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I CARABINIERI RECUPERANO IN OLANDA STATUA TRAFUGATA IN COSTIERA AMALFITANA


I CARABINIERI RECUPERANO IN OLANDA STATUA TRAFUGATA IN COSTIERA AMALFITANA

La storica statua italiana della Madonna del Monte Carmelo, di grande importanza religiosa, è stata restituita all'Italia dai Paesi Bassi con il sostegno giudiziario di Eurojust. Il reperto religioso è stato rubato nel 2014 da una chiesa a Pastena, nella Costiera Amalfitana e successivamente acquistato da un collezionista olandese. Eurojust ha assistito le autorità italiane nella rapida esecuzione di un ordine europeo di indagine (OEI) per organizzarne la restituzione alla parrocchia di Pastena.

L’ordine europeo di indagine è una decisione giudiziaria emessa o convalidata dall’autorità giudiziaria di un paese dell’UE per ottenere atti di indagine effettuati in un altro paese dell’UE al fine di raccogliere elementi di prova in materia penale. L'esecuzione deve essere eseguita con le stesse modalità che si seguirebbero che l'atto investigativo in questione fosse stato ordinato da un'autorità dello Stato di esecuzione.

La statua, che ha circa 700 anni, è stata rubata dalla chiesa nell'agosto 2014 e messa in vendita tramite un antiquario italiano. È stata acquistata in buona fede da un collezionista olandese che intendeva rivenderla e ha postato le foto sui social. Ad avvistarli è stato il parroco di Pastena, che ha contattato le autorità italiane.

Un'indagine era stata avviata dai carabinieri della Tutela dei Beni Culturali e dalla Procura della Repubblica di Salerno, che hanno poi contattato Eurojust per avviare l'iter di recupero e restituzione del reperto in Costiera Amalfitana. L'Agenzia ha prestato assistenza nell'esecuzione dell'OEI, ed ha fornito ulteriore supporto giudiziario transfrontaliero alle autorità in Italia e nei Paesi Bassi. Il trasferimento della statua è avvenuto nei giorni scorsi.

Per saperne di più sull’ordine europeo di indagine: e-justice.europa.eu/content_eu…

#ArmadeiCarabinieri #ordineeuropeodiindagine #Eurojust



Welcome to the final update of the year. A bit shorter before a break over the holidays, and then Fediverse Report will be back for it’s second year! Stay tuned for more information on how Fediverse Report will evolve over the coming period! Fedivers…


Export militare, la svolta giapponese con vista sul Gcap


Sarà possibile per il governo di Tokyo esportare materiale d’armamento, attrezzature militari e tecnologie di difesa prodotte in Giappone sia verso i Paesi proprietari delle licenze, sia verso le Nazioni che si difendono da un’invasione. La riforma voluta

Sarà possibile per il governo di Tokyo esportare materiale d’armamento, attrezzature militari e tecnologie di difesa prodotte in Giappone sia verso i Paesi proprietari delle licenze, sia verso le Nazioni che si difendono da un’invasione. La riforma voluta dal governo del Sol levante segna un cambio di passo notevole per un Paese la cui rigida costituzione pacifista impediva fino a questo momento il trasferimento di attrezzature militari. L’obiettivo dichiarato da Tokyo è quello di rafforzare i legami di sicurezza con i Paesi partner, una necessità nel quadro internazionale sempre più insicuro e instabile. La decisione ancora non ricomprende il caso di prodotti co-sviluppati con partner internazionali a Paesi terzi, mancando un accordo tra i vari partiti di maggioranza, e in questo senso un progetto come il Global Combat Air Programme per sviluppare, insieme a Italia e Regno Unito, il caccia di sesta generazione resta per ora escluso dalla possibilità di esportazione da parte di Tokyo. Tuttavia, il segnale resta importante, e non è escluso che in attesa degli sviluppi del Gcap, non possa avvenire un ulteriore passo in questa direzione da parte nipponica.

La recente riforma segnala infatti la prosecuzione del processo di revisione delle norme sulle esportazioni iniziate nel 2014, quando il Giappone rimosse le misure di embargo netto sulle armi della sua Costituzione. In generale, il Paese del Sol levante ha intrapreso con sempre maggiore decisione la strada di una riforma generale del suo comparto difesa, superando le resistenze storiche anche della popolazione, di fronte alla necessità ravvisata dal governo di assicurare una maggiore sicurezza al Paese in uno scenario globale e regionale sempre più fragile. La minaccia missilistica nordcoreana e l’assertività crescente di Pechino nel mar Cinese meridionale (dove oltre a Taiwan, Pechino rivendica anche le isole Senkaku amministrate da Tokyo) hanno spinto il Giappone a rivedere le proprie politiche di disarmo, verso un potenziamento delle Forze di auto-difesa e una maggiore collaborazione internazionale di Difesa, a partire dagli Stati Uniti e dagli altri Partner regionali.

Sono tre i principi emendati sul trasferimento di attrezzature e tecnologie per la difesa. Con le nuove norme, il Giappone può adesso trasferire i sistemi d’arma prodotti su licenza straniera in Giappone ai Paese licenziatari. È il caso recente dei missili terra-aria Patriot (e in particolare i modelli Pac-2 e Pac-3) prodotti in territorio giapponese sotto licenza dell’azienda americana Raytheon, che il governo di Tokyo sta per inviare agli Stati Uniti. Gi arsenali di Washington stanno infatti fronteggiando una forte carenza di questi sistemi, in parte forniti alle forze armate di Kyiv e in parte dispiegati in Medio Oriente, ma anche nella regione Indo-Pacifica. La revisione consente inoltre al Paese di vendere parti di armi a condizione che i componenti di per sé non siano letali, come i motori dei jet da combattimento, e infine di fornire attrezzature di difesa a Paesi che si difendono da invasioni che violano il diritto internazionale, come l’Ucraina.

Per quanto riguarda il caccia di nuova generazione sviluppato congiuntamente da Giappone, Regno Unito e Italia, il governo Fumio Kishida sta cercando di eliminare il divieto di esportare prodotti co-sviluppati ad altri Paesi. Questo rappresenterebbe un boost sostanziale alla sostenibilità del progetto non solo per il Giappone, ma in generale per lo sviluppo dell’intero programma. Permetterebbe, infatti, al consorzio di avere nel Giappone un partner cruciale per la sua presenza nell’Indo-Pacifico, diventando una potenziale piattaforma per l’esportazione del sistema a Paesi partner come Australia o Corea del Sud.


formiche.net/2023/12/export-di…



Sono una giornalista a Gaza: “Ogni giorno, ogni momento, mi confronto con l’idea che potrei essere uccisa”


Da quando Israele ha iniziato a bombardare e assediare Gaza il 7 ottobre - lanciando un'invasione di terra dell'enclave tre settimane dopo - almeno 97 giornalisti sono stati uccisi, secondo l'ufficio stampa del governo di Gaza. Committee to Protect Journa

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di Maha Hussaini* – The New Humanitarian

(la foto è di al Jazeera English per Creative Commons)

Come giornalista palestinese e attivista per i diritti umani nella Striscia di Gaza che racconta l’impatto della guerra israeliana che dura ormai da due mesi e mezzo, sto diventando sempre più consapevole che potrei essere il prossimo obiettivo di un attacco aereo israeliano.

Da quando Israele ha iniziato a bombardare e assediare Gaza il 7 ottobre – lanciando un’invasione di terra dell’enclave tre settimane dopo – almeno 97 giornalisti sono stati uccisi, secondo l’ufficio stampa del governo di Gaza. Committee to Protect Journalists, una ONG internazionale, stima a 61 il numero dei morti a Gaza durante la guerra.

Molti di questi giornalisti e operatori dei media sono stati uccisi mentre lavoravano, ma altri sono stati uccisi insieme ai membri delle loro famiglie mentre erano a casa o nelle case in cui si erano rifugiati dopo essere stati sfollati con la forza. I giornalisti uccisi sono un piccolo sottoinsieme delle 20.000 persone – di cui circa il 70% donne e bambini – che sono state uccise dalla campagna militare di Israele a Gaza dal 7 ottobre.

Non dovrei essere obbligata a ricordarlo, ma i giornalisti sono civili e i civili non dovrebbero essere presi di mira nelle operazioni militari: si tratta di una violazione del diritto internazionale umanitario.

A causa della difficoltà di raccogliere prove, in molti casi è difficile dimostrare in modo definitivo che Israele stia deliberatamente prendendo di mira i giornalisti. Tuttavia, l’elevato numero di operatori dei media uccisi a Gaza sembra essere intenzionale o dimostrare che l’esercito israeliano sta operando con un totale disprezzo per la vita dei civili – o entrambe le cose.

Ci sono comunque prove che le forze israeliane abbiano intenzionalmente preso di mira i giornalisti; sia durante le attuali ostilità – come nel caso dell’attacco del 13 ottobre che ha ucciso il giornalista libanese Issam Abdullah – sia recentemente, con l’uccisione della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh in Cisgiordania nel 2022.

Come giornalisti che lavorano durante i combattimenti, indossiamo giubbotti antiproiettile ed elmetti per identificarci chiaramente come membri della stampa. Questa dovrebbe essere una forma di protezione, che segnala ai combattenti di non prenderci di mira. A Gaza, le giacche e gli elmetti dei giornalisti sono sempre più spesso considerati un problema. I miei colleghi giornalisti a volte preferiscono toglierseli quando fanno reportage in luoghi pubblici affollati, temendo che la loro presenza visibile nell’area possa provocare un attacco da parte di Israele.

Anche i residenti di Gaza hanno sempre più paura di trovarsi nello stesso posto dei giornalisti. Uno di recente mi ha detto: “Ovunque si trovi un giornalista può essere preso di mira”.

Il nostro dovere è fare luce

Ho vissuto tutta la vita sotto l’occupazione israeliana e so che in passato i giornalisti palestinesi sono stati presi di mira e uccisi a Gaza e in Cisgiordania. Ma in qualche modo credevo ancora che essere un giornalista mi garantisse una sorta di sicurezza durante gli attacchi militari. Volevo credere che quando i giornalisti venivano uccisi negli attacchi aerei o dai proiettili dei cecchini, non fossero il bersaglio designato, che la loro morte fosse un incidente.

Dopo gli ultimi due mesi e mezzo, non ci credo più.

Durante la seconda settimana dell’invasione israeliana, stavo facendo un servizio in diretta per un canale televisivo dalla casa in cui mi sono rifugiata dopo essere stato costretta a lasciare la mia abitazione. Descrivevo la situazione a Gaza e riferivo degli attacchi di Israele.

Pochi minuti dopo aver terminato l’intervista, ho ricevuto una telefonata da un parente all’estero che l’aveva vista per caso. “Sai che puoi essere presa di mira nella casa dove stai, e che tutti quelli che sono con te possono essere uccisi a causa del tuo lavoro?”, mi ha chiesto. Un altro collega straniero mi ha poi domandato: “Come ti senti a lavorare in una professione in cui un collega giornalista viene ucciso ogni giorno?”.

Nonostante il pericolo e la sensazione di essere un bersaglio, i giornalisti a Gaza hanno continuato a coprire gli eventi sul campo. È nostro dovere raccontare ciò che sta accadendo, soprattutto perché Israele e l’Egitto non permettono ai giornalisti internazionali di entrare a Gaza se non per missioni controllate dall’esercito israeliano. Senza di noi, la morte, la distruzione e la sofferenza causate dalla campagna militare e dall’assedio di Israele si svolgerebbero all’oscuro di tutto.

Anche noi viviamo la catastrofe

Mentre continuiamo a fare il nostro lavoro – anche se sentiamo sempre più spesso che le nostre vite sono minacciate a causa della nostra professione – viviamo la catastrofe a Gaza come chiunque altro.

