo Ministro. Abiy Ahmed visita spesso i locali, situati a meno di 5 chilometri dal suo attuale ufficio. Ma il sontuoso palazzo in costruzione non è per tutti i gusti. Oltre al suo prezzo colossale, il sito porta al disboscamento di parte del sito di Yeka e all’esproprio di migliaia di famiglie che vivono sulle alture della capitale.

Il municipio ha già raso al suolo diverse case di persone che non potevano provare il loro titolo di proprietà. Da quando ha ricevuto una visita inaspettata dai funzionari della città, una madre che desidera rimanere anonima dice di aver vissuto nella paura dello sfratto, si lamenta davanti ai suoi tre figli.

“Quando abbiamo chiesto loro specificamente perché dovevamo lasciare la nostra terra, ci hanno esortato ad accettare gli ordini del governo, rifiutandosi di darci dettagli sul sito in costruzione ”.

Economia sull’orlo del collasso


Uno dei suoi vicini è stato arrestato per aver protestato un po’ troppo forte contro le nuove linee guida.

“Mi hanno accusato di essere un criminale perché mi oppongo a un progetto governativo.

L’unico scopo di questo progetto è quello di compiacere il Primo Ministro, che vuole stabilire attorno a sé un’immagine simile a quella degli imperatori etiopi nonostante tutti i problemi che il Paese sta attraversando.”


Lodato per le sue riforme liberali quando è salito al potere nel 2018, Abiy Ahmed deve ora fare i conti con un’economia sull’orlo del collasso. Il Paese è uscito incruento dalla guerra che ha opposto, dal 2020 al 2022, le forze federali e i loro alleati ai ribelli del Tigray, nel nord, provocando oltre 600.000 vittime, secondo l’Unione Africana. L’inflazione galoppante, spinta dall’aumento dei prezzi alimentari, ha superato il 30% in media annua nel 2022. L’agenzia Fitch Ratings ha rivisto al ribasso il rating a lungo termine dell’Etiopia all’inizio di gennaio a causa di un “significativo rischio di default del debito” .

Le autorità stimano in 20 miliardi di dollari (18,6 miliardi di euro) il costo della ricostruzione nel nord del Paese.

“In uno scenario senza guerra civile e senza pandemia di coronavirus, un progetto del genere avrebbe potuto convincere i più scettici. Ma per come stanno le cose, le ambizioni narcisistiche del primo ministro non sono accettabili , ha detto uno studioso etiope in condizione di anonimato. (…) [Abiy Ahmed] crede di poter cambiare l’Etiopia attraverso la costruzione di monumenti moderni. Pensa che puoi cambiare la mentalità di una popolazione cambiando il suo ambiente fisico. In verità, vivere ad Addis Abeba è diventato più costoso a causa dei suoi piani.”


FONTE: lemonde.fr/afrique/article/202…


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Parole di Meloni nell'anniversario dell'Unità d'Italia è una presa in giro. Il suo è il governo dei traditori della patria che con lo Spacca Italia stanno d


Unione Popolare, il nuovo spazio politico che si è costituito per le ultime elezioni politiche, ha organizzato a Grosseto, in Viale Europa 63/65 (c/o la sede d



Oggi, 17 marzo, si celebra la Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione, dell'inno e della bandiera.

Qui la nota inviata alle scuole ▶️ miur.gov.



In Cina e Asia – il Partito rafforza la presa su tech e finanza


In Cina e Asia – il Partito rafforza la presa su tech e finanza pechino
I titoli di oggi:

Riforma del Pcc: il Partito rafforza la presa su tech e finanza
Xi in Russia dal 20 marzo
Gli Stati Uniti chiedono a ByteDance di vendere TikTok
Baidu presenta la sua risposta a ChatGPT, ma le azioni scendono del 6,4%
Yoon primo presidente sudcoreano a Tokyo in 12 anni

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Migranti, guerra in Ucraina: questioni di coscienza


Come spesso accade nella vita nei momenti più difficili più pericolosi più tragici, poi avvengono dei fatti che in qualche misura rallegrano, fanno ridere, danno un minimo di distrazione: ma talvolta sono soltanto indice della bassezza della situazione nella quale ci si trova. Pensav a questa che in fondo è soltanto una banalità, l’altra sera […]

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REPORTAGE TURCHIA. Torture, processi farsa ed ergastoli: la feroce giustizia di Erdogan nella storia di Ayten Öztürk


Rapita dai servizi segreti e torturata per 6 mesi, l'oppositrice politica turca rischia due ergastoli con accuse inconsistenti. Il presidente e il governo controllano il sistema giudiziario per colpire e perseguitare dissidenti, avvocati non allineati, di

di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 16 marzo 2023 – “Sono Ayten Öztürk, ho 49 anni, ho passato 13 anni e mezzo della mia vita in prigione. Sono stata torturata per 6 mesi. Sono agli arresti domiciliari da 2 anni e rischio di essere condannata a 2 ergastoli”.

Ayten è gentile e riservata, timida e affettuosa. Ci accoglie nella sua casa con l’emozione di chi ritrova delle sorelle lontane, con la gratitudine di chi accudisce un ospite speciale tanto inutilmente atteso. E insieme a lei a riceverci c’è tutto il quartiere, quello di Armutlu, non lontano dal cuore di Istanbul. La comunità alevita che vi risiede è estremamente unita. Ayten non rimane mai sola. C’è sempre qualcuno con lei, due persone durante il giorno, compresa un’infermiera, e una durante la notte. In tanti si fermano per un caffè, un tè o per il pranzo. È per non farla sentire sola ma anche perché ci siano testimoni nel caso si verifichi una delle numerose perquisizioni della polizia che le mette a soqquadro la casa. Sono atti intimidatori, di questo sono sicuri ad Armutlu. Perché qui capita spesso che la polizia faccia incursione nelle abitazioni, di giorno o di notte, con i fucili spianati. Un giorno cercano una bomba a mano, un altro un’arma, un altro ancora dicono di aver seguito le tracce di un fuggiasco. Non sono pochi i casi in cui queste retate sono finite in tragedia, come mi racconta Aysel Doğan, madre di Dilek Doğan, uccisa a sangue freddo a 25 anni, nel 2015, durante una perquisizione.

