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SALMO - 97 (96)


LA GLORIA DEL SIGNORE

1 Il Signore regna: esulti la terra, gioiscano le isole tutte.

2 Nubi e tenebre lo avvolgono, giustizia e diritto sostengono il suo trono.

3 Un fuoco cammina davanti a lui e brucia tutt'intorno i suoi nemici.

4 Le sue folgori rischiarano il mondo: vede e trema la terra.

5 I monti fondono come cera davanti al Signore, davanti al Signore di tutta la terra.

6 Annunciano i cieli la sua giustizia, e tutti i popoli vedono la sua gloria.

7 Si vergognino tutti gli adoratori di statue e chi si vanta del nulla degli idoli. A lui si prostrino tutti gli dèi!

8 Ascolti Sion e ne gioisca, esultino i villaggi di Giuda a causa dei tuoi giudizi, Signore.

9 Perché tu, Signore, sei l'Altissimo su tutta la terra, eccelso su tutti gli dèi.

10 Odiate il male, voi che amate il Signore: egli custodisce la vita dei suoi fedeli, li libererà dalle mani dei malvagi.

11 Una luce è spuntata per il giusto, una gioia per i retti di cuore.

12 Gioite, giusti, nel Signore, della sua santità celebrate il ricordo.

_________________Note

97,1 In continuità con i salmi precedenti, anche questo inno proclama la regalità di Dio. Essa viene presentata, da una parte, mediante una teofania, cioè una sua particolare e grandiosa manifestazione, che la Bibbia solitamente collega con i fenomeni atmosferici (nubi, tenebre, fuoco, folgori, vv. 2-4); dall'altra, mediante la gloria del tempio sul monte Sion, dove Dio appare nella pienezza della sua regalità.

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Approfondimenti


Dio è luce e gioia per i giusti Inno della regalità del Signore (JHWH)

Il salmo celebra la regalità del Signore che appare nella poderosa teofania della tempesta cosmica (cfr. Sal 18,8; 29;96). Per la versione greca dei LXX il Sal 97 è un prolungamento ideale e logico del Sal 96, e vi sono motivi che possono giustificare l'ipotesi. Tra l'altro, essi sono ambedue di carattere antologico, hanno per tema centrale la regalità del Signore, si aprono a un panorama universalistico-escatologico, sono ambedue postesilici, e hanno inoltre come sfondo il tempio celeste e quello terrestre. Il campo semantico prevalente nel Sal 97 è spaziale, giudiziario ed esprime la gioia, che come l'atmosfera avvolge tutto l'inno. Strutturalmente il Sal 97 è stretto da un'inclusione data dal verbo «gioire» (śmḥ) presente nei vv. 1 e 12 e anche nel v. 8. Inoltre tra il v. 7 e 9 c'è un'altra inclusione data dall'espressione «tutti gli dei» (kōl-’elōhîm). Gli accenti nel TM sono per lo più 3 + 3.

Divisione:

  • vv. 1-6: la teofania cosmica;
  • vv. 7-9; la reazione degli idoli e dei loro adoratori;
  • vv. 10-12: la reazione dei fedeli.

v. 1. «Il Signore regna»: per l'acclamazione della regalità del Signore in apertura del salmo cfr. Sal 93,1 e 99,1. «esulti... gioiscano le isole tutte»: si esprime nel contempo l'effetto gioioso della regalità di Dio e la speranza che essa venga riconosciuta da ognuno per goderne i benefici. «le isole tutte»: in senso diretto sono le isole del Mediterraneo, ma per estensione anche i lidi stessi delle terre che si affacciano su questo mare. L'espressione, usuale nel Deutero e Tritoisaia (42,4.10.12; 51,5; 60,9; 66,19; cfr. Sal 72,10), indica l'universalità della salvezza.

vv. 2-5. Si descrive l'apparizione del Signore re nel mondo con le immagini di una teofania, ispirata fondamentalmente a quella del Sinai (Es 19,16-20), ma cfr. Sal 18,8-16; Sal 29. Gli sconvolgimenti atmosferici celesti (vv. 2-4) e terrestri (terremoti) (v. 5) esprimono la trascendenza e l'onnipotenza di Dio.

v. 2. «giustizia e diritto»: sono personificazioni delle virtù presenti nella teologia dell'alleanza e nel culto. Si riproduce qui il Sal 89,15 ove esse figurano come damigelle che sorreggono il trono del Signore.

v. 3. «Davanti a lui cammina il fuoco...»: anche il fuoco è personificato. Simboleggia la potenza travolgente di Dio che «brucia» i suoi nemici; cfr. Sal 18,9; 50,3; Is 10,17.

v. 5. «I monti fondono come cera...»: per l'immagine cfr. Mic 1,3-4. «Signore di tutta la terra»: per l'appellativo indicante il potere universale di Dio, cfr. Mic 4,13; Zc 4,14; 6,5.

v. 6. «I cieli annunziano...»: all'invito a gioire rivolto a tutti del v. 1 corrisponde un'acclamazione estasiata che è anche una professione di fede corale e, nello stesso tempo, motivazione dell'invito iniziale. Parafrasando, il salmista sembra esclamare stupito: «Davvero la regalità del Signore si manifesta e tutti possono contemplare la sua gloria!». Il versetto nel TM è basato sull'assonanza e riporta due verbi esprimenti la fede storico-narrativa d'Israele: «annunziare» (ngd) e «contemplare, vedere» (r’h); cfr. Sal 19,2-5; 50,6.

vv. 7-9. Davanti alla maestà di Dio e alla sua regalità, il pensiero del salmista non riesce a comprendere l'insensibilità degli adoratori degli idoli e reagisce scagliandosi contro entrambi.

v. 7. «idoli»: questi sono chiamati nello stesso versetto ’ēlohîm (dei) e ’elîlîm (nullità) con un gioco di parole come nel Sal 96,5. «si prostrino»: la forma verbale originale ha valore di imperativo e di perfetto. I due sensi che ne scaturiscono sono complementari. Per l'immagine cfr. 1Sam 5,1-6.

v. 10. «voi che amate il Signore»: alla lett. «amanti di JHWH». Nel testo ebraico è posto in stato enfatico all'inizio del versetto. I verbi «amare» e il suo contrario «odiare» (verbi di carattere antitetico) stanno insieme nello stesso versetto.

v. 11. «Una luce si è levata...»: il riferimento è al Signore che è «luce» (’ôr) che dà «gioia», cfr. Is 9,1-2; 58,8.10; 60,1-2; Sal 112,4.

v. 12. «suo santo nome»: alla lett. «memoriale della sua santità» (cfr. Sal 96,2; 106,47; Es 3,15). È citato il Sal 30,5. E così nei vv. 10-12 riecheggia il vocabolario teologico dell'alleanza. Il salmo si chiude con ottimismo, gioia e fiducia nella signoria di Dio.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Per una pedagogia applicata

La pedagogia riduce la distanza tra i limiti soggettivi e le possibilità reali. La sua materia è l’educazione, il suo strumento l’apprendimento, la sua natura la sintesi e il suo fine è evolutivo.

È il luogo dell’altro, dove gli opposti si combinano e si trasformano grazie a un terzo elemento che svolge funzioni generative, dialogiche e unificanti.

È una disciplina pratica, perché valuta con metodo i suoi risultati. È riflessiva, perché vive della ricerca di senso. È scientifica, pur dichiarando la sua dipendenza da osservazioni soggettive.

È micro, perché si radica nelle soggettività individuali, e macro, perché pervade la società, attraversando persone, organizzazioni, cultura, economia e istituzioni.

Mi occupo di pedagogia applicata per nutrire un cambiamento generativo e positivo, credendo in un approccio educativo agile e gentile, mai debole né direttivo.

È un apprendimento continuo, un destino che si rinnova.


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11 Maggio 2025 - Festa della mamma


Giornata un po' del cazzo, ho fatto poco e niente e non mi sento nemmeno riposato. Avrei voluto dormire, ma qua il rispetto non sembra sia cosa conosciuta. Ho appena fatto bere la mia cagnolina nel bidet. Penso che da stasera non fumerò più. Le siga le ho finite prima al bar e non le ho comprate, domani non avrò modo di farlo, salvo scendere appositamente e vorrei non farlo. Penso sia abbastanza facile, l'ho fatto già in passato, non mi sento bloccato e so che starò meglio già un paio di giorni dopo aver smesso, anzi, già dopo qualche ora ritorna il fiato di prima. Sono anche a dieta. Se riuscissi a riprendere regolarmente con lo sport e regolarizzare anche il sonno sarei un ninja.

Sono nervoso comunque, non per il fumo onestamente, perchè non c'è rispetto. Cioè le ho detto che mi fa male la fottuta testa e lei fischia, canticchia, me sei una stronza irrispettosa. Certe volte me ne vorrei andare istantaneamente. Ma è la festa della mamma ed onestamente mi sembra poco carino litigare anche oggi, lo faremo domani.

Adoro stare da solo, ma odio stare solo. Surreale. Mi piace il silenzio, il chill che posso godermi quando non c'è nessuno intorno. Posso fare le cose con i miei tempi e non avere pressioni esterne. Il tempo sembra dilatarsi. Però allo stesso tempo, se non mi sento impegnato inizio a sentirmi solo e vorrei che ritornassero a casa.

Sono molto stanco, ieri ho fatto una escursione che mi ha stancato e poi un compleanno, non sono riuscito a riposarmi a sufficienza stanotte e non mi è stato concesso oggi pomeriggio perchè si doveva passare l'aspirapolvere.

Non sto al top oggi, mi sento un po' un mezzo straccio. Vorrei che la giornata finisse ma ho cenato e quindi ora non posso mettermi a letto se no mi viene il reflusso, ma onestamente non volevo cenare e lei mi ha tentato... me ne devo andare da questa casa. Ma non posso, prima di tutto perchè non me lo posso permettere e poi perchè il mio cane ha bisogno di spazio e non saprei come fare onestamente, in più non vorrei lasciarla da sola... forse dovrei o portarmela più frequentemente dietro, ma è un cane reattivo. E' una situazione del cazzo. Sono ad una impasse.


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Esplorando i Mondi di Dragon's Dogma 2: Biomi e Ambientazioni Uniche


Dragon's Dogma 2 si preannuncia come una delle avventure più affascinanti del panorama videoludico odierno, offrendo ai giocatori un'esperienza immersiva attraverso una vasta gamma di biomi e ambientazioni. In questo articolo, esploreremo i diversi tipi di ambienti presenti nel gioco, ciò che lo rende unico rispetto ad altri titoli e come si confronta con le esperienze offerte da altri giochi di ruolo e d'azione.