Sentiamo che potremmo essere uccisi da un momento all’altro, o che le nostre famiglie o i nostri vicini potrebbero essere uccisi. Ogni giorno, ogni momento, mi confronto con l’idea che potrei essere uccisa. Nella mia testa, convivo con questo pensiero, implorando di avere un giorno in più per scrivere un’altra storia o intervistare un’altra vittima di questa guerra. Sento l’immensa responsabilità di rimanere in vita il più a lungo possibile, non solo per la mia sicurezza, ma anche per continuare a dare voce a tutte le persone senza voce che incontro ogni giorno.

Se dovessi essere uccisa, so che ci sono decine di giornalisti che continueranno il lavoro. Ma sento anche di dover lottare per poter continuare a lavorare, per andare avanti, a qualunque costo.

Essere un giornalista a Gaza significa essere sia la persona che racconta un attacco sia la vittima che ne è testimone. Sei il giornalista che scrive delle centinaia di migliaia di sfollati forzati, e sei uno degli sfollati costretto a fuggire perché il tuo quartiere è stato bombardato a tappeto e la tua casa è stata distrutta. Sei quello che scrive delle interruzioni di corrente a Gaza usando carta e penna, fotografando la tua storia scritta a mano per inviarla via WhatsApp e risparmiare la batteria del tuo cellulare.

Quando citi le fonti a sostegno dei tuoi articoli, sei uno del 56% dei residenti che soffrono di gravi livelli di fame e uno.a dei 350.000 sfollati – su 1,9 milioni in totale – che patiscono malattie e diarrea a causa dell’acqua contaminata e della mancanza di forniture igieniche. E sei uno dei 2,3 milioni di residenti di questa enclave che vorrebbero essere tutto tranne che esseri umani che vivono a Gaza in queste condizioni disumane.

*Giornalista pluripremiata e attivista per i diritti umani basata a Gaza

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VERSIONE ITALIANA GIAPPONE, IN ALCUNE CITTA’ I PASSEGGERI DEL TRAM POSSONO PAGARE UTILIZZANDO LA TECNOLOGIA DI RICONOSCIMENTO FACCIALENella città di Kumamoto, a sud del Giappone, è stato avviato un progetto pilota per consentire ai passeggeri del tram di pagare con il proprio volto grazie alla tecnologia di riconoscimento facciale di Saffe. Il progetto durerà fino …

Sabrina Web 📎 reshared this.



La differenza tra Threads e il Fediverso libero

Threads è Come andare in crociera: stai in mezzo a mille persone, ognuna che pensa di essere Gesù Cristo in Terra e in più paghi un sacco di soldi. Quando invece stai in una istanza del fediverso libero è come se fossi in barca a vela invitato da un gruppo di amici: Se vuoi puoi contribuire alle spese e soprattutto non ti "senti" libero, ma sei "davvero" libero!

@Che succede nel Fediverso?


@Trash Panda Threads è Come andare in crociera: stai in mezzo a mille persone, ognuna che pensa di essere Gesù Cristo in Terra e in più paghi un sacco di soldi. Quando invece stai in una istanza del fediverso libero è come se fossi in barca a vela invitato da un gruppo di amici: Se vuoi puoi contribuire alle spese e soprattutto non ti "senti" libero, ma sei "davvero " libero

Unknown parent

@Gianlu 🇮🇹 – 🇪🇺 vaglielo a spiegare agli sviluppatori di Friendica... 😁 😄 🤣

(purtroppo il tag [share][/share] di Friendica, viene transcodificato così sia da Mastodon sia da Misskey 🤷🏽‍♂️


Unknown parent

misskey - Collegamento all'originale
Trash Panda
Purtroppo si, per quello quando uso una app preferisco husky, conosco il developer, non di persona fisicamente, ma siamo amici qua su fedi, e so che è affidabile. Rispetto molto la sua filosofia.
A volte fa anche streaming quando programma la app e vedi in tempo reale cosa fa, e ovviamente la app è open source.
in reply to Trash Panda

Questa cosa dei client che decidono a priori al posto delle persone la trovo vomitevole, detto proprio sinceramente. E indipendentemente dal motivo specifico.
Questa voce è stata modificata (1 anno fa)


BiPatto


L’accordo sul Patto è stato trovato. Ne è soddisfatto il governo italiano, che si annette il geometrico merito d’essersi messo al centro. E ci mancherebbe, fossero questi i problemi. Quello di cui parliamo è il Patto europeo sulla migrazione e sull’asilo,

L’accordo sul Patto è stato trovato. Ne è soddisfatto il governo italiano, che si annette il geometrico merito d’essersi messo al centro. E ci mancherebbe, fossero questi i problemi. Quello di cui parliamo è il Patto europeo sulla migrazione e sull’asilo, al termine di un negoziato che ha coinvolto i Paesi membri, il Parlamento europeo (che lo voterà in seduta plenaria) e la Commissione europea, che ne fissa i cinque pilastri. In buona sostanza: responsabile resta il Paese di primo approdo; si standardizzano identificazioni e dati biometrici; i Paesi che non accetteranno la distribuzione del carico umano saranno tenuti a un maggiore carico economico.

Fino a qualche settimana addietro era tutto uno sgrugnarsi di rimproveri reciproci e di finte rotture. Noi guardavamo la sostanza, tenevamo in conto la realtà reale e non la narrativa mendace della serie «L’Italia è stata lasciata sola» e ritenevamo l’accordo non soltanto possibile ma a portata di mano. Così è stato e il copione si replica con l’altro Patto, quello economico e intitolato alla stabilità e alla crescita. In questo caso il ministro dell’economia richiama lo <<spirito del compromesso>>. Bene così.

Convergere su un Patto europeo è buona cosa, ma non in sé una soluzione. Che le frontiere esterne di ciascun Paese fossero frontiere esterne europee era già assodato, mentre i Paesi governati da sovranisti, a Est, avevano impedito la monetizzazione del rifiuto allo smistamento (la solita Ungheria è ancora di traverso). Che non è e non sarà automaticamente accoglienza. Ora il Parlamento europeo fa un importante passo in avanti, in accordo con la festante Commissione europea (la cui presidente ha parlato di accordo «storico», e bisognerà che ci si rassegni all’idea che la storia la scrivono i posteri, mentre i contemporanei compiono scelte). Non di meno il problema resta intatto, molti altri proveranno a entrare illegittimamente, i respingimenti resteranno complicati. Ma si è fissata la procedura con cui affrontare il problema. E non è poco.

Analogo ragionamento vale sul lato economico. I debiti alti – il nostro lo è esageratamente – restano tali. Contabilizzare questa o quella spesa (ad esempio i soldi spesi nella difesa) ai fini dell’equilibrio fra Stati non modifica il fatto che i soldi presi in prestito comunque debito rimangono. E se crescente il problema aumenta, anche ove non contestato dalle autorità europee. Ma convergere sui criteri è molto importante perché crea le condizioni dell’argine comune, togliendo terreno ad attacchi speculativi e lasciando attive le difese comuni. Le difficoltà nel rispettare gli accordi – evocate sia dalla presidente del Consiglio che dal ministro dell’Economia – sono reali, ma di gran lunga meno dolorose e pericolose del non avere un Patto attivo.

Ricordato ancora una volta che il Meccanismo europeo di stabilità non c’entra nulla, non c’è alcun nesso e che l’idea di gestire un negoziato ‘a pacchetto’ la si può vendere a qualche elettore sprovveduto ma è priva di fondamento, quindi sottolineato ancora che allungare questo strazio serve soltanto a rendere più dolorosa l’inversione a U che le forze al governo dovranno fare (la Lega ha già trovato la formula: siamo contrari, ma ci rimettiamo a Meloni), il problema italiano è la consapevolezza che non sono reali i conti ancora da approvare. Fra Natale e la fine dell’anno, con puntuale rispetto della tradizione e del palpitante ultimo minuto (ma tanto non succede niente), sarà approvata una legge di bilancio che – nello stabilire in che modo e in che misura sarà ridotto il debito pubblico nel corso del 2024 – parte dall’assunto che la nostra crescita sarà dell’1,2%. Il che è fuori dalla realtà e la Banca d’Italia prevede che cresceremo della metà, lo 0,6%. Quindi saranno votati conti che già si sa dovranno essere rifatti. Quello è il nostro problema, serio.

Il dilemma politico sta da un’altra parte: come praticare scelte sagge, che portano a maggiore integrazione europea, dopo avere lungamente sostenuto il contrario. Ma l’arte delle parole è materia in cui l’eccellenza abbonda, fra le file della politica.

La Ragione

L'articolo BiPatto proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



I tre cappi al collo dei bipopulisti italiani


Una classe politica senza memoria, priva di continuità istituzionale e consegnata ad un eterno presente che impedisce ogni visione strategica a medio, lungo periodo. È questa l’immagine dell’Italia dopo il voto alla Camera sul Mes. La memoria. Se i partit

Una classe politica senza memoria, priva di continuità istituzionale e consegnata ad un eterno presente che impedisce ogni visione strategica a medio, lungo periodo. È questa l’immagine dell’Italia dopo il voto alla Camera sul Mes.

La memoria. Se i partiti che non hanno votato a favore della riforma del Meccanismo europeo di stabilità (FdI, Lega, FI, M5s) sostenendo che “serve solo alle banche tedesche” avessero avuto memoria della crisi finanziaria che travolse l’Europa nel 2010, saprebbero che quando le banche tedesche entrano in sofferenza il contagio dilaga ai paesi considerati più fragili. E l’Italia è il primo della lista. Se il Mes, inapplicabile a causa della mancata ratifica italiana, non salverà, all’occorrenza, le “banche tedesche”, chi salverà il sistema creditizio italiano?

La continuità istituzionale. Di prassi, i cambiamenti dei governi non cambiano il merito degli accordi internazionali sottoscritti dai governi precedenti. La riforma del Mes è stata avviata dal governo Conte nel 2021, ma né il partito di Conte, né i partiti che oggi compongono la maggioranza hanno ritenuto di confermare tale continuità. Un chiaro segno di inaffidabilità nazionale agli occhi di partner e investitori internazionali

Il presentismo. Alcuni osservatori vicini alla Meloni cavillano: a dichiararsi contrario non è stato il governo, ma il parlamento, il che non esclude che dopo le elezioni Europee del prossimo giugno il governo non possa indurre le Camere a ribaltare il voto espresso ieri approfittando magari di una qualche parziale ma simbolica modifica. Tesi bizzarra, che presuppone una disinvoltura degna dei corsari di Tortuga, oltre ad una naturale inclinazione a prendere per i fondelli gli elettori.

Questi, dunque, i tre cappi nei quali ieri i leader di FdI, Lega, FI e M5s hanno disinvoltamente infilato il collo. Si attendono le rappresaglie dei partner europei, e in modo particolare della Germania. Giorgia Meloni ha dimostrato di non reggere la competizione, densa di demagogia, di Matteo Salvini alla sua destra. Giuseppe Conte ha dimostrato di non reggere il peso delle sue pur recenti responsabilità istituzionali. Ieri, ancora una volta, il bipolarismo italiano ha esibito i tratti poco rassicuranti del bipopulismo. La campagna per le Europee è ufficialmente iniziata, ed è iniziata nel peggiore dei modi.

Formiche.net

L'articolo I tre cappi al collo dei bipopulisti italiani proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



“A Rosolini senz’acqua né servizi”: le associazioni denunciano lo stato in cui vivono 180 minori stranieri nella struttura siciliana


"Nella struttura d'accoglienza destinata a brevissime permanenze, emerge una preoccupante mancanza di diritti e di servizi che potrebbero configurare una violazione dei diritti umani" L'articolo “A Rosolini senz’acqua né servizi”: le associazioni denunci

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Comunicato stampa –

Pagine Esteri, 22 dicembre 2023. ASGI, ARCI, CNCA, Defence for Children International Italia, INTERSOS e Oxfam Italia chiedono che i minori siano trasferiti in centri di accoglienza adeguati e ricordano le recenti condanne della CEDU verso l’Italia

Circa 180 minori stranieri non accompagnati vivono in condizioni gravemente inadeguate e lesive della loro dignità in una struttura di primissima accoglienza sita nel Comune di Rosolini, in Sicilia, alcuni da oltre tre mesi.