Dilek aveva chiesto al poliziotto di mettere i copri scarpe perché stava sporcando di fango i tappeti (in Turchia è abitudine togliere le scarpe all’ingresso delle case, per rispetto e igiene). Il poliziotto le ha sparato. C’è persino un video su YouTube, girato dalle stesse forze di sicurezza. Grazie ad una dura battaglia, la sua famiglia ha scoperto il nome dell’assassino e lo ha portato in tribunale. Condannato a 45 giorni di prigione, non ne ha scontato neanche uno. Al contrario, per il fratello di Dilek, che dopo la sentenza ha urlato e accusato i giudici di aver commesso un’ingiustizia, è stato chiesto l’ergastolo. Processato, è stato condannato a 20 anni di carcere. Ne ha scontati 4. Il padre di è attualmente sotto processo e rischia 6 anni di prigione. Dicono che sono pericolosi e che potrebbero provare a vendicarsi.

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Aysel Doğan, madre di Dilek Doğan, uccisa a sangue freddo a 25 anni, nel 2015, durante una perquisizione – Foto di Eliana Riva [Pagine Esteri]

Ad Armutlu parlo con tante donne. Molte madri, parecchie anziane. Tutte sono state in prigione. Tutte hanno un figlio o una figlia in prigione in sciopero della fame, o uccisi dalla polizia o fuggiti in un altro Paese. In tanti fanno parte dell’associazione Tayad (Tenacia), che raccoglie i parenti dei prigionieri politici. Lo scopo è tenere vivi i legami con i propri figli, anche se sono in prigione, e mandare loro qualche soldo (a parte il consumo di una lampadina, l’elettricità e il gas in cella si pagano), libri, vestiti. Il 12 dicembre 2022, alle 2.00 di mattina, in una retata congiunta la polizia ha fatto irruzione nelle case di 23 famiglie aderenti a Tayad. Ad oggi 14 persone sono ancora in carcere, 3 agli arresti domiciliari e tutti gli altri hanno l’obbligo di firma. Tra di loro c’è anche la nostra traduttrice, Lerzan, che è costantemente online e da un computer si affaccia sulle nostre conversazioni. Molti di quei genitori rimasti in carcere sono anziani, due gravemente ammalati. In prigione non ricevono cure.
Ayten ci chiede con ansia e apprensione quando arriverà il momento della nostra lunga intervista. Dovrà raccontare tutto un’altra volta. Il rapimento, la prigione, le torture. Soprattutto le torture. Sa che a ogni racconto, a ogni articolo di giornale, a ogni intervista il cappio della prigione a vita le si stringe più stretto al collo. Ma lo fa comunque. Con grandi sospiri a darsi forza e coraggio. “Perché non ritiri la dichiarazione di aver subito torture? Hai già sofferto abbastanza? Dici che ti sei sbagliata, che non era vero e magari potrai vivere a casa tua e non in un carcere il resto della tua vita”. Ci guarda con la pazienza con cui si guardano i bambini quando gli si deve spiegare una cosa evidente, banale: “La tortura sistematica è espressione del sistema politico, combatterla significa combattere questo sistema di soprusi e sopraffazione. Ho sofferto molto, è vero e forse soffrirò persino di più ma voglio che si sappia dei centri segreti e di quello che lì fanno alle persone. Sono stata la prima donna a denunciare. Ma non l’unica, altre lo hanno fatto dopo di me. Un’altra donna ha denunciato di aver subito le mie stesse torture, anche per lei hanno finto il ritrovamento dopo averla rinchiusa nei centri segreti. Non voglio che nessun altro soffra come ho sofferto io. La mia lotta continuerà fino alla chiusura dei centri segreti e fino a quando i boia saranno giudicati”.

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Ayten Öztürk – Foto di Eliana Riva [Pagine Esteri]

Si trovava a Beirut quando è stata rapita dai servizi segreti e portata in Turchia. Rapita, perché ufficialmente questa operazione di polizia non è mai esistita e in quei sei mesi risultava semplicemente scomparsa. Si trovava in Siria prima dello scoppio della guerra. Poi, l’8 marzo 2018 ha provato a raggiungere la Grecia via Libano. Dopo lo scalo è stata allontanata dagli altri passeggeri con la scusa di un controllo al passaporto, trattenuta per 6 giorni è stata poi consegnata ad alcuni agenti turchi che bendata e con la bocca tappata l’hanno messa su un aereo e riportata in Turchia. Ha capito di essere a Istanbul solo quando, scesa dall’aereo, sempre con gli occhi bendati, ha sentito le voci. I suoi amici non sapevano dove fosse. Non lo hanno saputo per i successivi 6 mesi, mentre veniva trattenuta e torturata con inconcepibile brutalità. “Appena entrata nel centro segreto, 3 o 4 persone mi hanno in pochi secondi completamente spogliata e messa nuda in una cella. Sappiamo già tutto mi hanno detto, ma vogliamo sentirlo da te, parla! Sono subito entrata in sciopero della fame. Mi chiedevano cosa volessi, La mia libertà! gli rispondevo, E allora devi parlare, mi intimavano, E allora non voglio niente, dicevo io. Mi hanno fatto l’elettroshock. Con le mani legate a un tubo sopra la testa, tutta nuda e con gli occhi bendati, toccavo a terra solo con le punte dei piedi, quando mi sanguinavano troppo i polsi a volte mi davano un sacco di sabbia per tenermi più dritta. Mi sparavano con una pistola elettrificata e tremavo tutta, non controllavo il mio corpo e quando mi si apriva la bocca per riflesso involontario dovuto alle scariche, mi infilavano a forza la zuppa in gola. Mi sentivo soffocare”.
Ayten è una rivoluzionaria. Ciò che rivendica, lei come gli altri rivoluzionari turchi, è la democrazia, il riconoscimento delle minoranze, la liberazione dei prigionieri politici, la fine delle torture, il rispetto dei diritti umani, la condanna della brutalità della polizia, processi equi per gli agenti che hanno ucciso o torturato. I movimenti rivoluzionari fanno parte della storia e del tessuto stesso della Turchia. Così come la repressione e la violenza dei mezzi utilizzati per sbaragliarli. La detenzione arbitraria e la tortura sono tra questi, come ha confermato ancora una volta nel 2020 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) del Consiglio d’Europa. Ma dalla visita del Relatore Speciale delle Nazioni Unite in Turchia, nel 2017, le cose pare siano considerevolmente peggiorate. Già allora l’ONU denunciò e condannò l’utilizzo arbitrario delle accuse di terrorismo contro chi difende i diritti umani o semplicemente manifesta il dissenso.