Deserto Infernale di Dragon's Dogma 2: Un vasto deserto sabbioso con dune ondulate e un'oasi verde in lontananza.

Varietà di Biomi e Ambientazioni


Dragon's Dogma 2 si distingue per la sua eccezionale varietà di biomi, ognuno dei quali offre sfide uniche e paesaggi mozzafiato. I giocatori possono esplorare:

  • Foreste Incantate: Lussureggianti e misteriose, queste foreste sono popolate da creature magiche e nascondono segreti antichi. Gli alberi secolari e la vegetazione rigogliosa creano un'atmosfera immersiva, ideale per avventure epiche.
  • Montagne Impervie: Vette innevate e sentieri impervi caratterizzano queste aree, offrendo scenari spettacolari e combattimenti intensi contro nemici che sfruttano l'altitudine e il terreno difficile.
  • Deserti Infernali: Territori aridi e sabbiosi, dove le tempeste di sabbia e le oasi nascoste rappresentano sia pericoli che opportunità. Questi ambienti mettono alla prova la resistenza del giocatore e la capacità di navigare in condizioni estreme.
  • Città Medievali Vivaci: Ambientazioni urbane ricche di dettagli architettonici e vita quotidiana, dove i giocatori possono interagire con NPC, completare missioni secondarie e immergersi nella cultura del mondo di gioco.
  • Sotterranei Oscuri: Reti di caverne e dungeon pieni di trappole, tesori nascosti e mostri pericolosi. Questi ambienti richiedono strategia e preparazione per essere esplorati con successo.
  • Spiagge Tropicali: Rilassanti e affascinanti, le spiagge offrono un contrasto con le altre aree più ostili, permettendo momenti di tranquillità e bellezze naturali.

Spiaggia Tropicale Rilassante di Dragon's Dogma 2: Spiaggia paradisiaca con acque cristalline, palme e sabbia dorata sotto un cielo soleggiato.

Elementi Unici di Dragon's Dogma 2


Ciò che rende Dragon's Dogma 2 veramente speciale è l'integrazione di questi biomi in un mondo dinamico e interconnesso, dove ogni ambiente influisce sul gameplay e sulla narrazione. Alcuni aspetti distintivi includono:

  • Sistema di Giorno e Notte Dinamico: Il ciclo giorno-notte non solo altera l'estetica degli ambienti, ma influisce anche sul comportamento dei nemici e sulle missioni disponibili, offrendo una varietà di esperienze a seconda del momento in cui si esplora il mondo.
  • Interattività Ambientale Avanzata: I giocatori possono interagire con l'ambiente in modi innovativi, come abbattere alberi per creare passaggi o utilizzare elementi naturali a proprio vantaggio durante i combattimenti.
  • Ecosistemi Viventi: Gli ambienti ospitano una fauna e una flora reattive, che contribuiscono a un senso di vita e realismo. Ad esempio, alcune creature possono migrare o reagire alle azioni del giocatore, influenzando l'equilibrio dell'ecosistema.
  • Narrativa Ambientale: La storia si intreccia profondamente con gli ambienti, con ogni bioma che racconta una parte della lore del gioco attraverso monumenti, resti di civiltà passate e leggende locali.

Foresta Incantata di Dragon's Dogma 2: Un'immagine lussureggiante di una foresta magica con alberi secolari e luce filtrata attraverso le chiome.

Confronto con Altri Titoli


Quando si confronta Dragon's Dogma 2 con altri giochi di ruolo e d'azione, emergono alcune differenze chiave che lo distinguono:

  • Open World Dinamico: Mentre molti giochi offrono mondi aperti, Dragon's Dogma 2 si distingue per la sua interattività e reattività. Ogni scelta del giocatore può avere un impatto tangibile sull'ambiente, creando un'esperienza personalizzata e unica.
  • Sistema di Combattimento Innovativo: Il combattimento in Dragon's Dogma 2 combina elementi di azione in tempo reale con tattiche strategiche, permettendo ai giocatori di sfruttare l'ambiente circostante in modi creativi, come utilizzare il terreno per copertura o manipolare gli elementi naturali.
  • Focus sul Multiplayer Cooperativo: Sebbene molti giochi integrino il multiplayer, Dragon's Dogma 2 lo fa in maniera organica, permettendo ai giocatori di collaborare e affrontare sfide ambientali insieme, arricchendo l'esperienza di gioco attraverso la cooperazione.
  • Profondità della Lore: La narrazione di Dragon's Dogma 2 è arricchita da una lore complessa e dettagliata, che viene esplorata attraverso l'ambiente stesso. Altri giochi potrebbero raccontare la loro storia principalmente attraverso cutscene o dialoghi, mentre qui la storia emerge dall'esplorazione e dall'interazione con il mondo.

Sotterranei Oscuri e Misteriosi di Dragon's Dogma 2: Interno di un dungeon oscuro con stalattiti, trappole e mostri in agguato.

Esperienza Visiva e Sonora


Un altro aspetto che rende Dragon's Dogma 2 unico è la qualità grafica e sonora, che si combina per creare un'atmosfera immersiva e coinvolgente. I dettagli visivi dei biomi sono curati meticolosamente, con texture realistiche e effetti di luce che variano dinamicamente in base alle condizioni ambientali. La colonna sonora, invece, si adatta al contesto, passando da melodie epiche durante le battaglie a toni più tranquilli nelle aree di esplorazione pacifica.

Vetta Innevata nelle Montagne di Dragon's Dogma 2: Panoramica mozzafiato di montagne coperte di neve con sentieri impervi e cielo azzurro.

Impatto sul Gameplay


La varietà di ambienti in Dragon's Dogma 2 non è solo estetica, ma influisce direttamente sul gameplay. Ad esempio, le foreste dense possono nascondere trappole o nascondigli per i nemici, mentre le montagne offrono percorsi stretti che richiedono una pianificazione attenta per essere attraversati. I deserti, con le loro condizioni climatiche estreme, impongono ai giocatori di gestire le risorse in modo efficiente per sopravvivere. Inoltre, la presenza di diverse fazioni e culture all'interno dei vari biomi arricchisce l'interazione del giocatore con il mondo, offrendo missioni uniche e alleanze strategiche che influenzano l'evoluzione della trama.

Città Medievale Vibrante in Dragon's Dogma 2: Strade affollate di una città medievale con edifici dettagliati e mercanti ambulanti.

Conclusione


Dragon's Dogma 2 promette di essere un titolo di grande impatto nel genere dei giochi di ruolo e d'azione, grazie alla sua vasta gamma di biomi e ambientazioni che offrono esperienze di gioco diversificate e coinvolgenti. La combinazione di un mondo dinamico, interattivo e ricco di dettagli lo rende un'avventura imperdibile per i fan del genere e per chiunque cerchi un'esperienza di gioco profonda e personalizzata. Rispetto ad altri titoli, Dragon's Dogma 2 si distingue per la sua capacità di integrare narrazione, gameplay e ambientazione in modo armonioso, creando un mondo vivo e pulsante che invita all'esplorazione continua.


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[escursioni] [filtri]

[esclusioni]fanno degli allineamenti si] allentano doppi fari alluminici doppie rastrelliere il] paese carico scarico in mezzo alle doppie] camere kirlian automunito danno] solo un minuto il monitor] sottopelle sottoposto sparite le scorte i] [mozziconi la stanza] sfoderabile dopo [servizio a secco] senza l'estate napalm i] travel test you have returned from [crossing from -optional scariche] elettriche coronali


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NELLA VALIGIA (NOTE DI VIAGGIO)

(a cura di Luca Rossi)

(il chi-siamo-dove-andiamo:

dove la mente

s'inlabirinta)

l'io

vestito di nebbia

promesso alla morte –

(nella valigia pronta la perdita

originaria la vita a

metà)

risucchiato come da un tunnel…

attraversato

da flutti di luce

destinazione: il Sé

[da Fuoco dipinto – 2002, edizione dell'Autore]

E' proprio un lungo viaggio quello che viene descritto nella poesia; un viaggio che dura tutta una vita.

Un viaggio la cui destinazione ci viene rivelata solamente al termine dei versi: ultima stazione di un percorso obbligato che chi scrive sembra avere intrapreso da tempo.

Un interrogativo espresso in forma indiretta apre quest'opera, chiedendoci chi siamo e il motivo del nostro andare.

Ma è difficile credere che possa essere la ragione a guidare questo percorso che si rivelerà esplorazione, perché in una sorta di labirinto si perdono la nostra mente e i nostri pensieri.

Metaforicamente chi scrive ci dice che è la mente stessa il mezzo sul quale “dovremo salire” per potere viaggiare, come un treno che dobbiamo prendere, e ci saliremo già vestiti con il nostro Io ricoperto da una nebbia che non ci permette di guardare oltre, perché oltre c'è solo la morte quale limite di tutto ciò che siamo e a cui ognuno di noi, fin dall'inizio, è stato promesso.

La nostra valigia è pronta delle cose che perderemo, tra cui la vita stessa, ma che verranno meno solamente a metà, perché il resto sarà tutto da venire, risucchiato in quel tunnel che ora andremo ad attraversare, pieno di una luce chiarificatrice, che segna l'altra metà della vita, quella che rimane appunto, e l'altra metà del viaggio.

Solo giungendo a destinazione scopriremo la verità che ci avvolge.

Mentre scenderemo da questa specie di treno e ci guarderemo intorno, vedremo che sul marciapiede della stazione ci sarà solo il tempo ad attenderci, mentre lasceremo la nostra valigia nel deposito bagagli piena delle cose che sono oramai passate e che qualcuno sicuramente un giorno aprirà: coloro che ancora attendono di iniziare questo lungo viaggio.

Destinazione: il Sé.


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Commento alla poesia "Maya", di Felice Serino


Commento alla poesia “Maya”, di Felice Serino

Luca Rossi.

Marzo 2007-03-10

Mi riferisco a Maya. Stupende l'apertura e la chiusura che tendono a concentrare il significato dei versi in un indefinibile “status” dell'uomo. La figura geometrica, poliedrica, prismatica, antica, definisce il mondo riflesso che solamente l'asceta è in grado di distinguere. Siamo della terra, ma solo ora: non lo eravamo prima della nostra nascita, non lo saremo più dopo la nostra morte. Ma abbiamo vissuto l'azzurro, nel suo senso simbolico e “nell'azzurro”, nel suo senso materiale, come luogo di sogni e realtà. Di decadente esiste il corpo, effimero, ma non lo spirito racchiuso in esso: sottile fiamma.