Tali condizioni, oltre a non risultare conformi alle norme in materia di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, potrebbero configurare, sulla base della recente e ormai consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell’art. 3 della Convenzione EDU.

È quanto denunciano ASGI, ARCI, CNCA, Defence for Children International Italia, INTERSOS e Oxfam Italia in una lettera inviata lunedì 18 dicembre 2023 alle istituzioni centrali e locali, quali la Prefettura, il Tribunale per i Minorenni, la Procura, il Sindaco, il Servizio Centrale SAI e le Autorità garanti per l’infanzia.

Nella struttura, per legge destinata a brevissime permanenze, emerge una preoccupante mancanza di diritti e di servizi: la rete idrica assicura la distribuzione d’acqua per sole tre ore al giorno e, talvolta, i minori sono costretti a lavarsi con l’acqua delle bottiglie; sono inoltre disponibili solo cinque docce (prive di acqua calda) e una decina di servizi igienici, collocati all’esterno e spesso mal funzionanti, evidentemente insufficienti per 180 persone.

Le associazioni descrivono così le condizioni all’interno della struttura: “I minori dormono su brandine collocate all’interno del pallone tensostatico, senza alcuna garanzia di privacy. Non sono disponibili spazi comuni per la mensa né per svolgere attività educative e ricreative. In mancanza di tavoli e sedie, i ragazzi sono costretti a consumare i pasti in piedi o seduti sulle brandine”. A questo si aggiunga che”non sarebbero stati forniti ai minori coperte, vestiti e prodotti igienici in quantità sufficiente, soprattutto considerato il prolungamento dell’accoglienza per settimane o addirittura mesi””.

Mancano inoltre assistenti sociali ed educatori, la presenza dei mediatori è limitata ad un giorno alla settimana, non è stata fornita alcuna informativa o assistenza legale e non risultano le nomine dei tutori né i minori hanno avuto accesso alla richiesta di permesso per minore età o alla domanda di protezione internazionale. Sebbene sia presente personale sanitario, “non risulterebbe garantita un’adeguata assistenza psicologica, benché molti dei minori accolti abbiano subito gravi traumi e in alcuni casi portino sul corpo i segni delle torture subite, e alcuni ragazzi appaiano in uno stato depressivo” si legge nella lettera alle istituzioni.

Una situazione che emerge anche dalla visita che Il 18 settembre il Senatore Antonio Nicita ha svolto presso la struttura e su cui è stata presentata il 22 novembre alla Camera un’interrogazione parlamentare al Ministro dell’Interno a firma dell’On. Marco Grimaldi.

La struttura risulta essere in aperta violazione delle norme relative ai centri per minori non accompagnati, che prevedono una capienza massima di 50 posti e la garanzia di i servizi tra cui l’insegnamento dell’italiano, l’orientamento legale e l’assistenza psicologica.

Ispezioni da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni presso la struttura, trasferimenti dei minori in strutture adeguate e, in attesa, garanzia del rispetto dei diritti fondamentali loro riconosciuti dalla normativa vigente, come il soddisfacimento dei bisogni essenziali, con la nomina di un tutore per ciascun minore oltre alla presentazione al più presto della richiesta di permesso di soggiorno per minore età ovvero la domanda di protezione internazionale: queste le richieste con cui si conclude la lettera di ASGI, ARCI, CNCA, Defence for Children International Italia, INTERSOS e Oxfam Italia che ricordano la recente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani(CEDU), che ha condannato l’Italia in ben tre decisioni per aver collocato alcuni minori stranieri non accompagnati in strutture d’accoglienza inadeguate, ove non erano rispettati i diritti fondamentali loro riconosciuti dalla normativa nazionale e internazionale, con conseguente violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (divieto di trattamenti inumani e degradanti). Pagine Esteri

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“Cercasi Stato disperatamente” l’ultima fatica di Matteo Grossi – L’informatore lomellino


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Né virgole né congiunzioni. I figli di WhatsApp arrivano all’università ma non sanno più scrivere – La Repubblica


Scrivono, costantemente. Messaggi brevi, spezzettati, arricchiti di emoticon.Frasi non per forza stringate ma immediate, ispirate dal momento, sollecitate dall’interlocutore. Conil risultato che nessuna generazione ha mai scritto tanto quanto i ventenni d

Scrivono, costantemente. Messaggi brevi, spezzettati, arricchiti di emoticon.Frasi non per forza stringate ma immediate, ispirate dal momento, sollecitate dall’interlocutore. Conil risultato che nessuna generazione ha mai scritto tanto quanto i ventenni di oggi. Tra chat e socialè un profluvio di parole quotidiane. Quando però devono dare forma a un testo complesso, si arenano.Anche gli studenti universitari. Si perdono nel mare della punteggiatura, tentennano nella sintassi.

È il risultato di uno studio che ha coinvolto 2.137 studenti di 45 atenei italiani. A guidarlo NicolaGrandi, ordinario di glottologia e linguistica a Bologna,
capofila del progetto condotto insieme agli atenei di Pisa, Macerata e all’università per stranieri di Perugia. «Nel febbraio 2017 — spiega Grandi— una lettera inviata da seicento professori al presidente del consiglio, al ministro dell’istruzione e al parlamento denunciava le carenze linguistiche degli studenti, messi sotto accusa per l’italiano scritto con errori “appena tollerabili in terza elementare”. Il documento mi colpì, anche perché non si basava su alcun dato scientifico». Così Grandi e il suo gruppo di lavoro sono voluti andare a fondo con il progetto UniversIta, la prima ricerca sistematica condotta in Italia sulle capacità di scrittura di chi è iscritto a un corso di laurea. A ogni partecipante è stato chiesto di redigere un testo formale tra le 250 e le 500 parole, un elaborato in cui si doveva mettere nero su bianco la propria esperienza durante il lockdown (era la primavera del 2021). Gli scritti sono stati poi corretti in base a numerosi parametri, tra cui lessico, sintassi e punteggiatura. Con il risultato che per ogni elaborato sono presenti in media 20 errori, di cui la metà di punteggiatura.

«L’abitudine alla scrittura in ambito informale — osserva Grandi — sembra aver pervaso l’ambito formale. Una sorta di parlato digitato, con una assai limitata articolazione sintattica e una struttura dell’argomentazione abbastanza “spezzettata” ». Testi carenti di sintassi, coerenza, scelte lessicali. E l’uso di punti e virgole ne è la manifestazione più evidente: «D’altronde la punteggiatura non è, come spesso si insegna, solo un fatto grafico, ha un forte valore testuale, cioè scandisce l’organizzazione del testo. Ed è risultata molto deficitaria».

D’altronde scorrendo i risultati della ricerca solo il 17,5% del campione legge più di dieci libri in un anno, mentre il 52% si cimenta a malapena con cinque volumi in 12 mesi. Altro dato sorprendente è che gli studenti di area scientifica sono più bravi nella redazione di un elaborato rispetto a gli umanisti. E, più in generale, chi frequenta un ateneo del nord ha un lessico più variegato rispetto a chi è iscritto in un’università del centro Italia. Nessuna sorpresa invece per quanto riguarda la provenienza: chi viene dal liceo se la cava meglio con le parole. E tra questi chi conosce lingue antiche fa in media 2,46 errori in meno. Da notare poi che il numero di strafalcioni commessi cala progressivamente passando da studenti pr ovenienti dalla classe socioeconomica bassa a quelli di medio alta, per poi aumentare nuovamente tra chi appartiene ai ceti più agiati.

Quasi tutti — otto su dieci — dichiarano però di sentirsi abbastanza o molto sicuri nello scrivere.Senza però saper distinguere i contesti. «La grammatica che usiamo per redigere una tesi di laurea èdiversa da quella che usiamo quando digitiamo un messaggio su WhatsApp. Ma saper usare una linguasignifica proprio questo: compiere scelte adeguate alla situazione comunicativa. Che è quello chescuola e università dovrebbero insegnare, anche se quasi mai lo fanno». Secondo i dati emersi da unamappatura di 62 corsi di laurea sono infatti appena 14 gli insegnamenti finalizzati a rafforzare leabilità di scrittura. «Fino a pochi anni or sono, si producevano scritti quasi esclusivamente in unambiente, per così dire, protetto e sorvegliato, cioè a scuola. Testi destinati ad essere corretti,progettati avendo ben presente che sarebbero stati “vagliati” e corretti. Le relazioni tra pari eranoinvece dominio incontrastato dell’oralità. E la scrittura informale, non pianificata, di fatto nonesisteva. Oggi con la tecnologia siamo di fronte a uno scenario totalmente differente, con cui occorreconfrontarsi». L’esperto Nicola Grandi, 50 anni, ordinario di glottologia elinguistica all’università di Bologna. Ha guidato la ricerca sulle capacità di scrittura degliuniversitari.

di Emanuela Giampaoli, la Repubblica, 18 dicembre 2023

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#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta quattro scuole di Lecce e provincia. Grazie ai fondi del #PNRR saranno realizzati laboratori digitali negli Istituti “De Pace” e “De Giorgi” di Lecce.


Laboratorio Parlamento Europeo


La Fondazione Luigi Einaudi è lieta di presentare il nuovo progetto formativo “Laboratorio Parlamento Europeo”, rivolto agli studenti delle scuole superiori della Regione Siciliana, che consisterà in una serie di simulazioni di sedute del Parlamento Europ

La Fondazione Luigi Einaudi è lieta di presentare il nuovo progetto formativo “Laboratorio Parlamento Europeo”, rivolto agli studenti delle scuole superiori della Regione Siciliana, che consisterà in una serie di simulazioni di sedute del Parlamento Europeo. I partecipanti vestiranno i panni degli Eurodeputati e si confronteranno con tematiche importanti dell’attualità europea e sociale.

Per informazioni e prenotazioni per l’organizzazione del laboratorio contattare il responsabile del progetto, l’avv. Gian Marco Bovenzi, all’indirizzo email: bovenzi@fondazioneluigieinaudi.it

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Presentazione del libro “Banche, agricoltura e Stato Italiano. Un saggio introduttivo: 1861-1946” di Simone Misiani


Il 20 dicembre alle ore 17.30 il professor Simone Misiani presenterà presso la nostra fondazione il volume “Banche, agricoltura e Stato italiano. Un saggio introduttivo: 1861 – 1946”. Il volume intende ricostruire la nascita, le caratteristiche e le final

Il 20 dicembre alle ore 17.30 il professor Simone Misiani presenterà presso la nostra fondazione il volume “Banche, agricoltura e Stato italiano. Un saggio introduttivo: 1861 – 1946”. Il volume intende ricostruire la nascita, le caratteristiche e le finalità del modello di credito speciale per l’agricoltura che è sorto e si è via via affermato, in forme originali, in Italia.

Oltre all’autore interverranno Alfredo Gigliobianco (già Banca d’Italia – Ufficio ricerche storiche), Roberto Ricciuti (Università degli studi di Verona), Gaetano Sabatini (CNR-ISEM), Luca Tedesco (Università di Roma TRE). Introduce e coordina l’evento la professoressa Emma Galli, direttore del Comitato scientifico della Fondazione Luigi Einaudi.

