Dazi, capitali e cannoni, protezionismo imperiale
di Emiliano Brancaccio - «C’è un aggressore e c’è un aggredito». Lo slogan più martellante degli ultimi anni vive una seconda giovinezza. ApplicatoRifondazione Comunista
Laura Tussi*
Un’antologia di poemi e versi e poetiche nel senso vero del termine di senso e significato di rimandi sonori sottesi nel palpitare di nessi spontanei e subitanei.
Una logica e teoria floreale: una “scelta di fiori” come nell’etimologia dal greco. Perché Pierpaolo Loi è un vero “cultore” che sceglie i suoi fiori più belli, le sue poetiche e rime e composizioni più rare e le coltiva traducendole in azioni e scelte di vita, di volti, di inquietudini e di sogni che travalicano ogni confine.
Dalla prefazione del comune amico Carlo Bellisai, scrittore e poeta e attivista del movimento nonviolento, si evince la descrizione di una struttura poetica che, oltre ogni confine, delinea appunto la specifica specificità dell’essere e le azioni più significative dell’esistenza in un’infinità di rimandi attenti e subitanei da cui trapela l’infinito esistenziale. Dalle “mani unite” l’autore rivela “il dio in cui non crede” per la sua lunga militanza nelle comunità ecclesiali di base. Il suo inesausto impegno per un pluralismo di fedi rinnovate dal Concilio Vaticano secondo, dove ogni volto è una poetica dell’incontro di una intera vita spesa nella solidarietà verso “il volto dell’altro”, nel guardarsi negli occhi, vicendevolmente, come sublime gesto di amore e d’amicizia, in cui può bastare un sorriso, dove oggi il cielo è per un’amica nell’utopia e nella speranza di notti insonni di dolore e dolori nella sconfinata presenza del nulla quale via d’uscita verso l’incanto e l’infinito. In una terra di nessuno.
Quando profeti non mancano, sia nella poetica e morte di Oscar Romero sia nell’impegno sociale commemorativo di un’atroce notizia, rimemorando la stazione di Bologna: ancora bambini uccisi. Una strage senza tempo. Un buio irrisolto.
In un cammino di pace e nonviolenza, disarmo e diritti umani, l’autore si pone verso l’altro da sé con un “mi aspetterai” nei sogni, negli eventi, nelle rime del quotidiano e del sublime. Senza sosta cercare, giunti sul crinale di un baratro esistenziale e resistenziale di un sogno, di tempo rinnovato, dove il mondo alla rovescia palpita di nessi e attese e solitudini. Ho sognato quindi resto umano e “così sia” in intrecci di sguardi di un canto notturno nel profondo della notte e nel repentino risveglio. E ancora l’impegno si fa pressante nella giornata della memoria oggi, in un ricordo volto ai bambini e alle bambine di Gaza. Uomini a terra. Non respiro…
Cercando senso in una rinascita nel fardello dell’ingiustizia, fino ad arrivare a Hiroshima e a quello che rappresenta e testimonia attualmente in una congiuntura amara in cui viviamo sul crinale del baratro nucleare, oltre il luogo dell’altro, perché ora è tempo di osare la pace.
Queste parole raccolgono un’antologia dei fiori scelti delle poetiche di Pierpaolo Loi, dove si respirano ansia e aria di solitudini e attivismo al contempo, in un estremo e antico connubio e anelito e incontro con l’altro da sé. Perché vogliamo la pace. In un abbraccio che accoglie.
E l’autore trasforma la ricerca della pace nel senso ultimo della sua fervida e inesausta scrittura e poetica libera e pensante.
Altra versione su Italia che cambia e Sardegna che cambia
*Libro di poesie di Pierpaolo Loi, Prefazione di Carlo Bellisai.
Edizioni Multimage.
Oltre ogni confine. Di volti di luoghi di inquietudini e di sogni.
Laura Tussi* Un’antologia di poemi e versi e poetiche nel senso vero del termine di senso e significato di rimandi sonori sottesi nel palpitare di nessi spRifondazione Comunista
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Acerbo (Prc): oggi a Lucca per Youns vittima del razzismo
Oggi a Lucca si è tenuta l'udienza del processo che vede imputato il consigliere comunale Massimo Della Nina che definì "rifiuto umano" Youns El Boussettaoui,Rifondazione Comunista
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La piazza del 15 marzo non è la nostra piazza -
Comunicato di Lavoro Società – Sinistra sindacale confederale -
Michele Serra, dalle pagine di Repubblica, ha chiamato ad una piazza per un’Europa libera e unita. Una piazza invocata all’indomani dell’umiliazione pubblica di Zelensky da parte di Trump, una piazza che nulla dice della necessità di Pace, una piazza che nulla dice sul piano Rearm che costerà 800 miliardi a danno della spesa sociale su scala europea.
Non esiste un’astratta idea di Europa che valga più della Pace, della pacifica convivenza tra i popoli e di un’Europa dei diritti sociali e civili.
L’appello all’unità dell’Europa che caratterizza la manifestazione del 15 marzo è distante dall’idea di Europa che la Cgil, non da sola, ha cercato di far vivere in questi anni.
L’idea di Europa che assieme abbiamo promosso ha attraversato le piazze italiane ed europee nelle manifestazioni per la pace e contro ogni guerra, nelle vertenze sindacali che invocavano politiche industriali e nel contrasto alle politiche liberiste.
La manifestazione del 15 marzo non promuove un’Europa diversa da quella bellicista, rappresentata dalle dichiarazioni di Ursula von der Leyen e di Macron, e che nelle scelte della Commissione UE e del Consiglio europeo prepara l’economia alla guerra.
Noi non cammineremo al fianco di chi vuole la guerra.
Condividiamo la necessità di una forte e ampia mobilitazione per la Pace in raccordo con tutte le reti che da sempre sono impegnate su questo fronte.
Coordinamento nazionale Lavoro Società per una Cgil unita e plurale
Parole giuste per una piazza sbagliata
La piazza del 15 marzo non è la nostra piazza - Comunicato di Lavoro Società - Sinistra sindacale confederale - Michele Serra, dalle pagine di RepubblicRifondazione Comunista
Martedì 11 marzo alle ore 9.00 sarò ascoltato al Tribunale di Lucca come teste nel procedimento a carico del consigliere comunale del comune di Porcari Massimo Della Nina. Nel luglio 2021 ho presentato, in qualità di segretario nazionale di Rifondazione comunista, una denuncia all’autorità giudiziaria per istigazione all’odio razziale e apologia di reato nei confronti di Massimo Della Nina che aveva scritto un post su facebook commentando l’uccisione a Voghera di Youns El Boussettaoui in cui definiva la vittima un ‘nessuno’ e ‘un rifiuto umano’. Ricordo che era stato l’assessore leghista Massimo Adriatici a sparare al cittadino marocchino di 39 anni affetto da problemi psichici.
Ho sentito il dovere di presentare questa denuncia dopo aver letto le dichiarazioni di Della Nina sulla stampa. Non si può transigere di fronte a parole così contrarie ai principi fondamentali della nostra Costituzione. Secondo il consigliere ammazzare una persona che soffre di problemi psichici sarebbe più che giustificato e quindi non vale la pena di rammaricarsi o di biasimare l’autore del delitto. È pensando a questo tipo di elettori che Salvini non condannò in quei giorni l’assassinio perpetrato dall’esponente del suo partito, anzi arrivò a difendere un assessore che girava per la città con la pistola col colpo in canna sostituendosi alle forze dell’ordine. Le affermazioni del consigliere comunale Della Nina riportate dalla stampa erano così gravi che ho sentito il dovere di segnalarle all’autorità giudiziaria. La democrazia e la convivenza civile vanno difese con determinazione.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
Di seguito riporto il post pubblicato dal Della Nina su facebook:
“Chi era il marocchino ucciso l’altro giorno a Voghera? Nessuno”. Anzi, “un autentico rifiuto umano”.
“Mi dispiace per la comunità marocchina che piange un morto, ma li invito a riflettere su chi era veramente costui. Non ne faccio una questione razziale, sarei stato altrettanto duro si fosse trattato di un italiano. Si da il caso però che fosse marocchino. Si può dire o qualcuno si offende? Era un marocchino. Punto. Ora spostate pure l’attenzione sull’assessore armato che avrà, lui sì, la vita rovinata da questo autentico rifiuto umano”.
“Oggi, il mondo è un posto un po’ più pulito. E se proprio lo volete fare, indignatevi per un carabiniere ucciso in servizio o per un padre di famiglia ammazzato dalla mafia. Non per questa feccia. Lo ripeto, l’altro giorno a Voghera, non è morto nessuno”
Forse per distrarre l’opinione pubblica dal faraonico fallimento – almeno ad oggi – della delocalizzazione dei centri di detenzione per migranti, in Albania, il ministro dell’Interno rilancia annunciando a breve, l’apertura di 5 nuovi Centri Permanenti per il Rimpatrio in territorio italiano. Le immagina come strutture atte a contenere e a rimpatriare fra le 50 e le 200 persone, con tempi massimi di 18 mesi, da situare in strutture militari dismesse, possibilmente in prossimità degli aeroporti e comunque in zone caratterizzate da scarsa densità abitativa. Il mondo dell’attivismo antirazzista è da tempo mobilitato per impedire questo nuovo scempio politico, giuridico e umano e si sta cercando anche di individuare le aree interessate. Potrebbero sorgerne a Castelovolturno, in Campania, a Ventimiglia in Liguria, a Ferrara in Emilia, a Falconara Marittima nelle Marche, poi in luoghi ancora non specificati della Calabria. Saranno strutture protette dal vincolo di essere luoghi di “sicurezza nazionale” e su alcune competenze dipenderanno dal ministero della Difesa, equiparabili a strumenti di guerra. Mobilitarsi perché i nuovi CPR non aprano, perché non torni in funzione – come promesso – quello di Torino e perché chiudano quelli ancora in funzione sarà per Rifondazione Comunista elemento non negoziabile. Riprendiamo le mobilitazioni per impedire questa oscenità e anche perché le decine di milioni sottratti per costruire galere vengano destinate a spese sociali per chi, migrante o autoctono che sia, ne ha bisogno.
Maurizio Acerbo, Segretario Nazionale Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
La storia calpestata, dalle Foibe in poi
Intervista a Eric Gobetti, storico e saggista a cura di Alba Vastano - ‘…. Senza il contesto storico e geografico le foibe risultano incomprensibili. SenRifondazione Comunista
di Franco Berardi -
L’Imbianchina dice: “Quanti più cannoni saranno fusi/ tanto più a lungo durerà la pace”
Al momento di marciare molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.
La voce che li comanda
è la voce del loro nemico.
E chi parla del nemico
è lui stesso il nemico.
(Bertolt Brecht)
Lin Jian, portavoce del Ministro degli esteri ha dichiarato che se gli Stati Uniti intendono proseguire nel condurre una guerra tariffaria, una guerra commerciale, o qualsiasi altro tipo di guerra, la Cina combatterà fino alla fine, fino all’amara conclusione.
“I cinesi non possono essere influenzati da falsità, né scoraggiati da intimidazioni, né hanno mai tollerato egemonia e bullismo.” ha aggiunto Lin Jian.