La Turchia è quel paese in cui in 7 anni, dal 2000 al 2007, sono morti di sciopero della fame 120 detenuti. Nel 2020 particolare scalpore fecero le morti in carcere, sempre per sciopero della fame, di 3 membri del gruppo musicale Grup Yorum e dell’avvocata Ebru Timtik.

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La band Grup Yorum

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Helin Bölek, Ibrahim Gökçek e Mustafa Kocak, membri di Grup Yorum, morti di sciopero della fame

“Con le mani legate dietro la schiena, mi hanno infilata dentro un copertone, immobilizzandomi completamente le braccia, e mi hanno stuprata con il manganello e frustata con il frustino da cavallo. Dopo 3 mesi di torture e di sciopero della fame mi sono ammalata. Hanno sospeso le violenze e mi hanno curata con siringhe e medicinali e alimentata forzatamente con il sondino. Mi sentivo sempre meglio. Ma ben presto ho capito con orrore che mi portavano allo stremo e poi mi guarivano solo per poter ricominciare senza rischiare che morissi”.

Le leggi antiterrorismo, che consentono l’arresto e la detenzione non solo degli oppositori politici ma anche degli avvocati che li difendono, degli attivisti dei diritti umani, degli artisti, cantanti, studenti, professori, sono ancora largamente utilizzate. Così come le accuse di tentare di “rovesciare il governo”, cosa di cui Ayten è imputata e per la quale rischia uno dei due ergastoli. L’accusa si muove intorno alla dichiarazione di un testimone segreto che l’avrebbe vista presso la sede dell’Associazione per i Diritti fondamentali della Libertà. Un’associazione ritenuta legale dallo stesso Stato ma pericolosa per le sue rivendicazioni di giustizia.

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Seda Şaraldı, avvocata di Ayten Öztürk – Foto di Eliana Riva [Pagine Esteri]

“Mi guardavano 24 ore su 24 e volevano che mi lavassi, nuda, davanti a loro. Mi sono rifiutata fino a quando non mi hanno costretta. Mi hanno sottoposta più volte allo stupro del manganello, hanno provato a violentarmi in tutti i modi, mi lasciavano nuda a terra e si lanciavano su di me toccandomi dappertutto con brutalità, con le mani e con oggetti, umiliandomi con insulti e improperi. La tortura che più di tutte mi faceva soffrire era la scarica elettrica che mi davano attraverso placche infilate sotto le unghie. È una tortura diversa dalla pistola elettrica. I segni mi sono rimasti per più di un anno. Svenivo ogni volta, mi portavano in bagno e mi mettevano con la testa sotto l’acqua. Poi usavano di nuovo la pistola: con l’acqua il dolore si amplificava”.
Anche per il secondo capo di imputazione risulta fondamentale il ruolo di un testimone segreto (che in seguito ha ricevuto un pesante sconto di pena): ha dichiarato di aver visto Ayten Öztürk assistere a un tentativo di linciaggio. La vittima del linciaggio non è morta e non ha presentato denuncia. Lei nega le accuse, non era lì. Ma anche se lì ci fosse stata, come ci ha spiegato l’avvocata che segue il suo caso, Seda Şaraldı, anche se avesse davvero assistito dal marciapiede, resta il fatto che non esiste una legge in Turchia che preveda l’ergastolo per questo. “Aspettiamo la decisione del procuratore della Corte di Cassazione – spiega l’avvocata Şaraldı –. Il nostro primo appello al tribunale locale è già stato rigettato. La Corte potrebbe pronunciarsi in ogni momento e se confermerà la colpevolezza, Ayten rimarrà per tutta la vita in prigione, sola in una cella da cui potrà uscire per 1 ora di aria al giorno”.

Il Tribunale di Istanbul ha deciso il proscioglimento. Quando però è stata presentata denuncia per le torture subite, il Tribunale di Ankara ha chiesto e ottenuto la riapertura di quel processo, stabilendone la riunione alle nuove indagini sui “tentativi di rovesciamento del governo”. Il Tribunale della capitale ha invece deciso di archiviare il fascicolo sul rapimento e le sevizie.

Abbiamo presentato una petizione firmata da avvocati provenienti da 105 nazioni diverse. Noi difendiamo Ayten ma non solo lei. La tortura è utilizzata per intimidire il popolo, le persone che lottano per i diritti. La tortura è un crimine contro l’umanità e noi ci battiamo non solo per i nostri clienti ma per tutta l’umanità”. Il team di avvocati con cui lavora Seda Şaraldı, due dei quali sono stati a loro volta arrestati, difende anche Gülten Matur. La famiglia non ha avuto più sue notizie dalla mattina del 20 Novembre 2022. La polizia ha registrato il suo arresto il 28 Novembre. Ha denunciato di essere stata rapita e torturata per 8 giorni e poi abbandonata su di un campo, su cui poco dopo la polizia ha finto un casuale ritrovamento, elemento, questo, in comune in tutti i casi di tortura. Il referto medico ha confermato lesioni compatibili con le torture che Gülten ha denunciato di aver subito.

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Gülten Matur, arrestata e torturata in un centro segreto di detenzione

“In Turchia esistono centri segreti di detenzione. I boia rapiscono la gente per strada. Noi lottiamo affinché Gülten sia l’ultima persona in Turchia ad aver subito tortura”, ci dice con voce chiara, calma e decisa Seda Şaraldı.

Il Consiglio superiore dei giudici e dei pubblici ministeri, l’Hcjp, responsabile delle nomine e dei procedimenti disciplinari per tutti gli organi di magistratura, è presieduto dal Ministro della Giustizia che ha enormi poteri di nomina e di controllo. E così il presidente, che a sua volta nomina il Ministro. In risposta a un’inchiesta che scoperchiava, nel 2014, larghi giri di corruzione che coinvolgevano membri della magistratura, funzionari pubblici e imprenditori vicini al primo ministro, il parlamento turco ha adottato una serie di leggi ed emendamenti, rimozioni coatte, trasferimenti forzosi e riassegnazione di casi importanti che hanno fortemente limitato l’indipendenza della magistratura, sottoposta al controllo del Governo. Dopo il tentato colpo di Stato del 2016 l’attacco alla magistratura si è dispiegato in tutta la sua violenza: con un decreto di emergenza sono stati rimossi 4560 giudici, accusati di terrorismo. Più di 600 i magistrati arrestati (e più di 400 i condannati per terrorismo), alcuni dei quali sono morti in carcere. Sono state stilate liste di proscrizione e la legge antiterrore, utilizzata in maniera arbitraria, ha portato all’arresto 282.790 persone, tra cui avvocati, voci critiche, intellettuali, difensori dei diritti umani, artisti, oppositori politici. Dal 2016 al 2020 sono stati nominati circa 11.000 nuovi magistrati, con procedure rapide giudicate preoccupanti e poco trasparenti da numerose organizzazioni e osservatori internazionali.

