Concorso docenti 2024: domande prova scritta “a sorpresa” per tutti, non c’è un “paniere” di quesiti ufficiali
Le risposte dell’esperta di normativa Sonia Cannas:
> I bandi affermano “Ciascun quesito consiste in una domanda seguita da quattro risposte, delle quali solo una è esatta; l’ordine dei 50 quesiti è somministrato a ciascun candidato in modalità casuale, nel rispetto delle quantificazioni di cui al comma 3. Non si dà luogo alla previa pubblicazione dei quesiti”> Pertanto, il Ministero non pubblicherà il “paniere” dei quesiti dal quale saranno poi estrapolati quelli della prova scritta.
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SPACE YANTRA
Ho raggiunto via email gli Space Yantra nel bel mezzo del loro viaggio in Amazzonia per una chiacchierata, ecco cosa ne e venuto fuori. Di Andrea Parodi.
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DEAF – DEAF
In questo poco tempo i DEAF concentrano il meglio della storia del thrash e non solo..
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MARK LANEGAN – SING BACKWARDS AND WEEP
iyezine.com/mark-lanegan-sing-…
@L’angolo del lettore
MARK LANEGAN - SING BACKWARDS AND WEEP
"Sing backwards and deep" è il chiacchierato e discusso memoir (che prende il titolo dai versi di una canzone dello stesso autore) pubblicato nel 2020, in cuiIn Your Eyes ezine
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Ministero dell'Istruzione
📌 Fino al 15 febbraio 2024 sarà possibile presentare sulla piattaforma #Unica la domanda per accedere alle agevolazioni per i viaggi di istruzione e per le visite didattiche, destinate alle famiglie con basso #ISEE.Telegram
GAZA. Ong internazionali contro i tagli dei fondi all’Unrwa: minacciano la vita di innocenti
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COMUNICATO
Come organizzazioni umanitarie, siamo profondamente preoccupati per il fatto che alcuni dei maggiori donatori abbiano deciso di sospendere i finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA), il principale fornitore di assistenza per milioni di palestinesi a Gaza e nella regione, proprio nel momento in cui si sta verificando un rapido peggioramento della catastrofe umanitaria nella Striscia.
La sospensione dei finanziamenti da parte dei Paesi donatori avrà un impatto sugli aiuti salvavita per oltre due milioni di civili, di cui più della metà sono bambini, che dipendono dal sostegno dell’UNRWA a Gaza. La popolazione rischia di morire di fame, di affrontare una carestia e di essere colpita da epidemie, a causa dei continui bombardamenti indiscriminati di Israele e della privazione degli aiuti a Gaza.
Accogliamo con favore la rapida indagine dell’UNRWA sul presunto coinvolgimento di alcuni membri del personale delle Nazioni Unite negli attacchi del 7 ottobre. Siamo allibiti di fronte alla decisione sconsiderata di tagliare un’ancora di salvezza per un’intera popolazione proprio da parte di alcuni dei Paesi che avevano chiesto di intensificare gli aiuti a Gaza e di proteggere gli operatori umanitari mentre svolgono il loro lavoro. Questa decisione arriva mentre la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato un’azione immediata ed efficace per garantire la fornitura di assistenza umanitaria ai civili di Gaza.
152[1] membri del personale UNRWA sono già stati uccisi e 145 strutture UNRWA sono state danneggiate[2] dai bombardamenti. L’UNRWA è la più grande agenzia umanitaria a Gaza e il suo lavoro non può essere svolto da altre agenzie che operano a Gaza. Se le sospensioni dei finanziamenti non saranno revocate, rischiamo di assistere al completo collasso della già limitata risposta umanitaria a Gaza.
Si stima che siano oltre un milione gli sfollati palestinesi che si rifugiano[3] nei 154 centri di accoglienza dell’UNRWA o nei dintorni, per i quali l’agenzia e le organizzazioni umanitarie hanno continuato a lavorare in circostanze quasi impossibili per fornire cibo, vaccinazioni e acqua potabile. I Paesi che sospendono i fondi rischiano di privare ulteriormente i palestinesi della regione di cibo, acqua, assistenza e forniture mediche, istruzione e protezione.
Sollecitiamo i Paesi donatori a confermare il sostegno al lavoro vitale che l’UNRWA e i suoi partner svolgono per aiutare i palestinesi a sopravvivere a una delle peggiori catastrofi umanitarie dei nostri tempi. Li esortiamo a revocare le sospensioni dei finanziamenti, rispettare i loro doveri nei confronti del popolo palestinese e aumentare l’assistenza umanitaria per i civili in grave difficoltà a Gaza e nella regione.
Firmatari:
Save the Children
War Child Alliance
ActionAid
Norwegian Refugee Council
Diakonia
Oxfam
Première Urgence Internationale
Médecins du Monde France, Spain, Switzerland, Canada, Germany
Danish Refugee Council
Johanniter International Assistance
The Association of International Development Agencies – Aida
Humanity & Inclusion/ Handicap International (HI)
INTERSOS
CCFD-Terre Solidaire
International Council for Voluntary Agencies
Norwegian People’s Aid
Plateforme des ONG françaises pour la Palestine
Norwegian Church Aid
DanChurchAid
American Friends Service Committee
Caritas Internationalis
[1] UNRWA Situation Report #69 on the situation in the Gaza Strip and the West Bank, including East Jerusalem (all information from 23-24 January 2024, is valid as of 24 January 2024 at 22:30) [EN/AR] – occupied Palestinian territory | ReliefWeb
[2] UNRWA Situation Report #70 on the situation in the Gaza Strip and the West Bank, including East Jerusalem | UNRWA
[3] UNRWA Situation Report #69 on the situation in the Gaza Strip and the West Bank, including East Jerusalem (all information from 23-24 January 2024, is valid as of 24 January 2024 at 22:30) [EN/AR] – occupied Palestinian territory | ReliefWeb
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In Cina e Asia – Interrogatori "ingiustificati” per gli studenti cinesi negli Usa
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Filippine, accuse reciproche tra Marcos e Duterte
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VIDEO JENIN. Soldati israeliani travestiti uccidono tre palestinesi all’ospedale Ibn Sina
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Pagine Esteri, 30 gennaio 2024. Alle prime luci dell’alba circa 12 militari israeliani infiltrati hanno fatto irruzione all’ospedale Ibn Sina di Jenin. Il video registrato dalle telecamere di sorveglianza mostra il loro ingresso. Travestiti per sembrare arabi, con le tuniche tipiche maschili, con il velo da donna o con la divisa medica, hanno nascosto i fucili forniti di silenziatori tra gli abiti, in una sedia a rotelle e in una culla per neonati. Obiettivo del raid l’uccisione di tre combattenti palestinesi, uno dei quali precedentemente ferito e in degenza al terzo piano della struttura sanitaria.
Nonostante la versione delle forze armate israeliane parli dell’ospedale come di una base operativa di Hamas, i soldati non hanno trovato alcuna resistenza né all’ingresso della struttura né durante l’accesso ai vari piani e alle sale di ricovero. L’esercito ha pubblicato la fotografia di una pistola che uno dei tre combattenti, Mohammed Jalamneh, di 27 anni, avrebbe avuto con sé durante e che gli è stata “confiscata”. I militari, dopo le tre esecuzioni, sono usciti dall’ospedale e dal campo profughi senza difficoltà.
I tre palestinesi uccisi sono stati accusati, in un comunicato delle forze armate, di far parte di una cellula terroristica di Hamas e di essere in procinto di organizzare un attentato terroristico.
Le altre due vittime sono due fratelli, Mohammad e Basil Al Ghazawi. Quest’ultimo era rimasto ferito alcune settimane fa in un bombardamento israeliano.
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Il Ministero della Sanità palestinese ha chiesto alle Nazioni Unite e alle organizzazioni per i diritti umani di garantire la sicurezza e la protezione delle strutture ospedaliere, delle ambulanze e del personale sanitario. Non è la prima volta che l’ospedale Ibn Sina è stato oggetto di un attacco da parte dell’esercito israeliano. In precedenti raid i militari avevano bloccato le ambulanze, circondato la struttura con i carri armati e ordinato al personale medico di lasciare l’ospedale uscendo con le mani alzate.
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Israele-Marocco: l’intesa per le relazioni commerciali passa dai territori occupati
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di Alessandra Mincone
Pagine Esteri, 30 gennaio 2024. Lunedì 29 Gennaio nuovi raid del Fronte Polisario hanno preso di mira le basi marocchine nella regione di Amagli Dachra, in risposta all’aumento di presenza delle forze di occupazione, provocando danni materiali e morti tra le fila dell’esercito marocchino. L’attacco è una prova di forza contro un apparato repressivo che guarda alle forze armate israeliane per attingere a nuovi strumenti di guerra, forti degli apparati giuridici e del consenso statunitense e non solo.