Se aspettavamo il fischio d’inizio ora l’abbiamo sentito forte e chiaro. Lin Jiang almeno ha detto saggiamente che, comunque vada, la conclusione è amara. E impassibile come sanno essere i musi gialli ha aggiunto: “Pressione coercizione e minacce non sono il modo giusto di trattare con la Cina. Tentare la massima pressione sulla Cina è un errore di calcolo.”
Errore di calcolo è la sintesi migliore.
L’occidente ha fatto un errore di calcolo dopo l’altro, se pensiamo alla guerra di Ucraina e alla sua catastrofe finale. Ma gli europei non sono contenti, non hanno capito la lezione e dopo avere costretto l’Ucraina a sacrificarsi per il nostro eroismo ora non sanno bene come venirne fuori, e lanciano un investimento di non si sa quanti fantastilioni per il riarmo.
Riarmiamoci! Ingiunge la signora Ursula, l’imbianchina, e subito i democratici italiani si preparano a marciare per la guerra e convocano le masse a manifestare a difesa della democrazia. Sempre più armi sempre più morti sempre più guerra grida un giornalista di fama sul giornale genocidario La Repubblica.
“…vai un po’ a spiegarlo ai greci che il patto di stabilita’ può essere derogato per le armi, ma non poteva essere derogato per le loro vite…” mi scrive l’amico Giovanni.
Ma Michele Serra è uomo d’onore. Ha promesso a Zelenskyy di sostenerlo fino alla morte e adesso si prepara a morire senza batter ciglio.
Io sto qui sugli spalti a vedere Michele che guida le truppe dei liberatori.
Nel nome, ovviamente, della democrazia che tutti ci invidiano. La democrazia che ha restaurato lo schiavismo e mette a tacere chi non è felice di partecipare a un nuovo genocidio.
Come sonnambuli, dicono gli storici, gli europei entrarono nella prima guerra.
Un secolo e dieci anni dopo non si sono ancora svegliati.
Credono ancora di essere i primi della classe e invece non se li fuma più nessuno. Credono ancora che tutti quei selvaggi stanno aspettando che noi gli portiamo il progresso. Federico Rampini (collega di Serra) invita tutto il mondo a ripetere con lui: Grazie Occidente”, e durante un safari in un paese africano osserva compiaciuto un negretto che usa il cellulare, e sorride. Ringraziaci, dice, negretto. Se non c’eravamo noi occidentali eri ancora lì con il tamburo, altro che cellulare.
E intanto Bernard Henry Levy con la camicia al vento guida un plotone di cavalieri con la spada sguainata e urla forsennato: vive la France! vive le genocide!
Non fateci caso, i poveretti soffrono di quei disturbi che la vecchiaia porta a chi non ha la fortuna di spegnersi prima di ridursi così.
Tutti gli europei, chi più chi meno, sono affetti da Alzheimer. Altrimenti ricorderebbero, nevvero? ricorderebbero com’è andata a finire l’altra volta, e la volta precedente – e tutte le altre volte in cui si ficcarono in testa di essere eroi, patrioti.
Patrioti sì. Come diceva Bertrand Russell patrioti sono coloro che per futili motivi sono pronti a uccidere o a farsi ammazzare.
Per futili motivi abbiamo mandato gli ucraini a farsi ammazzare da quel biondino di Pietroburgo che adesso, sornione, si frega le mani contento, e strizza l’occhio al biondo di Mar-aLago.
E adesso, chissà, siamo pronti a gettarci anche noi maschilmente nella pugna. Compreremo più armi, dai traditori americani naturalmente, e loro saranno contenti di vendercele.
E si sfregheranno le mani contenti e conteranno i dollari, mentre il biondino – c’è da scommetterci – non resterà oziosamente a guardare che Ursula, Michele e Federico si siano armati a sufficienza.
“L’imbianchino vi dirà: le macchine
provvederanno per noi. pochissimi
dovranno morire. Ma voi
morirete a centinaia di migliaia, tanti
quanti morire non se n’è mai veduti.”
(Bertolt Brecht)
Io cito Bertolt Brecht, ma temo che non sia giusto farlo, perché lui, nel 1939, poteva scrivere queste parole:
“Anche l’odio contro la bassezza
Stravolge il viso.
Anche l’ira per l’ingiustizia
Fa rauca la voce. Oh, noi
Che abbiamo voluto preparare il terreno alla gentilezza,
Noi non potevamo essere gentili.
Ma voi, quando verrà l’ora
In cui l’uomo all’altro uomo sarà un aiuto
Pensate a noi
Con indulgenza. “
Noi non possiamo.
Non ci sarà nessuno che possa pensare a noi con indulgenza.
L’amara conclusione
di Franco Berardi - L'Imbianchina dice: "Quanti più cannoni saranno fusi/ tanto più a lungo durerà la pace" Al momento di marciare molti non sanno cheRifondazione Comunista
E’ con grande gioia e sollievo che comunichiamo che Fabio Cochis, attivista di Rifondazione Comunista di Bergamo, sindacalista per il diritto all’abitare, è stato assolto con formula piena dalla Corte d’appello di Brescia dalla ignobile, infondata accusa di spaccio di droghe leggere in occasione di un presidio alle case popolari della Malpensata tenutosi a giugno di tre anni fa.
Una squallida provocazione. La visione delle immagini riprese dalle telecamere poste nel quartiere – come da richiesta dell’avvocato difensore di Fabio avv. Rocco Gargano – ha reso possibile l’accertamento dei fatti, senza ombra di dubbio, e l’individuazione di ben altre responsabilità. A questo proposito la Corte d’Appello di Brescia ha raccomandato il Tribunale di Bergamo di perseguire la persona che con la sua falsa testimonianza ha indebitamente coinvolto Fabio ai fini di operare un depistaggio rispetto alla reale dinamica dei fatti. Il fattaccio aveva dato subito corso a manifestazioni di solidarietà a Fabio davanti alla Prefettura a cui avevano partecipato molte/i attiviste/i sociali o anche semplici cittadini che di Fabio conoscono la pulizia morale e l’impegno sociale e politico dalla parte delle fasce sociali più deboli. Questo impegno andrà avanti più che mai insieme a quello di tante altre compagne e compagni che con Fabio condividono la necessità di battersi per una società più giusta e rispettosa della dignità delle persone.
Francesco Macario, Segretario provinciale Prc-Se di Bergamo
Ezio Locatelli, Comitato Politico Nazionale Prc-se, già deputato
Fabrizio Baggi, Segretario regionale Prc Lombardia
Bergamo, 4 marzo 2025
RIFONDAZIONE: SVELATE LE RESPONSABILITA’ DELLA PROVOCAZIONE NEI CONFRONTI DI FABIO COCHIS. GIUSTIZIA E’ STATA FATTA
E’ con grande gioia e sollievo che comunichiamo che Fabio Cochis, attivista di Rifondazione Comunista di Bergamo, sindacalista per il diritto all’abitaRifondazione Comunista
Noi di Rifondazione Comunista non parteciperemo all’adunata convocata da Repubblica per sventolare la bandiera di un’Unione Europea che ha scelto la strada della guerra e del riarmo. Bisogna scendere in piazza semmai per dire no al mostruoso piano di riarmo da 800 miliardi annunciato da Ursula von der Leyen e ancor di più a qualsiasi invio di truppe in Ucraina.
L’Europa fa finta di ribellarsi a Trump ubbidendo alla sua richiesta di aumentare le spese militari? Mentre il patto di stabilità impone tagli alla spesa pubblica, il piano di riarmo è la pietra tombale sul modello sociale europeo. I nostri soldi vanno spesi per la sanità, l’assistenza sociale, il lavoro, la cultura, la ricerca, l’ambiente non per diventare un polo imperialista in guerra con altre potenze. La Commissione Europea ha portato avanti una linea guerrafondaia che non permette di identificarsi con una bandiera che non è simbolo di pace e nemmeno di diritti umani vista la complicità col genocidio a Gaza. Non vogliamo un’Europa militarista ma potenza di pace. A Ursula von der Leyen rispondiamo con le parole di Berlinguer: se vuoi la pace prepara la pace
Per questo diserteremo la piazza di Michele Serra a cui diciamo che “qui o si fa la pace o si muore”. Ma la diserzione silenziosa non basta. Non lasciamo che il 15 marzo sia solo dell’europeismo con l’elmetto. Proponiamo a chi è contro la guerra e il riarmo di ritrovarsi in una piazza pacifista.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale Prc
Acerbo (Prc): no al riarmo europeo. Ci vuole una piazza pacifista
Noi di Rifondazione Comunista non parteciperemo all'adunata convocata da Repubblica per sventolare la bandiera di un'Unione Europea che ha scelto la strada dellRifondazione Comunista
È un fatto politico positivo che la direzione del PD abbia deciso di sostenere i referendum della Cgil contro il jobs act. Mi complimento con Elly Schlein che ha imposto su questo tema, come sull’autonomia differenziata e l’immigrazione, una svolta a un PD che porta la responsabilità con la destra di decenni di politiche antipopolari e antioperaie.
Il PD dal 2008 si è purtroppo caratterizzato come un partito neoliberista schierato contro la classe lavoratrice. Le politiche a favore della precarizzazione del lavoro, dell’innalzamento dell’età pensionabile, i tagli alla sanità e al welfare hanno prodotto un’enorme delusione nelle classi popolari alimentando l’astensionismo e aprendo la strada alla vittoria dell’estrema destra. Gli imitatori dello pseudoriformismo alla Tony Blair e i ventriloqui dei diktat della commissione europea hanno reso il nostro paese più povero e più ingiusto.
Quelli che contestano il sostegno al referendum sono gli stessi estremisti di centro che hanno consegnato l’Italia a Meloni e Salvini. La loro opposizione anche alla timida correzione di rotta sulla guerra in Ucraina proposta dalla segretaria del PD rende evidente che la classe dirigente del PD continua a seguire la strada bellicista che ha portato meritatamente al disastro Scholtz e la coalizione semaforo in Germania.
Sui referendum della Cgil noi lavoriamo con il massimo impegno unitario. Chi boicotta o rema contro il referendum è il miglior alleato della destra.
Dobbiamo costruire in ogni città, in ogni paese, ovunque possibile comitati popolari unitari a sostegno dei quesiti referendari per il lavoro e la cittadinanza.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
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Inqualificabile gesto di Blocco Studentesco nelle scuole.
Gli antifascisti hanno combattuto la mafia e molti hanno sacrificato la loro vita nel nome di questa lotta.
Apprendiamo con rabbia che nella giornata di ieri il gruppo neo-fascista Blocco Studentesco ha esposto nei licei d’Italia (segnalazioni arrivano da Milano, Udine, Cagliari, Ascoli e soprattutto da Avellino dove sono stati esposti in ben 4 scuole) dei cartelloni con scritto “Antifascismo=mafia”.
Non dovrebbe essere necessario menzionare tutti gli esempi di comunisti, antifascisti e democratici che hanno lottato contro la mafia e i fenomeni mafiosi. Alcuni dando anche la loro vita. Pio La Torre, Peppino Impastato, Santi Milisenna, Placido Rizzotto.
L’accostamento tra l’idea che portò migliaia di giovani e non solo a combattere per la loro libertà ed un fenomeno che affligge oramai tutto il nostro paese è ovviamente inaccettabile.
Degno solo di chi, sconfitto dalla storia, trova nuova linfa nell’attuale situazione politica italiana, dove gli eredi dell’MSI continuano nella loro opera di revisionismo della Resistenza e della nostra storia repubblicana.