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OPERAZIONE “KULMI” CONTRO IL TRAFFICO DI STUPEFACENTI DALL’ALBANIA. ARRIVANO LE CONDANNE DEFINITIVE


Può essere presa ad esempio come attività di polizia internazionale che ha sfruttato tutte le possibilità legislative ed operative: si tratta della Operazione “Kulmi”, orchestrata sin dal 2017 dal Centro operativo della Direzione Investigativa Antimafia (#DIA) di Bari, con la costituzione di una Squadra Investigativa Comune da parte della Procura Distrettuale Antimafia del capoluogo pugliese, la Procura Speciale contro la corruzione e la criminalità organizzata della Repubblica d’Albania (SPAK) ed Eurojust, nonché delle Divisioni Interpol e S.I.Re.N.E. del Servizio di Cooperazione Internazionale (SCIP) del Ministero dell’Interno, dell’Ufficio di Collegamento Interforze di Tirana e dell’Esperto per la Sicurezza presso l’Ambasciata d’Italia a Londra.
L’attività congiunta ha consentito di disarticolare una associazione criminale transnazionale di narcotrafficanti italiani ed albanesi operante nel barese, con ramificazioni oltre che nel Paese “delle due aquile”, in Puglia e Basilicata.

L’operazione, nel suo sviluppo, aveva permesso l’arresto di 27 affiliati e il sequestro di oltre 3,3 tonnellate di droga (marjuana, cocaina ed eroina).

Ora la Direzione Investigativa Antimafia ha dato esecuzione a 19 ordini di carcerazione emessi dalla Procura Generale di Bari nei confronti di altrettanti condannati in via definitiva a pene detentive fino ad 11 anni e 6 mesi di reclusione per il traffico internazionale di stupefacenti, a seguito di pronunciamento dello scorso 14 dicembre della Suprema Corte di Cassazione.

Il video qui: direzioneinvestigativaantimafi…

#SPAK #Albania #INTERPOL #SIRENE #SCIP #EUROJUST #ESPERTOPERLASICUREZZA



La Difesa fuori dal Patto di stabilità è solo il primo passo. L’opinione di Tricarico


Non si può non condividere, e plaudire, a questa ulteriore iniziativa di Guido Crosetto andata a buon fine con lo scorporo delle spese per la Difesa dalla tenaglia dei parametri di stabilità, destinati però nel tempo a rafforzare la loro cifra di fiscalit

Non si può non condividere, e plaudire, a questa ulteriore iniziativa di Guido Crosetto andata a buon fine con lo scorporo delle spese per la Difesa dalla tenaglia dei parametri di stabilità, destinati però nel tempo a rafforzare la loro cifra di fiscalità e rigore.

Ulteriore iniziativa, perché il ministro della Difesa sta mettendo mano – auspicabilmente in maniera non casuale – ad una serie di argomenti considerati finora tabù, nervi scoperti del sistema Italia da non sfiorare, quali l’esportazione dei materiali di armamento e la giustizia.

Che i temi evocati fossero polvere destinata a restare sotto il tappeto lo si è capito subito dalle reazioni scomposte, ed emblematiche di una politica che privilegia la rissa sistematica e puntuale agli approfondimenti la cui necessità dovrebbe essere fuori discussione.

Francamente è difficile comprendere come di fronte a parole sovversive – non c’è altra possibile lettura – pronunciate pubblicamente da alcuni magistrati si preferisca mettere in stato di accusa chi ha denunciato il fatto più che cercare di capire il grado di infezione nel corpo della magistratura.

Tutto ciò considerato, vi è da augurarsi che quelli di Crosetto siano solo i primi passi di un percorso da coprire nell’arco della legislatura.

E per quanto attiene in particolare alle spese per la difesa, numerosi sono gli interventi da cantierare, a cominciare dall’entità del bilancio della Difesa, da quel fatidico 2% del Pil che la Nato sta da tempo reclamando. Largamente inascoltata.

La sensazione, forse il concreto rischio, è che gli Stati Uniti, laddove dovessero cadere ancora in mano a Trump, possano dar seguito alle minacce di un sostanziale disimpegno fatto balenare fin troppo esplicitamente in più di una occasione.

A quel punto i parametri di condivisione degli oneri andrebbero rivisti a livelli ben più robusti ed il 2% potrebbe non rappresentare neppure la soglia minima di impegno.

La spesa poi andrebbe riqualificata, rispondendo alla semplice domanda di che cosa serva veramente per edificare una difesa comune.

Oggi ogni paese pensa a sé stesso, se si dovessero sommare aritmeticamente e geometricamente gli eserciti dei 27 membri se ne ricaverebbe uno strumento multiforme, incompleto, in alcune articolazioni ridondante in altre deficitario, non sempre interfacciabile nelle varie capacità, un’orchestra che non ha mai suonato insieme, dotata di strumenti uno diverso dall’altro, probabilmente divisi sullo spartito da interpretare nelle varie circostanze.

Ma ancor prima di una razionalizzazione complessiva, andrebbe scritta ex novo una dottrina di impiego della forza che possa attagliarsi con gli scenari per i quali ormai anche la fantasia viene spesso superata dalla realtà, andrebbe operato uno sforzo progettuale comune atto a conferire efficacia e flessibilità alle future forze armate.

Solo a valle di una fase concettuale di tale portata si potrà avere la percezione precisa di come impiegare le risorse, non prima.
Invece oggi tutto è lasciato alla perspicacia, alle intuizioni ed alle decisioni più o meno oculate di ogni singolo paese. Quando non agli interessi di carattere industriale, gli unici oggi capaci di generare progetti comunitari ma che pur sempre restano espressione di scelte incubate e sviluppate fuori dagli Stati maggiori.

Ecco perché spendere oggi risorse per la Difesa è un esercizio alquanto complesso, da incardinare saldamente nell’alveo di una progettazione coerente con i variegati scenari di crisi e con un occhio sempre rivolto ad uno strumento militare comune.


formiche.net/2023/12/difesa-pa…



Comunicazione di servizio: nei prossimi giorni saranno possibili disservizi per la migrazione dei server poliverso.org e poliversity.it

A causa dell'incremento dei costi dovuti alla necessità di disporre di una sempre più elevata potenza di calcolo, abbiamo valutato l'impiego di un unico server dedicato a entrambe le comunità social poliverso.org e poliversity.it

Questa migrazione, che potrebbe comportare diverse ore di indisponibilità del sistema, avverrà nei prossimi giorni, ma a causa delle incipienti vacanze non sappiamo dirvi precisamente quando verrà effettuata se non con un breve anticipo.

Gli annunci saranno effettuati anche dagli account di @informapirata :privacypride: e di @Poliverso :friendica: e verranno pubblicati sulla comunità Lemmy @Che succede nel Fediverso? dedicata al Fediverso, in modo che potrete essere informati anche durante i momenti di indisponibilità del sistema.

Vi ricordiamo che potete supportare il nostro progetto attraverso due canali di finanziamento:


1) Ko-Fi: ko-fi.com/poliverso
2) Liberapay: liberapay.com/poliverso

in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

una domanda: so che threads è stato bloccato su poliverso.org per motivi tecnici. Con la migrazione rimarrà bloccato o sarà sbloccato, avendo il server più risorse?
in reply to Sabrina Web 📎

@sabrinaweb71 il nostro orientamento è pregiudizialmente negativo nei confronti di Meta. Al momento comunque stiamo valutando se avviare sperimentalmente la federazione con Threads, quanto meno per capire se funziona oppure no (non è scontato: Threads è stato fatto per comunicare principalmente con Mastodon!).
In ogni caso, prima di avviare la federazione, daremo una preventiva comunicazione agli iscritti

@notizie @fediverso @poliverso

Unknown parent

@Sinistra Libertaria stiamo provando diverse opzioni ma ancora non abbiamo deciso quale sarà quella definitiva


GAZA. In 77 giorni 20.000 morti e 53.000 feriti. Nella Striscia 1 bagno ogni 220 persone


OMS: "Consegnamo forniture mediche ma la gente quando ci vede corre verso i nostri camion sperando che sia cibo". L'articolo GAZA. In 77 giorni 20.000 morti e 53.000 feriti. Nella Striscia 1 bagno ogni 220 persone proviene da Pagine Esteri. https://pagi

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di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 22 dicembre 2023. Dopo 48 ore di blackout delle telecomunicazioni, il Ministero della Salute di Gaza ha oggi comunicato il numero dei palestinesi uccisi negli ultimi due giorni: 390, 734 i feriti.

Il numero totale dei morti accertati nella Striscia, sempre su comunicazione del Ministero della Sanità, supera i 20.000 (20.057) dal 7 ottobre 2023. Di questi circa 8.000 sono bambini e minori. I feriti sono almeno 53.320. Ma tenere un conteggio preciso diventa giorno dopo giorno più difficile: non ci sono più ospedali realmente funzionanti nel nord di Gaza, al sud la situazione è disperata e sono decine i palestinesi che ogni giorno lasciano i rifugi per provare a recuperare i corpi dei parenti rimasti sotto le macerie delle proprie abitazioni. La Mezzaluna Rossa palestinese ha fatto sapere questa mattina che la sala operativa continua a ricevere decine di telefonate di persone che supplicano e piangono per ricevere un soccorso che non potrà arrivare: non esiste un coordinamento per un accesso sicuro nelle aree sotto bombardamento e a Jabalia l’esercito israeliano ha bloccato le ambulanze, impedendo alle squadre mediche di muoversi.

🚨 Colleague Rana Al-Faqiha from the central operations room at the PRCS reports, “We receive dozens of calls from people pleading and crying for ambulance vehicles 🚑 to transport the wounded and injured in the airstrikes, whether in Gaza, the north, or some areas in… pic.twitter.com/dD5oTV9ljQ

— PRCS (@PalestineRCS) December 21, 2023

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che la “combinazione letale di fame e malattie causerà molti altri morti nella Striscia di Gaza”. La fame che attanaglia la popolazione della Striscia, composta oramai quasi interamente da sfollati, porterà a un aumento delle malattie soprattutto tra i bambini, le donne incinte, quelle che allattano e gli anziani. Almeno una famiglia su 4, secondo le stime pubblicate oggi, si trova in “condizioni catastrofiche”, ossia muore letteralmente di fame oppure sperimenta una carenza estrema di cibo o, ancora, ha venduto i suoi beni primari per potersi procurare un pasto. I membri dell’OMS presenti nel nord di Gaza hanno dichiarato che ogni persona con cui hanno parlato soffriva la fame. Anche feriti, personale medico, tutti gli hanno chiesto loro del cibo. “Ci spostiamo nella Striscia per consegnare forniture mediche ma la gente quando ci vede corre verso i nostri camion sperando che sia cibo”. Secondo le testimonianze degli staff medici e di sicurezza, anche i feriti che soffrono terribili dolori non chiedono medicine ma acqua e cibo, e questo fa ben comprendere “la cifra della disperazione”. La malnutrizione aumenta la possibilità che malattie come diarrea, polmonite, morbillo, diventino letali per i bambini, soprattutto nei casi, sempre più numerosi, in cui non esiste un accesso ai servizi sanitari.

Di 1 milione e 900mila sfollati, 1 milione e 400mila persone vivono in rifugi di fortuna, sovraffollati, senza acqua potabile né bagni, in balìa delle piogge, del vento, degli allagamenti. Oggi a Gaza, in media c’è un bagno ogni 220 persone, una doccia ogni 4.500.

Un’indagine della CNN, pubblicata questa mattina, rivela che almeno in tre casi verificati dall’emittente televisiva statunitense, l’esercito israeliano ha bombardato una zona da esso stesso definita come sicura, verso la quale, solo poche ore prima, aveva invitato la popolazione a dirigersi. In alcuni di quei bombardamenti sono state compiute delle vere e proprie stragi, che hanno portato alla distruzione totale di intere famiglie, scomparse in un attimo dalla faccia della terra. Le Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie internazionali hanno denunciato decine di bombardamenti nei luoghi indicati come “sicuri” dalle mappe che Israele ha fornito alla popolazione palestinese, contenenti il più delle volte indicazioni confuse e contrastanti. L’ONU ha dichiarato che questo tipo di attacchi conferma ciò che da settimane i suoi portavoce stanno dichiarando: “A Gaza non esistono posti sicuri”. In queste ore arriva la notizia che un ordine di evacuazione è stato consegnato dall’esercito israeliano ai residenti del campo profughi di Bureij, perché si muovano tutti verso Deir al-Balah, a sud.