Negli ultimi anni, l’intesa tra Israele e Marocco ha favorito la stabilizzazione di un nuovo asse geo politico in ambito economico e militare nell’area del Medio Oriente e dell’Africa Subsahariana. Tutto è iniziato ufficialmente grazie all’adesione del Marocco agli Accordi di Abramo fortemente sostenuti dall’Amministrazione Trump, nell’ottica della normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Israele ed Emirati Arabi Uniti in una funzione anti-iraniana; funzione non troppo nascosta nonostante la promozione di una fiorente cooperazione tra le parti e l’adozione di un’agenda strategica volta all’espansione degli ideali di pace nel Medio Oriente, per quanto si legge agli art.6 e art.7 del Trattato.
Nel dicembre 2020, l’allora presidente degli Stati Uniti aveva ottenuto la firma del Marocco solo dopo aver assecondato il riconoscimento della sovranità marocchina sui territori occupati del Sahara Occidentale, in barba ai tentativi delle Nazioni Unite di risolvere la disputa della “contesa” organizzando un referendum sull’indipendenza della Rasd (Repubblica democratica araba dei Saharawi).
Nell’estate del 2023 anche Israele ha legittimato l’occupazione marocchina nel Sahara, ma dopotutto la Monarchia di Rabat sembrava avere già messo da parte le ostilità culminate nel 2000, quando dopo lo scoppio della seconda intifada palestinese e del sostegno marocchino alla teoria di una soluzione a due Stati, erano state sospese le relazioni diplomatiche. Dopo la sigla degli accordi di Abramo, il Governo guidato dal PJD non aveva maturano alcuna influenza contro il Re Mohammad VI, ma anzi, al rifiuto di riconoscere lo Stato d’Israele, poiché “simbolo di incoraggiamento della violazione dei diritti del popolo palestinese”, il monarca aveva anteposto il divieto a organizzare manifestazioni popolari in solidarietà alla causa palestinese.
Dall’autunno del 2020 ad oggi, Israele e Marocco hanno siglato una trentina di memorandum d’intesa. A poco meno di un anno dalla formalizzazione delle relazioni, il Marocco si impegnava a concedere ad una società israeliana, la Ratio Petroleum, i diritti esclusivi per condurre attività di esplorazione in oltre cento chilometri quadrati al largo delle coste di Dakhla, città saharawi osteggiata dalla giurisdizione marocchina dal periodo di realizzazione della quinta fase del Muro della Vergogna, avutasi nel 1985. Nell’inverno del 2022 una seconda società israeliana, la NewMed Energy, firmava un accordo per l’estrazione e la produzione di gas naturale e petrolio al largo delle coste di Boujdour, altra città storicamente tra le più pescose del Sahara, e già sfruttata da numerose società europee grazie agli accordi sulla pesca tra Marocco-UE.
Nello stesso inverno, un altro settore che ha visto il rafforzamento tra investitori e banchieri marocchini e israeliani è stato quello dell’energia rinnovabile.
Proprio durante la Cop27 in Egitto, l’israeliana H2Pro, azienda produttrice di idrogeno verde, firmava un accordo da centinaia di migliaia di dollari di profitto con la società marocchina Gaia Energy: “una pietra miliare nelle relazioni marocchino-israeliane, dimostrazione del trionfo della cooperazione regionale sul cambiamento climatico e chiaro indicatore del ruolo chiave che l’innovazione può svolgere nella diplomazia” aveva dichiarato il CEO di H2Pro, Talmon Marco. Con il memorandum, iniziava il progetto di importazione della tecnologia israeliana finalizzato a produrre energia rinnovabile su un territorio già provvisto di turbine eoliche e pannelli solari fotovoltaici, stimando che già dal 2030 l’idrogeno potrà valere 1 dollaro al chilogrammo, competendo quindi sul mercato in qualità di elemento chimico più economico al mondo e in grado di disincentivare il ricorso ai combustibili fossili: “combinando la potenza delle risorse di energia rinnovabile di Gaia con la tecnologia di produzione di idrogeno verde efficiente ed economica di H2Pro, porteremo il Marocco e la nostra regione un passo più vicino a questa visione”, aggiungeva invece il CEO di Gaia Energy, Moundir Zniber.
Il Marocco, già da qualche anno vanta un titolo tra le eccellenze internazionali specializzate nell’installazione di impianti eolici e solari. Ma da quanto emerso aldilà del panorama dei processi di transazione ecologica decantati alla Cop27, finora garantisce un’autonomia energetica che non di rado viene riutilizzata in contesti estrattivi, come in quello dei giacimenti di fosfato saharawi. Ne è un esempio l’impianto eolico attivo a Foum el-Oued, città situata nella stessa regione della capitale El Aaiùn nel Sahara. L’impianto riesce da solo a rifornire l’energia necessaria al funzionamento della miniera più vasta del mondo, nella città di Bu Craa cioè sempre in Sahara.
L’operazione apparentemente ecologica, in realtà, sta svilendo le riserve di fosfati, che stando ai dati che riporta l’Osservatorio nazionale delle risorse saharawi, si prevedono in esaurimento entro i prossimi trecento anni. Così come anche l’estrazione intensiva di idrocarburi concessa nelle acque saharawi sta minacciando la vita sui fondali.
Ma uno degli elementi da cui si evince l’importanza a consolidare la partnership tra Israele e Marocco è senza dubbio quello che riguarda l’alleanza militare e la promozione dell’industria di armamenti.
Nel contesto della cooperazione per fronteggiare il fenomeno del terrorismo e arginare lo sviluppo delle relazioni militari nell’area di influenza iraniana, infatti, il Ministro della difesa Benny Gantz firmava nel 2021 un accordo quadro a Rabat, in previsione di un rafforzamento dei legami tra i servizi di intelligence israeliani e marocchini, dell’investimento comune per le spese militari e del coinvolgimento degli eserciti in addestramenti di difesa congiunti.
Secondo un rapporto rilasciato dal Dipartimento britannico per le imprese, datato 2014, la compravendita di armi tra Israele e Marocco ha origini che risalgono ancor prima agli Accordi di Abramo. Israele negli ultimi dieci anni avrebbe venduto sistemi di spionaggio e cyber guerra attraverso paesi terzi e in totale segretezza. A riprova di ciò, il Fronte Polisario rilasciava delle immagini satellitari già nel 2018, che premettevano la presenza di droni di fabbricazione israeliana nell’aereoporto di Dakhla, e denunciava l’utilizzo di velivoli targati israele contro gli obiettivi delle forze di difesa saharawi durante la ripresa delle ostilità tra le forze di occupazione marocchine e le forze di liberazione saharawi. L’alleanza militare non sarebbe una novità per il Polisario, che alla luce dei nuovi accordi bellici tra le due potenze, ricordava come il Regno del Marocco avesse già ottenuto il supporto di Israele nella costruzione del Muro militare e con l’invio di carri armati, come anche ammesso dal ricercatore dell’Istituto israeliano per le politiche estere regionali, Einat Levi.
Quella che gli americani avevano definito una normalizzazione dei rapporti diplomatici, è parsa in realtà una nuova alleanza di guerra tra il regime sionista e i regimi reazionari “in contrasto coi valori dei diritti umani e della democrazia”, aveva scritto l’attivista e giornalista investigativo marocchino Abdellatif El Hamamouchi.
Nel settembre 2022, il sito spagnolo Infodron informava dell’acquisto da parte del Marocco di centocinquanta droni VTOL WanderB e ThunderB dalla Bluebird aero system, società di progettazione e produzione di apparecchi per sistemi aerei tattici senza pilota, posseduta al 50% dall’IAI, l’Industria aeronautica israeliana. Il primo pacchetto di droni WanderB, ottenuto a un costo stimato di cinquanta milioni di dollari, era già stato testato nell’esercitazione militare della FAR ad Ourzazate nel 2019. Grazie alle componenti acquistate, lo sviluppo dei motori e di altre parti dei droni verrebbe ultimato in Marocco nell’ottica della costruzione di un’industria bellica locale. L’accordo tra i Ministri della difesa, prevedeva finanche la collaborazione dei due paesi nella realizzazione di un centro di ricerca coadiuvato. Sempre il sito Infodron, evidenziava anche l’acquisto nel 2021 dall’IAI di droni harops nel modello kamikaze, vale a dire aerei armati senza pilota che localizzano e attaccano i radar di droni nemici, per poi esplodere al momento dell’impatto, a un costo di circa 22 milioni di dollari.