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Il presidente turco Tayyip Erdogan con il Ministro della Giustizia Bekir Bozdag

“Ti hanno chiesto di tradire i tuoi amici? Come hai fatto a resistere nonostante tutto questo dolore e queste umiliazioni?”

Tradire mi farebbe soffrire molto di più. Perché la sofferenza fisica può passare ma come potrei poi guardare in faccia i miei amici? Il mio popolo? Non potevo tradire la nostra lotta. Ho pensato che quella tortura sarebbe comunque finita: o morta o liberata. Ho controllato le mie emozioni, ho smesso di pensare ai miei cari che mi mancavano tanto. E poi mi davo nuove regole. A un certo punto, ad esempio, ho deciso di non dire più neanche una parola”.

Dopo i 6 mesi di torture Ayten è stata di nuovo curata dai suoi aguzzini e poi abbandonata su un campo, dove la polizia politica l’ha prelevata. Il direttore della prigione in cui è stata portata si è rifiutato di ammetterla per le terribili condizioni fisiche in cui si trovava: aveva perso 20 chili, ora ne pesava 40, nonostante negli ultimi giorni di prigionia l’avessero curata, medicata e alimentata forzatamente. Quindi è stata condotta in ospedale dove è stato stilato un referto medico che ha evidenziato ogni lesione. È rimasta in reparto per giorni. Portata in prigione, sul suo corpo le compagne di cella hanno contato 898 cicatrici. Dopo 3 anni e mezzo di carcere, il 10 giugno 2021 è stata mandata a casa agli arresti domiciliari, dove è tutt’ora, in attesa di un giudizio definitivo.

“Mio fratello Ahmet è stato ucciso nel 1994 durante una retata della polizia nella sua casa. La moglie di Ahmet, mia cognata Yazgülü, è stata bruciata viva nel 2000. Mia sorella Hamide è morta in prigione nel 2002 per sciopero della fame. Se finirò in carcere, continuerò a lottare da lì. Dentro o fuori, sempre resisterò e lotterò, perché credo fermamente che alla fine noi vinceremo. E nel nostro Paese non puoi ottenere una vittoria senza pagare niente”.

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Ayten Öztürk, agli arresti domiciliari nella sua casa a Istanbul – Foto di Eliana Riva [Pagine Esteri]

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Lo stigma berlusconista frena i partiti, ma è Costa il vero alleato di Nordio


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Una pacifica riunificazione Cina-Taiwan non è più possibile


Da quando le forze nazionaliste hanno istituito un governo sull’isola di Taiwan nel 1949, tutti i leader cinesi hanno aderito alla riunificazione della madrepatria basata sulla priorità delle azioni politiche e militari. L’unica cosa che è cambiata negli ultimi decenni è la capacità militare della Cina attraverso la quale ora può attaccare Taiwan e oggettivare […]

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Sappiamo che hanno libero corso singolari e forse interessate narrazioni della partita politica che si è aperta intorno alle elezioni amministrative per il com


Le porcherie delle banche americane e svizzere ci fanno rivalutare la Bce


Quando crollano grandi banche di Stati piccoli il rischio di panico autoavverante è più alto. Per questo su Credit Suisse si intervenga con urgenza senza andare per il sottile e aggiusti chi ha rotto. È oggettivo che la pignola Banca centrale europea è se

Quando crollano grandi banche di Stati piccoli il rischio di panico autoavverante è più alto. Per questo su Credit Suisse si intervenga con urgenza senza andare per il sottile e aggiusti chi ha rotto. È oggettivo che la pignola Banca centrale europea è sempre più rivalutata da questi fatti che riguardano banche americane e svizzere. Gli europei ci mettono tanto tempo a decidere, ma le crisi non le provocano mai loro. Abbiamo sempre criticato questa pignoleria, ma poi ci viene bene. È giusto, però, che gli scandali delle banche americane li paghino gli americani e gli scandali delle banche svizzere li paghino gli svizzeri.

Credit Suisse ha sette e passa miliardi di franchi svizzeri di perdite. Ha contato molte fuoriuscite di capitali e di depositi. È passata attraverso mille scandali e ha dovuto rinviare l’approvazione del bilancio del 2022 perché è sotto inchiesta della Securities and Exchange Commission (SEC) che vuol dire Commissione per i Titoli e gli Scambi ed è l’ente federale statunitense preposto alla vigilanza delle borse valori. Credit Suisse ha appena fatto un aumento di capitale di 4 miliardi, ma per fargli perdere ogni valore sono bastate poche parole del presidente di Snb, Ammar Al Khudairy, all’intervistatore di Bloomberg TV che gli chiedeva se la banca fosse aperta a fornire ulteriore liquidità al Credit Suisse.

Le parole sono state inequivoche: «La risposta è assolutamente no, per molte ragioni oltre a quelle più semplici, che sono regolatorie e statutarie». La banca saudita è la prima azionista del Credit Suisse con una quota poco sotto il 10%, acquistata lo scorso anno in occasione dell’aumento di capitale del gruppo svizzero. Il titolo era stato fortemente sotto pressione già nella seduta di martedì dopo che la banca aveva ammesso di avere trovato «concrete debolezze» nelle relazioni finanziarie degli ultimi due anni a causa di controlli interni inefficaci. Il mercato dà evidentemente per scontato che alla banca svizzera serva subito un altro aumento di capitale e il fatto che il suo nuovo principale azionista saudita non sia disponibile a scucire altri quattrini ha fatto crollare il mondo.

Qualcuno dirà non completamente a torto che è una caduta fuori luogo, perché il maxi aumento di capitale è avvenuto a febbraio, ma la verità è che i mercati hanno i nervi talmente tesi che basta niente e salta tutto e poi la banca è sotto osservazione da tempo. Di fatto si genera una crisi di sfiducia su Credit Suisse che rischia di diventare una profezia autoavverante anche perché il problema esiste e la banca centrale svizzera ha aperto una linea di liquidità ma non è la Federal Reserve. Se è a rischio una banca grossa e lo Stato al quale appartiene questa banca è uno Stato piccolo il rischio diventa più elevato. Perché i mercati danno più credito alla crisi bancaria e i depositi scappano come lepri.