Interessante aggettivo che apre a una visione pluridimensionale di significati.

Ognuno cercherà al proprio interno quello che più gli si addice quando dovrà ricercare il contrario di “sottile”.

Forse pochi lo troveranno, ma non sui dizionari.

Lo sapranno i Santi, lo diranno i Martiri. Lo diranno le vittime della guerra, della violenza senza senso, la gente che muore di fame, coloro che avevano una possibilità ed è stata loro negata.

Il poeta si fa interprete dell'asceta. Diviene per un momento esso stesso spirito comune di questi, per poi distaccarsene e ridiventare uomo comune. Per un momento entrambi racchiusi in quel prisma dove la luce si espande in ogni direzione fino a dove l'occhio riesce a distinguere orizzonti di esteriorità cosmica per poi penetrare e scaldarsi a lato di quell'anima che arde, dignità esistenziale dell'uomo vero.

*

Maya

il di qua dice l'asceta

non è che proiezione

nel prisma azzurro del giorno

sentenzia

che perfezione

è la carne che si fa spirito

non si terrà conto

del corpo che si nutre

che è già della terra

si è dunque

del cielo o anelito

d'infinito ancor prima

del primo respiro?

– certa è la fiamma che dentro

ci arde – sottile –

*

Considerazioni sulla poesia “Maya”

“Perfezione è la carne che si fa spirito” è qualcosa che 'parla' (e bene) solo in poesia, in quanto la carne è carne e lo spirito è spirito, e nessuno dei due può diventare l'altro. Possibile invece vivere più che si può di cose spirituali e “abbandonare” (a tratti) la carne. Cioè, essere così leggeri (elevati) di (in) spirito che l'anima fuoriesce dal corpo lasciandolo come un fantoccio fino al suo ritorno in esso, ovvero quando si è esaurita quell'energia soprannaturale.Il centro della poesia, che è la centralità in cui essa ruota, secondo me detta i dettami della riflessione (non a caso si trova in quel posto): “non si terrà conto / del corpo che si nutre / che è già della terra”. Cibarsi di ciò che offre la natura, tingersi della terra, della sabbia, dell'erba rotolandoci sopra per poi un giorno lasciarci le nostre spoglie [non come il cestino del computer nel quale puoi ripescare le cose vecchie, ma come un programma nel quale non puoi più accedere (solo Dio può farlo)]. Il corpo è la scatola, è la custodia temporanea del regalo che c'è dentro: il nostro spirito che a sua volta si rifà regalo al mittente.

Quella “fiamma che dentro ci arde sottile” e sale verso l'Alto, l'Altissimo.

Andrea Crostelli


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Visione

imbevuto del sangue della passione un cielo

di angeli folgora l'attesa vertiginosa

nella cattedrale del Sole dove ruotano

i mondi

è palpito bianco la colomba sacrificale

*

Lirica intensa, pregna di suggestione e pathos. In pochissimi versi ben ponderati ed equilibrati hai saputo farci rivivere con vigore e sapienza poetica l'attimo magico e sacrale dell'eucarestia.

Complimenti vivissimi e un grande benvenuto tra noi!

Antonino Magrì

***

Quel sorriso

a R.

oltre lei forse fra le stelle

dura quel sorriso che nell'aria

ti appare ora sospeso come fumo

lucido incanto il tuo

sperdutamente altrove –

l'ha disperso il vento

Pur nella sua semplicità, questa lirica è dolcissima e struggente. In essa si racchiude la consapevolezza dell' oltre, la serenità della fede e la malinconia del distacco terreno. La chiusa è veramente poetica; ma devo ammettere che ogni singolo verso racchiude piena densità di immagini e sapiente musicalità. Tu sai dimostrare che nella poesia non è la lunghezza che conta, ma, anzi, è la capacità di condensare un pensiero in pochi artistici versi.

Complimenti, sei un poeta vero!

Antonino Magrì

artevizzari.italianoforum.it/

***

E' in te nell'aria

è in te nell'aria

sottile la senti la mancanza

di vita piena

come applaudire con una mano sola

ma è regale regalo

questo rapido frullo

d'ali

atto d'amore

non affidarlo nelle mani del vento

sii àncora

gettata nel cielo

*

Felice, sono veramente incantato, la tua poesia è magica e, tecnicamente, risponde a tutti i canoni della poesia libera, dalla metafora all'allitterazione, dall'onomatopea a quello che oggi è il più raro: la musicalità del verso. Ha una forza lirica straordinaria che esplode dirompente nella splendida chiusa:

sii àncora

gettata nel cielo

Antonino Magrì


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L'ANIMO SOSPESO ALLE VARIE DIMENSIONI DELLA VITA: la "VITA TRASVERSALE" di...


L'ANIMO SOSPESO ALLE VARIE DIMENSIONI DELLA VITA: la “VITA TRASVERSALE” di FELICE SERINO (a cura di Sabrina Santamaria)

april 12, 2020 by felice serino

Guardare oltre per scrutare profondamente il riflesso dell'altro, spingersi al di là di ogni immaginazione possibile; questa profonda sensazione mi ha suscitata la lettura della raccolta poetica di Felice Serino “Vita trasversale e altri versi”, un'eclissi dell'anima che conduce passo dopo passo ad un mosaico ultra mondano che il nostro poeta compone. L'ispirazione alla musa non costituisce solamente un retorico artificio letterario, ma un vero e proprio flatus vocis che accompagna il poeta per tutte le sezioni della raccolta. Il poeta, in questo capolavoro, riflette come uno specchio i sentimenti umani, gli intrinseci bisogni della natura umana, come essere che appartiene all'universo e si sposa con esso, infatti l'uomo è l'ornamento perfetto del cosmo, completamento infinitesimale che unisce

il creato a Dio, solo nell'uomo si manifesta quel punto di incontro cruciale con l'Essere Supremo. Serino conia dei neologismi, dei termini che appartengono alle volte al linguaggio della chimica e della fisica, ma che diventano patrimonio inscindibile del suo corredo linguistico. La sua sensibilità osserva la realtà in modo trasversale attraversando i componenti vitali della vita, come gli antichi greci che studiavano l'archè del mondo e la trovarono negli elementi naturali: acqua, fuoco, terra. Come se il nostro poeta vorrebbe partire all'origine primordiale del mondo per concludere con un'unione armonica e pacifica dell'uomo con il creato e Dio, in “Sogno di Cupido” ci descrive la sua visione: “Vedevo nel tempo di Veneralia in un cielo quasi dipinto splendere carnale fiamma”. Soffermandoci fra i versi di Serino notiamo un forte attaccamento alla vita, ma non solamente alla vita usuale, solita che viviamo, ma ad un atomo di vita che conosciamo quando ci interroghiamo sul significato ultimo del quotidiano, come in “Ondivaghe maceri parole”: “Quando ti rigiri tra le lenzuola ondivaghe maceri parole dove latita il cuore somigli al gabbiano ferito che solo in sogno ritrova il suo mare, la vita altra”. Fuori dal tedio che assilla l'uomo, quel tedio leopardiano che portava il pastore errante dell'Asia a chiedersi il significato del nascere e del morire, quel solipsismo che inquietava il nostro pastore (nel caso leopardiano), in Serino troviamo, invece, la volontà sincera, quasi un'abnegazione, a voler trovare delle assonanze fra l'uomo e l'aria che respira, è presente l'intenzione di creare una sorta di panteismo con il mondo. L'idea del nostro poeta è quella di mettere a soqquadro i modi di osservazione, ecco, perché “Vita trasversale” si tratta di un'appercezione che cerca di unire i vari modi di darsi dell'uomo al mondo, un'unione delle categorie aristoteliche che diventano un'unica sostanza, oltre l'esistenziale heideggeriano. Fenomenologicamente il nostro poeta opera un lavoro coraggioso e accademicamente impegnativo; quello di unire scienza e letteratura. Cerca di agire mettendo in atto un folle volo e compie un salto nel buio. “Vita trasversale” mi ha, anche, suggerito l'idea di un desiderio inconscio verso ciò che è ignoto, come a voler toccare con la punta delle dita l'infinitesimale, l'inquantificabile. Ciò che non può essere quantificato mentalmente può essere soltanto sfiorato solleticando la punta del naso all'infinito, in “Sognarmi” esprime esattamente questa sua esigenza poetica: “Sull'otto orizzontale librarmi etereo piume d'angelo a coperta di cielo”. Un altro aspetto, sicuramente da non trascurare fra le tematiche di Serino è l'onirico, l'incontro appassionato e agognato dell'essere umano col sogno, cosa ci regalano i sogni? Sono sostanza, qualcosa di palpabile? Oppure il loro carattere apparentemente inconsistente li rendono inafferrabili? Il sogno è un altro modo dell'uomo di darsi nell'esistenza, un'unione dell' in sé e il per sé che diventa fenomeno infatti in “Dove palpita il sogno” racconta al lettore questa esperienza del sé nel dispiegarsi delle sue forme: “Da una dimensione parallela il Sé in me rispecchia la sua primaria origine punto dell'eterno dove palpita il mio sogno di carne e cielo” oppure in “Espansione”: “Il sogno è proiezione? o sei tu veste onirica uscito dal corpo?”. La poesia di Serino esprime un modo arroccato, abbarbicato fra la vita usuale e la vita ignota, le sue poesie esprimono l'animo di chi sta appeso ad un filo sospeso facendo l'equilibrista fra i vari strati consci della vita umana, che sia

terrena o celeste questo ancora non lo sappiamo, ma l'esigenza poetica del nostro in questa silloge è quella di cogliere a braccia aperte le dimensioni eterne dell'infinito.