Dalla rapidità con cui si sono sviluppati i rapporti militari dopo gli Accordi di Abramo, è emerso come il Marocco negli ultimi anni abbia espresso non una semplice passiva subordinazione verso le importazioni dall’industria bellica israeliana, piuttosto una vera e propria ambizione mirata a sviluppare progetti per la crescita di una propria industria della guerra. Tra il 2021 e 2022, con l’attuazione del decreto Legge 10.20 sui materiali e sulle attrezzature per la difesa e la sicurezza, le armi e le munizioni, il Regno del Marocco sanciva di fatto le basi giuridiche per inserirsi nella classifica dei futuri produttori e esportatori di armamenti. L’operazione marocchina, venduta nel quadro di una modernizzazione della difesa sostenibile e nel contrasto al traffico di armi illecite, si innalzerebbe in favore del principio di un’autonomia logistico-operativa in correlazione al bisogno dell’autosufficienza delle attrezzature per la difesa e la sicurezza nazionale dei paesi in via di sviluppo. La “politica dell’industria della difesa” (PID), viene definita dalla succitata Legge “la consacrazione di una volontà di emancipazione per la ricerca di una libertà d’azione” oltre che “l’alternativa appropriata alla tirannia dei limiti giuridici e delle restrizioni politiche che caratterizzano il commercio dei materiali di difesa e sicurezza”.
Gli investimenti sulle energie rinnovabili e non, e le affinità belliche tra Israele e Marocco, non rappresentano semplicemente lo sfondo geopolitico sul quale si muovono le resistenze palestinesi e saharawi, ma allo stato attuale esprimono una brutale escalation coloniale già tangibile a partire dalla Striscia di Gaza, da anni considerata un laboratorio di guerra a cielo aperto e dove alla catastrofe umanitaria si somma la catastrofe ambientale. Il recente studio prodotto dai ricercatori del Social science research network inglese, ha quantificato che i bombardamenti aerei unitamente all’invasione di terra a Gaza, abbiano provocato quasi trecentomila tonnellate di anidride carbonica in poco più di sessanta giorni dal 7 Ottobre, a esclusione di emissioni inquinanti difficilmente calcolabili come quelle di gas metano.
L’attacco del 29 gennaio da parte del Fronte Polisario alle basi marocchine nella regione di Amagli Dachra, risponde alla presenza delle forze armate marocchine, sempre più massiccia che echeggia come una sirena d’allarme per i prossimi genocidi sulle rive nord africane del mediterraneo.
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AFGHANISTAN – L’anno nuovo è iniziato nel sangue. Attentati dell’Isis a raffica
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Di Valeria Cagnazzo
(foto di archivio – ABNA)
Pagine Esteri, 30 gennaio 2024 – Il 2024 è iniziato all’insegna della violenza in Afghanistan, dove in sole quattro settimane il numero di esplosioni e attacchi nella città di Kabul ha superato quello registrato nel 2023. Dall’ascesa dell’autoproclamato governo talebano, gli attacchi terroristici e gli scontri nel Paese si erano progressivamente ridotti. L’ emirato islamico dell’Afghanistan ha fatto della rinnovata sicurezza nel Paese uno dei motivi fondamentali della sua propaganda. Il primo mese del 2024, però, con l’intensificarsi delle violenze nella capitale a danno dei civili, lascia presagire un ulteriore deterioramento della situazione.
La prima esplosione si è verificata il 6 gennaio, nel distretto di Dash-e-Barchi, uccidendo due passeggeri, secondo altre fonti cinque, di un minibus e facendo almeno 14 feriti. Il giorno successivo, lo Stato Islamico ha rivendicato l’attentato. Il quartiere è abitato dalla comunità hazara, da sempre nel mirino del gruppo terroristico.
Il 9 gennaio, tre persone sono rimaste uccise e almeno quattro ferite nell’esplosione di un ordigno magnetico installato in un’automobile, nel 16° distretto di Kabul, nell’area di Alokhil. Il portavoce del Comando di Sicurezza della città in quell’occasione ha annunciato l’immediato arresto da parte della polizia del presunto responsabile.
Solo due giorni dopo, l’11 gennaio, nelle strade di Kabul è tornato a scorrere sangue. La mattina presto, una prima esplosione, di un ordigno collocato sotto a un’automobile, si era verificata vicino a una moschea nella città, senza fare apparentemente vittime. Poche ore dopo, una bomba è esplosa fuori da un centro commerciale, di nuovo nel quartiere hazara di Dash-e-Barchi, provocando 2 morti e diversi feriti. Quindici di loro sono stati portati nell’ospedale chirurgico per vittime di guerra della ONG Emergency nella città. In quell’occasione, l’ospedale ha attivato il protocollo delle mass casualties, come spiegato dal Country Director dell’organizzazione, Francesco Sacchi: “Il bersaglio di questi attacchi è la popolazione civile: i minibus che trasportano i lavoratori, i mercati… E mentre lo scorso anno per otto mesi di fila da marzo a ottobre non si erano registrati attentati, ora in meno di una settimana, dal 6 all’11 gennaio, ci sono stati quattro attacchi a Kabul. Fatti che preoccupano, sia per il numero che per la cadenza degli ultimi attacchi”.
Il 20 gennaio, a essere colpita è stata la provincia di Kunar: secondo le fonti governative, sarebbero morte tre persone e ferite sei. Il 25 gennaio un’altra esplosione, questa volta sarebbe stata registrata nei pressi dell’ambasciata russa di Kabul: avrebbe provocato la morte di due membri dello staff del consolato e diversi feriti. Il ministero degli Esteri dell’autoproclamato emirato islamico dell’Afghanistan ha espresso nella stessa giornata la sua forte condanna per l’attacco e l’impegno a rafforzare le misure di sicurezza nei confronti delle ambasciate internazionali.
E’ del 29 gennaio, infine, la notizia di un nuovo attentato, sempre nella città di Kabul, nella zona PD4. Secondo quanto dichiarato dall’ONG Emergency immediatamente dopo l’esplosione, già tre vittime sarebbero state ricevute nel suo ospedale di chirurgia di guerra, una di queste è un uomo severamente ferito al midollo spinale da una scheggia.
L’aumentata frequenza degli attacchi è un triste presagio per i prossimi mesi: nonostante il governo de facto dei talebani annunci nuove strategie per rafforzare la sicurezza nel Paese, l’intensificarsi della violenza rivela le intenzioni delle formazioni terroristiche presenti sul territorio, in particolare quelle dello Stato Islamico, rivale all’emirato talebano nel Paese: con i nuovi attentati rivendica una forza in espansione, soprattutto ai danni delle minoranze come quella hazara. La sua strategia del terrore sta tornando a far tremare il Paese. Pagine Esteri
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ANCORA SUI PORTI: COME AVVIENE IL PASSAGGIO DELLE MERCI ILLEGALI (DROGA COMPRESA). DAL RIP ON/OFF AL CONTAINER “CLONE”
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L’allarme recentemente lanciato dal Belgio, nella sua veste di presidente di turno del Consiglio dell'Unione europea, e l’accordo da questi ricercato in ambito europeo per rafforzare la sicurezza dei porti dell’intera #UE ha acceso i fari sulla situazione degli scali portuali europei e della merce illegale (dalla droga alle merci contraffatte) che attraverso essi raggiungono il continente e vengono al suo interno smerciate. Dell’argomento abbiamo dato conto sul blog, ma pare opportuno ritornarci per far comprendere gli aspetti operativi dell’attività di contrabbando e superamento delle barriere doganali da parte delle organizzazioni criminali.
I porti dell’UE sono infrastrutture cruciali per il trasporto di merci in tutta Europa e per garantire il buon funzionamento del mercato europeo. Tuttavia, vengono sfruttati anche per trasferire merci illegali nell’UE e sono vulnerabili all’infiltrazione di reti criminali. L’enorme volume di container movimentati ogni anno (ogni anno giungono nel porto di Genova o in quello di Trieste circa 2,8 milioni di container) e la bassa percentuale che può essere ispezionata fisicamente (nel 2021 per i principali porti Ue sono passate 3,5 miliardi di tonnellate di merci lecite. Nei porti italiani a fronte della movimentazione di circa 11 milioni e mezzo di contenitori “teu” solo tra il 2 e il 10% viene ispezionato fisicamente) rendono estremamente difficile il rilevamento delle merci illecite. Dato che molti attori pubblici e privati hanno accesso alle infrastrutture portuali e alle informazioni portuali, le opportunità di infiltrazione e facilitazione delle spedizioni illecite sono molteplici.