Le incolpevoli banche italiane e francesi, come tutte quelle europee, crollano e dopo avere pagato il conto delle porcherie americane della banca della Silicon Valley pagano anche quello delle porcherie del colosso bancario svizzero di un Paese che dà lezioni di civiltà a tutti. Bisogna rendersi conto che i nervi sono davvero scoperti ed è bene che la cintura di sicurezza delle banche centrali sia potente, che i depositi siano garantiti, non è il momento questo delle prediche liberali. Però, sia chiaro, aggiusti chi ha rotto. Si intervenga, dunque, con urgenza senza andare troppo per il sottile. La storia irlandese nella grande crisi dei debiti sovrani ci ricorda che quando le banche sono grandi e gli Stati sono piccoli a rischiare di saltare per aria sono gli ultimi. Con tutto quello che c’è in giro di rischi geopolitici e finanziari non è proprio il caso di scherzare con il fuoco.

La pignola Banca centrale europea è sempre più rivalutata da questi fatti che riguardano banche americane e svizzere. Gli europei ci mettono tanto tempo a decidere, ma le crisi non le provocano mai loro. Abbiamo sempre criticato questa pignoleria, questo eccesso di regole, ma poi ci viene bene. Sarebbe giusto a questo punto che gli scandali delle banche americane li paghino gli americani e gli scandali delle banche svizzere li paghino gli svizzeri.

Il Quotidiano del Sud

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Su proposta del Ministro Giuseppe Valditara, è stato integrato l’Atto di indirizzo dell’accordo sottoscritto con i Sindacati lo scorso 10 novembre in tema di aumento delle retribuzioni del personale scolastico.


Banche e tassi


Silicon Valley Bank non c’entra con le nostre banche e non c’entra con l’Unione europea. Abbiamo regole e controlli decisamente più severi. Un crollo può sempre avvenire, il rischio non è mai eliminabile, ma quel genere di squilibrio nei conti di una banc

Silicon Valley Bank non c’entra con le nostre banche e non c’entra con l’Unione europea. Abbiamo regole e controlli decisamente più severi. Un crollo può sempre avvenire, il rischio non è mai eliminabile, ma quel genere di squilibrio nei conti di una banca no, verrebbe visto prima. Resta il fatto che quel fuoco è acceso e ha indotto il Tesoro statunitense a introdurre una novità: i titoli del debito pubblico verranno considerati garanzie (collaterali) al loro valore di libro e non di mercato. Lo ha qui spiegato ieri Lavaggi: al rialzo dei tassi d’interesse i titoli emessi precedentemente e a un tasso inferiore perdono valore se intendo liquidarli subito, ma restano immutati se attendo la scadenza.

Credit Suisse non c’entra con le nostre banche e con l’Unione europea. Ha da tempo notevoli problemi: erano intervenuti capitali sauditi, che ora annunciano di non rilanciare oltre. La banca ha passività per l’equivalente di 525 miliardi di euro, mentre dopo gli ulteriori crolli ha un valore in Borsa (capitalizzazione) di 7 miliardi. Ad avere allertato i mercati è stata la stessa banca, che non poteva certo nascondere i risultati della revisione (effettuata dalla società indipendente PwC). Ha quindi chiesto l’intervento della Banca centrale svizzera. Come a dire: noi affondiamo, tocca a voi un eventuale salvataggio o la messa in sicurezza.

Questi due incendi non ci riguardano, ma segnalano un problema che ci riguarda: dopo anni di denaro quasi senza costo sono cresciute bolle finanziarie che, a seguito del rialzo dei tassi d’interesse, possono esplodere con conseguenze sistemiche. Il che porta al dilemma delle nostre banche centrali, europea e statunitense. I rialzi dei tassi servono a contrastare l’inflazione. Nessuno, seriamente, contesta quei rialzi. I problemi sono: a. di quanto e che non sia “troppo” (misura indefinita), in modo da non favorire la recessione; b. se le banche centrali annunciano in anticipo i rialzi futuri ne aumentano l’effetto, ma vale per l’inflazione come per gli effetti recessivi; c. se smettono di dare programmi a medio termine vengono accusate di aumentare l’incertezza.

A oggi i tassi saliranno ancora, ma l’efficacia di questa operazione scema proprio all’emergere di taluni effetti sulle banche (è vero che guadagnano di più, ma i titoli in portafoglio perdono valore e i clienti entrano in difficoltà, traslandole sulle banche). Non c’è politica monetaria che funzioni se non accompagnata da politiche fiscali. Detto diversamente: o le banche centrali e i governi si muovono all’unisono o ne deriva una pericolosa cacofonia. Di sicuro, in questa condizione, scaricare le difficoltà politiche sulle banche centrali – così trascinandole in polemiche e dilemmi politici – è il modo sicuro per farsi del male.

A ciascuno la propria parte. E quella di chi governa non consiste nel lamentarsi.

La Ragione

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Difesa, a Tokyo una pietra militare per il futuro di Italia, Giappone e Uk


“Italia, Regno Unito e Giappone sono uniti dallo stesso destino e oggi abbiamo posato una pietra per costruire un futuro importante insieme”. Lo ha dichiarato Guido Crosetto, ministro della Difesa, durante l’incontro avvenuto oggi a Tokyo con gli omologhi

“Italia, Regno Unito e Giappone sono uniti dallo stesso destino e oggi abbiamo posato una pietra per costruire un futuro importante insieme”. Lo ha dichiarato Guido Crosetto, ministro della Difesa, durante l’incontro avvenuto oggi a Tokyo con gli omologhi giapponese Yasukazu Hamada e britannico Ben Wallace. “Una volta Indo-Pacifico e Mediterraneo erano aree considerate lontane tra loro. Oggi, invece, il mondo è diventato sempre più piccolo, le crisi sono aumentate e probabilmente in questo decennio la situazione peggiorerà. Il futuro del Mediterraneo dipende da ciò che succede nell’Indo Pacifico e viceversa. Ed è per questo motivo che le nostre Nazioni devono lavorare e cooperare insieme. Soltanto unendo le forze riusciremo a contrastare la grandezza dei problemi e le sfide future”, ha aggiunto.