“L'essere si spande si sogna moltiplicato in fiore atomo stella appendice? O espansione è il sogno”

cit. tratta da “Espansione” di Felice Serino

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Sabrina Santamaria

Tutti i diritti intellettuali riservati


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Recensione di Donatella Pezzino a "Lo sguardo velato" di Felice Serino


Recensione di Donatella Pezzino a “Lo sguardo velato” di Felice Serino

Quando ci si accosta all'opera di Felice Serino, è difficile non notare il dinamismo della dimensione interiore: nonostante sia interamente incentrata sull'anima, infatti, la sua poesia è ben lungi dal ripiegarsi in sé stessa, poiché l'essenza umana è continuo movimento. La parola “ondivago”, presente in diverse composizioni seriniane, esprime in modo pieno e immediato questo anelito al volo, quest'ansia di scrollarsi di dosso un'immobilità che è congeniale solo alla materia inerte. L'anima di Serino è un agglomerato di particelle che, pur restando unite, sciamano in tutte le direzioni, nella brama di riunirsi al loro elemento naturale: il Tutto. Ma, per seguire quell'ordine che appare insito nella stessa struttura del creato, quest'anima tenta di ravvisare nell'esistenza terrena un percorso logico e coerente, in cui il dispiegamento delle forze interiori possa dipanarsi in linea retta: salvo poi rendersi conto, alla fine di questo lungo cammino, di aver sempre cercato il proprio cerchio perfetto. La vita, allora, acquista un senso in qualità di processo dialettico, in cui l'opposizione tra corpo e anima trova un suo superamento nella morte, vista non come la fine di tutto, ma come una vera e propria risurrezione, da cui scaturirà nuova linfa vitale:

dal Tutto

ritrovarsi nell'uno

a vivere il sogno della carne

il sangue che cavalca il vento dove

crescono i passi

lacerato dalle lancette

d'un orologio interiore

un Lazzaro a sollevarsi da cento morti

In questa raccolta di liriche, il poeta giunge ad una nuova tappa del suo viaggio: al termine del percorso, si apre finalmente la porta di comunicazione tra il mondo sensibile e quello trascendente. Ma ciò che appare non è ancora ben visibile: sul ciglio dell'oltre, lo sguardo è ancora velato (da qui il titolo) e non può nitidamente distinguere gli oggetti della trascendenza.

ma a te presente

il Sé -il celeste- l'esistere

specchiato: vita che si guarda

vivere

un mondo in un altro

In tale contesto, risalta la volontà di non voltarsi mai indietro: contrariamente a quanto il senso comune vorrebbe, in Serino la maturità non è tanto il momento del ricordo, delle nostalgie, dei rimpianti, quanto più un'occasione per interrogarsi su cosa lo aspetta. Questa tendenza a proiettarsi in avanti non nasce dal desiderio di negare il proprio passato: ciò che è stato vissuto, tuttavia, è ormai alle spalle e non può tornare. Questa ferma intenzione di vivere nel presente sembra annullare il tempo: e, dove la dimensione temporale non esiste, la stessa età dell'uomo si appiattisce, e il poeta può attingere a piene mani dal bambino che dorme in lui.

scoprire in me il bimbo

accoccolato nella mente

Di quando in quando, il flusso di coscienza è intervallato da riflessioni sui tanti drammi che segnano il nostro vissuto: il corpo di un migrante abbandonato su una spiaggia, le laceranti incomprensioni dei rapporti affettivi, la sofferenza dello scrivere; come a voler ricordare che morendo ci si lascia alle spalle un mondo fatto di sequenze dolorose. Da qui il tema del sogno, visto come momentaneo rifugio dalle tempeste della vita:

c'è un donnone nei miei sogni

mi perdo fra le sue grandi mammelle

piccolo piccolo mi faccio e

come scricciolo

mi c'infilo

nel suo caldo grembo

al riparo degli tsunami del mondo

Il tono dell'intera raccolta accentua quella ricerca di essenzialità già distintiva della produzione precedente: il verso è breve, asciutto, simile ad un legno prosciugato; l'anima, in procinto di distaccarsi, guarda già al corpo come ad un involucro che ha perso la sua sostanza.   

l'anima spando sulla terra

a ricambiarmi una solitudine

ampia come il cielo

mi appresto a gran passi agli ottanta

e ancor più poesia ti canto

-del mio sangue azzurra ala

ai confini della sera in quel

farneticare che richiama la morte

il tuo volare alto

come preghiera

Tanti i quesiti che si leggono fra le righe. Una volta riassorbito dal Tutto, l'uomo conserverà una scintilla della sua individualità? Il suo bagaglio di ricordi, le sue colpe,    i suoi “scheletri” insomma: lo seguiranno o si dissolveranno?

sì onorarli

i morti che

ci perdonano con un velo di pietà

quelli che sognarono

il loro eldorado

ragazzi degli anta presto

dipartiti

ora di qualcuno

d'essi verrà detto

era un pezzo di pane

-anche se di certo avrà

portato con sé i suoi scheletri

o si saranno nell'altra

dimensione dissolti

Domande probabilmente destinate a restare senza risposta; ma, in mezzo a tanti dubbi, c'è comunque una certezza. Qualsiasi cosa saremo, siamo stati amore, ed è questo ciò che potrebbe sopravviverci. L'amore, eterno e ubiquo, ha una forza pari soltanto a quella della fede.

falesie di pensieri

tesse ragno di luce

vertigine: come

sarà senza il corpo

-serbata la vita

nella Pietà del sangue

solo espanso

pensiero saremo?

ci consoli certezza

di portare in salvo brandelli

d'amore

I due temi, l'amore e la fede, si trovano da sempre strettamente intrecciati nella poetica di Serino:    qui, tuttavia, la fede non sembrerebbe avere il ruolo preponderante che ha rivestito altrove. Ma è solo un'impressione superficiale: ad un certo punto della lettura, infatti, ci si accorge che la presenza di Dio ha in questa opera una valenza molto più forte, tanto da poterla respirare in ogni verso. Ovunque, nel libro, c'è un silenzio pieno di Dio; e questa pienezza, così tacita e così viva, incarna il desiderio quasi tormentoso di anticipare la fusione con il sommo Bene, per trovare finalmente quella felicità che sembra preclusa alla condizione umana.

tocco in sogno la fiorita

riva delle tue braccia:

è una dolce pena questo lieve

sfiorare la tua vaga essenza

a un lunare complice chiarore

Fenomeni psichici come il dormiveglia o il sogno prefigurano in tal modo il trapasso, aiutandoci a distinguere con più chiarezza ciò che i sensi ci impediscono di vedere:

si concentra ed espande

l'amore in quel vivere-morire

delle prensili braccia

sospensione apparente carne e cielo

Un “vivere-morire”, appunto: una vela spiegata verso altri approdi, dove lo spirito può finalmente trovare conforto al suo perenne cercarsi.

dove ti porta il filo

dell'immaginario o del

sognare

dove

questa strana ma feconda

inquietudine

serpeggiante nel sangue

tutti i libri letti i mari

solcati – odisseo tu

nello spirito- dove

questo cuore nomade

d'amore

ti porta

Ma in fondo, la vita del poeta si è sempre svolta in una dimensione dualistica: da un lato, quel “paese interiore” dove l'anima può pienamente espandersi:

nel paese interiore

eiaculo i miei sogni –

vivo una stagione

rubata al tempo -mimesi

icariana sul vetro del cielo-

nel paese interiore

brucia il mio daimon

di febbre e di luce

Dall'altro, una realtà sempre più dominata dai falsi idoli, magistralmente descritta in “Un dio cibernetico?”:

vita asettica: grado

zero del divino Onniforme

-ma la notte del sangue

conserva memoria di volo

vita

sovrapposta alla sfera celeste

regno d'immagini

epifaniche

emozioni

elettroniche

eclissi dell'occhio-pensiero

In questa esistenza bifronte, la morte fisica viene vista come un evento che ci strappa il velo dagli occhi, consentendoci di riappropriarci di quella dignità ormai sconosciuta alla società degli uomini. Liberi dalle pastoie del mondo sensibile, ridiventiamo ciò che avevamo dimenticato di essere: mondi di pura luce, completi nella loro unicità e, allo stesso tempo, in quanto parte del Tutto.

dell' indicibile essenza

noi sostanza e pienezza

solleva l'angelo un lembo

di cielo:

in questa vastità soli

non siamo: miriadi

di mondi-entità ognuno

in una goccia

di luce

*

Donatella Pezzino

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Recensione a "Le voci remote" di Felice Serino


Recensione a “Le voci remote” di Felice Serino

di Donatella Pezzino

In ogni mondo esiste una porta di comunicazione con tutto il resto. Conoscerne l'esatta ubicazione, aprirla e attraversarla non presuppone capacità medianiche, ma solo un umile atto di fede: una fede qualsiasi, in Dio, nell'amore, nelle energie della natura, in sé stessi. Credere, semplicemente. Ecco, leggere Felice Serino è un po' come riappropriarsi della consapevolezza che quello stargate esiste, e che possiamo attraversarlo in qualsiasi momento, spinti dalla forza degli eventi, da un desiderio di trascendenza o dalla riflessione sull'oltre che ci attende alla fine dei nostri giorni. In “Le voci remote”, l'anima del poeta ha raggiunto la sua dimensione ideale, meta di un lungo viaggio che lo ha visto percorrere a piedi nudi i vasti deserti umani alla ricerca del sé più puro, nel quale la grandezza dell'uomo sta nella sua valenza infinitesimale e il buio è solo assenza di Dio.

tu sei l'ombra

del Sé: l'alterego o se vuoi

l'angelo che

ti vive a lato nei

paradossi della vita

La lanterna di questo instancabile Diogene non si affida al lume ma al suono: un suono interiore, fatto di silenzi costantemente modulati allo scopo di rievocare i dolori, le gioie e perfino le insipidezze della vita trascorsa. E fra i suoni che questo silenzio è in grado di intercettare ci sono, appunto, le “voci remote”: appena udibili alcune, più chiare e distinte altre. Un titolo niente affatto casuale, come casuale non è, in apertura, la scelta dei versi del poeta greco Ghiorgos Seferis sulle “voci remote/ delle anime in sogno” che riassumono in un certo senso la cifra dell'intera opera. Ma cosa sono queste voci remote, e a chi appartengono?

nell'oltre

non ci son porte e chiavi

è tutto -in trasparenza-

un fondersi di sguardi

Sguardi; anime; vite. Si, perché la dimensione “altra” non è un luogo solitario; al contrario, è un humus fertile d'amore a nutrire mani, volti e profumi che dalla realtà visibile, come tutti noi, sono passati; e che ora, abbandonati i pesanti costumi teatrali della quotidianità terrena, ci guardano e ci giudicano.