Le reti criminali organizzano l’infiltrazione nei porti e coordinano le reti locali di addetti ai porti corrotti per organizzare il passaggio di container contenenti merci illecite nell’UE. Si affidano a reti mondiali con membri fidati o utilizzano fornitori di servizi dedicati. Funzionano in modo mirato, analizzando i dati privilegiati per selezionare le spedizioni di container che hanno meno probabilità di essere ispezionate e che sono organizzate da società di logistica dove hanno accesso ad attori corrotti.
I METODI: DAL RIP ON/RIP OFF AL CONTAINER “CLONE”
Con riguardo alla droga, si pensi che il 90% della cocaina arriva via mare. Nel container Il metodo rip on/rip off è uno dei principali impiegati dai trafficanti. Nel porto di partenza, la droga è posta nel container in un luogo facilmente raggiungibile, per essere poi trasportata insieme alla merce da un destinatario/importatore legittimo, spesso ignaro della situazione. A destinazione è recuperata all'interno o all'esterno del porto dalle “squadre di estrazione”. Il metodo di commutazione più recente implica il trasferimento dello stupefacente da un container extra UE ad un altro container che ha meno o nessun rischio di essere controllato. Spesso gli stupefacenti vengono trasferiti in un contenitore intercomunitario trasportato da un paese dell'UE all'altro, poiché questi container vengono raramente controllati. Un'altra variante del metodo di commutazione è la clonazione di container. Questo metodo implica un contenitore pianificato per una scansione e un controllo tramite dogana. Quando il container è trasportato allo scanner, il container originale lascia il porto e viene sostituito da un container “clonato”, con lo stesso numero di registrazione di quello originale. Tutti questi modus operandi richiedono il sostegno degli addetti ai lavori operanti nel porto.
QUALI MISURE PREVENTIVE?
Una delle misure più efficaci per colmare le lacune nel processo logistico è il principio dell’accesso ai dati e ai sistemi di database. La limitazione dell’accesso ai codici di riferimento dei container da parte delle società di logistica si è già rivelata una soluzione efficace contro questo Modus Operandi. Altre misure preventive che i porti e gli attori legati ai porti devono adottare includono la registrazione e la tracciabilità dell’accesso ai database ai dati sensibili, sistemi di allarme per rilevare irregolarità e maggiori controlli delle credenziali dei camionisti ai terminal per rafforzare le procedure di rilascio dei container. La circolazione di informazioni tra i vari porti europei può essere determinante per scoprire come agiscono le organizzazioni criminali, che trovano metodi nuovi per nascondere i carichi illegali, in particolare di stupefacente.
IL PROBLEMA DELLA CORRUZIONE
La corruzione è il fattore chiave per l’infiltrazione criminale nei porti, poiché i processi logistici svolti nei porti comportano la partecipazione di vari attori che possono essere presi di mira dalla corruzione. Le spese di corruzione possono raggiungere centinaia di migliaia di euro, con le tariffe più alte pagate agli anelli essenziali della catena estrattiva, spesso operatori di gru, progettisti o dipendenti che forniscono accesso alle informazioni tramite sistemi IT.
L’APPROCCIO COMUNE ALLA SICUREZZA DEI PORTI
Una risposta adeguata contro l’appropriazione indebita dei codici di riferimento dei container e di altri Modus Operandi per l’estrazione di droga richiede un approccio a livello europeo, compreso un approccio comune alla sicurezza dei porti e una più stretta cooperazione con i partner privati. I partenariati pubblico-privato possono offrire l’opportunità di scambiare informazioni tattiche e operative, identificare le vulnerabilità nelle procedure portuali a livello europeo e promuovere e implementare misure di sicurezza per colmare le lacune.
Ministero dell'Istruzione
📣 #Maturità2024: Greco al Liceo classico, Matematica al Liceo scientifico, Economia Aziendale per gli Istituti tecnici del Settore economico indirizzo “Amministrazione, Finanza e Marketing”, Topografia per l’indirizzo “Costruzioni, Ambiente e Territo…Telegram
FPF Announces International Technology Policy Expert as New Head of Artificial Intelligence
FPF has appointed international technology policy expert Anne J. Flanagan as Vice President for Artificial Intelligence (AI). In this new role, Flanagan will lead the privacy organization’s portfolio of projects exploring the data flows driving algorithmic and AI products and services, their opportunities and risks, and the ethical and responsible development of this technology.
Flanagan joins FPF with almost 20 years of experience in international strategic technology governance and development. She has a proven track record of bringing together stakeholders worldwide, including businesses, governments, academics, and civil society organizations, to co-design policy frameworks that address our time’s most intractable technology policy issues.
“Anne is a true leader of efforts to establish policies and standards for emerging technologies,” said Jules Polonetsky, CEO of FPF. “The vast amounts of data that enable AI and the myriad uses are creating some of the most exciting opportunities for progress, but also some of the gravest risks the world has faced. We’re eager for Anne to build on FPF’s extensive current portfolio of AI projects and open up new initiatives.”
As Deputy Head of Division for Telecommunications Policy & Regulation at the Department of Communications, Climate Action, and Environment in Ireland, Flanagan was responsible for developing Ireland’s technical policy positions and diplomatic strategy regarding EU legislation on telecommunications, digital infrastructure, and data. She represented Ireland in the EU Digital Single Market Strategic Group at the European Commission and the Working Party on Telecommunications and Information Society at the Council of the European Union. Flanagan also played a crucial role in the EU’s early approach to AI governance, contributing to the foundational work on the EU’s Digital Single Market.
Since moving to the U.S. in 2019, Flanagan has held several senior positions in technology policy, including at the World Economic Forum’s Centre for the Fourth Industrial Revolution and, most recently, Reality Labs Policy at Meta Platforms Inc. In all of these senior roles, her research and expertise has helped technology business leaders shape responsible and sustainable technology development.
“I have seen global leaders, from governments to CEOs, struggle with developing AI in an ethical and responsible manner,” said Flanagan. “This is complicated by the unprecedented speed in AI innovation and an intersection with other emerging technologies and policy issues. As we think about managing AI, human centricity needs to be at the forefront of any approach, and therefore, the importance of data stewardship becomes vital. I’m excited for this opportunity at such a distinguished organization as the Future of Privacy Forum, where these concerns are already front and center. I look forward to working towards building sustainable and trustworthy policy solutions with diverse stakeholders globally.”
Since 2015, FPF has worked with corporate, civil society, and policy stakeholders to develop best practices for managing risks posed by AI and has worked to assess whether data protection practices such as fairness, accountability, and transparency are sufficient to answer the ethical questions they raise. More recently, FPF explored the challenges and responsible applications regarding AI in the workplace with its 2023 Best Practices for AI and Workplace Assessment Technologies and updated its 2020 report, The Spectrum of Artificial Intelligence and accompanying Spectrum of Artificial Intelligence Infographic. Additional FPF AI projects include Automated Decision-making Under the GDPR, Generative AI for Organizational Use: Internal Policy Checklist, Unfairness By Algorithm: Distilling the Harms of Automated Decision-Making and more.
Flanagan holds a Masters in Economics and Political Science from Trinity College Dublin, a Masters in International Relations from Dublin City University, and a Masters of Business Administration from Trinity College Dublin. A former appointee to the UK Government’s International Data Transfers Expert Council, Flanagan is also a Member of the Board of Advisors of the Innovation Value Institute (IVI) at Maynooth University and a recognized Woman Leader in Data and AI at WLDA.tech.
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La destra israeliana si riunisce sulla ricostruzione delle colonie a Gaza
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della redazione
Pagine Esteri, 29 gennaio 2024 – Ieri sera fronte a un pubblico di migliaia di coloni e di attivisti di destra, 12 ministri del governo Netanyahu e 15 parlamentari della coalizione di maggioranza si sono impegnati a ricostruire gli insediamenti ebraici israeliani nel cuore della Striscia di Gaza e a incoraggiare l’“emigrazione” della popolazione palestinese dopo la fine della guerra.
I ministri del Likud, il partito di maggioranza relativa, presenti all’evento erano Miki Zohar, Haim Katz, Idit Silman, Shlomo Kahri, May Golan e Amichai Chikli. Hanno partecipato anche i ministri di Otzma Yehudit (Potere Ebraico) Ben Gvir, Yitzhak Wasserlauf e Amichai Eliyahu, insieme a Bezalel Smotrich e Orit Strock di Sionismo Religioso. Presenti anche un ministro il Partito del Giudaismo della Torah e l’influente rabbino Dov Lior. La folla, circa 3mila persone, è giunta in maggioranza dalle comunità sioniste religiose. Presenti centinaia di giovani e molte famiglie, compresi bambini piccoli.