Come Giovani Comunisti/e e Partito della Rifondazione Comunista oltre a condannare il gesto, chiediamo quindi che non solo i responsabili vengano individuati e sottoposti alle dovute sanzioni disciplinari del caso, ma anche che, negli istituti in cui si sono verificati questi episodi, si svolgano degli incontri sul tema della Resistenza, dell’antifascismo e della dura lotta contro la mafia portata avanti da tanti e tante.
Allora come oggi: no pasaran!
Paolo Bertolozzi, coordinatore nazionale Giovani Comunisti/e
Maurizio Acerbo, segretario nazionale Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea
Marco Canciani, responsabile Antifascismo Giovani Comunisti/e
Antifascismo = mafia? da Blocco Studentesco gesto inqualificabile nelle scuole
Inqualificabile gesto di Blocco Studentesco nelle scuole. Gli antifascisti hanno combattuto la mafia e molti hanno sacrificato la loro vita nel nome di questRifondazione Comunista
Assistiamo costernati all’andazzo imposto dal Ministro dell’Interno con la circolare del 17 dicembre ai suoi colleghi prefetti mirata alla creazione di zone rosse nei principali centri delle aree metropolitane italiane per evitare disordini nell’ambito delle feste in piazza per il Capodanno a colpi di DASPO urbani. Si tratta, come scrivono i migliori avvocati e i migliori magistrati in due autonome e condivisibili prese di posizione, dell’irrogazione di punizione senza atti illeciti, di allontanamenti decisi dalla polizia giudiziaria a totale arbitrio. Polizia giudiziaria che dovrà ‘a vista’ decidere quale persona o quale pubblico esercizio possa rappresentare un pericolo per la “Sicurezza percepita da residenti e turisti”.
La Costituzione non poteva essere disattesa in modo più plateale: non è solo la libertà di muoversi senza restrizione e di esprimere la propria personalità in un giorno di festa, il problema è che sono misure classiste!
Come scrive MD nel suo comunicato vanno denunciate “le diseguaglianze del tessuto urbano, sempre più spaccato in zone di serie A, riservate a cittadini e turisti benestanti, e zone di serie B, lontane dalle luci del centro e verso le quali “i disturbatori” saranno verosimilmente allontanati”" Speriamo che il Capo dello Stato, cui auguriamo buon 2025, se ne accorga!
Maurizio Acerbo, Segretario nazionale
Gianluca Schiavon, Responsabile giustizia, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
PRC: Con Piantedosi è zona nera, Capodanno incostituzionale
Assistiamo costernati all'andazzo imposto dal Ministro dell'Interno con la circolare del 17 dicembre ai suoi colleghi prefetti mirata alla creazione di zone rosRifondazione Comunista
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di Dino Greco -
Agli organizzatori del presidio antifascista del 28 dicembre è stato opposto, dagli esponenti e fautori dell’antifascismo light, una botta e via, il rimprovero peloso di avere dato visibilità ai fascisti.
La memoria mi è subito andata alla legge Mancino del 1993 che, come anche la questura dovrebbe sapere, “condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali”. La legge, che per il momento è ancora in vigore, punisce come reato penale grave chi si renda responsabile di questi comportamenti. Anche allora vi fu chi sostenne che la legge era sbagliata. Sapete perché? Perché – così dissero – si trasformavano i fascisti in vittime. La storia, ancora una volta, si ripete, sebbene con le sembianze della farsa.
Silenzio tombale anche sulla legge Scelba del 1953, che in attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana introdusse il reato di apologia del fascismo: per questura e procura della Repubblica è come se non esistesse, come uscito da tutti i radar è il reato di ricostituzione del partito fascista. Al punto che i questurini – applauditissimi dall’establishment del potere locale – si sono sentiti in dovere di intervenire a suon di manganelli per strappare dalle mani dei manifestanti uno striscione che ricordava che la Costituzione è antifascista.
Ora però ci viene detto che le regole devono essere rispettate e che all’intimazione della questura di non scendere in piazza bisognava obbedire.
Qui si pone una domanda cruciale: è giusto obbedire alle leggi ingiuste? La storia del nostro Paese è piena di lotte sociali che sono state condotte per cambiare norme, regole, leggi che favorivano i più forti contro i più deboli. Furono lotte che resero l’Italia un pò più civile. Per dirne una sola, lo Statuto dei lavoratori non sarebbe mai nato se per conquistarlo i lavoratori non avessero ingaggiato conflitti molto forti ed impiegato forme di lotta che urtavano contro un legalitarismo formale che fu scatenato contro di loro, manu militari, dai poteri costituiti che inflissero loro un pesante prezzo di sangue.
Diceva don Lorenzo Milani, intorno alla metà degli anni Sessanta, che quando ci si trova di fronte ad una legge ingiusta “non c’è scuola più grande” che essere disponibili a pagare di persona per la propria disobbedienza. E aggiungeva: “Non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo di amare la legge è obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste. Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.
I ragazzi e le ragazze che l’altra sera, a prezzo delle botte, rifiutavano di farsi strappare quello striscione che tenevano stretto e che inneggiava alla Costituzione e all’antifascismo erano dei moderni eroi, degni dei partigiani che combatterono e morirono, armi in pugno, per cacciare l’occupante nazista e liquidare il fascismo che aveva portato il paese alla rovina. Personalmente li ringrazio per la speranza che rappresentano in un presente tanto denso di cattivi presagi.
Una risposta al Pd e a tutti i cortigiani dell’antifascismo light
di Dino Greco - Agli organizzatori del presidio antifascista del 28 dicembre è stato opposto, dagli esponenti e fautori dell’antifascismo light, una bottaRifondazione Comunista
marcolo reshared this.
L’aggressione squadrista all’insegnante di Brescia dimostra che hanno ragione le antifasciste e gli antifascisti che sono scesi in piazza nonostante il divieto.
Torniamo a chiedere le dimissioni del questore che ha lasciato sfilare i neofascisti che hanno imbrattato con svastiche una città che subì la strage di Piazza della Loggia e fatto caricare antifascisti.
Vergognose le dichiarazioni della sindaca che avrebbe dovuto stare in piazza con la fascia tricolore con gli antifascisti. A Brescia ora la destra propone sfacciatamente un ordine del giorno in consiglio comunale di condanna del presidio antifascista.
Ringrazio i compagni di Rifondazione Comunista Dino Greco e Fiorenzo Bertocchi che avevano fatto la comunicazione alla Questura di aver tenuto il punto rifiutando di ottemperare a un divieto che equiparava fascisti e antifascisti e tutte le compagne e i compagni che sono scesi in piazza.
Purtroppo va segnalata negativamente l’incomprensibile posizione del presidente provinciale dell’Anpi e del segretario della Camera del Lavoro che hanno giustificato il divieto di manifestare.
L’aggressione fascista subita dall’insegnante a cui va la nostra solidarietà mostra quanti danni abbia prodotto lo sdoganamento del fascismo.
E’ importante sottolineare che il professore è stato affrontato da 5 ragazzi che tentavano di fargli dire che col fascismo si stava meglio e che avendo ottenuto una dichiarazione opposta lo hanno prima insultato e poi riempito di pugni. È indubbiamente squadrista la sequenza del fatto perché è tipica di una vera e propria spedizione punitiva preordinata. Infatti hanno fermato il professore chiamandolo per nome prima di aggredirlo.
Dovrebbero riflettere quelli che hanno acconsentito al divieto di manifestare.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista
Acerbo (Prc): aggressione a insegnante a Brescia dimostra che antifasciste/i hanno ragione
L'aggressione squadrista all'insegnante di Brescia dimostra che hanno ragione le antifasciste e gli antifascisti che sono scesi in piazza nonostante il divieto.Rifondazione Comunista
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Raffaele Tecce
Appena ho saputo della scomparsa di Eugenio Donise ho provato un immensa tristezza, per l’affetto fraterno che ho sempre avuto per una figura autorevole,intelligentissima, colta e generosa del PCI a Napoli.
Ho conosciuto personalmente Eugenio Donise nel 1977,io neo eletto segretario provinciale del Pdup per il comunismo e lui segretario provinciale del PCI, durante le consultazioni che Eugenio pazientemente faceva con tutti i partiti della maggioranza che sosteneva il Sindaco Valenzi.
Già in quell’ occasione mi colpirono cortesia, vero rispetto per tutte le forze della Sinistra anche piccole e passione politica.
C ‘ era in Eugenio la consapevolezza del valore nazionale di quella eccezionale esperienza istituzionale di cui era parte, ma anche la certezza che bisognava dare risposta ai bisogni sociali più forti, a partire da casa e lavoro. Tutti ricordiamo, ad esempio, la sua apertura al confronto con il forte movimento dei disoccupati organizzati.
“Napoli non si governa da un solo palazzo”, si ribadiva sempre.
Da segretario regionale Campano nel 1985 ci accolse con apertura e disponibilità quando come Pdup per il comunismo confluimmo nel PCI.
Mi iscrissi alla sezione San Giuseppe Porto, nel centro storico dove abitavo, e li incontrai due compagni importanti per la mia successiva militanza nel Pci: Claudio Massari, il segretario della sezione e Nino Ferraiuolo stimatissimo professore ed organizzatore di iniziative culturali e sociali comuniste.
Ricordo, inoltre, che dopo lo scioglimento del PCI la sua partecipazione a momenti di dibattito difficili, come al seminario di Arco(Tn) nel 1993 , dove con Tortorella ed altre compagne e compagni decise di” stare nel gorgo”.
Guardò sempre con rispetto ed attenzione la nascita nel 1991 del Partito della Rifondazione Comunista, a Napoli e nazionalmente e partecipò attivamente alla importante esperienza della Federazione della Sinistra, a partire dal 2004, di cui fu componente del Comitato nazionale insieme a Nino Ferraiuolo.
Ricordo sempre le nostre chiacchierate a Piazza San Domenico maggiore sempre con Nino, ed in comunicazione sostanziale con tutta la città.
Caro Eugenio, mi hai insegnato molto.
Condoglianze alla sua famiglia
EUGENIO DONISE, UN COMUNISTA ITALIANO VERO
Raffaele Tecce Appena ho saputo della scomparsa di Eugenio Donise ho provato un immensa tristezza, per l'affetto fraterno che ho sempre avuto pRifondazione Comunista
Danilo Dolci, il ricordo del figlio Amico tra libri, musica ed esempio
di LAURA TUSSI Nel centenario della nascita di Danilo Dolci torniamo a parlarvi del suo impegno politico, sociale ed educativo attraverso le paroleRifondazione Comunista
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Con grande gioia abbiamo appreso la notizia dell’incontro tra la delegazione del Dem Parti e il compagno Ocalan nell’isola carcere di Imrali. Si apre uno spiraglio alla speranza che finalmente si ponga fine alla repressione turca contro il popolo curdo. Negli anni scorsi abbiamo temuto per la stessa vita del presidente Ocalan, il Nelson Mandela del popolo curdo, di cui non si avevano più notizie. Non solo Apo è sottoposto dal 1999 a un regime di isolamento duro in violazione delle convenzioni internazionali ma negli ultimi anni erano state impedite anche le visite di familiari e degli stessi legali a loro volta sistematicamente arrestati e condannati per terrorismo.