AL LAVORO SUL PROSSIMO JET

Al centro dell’incontro, il rafforzamento del partenariato e il programma Global Combat Air Programme. I tre Paesi hanno firmato lo scorso 16 dicembre un memorandum di cooperazione sulla base delle solide e durature relazioni tra i tre Paesi, fondate sui valori di libertà, democrazia, diritti umani e stato di diritto. “Il Gcap”, ha sottolineato il ministro Crosetto, “è una scelta industriale, tecnologica ma è, prima di tutto, una scelta politica di tre importanti Nazioni che hanno deciso di intraprendere un percorso comune che permetterà alle rispettive Forze Armate di cooperare insieme in diversi ambiti”. È un accordo, ha continuato, “di grande rilevanza raggiunto in un delicato momento geopolitico” in quanto “le nostre tre nazioni rafforzano così la loro cooperazione in un progetto che avrà importanti ricadute nel campo tecnologico, dell’innovazione, ricerca e sviluppo nel settore dell’aerospazio, della difesa e sicurezza”.

LA PORTA È APERTA

Il programma per un nuovo velivolo di sesta generazione, come ha ricordato il ministro, potrà allargarsi anche ad altri Paesi: “Porterà un insieme di capacità senza precedenti che risulteranno fondamentali per il mantenimento della stabilità globale, creando i presupposti necessari a garantire lo sviluppo continuo nel campo della difesa per i decenni a venire”. Ieri la Difesa aveva diffuso una nota per smentire le ricostruzioni dell’agenzia Reuters secondo cui il programma avrebbe visto una partecipazione italiana al 20% e quelle britannica e giapponese al 40%. “L’alleanza tra i nostri governi e industrie della Difesa rappresenta un esempio di riferimento per le future collaborazioni internazionali” ha continuato il ministro sottolineando come l’Italia, forte delle proprie esperienze e delle competenze industriali e tecnologiche nel settore dell’aerospazio e nello sviluppo di velivoli militari, veda nel Regno Unito e nel Giappone i partner con i quali rafforzare un modello paritetico e flessibile nella già consolidata cooperazione industriale.

LE OCCASIONI INDUSTRIALI

I ministri hanno, altresì, evidenziato i benefici che questo accordo apporterà dal punto di vista industriale, determinando prosperità e sviluppo ed un incremento della cooperazione tra le rispettive industrie della Difesa che, già al momento, evidenziano ottime relazioni collaborative. Unanime consenso sul contributo che il Gcap fornirà alla sicurezza e allo sviluppo tecnologico dei tre Paesi. Un forte partenariato che avrà ricadute anche nei settori dell’economia, della sicurezza e della stabilità regionale. Nella parte conclusiva della trilaterale hanno partecipato anche gli amministratori delegati di Mitsubishi, Bae e Leonardo, aziende che guidano per Giappone, Regno Unito e Italia il progetto.

IL BILATERALE CON HAMADA

Prima dell’incontro a tre si è tenuto un bilaterale tra Hamada e Crosetto, in cui i ministri hanno sottolineato la volontà di rafforzare ulteriormente le relazioni bilaterali in molteplici dimensioni, incluso cyber defence ed esercitazioni congiunte. Da qui la volontà di rafforzare la collaborazione tra i due Paesi. Uno scambio tra le Forze Armate che include l’addestramento in Italia di piloti giapponesi presso l’International Flight Training School, polo di eccellenza internazionale nell’addestramento di piloti militari. Un altro esempio saranno le campagne addestrative nell’Indo Pacifico alle quali la Difesa italiana parteciperà con assetti e personale della Marina e dell’Aeronautica Militare – entro inizio 2024 dovrebbe essere dispiegata nella regione la portaerei Cavour. Quella dell’Indo-Pacifico, si legge in una nota della Difesa italiana, è un’area di sempre maggiore rilevanza per la stabilità dell’ordine internazionale, per lo sviluppo del commercio, per peso economico, demografico e politico, aspetto che trova conferma anche nell’agenda Nato 2030.


formiche.net/2023/03/italia-gi…



Moldavia: la Russia ha gli occhi puntati sulla Gagauzia


Ora che la guerra di Mosca contro Kiev è entrata nel suo secondo anno, tutti gli occhi sono puntati sull’Ucraina orientale, dove i combattimenti iniziano a intensificarsi con l’arrivo della primavera. Tuttavia, a 450 miglia a ovest, nella Repubblica di Moldavia, la Russia sta creando ulteriori problemi. Questa settimana le autorità locali della Transnistria, la […]

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La mia foto profilo è un'opera d'arte

Francesco De Molfetta – Vati-Cane

Francesco De Molfetta – Vati-Cane
arrestedmotion.com/2012/01/pre…



Stacia Datskovska (USA) non ama Firenze



Una giovane yankee aspirante gazzettiera di nome Stacia Datskovska scrive di non essersi trovata bene a "studiare" a Firenze.
Le giovani yankee in città sono note da molti anni per la loro cultura da rotocalco, la loro spiccata predilezione per gli alcolici e i loro discutibili costumi.
Un loro giudizio negativo, di conseguenza, non scuote gli animi più di tanto.
Amanda Knox che le ricorda come studiare nella penisola italiana sia "fantastico" ha invece ragione da vendere: l'impunità di cui gli yankee godono nello stato che la occupa permette loro di attraversare senza scosse anche un processo per reati di rara efferatezza traendone persino una qualche notorietà.


Austrian DSB: Meta Tracking Tools Illegal


DSB austriaco: gli strumenti di meta-tracciamento sono illegali L'Autorità austriaca per la protezione dei dati (DSB) ha deciso che l'uso del pixel di tracciamento di Facebook viola direttamente il GDPR e la cosiddetta decisione "Schrems II" sui flussi di dati tra FB Pixel


noyb.eu/en/austrian-dsb-meta-t…



Twitter Vs Mastodon

@Che succede nel Fediverso?

Ho pubblicato questo grafico su Twitter (fino a 95.000 follower) e Mastodon (con 1/10 di follower).
Ho ricevuto il doppio dei like/boost su Mastodon. Su Twitter ho ricevuto dozzine di brutte risposte da negazionisti del clima e troll. Su Mastodon ho ricevuto domande educate e interessanti.


Post by @Peter Gleick


Twitter vs. Mastodon
I posted this graph on Twitter (to 95,000 followers) & Mastodon (with 1/10th the followers).
I got double the likes/boosts on Mastodon. On Twitter I got dozens of ugly replies from climate deniers & trolls. On Mastodon I got polite & interesting questions.