eccoti un ectoplasma ovvero

un antenato

a sentenziare da un aldilà

-non sapete neppure vestirvi

-bella forza: voi con i vostri

doppiopetti

vi credevate dio in terra o guappi

noi

casual-cibernetici

della libertà siamo bandiera

grida il rosso

del nostro sangue nelle piazze

per le ginocchia aria di primavera

Ma più spesso, in queste entità ultraterrene è l'amore a vincere: una pietas che non è -come si potrebbe pensare- l'atteggiamento compassionevole di chi, già in salvo sulla riva, cerca di portare conforto ai naufraghi ancora in mare; piuttosto, il contrario. A dispetto di tutti i luoghi comuni sul paranormale, Serino ci propone l'idea di un interscambio dove le barriere tra morte e vita si annullano e dove il bisogno di contatto non è univoco:

m'invitano i miei morti

a una uscita fuori porta

amano

farmi partecipe del loro mondo

m'avvedo

dagli occhi lucenti e i sorrisi complici

ch'è molto molto gradita

indispensabile quasi la mia presenza

ché senza orfani sarebbero

e tristi forse

pur essendo estraneo al loro mondo

di luce

Ma voci remote sono anche il frutto della nostra mente: i pensieri, le riflessioni, i sogni e tutte quelle immagini che non sappiamo spiegare e che

tante volte ci sconcertano per la loro potenza, ovvero

visioni aleggianti nelle

stanze del tuo sangue

che spesso restano sepolte per anni prima di riaffiorare dal nostro sottosuolo e che conoscono tutte le nostre debolezze, perché in esse abbiamo creato l'unico specchio in grado di afferrarci quando rischiamo di perderci:

vedi: se

qualcuno è a spiarti

non sei che tu

da un altrove

E poi, ci sono i sogni. In questo labirinto di immagini che si stendono come un ponte tra il visibile e l'ultraterreno, la dimensione onirica si configura come la materia che ci plasma e dalla quale, al tempo stesso, veniamo plasmati. In questo contesto, la poesia è l'unico linguaggio che rende accessibile il mistero, consentendo all'anima di ritrovare la strada:

in questo minuscolo essere

smarritosi

nella sua realtà-sogno

vedi te stesso se lasci che la vita

ti conduca lungo

i labirinti viola della mente

Il sogno è la culla, il rifugio. E' la linea di confine che rende possibile il momentaneo distacco dell'anima dal corpo; è, in ultima analisi, quel punto di contatto tra il nostro sé terreno e “l'altro” che prefigura il passaggio da questa vita a quella che ci attende.

il sogno è proiezione? o

sei tu in veste onirica

uscito dal corpo?

sognare è un po'

essere già morti

Eccola la porta, lo stargate: il valico che, in qualsiasi momento, ci mette in comunicazione con “l'altrove” consentendo alla nostra anima di espandersi e vivere, anche solo per pochi istanti, la vita che le è congeniale.

di notte sto bene con me e l'altro

sono io l'altro che -c'hai mai

pensato?– non proietta ombra

ombra di me è il sogno

come un bambino

avvolto dal regno delle ombre

affido tutto me stesso alla notte

E su tutto, come un velo impalpabile ma sempre presente, domina il pensiero della morte, intesa non come la fine di un ciclo, ma piuttosto come l'ennesima tappa di un viaggio: un nuovo giorno che si schiude e dove il peso delle cose di questo mondo è un fardello che si abbandona volentieri. Perché la vita che abbiamo sempre voluto non è che leggerezza, e la leggerezza viene dalla libertà, e la libertà è possibile solo sciogliendo le corde che ci legano alla materia:

confidare

nelle cose che passano

è appendere la vita

al chiodo che non regge

è diminuirsi la vera ricchezza

-arrivare all'essenza

lo scheletro la trasparenza

L'essenza, lo scheletro, la trasparenza: tutto qui tende allo spoglio, al nocciolo, allo sfrondo. Perché solo togliendo le sovrastrutture con cui spesso la vita ci inganna è possibile strappare il velo che ci copre gli occhi e arrivare alla verità. Un'esigenza, questa, che emerge sempre più forte nella matura poesia di Serino e che si riflette anche nell'impianto strutturale: nei componimenti brevi, nella crudità delle riflessioni, nei versi nudi fino alla scarnificazione. “Invettive”, dedicata a Padre Pio, ne è un esempio eloquente:   

una parola un fendente

minimizzi

l'orgoglio un ordigno

inesploso

carità

ti accompagnerà nella polvere

Parola che scarnifica, dunque; che si fa, come la morte, strumento di scavo, liberazione, palingenesi, dando un nuovo significato agli anni che avanzano. Vincendo, soprattutto, l'atavica paura del nulla, con un fatalismo capace, talvolta, di sconfinare nello humour nero:

ho a volte il pallino

-farneticare dell'età-

che d'improvviso qualcuno mi spari

da un'auto che rallenta e poi via

-come in una scena da gangsters

-è fantasioso ma

freddamente reale

Sorridendo: si, perché uno degli aspetti più tipici della poesia seriniana è il sorriso, declinato in tutte le sue sfumature. Dolce nel rimpianto, feroce nel dolore, sereno nel pensiero di Dio; sornione a volte, mai cinico. Il sorriso del giusto, pronto a consegnarsi nelle mani di Dio con tutta la sua miseria, le sue cicatrici, la propria inesorabile condizione di uomo.

ricorda: sei parte

dell'Indicibile – sua

infinita Essenza

pure

nato per la terra

da uno sputo nella polvere

La religiosità di Felice Serino: cristiana, ma non solo. C'è, nella sua fede, qualcosa di universale, di applicabile a qualsiasi credo: un sentimento che è soprattutto apertura, anelito. Più che limitarsi ad essere credente, l'uomo di Serino guarda oltre, desidera oltre: e nel farlo, il suo sguardo incontra Dio.

una farfalla è una farfalla ma

tutto un mondo nella sua essenza

la natura

riflesso del cielo è preghiera

ogni respiro ogni sangue

vòlto verso l'alto è lode

l'anima nel suo profondo

in segreto s'inginocchia e piange

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.


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Robert Wyatt - Comicopera (2007)


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Comicopera è il nono e ultimo album in studio di Robert Wyatt, pubblicato l'8 ottobre 2007 e disponibile sia in formato CD che in doppio vinile. Il quarto lato del vinile non contiene musica e ha una poesia incisa sulla superficie. È la prima pubblicazione di Wyatt con l'etichetta Domino Records. Include molti altri musicisti, tra cui Brian Eno, Paul Weller, Gilad Atzmon e Phil Manzanera, ed è stato registrato a casa di Wyatt e nello studio di registrazione di Manzanera. Il brano “Del Mondo” è una cover di Ko de mondo, il secondo album della band post-punk italiana Consorzio Suonatori Indipendenti. The Wire ha nominato Comicopera disco dell'anno nel suo sondaggio annuale della critica.


Ascolta: album.link/i/263673621



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Robert Wyatt - Comicopera (2007)


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Comicopera è il nono e ultimo album in studio di Robert Wyatt, pubblicato l'8 ottobre 2007 e disponibile sia in formato CD che in doppio vinile. Il quarto lato del vinile non contiene musica e ha una poesia incisa sulla superficie. È la prima pubblicazione di Wyatt con l'etichetta Domino Records. Include molti altri musicisti, tra cui Brian Eno, Paul Weller, Gilad Atzmon e Phil Manzanera, ed è stato registrato a casa di Wyatt e nello studio di registrazione di Manzanera. Il brano “Del Mondo” è una cover di Ko de mondo, il secondo album della band post-punk italiana Consorzio Suonatori Indipendenti. The Wire ha nominato Comicopera disco dell'anno nel suo sondaggio annuale della critica.


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SALMO - 96 (95)


INNO ALLA GRANDEZZA E ALLA GLORIA DI DIO

1 Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore, uomini di tutta la terra.

2 Cantate al Signore, benedite il suo nome, annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.

3 In mezzo alle genti narrate la sua gloria, a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

4 Grande è il Signore e degno di ogni lode, terribile sopra tutti gli dèi.

5 Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla, il Signore invece ha fatto i cieli.

6 Maestà e onore sono davanti a lui, forza e splendore nel suo santuario.

7 Date al Signore, o famiglie dei popoli, date al Signore gloria e potenza,

8 date al Signore la gloria del suo nome. Portate offerte ed entrate nei suoi atri,

9 prostratevi al Signore nel suo atrio santo. Tremi davanti a lui tutta la terra.

10 Dite tra le genti: “Il Signore regna!”. È stabile il mondo, non potrà vacillare! Egli giudica i popoli con rettitudine.

11 Gioiscano i cieli, esulti la terra, risuoni il mare e quanto racchiude;

12 sia in festa la campagna e quanto contiene, acclamino tutti gli alberi della foresta

13 davanti al Signore che viene: sì, egli viene a giudicare la terra; giudicherà il mondo con giustizia e nella sua fedeltà i popoli.

_________________Note

96,1 I popoli della terra sono chiamati a cantare la grandezza del Dio d’Israele, che si innalza, nella sua gloria di unico vero Dio, sugli dèi inerti e inconsistenti. All'orizzonte si profila il raduno finale di tutta l'umanità; nell'abbraccio della regalità e della paternità di Dio. Questo inno si trova anche in 1Cr 16,23-33, con alcune varianti.

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Approfondimenti


Un canto nuovo a Dio re Inno alla regalità del Signore (JHWH)

È una composizione abbastanza unitaria, sebbene antologica, del postesilio (IV sec. a. C.?), che rivela l'ingegno e la maestria dell'autore. Ci sono riferimenti, ma demitizzati, all'antico Sal 29 e al Deuteroisaia (cfr. polemica antidolatrica) e allusioni ad altri passi biblici. Il salmo si trova con alcune varianti nella raccolta antologica di 1Cr 16,8-36 tra il Sal 105,1-15 e il 106,1.47-48, presentata dal Cronista come ringraziamento dopo il trasferimento dell'arca santa in Gerusalemme. Ritmicamente, si presenta come una poesia libera da vincoli: si trovano infatti distici e tristici e varia il numero di accenti per stico. Si nota tuttavia una certa preferenza per lo schema poetico cananaeo abc/abd/abe (cfr. vv. 1-2). Le numerose inclusioni (cfr. le espressioni: «tutta la terra», «Signore», «nome», «gloria», «popoli») rendono i vv. 1-9 una composizione unitaria e così anche (cfr. il verbo «giudicare») i vv. 10-13. La seconda unità forma anche un crescendo. Il campo semantico simbolico, cosmico-spazio-temporale unifica il salmo; non manca tuttavia la motivazione politica legata alla figura di Dio re.