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Una delle mappe di evacuazione consegnate dall’esercito israeliano ai civili di Gaza

Il Washington Post ha pubblicato poche ore fa una sua inchiesta indipendente sull’ospedale Al-Shifa, giungendo alla conclusione che l’esercito israeliano non è riuscito a consegnare nessuna prova convincente per dimostrare che la struttura sanitaria fosse utilizzata da Hamas come centrale operativa: “L’attacco da parte di un alleato degli Stati Uniti [Israele, nda] di un complesso che ospita centinaia di pazienti malati e morenti e migliaia di sfollati non ha precedenti negli ultimi decenni. La marcia su al-Shifa ha causato il blocco dei servizi ospedalieri. Mentre le truppe israeliane si avvicinavano e i combattimenti si intensificavano, il carburante si esauriva, le forniture non potevano entrare e le ambulanze non erano in grado di raccogliere le vittime dalle strade. Prima che le truppe entrassero nel complesso, i medici avevano scavato una fossa comune per ben 180 persone, come hanno detto le Nazioni Unite, citando il personale ospedaliero. L’obitorio aveva da tempo cessato di funzionare. Diversi giorni dopo, quando i medici dell’OMS sono arrivati per evacuare quelli ancora all’interno, hanno detto che da luogo di guarigione l’ospedale si era trasformato in una “zona di morte”. Almeno 40 pazienti – tra cui quattro bambini prematuri – sono morti nei giorni precedenti il raid e le sue conseguenze, secondo le Nazioni Unite […] Ma secondo un’analisi del Washington Post compiuta attraverso immagini open source, immagini satellitari e tutti i materiali dell’IDF rilasciati pubblicamente, le prove presentate dal governo israeliano non dimostrano che Hamas avesse usato l’ospedale come centro di comando e controllo. Ciò solleva domande critiche, dicono gli esperti legali e umanitari, sul fatto che il danno civile causato dalle operazioni militari israeliane contro l’ospedale – circondando, assediando e infine facendo irruzione nella struttura e nel tunnel sottostante – fossero proporzionati alla minaccia valutata”. L’Associazione AlAwda Health and Community ha denunciato ieri l’uccisione, da parte dei cecchini dell’esercito israeliano, di diversi membri del personale sanitario dell’ospedale Al Awda, una delle ultime strutture rimaste parzialmente funzionanti nel nord della Striscia. Pagine Esteri

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Odi et amo per l’impero americano


Odi et amo per l’impero americano xi jinping
Chi è Xi Jinping? Che storia ha e di quali idee, interessi nazionali, economici e geopolitici è portatore? La lunga marcia di un ragazzo diventato adulto in fretta, figlio di un importante collaboratore di Mao Zedong caduto in disgrazia e poi riabilitato. Dalla rivoluzione culturale nelle campagne, vissuta come un trauma, all’incontrastata ascesa allo scranno più alto del Partito comunista cinese: i sogni, le ambizioni e i progetti del nuovo “grande timoniere”.

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In Cina e Asia – Riprende la comunicazione militari tra Cina e Stati Uniti


In Cina e Asia – Riprende la comunicazione militari tra Cina e Stati Uniti stati uniti
I titoli di oggi: Riprende la comunicazione militari tra Cina e Stati Uniti Nuova stretta sui videogame: crollano le azioni di Tencent Cina, nuovi controlli su esportazione di tecnologie strategiche Cina-Argentina, congelato accordo swap da 6,5 miliardi di dollari Gli Usa avvieranno indagine sui chip cinesi Aiea: la Corea del Nord ha attivato nuovo reattore nucleare Thailandia, il matrimonio egualitario ...

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Milei: liberismo e repressione a colpi di motosega


In Argentina la mannaia del turboliberista Milei si abbatte sulle imprese pubbliche e sui diritti dei lavoratori. Il governo annuncia la mano dura contro le proteste L'articolo Milei: liberismo e repressione a colpi di motosega proviene da Pagine Esteri.

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 22 dicembre 2023 – Durante le iniziative della campagna elettorale che lo ha visto trionfare, il turboliberista Javier Milei aveva più volte agitato una motosega a simboleggiare il metodo con cui intendeva intervenire. Le prime misure adottate da presidente dell’Argentina dimostrano che non esagerava.

“Più mercato meno Stato”, la mannaia di Milei
La sera del 20 dicembre il leader de “La libertad avanza” ha presentato uno scioccante pacchetto che prevede l’eliminazione o la modifica di un totale di 300 leggi, con l’intento di aggredire le funzioni e le proprietà dello Stato e affidarle alle leggi di mercato e ai privati.
Il leader di un’estrema destra atipica quanto rabbiosa ha presentato un “megadecreto di necessità e urgenza” (DNU) che prevede la deregulation del mercato interno e del commercio estero, la deroga della legge sugli affitti, la riduzione dei diritti dei lavoratori e la creazione delle condizioni per la privatizzazione di un gran numero di imprese finora sotto il controllo pubblico.

«Cominciamo a distruggere questo castello giuridico-istituzionale oppressivo che ha distrutto il nostro paese» ha sentenziato Milei dal Salón Blanco della Casa Rosada nel corso di un discorso televisivo di appena 15 minuti. «Oggi è un giorno storico, dopo decenni di fallimenti e impoverimento iniziamo il cammino della ricostruzione» ha aggiunto dopo aver brevemente elencato i punti salienti del suo feroce piano di aggiustamento fiscale. Al suo lato, oltre a una decina di ministri, c’era anche Federico Sturzenegger, l’ideatore delle misure appena annunciate, ex governatore della Banca Centrale chiamato da Milei a coordinare le politiche economiche del governo, in cui pure non ha nessun incarico.

Milei ha affermato di ispirarsi alle politiche economiche di Carlos Menem, da lui definito «il miglior presidente della storia» e di voler «restituire la libertà e l’autonomia agli individui, togliendogli lo Stato di dosso». Ma il timbro turboliberista dei Chicago Boys e delle dittature sudamericane degli anni ’70 e ’80 è evidente.

“El loco” ha spiegato che intende «trasformare tutte le imprese statali in società anonime per poi poterle privatizzare» e che ha già autorizzato «la cessione del pacchetto azionario di Aerolineas Argentinas», la compagnia di bandiera nazionale. Milei ha inoltre annunciato che le società che gestiscono le squadre di calcio potranno trasformarsi in società per azioni.

Per quanto riguarda il capitolo lavoro, Milei ha anticipato che la sua riforma stabilisce una diminuzione degli indennizzi ai lavoratori licenziati, aumenta il periodo di prova precedente all’eventuale assunzione fino a otto mesi e include i blocchi e le occupazioni degli spazi aziendali durante le vertenze sindacali come possibile causa di licenziamento. Il decreto presidenziale stabilisce inoltre un aumento dei livelli minimi garantiti nei comparti ritenuti essenziali in caso di sciopero, nei quali l’attività lavorativa non potrà essere ridotta a meno del 50%, e una massiccia estensione dei suddetti servizi essenziali a molti settori finora esentati.

Attaccando e riducendo i diritti dei lavoratori, ha promesso il presidente, ridurrà i «salari da miseria» e «il lavoro precario». A detta dell’eccentrico 52enne «l’aumento indiscriminato e continuo delle tasse attenta al diritto di proprietà degli argentini, al risparmio, agli investimenti e genera salari reali miserabili». “El Loco” ha denunciato che a causa del deficit fiscale l’Argentina è un paese «in cui il 50% della popolazione vive sotto la linea della povertà, e più del 10% della popolazione è indigente in un paese che produce alimenti per 400 milioni di esseri umani, con una pressione fiscale sul settore agroalimentare del 70%». La ricetta, ha spiegato, è “meno stato e più mercato”, una cura neoliberista che però le popolazioni dell’America Latina hanno a lungo provato sulla propria pelle e pagato carissima nei decenni scorsi.

Il rischio iperinflazione
Secondo molti economisti argentini, le misure appena varate da Milei getteranno sul lastrico milioni di argentini, già colpiti dalla brutale svalutazione del 52% del Peso decisa il 12 dicembre dal Ministro dell’Economia Luis Caputo, insieme all’aumento di alcune tariffe e al taglio delle pensioni, con l’intento di ridurre il deficit statale. Il Governo stima che la svalutazione potrebbe generare un’inflazione mensile compresa tra il 30% e il 40% per almeno un trimestre; Milei spera che l’inflazione galoppante venga ridotta dal calo della domanda quando le classi medie e popolari, a causa del repentino crollo del loro potere d’acquisto, dovranno rinunciare a molti beni e servizi. Ma si tratta di una scommessa molto rischiosa. Ammesso che non si scateni un’iperinflazione fuori controllo, nel frattempo milioni di persone potrebbero essere ridotte in povertà.

Come se non bastasse “El Loco” ridurrà i sussidi attualmente applicati all’energia e ai trasporti, non bandirà più appalti per i lavori pubblici (da cui dipendono almeno 400 mila lavoratori) e congelerà la spesa pubblica, causando un’ondata di licenziamenti. Inoltre, contrariamente a quanto promesso in campagna elettorale, riprenderà il precedente sistema di imposta sul reddito che il governo del peronista moderato Alberto Fernandez aveva ridotto, e istituirà un’imposta del 17,5% sulle importazioni, allo scopo di risparmiare il 5% sul Pil per raggiungere l’equilibrio fiscale.

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Le prime proteste
Le opposizioni parlamentari hanno immediatamente denunciato il “carattere nullo e incostituzionale” del decretone, annunciando l’organizzazione di una campagna di proteste nel paese. Ma secondo l’ordinamento costituzionale argentino i “decreti di necessità e urgenza” come quello appena varato da Milei non vengono sottoposti all’esame degli organismi elettivi, e per essere respinti devono essere cassati in blocco da entrambi i rami del parlamento, una circostanza che nella storia dell’Argentina non si è mai verificata.
Intanto lo scontento di molti quartieri di Buenos Aires e degli altri centri della sua area metropolitana si è manifestato a colpi di clacson e di pentole subito dopo la messa in onda del discorso del presidente. Migliaia di persone hanno marciato verso Plaza de Mayo scontrandosi con le forze dell’ordine nel giorno dell’anniversario della rivolta popolare del 2001 contro il peronista di destra Fernando de la Rua, la cui repressione costò la vita a 39 persone. Al termine della marcia, organizzata da alcuni movimenti della sinistra radicale, gli organizzatori hanno chiesto ai sindacati di proclamare immediatamente uno sciopero generale.

Divieti e repressione: il governo annuncia la mano dura
Il nuovo governo sembra temere molto le proteste popolari e infatti nei giorni scorsi la ministra della Sicurezza, Patricia Bullrich, subito dopo l’insediamento ha annunciato il divieto de facto delle mobilitazioni annunciate dalle organizzazioni sociali e sindacali, in nome del «diritto degli argentini a vivere e circolare tranquillamente». L’ex candidata alla presidenza della destra tradizionale (rivale di Milei prima dell’accordo per la formazione dell’esecutivo) ha ordinato alla polizia di impedire i blocchi stradali garantendo mano libera agli agenti. L’ordinanza del Ministero della Sicurezza include il ricorso massiccio all’identificazione dei manifestanti, all’uso dei droni e al riconoscimento facciale, tutte misure denunciate dalle associazioni dei giuristi democratici come lesive delle libertà costituzionali fondamentali.