Era stata impedita la visita persino alla delegazione della Corte Europea per i Diritti Umani (CEDU). Noi stessi avevamo partecipato nel 2022 a una delegazione investigativa internazionale che ha potuto constatare il grado di repressione e di violazione dello stato di diritto nella Turchia di Erdogan con 350.000 detenuti, tra cui parlamentari, sindaci, sindacalisti, intellettuali della sinistra curda e persino medici e avvocati rei di aver assistito perseguitati politici.
L’incontro di ieri segna la riapertura di un possibile dialogo per la soluzione della questione curda. Ocalan si è dichiarato di nuovo disponibile e con prudenza bisognerà verificare se il regime turco sia davvero intenzionato a percorrere la strada di un “nuovo paradigma”. Purtroppo gli attacchi contro il Rojava delle ultime settimane non sono un elemento incoraggiante. Bisogna capire quale sarà la risposta a questo segnale di nuova apertura delle forze armate turche che hanno sempre tentato di impedire una trattativa anche grazie allo spropositato potere che hanno sulla base di una costituzione assai sciovinista.
Come abbiamo sempre sostenuto, la liberazione di Ocalan, come quella di Marwan Barghouti per la Palestina, è la chiave per un’evoluzione democratica e una soluzione di pace in Medio Oriente. Il confederalismo democratico proposto da Ocalan è un progetto che consentirebbe di superare i continui conflitti causati dall’eredità del colonialismo. La proposta di Ocalan non è separatista ma quella del riconoscimento dell’autonomia del Kurdistan turco nell’ambito di una più generale democratizzazione dello stato. E’ un modello di convivenza che il movimento di liberazione curdo propone anche in Siria per il superamento dei conflitti etnici e religiosi. Purtroppo l’Unione europea invece di sostenere un movimento di resistenza laico, democratico e femminista come quello curdo in questi anni è stata complice dell’alleato NATO Erdogan e ha mantenuto il PKK nell’elenco delle organizzazione terroriste.
Noi di Rifondazione Comunista che, con il compagno Ramon Mantovani, cercammo di salvare Ocalan dalla cattura da parte della Turchia ricordiamo che il fondatore del Pkk aveva diritto all’asilo nel nostro paese e che fu catturato grazie all’ignavia dell’allora governo di centrosinistra che obbedì alle pressioni del presidente USA Bill Clinton. Lo stabilì un tribunale dopo la sua cattura e lo aveva anche quando il governo italiano l’ha costretto ad andarsene. In ragione della nostra risoluzione approvata in parlamento che riconosceva l’esistenza di un conflitto armato da risolvere con un negoziato. Sulla base di quella risoluzione l’Italia riconobbe a migliaia di kurdi con passaporto turco l’asilo. Libertà per Ocalan!
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del PRC e Anna Camposampiero, esecutivo Sinistra Europea
PRC: liberazione Ocalan via per la pace e democrazia in Medio Oriente
Con grande gioia abbiamo appreso la notizia dell'incontro tra la delegazione del Dem Parti e il compagno Ocalan nell'isola carcere di Imrali. Si apre uno spiragRifondazione Comunista
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Comunicato di Fiorenzo Bertocchi e Dino Greco a nome di Rifondazione comunista
Brescia, Rifondazione: “nessuna ipocrita acrobazia potrà nascondere la realtà che è ormai squadernata sotto gli occhi di tutte e di tutti”
“Le immagini del pestaggio inflitto dalla polizia ai manifestanti antifascisti che avevano raccolto l’invito a recarsi in piazza per protestare contro la libertà di movimento concessa a Brescia alle formazioni nazifasciste, hanno fatto il giro d’Italia. E nessuna censura, nessuna ipocrita acrobazia potrà nascondere la realtà che è ormai squadernata sotto gli occhi di tutte e di tutti. Dobbiamo confessare la nostra ingenuità: avevamo denunciato l’equidistanza con cui gli organi deputati alla sicurezza pubblica trattavano fascisti e antifascisti. Ci sbagliavamo. Le cose stanno molto peggio di così e i fatti, non le chiacchiere di questi giorni, sono lì a darne plastica dimostrazione.
Il 13 dicembre, il “cartello nero” delle organizzazioni neofasciste bresciane ha dato vita ad una manifestazione pubblica che istiga all’odio razziale ed esibiva una chiara fede nostalgica: “Siamo tornati- gridavano- e lì sono le nostre radici”. Ebbene, costoro hanno potuto impunemente sfilare e imbrattare la città e i suoi monumenti di svastiche. La questura non ha avuto nulla da dire e, soprattutto, da fare. Ieri, lo stesso immobile questore ha inviato uno schieramento possente di polizia con l’ordine tassativo di impedire, a qualsiasi costo, lo svolgimento di un pacifico presidio antifascista. All’apertura di due striscioni che ricordavano la natura antifascista della Costituzione e l’impegno dei cittadini bresciani a farne rispettare lettera e sostanza, è partita l’aggressione che è stata sull’orlo di sconfinare in un generale, drammatico pestaggio che solo la responsabilità dei manifestanti ha saputo evitare.
Ai fascisti che si erano rintanati in un loro covo e’ stato invece permesso di svolgere, all’esterno dell’edificio, un comizietto carico di tutto il loro odio antidemocratico. Ecco dunque la sostanza di tutta la vicenda e del conseguente “avviso ai naviganti” che ne è sortito: alla mobilitazione antifascista non sarà consentito niente! Con riflesso immediato, prima ancora che il famigerato ddl-sicurezza sia approvato dal parlamento, le norme gravemente liberticide in esso contenute diventano pratica ispirazione nella testa e nelle azioni dei cosiddetti organi di sicurezza. Suscitano infine un’infinita tristezza – e creano altrettanti motivi di preoccupazione – i pietosi inviti che da pulpiti insospettabili sono venuti a chiudersi in casa, a disertare la manifestazione antifascista di ieri, ponendo i manifestanti in una condizione di isolamento che i questurini hanno interpretato, come sempre, a loro modo.
Quanto al commento della sindaca, che si unisce solidalmente al pestaggio della polizia, c’è una sola cosa da dire: è vero, Brescia ha un problema, e bello grosso. E la sindaca ne è parte. Una cosa è comunque certa, e lor signori, tutti, è bene lo tengano nel debito conto: l’assemblea permanente antifascista non smobilita sotto le botte della polizia e gli insulti dei suoi corifei. Si andrà avanti, perché la Costituzione antifascista è un lascito troppo importante perché sia lasciato deperire o mortificare.
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Non è accettabile che la polizia abbia oggi manganellato i partecipanti al presidio antifascista a Brescia mentre ai fascisti è stato invece consentito di improvvisare un comizietto e un brindisi fuori dal loro covo.
Vergognoso che la polizia abbia cercato di strappare dalle mani dei manifestanti lo striscione ‘Brescia è antifascista’ nella città della strage di Piazza della Loggia. lI questore di Brescia, dopo aver consentito un vergognoso corteo di neofascisti, ha deciso di negare il permesso al presidio antifascista e poi di tentare di scioglierlo con la forza.
Ringrazio i nostri compagni Dino Greco e Fiorenzo Bertocchi per la determinazione con cui hanno deciso di disobbedire al divieto immotivato che gli è stato comunicato dalla questura e ai mille antifascisti che hanno partecipato al presidio e al corteo mantenendo la calma e garantendo l’ordine pubblico e la legalità costituzionale senza cedere alle provocazioni.
Chiediamo le dimissioni del questore. Il diritto di manifestare è garantito dalla Costituzione e non va consentito al governo Meloni di limitarlo.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista
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Il discorso del Generale Carmine Masiello, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, pronunciato il 9 novembre 2024, ha suscitato numerosi interrogativi sul futuro dell’esercito italiano e il suo ruolo crescente nella politica interna. Masiello ha affermato che l’esercito non desidera la guerra, ma che la preparazione alla guerra è essenziale per garantire la pace, un concetto che non solo tradisce i principi costituzionali italiani, ma sottolinea una pericolosa visione della forza armata come pilastro della sicurezza e dell’ordine interno. Questo approccio, che implica un esercito sempre pronto ad agire, non solo in scenari di guerra, ma anche per risolvere le crisi interne, segna un cambio di paradigma che merita attenzione.
La proposta di rinominare l’Accademia di Stato Maggiore dell’Esercito in “Scuola di Guerra” è un segnale evidente di un’escalation militare nella visione istituzionale. Non si tratta più solo di una forza di difesa, ma di una forza sempre pronta a rispondere a scenari complessi, interni ed esterni, dove l’esercito potrebbe essere visto come l’attore centrale nel garantire la stabilità. Questo non è solo un cambiamento nell’educazione militare, ma un’apertura a una visione in cui la politica non è più l’unica responsabile nella gestione delle crisi.
Le parole di Masiello, pur non invocando esplicitamente una modifica della Costituzione, rispondono alla logica di un esercito sempre pronto, che va oltre la semplice difesa della patria, con implicazioni che vanno ad intaccare il controllo civile e democratico sulle forze armate. Se l’esercito viene visto come il principale strumento per garantire la sicurezza e la stabilità, è chiaro che si sta minando il ruolo delle istituzioni politiche, sempre più sopraffatte da una crescente influenza militare nelle dinamiche interne. E ciò è tanto più preoccupante se messo in relazione con il rischio di una politicizzazione delle forze armate, che rischia di portare l’Italia verso una deriva autoritaria.
Alla luce dei generali in politica, di questo genere di esternazioni,dei venti di guerra che soffiano forti e della presidenza trump che invita al bilateralismo cercando di affossare, ancora più di quanto non sia già , il rapporto multilaterale delle politica estera USA, impongono una riflessione profonda su quali siano i rischi che stiamo correndo, del destino dei sistemi democratici , del ruolo dell’Unione Europea come possibile rete di protezione. Ricordo le riflessioni di Fabio Mini, che nel suo articolo La Rivincita di Sparta del 2012 evidenziava come il crescente potere militare potesse minacciare la democrazia. Mini parlava di vere e proprie “pulsioni” autoritarie all’interno dell’esercito, e delle pericolose interazioni con le oligarchie economiche, che avrebbero potuto sfociare in un pericoloso intervento militare nella gestione politica del paese. Secondo Mini, le forze armate, pur essendo strutturalmente autoritarie e gerarchiche, sono in grado di farsi protagoniste in tempi di crisi, soprattutto quando la politica civile fallisce nel garantire la stabilità o non sa rispondere ai propri impegni sulla scena internazionale. Mini non metteva in dubbio che l’esercito potesse essere necessario in determinati scenari, ma avvertiva della pericolosità di una politicizzazione delle forze armate, le cui “pulsioni” autoritarie avrebbero potuto emergere se la politica civile avesse perso la sua capacità di governare efficacemente. In un contesto come quello che stiamo vivendo, dove l’esercito sembra acquistare sempre più visibilità e potere, le sue parole risultano estremamente attuali.
Da Vannacci alle parole di Masiello, passando per il DDL Sicurezza, tutti i segnali sembrano indicarci una tendenza inquietante, che va ben oltre la semplice necessità di prepararsi a conflitti esterni. La crescita della militarizzazione della politica interna, insieme all’inasprimento delle pene per chi partecipa a manifestazioni pubbliche e alla possibilità di un intervento delle forze armate nell’ordine pubblico, segnalano un mutamento pericoloso. Questo scenario potrebbe sfociare in un sistema in cui l’esercito e la polizia non sono più semplicemente separati ma diventano strumenti complementari di controllo sociale, mettendo a rischio la libertà di espressione e i diritti civili.