A nome degli organizzatori della conferenza che si è tenuta al Centro Congressi di Gerusalemme, la presidentessa dell’associazione dei coloni, Nachala, e attivista degli insediamenti Daniella Weis ha chiesto che i 2,3 milioni palestinesi di Gaza “lascino il territorio” e vadano all’estero. “Milioni di profughi di guerra vanno da un paese all’altro in tutto il mondo”, ha dichiarato Weiss, contestando che solo quelli che ha descritto come i “mostri cresciuti a Gaza (i palestinesi)” restino collegati ad essa. Weiss ha quindi proclamato che “Solo il popolo di Israele si stabilirà sull’intera Striscia di Gaza e la governerà”.
“E’ ora di tornare a casa a Gush Katif”, ha detto da parte sua il ministro della Sicurezza e leader dell’estrema destra, facendo riferimento al nome del blocco di insediamenti israeliani a Gaza evacuato con il Piano di Disimpegno del 2005. Ben Gvir e il suo collega Smotrich, insieme a sei parlamentari della coalizione, hanno firmato quello che è stato soprannominato il “Patto di vittoria e rinnovamento degli insediamenti” a Gaza. Uno striscione alzato dalla folla diceva: “Solo un trasferimento [di palestinesi da Gaza] porterà la pace”.
Israele ha smantellato i 21 insediamenti ed evacuato 8.000 coloni da Gaza circa 19 anni fa.
Netanyahu non ha partecipato alla conferenza e sabato sera aveva dichiarato di essere contrario al reinsediamento a Gaza di coloni. Ha inoltre smentito che il tema della conferenza rappresenti una politica del suo governo. Una posizione conseguenza anche dell’opposizione degli Stati Uniti e di altri paesi alleati di Israele alla colonizzazione di Gaza, al centro di offensiva israeliana devastante che ha fatto oltre 26mila morti, decine di migliaia di feriti e distrutto interi centri abitati palestinesi.
Qualcuno però sostiene che la colonizzazione di Gaza diventerà un pilastro della campagna elettorale della destra quando Israele andrà al voto. Pagine esteri
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Se la (dis)informazione è arma di una guerra ibrida. L’opinione del gen. Tricarico
Ho ripreso a leggere il Corriere della Sera, di cui ero fedelissimo, solo quando anni fa sparì o quasi dal quotidiano milanese la firma di Andrea Purgatori, un giornalista che non passava giorno che non inventasse di sana pianta qualcosa sulla tragedia di Ustica, giungendo alla fine a firmare ben trentadue versioni diverse sulla dinamica e sulle cause dell’attentato al DC9 Itavia del 27 giugno 1980. Mettendo nel contempo a punto un colossale imbroglio ai danni della verità, oltre che del cittadino, delle istituzioni e non ultimo, dell’erario.
Non sono invece un lettore assiduo de Il Fatto Quotidiano e tuttavia, la stima per il suo fondatore Antonio Padellaro e la indubbia postura di giornalista che non fa sconti, sistematicamente documentato e credibile sui vari dossier di Marco Travaglio non possono insieme annullare l’incredibile sortita di Giampiero Calapà, il quale, in un articolo pubblicato il 27 gennaio dal titolo: “Crosetto segreto: ‘Putin vince e attacca i Baltici. Poi Trump…”, ha messo infila una serie di variopinte falsità a carico del ministro della Difesa, accusato in buona sostanza di sostenere a porte chiuse tesi e visioni in netta contrapposizione a quelle manifestate pubblicamente, anche in campo internazionale.
In altri termini, se all’epoca cancellai il Corriere della Sera dalle mie letture per le motivazioni legate alla mendacia di Purgatori, oggi stessa sorte mi sembra dover indicare per Il Fatto Quotidiano a causa degli scoop del meno noto ma ugualmente caratterizzato Calapà.
Più nel concreto, ho letto l’articolo de Il Foglio (che ha potuto ascoltare l’audio dell’evento), e ho avuto la possibilità di riscontrare da fonti terze, e personalmente dagli organizzatori dell’evento al Grand Hotel, che nulla, ma veramente nulla, di quanto attribuito al ministro della Difesa corrispondeva a verità; la sciatteria dell’estensore balzava addirittura agli occhi, seppure ve ne fosse stato bisogno, da quel “chat house” detto e ripetuto al posto di “Chatham House”, per certificare il carattere di riservatezza dell’evento organizzato da Ernst and Young.
Non vale la pena entrare nel merito della questione (il falso è falso), quanto invece riflettere su come sia possibile che certo giornalismo sia sceso a questi livelli.
Mi sentirei di paragonare lo scivolone de Il Fatto all’incredibile chiamata alle armi contro il governo di Marcello Degni, il magistrato contabile collocato dal PD presso la Corte dei Conti.
In quella circostanza Elly Schlein si guardò bene dal censurare il comportamento riprovevole di un “suo uomo”, innescando forti sospetti se non la certezza, che distaccare propri uomini presso le istituzioni dello Stato equivalesse a continuare a contare sulla loro militanza attiva, in costanza di fedeltà al partito e, se necessario, di infedeltà al mandato istituzionale.
Esprimere riprovazione dal Nazareno per il comportamento di Degni sarebbe equivalso a sconfessare pubblicamente se stessi, ossia l’obbligo della militanza, la linea della sola fedeltà al partito, ad ogni costo.
Tornando a Il Fatto, se Marco Travaglio non dovesse sanzionare in qualche maniera Calapà o addirittura continuasse a tacere sull’argomento, commetterebbe lo stesso errore di Schlein, dando purtroppo la sgradevole ma incontrovertibile sensazione che il giornalismo – certamente il suo – venga ormai praticato nell’inosservanza e forse nel disprezzo, dei principi cardine ed irrinunciabili della deontologia professionale.
Non comprendendo – e questo è lo strano che unisce ancora una volta la politica politicante a certo giornalismo – che, non essendo gli italiani degli sprovveduti, l’effetto boomerang non tarderà a palesare i suoi risultati.
Se oggi dovessi spiegare a qualcuno il significato della dizione “eterogenesi dei fini” non avrei dubbi nel farmi assistere dall’esempio decisamente calzante dell’articolo su Crosetto; spiegando che il quotidiano, ricorrendo come nel caso di Calapà ad ogni mezzo, leggasi mistificazione, falsità e fantasiose invenzioni, pur di affermare la linea editoriale, provocherà esattamente l’effetto contrario, una semplice alzata di spalle da parte di chi doveva essere inchiodato alle proprie responsabilità.
Con buona pace per il ruolo della stampa a guardia della democrazia ed a tutela dalla degenerazione del potere.
Non sarei stupito se proprio un’alzata di spalle fosse, quantomeno in prospettiva, la reazione di Crosetto e degli altri esponenti di governo più impegnati nella compagine che gli italiani hanno votato. E se non lo fosse, da cittadino, da elettore e soprattutto da servitore pluridecennale dello Stato, la reclamerei a gran voce rispetto al comportamento di certa stampa che sembra aver smarrito ogni giorno di più la propria funzione.
In Cina e Asia – Evergrande, tribunale di Hong Kong ordina liquidazione
I titoli di oggi: Evergrande, tribunale di Hong Kong ordina liquidazione Cina e Stati Uniti tornano a parlare di contrasto alla diffusione del fentanyl Cina e Corea del Nord “rafforzeranno la comunicazione strategica Cina, ricompense a chi presenta delle donne da sposare agli scapoli nelle zone rurali La Cina è “il leader delle rinnovabili” India e Francia rafforzano le relazioni ...
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Africa Rossa – In attesa del Piano Mattei, la Cina si allarga in Africa
Il Piano Mattei prenda forma: venticinque capi di Stato e di governo, i vertici europei da Ursula von der Leyen a Roberta Metsola, rappresentanti dell’Onu, della Fao e del Fondo monetario. È un parterre decisamente ricco quello che, tra domenica 28 e lunedì 29 gennaio, sarà protagonista a Roma della prima conferenza di alto livello Italia-Africa. Convitato di pietra la ...