Bullrich ha promesso addirittura il varo di una norma per imporre alle organizzazioni che indicono le proteste l’obbligo di sobbarcarsi la spesa necessaria alla mobilitazione delle forze dell’ordine; la sua collega Sandra Pettovello – ministra del Capitale Umano – lunedì ha minacciato di sospendere le sovvenzioni sociali ai manifestanti che parteciperanno ai picchetti e ai blocchi stradali o che porteranno con sé anche i figli.

Paradossalmente sia Bullrich sia Milei hanno partecipato abbastanza recentemente a manifestazioni e blocchi stradali non autorizzati. L’attuale ministra della Sicurezza, in particolare, nel 2020 fu in prima fila nelle proteste contro le restrizioni alla circolazione dettate dal governo di Alberto Fernández per far fronte alla pandemia. Pagine Esteri

11264593* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria

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BRASILE. Ignorati i veti di Lula, il Congresso segue la linea Bolsonaro


Il Congresso brasiliano ha approvato una nuova legge contenente una serie di misure anti-indigene estreme, annullando gran parte dei veti che il Presidente Lula aveva posto sugli elementi più gravi L'articolo BRASILE. Ignorati i veti di Lula, il Congress

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di Survival International

Pagine Esteri, 15 dicembre 2023. Il Congresso brasiliano ha approvato una nuova legge contenente una serie di misure anti-indigene estreme, annullando gran parte dei veti che il Presidente Lula aveva posto sugli elementi più gravi.

Queste misure, che ora diventano legge, costituiscono “l’attacco più grave e feroce ai diritti indigeni degli ultimi decenni” secondo Survival International.

Il Congresso è dominato dalla lobby mineraria e dell’agrobusiness e da ricchi proprietari terrieri alleati dell’ex Presidente Bolsonaro, nonostante questo sia stato sconfitto dal Presidente Lula alle ultime elezioni di un anno fa.

Con la nuova legge, trafficanti di legname, allevatori e altri che hanno invaso illegalmente i territori indigeni potranno restare a distruggere le foreste fino a quando quelle terre non saranno ufficialmente demarcate – un processo che normalmente richiede decenni.

Molti popoli indigeni potrebbero non poter fare mai più ritorno alla loro terra perché la legge riconosce anche il Marco Temporal (limite temporale), nonostante la Corte Suprema del paese lo abbia respinto solo pochi mesi fa giudicandolo anticostituzionale. Il Marco Temporal è uno stratagemma pro-business che afferma che i popoli indigeni che non possono provare che nell’ottobre 1988 (quando fu promulgata la Costituzione brasiliana) abitavano nelle loro terre non vedranno più riconosciuti i loro diritti su di esse.

L’Associazione dei popoli indigeni del Brasile, APIB, ha annunciato che farà nuovamente ricorso alla Corte Suprema.

“Questa legge fa a pezzi molte delle protezioni legali sulle terre indigene garantite dalla Costituzione, e le butta nella spazzatura” ha dichiarato oggi la Direttrice generale di Survival International, Caroline Pearce. “Dà a grandi aziende e bande criminali che stanno dietro la maggior parte della deforestazione e delle attività minerarie in Brasile ancora più libertà di invadere i territori indigeni e di farvi ciò che vogliono. Segna la rovina di gran parte dell’Amazzonia e di tutte le foreste del Brasile.”

“Questa legge è assolutamente disastrosa per le tribù incontattate del Brasile – che, quando le loro terre vengono invase, sono tra i popoli più vulnerabili del pianeta – e per tutti i popoli indigeni del paese. Questi popoli continueranno a resistere con la stessa determinazione che hanno dimostrato durante il regime genocida di Bolsonaro. E i loro alleati in tutto il mondo, come Survival, continueranno a restare con forza al loro fianco. Permettere che tutto questo passi incontrastato annullerebbe decenni di graduali progressi nel riconoscimento dei diritti indigeni.”

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VERSIONE ITALIANA UE, LA COMMISSIONE HA ADOTTATO UNA SECONDA SERIE DI DECISIONI DI DESIGNAZIONI A NORMA DEL DIGITAL SERVICE ACTLa Commissione oggi ha adottato una seconda serie di decisioni di designazione a norma del regolamento sui servizi digitali, riguardanti le piattaforme on line Pornhub, Stripchat e XVideos. Tutto questo è frutto delle indagini che la …


Gli account Bot del Fediverso che pubblicano automaticamente da Feed RSS e un punto di vista sulla loro funzione.

La riflessione di @informapirata :privacypride: in un thread di questi giorni

@Che succede nel Fediverso?


Eccomi qui con la risposta (anche troppo) lunga...

Iniziamo dal messaggio di @Emanuele


> Scusa informapirata ma ad esempio molti bot pubblicano post provenienti da blog o da WordPress e probabilmente ci sono utenti a cui piace leggere le ultime news direttamente da Mastodon senza ricevere la classica newsletter o sfogliare il feed rss. Mastodon può assolvere anche la funzione di aggregatore per cui in un unico posto interagisci con gli altri utenti ma allo stesso tempo leggi passivamente le news


Sì, Mastodon è un social network e può fare un sacco di cose, ma se vogliamo usarlo come social, dobbiamo pensarlo per l'interazione prima ancora che per la pubblicazione automatica o la fruizione passiva dei contenuti.
Questo è uno dei motivi per cui nell'istanza mastodon.uno c'è una soglia di tolleranza molto bassa verso gli account che praticano la pubblicazione automatica, i quali quando esagerano con il numero di pubblicazioni, vengono o silenziati o bannati o invitati a trasferirsi altrove.
La maggior parte delle volte inoltre, la pubblicazione da feed RSS non risponde all'estetica del social ed è seriale, fredda e impersonale.
Il problema principale però è l'occupazione di una timeline già piuttosto abbondante.
Una mezz'ora fa ho controllato le due timeline delle istanze di cui si è parlato e ho visto che nelle ultime 6 ore, la timeline locale di sociale.network aveva totalizzato 51 post in 6 ore dei quali 29 prodotti da bot o comunque da pubblicazioni automatiche.
Gli ultimi 51 post di mastodon.uno sono stati prodotti in poco più di 3/4 d'ora e di questi, solo 18 appartenevano ad account che praticano la pubblicazione automatica dei quali solo un paio sono di quelli che potrebbero essere veri e propri bot.
Capisci che non possiamo dare spazio ai bot? Lo spazio dobbiamo darlo alle persone vere! Vuoi leggerti Il Post? seguiti il feed RSS? Vuoi seguirlo da Mastodon? Convinci la redazione a trasferirsi su Mastodon! Loro non ci vogliono venire e la tua istanza blocca il loro bot?

Come dice @GualT-Rex :unverified:


> sarà come dici tu ma se domani dovesse sparire il bot de ilpost_bot qualche problema me lo farei (e anche qualche domanda )


In tal caso, se seguire un bot è più importante che interagire con una comunità enorme di utenti, allora quella di andare in un'altra istanza inizia a essere un'opzione valida.

Ma forse in quel caso Mastodon non è lo strumento giusto. Se ti interessano i feed, allora puoi avere un account del fediverso, seguirti i feed che ti interessano e addirittura ripubblicare quelli che trovi interessanti utilizzando Friendica e non Mastodon. Oltretutto (ma non è il caso de Il Post) alcune testate hanno più feed: cronaca, politica, tecnologia, scienza, merdatelevisione, etc e tu puoi seguire via feed solo quella sezione.
Poi è chiaro che Mastodon puoi usarlo per tutto ciò che non ti è vietato, anche per archiviare le tue foto personali, ma si tratta di una forzatura.

Ma voglio tornare ancora sul messaggio di Emanuele


> Scusa informapirata ma ad esempio molti bot pubblicano post provenienti da blog o da WordPress e probabilmente ci sono utenti a cui piace leggere le ultime news direttamente da Mastodon senza ricevere la classica newsletter o sfogliare il feed rss. Mastodon può assolvere anche la funzione di aggregatore percui in un unico posto interagisci con gli altri utenti ma allo stesso tempo leggi passivamente le news


Intanto tu a un post Wordpress puoi rispondere dal tuo account Mastodon, ma il blog può ripubblicare il tuo messaggio come commento visibile anche dal blog e, soprattutto, l'autore o uno degli autori del blog ti può anche rispondere e tu ricevi la sua risposta nel tuo mastodon.

Quindi Wordpress è molto più social di un bot asociale. Sicuramente ha più senso il paragone con Writefreely o con PeerTube che al momento non consentono agli utenti del fediverso di "lasciare" commenti sotto al blog e al video.
Comunque hai reso l'idea (ah, io detesto quel limite di Writefreely...) ma resta il fatto che quelli sono appunto sistemi fatti per la pubblicazione più che per l'interazione.

Poi @ulaulaman dice che


> Ma infatti. Se proprio vogliamo essere pignoli, sul caso specifico sono d'accordo con te, fermo restando che capisco che la scelta fatta su maston uno sia comunque comprensibile (per quanto, personalmente, applicherei il sistema "caso per caso")


cui @Carlo Gubitosa :nonviolenza: risponde di non capire come "si applica il caso per caso"


> tecnicamente non riesco ancora a capire come è possibile applicare un sistema diverso dal "caso per caso", in quanto non ho ancora capito come si fa a bloccare in modo generalizzato la federazione dei bot "a prescindere" su una istanza mastodon.


Il problema di Carlo qui è che pecca di tecnosoluzionismo, mentre ulaulaman ha inquadrato perfettamente il problema.

Quando faccio il moderatore su mastodon.uno, queste decisioni io e gli altri moderatori non le facciamo prendere automaticamente a un algoritmo, ma valutiamo caso per caso (e tante volte qualcosa sfugge alle nostre maglie). Un account che fa pubblicazione automatica (ma con non più di 8/10 messaggi al giorno, sennò è spam!), che risponde tempestivamente agli utenti che lo interpellano, che pubblica notizie di qualità è un valore importante per gli utenti e non è da considerarsi un bot.
Caso per caso. Noi moderatori siamo qui apposta, non certo per pontificare sul fediverso, ma per renderlo vivibile alla propria comunità di istanza e alle comunità delle altre istanze.

Per quanto riguarda questa tua risposta

> se per te scrivere quello che ho scritto in figura è raccogliere le polemiche, non mi hai mai visto fare una vera polemica. Il film lo avete prodotto voi quando vi siete agganciati al discorso su due bot parlando dell’universomondo senza tenere conto del contesto e della discussione a cui vi siete agganciati, senza peraltro aver fornito strumenti atti a capire le scelte adottate per quei due bot specifici, che script usate per bloccare i bot o se bloccate a sentimento.

Beh, caro Carlo, penso che potresti veramente fare di meglio...
Non riesco a capire come sia possibile che tu ti stia mostrando così disponibile a dare corda a tutti i soliti provocatori come @Pare :pace: 🚲 🌞 che, bisognosi di attenzione, cercano di parlar sempre male di mastodon.uno e delle sue politiche di moderazione (politiche che mi sembrano oggettivamente un modello virtuoso per tutto il fediverso italiano, come dimostra l'attività della nostra comunità e la sua capacità di creare relazioni piacevoli e ricche di spunti).

Se vuoi posso spiegarti in maniera più approfondita perché in quella conversazione non hai fatto altro che soffiare sul fuoco della polemica verso mastodon.uno.
Se vuoi posso spiegartelo. Ma penso che tu già lo sappia...

Anche perché, se tu non lo sai, questo sarebbe ancora più grave, dal momento che quella manciata di elementi ostili a mastodon.uno è ormai pienamente consapevole di poterti "attivare" ogni qualvolta vogliano dare risonanza ai loro sfoghi.