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in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

C'è anche da dire che su Twitter conta il numero di interazioni (indipendentemente dal "tipo") mentre su Mastodon o in generale nel fediverso, grazie anche al fatto che si parte "da zero", ogniuno si crea la sua bolla come vuole

Sono sicuro che, da qualche parte, esistano istanze piene di complottisti che se la suonano e se la cantano

in reply to quasimagia

@quasimagia

> Sono sicuro che, da qualche parte, esistano istanze piene di complottisti che se la suonano e se la cantano

Ci sono molte istanze pleroma e peertube (ce n'è anche una italiana) fatte proprio per i complottisti. Al di là del fatto che sono praticamente defederate da tutto il fediverso italiano, è interessante vedere di cosa si "discute": in pratica sembrano una camera degli orrori in cui ognuno URLAAAA la propria verità, non ci si fila l'uno con l'altro e ognuno si spalma con le proprie feci per liberare la propria espressività... Un cazzo di inferno, insomma.

Tutta quella bellissima gente è così, è sempre stata così: non è fatta per socializzare, ma solo per aggregarsi quando trova qualcuno che URLAAAA più forte. I socialproprietari, con i loro algoritmi di aggregazione, aiutano queste persone a ritrovarsi sotto alcuni loro "influencer", anche se il massimo si esprime nei canali Telegram, in cui c'è uno che spara grosse flatulenze e gli altri si rotolano eccitati mentre le annusano.

Il fediverso invece è dispersivo, ostico, ti rende invisibile by default se non interagisci e non ti consente di trovare facilmente le persone che vorresti offendere e molestare: in pratica è disegnato malissimo per questo tipo utenza.




È stato pubblicato l’elenco di 399 interventi di edilizia scolastica indicati dalle Regioni e finanziati con circa 936 mln di risorse nell’ambito del #PNRR, che Comuni e Province potranno immediatamente attuare.
#pnrr

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Stefano Galieni*   Pensarci a freddo è impossibile. Non passa quasi giorno che dal mare calabrese, da quella spiaggia bella, da quel mare turchese


Dopo lo stop ai certificati di nascita dei figli delle famiglie arcobaleno in tutta Italia e la decisione governativa di bloccare il certificato europeo di fili

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Rise Of The Northstar - Showdown


🎧 #RECENSIONE:

👉 Rise Of The Northstar - Showdown
#numetal

Dopo tre anni di composizione e di produzione esce il nuovo disco dei francesi Rise Of The Northstar intitolato "Showdown" per Atomic Fire. Il gruppo francese nato nel 2008 ha messo insieme sottoculture musicali come l'hardcore, l'hardcore beatdown, l'hip-hop con la cultura giapponese di certi manga ed anime.

iyezine.com/rise-of-the-norths…



Fr.#22 / Di tasse e sacrifici umani


Nel frammento di oggi: tasse, sorveglianza di massa e sacrifici umani per placare i sinistri Dei del Clima / Addio SPID, bentrovata identità digitale unica / Meme e citazione del giorno

Tax (and surveil) the rich


Pare che 130 europarlamentari, socialisti e democratici di sinistra, abbiano proposto di extra-tassare i super-ricchi con patrimoni oltre i 50 milioni di euro per “ridurre le disuguaglianze e contribuire a finanziare gli investimenti necessari per la transizione ecologica e sociale”.

5949671

I migliori tra noi diranno che è giusto; anzi doveroso. Che chi più guadagna, più deve contribuire.

I peggiori, invece, potrebbero sostenere che non è un contributo, né una partecipazione. Semmai, una espropriazione forzosa e violenta non consensuale.

Purtroppo l’espropriazione forzosa non si limita certo al patrimonio, ma anzi inizia proprio con l’invasione ingiustificata della sfera personale di queste persone. Anzi — un’invasione ingiustificata della sfera personale di tutti noi.

Eh sì, perché prima di extra-tassare gli ultra-ricchi, bisogna trovarli. E per trovarli non c’è altra soluzione se non assoggettare l’intera popolazione a meccanismi di sorveglianza di massa finanziaria, secondi come perversione solo all’atto di rubare al prossimo per portare avanti le proprie, opinabili e personalissime, battaglie politiche.

Privacy Chronicles non chiede sacrifici umani, né espropriazione violenta. Se ti piace, ti iscrivi, altrimenti amici come prima.

Vincerà ancora una volta l’etica sinistra1 che, giustificando ogni violenza, ritiene l’individuo sempre sacrificabile a favore di un fantomatico bene collettivo che non esiste? Ancora una volta vi convinceranno che è giusto sacrificare la vostra privacy e la proprietà di chi è colpevole di avere troppo per il bene comune?

234061Stai fermo, è per il bene di tutti

Avanti tutta sull’identità digitale nazionale


E se vi piace l’idea di rinunciare a privacy e proprietà per soddisfare la sete di sangue dei sinistri Dei Verdi, sarete molto felici di sapere che i lavori per l’identità digitale nazionale (e poi europea) proseguono a gonfie vele.

5949673

A me non piaceva lo SPID, così come non mi piace nessuno schema di identità digitale statale. Devo però ammettere che era il male minore. D’altronde, lo diceva anche l’AGID. Abbiamo bisogno di SPID, perché:

Principio della libertà di scelta dell'utente. Ogni cittadino potrà scegliere l’IdP che vorrà e smettere di usare un provider se lo desidera.

Nessuna banca dati centralizzata delle identità. Per proteggere la privacy degli utenti, ogni IdP sarà responsabile dello svolgimento in modo sicuro delle attività connesse, mentre ogni service provider – pubblico o privato – avrà accesso solo ai dati di cui ha bisogno per erogare il servizio.


Libertà di scelta e privacy? Nossignori, non scherziamo. È stato bello finché è durato ma ora si tira dritto: nessuna libertà di scelta e nessuna privacy. Sarà papà Stato a gestire tutto e avere il monopolio assoluto sulle nostre identità.

Non abbiate fretta però, il vero giro di boa lo avremo quando finalmente l’agenda climatica potrà usufruire di un’identità digitale unica per ogni singolo cittadino europeo. L’extra-tassazione dei super-ricchi sarà un bel ricordo lontano.

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Meme del giorno


234062In Italia è più intorno al 60%

Citazione del giorno

When plunder becomes a way of life for a group of man in a society, over the curse of time they create for themselves a legal system that authorizes it and a moral code that glorifies it.