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Reti criminali ad alto rischio. Offensiva di Europol e delle forze di polizia di 17 paesi contro le organizzazioni nigeriane
Tra il 7 e il 9 dicembre 2023 #Europol ha coordinato una massiccia operazione internazionale contro le reti criminali nigeriane attive nell' #UE ed in ambito internazionale, anche grazie a 16 partner provenienti da quattro continenti, che hanno unito le forze per combattere le #reticriminalinigeriane responsabili di una moltitudine di gravi crimini.
Si è trattato di una operazione internazionale senza precedenti, che ha visto impegnate forze dell'ordine di tutta Europa, Africa, Sud America e Nord America per un totale di 468 funzionari ed agenti che hanno preso parte alla giornata di azione.
La repressione ha preso di mira i criminali nigeriani responsabili di reati come il contrabbando e la distribuzione di droga, la tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale, la frode, il contrabbando illegale di rifiuti e il riciclaggio di denaro.
I risultati dell'operazione includono tra l’altro 15 persone arrestate e la individuazione di 18 vittime o potenziali vittime della tratta di esseri umani, mentre sono stati monitorati 398 voli e 13 porti e altri valichi di frontiera
Le reti criminali nigeriane sono note per la tratta di esseri umani e una serie di frodi, ma negli ultimi anni hanno anche guadagnato un forte punto d'appoggio nel traffico di droga in diversi mercati dell'UE, essendo i trafficanti di droga nigeriani particolarmente attivi nel trasporto e nella distribuzione sia di cocaina che di eroina.
Uno dei modus operandi più comunemente osservati per il trasporto di stupefacenti all'interno e all'esterno dell'UE è quello aereo. I corrieri della droga provenienti sia dalla Nigeria che dall'UE fanno viaggi frequenti e contrabbandano droghe sulla loro persona, in genere ingerite, nascoste nelle cavità del corpo o nascoste nei bagagli.
Inoltre, il quadro di intelligence messo insieme dalle forze dell'ordine internazionali mostra che le reti criminali nigeriane coordinano gran parte del traffico di anfetamine. Questi farmaci vengono solitamente spediti dai paesi africani attraverso l'UE verso destinazioni asiatiche o australiane. Per garantire che i corrieri della droga o le vittime della tratta di esseri umani rimangano sotto il loro controllo, i boss applicano misure come gravi minacce, l'uso di violenza estrema o l'intimidazione con oscure pratiche religiose.
In genere, le reti criminali nigeriane sono ben organizzate con una gerarchia quasi miliziana. Con la promessa di protezione e potere, le società segrete (note come confraternite o cults) reclutano nuovi membri. Queste società segrete sono talvolta chiamate confraternite. Queste organizzazioni criminali sono state istituite in tutto il mondo e fungono da spina dorsale del crimine organizzato nigeriano.
Durante la fase d'azione, nel dicembre 2023, Europol ha ospitato un centro operativo per coordinare le attività internazionali e effettuare controlli incrociati con la sua banca dati. L'INTERPOL ha supportato l'azione con un analista presso il centro di coordinamento e un team che ha effettuato controlli incrociati a distanza delle banche dati di tutte le organizzazioni e ha fornito competenze sul campo.
L'attività di contrasto su larga scala è stata sostenuta da @ON, una rete operativa finanziata dal Fondo Sicurezza interna (ISF) dell’Unione Europea, creata per contrastare i gruppi criminali e le forme gravi di criminalità organizzata di stampo mafioso. La rete #@ON si concentra sulle priorità dell'UE in materia di criminalità organizzata delineate nel ciclo programmatico dell'UE. Ricordiamo che la rete operativa @ON ha l’Italia tra i suoi protagonisti; la nostra nazione è rappresentata dalla DIA (Direzione Investigativa Antimafia) in qualità di Project Leader. L’ azione operativa della quale abbiamo raccontato, della durata di due anni, faceva parte del piano d'azione operativo prioritario dell'#EMPACT "Reti criminali ad alto rischio" ed era guidata da Svezia e Belgio.
Ministero dell'Istruzione
#NoiSiamoLeScuole questa settimana è dedicato all’ISI Sandro Pertini di Lucca che ha attivato nuovi corsi per contrastare la dispersione scolastica e all’IIC Niccolò Pisano di Marina di Pisa, che sarà demolito e ricostruito secondo criteri di una did…Telegram
#laFLEalMassimo – Episodio 112: Regole Stringenti e Formalità Burocratiche
Come sempre in apertura ricordo il sostegno di questa rubrica al popolo ucraino ingiustamente e ingiustificatamente aggredito dalla follia espansionista russa che minaccia la libertà di tutte le società aperte del mondo libero.
Venendo alle faccende di casa si parlato molto dell’abbassamento dei limiti di velocità nel comune di Bologna, dividendosi come sempre in fazioni ideologiche con scarsa attenzione ai fatti e alle valutazioni quantitative.
Sul tema un articolo de lavoce.info titola in modo abbastanza esplicito “Zone 30, un dibattito senza dati” per sostenere che le analisi svolte e le valutazioni convenienza sono basate su un set informativo inadeguato e insufficiente.
Ma non si può condannare troppo un’amministrazione locale, magari mossa da lodevoli intenti secondo si sostenitori della misura o più interessata o interessata a fare cassa con le multe secondo i detrattori.
Come sempre avviene in questo paese il problema è culturale e risiede nell’ingenua illusione che la soluzione dei problemi possa venire dall’introduzione di regole più restrittive ignorando colpevolmente che l’elefante nella stanza risiede nel modo in cui queste vengono fatte rispettare e di quanto sia semplice o conveniente infrangerle.
Non funzionano le restrizioni all’uso dei contanti o le infinite nuove regole fiscali, spesso in contraddizione le une con le altre, perché spesso si tratta appunto di norme di facciata, di messe in piedi per apparire formalmente adempienti a questa o quella istanza dei propri sostenitori o qualche normativa sovranazionale. Troppe regole troppo stringenti sono il sogno bagnato di burocrati e oppressori e l’incubo dei cittadini liberi.
Una società civile e moderna dovrebbe avere poche regole semplici e meccanismi adeguati che ne salvaguardino il rispetto. L’alternativa è semplice demagogia, captatio benevolentiae e maldestro tentativo gattopardiano cambiamento tutto affinché nulla cambi.
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L’offensiva diplomatica contro l’Unrwa è un attacco alla questione dei profughi palestinesi
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di Michele Giorgio
(questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto)
Pagine Esteri, 28 gennaio 2024 – È un’offensiva politica e diplomatica senza precedenti, parallela all’invasione militare che sta radendo al suolo Gaza, quella che Israele, l’Amministrazione Biden e alcuni dei loro alleati – Italia, Australia, Gran Bretagna, Canada e Finlandia – hanno lanciato contro l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste milioni di profughi palestinesi. Sulla base della documentazione prodotta dall’intelligence israeliana contro 12 lavoratori dell’Unrwa – che impiega molte migliaia di palestinesi – accusati di aver partecipato all’attacco di Hamas del 7 ottobre nel sud di Israele (1.200 morti), gli Stati uniti hanno sospeso i fondi per l’agenzia appena un’ora dopo la decisione della Corte internazionale di Giustizia (Cig) che all’Aja aveva definito «plausibile» l’accusa di «genocidio» a Gaza. L’Italia e gli altri paesi hanno fatto lo stesso nelle ore successive. Un tempismo a dir poco sospetto, da far pensare a un coordinamento deciso con largo anticipo da Tel Aviv e Washington.
La vicenda della partecipazione all’assalto di Hamas in Israele dei 12 lavoratori dell’Unrwa era già emersa nelle settimane passate. È tornata in primo piano, proprio venerdì sera. Mentre si attendevano i primi, sebbene improbabili, riflessi sul terreno delle decisioni della Corte dell’Aja, i riflettori da Israele sotto indagine internazionale per «genocidio» si sono spostati sull’Unrwa. Il commissario generale dell’agenzia, Philippe Lazzarini, ha provato a contenere la deflagrazione del caso annunciando il licenziamento dei 12 e la piena volontà di fare chiarezza sull’accaduto, ma non è servito a molto. In poche ore l’aiuto umanitario è diventato «aiuto al terrorismo». Di fronte ai «crimini dell’Onu» Israele evidentemente ora si ritiene dispensato dall’obbligo di cooperare con le agenzie delle Nazioni unite al fine di garantire senza limitazioni l’ingresso e la distribuzione di generi di prima necessità ai civili di Gaza, come richiesto dai giudici internazionali. «Il terrorismo mascherato da attività umanitaria è una vergogna per l’Onu e per i principi che sostiene di rappresentare», ha scritto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant.