@concavi @informapirata :privacypride: @Sabrina Web :privacypride: @Lunga vita e prosperità. @mastodon uno admin :mastodon:


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di Raniero La Valle - L’estendersi della violenza sui palestinesi, che ormai si può chiamare senza infingimenti genocidio, non solo nel senso tecnico defi


Spese per la difesa fuori dal patto? In Europa la voce dell’Italia è ascoltata. Parla Loperfido (FdI)


“Resterà deluso chi mesi fa in Aula accusava furbescamente il governo di togliere i fondi agli asili o alla sanità per pagare gli aiuti all’Ucraina”. Si riferisce evidentemente alle accuse grilline il deputato di FdI, Emanuele Loperfido, membro della comm

“Resterà deluso chi mesi fa in Aula accusava furbescamente il governo di togliere i fondi agli asili o alla sanità per pagare gli aiuti all’Ucraina”. Si riferisce evidentemente alle accuse grilline il deputato di FdI, Emanuele Loperfido, membro della commissione Difesa nel commentare a Formiche.net la decisione europea di accettare la linea dell’Italia e di tenere le spese della Difesa al di fuori dei parametri del Patto di stabilità.

11251064Quali le prospettive di questa scelta?

È la dimostrazione che un’Europa diversa è possibile: da quando ci siamo insediati come governo, a furia di insistere, si è diventati meno rigidi e più comprensivi rispetto alle buone proposte. Il fatto di togliere le spese della difesa da quei parametri è un risultato molto positivo, perché vuol dire che possiamo destinare quelle risorse alla sanità, al sociale, all’istruzione, a al contempo continuare a fare investimenti per l’Italia in un settore strategico. Proveremo ad arrivare a quel famoso 2% che è un obiettivo condiviso da tutti i paesi Nato. Per cui la considero una vittoria dell’Italia e del governo Meloni, quindi capisco la soddisfazione del ministro Crosetto.

L’opposizione spesso vi ha accusato di togliere fondi al sociale per comprare armi. Da oggi cosa cambia?

Resterà deluso chi mesi fa in Aula accusava furbescamente il governo di togliere i fondi agli asili o alla sanità per pagare gli aiuti all’Ucraina. In questo modo abbiamo liberato le risorse per la sanità, il sociale e la fiscalità: inoltre abbiamo dimostrato che in Europa la voce dell’Italia è ascoltata. Noi continueremo a investire nel sociale, nell’istruzione e nella sanità ma anche nelle armi così come fanno tutti i Paesi europei e soprattutto per il momento delicato in cui ci troviamo, dal momento che proseguiremo nel sostegno all’Ucraina.

Come impatta questa decisione su fronti aperti come il dossier Ucraina?

Noi continuiamo a essere i principali sostenitori di una coalizione unita per l’Ucraina e continueremo anche a fornire armamenti che saranno sempre più omogenei: ciò aiuterà anche un facile addestramento dei membri degli eserciti europei. Ricordo che noi siamo quelli che da tempo parlavano di una politica di difesa comune e di un esercito europeo, magari occorreranno ancora degli anni, ma penso che questi sono dei piccoli passi che potranno aiutare quantomeno ad avere agilità nelle risposte. Ma non è tutto.

Ovvero?

Penso anche alla questione di un centro unico di fornitura in vista della costituzione di un mercato unico europeo nel settore degli armamenti. Lo si evince da un documento del Centro alti studi per la difesa che spiega in dettaglio come sia un obiettivo comune a lungo termine. Un obiettivo che porterà dei vantaggi anche all’industria italiana della difesa che può contare su aziende tecnologicamente avanzate su scala mondiale: potranno fare davvero la differenza e con una serie di ripercussioni positive sull’economia italiana anche dal punto di vista occupazionale.

@FDepalo


formiche.net/2023/12/spese-dif…



Difesa e vincoli di stabilità, una buona notizia per le Forze armate. Il commento del gen. Del Vecchio


Il fatto che le risorse per il nostro settore della Difesa siano state escluse dai vincoli del Patto di stabilità è un elemento positivo, fondamentale per assicurare l’impiego delle Forze armate a difesa della pace. Questo il cuore dell’analisi affidata a

Il fatto che le risorse per il nostro settore della Difesa siano state escluse dai vincoli del Patto di stabilità è un elemento positivo, fondamentale per assicurare l’impiego delle Forze armate a difesa della pace. Questo il cuore dell’analisi affidata ad Airpress dal generale Mauro Del Vecchio, già comandante del Comando operativo di vertice interforze (Coi), con alle spalle una carriera che lo ha visto impegnato, tra gli altri, nei Balcani e in Afghanistan, sulla decisione di escludere gli investimenti per la difesa dal calcolo degli obbiettivi di bilancio nel Patto di stabilità, rinegoziato a Bruxelles. “Il Patto di stabilità e crescita su cui si sono confrontati nei giorni scorsi i Paesi europei a Bruxelles – ha detto il generale –è un passaggio fondamentale per la sicurezza economica dell’Ue, che impone talvolta misure economiche restrittive nei riguardi degli Stati, tra cui il nostro, che non presentano totalmente i richiesti parametri economici”. Per questo, sottolinea Del Vecchio “va certamente registrato positivamente il fatto che le risorse per il nostro settore della Difesa siano state escluse dai suddetti vincoli e non siano state penalizzate nel senso sopra indicato”.

L’impatto sull’impiego delle Forze armate

Per il generale, infatti “non si tratta di provvedimenti di poco conto, perché sono strettamente legati all’impegno che le nostre Forze armate esercitano ormai da molti anni nel contesto internazionale per la salvaguardia della pace e il superamento delle controversie, ma anche alla necessità di garantire efficienza operativa ad uno strumento di sicurezza (quello militare) che richiede un continuo ammodernamento ed adeguamento alle sempre diverse esigenze operative”. Per il generale il tema degli investimenti per la difesa è collegato direttamente alla capacità militare di agire nel contesto internazionale. “Sarebbe lungo ripercorrere le caratteristiche di questo impegno, basti ricordare che la nostra componente militare, grazie alle sue articolazioni, opera da decenni in ogni parte del mondo ed in diverse configurazioni (terrestre, navale, aeronautica e di sicurezza) per garantire il superamento dei contrasti internazionali, sovente caratterizzati da violenze e sopraffazioni, e per salvaguardare o ripristinare la pace”. Di conseguenza “in un contesto così complesso e di tale portata, non può essere assolutamente sottovalutata l’importanza che, ai fini di un suo appropriato impiego, riveste la sicura e sempre indispensabile efficienza operativa della componente militare nazionale”.

La posizione italiana

Una posizione che fa eco a quella del ministro della difesa Guido Crosetto, che commentando la decisione di Bruxelles ha sottolineato come con la scelta il comparto difesa non entra più in contrasto con sanità, scuola, ambiente, com’è giusto che sia. Per il ministro, infatti, “in un momento difficile come questo era giusto liberare risorse per sanità, sociale, interventi per la fiscalità e per la competitività delle aziende, senza rinunciare alla sicurezza”. Una posizione che, per il ministro, recepisce in pieno la posizione italiana: “è una vittoria storica del governo – ha ribadito Crosetto, aggiungendo come – il nostro lavoro di squadra e la serietà delle nostre posizioni sono state coronate dal successo”. Il ministro ha infatti rivolto i suoi ringraziamenti al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e al ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, “per il grande risultato ottenuto nella ridefinizione delle regole e dei parametri europei per i prossimi anni”.

La battaglia di Crosetto

Del resto, lo scorporo delle spese della difesa dal Patto è un tema che il ministro ha portato avanti da tempo, anche in sede europea. Proprio nel corso di un’audizione a novembre davanti alle commissioni Difesa della Camera e Affari Esteri e Difesa del Senato, Crosetto aveva ribadito i motivi dietro la necessità di svincolare le spese per la Difesa da patto di stabilità. “Sono stato il più sincero tra i ministri della Difesa a dire ‘forse non ce la facciamo’, a fronte della situazione di bilancio”, ha evidenziato Crosetto. “Il ragionamento che l’Italia può fare in Europa è sottolineare come l’aumento degli stanziamenti per la Difesa sia un obiettivo di investimento imposto dall’esterno che non può essere in contrasto con le necessità di spesa in altri settori”. Per il ministro, infatti “le spese per la Difesa non possono diventare argomento di discussione politica, dobbiamo superare la stucchevole polemica ideologica che associa alle spese per la difesa solo un concetto di costo”. Per il ministro, questi investimenti rappresentano piuttosto un valore strategico per il sistema-Paese, per la difesa europea e per la crescita economica di tutti gli Stati membri.


formiche.net/2023/12/patto-sta…



Memoru la daton! 🗣 La interesgrupo de Adoleska Agado entuziasme invitas vin partopreni sian retan eventon: ARTo (Adoleskantara Reta Tago) estas organizita de adoleskuloj por adoleskuloj, kaj okazos la 24-an de Decembro. 🎄


Pretiĝu por mojosa tago (horoj aperas laŭ UTC):

🎉 16:00 - 16:30 · Malfermo (gvidas Oliver)
🗣️ 16:30 - 17:30 · Diskutado pri disvastigo de Esperanto kaj adoleskoj (gvidas Óscar)
🎯 17:30 - 18:30 · Ni ludu kune! (gvidas Oliver)
🐶 de 18:30 · Libera babilado pri hejmbestoj (sen gvidanto)

La evento okazos per Jitsi: meet.jit.si/ARTO-TEJO 🎧

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Il nuovo patto di stabilità è guerrafondaio e antipopolare. Potremo sforare gli assurdi parametri per comprare le armi ma non per gli ospedali. Il nuovo patto


La Commissione VII del Senato ha approvato il disegno di legge che riforma l’istruzione tecnico-professionale con l’introduzione del nuovo modello 4+2 che prevede il potenziamento delle discipline di base e l’incremento di quelle laboratoriali, raffo…


Video del capo militare di Hamas: «È vivo e sta bene»


Sorpresa l'Intelligence israeliana, che lo diceva mutilato e in sedia a rotelle. Trovate immagini di Mohammed Deif a Gaza. Lui e Yahya Sinwar sono ogni giorno più popolari nei Territori palestinesi occupati L'articolo Video del capo militare di Hamas: «È

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di Michele Giorgio

(questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto)

Pagine Esteri, 21 dicembre 2023 – Per una ventina di anni tutti l’hanno immaginato su di una sedia a rotelle, senza più gambe, un occhio e un braccio, con il volto deturpato dalle esplosioni dei missili sganciati da Israele. Invece Mohammed Deif, l’inafferrabile capo delle Brigate al Qassam, l’ala militare di Hamas, sopravvissuto ad almeno sette tentativi di assassinio, l’ultimo dei quali nel 2021, cammina e sembra essere in buono stato di salute a giudicare da un video ritrovato a Gaza nei giorni scorsi dai soldati israeliani. Immagini che hanno suscitato clamore nell’opinione pubblica di Israele e fatto calare nuove ombre sulle capacità dell’intelligence israeliana già sotto accusa per non aver saputo impedire l’attacco a sorpresa nel sud di Israele compiuto il 7 ottobre dal movimento islamico. Deif non solo è vivo ma è uscito con danni limitati dai tentativi di assassinio. Questo ha lasciato sbigottiti gli israeliani perché il capo del braccio armato di Hamas è ritenuto l’ideatore del blitz di ottobre. Attacco di cui è stato supervisore Yahya Sinwar, capo politico di Hamas a Gaza nonché primula rossa sfuggita per almeno due volte nelle ultime settimane alla cattura da parte dei soldati israeliani entrati nelle gallerie sotterranee di Khan Yunis. Più Israele fatica a catturarli e più entrambi conquistano prestigio nei Territori palestinesi occupati.