Il DDL Sicurezza 2024, infatti, va nella direzione di un’ulteriore militarizzazione della vita civile. L’introduzione di misure che permettono l’impiego delle forze armate per operazioni di ordine pubblico, oltre alla crescente sorveglianza sociale tramite l’uso dei servizi segreti, ampliano il rischio che il dissenso venga represso con la forza, piuttosto che con il dialogo e la mediazione. L’inasprimento delle pene per i reati commessi durante le manifestazioni, insieme all’espansione dei poteri dei servizi segreti, rappresentano una vera e propria minaccia alla libertà di espressione e alla protezione dei diritti civili. La possibilità che gruppi sociali o politici di opposizione possano essere considerati minacce alla sicurezza è un segnale allarmante, che potrebbe portare alla repressione delle opinioni divergenti e all’imbavagliamento delle voci critiche.
Tutti questi sviluppi si intrecciano con le dichiarazioni del Generale Masiello, che ha affermato la necessità di una preparazione alla guerra per garantire la pace, indicando implicitamente che le forze armate devono essere pronte non solo a difendere il paese ma a intervenire attivamente in scenari di conflitto interno. In altre parole, la crescente enfasi sulla prontezza militare potrebbe aprire la porta a una politicizzazione delle forze armate, con il rischio che queste diventino l’unico strumento per affrontare le crisi politiche e sociali, ignorando i principi costituzionali che separano la politica civile dall’intervento militare.
Da un lato, si promuove una visione bellica delle forze armate, come se la preparazione alla guerra fosse l’unica strada per raggiungere la pace. Dall’altro, il contesto legislativo del DDL Sicurezza fa emergere il rischio di una deriva autoritaria, in cui le forze militari e di polizia si sostituiscono alla politica democratica, reprimendo ogni forma di opposizione.
Le forze democratiche non possono più ignorare questi segnali. La combinazione tra politica e militari, con la crescente centralità delle forze armate nelle scelte politiche interne, costituisce una vera minaccia per la tenuta democratica del paese. Non è più possibile trattare questi sviluppi come se fossero semplici adattamenti alle necessità della sicurezza. Sono i segnali preoccupanti di un cambiamento più profondo, che rischia di minare le basi democratiche e il nostro impegno per una società pacifica e giusta.
Infine, quello che in questo scenario è ancora più preoccupante, è la spinta a ulteriore divisione e frazionamento di quello che a quanto pare dovrebbe invece essere un fronte unito a difesa del difendibile, a salvare quanto ancora è salvabile, e anche in quel caso , che sembra ormai utopico, la battaglia di difesa del sistema democratico sarebbe difficile da combattere . Questo dovrebbe urlare a tutti che è necessario unire tutte le forze sinceramente democratiche per contrastare questa pericolosa evoluzione. L’esercito non deve diventare attore politico, né le forze di polizia e i servizi segreti devono avere il potere di reprimere il dissenso e limitare le libertà civili e non si deve permettere la separazione delle carriere in magistratura fondamento della separazione dei poteri proprio di un sistema pienamente democratico. Se non si interviene ora, potremmo trovarci in un futuro non troppo lontano , in una condizione esistenziale dove la libertà sarà sacrificata sull’altare della sicurezza e dove la democrazia sarà definitivamente sostituita dal controllo autoritario.
IL discorso del Generale Masiello fa eco agli avvertimenti, inascoltati , del Generale Mini in “ la Rivincita di Sparta”, pubblicato su LIMES nel 2012 .
Il discorso del Generale Carmine Masiello, Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano, pronunciato il 9 novembre 2024, ha suscitato numerosi interrogatRifondazione Comunista
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Alla presidente del consiglio Giorgia Meloni che definisce utili le spese militari con argomentazioni assolutamente ridicole rispondono che l’Italia ha bisogno di ospedali che funzionino non di buttare soldi per arricchire la lobby degli armamenti. In realtà Giorgia Meloni dalla demagogia sovranista è passata al ruolo di zerbino di NATO, USA e Commissione europea e quindi deve addolcire la pillola dei tagli necessari a compensare l’aumento delle spese militari che ci vogliono imporre. Se Giorgia Meloni fosse davvero sovranista dovrebbe rispondere in sede internazionale che l’Italia ha una Costituzione che ripudia la guerra e che l’Italia ha una spesa sanitaria molto al di sotto alla media europea e non possiamo permetterci il lusso di buttare soldi per la guerra. La realtà è che Giorgia Meloni fa la voce grossa solo per dare spettacolo sui tg e sui social ma si guarda bene dal difendere i nostri interessi nazionali. Una vera sovranista risponderebbe a Trump, a Rutte e a Ursula von der Leyen che l’Italia può fare a meno della NATO e che in paesi neutrali come l’Austria e la Svizzera si vive benissimo. Almeno Orban ha il coraggio di alzare la voce in Europa, lei sembra un Draghi anzi un Letta con la parrucca. Trump chiede di portare la spesa al 5% del PIL, Rutte al 3, noi non dobbiamo neanche portarla al 2 anzi andrebbe tagliata perché nessun trattato ci impone la militarizzazione del nostro paese. Se Trump vuole uscire dalla NATO ci fa un piacere. Non vediamo l’ora che lascino le loro basi in Italia portandosi i loro ordigni atomici.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista . Sinistra Europea
Acerbo (PRC): cara Meloni utili sono ospedali non spese militari
Alla presidente del consiglio Giorgia Meloni che definisce utili le spese militari con argomentazioni assolutamente ridicole rispondono che l'Italia ha bisognoRifondazione Comunista
Comunicato del circolo di Rifondazione Comunista Tina Costa di Torpignattara:
Stanotte ignoti teppisti fascisti hanno divelto e danneggiato la targa che ricorda il partigiano Clemente Scifoni in Piazza della Maranella e poi sono passati davanti alla nostra casa del popolo in via Bordoni, a cento metri. Hanno strappato la bandiera della comunità LGBT+ e scagliato delle bottiglie di birra contro la vetrata di ingresso senza causare danni importanti.
I rigurgiti fascisti sono legittimati dal dal governo e da alte cariche dello stato. Non si possono derubricare come semplice goliardia atti di vandalismo che hanno una chiara matrice. I fascisti provano fastidio per la memoria della resistenza partigiana, per la presenza dei comunisti sul territorio, per l’organizzazione popolare dal basso che il nostro circolo e la nostra Casa del Popolo di Torpignattara rappresentano. Questa organizzazione popolare si muove e cresce alla luce del sole e non si lascia intimidire da questi atti vigliacchi. Alla riapertura delle scuole distribuiremo un volantino con la storia del partigiano Clemente Scifoni.
Partito della Rifondazione Comunista, circolo Tina Costa di Torpignattara Roma
Dichiarazione di Maurizio Acerbo, segretario nazionale e di Elena Mazzoni, segretaria della federazione di Roma del Partito della Rifondazione Comunista:
“L’attacco vandalico alla targa che ricorda un partigiano e alla nostra sede è un fatto grave che segnala quanto forti siano i rigurgiti fascisti nel nostro paese. A fomentarli è direttamente la destra al governo che da anni cerca di screditare la Resistenza e di delegittimare l’antifascismo. Solidarietà al circolo Tina Costa e alla Casa del Popolo che è un presidio di democrazia, cultura e convivenza tra le comunità nel quartiere”.
A Torpignattara vandalismo fascista contro targa partigiana e Casa del Popolo
Comunicato del circolo di Rifondazione Comunista Tina Costa di Torpignattara: Stanotte ignoti teppisti fascisti hanno divelto e danneggiato la targa che ricordRifondazione Comunista
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Gianluca Schiavon*
Dopo una messe di leggi provvedimento a risposta delle emergenze penali più balzane, il Governo di destra, per mano dei ministri Nordio, Piantedosi e Crosetto, ha perfezionato nel ddl ‘sicurezza’ un corpus organico di norme compiutamente orientato alla repressione dei soggetti che questa maggioranza politica considera persone marginali e potenzialmente contrarie all’interesse dei potenti. L’indirizzo del Governo, finora, è parso incontrastato perché insoddisfacenti sono state le risposte di opposizione. A fronte di decreti-legge tanto bizzarri quanto difficilmente applicabili nell’organizzazione della Giustizia attuale, uno per tutti, quello che ha introdotto il delitto di rave party, le forze sociali parevano impegnate singolarmente a contrastare la puntuale norma liberticida.
La maggioranza ha così sfigurato l’ordinamento con un insieme ampio di norme incostituzionali come la reintroduzione di una disposizione già annullata con la sentenza della Consulta n. 359/2000, vale a dire il reinserimento del pericolo di fuga tra le esigenze cautelari idonee a motivare le misure cautelari per i minorenni nel famigerato decreto Caivano.
Nell’ambito pervasivo dell’amministrazione della Giustizia e dell’ordine pubblico è squadernata la velleità di americanizzazione del governo delle destre; emerge, infatti, l’attacco alle grandi città come luoghi in cui la produzione del valore produce qualche germe di resistenza e persino di contropotere. Non sfugge come siano oggetto di una campagna per la paura e per la reazione alla maniera di Trump tutti i centri urbani: dalle città-porto europee di Genova e Trieste, agli snodi della logistica, all’area metropolitane de-industrializzate milanese e torinese, il territorio smisurato di Roma capitale e delle metropoli del mezzogiorno.
Il disegno di legge sicurezza segna, tuttavia, un momento di discontinuità perché è emerso un fronte unito contro la tattica della destra coagulato da una strategia costituzionale. Un fronte evidentemente composito che va dalla rete dei Negozianti italiani canapa (NIC) ai collettivi studenteschi più radicali, dai Giuristi democratici, alle associazioni del volontariato carcerario, da Articolo 21 ai lavoratori organizzati della GKN. Un fronte meticcio e intergenerazionale, ma, soprattutto, un fronte che attraverso la parola d’ordine ritiro immediato del DDL ha un potenziale ricompositivo di tutte le vertenze attraverso le quali i soggetti sociali declinano il conflitto capitale-lavoro, capitale-ambiente, capitale-corpi e libertà-repressione. Si passa, quindi, forse per la prima volta dopo tanti anni, da un sodalizio tra forze militanti e addetti ai lavori, che ha resistito alla espansione del diritto penale del nemico, a una coalizione tra soggetti diversi nel quale partecipano forze di massa: ARCI, ANPI, CGIL, UIL, sindacati conflittuali, camere penali. Il tornante si è manifestato dopo un apparente periodo di stasi del movimento contro le guerre e gli imperialismi. Pare, infatti, riemerso il movimento dopo essere stato atterrito dalla ineluttabile barbarie della terza guerra mondiale a pezzi nel momento in cui è stato compreso da larghe minoranze europee il nesso guerra mondiale-repressione interna.
Il processo ri-aggregativo non è esauribile nella manifestazione di Roma, ma ha ancora un margine di espansione perché nasce da manifestazioni territoriali e regionali, dagli scioperi, dalle occupazioni di scuole e facoltà, dall’astensione dalle udienze dei penalisti. Sta maturando una risposta, a fronte di un disegno sanzionatorio universale del Governo, altrettanto universale che partendo dalla vita concreta contrappone un modello di liberazione dal comando capitalista e dal bisogno indotto.