Divisione:

  • vv. 1-9 (I parte): il cantico nuovo;
  • vv. 10-13 (II parte): la regalità del Signore.

v. 1. «Cantate al Signore...»: l'invito ripetuto 3 volte nei vv. 1-2 indica particolare insistenza (figura dell'«anafora»). «canto nuovo»: cfr. Sal 33,3; 40,4; 98,1; 144,9; 149,1. L'espressione è particolarmente usata dal Deuteroisaia (42,10) e si riferisce alla celebrazione della salvezza messianico-escatologica portata dal Servo del Signore (JHWH) (Is 42, 1ss.).

vv. 2-3. «il suo nome»: è la sua persona (Sal 8,2). «annunziate... narrate... dite»: la lode secondo la fede storica d'Israele consiste nel raccontare gli interventi salvifici di Dio. Probabilmente i vv. 2b-3 («salvezza... prodigi») in senso più specifico possono riferirsi al ritorno dall'esilio, nuovo esodo (cfr. Is 40-55; Sal 126), dato l'impiego anche del verbo «annunziare» (bśr) caro al Deuteroisaia (40,9; 41,27; 52,7), verbo che i LXX traducono con euaggelizesthai (= portare il lieto annunzio). «in mezzo ai popoli... a tutte le nazioni»: i prodigi di Dio non possono essere racchiusi nell'ambito di un popolo ristretto; tutti devono conoscerli per beneficiarne, cfr. Is 66,18-19.

v. 5. «sono un nulla»: (’elîlîm), cfr. Sal 97,7; Is 2,8. 18.20. Nel primo emistichio il termine, che richiama per assonanza la voce «Dio» (’elōhîm), descrive sarcasticamente gli «dei» come «gli inutili, i nulla» (’ēlîlîm) (cfr. Gb 13,4); nel secondo emistichio, ricorre il nome di JHWH in contrapposizione «agli dei» (= nullità) del primo emistichio, e si esalta la potenza di Dio che «ha fatto i cieli».

vv. 7-9. Quest'invitatorio ha carattere duplice di inclusione e di apertura al cantico seguente, apice del salmo. Si ripetono grosso modo i temi dei vv. 1-3. Il modello seguito è quello di Sal 29, con la preoccupazione di demitizzarlo. Qui si sostituisce l'espressione «figli di Dio» di Sal 29,1 con «famiglie di popoli». Non sono più le divinità del pantheon cananeo a formare la corte celeste, ma i diversi popoli della terra. Essi sono invitati a salire al tempio di Gerusalemme per compiere il culto al Signore (cfr. Is 18,7).

v. 8. «offerte»: ebr. minḥâ. È il termine liturgico tecnico delle offerte sacrificali vegetali (cfr. Lv 2,1-16). Perciò qui, più che omaggi di popoli vassalli, si tratta di esplicito atto di culto al Signore, dato anche il contesto ambientale del tempio («gli atri»). Ma ciò è ben specificato dal v. 9 con l'imperativo «prostratevi».

v. 9. «in sacri ornamenti»: cfr. Sal 29,2. L'espressione incerta può tradursi, stando al significato della voce hdrh nei testi di Ugarit, anche «alla sua santa apparizione». Si tratta qui di una teofania cultuale, il cui effetto teofanico susseguente del «tremore» causato dal timore è indicato nel v. 9b. Si adopera qui la figura della metonimia (effetto per la causa).

v. 10. Dopo l'invito all'annuncio della regalità, si esalta l'azione provvidente di Dio che «sorregge il mondo...» e la sua azione giudiziaria. Con l'azione provvidente si sottolinea il governo dell'universo creato, avendo sconfitto per sempre il caos iniziale (cfr. Sal 104,5-9); con l'azione giudiziaria, si accentua il governo e la sua influenza sulla storia che il Signore dirige con «rettitudine», cfr. Sal 66,5. Per il concetto di regalità del Signore cfr. Sal 93,1.

vv- 11-12. Alla regalità cosmica del v. 10 segue una lode universale, che parte da un coro solenne formato da tutta la natura inanimata. Sono coinvolti: cielo, terra e mare (tre elementi essenziali secondo la concezione ebraica), la campagna coltivata e le foreste (ambiente familiare all'uomo e agli animali). Il campo semantico della «gioia» qui è molto vario. La gioia del creato è una costante degli annunci di salvezza del Deuteroisaia, cfr. Is 44,23; 49,13; 55,12.

v. 13. Si esplicita il destinatario della lode cosmica dei vv. 11-12 e la motivazione. La lode va diretta al Signore «che viene». Si ha qui uno sfondo escatologico-universale. «con giustizia e con verità»: il giudizio sarà secondo le due grandi virtù che caratterizzano l'alleanza, «la terra... il mondo... tutte le genti»: le tre espressioni esprimono e ribadiscono l'universalità del giudizio. Si tratta perciò di un giudizio (azione) salvifico-escatologico a carattere universale, cfr. Is 40,10; 59,19-20; 60,1; 62,11. Il salmo supera cosi ogni nazionalismo.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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✍️Pensieri... Noi mamme non siamo perfette! Non siamo costrette ad esserlo, perché semplicemente siamo mamme perfettamente, imperfette. Noi mamme non siamo come quelle della TV, del cinema, sempre belle, truccate , eleganti, siamo spesso stanche dopo una giornata di lavoro, di corse, di spesa, di commissioni o faccende domestiche! Noi mamme, lo siamo anche quando sgridiamo i nostri figli, quando ci concediamo una passeggiata, un caffè con le amiche, un film al cinema o una pizza in compagnia. Non siamo meno mamme quando, a volte non vogliamo cucinare o uscire, o chiacchierare, anzi lo siamo ancora di più quando troviamo il coraggio di chiedere aiuto. Le mamme sono perfette nelle loro imperfezioni, con gli occhi stanchi, gonfi, con la stanchezza, con la tuta che profuma di cucina.. Eppure spesso a noi mamme il tempo non basta e vorremmo più ore di luce, per poter fare e dare di più! Ma non siamo infinite, eterne, non siamo eroine, siamo semplicemente donne vestite da mamme, donne che hanno avuto il dono di esserlo, la forza e anche la fortuna! Perché spesso ci sono mamme imperfette, malate, tristi, impaurite che piangono per un figlio che non arriva, per un dolore, per una sofferenza, o per una semplice carezza.. Eppure abbiamo la fortuna di essere così imperfette, insicure, ma forti, perché siamo mamme che lottano, che proteggono, sognano, insegnano a volare, a vivere! Le mamme sono quell'abbraccio vero e sincero, sempre e per sempre..la carezza di ogni giorno... l'amore puro!


noblogo.org/bymarty/pensieri-x…



La Sapienza


Predicazione su Proverbi 8, 22-36

castopod.it/@jhansen/episodes/…
Oggi non ho lo scritto. Per questo pubblico qui la versione audio registrata nella chiesa valdese di Tramonti di sopra.


noblogo.org/jens/la-sapienza



SALMO - 95 (94)


INVITO ALL’ADORAZIONE

1 Venite, cantiamo al Signore, acclamiamo la roccia della nostra salvezza.

2 Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia.

3 Perché grande Dio è il Signore, grande re sopra tutti gli dèi.

4 Nella sua mano sono gli abissi della terra, sono sue le vette dei monti.

5 Suo è il mare, è lui che l'ha fatto; le sue mani hanno plasmato la terra.

6 Entrate: prostràti, adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.

7 È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce.

Se ascoltaste oggi la sua voce!8 “Non indurite il cuore come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto,

9 dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere.

10 Per quarant'anni mi disgustò quella generazione e dissi: “Sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie”.

11 Perciò ho giurato nella mia ira: “Non entreranno nel luogo del mio riposo”.

_________________Note

95,1 Tutta la comunità d'Israele è chiamata a stringersi attorno al suo Dio, nelle cui mani è posto il destino dell’uomo e dell’intera creazione. L’oracolo dei vv. 8-11 presenta Dio stesso che invita il popolo a questa profonda adesione a lui, esortandolo a evitare l'atteggiamento di ingratitudine e di sufficienza tipico dei suoi antenati, all’epoca del deserto.

95,8 Vengono evocati gli episodi narrati in Es 17,1-7 e Nm 20,1-13.

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Approfondimenti


Invito al pellegrinaggio al tempio Salmo di pellegrinaggio

Il carme è vivace e affine al Sal 81. È in distici, e il metro nel TM è di 3 + 3 accenti. Lo sfondo liturgico induce a collegarlo con l'ingresso processionale nel tempio. Risale molto probabilmente al postesilio. La simbologia è spazio-temporale, antropologica, liturgica, profetica e antropomorfica.

Divisione:

  • v. 1-7: invito alla solenne celebrazione;
  • vv. 8-11: ammonizione oracolare.

vv. 1-7. A livello di struttura si noti che all'invito del v. 1 e a quello del v. 6 seguono le motivazioni introdotte da (= perché) nel TM, da titoli cosmici (vv. 4-5) e dal titolo di elezione (v. 7).

vv. 1-2. «Venite..»: è un invito insistente a presentarsi davanti al Signore nel tempio per ringraziarlo solennemente, cfr. Sal 47,2; 100,2.

v. 3. «Poiché grande Dio..»: è la prima motivazione: la grandezza di Dio e la sua superiorità su ogni altra divinità dei popoli pagani, cfr. 96,4-5; 97,7; 98,2.

vv. 4-5. «Nella sua mano»: è un chiaro riferimento alla creazione (cfr. Gn 1; 2; Sal 8; 19; 29; 104). Tutto dipende ed è concentrato nelle mani di Dio («sue mani»), a differenza delle divinità pagane, di cui ognuna aveva un settore particolare da governare.

v. 6. «Venite...»: è il secondo invitatorio che prepara la motivazione: quella dell'elezione e dell'alleanza del v. 7. Comporta in più, rispetto al primo (v. 1), il gesto di profonda adorazione.

v. 7. «Egli è il nostro Dio... popolo del suo pascolo...»: è la formula dell'alleanza che richiama la seconda motivazione del ringraziamento (Es 19,5-6). L'immagine del gregge (cfr. Sal 23,1-2) arricchisce la formula dell'alleanza e richiama l'esodo, cfr. Sal 74,1; 79,13; 100,3.

vv. 8-11. Il salmista, dopo il lungo e solenne invitatorio, con un oracolo, induce Dio stesso a parlare e a ricordare le disposizioni per una vera adorazione e un giusto rendi mento di grazie. A differenza dell'ammonizione simile del Sal 81,9-17, qui non si accenna alle promesse divine, ma solo alla minaccia del castigo.

v. 8. «Ascoltate»: alla lett. «Oh, se ascoltaste...». È un invito in forma deprecativa. «Non indurite il cuore...»: la durezza del cuore o della cervice, segno di caparbietà e ostinazione nel male, è spesso contestata al popolo nel deserto, cfr. Es 32,9; Dt 9,6.13. «Meriba... Massa»: per gli episodi di Massa (= tentazione) e Meriba (= contestazione), cfr. Es 17,1-7; Nm 20,2-13. Essi diventano simbolo di incredulità, cfr. Dt 6,16; 8,2; 9,22; 33,8; Sal 78,18; 81,8; 106,32.

v. 11. «perciò ho giurato...»: cfr. Nm 14,22-35; Dt 1,34; 2,15. E un giuramento di esplicita condanna. Dio rigetta il popolo rompendo l'alleanza, rifiutandogli il possesso della terra, una clausola del patto. «luogo del mio riposo»: è la terra di Canaan, terra promessa da Dio al suo popolo al termine delle lunghe e difficili peripezie nel deserto, cfr. Es 33,14-15; Dt 12,9.