L’attacco frontale all’Unrwa non è una novità. Israele insiste da tempo affinché l’Unrwa cessi di esistere e di rappresentare la questione dei profughi palestinesi nata dalla Nakba nel 1948. Quest’ultima vicenda è solo l’ultimo capitolo di una campagna che si è fatta più intesa dal 2009 in poi con l’ascesa al potere in Israele del premier di destra Benyamin Netanyahu. Su X il ministro degli esteri Israel Katz è stato esplicito. «Israele cercherà di impedire all’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi di operare a Gaza dopo la guerra», ha detto Katz, annunciando che l’Unrwa non dovrà fare parte del cosiddetto «day after». «L’Unrwa perpetua la questione dei rifugiati, ostacola la pace e funge da braccio civile di Hamas a Gaza», ha proseguito Katz sollecitando le Nazioni unite a varare sanzioni contro i dirigenti dell’agenzia per i profughi. Durante il suo mandato, Donald Trump, accogliendo la tesi di Israele del peso dell’Unrwa nel tenere viva la questione dei profughi palestinesi e del loro diritto al ritorno nella terra d’origine (Risoluzione 194 dell’Onu), tagliò i fondi Usa dell’agenzia e ne chiese la chiusura. Mossa che trovò alleati in esponenti politici di vari paesi occidentali, Italia inclusa. Biden dopo il 2020 riprese i finanziamenti, ora li ha sospesi.
Con oltre 340 milioni di dollari nel 2022, gli Stati uniti sono il più donatore più importante dell’agenzia nata con la risoluzione 302 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite l’8 dicembre 1949 e che ha iniziato ad operare il 1° maggio 1950. Gli altri due principali finanziatori sono la Germania e l’Unione europea. Negli ultimi anni l’Unrwa ha visto diminuire progressivamente le sue risorse – per il crescente disinteresse internazionale nei confronti dei profughi palestinesi e per l’inizio nel mondo di altre gravi crisi umanitarie – e ha dovuto lanciare appelli per tenere in piedi le sue attività principali, tra le quali l’istruzione e la sanità per gli oltre 5 milioni di profughi nei Territori occupati, in Libano, Siria e Giordania. Colpire l’Unrwa significa mettere a rischio a Gaza il suo ruolo essenziale nel fornire assistenza salvavita ai palestinesi, compresi cibo, medicine, alloggi e altro sostegno umanitario. Sarebbe una catastrofe nella catastrofe tenendo conto di ciò che servirà alla popolazione di Gaza per uscire dall’emergenza umanitaria se e quando finirà l’offensiva israeliana. «Gettare discredito su tutta l’Unrwa, per ciò che hanno fatto alcuni dei suoi lavoratori, che pure vanno condannati, è assurdo» ha detto al manifesto la direttrice di +972 ed intellettuale israeliana Orly Noy. «Le motivazioni di Israele sono evidentemente politiche – ha aggiunto – punendo l’Unrwa si negano i diritti dei profughi e si puniscono tutti i palestinesi».
Intanto la guerra va avanti. «Se la fermassimo adesso, significherebbe rinunciare a una vittoria decisiva», scriveva ieri Yedidia Stern sul Jerusalem Post commentando le voci dubbiose del successo dell’offensiva a Gaza. Secondo il JPPI Israeli Society Index, all’inizio del conflitto il 78% degli israeliani era certo della vittoria, ora il 61%. Slogan contro Benyamin Netanyahu e il leader di Hamas Yahya Sinwar si sentono anche in video con gruppi di civili palestinesi che camminano tra le macerie di Gaza. Per alcuni sono manifestazioni spontanee di dissenso nei confronti delle mosse fatte dal movimento islamico, per altre fonti sarebbero pilotate. Ieri altre migliaia di palestinesi hanno lasciato Khan Yunis sotto attacco e si sono dirette a piedi verso la zona di Mawasi. A Rafah le forti piogge hanno allagato le tende degli sfollati gettando centinaia di civili nella disperazione. Tra venerdì e sabato i bombardamenti israeliani hanno ucciso altri 174 palestinesi, facendo salire a 26.257 il numero dei morti dal 7 ottobre.
Ieri sera, mentre migliaia di israeliani chiedevano in strada le sue dimissioni, Benyamin Netanyahu è tornato sul procedimento all’Aja, anche per ribadire che non fermerà l’attacco a Gaza. «La disponibilità della Corte» anche solo ad esaminare il caso contro Israele, ha detto, «dimostra che molti nel mondo non hanno imparato nulla dall’Olocausto. La lezione principale è che ci difenderemo da soli. Israele deve essere forte e determinato». Su richiesta dell’Algeria, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si riunirà la prossima settimana sulla decisione dei giudici dell’Aja che chiede a Israele di prevenire atti di genocidio a Gaza. Pagine Esteri
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“Esistono prove sufficienti per indagare il genocidio” ma la Corte di Giustizia non ordina il cessate in fuoco
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Pagine Esteri, 26 gennaio 2024. La Corte internazionale di giustizia ha emesso la sua sentenza iniziale riguardo alla causa presentata contro Israele dal Sudafrica, dichiarando che “esistono prove sufficienti per valutare l’accusa di genocidio”. La sentenza obbliga legalmente Israele a prendere tutte le misure necessarie per prevenire atti di genocidio e a consegnare eventuali prove delle stesse azioni genocidiarie. La sentenza è stata votata da 15 giudici su 17.
Questa prima decisione ha un’importante eco internazionale e potrebbe rappresentare un primo passo verso la condanna di Israele per genocidio. La giudice Joan E. Donoghue ha infatti affermato che la Corte ha giurisdizione per pronunciarsi sulle misure di emergenza del caso e che le operazioni militari di Israele hanno provocato un numero enorme di morti, feriti, una massiva distruzione e lo sfollamento della popolazione. L’ordine è che Israele prevenga l’uccisione o il ferimento dei palestinesi di Gaza, e le condizioni calcolate per distruggere in tutto o in parte la popolazione della Striscia.
Joan E. Donoghue, giudice della Corte Internazionale di Giustizia
Le dichiarazioni dei rappresentanti politici israeliani sono state riportate, dalla giudice che ha presieduto la seduta, come esempi di linguaggio disumanizzante e come prova dell’intenzione di commettere una punizione collettiva.
Il Ministro degli Esteri del Sudafrica, Naledi Pandorthe, ha commentato la decisione, dichiarando che la Corte ha emesso un ordine importante per salvare delle vite a Gaza ma che avrebbe voluto che la sentenza avesse contenuto il “cessate il fuoco”.
Il Ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir è stato il primo membro del governo israeliano a commentare l’ordine, definendo “antisemita” la Corte internazionale di Giustizia: “La decisione della corte antisemita dell’Aia dimostra ciò che era già noto: questa corte non cerca giustizia, ma piuttosto la persecuzione degli ebrei“. Ha continuato dichiarando che “Le decisioni che mettono in pericolo la continua esistenza dello Stato di Israele non devono essere ascoltate. Dobbiamo continuare a sconfiggere il nemico fino alla vittoria completa”. Ben Gvir ha anche accusato il Tribunale internazionale dell’Aia di essere rimasto “in silenzio durante l’Olocausto”. In realtà, la corte è stata fondata il 26 giugno 1945.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che “l’affermazione stessa che Israele stia commettendo un genocidio contro i palestinesi non è solo falsa, è oltraggiosa e la volontà della corte di discuterne è una vergogna che non verrà cancellata per generazioni”.
Anche Hamas ha commentato la sentenza in un comunicato: “è un importante sviluppo che contribuisce a isolare Israele e a smascherare i suoi crimini a Gaza”.
Israele ha provato con tutte le sue forze ad evitare la pronuncia, movimentando i propri diplomatici, facendo pressioni sui governi e rilasciando dichiarazioni infuocate contro i rappresentanti del Sudafrica. Appena ieri, prima che la Corte si riunisse, il governo Netanyahu ha detto, per bocca del suo portavoce Eylon Levi “ci aspettiamo che la Corte respinga le false accuse”. Molti altri Stati hanno però sostenuto la denuncia del Sudafrica, soprattutto quelli arabi.
Ora Israele sa di essere seriamente sotto inchiesta per il crimine di genocidio. I rappresentanti governativi sono stati avvisati, in qualche modo, che le dichiarazioni pubbliche potranno essere utilizzate contro loro stessi, come prova di incitamento al genocidio. Questo vale anche per i vertici militari, ai quali potrebbe essere ordinato di cambiare registro linguistico. Ma è improbabile che ciò avvenga con alcuni rappresentanti del governo, come il ministro israeliano Amichai Eliyanu, che un giorno prima della sentenza dell’Aia ha confermato il suo invito a sganciare una bomba nucleare su Gaza.