Dopo la manifestazione di almeno 50.000 persone a Roma, il procedimento legislativo è continuato con la discussione degli emendamenti nella II Commissione del Senato proposti dalle opposizioni parlamentari, ma il portato di tutte le manifestazioni ha già inciso significativamente: il Capo dello Stato starebbe imponendo – a differenza da ciò che non ha fatto col decreto Caivano – la modifica di tutte le norme più manifestamente incostituzionali. SI tratterebbe di tre gruppi di norme: quelle norme ‘anti-borseggiatrici rom’ che rendono facoltativa la esecuzione della reclusione per le donne incinta o madri di figli fino a un anno e obbligatoria l’esecuzione penale per le madri fino a tre anni, di quella discriminatoria verso il cittadino extraUE per l’acquisto di una sim telefonica e di quelle incriminanti la resistenza passiva nei reati di rivolta carceraria e rivolta in CPR.
La battaglia, tuttavia, non è che all’inizio dal momento che il movimento non può accettare nulla che non sia il ritiro di tutto il ddl, fatto politico difficile, ma non impossibile. A patto di non interrompere la mobilitazione e l’agitazione sui territori per tornare nella capitale il secondo fine settimana di gennaio con un progetto minuto di riflessione e di sabotaggio dei dispositivi del controllo sociale, dunque di ri-soggettivazione delle vite di ognuna e ognuno.
*Responsabile Giustizia, PRC-S.E.
DDL sicurezza (paura) ora viene il bello!
Gianluca Schiavon* Dopo una messe di leggi provvedimento a risposta delle emergenze penali più balzane, il Governo di destra, per mano dei ministri NoRifondazione Comunista
Il tribunale di Palermo ha emanato la sua sentenza assolvendo il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini dall’accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Insomma trattenere in mare, in nome di una oscena propaganda xenofoba 147 persone, per 19 giorni, persone salvate da morte certa, come accadde 5 anni fa quando l’imputato era ministro dell’Interno, non è reato. Forse perché le persone salvate cercavano salvezza in Europa? Attendiamo le motivazioni della sentenza che odorano di arrampicata sugli specchi, ma il segnale è orrendo ed in perfetta linea col ddl 1660. Segna una fine ingloriosa di uno Stato di diritto già ampiamente calpestato in passato ma che oggi si rivela ancor più macabro e crudele. Il potere politico comanda su quello giudiziario quando si tratta di garantire impunità ad un esponente dell’esecutivo. Che ci si mobiliti contro questa ed altre sentenze che probabilmente seguiranno, che ci si schieri dalla parte di quei giudici che non accettano di inchinarsi, di chi continuerà a prestare soccorso in mare. Rifondazione Comunista, come tante altre associazioni, corpi intermedi, realtà di movimento, continuerà a considerare il leader leghista un misero imprenditore della paura di cui presto, la storia di questo Paese si dovrà vergognare
Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Stefano Galieni, responsabile nazionale immigrazione, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
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Ci uniamo alla richiesta di Anpi di vietare il raduno fascista che tutti gli anni viene organizzato a Roma il 7 gennaio per ricordare i fatti di Acca Larentia Non è accettabile che, nel disprezzo assoluto della nostra Costituzione, in un luogo pubblico si permetta a esponenti di organizzazioni neofasciste di manifestare a parole e gesti la loro appartenenza violando anche le leggi scritte in applicazione della XII Disposizione. E’ una vergogna per il nostro paese ed è un affronto per tutti quei giovani, uomini e donne, che si sono battuti nella Resistenza e hanno dato la vita per la libertà e la democrazia. Cosa si aspetta ancora a dichiarare lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste, a partire proprio da Casa Pound che in più occasioni ha manifestato il suo carattere violento, squadrista e antidemocratico? Proprio per questo quattro suoi appartenenti sono appena stati rinviati a giudizio a Napoli. Non stiamo chiedendo al ministro Piantedosi di dichiararsi antifascista, conoscendo la sua riluttanza, ma di svolgere il suo lavoro rispettando la Costituzione antifascista sulla quale ha prestato giuramento. Rifondazione, come tante altre Associazioni, lo sta chiedendo da tempo: le organizzazioni fasciste vanno sciolte immediatamente!
Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Rita Scapinelli, responsabile antifascismo del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
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Non conosce limiti ormai la guerra della destra contro la libertà di espressione e se potessero probabilmente anche contro la libertà di pensiero. Visto che stanno lavorando per criminalizzare qualsiasi libertà.
Dopo gli attacchi a Serena Bortone, agli autori cinematografici, ai giornalisti di Report, a Saviano, dopo la sospensione di Christian Raimo dall’insegnamento per tre mesi, adesso c’è anche la querela per diffamazione (con richiesta pure di risarcimento) del ministro per “l’istruzione e il merito” Valditara contro lo scrittore ed ex direttore del Salone internazionale del libro di Torino Nicola Lagioia e contro il giornalista Giulio Cavalli. Il “ministro dell’istruzione” si è sentito offeso per alcune dichiarazioni di Lagioia e per un articolo di Cavalli perché si sono permessi di ironizzare su un tweet del ministro scritto in un italiano non “eccellente” (“…. Se nelle scuole si insegni approfonditamente la storia…”. Per fare un esempio.
Siamo completamente d’accordo con Lagioia quando dice che “sono atti intimidatori… che creano un clima di paura”, anche perché ad opera di un ministro contro un normale cittadino. Ma questo è esattamente lo scopo di questo governo.
E poiché il tweet di Valditara iniziava dicendo, sempre in perfetto italiano: “Se si è d’accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l’italiano laddove già non lo conoscano bene…”, siamo completamene d’accordo con Lagioia anche quando dice che in Italia ci sono stranieri che padroneggiano l’italiano in maniera splendida e che se dovessero sottoporsi a un test lo supererebbero meglio del ministro.
Attendiamo querela?
Maurizio Acerbo Segretario nazionale
Stefania Brai, Responsabile cultura
Stefano Galieni Responsabile immigrazione
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Antonello patta*
È un’Italia ben diversa dall’immaginario mondo di Giorgia quella che emerge da una serie di rapporti pubblicati ieri dalla Commissione Europea;
I dati, oltre a mettere in evidenza le persistenti fragilità dell’economia italiana alle prese col rischio di una nuova fase di deindustrializzazione, svelano impietosamente cosa si cela dietro i successi occupazionali millantati dal governo delle destre.
Per l’Italia Il confronto su lavoro, salari e occupazione, anche solo con le medie europee, tralasciando i Paesi più virtuosi, è avvilente.
È vero che il tasso di occupazione è cresciuto, anche perché si partiva da una situazione molto arretrata, ma rimane ben 9 punti percentuali sotto la media europea; preoccupante il divario occupazionale tra uomo e donna: 19,5%, il doppio della media Ue; Drammatico il tasso di occupazione nel sud e nelle isole: 25% inferiore ai valori medi del continente; il tasso di giovani che non studiano e non lavorano è del 16,1%, 5 punti peggio della media dei 27.
A spiegare cosa si nasconde dietro il presunto successo del governo concorrono anche i dati forniti da Eurostat che confermano il progressivo calo dei salari italiani certificato da tempo da tutti gli organismi nazionali e internazionali: negli ultimi 15 anni, i salari italiani sono scesi del 6% mentre nella media degli altri paesi europei sono aumentati dell’11%.
La diffusione estrema del lavoro povero rappresenta la causa principale dell’aumento della povertà attestato da Bruxelles che ricorda quanto sia alta nel nostro Paese la quota di popolazione a rischio povertà: il 23%, il 27,1% quella dei bambini, entrambe ben al di sopra delle medie europee.
Negli stessi rapporti sempre a proposito dell’Italia si può leggere: “la percentuale di persone colpite da gravi privazioni materiali e sociali è aumentata, in linea con l’elevata e stagnante quota di persone che vivono in povertà assoluta”, pari al 9,8 per cento nel 2023.
Le ragioni di questa situazione drammatica sono note e rimandano a un sistema economico malato, che perde quote nei settori industriali più avanzati e tiene in comparti come l’edilizia il turismo e il commercio dove notoriamente sono ampiamente diffusi bassi salari, lavoro precario e irregolare come testimoniano i dati europei secondo cui il numero delle persone occupate a tempo determinato in Italia è tra i più elevati d’Europa, più del 15%;
La precarietà lavorativa e la diffusione della povertà secondo l’Europa determinano “la cultura always on”, cioè la disponibilità ad essere attivi 24 ore su 24 come testimonia un sondaggio condotto da Eurofound in Belgio, Francia, Italia e Spagna secondo cui oltre l’80% degli intervistati si è dichiarato disponibile ad accettare di lavorare oltre il normale impegno lavorativo.
Una situazione conseguenza di decenni di leggi che hanno aggravato la condizione delle lavoratrici e dei lavoratori con la diffusione di mille forme di precarietà e lavoro irregolare funzionali a renderli sempre più ricattabili e imporre lavori sottopagati, privi di tutele e diritti e più sfruttamento.
Di fronte a questa situazione aggravata anche dal taglio del reddito di cittadinanza il governo delle destre si comporta come se i drammatici problemi della struttura produttiva del paese non lo riguardassero; vara una finanziaria che non solo non fa nulla per salari, pensioni e redditi dei ceti popolari, ma taglia ancora la spesa pubblica mettendo cinicamente in conto un’ulteriore riduzione dei diritti, dei salari e dei consumi, con la naturale conseguenza di deprimere ancora di più l’economia e aumentare il disagio sociale.
I sovranisti nostrani quando parlano di patria, pensano agli interessi del capitale e dei ceti che si arricchiscono sulle rendite speculative, sull’evasione fiscale e sullo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori.
Solo le lotte potranno restituire dignità al lavoro, diritti e reddito alle cittadine e ai cittadini e arrestare il drammatico declino del Paese.
*Responsabile nazionale lavoro del Prc
“NON È VERO CHE IN ITALIA TUTTO VA BENE!” CE LO DICE L’EUROPA
Antonello patta* È un’Italia ben diversa dall’immaginario mondo di Giorgia quella che emerge da una serie di rapporti pubblicati ieri dalla CommissioneRifondazione Comunista
Si chiamava Giovanni Battista Macciò l’operaio della Culmv morto schiacciato la scorsa notte nel porto di Genova mentre lavorava: un’altra vittima sacrificata al primato del profitto
Non si parli di nuovo di fatale incidente o di non rispetto delle procedure di sicurezza che sono tali solo se reggono in qualsiasi condizione; se non lo fanno, non sono tali e non possono essere usate come scusante, il tappeto sotto cui nascondere turni e doppi turni, cottimi e precarietà, uniti a controlli insufficienti e mancati investimenti sulla sicurezza.
La verità è che anche questa tragica morte è figlia della ricerca del massimo di sfruttamento col minimo dei costi: si sono deregolamentate e privatizzate le banchine, si è spezzettata la gestione del lavoro, si impongono turni e carichi di lavoro che di per sé producono insicurezza e rischi continui per la vita dei lavoratori.
Ora siamo al film già visto della sequela di messaggi di cordoglio farisaici che non durano lo spazio di una giornata; che nel loro susseguirsi nel corso dell’anno senza che nulla cambi davvero, invece che suscitare rabbia e mobiitazione durature contro il sacrificio di vittime sull’altare del profitto, finiscono per produrre un’assuefazione che fa il gioco di politici e governi che il cambiamento non lo vogliono.