Nel NT la lettera agli Ebrei cita l'oracolo del Sal 95 secondo i LXX e lo commenta (Eb 3,1-4,11).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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AION

1.

chi ti ha fatto sapere ch'eri nudo?

l'entrare della morte nel morso

della mela

(si erano creduti il Sole

scordando di essere riflessi)

1.a

il serpente mi diede dell'albero e…

eva la porta

di sangue

per dove passa la storia

2.

nell'incrocio dei legni

la conciliazione degli

opposti (lo scheletro del mondo)

2.a

è il Figlio che pende

dai chiodi

la risposta a giobbe

3.

ancora l'assordare dei martelli ancora

un giuda che fa il cappio abbraccia un albero di morte

-sulle labbra il fuoco del bacio

Felice Serino

Da La difficile luce, 2005

*

Critica di Luca Rossi. Luglio 2002

L' identità, la conoscenza della morte, il riscatto tramite il dolore altrui, la scoperta di Dio, il ricordo: ecco gli elementi principali, i titoli attraverso i quali si snoda il componimento di Serino.

La presa di coscienza del peccato apre la prima strofa, dove la mela (simbolo del divieto divino, del non andare oltre, del sapere che la libertà offerta avrebbe potuto avere un limite per la salvezza stessa dell'essere) ora è stata consumata e ha riempito l'uomo di ogni tempo compreso quello del terzo millennio, della stessa onnipotenza di Adamo.

E' forse cambiata la storia? No; Qohelet, il sapientissimo, ci dice che non c'è nulla di diverso sotto il sole che ancora oggi non accada.

L'uomo che è, già è stato.

L'umiltà è l'arma attraverso la quale riprendere coscienza del ricordo del Padre, della memoria della morte e dell'immagine di quella polvere che alla fine, se racchiusa nelle mani di Dio, per essere trasfigurata, riplasmata, tornerà ad essere semplicemente terra che alimenterà nuovamente le radici di quell'albero sul quale è maturata la mela, se non ci si lascerà trapassare da un Sole da cui piovono raggi di luce, che sono verità di un universo che non si espande secondo le leggi della fisica, ma dell'amore; di quell'amore che viene tentato dal serpente che scese dall'albero per allontanare da noi l' idea della fine, la lontananza della morte attraverso l'inganno di una bellezza che ognuno vorrebbe possedere a qualsiasi costo.

Eva apre la via ad una libertà secondo la quale il valore dell'estetica e della provocazione nasconde il suo doppio senso, la perversione di volere fagocitare ogni cosa perché ogni cosa debba essere nostra, debba necessariamente appartenerci, coinvolgendoci in un delirio che oscura la vista per distogliere lo sguardo da ciò che risiede oltre le nebbie.

Da qui passa la storia che il poeta descrive, passa l'azione dell'uomo che cade prigioniero per non avere saputo riconoscere all'angolo delle vie quegli angeli perduti e mai redenti, che offrono immagini fantasmagoriche di un finto benessere e di una strada che non sembra avere alcuna via d'uscita.

Ma il poeta, dopo avere dichiarato con forza che l'idea della morte eterna è propria di chi sa di non svegliarsi dalla notte che ci investe, suggerisce attraverso le ultime righe un percorso che potrebbe essere il più giusto: quello della conciliazione con Dio, del sapere del dolore di chi si fece trafiggere perché l'uomo capisse che da solo non si sarebbe mai potuto salvare e del riconoscersi ancora una volta in fuga da quell'Eden che ogni epoca ripropone, perché la benevolenza di Dio è sempre presente, sempre attuale, sempre nuova.

Un Eden che mette in evidenza le regioni sconfinate del bene e dell'amore da cui, chi è ancora in grado di ascoltare, dopo i fragori del giorno, sente il battere del martello sul chiodo che penetra la carne ed il legno.

Davanti a noi sta la morte di sempre.

Più in là una morte che detiene invece un senso più ampio: l'uomo che prende coscienza dell'Eterno.

E la poesia di Serino vuole essere un monito, forse l'ultimo, di un uomo che ancora ascolta e ci induce a riflettere su quanto la storia ha avuto da dirci.

.


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FLASH SCATURITO DALLA LETTURA DEI VERSI DI POESIA

DI FELICE SERINO

POESIA

ti avviti

con lucido delirio

nella folla

di parole

(tra sprazzi di

di coscienza e sogno

insegui

gibigiane echi:

ecco sfrondarti

forbici di luce:

la pagina è tuo lenzuolo

quando in amplessi

cerebrali

muori rinasci)

la tua anima di carta

ricrea armonie

in seno a spirali

più alte

***

Le parole che si ammassano e si spingono tra la folla per mettersi in luce e voler rispondere a tutti.

Le parole che s'incasellano velocemente sul foglio come automatismi di una stampante a un tuo semplice cenno d'avvio.

O le parole che viaggiano lente su di un carretto guidato da un mulo che conduce te, padrone che dormi, a completare il percorso del tuo sogno fisico/verbale.

Tranquillo, c'è sempre chi conosce la strada!

Le parole infine ridotte all'essenziale e in quell'essenziale moltiplicate per 144.000 modi di interpretarle che le rendono costantemente vive.

Parole parole parole, magia della lingua che comunica con il suo bacio-poesia.

L'eccitazione spirituale che si fa carne.

E' il “delirio” “in seno a spirali più alte”.

Una molla nel cervello che si genuflette al mistero per poi sobbalzare gioiosa e fuoriuscire da questo come canto di lode che si esterna.

Andrea Crostelli


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COMMENTO ALLA POESIA DI FELICE SERINO

ANGELO DELLA POESIA

librarsi della tua ala azzurra nel mio sangue

io-non-io: in me ti trascendi e sei

d'ineffabili alfabeti s'imbeve il nascere delle mie aurore

Da La difficile luce, 2005

*

E' una poesia ermetica sublime, da analizzare e scoprire; io la interpreto così:

librarsi della tua ala azzurra nel mio sangue

è il momento in cui l'ispirazione, come musica celestiale, fa sentire al poeta la sua voce e gli rimescola il sangue

io-non-io:

il poeta non è più se stesso, entra in trance trascinato dall'irresistibile richiamo dell'ispirazione

in me ti trascendi e sei

è il momento in cui l'ispirazione “si serve” del poeta ed elevandosi al di sopra di esso, diventa presenza reale, è, esiste; il poeta diventa strumento della musa

d'ineffabili alfabeti s'imbeve il nascere delle mie aurore

il momento in cui avviene il “parto” delle poesie (il nascere delle mie aurore) è una sensazione di liberazione tanto profonda e sublime, così ricca di vita e di gioia da non potersi descrivere a parole

(d'ineffabili alfabeti s'imbeve).

Antonino Magrì

.


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Felice Serino, Lo sguardo velato – 2016-2017 letto da Angela Greco

La poesia di Felice Serino è un incontro atteso, un momento di conforto, una superficie solida a cui poggiarsi nella inevitabile stanchezza del giorno dopo giorno. Serino tratta la poesia con la quotidianità di chi è a lui familiare e i suoi versi mettono in luce l'affetto per la poesia stessa, la costanza che lo ha condotto fino ad oggi e l'estraneità a quei fenomeni sempre più diffusi dei personaggi in cerca di spazio e lode, che manipolano la poesia in favore del proprio ego o dell'ego del proprio editore.

Felice Serino, scrive come dono di sé all'altro, donando i suoi versi senza attendere nulla in cambio, ma, semmai, ricompensato dal fatto che le sue esperienze possano essere in qualche modo utili ad altri.

Realizzato nel giugno 2018 per il sito poesieinversi.it, “Lo sguardo velato” raccoglie

questo ultimo anno di versi e si apre con un esergo – in seno a cieli di cui non è memoria / dove nessun grido resta / inascoltato / lì è la vita nascosta – che è fin da subito un'immersione nei temi cardini della silloge e della poetica stessa di Serino: il cielo, quindi l'aspetto oltre il visibile degli accadimenti; la ricerca-conoscenza di Sé attraverso la frequentazione-studio del sacro e l'analisi del rapporto tra umano e divino.

Nel paese interiore

nel paese interiore   

eiaculo i miei sogni –

vivo una stagione   

rubata al tempo -mimesi

icariana sul vetro del cielo-

nel paese interiore   

brucia il mio daimon

di febbre e di luce

§

Dell' indicibile essenza

dell' indicibile essenza     

noi sostanza e pienezza

solleva l'angelo un lembo

di cielo:   

in questa vastità soli

non siamo: miriadi

di mondi-entità ognuno

in una goccia   

di luce

C'è nei versi di questa raccolta, la calma di chi osserva tutto quello che ha intorno e di chi ha attraversato tanto delle cose del mondo; una quiete, che giunge al lettore con dolcezza e fermezza nelle convinzioni, come nella costante e decisiva presenza di Dio, una presenza che nello scorrere di queste pagine e delle varie opere dello stesso autore, si fa man mano più viva e vicina e alla quale non è rivolta nessun rimprovero, nessuna parola negativa, quanto piuttosto un sommesso ringraziamento per com'è andata (perché non è andata peggio).