Frédéric Bastiat

Articolo consigliato


Immagine/fotoPrivacy Chronicles

Agenda climatica? Sorveglianza e controllo, una distopia eco(in)sostenibile

L’agenda comun…ehm - climatica - è ormai a pieno regime, e purtroppo si porta dietro un tale carico di sorveglianza di massa e controllo sociale che anche i meno sensibili tra voi dovrebbero, forse, iniziare a preoccuparsi. I segnali, convergenti tra loro, sono ovunque - anche se sparpagliati e apparentemente separati l’uno dall’altro…
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6 months ago · 11 likes · 1 comment · Matte Galt

Leggi gli altri Frammenti

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3. fig. Infausta, sfavorevole, avversa (per il prevalere, nelle antiche tradizioni popolari, della credenza che gli auspìci provenienti da sinistra fossero di cattivo augurio): presagi s., tempi s.; che fa presagire sventure e danni, lugubre.




#Lockbit ricatta #ElonMusk: se non paga, la documentazione e alcune informazioni riservate relative a #SpaceX saranno pubblicate
Dal servizio di aggornamento curato da @N_{Dario Fadda} :unverified:
ransom.insicurezzadigitale.com…


📚 Oggi, al Ministero, è stata inaugurata un’esposizione di libri alla presenza del Ministro Giuseppe Valditara e del Generale Ispettore Capo Basilio Di Martino dedicata al Centenario dell’Aeronautica Militare, che cade il prossimo 28 marzo.


Attenzione: questo è un messaggio di servizio (il primo in quasi due anni) inviato da Poliverso con un esplicito invito a contribuire per mantenere vivo e in buona salute il progetto di Poliverso ed è rivolto in particolare:
- a chi utilizza i nostri servizi in quanto utente di poliverso.org, poliversity.it e feddit.it
- a chi utilizza i gruppi/forum Friendica e le comunità Lemmy
- a chi segue i nostri account informativi Notizie dal fediverso, Cybersecurity, Privacy Post, Pirate Post e Ministero dell'istruzione
Chi volesse offrire un contributo potrà farlo attraverso due sistemi differenti:

1) Ko-Fi
2) LiberaPay


La pagina Ko-Fi di Poliverso

La pagina LiberaPay di Poliverso


Cos'è un #Forum o #Gruppo di #Friendica? Più o meno è una specie di "Gruppo #Facebook"!


Friendica è un posto strano, creato da alcuni programmatori, sulla base (diciamo la verità) di ciò che hanno visto durante la loro vita su Facebook.
Il funzionamento di un forum di Friendica è un po' diverso da quello di un gruppo Facebook, ma la finalità è abbastanza simile: si tratta infatti di un luogo in cui è possibile discutere con alcune persone interessate agli stessi temi.
Per partecipare alle discussioni di questo forum, puoi:
- Iscriverti a forum@poliverso.org: per iscriverti devi prima seguire questo forum e poi inviare un messaggio al suo indirizzo menzionandolo nel tuo messaggio
- se vuoi che il messaggio sia indirizzato al forum ma anche a tutti i tuoi contatti, devi menzionare l'indirizzo scrivendolo con la chiocciola (così: @Poliverso Forum di supporto); se invece vuoi inviare il messaggio solo al forum, devi menzionarlo facendo precedere il nome dal punto esclamativo (così: !forum@poliverso.org)
- firmare il libro degli ospiti commentando questo post!
- condividerlo con tutti quelli che conosci e, se non conosci ancora nessuno, condividerlo ora per farlo vedere a quelli che conoscerai... 😉
- se sei interessato ai nostri gruppi / forum puoi trovarli in questa lista:
- -- @Poliverso Forum di supporto (sì, siamo noi)
- -- @Scuola - Gruppo Forum (tutto sulla scuola -e il software libero)
- -- @Astronomia - Gruppo Forum (legato all'omonima comunità feddit è dedicato a chi si interessa di stelle, pianeti, satelliti e viaggi spaziali)
- -- @Basket - Gruppo Forum (dedicato alla pallacanestro italiana e straniera)
- -- @Filologia - Gruppo Forum (dedicato alla regina delle scienze umane)
- -- @Libri - Gruppo Forum (dedicato ai libri e alla lettura)
- -- @Psicologia - Gruppo Forum (dedicato a questa affascinante disciplina)
- -- @terremoti@poliverso.org (dedicato all'informazione sui terremoti)
- -- @Ingegneria - Gruppo Forum (dedicato a studenti ed ex studenti di ingegneria)
- -- @Eventi Linux - Gruppo Forum (per chi vuole dare notizia di eventi legati al mondo Linux)
- -- @Motori - Gruppo Forum (per gli appassionati di auto e moto)
- -- @Cucina ricette e ristoranti - Gruppo forum (dedicato a uno dei più frequenti argomenti di conversazione)




#NotiziePerLaScuola

Il film “Fuoricondotta”, diretto da Fabio Martina e realizzato con i ragazzi e le ragazze degli istituti scolastici “Ermanno Olmi” e “Sorelle Agazzi”, sarà disponibile in streaming il 17 marzo 2023.

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MADRE DI BONG JOON-HO


Una donna sola vive totalmente in funzione del figlio, un ragazzo problematico, senza lavoro e non pienamente autosufficiente. Un giorno il giovane viene accusato dell’omicidio di una ragazza. La madre fa di tutto per provare a scagionarlo. #cinema #korea @Film

iyezine.com/madre-di-bong-joon…



Guerre Digitali di Maria Teresa Taddeo


feddit.it/post/174945


Il podcast della filosofa Mariarosaria Taddeo, con particolare approfondimento sugli aspetti etici e quelli legati alla sicurezza nazionale


crosspostato da: feddit.it/post/174944

«Nell’epoca della rivoluzione digitale, le guerre digitali sono un fatto. Nella società contemporanea, una società digitale a tutti gli effetti, l’intero spettro delle attività belliche, dall’intelligence alle battaglie cinetiche, è supportato dal digitale.
C’è un legame diretto tra i valori e i diritti che caratterizzano una società e il modo in cui questa regola e affronta la guerra; per le guerre digitali questi valori e regole sono ancora tutti da chiarire.»

Ecco il podcast della filosofa Mariarosaria Taddeo, con particolare approfondimento sugli aspetti etici e quelli legati alla sicurezza nazionale
(segnalato nella newsletter #GuerrediRete)