Nel dichiarare i nostro più completo sostegno al giusto sciopero dei portuali, alla loro lotta per un lavoro garantito e sicuro, non possiamo non ribadire la necessità di controlli che facciano rispettare le leggi sulla sicurezza esistenti e l’attuazione di nuove norme a partire dall’introduzione nel codice penale del reato di omicidio sul lavoro.
Rifondazione Comunista si stringe attorno alla famiglia e ai colleghi di lavoro di GB Macciò e dell’altro lavoratore rimasto ferito, per il quale auguriamo una rapida guarigione.
Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Gianni Ferretti, segretario della federazione di Genova
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea
PORTO DI GENOVA – BASTA MORTI SUL LAVORO
Si chiamava Giovanni Battista Macciò l'operaio della Culmv morto schiacciato la scorsa notte nel porto di Genova mentre lavorava: un'altra vittima sacrificataRifondazione Comunista
Il Gup ha chiesto il rinvio a giudizio a Napoli per i quattro fascisti di CasaPound che il 23 ottobre del 2023 picchiarono Roberto Tarallo, quasi uccidendolo. La vittima degli squadristi fu aggredita perché sul giubbotto aveva la scritta “sono antifascista” . Gli imputati sono i fratelli Acuto, Palmentano, segretario della sezione Berta di Casa Pound e proveniente da Roma e l’ucraino Taras Abhua, a testimonianza dei legami tra neofascismo e etnonazionalismo banderista. Sono stati ammessi come parti civili lo stesso Roberto Tarallo, assistito dalla nostra compagna avvocata Elena Coccia, l’ANPI, attraverso l’avvocato Maria Giorgia de Gennaro, e il comune di Napoli. Il processo è stato aggiornato al 3 febbraio 2025. Tra i capi di imputazione riguardanti i fascisti di Casa Pound non solo l’aggressione ma anche i reati sanzionati dalla legge Mancino. Ancora una volta siamo di fronte a un partito organizzato sul piano nazionale che si dichiara apertamente fascista e i cui militanti sono responsabili da anni di aggressioni e violenze tipiche dello squadrismo fascista. Quello di Napoli non è l’unico procedimento a carico di squadristi di Casa Pound. Per esempio a Bari è in corso quello per l’aggressione alla nostra ex-europarlamentare Eleonora Forenza e al compagno napoletano Antonio Perillo. Torniamo a chiedere lo scioglimento di Casa Pound e degli altri gruppi neofascisti come imporrebbe la XII disposizione della Costituzione nata dalla Resistenza.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale, Rino Malinconico, segretario regionale e Elena Coccia segretaria di federazione del Partito della Rifondazione Comunista
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Seminari autunno invernali del Partito della Rifondazione Comunista
Care compagne e cari compagni, in conclusione del secondo ciclo dei seminari autunno invernali del Partito della Rifondazione Comunista riportiamo i link diRifondazione Comunista
Si cerca di lasciar passare, in Italia, la giornata del 18 dicembre come una festività consolatoria in cui i bianchi suprematisti dimostrano di voler accogliere anche chi arriva da altri paesi. Una menzogna, si rimuove l’origine di tale giornata. Nella stessa data, ma si era nel 1990, le Nazioni Unite elaborarono una “Convenzione per la protezione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie”.
Un testo lungo e articolato, composto da oltre 90 articoli e tutto sommato moderato. Si limita a garantire i diritti e le tutele fondamentali per chi emigra e lavora, con generici richiami ad una convivenza e ad una parità che oggi paiono rivoluzionari. Non a caso solo i Paesi allora di emigrazione, neanche tutti, ratificarono la Convenzione. Non lo hanno fatto i paesi UE, il Brasile, gli Usa, il Canada, l’India, l’Australia e il Giappone, nemmeno il Sudafrica e i Paesi del Golfo, ovvero quelli in cui si emigra.
Guai a mettere a repentaglio il diritto a sfruttare che un colonialismo che dura da oltre 500 anni, costituisce l’ossatura dell’occidente, intende mantenere. Meglio lasciare che le decisioni – sovente negative e repressive – le prendano i singoli Stati sulla base delle proprie convenienze. E, per parlare di noi, in questi 34 anni si sono susseguiti di ogni colore, orientamento, composizione, ma questa proposta che rappresenta il minimo sindacale, non ha mai trovato l’approvazione di governi e parlamenti.
Il suo ruolo è dimenticato ovviamente anche dall’apparato mediatico che sostiene il suprematismo, pronto a criminalizzare chi emigra e non soddisfa il vincolo di subalternità, ma incapace di fare i conti con una società la cui composizione è profondamente cambiata. Per noi comuniste/i questo non è un giorno di festa ma un giorno di lotta che va tenuta alta per 365 giorni l’anno. Non ci autoassolviamo con la carità pelosa di chi solo oggi si accorge di chi aspira, ad esempio, ad avere cittadinanza, diritto di voto, welfare.
Siamo insieme a chi si rivolta e pretende un futuro diverso. La ratifica di una Convenzione dovrà segnare solo uno dei tanti passi da compiere nel segno di una lotta di classe che riafferma, partendo da ciò, la sua volontà di ricomporre ciò che il capitalismo ha frammentato.
Maurizio Acerbo, Segretario nazionale
Stefano Galieni, Responsabile immigrazione, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
Un nodo mai sciolto: la questione meridionale
I seminari autunno-invernali di Rifondazione - Relatore: Rino Malinconico discussant: Rosa Tavella Raffaele Tecce Gloria Scarlino Lunedì 15 diRifondazione Comunista
Non posso che applaudire all’iniziativa dell’amico e compagno Nicola Fratoianni che ha consegnato a Giorgia Meloni cartoline per la pace in vista del Natale. Condivido ovviamente anche la richiesta di non aumentare le spese militari. Mi permetto di consigliargli che se gli sono avanzate delle cartoline potrebbe donadistribuirle anche agli alleati del PD visto che si avvicina l’ennesima votazione sull’invio di armi all’Ucraina. Sarebbe un fatto positivo se il PD votasse finalmente contro l’invio di armi. Suggerirei anche di mandare una cartolina a Enrico Letta con cui AVS si è alleata alle ultime elezioni politiche invece di partecipare a una coalizione pacifista. Alla festa di Atreju Letta ha sostenuto una proposta gravissima di debito comune e MES per finanziare il riarmo su cui sarebbe doveroso che tutte le forze pacifiste si esprimessero con nettezza.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista
Acerbo (PRC): Fratoianni consegni cartoline pace anche al PD
Non posso che applaudire all'iniziativa dell'amico e compagno Nicola Fratoianni che ha consegnato a Giorgia Meloni cartoline per la pace in vista del Natale. CoRifondazione Comunista
Enrico Letta ha letteralmente consegnato nel 2022 il governo a Giorgia Meloni rompendo con il M5S in nome della fedeltà assoluta alla NATO e all’agenda Draghi.
Ora ricompare alla festa di Atreju con una proposta indecente per esaudire le richieste della NATO di portare la spesa militare al 3% del PIL.
Non contento dei danni che ha fatto da Presidente del Consiglio con i tagli alla sanità e da segretario del PD con il sostegno forsennato alla guerra, Enrico Letta ora propone di utilizzare il MES e fare “debito comune” per aumentare la spesa militare.
Mentre Cgil, Uil e sindacati di base scioperano per chiedere più investimenti per la sanità e lo stato sociale non per le armi, l’ex-segretario del PD propone di sostenere la corsa agli armamenti.
Se in Italia metà della popolazione non vota è anche perché con la nascita del PD gente come Letta, che in Francia starebbe con Macron e in Germania nel partito di Ursula von der Leyen, è stata presentata come la sinistra.
Quelli come Letta sono i migliori alleati di Giorgia Meloni.
Letta è uno dei rappresentanti di quella “Europa reale” che ha portato l’Europa dalla pace alla guerra e dal modello sociale al mercato asociale creando le condizioni sociali e culturali per la crescita dell’estrema destra.
Una vera sinistra e il cattolicesimo democratico che si ispira a Papa Francesco non hanno problemi a unirsi per chiedere che il debito comune si faccia per finanziare la sanità, lo stato sociale, le pensioni, la lotta alla povertà, la riconversione ecologica, la ricerca, l’istruzione, la cultura, l’industria farmaceutica pubblica, la creazione di lavoro in Europa.
Il neoliberismo e l’oltranzismo guerrafondaio di quelli come Letta portano invece assai lontano dalla via maestra della Costituzione.
Sorge un dubbio: ma Letta lavora per Meloni o entrambi sono al servizio degli Stati Uniti qualunque sia l’amministrazione?
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
Acerbo (Prc): ma Letta lavora per Meloni? Sicuro non per la Costituzione
Enrico Letta ha letteralmente consegnato nel 2022 il governo a Giorgia Meloni rompendo con il M5S in nome della fedeltà assoluta alla NATO e all'agenda Draghi.Rifondazione Comunista
Bisogna risalire al ventennio fascista per trovare leggi come il Ddl paura che criminalizza i diritti, il dissenso e tutte le minoranze, così come bisogna risalire al ventennio fascista per trovare esponenti del governo che minacciano apertamente giornalisti e promulgano leggi a limitazione della libertà di stampa. E bisogna risalire al ventennio fascista per trovare un ministro della cultura che interviene nel merito del linguaggio della produzione artistica e culturale e decide quali contenuti deve avere. Secondo il nuovo ministro Giuli: la destra è sicurezza, è legalità, è ordine anche nei conti pubblici, è meritocrazia Dopo anni di disordine in cui si mescolava un cinema stellare a posizioni di rendita il governo di destra e centro si è incaricato di mettere ordine . noi partecipiamo al rischio di impresa ma con ordine, creando selezioni e norme rigorose”. E ancora: È evidente che c’è bisogno di dare anche un segno identitario: vi siete mai chiesti perché non c’è mai stata una fiction su Fabrizio Quattrocchi?… Creare un nuovo immaginario significa creare sfere di autoriconoscimento, non il film iraniano con la cinepresa fissa sull’erba che cresce. Occorre riattivare le nostre radici, attingere a quelle profonde e rappresentarle”.
Da quando, se non sotto una forma di regime, è compito dello Stato creare un nuovo immaginario? Da quando lo Stato invece che sostenere quella produzione culturale e artistica che con i soli meccanismi del mercato non vedrebbe mai la luce, partecipa al rischio di impresa? E da quando, se non sotto una forma di regime, lo Stato decide cosa la produzione artistica deve rappresentare?
Rifondazione comunista sarà a fianco dei lavoratori della cultura e dell’informazione in tutte le battaglie contro ogni tentativo di censura e ogni forma di ingerenza nella libertà di espressione.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Stefania Brai, responsabile cultura del Partito della Rifondazione Comunista
LAURA TUSSI
Relazione riassuntiva dell’incontro di presentazione dell’Annuario “Agorà” del Liceo scientifico G. Ferraris di Varese: “Il coraggio della memoria e la storia europea del ‘900″
All’interno della comunità educante, il ruolo dei testimoni e la trasmissione della memoria: scuola e giovani generazioni contro ogni forma di militarismo e di irruzione dell’esercito nella vita formativa e educativa
I cultori della storia, gli insegnanti, gli educatori, i testimoni degli eventi devono mantenere il rapporto con il concreto relazionarsi delle comunità, con la testimonianza dei singoli, ma anche, in una prospettiva di trasformazione delle memorie, in un tessuto storico e sociale robusto, che confluisca in progetti e consista in una fonte di energia e di riflessione per le nuove generazioni.