Il Sudafrica ha denunciato il 29 dicembre Israele alla Corte Internazionale di Giustizia. L’accusa, mossa all’interno di un documento di 84 pagine, è di compiere deliberatamente un genocidio, tentando ripetutamente di distruggere i palestinesi in quanto gruppo. Tali intenzioni, secondo i rappresentanti sudafricani, sono state più volte chiaramente espresse dal primo ministro Benjamin Netanyahu e dal ministro della difesa Yoav Galant.
Oltre ai bombardamenti e alle uccisioni mirate, la documentazione fa riferimento alla scelta deliberata, da parte del governo israeliano, di infliggere condizioni di vita intese a distruggere una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese.
La Corte internazionale di giustizia è l’organo giurisdizionale principale delle Nazioni Unite. Il suo scopo è quello di definire in base al diritto internazionale controversie giuridiche presentate dagli Stati e di dare pareri su questioni sottoposte da organismi delle Nazioni Unite e da agenzie indipendenti.
Al momento della denuncia Israele ha commentato, attraverso il portavoce del Ministero degli affari esteri Lior Haiat, che la richiesta del Sudafrica “costituisce un uso spregevole della Corte” e che il governo sudafricano starebbe “cooperando con un’organizzazione terroristica che chiede la distruzione dello Stato di Israele”, aggiungendo poi che Hamas è “responsabile della sofferenza dei palestinesi nella Striscia di Gaza, perché li usa come scudi umani e ruba loro aiuti umanitari”.
Lior Haiat ha dichiarato inoltre che “Israele è impegnato nel diritto internazionale e agisce in conformità con esso e dirige i suoi sforzi militari solo contro l’organizzazione terroristica di Hamas e le altre organizzazioni terroristiche che cooperano con Hamas. Israele ha chiarito che i residenti della Striscia di Gaza non sono il nemico e sta facendo ogni sforzo per limitare i danni ai non coinvolti e per consentire agli aiuti umanitari di entrare nella Striscia di Gaza”.
Nel documento presentato alla Corte Internazionale di Giustizia, si legge, tra le altre cose:
“I fatti invocati dal Sudafrica nel presente ricorso e che dovranno essere ulteriormente sviluppati nel presente procedimento dimostrano che, in un contesto di apartheid, espulsione, pulizia etnica, annessione, occupazione, discriminazione e continua negazione del diritto del popolo palestinese alla autodeterminazione – Israele, in particolare dal 7 ottobre 2023, non è riuscito a prevenire il genocidio e non è riuscito a perseguire l’incitamento diretto e pubblico al genocidio. Ancora più grave, Israele si è impegnato, si sta impegnando e rischia di impegnarsi ulteriormente in atti di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza. Tali atti includono l’uccisione, il causare gravi danni mentali e fisici e l’infliggere deliberatamente condizioni di vita intese a provocare la distruzione fisica come gruppo.
Le ripetute dichiarazioni dei rappresentanti dello Stato israeliano, anche ai massimi livelli, del presidente, del primo ministro e del ministro della Difesa israeliani esprimono intenzioni genocide. Tale intenzione deve essere correttamente dedotta anche dalla natura e dalla condotta dell’operazione militare israeliana a Gaza, tenuto conto, tra l’altro, dell’incapacità di Israele di fornire o garantire cibo, acqua, medicine, carburante, riparo e altra assistenza umanitaria essenziale per l’assediato popolo palestinese, spinto sull’orlo della carestia.
Ciò emerge chiaramente anche dalla natura e dalla portata degli attacchi militari israeliani contro Gaza, che hanno comportato il bombardamento prolungato per più di 11 settimane di uno dei luoghi più densamente popolati del mondo, costringendo all’evacuazione di 1,9 milioni di persone, l’85% della popolazione di Gaza dalle loro case e spingendoli in aree sempre più piccole, senza un riparo adeguato, in cui continuano ad essere attaccati, uccisi e feriti.
Israele al momento ha ucciso oltre 21.110 palestinesi, tra cui oltre 7.729 bambini – con oltre 7.780 altri dispersi, presumibilmente morti sotto le macerie – e ha ferito oltre 55.243 altri palestinesi, causando loro gravi danni fisici e mentali. Israele ha inoltre devastato vaste aree di Gaza, compresi interi quartieri, e ha danneggiato o distrutto oltre 355.000 case palestinesi, insieme a estesi tratti di terreni agricoli, panifici, scuole, università, aziende, luoghi di culto, cimiteri, centri culturali e di siti archeologici, edifici municipali e tribunali e infrastrutture critiche, comprese strutture idriche e igienico-sanitarie e reti elettriche, perseguendo al contempo un attacco implacabile al sistema medico e sanitario palestinese.
Israele ha ridotto e continua a ridurre Gaza in macerie, uccidendo, ferendo e distruggendo la sua popolazione e creando condizioni di vita calcolate per provocare la loro distruzione fisica come gruppo”.
All’inizio di novembre il Sudafrica aveva ritirato i propri diplomatici in Israele e l’Assemblea Nazionale sudafricana ha votato la sospensione di tutte le relazioni diplomatiche con Tel Aviv.
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L'articolo “Esistono prove sufficienti per indagare il genocidio” ma la Corte di Giustizia non ordina il cessate in fuoco proviene da Pagine Esteri.
Giornata della protezione dei dati: il 74% degli esperti afferma che le autorità di protezione dei dati continuerebbero a rilevare "violazioni rilevanti" nella maggior parte delle aziende noyb ha condotto un'indagine tra oltre 1000 professionisti della protezione dei dati che lavorano in aziende europee
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INCONTRO TRA IL COMANDANTE GENERALE DEI CARABINIERI ED IL CAPO DELL’UFFICIO DI COORDINAMENTO STATUNITENSE TRA ISRAELE ED AUTORITÀ PALESTINESE
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Avevamo parlato della richiesta degli Stati Uniti di avere distaccati due ufficiali dell’Arma dei carabinieri presso l'Ufficio del coordinatore della sicurezza degli Stati Uniti per Israele e l'Autorità palestinese qui => noblogo.org/cooperazione-inter… .
In questi giorni il coordinatore della sicurezza degli Stati Uniti per Israele e l'Autorità palestinese, il tenente generale Michael R. Fenzel dello US Army (Esercito americano) è stato a Roma per incontrarsi con il Generale di Corpo d’Armata Teo Luzi, Comandante Generale dei carabinieri.
L’Ufficio del Coordinatore è stato istituito nel marzo 2005. L'USSC (così in sigla) è una agenzia governativa statunitense si coordina con il governo di Israele e l'Autorità palestinese per rafforzare la cooperazione in materia di sicurezza, guida gli sforzi della coalizione nel consigliare l'Autorità Palestinese sulla riforma del settore della sicurezza e raccomanda opportunità alle nazioni e alle organizzazioni internazionali per la contribuizione allo sviluppo di un settore della sicurezza palestinese che si renda autosufficiente. Nonostante il nome, in realtà si tratta di un team internazionale e interagenzia, con sede a Gerusalemme.
La nostra nazione, attraverso l’ #Armadeicarabinieri, collaborando con l’Ufficio del Coordinatore statunitense fornirà il proprio ausilio nella risoluzione del conflitto in atto tra israeliani e le milizie di Hamas.
Nella tabella sottostante una sintesi dell’attività svolta all’estero dall’Arma
Giornata della protezione dei dati: il 74% degli esperti afferma che le autorità di protezione dei dati continuerebbero a rilevare "violazioni rilevanti" nella maggior parte delle aziende noyb ha condotto un'indagine tra oltre 1000 professionisti della protezione dei dati che lavorano in aziende europee
LISA: parte la missione che studierà le onde gravitazionali dallo spazio l reccom.org
"LISA rileverà, in tutto l’Universo, le increspature nello spaziotempo causate dalla collisione di enormi buchi neri al centro delle galassie. Ciò consentirà agli scienziati di risalire alla loro origine, di tracciare il modo in cui crescono fino a diventare milioni di volte più massicci del Sole e di stabilire il ruolo che svolgono nell’evoluzione delle galassie."
Acerbo (Prc-Up): oggi a Roma sarò in piazza con palestinesi
Mentre la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja dichiarava fondata l'accusa di genocidio nei confronti di Israele a #Roma è stato notificato oggi il divieRifondazione Comunista
Ministero dell'Istruzione
Oggi è il #GiornodellaMemoria. Tale data è stata scelta simbolicamente dal Parlamento italiano in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.Telegram
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