Nato nel 1965 nel campo profughi di Khan Yunis, Mohammed Al Masri, detto «Deif», l’ospite, dall’abitudine che ha di non dormire per ragioni di sicurezza nello stesso luogo più di due notti, si unì ad Hamas nel 1987. È stato uno stretto collaboratore di Yahya Ayyash, «l’ingegnere» degli attentati-kamikaze in Israele nei primi anni ’90, quindi vice del capo delle Brigate Qassam, Salah Shahade, assassinato da Israele nel 2002. Da allora Deif è il capo dell’ala militare di Hamas. Sua moglie, suo figlio neonato e la figlia di tre anni sono stati uccisi in un tentativo di omicidio del 2014.

Ci sono solo due foto conosciute di Deif, la più recente delle quali è stata scattata nel 2000. Non appare mai in pubblico e preferisce lasciare spazio al suo portavoce Abu Obeida, anch’egli popolare tra i palestinesi. Varie fonti, palestinesi e israeliane, descrivono Deif come il realizzatore della trasformazione delle Brigate Qassam da un gruppo di cellule amatoriali a unità militari organizzate, nonché il fautore principale della rete di gallerie sotterranee costruite da Hamas sotto Gaza a scopo di rifugio e di via di attacco in Israele. Considerando il peso enorme che l’ala militare ha nelle decisioni di Hamas, sono in molti a ritenere che la sua approvazione sia necessaria per qualsiasi scelta del movimento islamico. Non sorprende perciò che il 7 ottobre Deif abbia tenuto un discorso audio, il primo dal 2021, giustificando l’attacco nel sud di Israele come una risposta alla «profanazione» della moschea di Al-Aqsa e all’uccisione e al ferimento di centinaia di palestinesi nel 2023, tra gennaio e ottobre.

La popolarità di Deif tra i palestinesi, in Cisgiordania più che a Gaza, già ampia da anni – durante le manifestazioni spesso si sente scandire «Siamo i soldati di Mohammed Deif» – è cresciuta ulteriormente negli ultimi due mesi perché il capo delle Brigate Qassam riesce sempre a sfuggire ai soldati israeliani. La cattura o uccisione di Deif, assieme a quella di Yahya Sinwar, sarebbe una vittoria fondamentale per Benyamin Netanyahu, da spendere nell’opinione pubblica israeliana. In caso contrario, quando sarà proclamato il cessate il fuoco definitivo, saranno i leader di Hamas a proclamarsi vincitori. Pagine Esteri

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In Cina e in Asia – Mini trade war tra Pechino e Taipei


In Cina e in Asia – Mini trade war tra Pechino e Taipei 11240559
I titoli di oggi: Mini trade war tra Pechino e Taipei L’Ue avvia un’indagine antidumping sulle importazioni di biodiesel dalla Cina Xi incontra il premier russo Mishustin: “Le forti relazioni sono una scelta strategica” I funzionari del Pcc danno l’ultimo saluto al padre di SenseTime La Nuova Zelanda nell’Aukus? Il Giappone pronto a spedire missili Patriot agli Stati Uniti Nippon ...

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PORTI E CRIMINALITÀ. IL RAPPORTO DI “LIBERA”


L’ambito portuale può essere crocevia di traffici illeciti internazionali.
“Libera” (rete di associazioni, cooperative sociali, movimenti e gruppi, scuole, sindacati, diocesi e parrocchie, gruppi scout, coinvolti in un impegno contro mafie, corruzione, fenomeni di criminalità) ha preso in esame in un suo Rapporto (“Diario di Bordo”) le infiltrazioni criminali in 29 porti italiani, di cui 23 di rilievo nazionale.

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Dei 140 casi di criminalità emersi nel 2022:
- l’85,7% riguarda attività illegali di importazione di merce o prodotti,
- il 7,9% riguardano attività illegali di esportazione di merce o di prodotti,
- il 2,9% riguarda sequestri di merce in transito,
- il restante è relativo ad altri fenomeni illeciti non classificabili.
Il dato che spicca maggiormente riguarda il traffico di merce contraffatta, pari al 49,3% dei casi mappati, seguito dal traffico di stupefacenti con il 23,2% e il contrabbando con l’11,6%.
Analizzando le relazioni della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia, pubblicate tra il 2006 e il 2022, più di un porto italiano su sette è stato oggetto degli interessi della criminalità organizzata. Sono almeno 54 i porti italiani che sono stati oggetto di proiezioni criminali, con la partecipazione di almeno 66 clan, che hanno operato in attività di business illegali e legali. Tra di esse, spiccano le tradizionali mafie italiane: ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra.

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Si rileva inoltre la presenza di diversi gruppi di cui: asiatici, dell’Est Europa, del Nord Africa, o di provenienza dall’ Albania, Cina, Messico e Nigeria. Su 66 clan censiti, 41 sono gruppi di ‘ndrangheta che operano in diversi mercati illeciti.

Spesso è necessario il contributo di più soggetti, in molti casi appartenenti all’area dell’economia legale: lavoratori del porto, dipendenti pubblici, imprenditori e professionisti dell’economia marittima, mentre per i traffici illegali è necessario il contributo di chi produce, chi imbarca, chi si occupa del trasferimento, chi recupera il carico, chi lo fa uscire dall’area portuale e chi si occupa della distribuzione.

Secondo il Rapporto: “gli scali sembrano essere uno snodo strategico e di fondamentale importanza per i gruppi criminali, che possono sfruttare l’infrastruttura e i collegamenti per svariati scopi”.

Il rapporto completo è scaricabile qui: libera.it/documenti/schede/dia… , mentre un video di presentazione è disponibile qui yewtu.be/-XP4UO2ZvQo?t=37



VERSIONE ITALIANA USA, I LEGISLATORI SCRIVONO A BIDEN AFFINCHE’ GARANTISCA UN’APPLICAZIONE EQUA DELLA REGOLAMENTAZIONE EUROPEA NEI CONFRONTI DELLE AZIENDE AMERICANEIl presidente degli USA Biden ha ricevuto una lettera da un gruppo bipartisan di legislatori statunitensi che sostiene che le regolamentazioni europee nel campo della tecnologia stanno discriminando ingiustamente le aziende statunitensi e non includono molte …
Unknown parent

friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
Informa Pirata
@Davide_Sandini eh... l'eurokattiveriah dell'Unione Europea che impedisce alle aziende usa di praticare il metodo Cermis sulle aziende del continente...


Flipboard ha aperto una propria istanza PeerTube!

Dopo aver annunciato l'implementazione della federazione attraverso il protocollo ActivityPub, il social magazine @Flipboard ha aperto una propria istanza basata su @PeerTube

Si tratta di una notizia importante perché mostra un forte interesse verso la decentralizzazione e l'interoperabilità da parte di un importante attore mondiale del panorama social.

@Che succede nel Fediverso?

flipboard.video/videos/local

in reply to Ryoma123

@Ryoma123 quello è un asset aziendale, quindi prima di renderlo open source (non FOSS, eh... solo OSS) devono fare una valutazione di impatto per vedere se questo determina un danno agli azionisti oppure no. E la risposta è quasi sempre sì


Dopo 3 anni di negoziati la commissione europea presieduta dalla guerrafondaia Ursula Von der Leyen, compie un altro crimine con l’appoggio di noti complici.

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Dublino contro Londra dopo il colpo di spugna sulle violenze in Nord Irlanda


Londra vara una legge per proteggere i suoi militari da possibili azioni legali per i crimini commessi in Nord Irlanda. Dublino ricorre alla CEDU L'articolo Dublino contro Londra dopo il colpo di spugna sulle violenze in Nord Irlanda proviene da Pagine E

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di Redazione

Pagine Esteri, 20 dicembre 2023 – L’Irlanda porterà il Regno Unito davanti alla “Corte europea dei diritti dell’uomo” (Cedu) contro la decisione di Londra di impedire nuove azioni legali sui crimini commessi dalle truppe britanniche nel corso del conflitto nordirlandese.
Il vicepremier irlandese Micheál Martin ha annunciato oggi che la decisione è stata presa «dopo molte riflessioni e attente considerazioni». Martin ha detto di essere rammaricato per il fatto «di trovarci nella posizione in cui tale scelta doveva essere fatta», ma ha accusato il governo britannico di rinnegare i precedenti accordi bilaterali a favore di un approccio unilaterale che viola la Convenzione europea sui diritti dell’uomo.

L’ultima denuncia dell’Irlandacontro il Regno Unito alla Corte di Strasburgo risale al 1971, anno in cui i soldati britannici e la polizia nordirlandese furono accusati di aver torturato alcuni sospetti militanti dell’Esercito Repubblicano Irlandese (IRA). In quel caso la Corte stabilì che le forze di sicurezza britanniche erano colpevoli di “trattamenti degradanti e inumani” ma non di tortura.

Il “Northern Ireland Troubles (Legacy and Reconciliation) Act”, approvato a settembre, è stato espressamente redatto dal governo di Londra per proteggere gli ex soldati britannici da future accuse o azioni legali. La legge specifica che, a partire dal maggio del 2024, non potranno essere aperte nuove indagini penali, inchieste o cause civili legate al trentennale conflitto nordirlandese. Gli autori dell’eventuale reato, in cambio dell’immunità legale, saranno invece invitati a testimoniare davanti ad una commissione d’inchiesta ad hoc (Commissione indipendente per la riconciliazione e il recupero delle informazioni, Icrir) appena costituita, un approccio respinto da quasi tutti i partiti politici dell’Irlanda del Nord oltre che da quelli irlandesi. Entrambi i partiti nazionalisti irlandesi a nord del confine, il Sinn Féin e il Partito socialdemocratico e laburista, in particolare, chiedevano da mesi a Dublino di portare la Gran Bretagna in tribunale nel tentativo di bloccare la nuova legge.

Dublino intende ora sostenere che la legge britannica è incompatibile con gli obblighi che il Regno Unito ha preso nei confronti della Convenzione. Micheál Martin ha affermato che il Legacy Act infrange inoltre il precedente impegno della Gran Bretagna del 2014, contenuto nell’accordo di Stormont House firmato con Dublino, di mantenere aperte tutte le vie giudiziarie per le vittime delle violenze commesse prima dell’accordo di pace del Venerdì Santo del 1998.

I casi legati ad alcuni dei peggiori atti di violenza del conflitto continuano a caratterizzare oggi la vita legale nell’Irlanda del Nord. La scorsa settimana, i pubblici ministeri dell’Irlanda del Nord hanno annunciato che un ex paracadutista britannico, identificato solo come “Soldato F”, sarà processato per omicidio per il suo ruolo nell’uccisione di 13 manifestanti irlandesi disarmati da parte dell’esercito britannico durante il Bloody Sunday di Derry del 30 gennaio 1972.

Quel giorno migliaia di persone si radunarono nella città nordirlandese per una manifestazione organizzata dalla “Northern Ireland Civil Rights Association” contro una nuova legge che conferiva alle autorità il potere di incarcerare le persone senza processo. Il governo britannico vietò la protesta e schierò l’esercito per impedirne lo svolgimento ma senza risultati. Di fronte alla resistenza dei manifestanti un reggimento di paracadutisti aprì il fuoco sulla folla uccidendo 13 persone e ferendone altre 15. Pagine Esteri

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L'articolo Dublino contro Londra dopo il colpo di spugna sulle violenze in Nord Irlanda proviene da Pagine Esteri.



Marte nasconde tracce di attività vulcanica più recente del previsto l AstroSpace

"I risultati indicano che in questa zona non più tardi di un milione di anni fa sono eruttate enormi quantità di lava da numerose fessure nel terreno che hanno interagito con l’acqua dentro e sotto la superficie. Questi eventi avrebbero provocato grandi inondazioni, che hanno scavato profondi canali.

I risultati della ricerca, che presentano questa attività vulcanica e sismica così recente nella storia di Marte, suggeriscono che il passato geologico di questo pianeta sia molto più tumultuoso del previsto."

astrospace.it/2023/12/20/marte…