Questo passaggio dal ricordo, dalla narrazione alla memoria, alla storia, alla riflessione è un processo che deve avvenire tramite il contributo della scuola e di tutti i suoi attori formativi che devono agire perché l’esercito non devasti le menti delle nuove generazioni con la sua prepotente irruzione in tutti gli ambiti della società
Un istituto educativo non concepito meramente come domicilio, insieme di persone, ma come una comunità di studio, contesto di comunità educante intesa nel senso e significato culturale di progettazione di idee e di confronto; perché l’attenzione e dimensione specifica dell’istituto scolastico consiste nella trasmissione culturale, lavorando, interagendo con le nuove generazioni, attraverso il metodo, lo strumento, la modalità ultima, pedagogica dell’impegno culturale, educativo del confronto, dell’interscambio di progetti e di idee e costruzione, elaborazione collettiva di basi valoriali.
La memoria della Resistenza Partigiana Antifascista: per dignità. Non per odio.
Il ruolo dei testimoni per tramandare la storia contemporanea
Il rapporto “memoria e testimonianza” è l’importante filo rosso educativo come il riferimento all’aspetto di documentazioni di studio e ricerche, elaborate, a diversi livelli, sia come eco di studi e indagini qualitative a livello nazionale (CEDEC, ANED, ANPI), sia di progetti di ricerca, attività di studio e documentazione, intrapresi dalla scuola, da insegnanti e da esperti e tecnici di settore.
Dunque veramente la scuola diventa comunità di ricerca, dove gli studiosi sono operatori sociali, insegnanti, impegnati a livello storico non avulso e disancorato dal territorio circostante, dal sistema formativo: educare non è militarizzare
Per questo i progetti di recupero storico si intraprendono in interazione con i vari enti ed agenzie educative operanti nell’ambito territoriale stesso, dove la comunità scolastica si apre al sistema formativo nella sua complessità ed auspicabile integrazione.
E’ deleterio fare accedere nelle scuole e nelle università l’esercito, i soldati, con la militarizzazione degli istituti. Ma è doveroso aprire ai partigiani e ai testimoni indiretti del significato di Antifascismo e di tutto quello che di nefasto e negativo comporta e rappresenta il periodo fascista e la militarizzazione degli istituti formativi e educativi, come sta avvenendo attualmente
Pertanto i ricercatori si trovano ad operare utilizzando ed animando pedagogicamente le agenzie educative, dalle biblioteche, agli oratori, al volontariato associazionistico culturale, pubblico e privato, in prospettive auspicabili e realizzabili positivamente, di senso compiuto, perché prodotto di interazione tra parti, per un passaggio di idee e un’intermediazione effettiva, efficiente ed efficace. La voce culturale e la memoria che scaturisce e si raccoglie nella scuola, attraverso di essa deve poi avere un suo deposito, un simbolo, una rappresentazione, senza essere lasciata solo al ricordo delle persone intervistate, dei testimoni o dei ricercatori, per cui si approntano i documenti in opuscoli, ingenti annuari, manuali di storia locale.
Seminare e diffondere valori, per ottenere un seguito di idee, retaggi di memorie significative nel tessuto sociale. Non militarizziamo la società! Vogliamo la pace con il tramite della memoria storica
I punti cardinali sono il ruolo educativo dei testimoni nella formazione e tradizione di una memoria collettiva di esperienze e documenti recuperati, considerando le figure pedagogiche dei testimoni e le questioni salienti dei processi di partecipazione: come partecipare, rendere partecipi a tali esperienze, tradotte in testimonianze, le giovani generazioni. Come passare e tramandare la memoria è il nodo del rapporto di formazione nella interazione tra memoria e storia, tra testimonianze e fonti di diverso tipo, per chiudere un cerchio ideale per giungere ad una trama di storia da proporre ai nostri giovani.
Il rapporto memoria e storia
I partigiani ammettono che è importante la memoria, perché aiuta a superare situazioni anche estremamente difficili collegate alle vicende, agli avvenimenti ed eventi inerenti la conquista della democrazia, vissuti in prima persona dagli ormai anziani e quasi tutti scomparsi testimoni per motivi biologici e anagrafici.
La memoria della Resistenza costituisce un ingente patrimonio morale, culturale, etico, da difendere e valorizzare perché, purtroppo, molte volte viene dimenticato, ignorato, in quanto rischia, sottovalutato di importanza, di cadere in oblio. Per cedere il posto alla violenza e a varie forme di violentismo e odio militare
Nella società italiana, insieme alla complessa memoria storica di quel periodo caratterizzato dalla lotta, dalla guerriglia partigiana di dignità, nella Resistenza, nel ripudio fascista alle leggi, alle regole, ai dettami di violenza e odio e disprezzo e prevaricazione del regime autarchico, la Resistenza ha portato il nostro Paese ai principi cardine della Costituzione e all’identità di Repubblica: questo non dobbiamo dimenticare. Sono valori sacri che devono essere portati a conoscenza e trasmessi soprattutto alle giovani generazioni per far comprendere il senso del sacrificio, l’impegno, le lotte per rivendicare la libertà, condotte per la democrazia, con la conseguente deportazione di parte del popolo italiano, militante nel movimento antifascista, nei campi di concentramento e sottocampi di sterminio e centinaia di migliaia di morti conoscenti, amici, compagni, partigiani, donne, bambini senza nome, senza età, senza sesso, senza più identità e dignità, ridotti a larve umane senza volto.
Oggi dobbiamo ricordare questo passato di terribile vergogna, di violenza e odio per impedire che il danno possa rivivere, ripresentificarsi, reiterarsi nella vita morale e politica del nostro Paese. Per questo dobbiamo impedire la militarizzazione della società. Impedire che l’esercito entri nel vasto mondo della formazione e dell’educazione
Anche nell’ultima campagna elettorale ANPI ed ANED hanno apportato l’esempio, con la loro fattiva presenza, dell’impegno, nell’importanza del ricordare e tramandare la memoria storica e il significato che rappresenta la militanza del popolo nella società italiana per la conquista della democrazia e della libertà. L’impegno fondamentale contemporaneo di tutte le forze politiche, morali, sindacali, culturali deve consistere nella difesa dei valori della Costituzione, il che significa mantenere fede al sacrificio di più di 65 milioni di uomini e donne, giovani e anziani, annientati e sacrificati per difendere la libertà, la democrazia a vantaggio delle giovani e future generazioni, durante la Seconda Guerra mondiale.
Lo spirito dell’antifascismo e l’anelito della Resistenza è ancora in gran parte presente nella coscienza della società, del popolo a livello associazionistico e di volontariato culturale per la pace contro la militarizzazione dei contesti sociali
Occorre tenere presente e far rivivere la memoria storica, ma soprattutto nell’impegno della difesa della Costituzione Repubblicana, che per il popolo italiano assume importante significato di libertà, democrazia, giustizia sociale: la nostra Costituzione è una delle più avanzate in tutta Europa e nel mondo. Per questo motivo le nuove generazioni devono conoscerla e rispettarla in un continuo rapporto dialogico con la memoria storica.
La generazione della Resistenza, che è sopravvissuta alla guerra, ha voluto testimoniare, tramandare le vicende, gli avvenimenti, mostrando così una grande attenzione nei confronti dei giovani per educarli alla pace in contrapposizione all’odio e al conflitto armato
Ma le generazioni intermedie dell’Italia Repubblicana hanno sicuramente subito un’interruzione di memoria. Improvvisamente ci si è resi conto di quanto fosse difficile coniugare la memoria individuale e collettiva con l’interpretazione e la narrazione storica che ha aperto nuovi problemi agli insegnanti, sfide innovative alla scuola.
Secondo Norberto Bobbio, il mestiere dell’insegnante è contemporaneamente terribile ed affascinante: terribile per le responsabilità che comporta; affascinante perché stabilisce il dialogo con le giovani generazioni, con il nuovo, il futuro, tra differenti contesti epocali e diverse identità sociali formatesi nell’evoluzione dei tempi
Per questo risulta un mestiere estremamente difficile. Gli insegnanti, tra gli intellettuali, sono coloro che più di tutti esercitano direttamente la funzione dell’autodidatta, perché molto spesso devono adattarsi a cambiamenti decisi altrove e studiare, intervenire ed aggiornarsi o meglio autoaggiornarsi per educare alla pace.
L’insegnante ha la responsabilità di ripudiare il militarismo come arma di formazione. Perché il militarismo è la fonte di tutti i mali e del male oscuro assoluto che è la guerra. Dobbiamo fare rispettare gli articoli di pace della Costituzione Repubblicana che è la più progressista e avanzata e innovativa del mondo
Il coraggio della Memoria. Educare non è militarizzare
LAURA TUSSI Relazione riassuntiva dell’incontro di presentazione dell’Annuario “Agorà” del Liceo scientifico G. Ferraris di Varese: "Il coraggio dRifondazione Comunista
Oggi saremo in piazza al corteo contro il DDL Nordio/Piantedosi che costituisce un corpo organico di norme orientate a reprimere e criminalizzare la protesta sociale. È una legge fascistissima che sarà usata per impedire che il popolo italiano in futuro torni a difendere i propri diritti come fanno i francesi. È una legge contro lavoratrici e lavoratori, cittadine e cittadini che se oseranno bloccare una strada per difendere
l’ospedale o il posto di lavoro saranno trattati come criminali mentre si fabbricano leggi a favore dei tangentisti e degli immobiliaristi. Col record di suicidi in carcere degli ultimi trent’anni non si pensa a renderle civili, ma si introduce il delitto di rivolta carceraria. Siamo stati e saremo in tutte le mobilitazioni contro un sistema di repressione pervicacemente anticostituzionale: il DDL sicurezza, o meglio paura, non deve essere approvato al Senato né così né con qualche modifica stilistica.
La protesta, la dialettica e il dissenso sono parte fondante e irrinunciabile della democrazia.
Questa deriva autoritaria disegnata da Piantedosi e dal governo Meloni va assolutamente fermata.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Gianluca Schiavon, responsabile giustizia Partito della Rifondazione Comunista
L’attacco della destra a Sigfrido Ranucci e a Report è l’ennesima conferma dell’intolleranza autoritaria che caratterizza il governo Meloni. Vogliono ridurre la RAI a un’emittente di regime e evidentemente non tollerano le inchieste di Report come ieri Berlusconi non tollerava Santoro, Biagi, Luttazzi e Travaglio. E sono talmente arroganti da dare pubblicamente ordini al servizio pubblico radiotelevisivo.
Togliere la tutela legale ai giornalisti di una trasmissione di inchiesta come Report significa impedire di fatto alla redazione di lavorare. Punire Ranucci togliendogli il grado di vicedirettore è una ritorsione inaccettabile da parte di un ceto politico che troppi sdoganano come post-fascista. Controllano la RAI, grazie alla legge vergognosa del PD di Renzi, hanno dalla loro parte Mediaset, ma non gli basta.
Solidarietà a Ranucci e a Report.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Stefania Brai, responsabile cultura del Partito della Rifondazione Comunista
Prc: solidarietà a Ranucci e Report
L'attacco della destra a Sigfrido Ranucci e a Report è l'ennesima conferma dell'intolleranza autoritaria che caratterizza il governo Meloni. Vogliono ridurre lRifondazione Comunista
FabioTurco
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