La poesia e l'anima-spirito divino fanno parte per Felice Serino dello stesso comparto, a tratti della stessa dimensione, e la prima sembra l'abito che veste i secondi, la forma grazie alla quale si manifestano e Serino ci presenta così la poesia: dici poesia intendi finestra / affaccio dell'anima bagnata da alfabeti di lune / è finestra su un mare aperto / poesia    /per l'orecchio del cuore-conchiglia (Poesia-finestra), come un tramite tra l'esterno e l'interno che in questo caso è anima e anima è, per questo poeta, il divino che ci abita, come in questi toccanti versi dove la traccia del tempo che trascorre è di una bellezza particolare:

Il tuo volare alto

l'anima spando sulla terra

a ricambiarmi una solitudine

ampia come il cielo

mi appresto a gran passi agli ottanta

e ancor più poesia ti canto   

-del mio sangue azzurra ala   

ai confini della sera in quel

farneticare che richiama la morte

il tuo volare alto

come preghiera

La pluralità di temi e livelli (fisico e metafisico, onirico e reale) emerge in testi come i due che seguono, che al meglio rendono il percorso di Felice Serino, sempre in equilibrio tra umanità e visone alta, attento ai dettagli di quanto lo circonda e consapevole del fattore tempo, utilizzato al meglio nel donare al lettore un vademecum per meglio procedere nei suoi giorni; quasi un consiglio da parte di chi non si è perso in sciocchezze, ma ha perseguito con fiducia e tenacia il dono della Poesia. [Angela Greco]

Stanze   

le notti inzuppate di sogni

quando

nonsense veleggiano

sulle ondivaghe acque dell'inconscio

o ti vedi seguire   

una successione di stanze

e ti perdi e ti ritrovi

in un'altra realtà-sogno o dimensione

§

Epifanie

vita che si guarda

vivere e ci guarda

vita che si pensa ed è

-riflessa vita che   

apre la fronte del mattino

ed è esistere

nel suo ricrearsi

epifanie   

*

Felice Serino è nato a Pozzuoli nel 1941. Autodidatta. Vive a Torino.    Copiosa la sua produzione letteraria (raccolte di poesia: da “Il dio-boomerang” del 1978 a “Dove palpita il mio sogno” del 2018); ha ottenuto importanti riconoscimenti e di lui si sono interessati autorevoli critici. E' stato tradotto in otto lingue.    Intensa anche la sua attività redazionale.    Gestisce vari blog e siti.   


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.

Oltre lʹesilio di Felice Serino letto da Angela Greco AnGre

Autoproduzione che raccoglie liriche del 2020, questa nuova silloge di Felice Serino è una conferma, come già sottolineato nella Prefazione, dei temi e ancor più delle presenze care a questo autore, con uno sguardo alla realtà che fa ben sperare per il lettore. Cʼè vita, cʹè sentimento e cʼè voglia di vivere ogni momento, positivo e negativo, interrogandosi, soffermandosi, riflettendo su ogni dettaglio, ogni incontro, ogni situazione, giungendo con un linguaggio preciso, mai lasciato al caso o al desiderio di mettersi in mostra, dedicato con accuratezza.

Il trascorrere del tempo avvicina il poeta a temi esistenziali inevitabili; ma Felice Serino è capace di portare al lettore gli argomenti con quella grazia che è propria di chi ha consapevolezza della grande tribolazione e sa bene che la Poesia è onestà e che con essa non si può barare.

Nello scorrere delle pagine s´incontra il quotidiano, nel quale anche un percorso in autobus diviene occasione per riflettere materialmente sulla poesia, su questa compagna che custodiamo e che ci custodisce e che affiora nei momenti più inattesi per svelarci qualcosa che era sfuggito. E in questo fluire di versi affiorano i maestri, le passioni, le curiosità che hanno alimentato la fucina della scrittura e ai quali lʹAutore non manca mai di tributare componimenti; un personale pantheon reale-sentito nel quale il poeta vaga e raccoglie frutti da donare a profusione, perché “lʼuomo / è per la meraviglia”.

[Angela Greco AnGre]

*

Felice Serino è nato a Pozzuoli nel 1941. Autodidatta. Vive a Torino. Copiosa la sua produzione letteraria (22 volumi di poesia e numerosi e-book); ha ottenuto importanti riconoscimenti e di lui si sono interessati autorevoli critici. E' stato tradotto in otto lingue. Intensa anche la sua attività redazionale. Gestisce vari blog e siti.

*

Estratti da Oltre l'esilio di Felice Serino

Nella prima luce

.

ci accorgemmo che non siamo

esistiti che nel pensiero

.

è la mente che crea – essa si

materializza in ciò che vuole

.

nel grembo del cielo fu l'immagine

del primo uomo che

Dio sognò nella prima luce

~

Da un altrove

.

e tu a lumeggiare le mie sere

anima di candore e di sogno

.

si fa conca il cuore

ad accogliere

dei versi dettati da un altrove

~

Il dopo

.

ci aspetta sempre

un dopo: il di là

da venire

.

aria di nuovo aleggia

negli occhi – che ci

sorprenderà – e

.

ancora non sappiamo se

croce o delizia

~

La vita scorre

la vita scorre

e quel senso

sempre del fugace

in ogni cosa

ma il mare

il mare è nel cuore di Odisseo

che si interroga

a specchio del cielo

.

l'uomo

è per la meraviglia


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Il sapore del tatto

“Orizzonti di palpiti”. Ed è già qualcosa di più di un titolo. Una dichiarazione di vita. E quindi di poesia. E di visione poetica. Felice Serino muta il senso, il tatto, rendendo tattile la parola sul rigo. Rigo che non è più orizzontale ma materia plasmabile, esistente, concreta. Serino, ci porta nell'oltre corpo, regno dei regni, dove tutto può il sentire. Il limite è attraversato. Non ci sono più contorni netti se non quelli dettati dal pulsare dell'anima: “ ti senti altrove e il più delle volte fuori dal coro… e sai che tutto è ancora possibile”. Ecco la chiave, la chiave che l'autore ci fornisce per scardinarci e scardinare. Le parole che non vanno sprecate perché: “ sillabe cadute dagli occhi/ l'ingoio di stelle a svanire”. La dimensione del non – ritorno per tornare a guardare l'oggi, il presente, l'ora, l'adesso con sguardo nuovo, puro, severo d'incandescente. Introspezione e universalità. Conoscersi per conoscere: “ per l'uomo e il suo specchio/ dai mille rebus irrisolti/ dove confluisce la sua storia.” Il poeta che, ancora una volta lui, si muta in guida, esploratore, generatore di quesiti e conforto: “ sarà un capriolare/ di dolce vertigine/ come immergerti in una pace amniotica”. Il passo sempre oltre sicuro perché incerto e certo delle incertezze che ci colmano in un continuo domandarsi, interrogarsi, chiedersi : “scuotersi dall'inerzia: vegliare/ con le lampade accese /nel turbinio del mondo”. Sino a divenire corpo- poesia. Un crollo di pareti. Per altre dimensioni perché: “sempre viva è la rosa di sangue/ e splende di bellezza”. E il palpito diventa rumore di mille mari calmi e mossi, cicli lunari, il suono dell'inestricabile a sciogliersi “cosa saremo/ chi ci dirà?”. Il fiato si forma verso inscalfibile di chi ha visto l'invisibile e per noi lo traduce. “Dietro il velario di carne /chi siamo?” chiede il poeta pacificandoci viaggio che non ha fine. E che mai finirà.

enrico marià


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Cristina Donà - La quinta stagione (2007)


immagine

Scritto tra il febbraio 2006 e il febbraio 2007, La quinta stagione viene registrato allo studio Esagono di Rubiera nella primavera del 2007 con la produzione artistica di Peter Walsh, già al lavoro con Scott Walker, Simple Minds, The Church, Peter Gabriel. L'idea fondante dell'album viene dalla medicina tradizionale cinese, secondo la quale la “quinta stagione” è il periodo intermedio tra le stagioni: un momento di passaggio durante il quale corpo e spirito si preparano al cambiamento. Ed è intorno al concetto di “preparazione”, all'eventualità di dover affrontare un momento duro, che ruotano i brani di Cristina Donà.


Ascolta: album.link/i/712326333



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Cristina Donà - La quinta stagione (2007)


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Scritto tra il febbraio 2006 e il febbraio 2007, La quinta stagione viene registrato allo studio Esagono di Rubiera nella primavera del 2007 con la produzione artistica di Peter Walsh, già al lavoro con Scott Walker, Simple Minds, The Church, Peter Gabriel. L'idea fondante dell'album viene dalla medicina tradizionale cinese, secondo la quale la “quinta stagione” è il periodo intermedio tra le stagioni: un momento di passaggio durante il quale corpo e spirito si preparano al cambiamento. Ed è intorno al concetto di “preparazione”, all'eventualità di dover affrontare un momento duro, che ruotano i brani di Cristina Donà.


Ascolta: album.link/i/712326333


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Essere contro


#riflessioni #diritti #razzismo

Vi piacciono i taralli fatti con la farina di grilli? E le larve fritte al peperoncino? Le vedo le vostre facce schifate e le smorfie di disgusto, vedo anche i vostri pensieri, il “no, no, no, io quella roba là mai, per carità” che vi scorre in testa. Prima che andiate a vomitare però, voglio dirvi 3 cose:

  1. Li ho assaggiati, sia i taralli con la farina di grilli che le larve fritte, e non sono per niente male, anzi, sono abbastanza buoni.
  2. Non c'è questa grande differenza tra il mangiare grilli e gamberetti. E ci sono cose ben più disgustose che vengono considerate prelibatezze, tipo le lumache.
  3. Ma poi, a voi che vi frega di quello che mangio io?
GamberettoGrillo
DominioEukaryotaEukaryota
RegnoAnimaliaAnimalia
PhylumArthropodaArthropoda
ClasseMalacostracaInsecta
OrdineDecapodaOrthoptera
SottordinePleocyemataEnsifera
FamigliaCrangonidaeGryllidae
GenereCrangonAcheta
SpecieC. crangonA. domesticus
GamberettoGrillo

Io non vengo a casa vostra per controllare se mettete la panna nella carbonara o l'ananas sulla pizza (che tra l'altro a me la pizza ananas e prosciutto piace, adesso uccidetemi), perciò non vedo perché a voi debba interessare se mangio grilli. Perché vi svelo un segreto, il fatto che sia possibile fare una cosa, non implica che quella cosa debba essere fatta.Se l'Unione Europea approva l'uso di farine d'insetti per il consumo umano, non vi sta dicendo che da oggi in poi dovete mangiare solo biscotti al grillo, e se autorizza la sperimentazione sulla carne coltivata, non sta obbligando tutti a prendere le fettine panate in laboratorio. Potete continuare a comprare la farina di grano antico che vi piace tanto e andare dal macellaio sotto casa a prendere la costata da otto etti perché lui c'ha la carne buona.Di questi tempi sembra vada molto di moda essere contro: contro la farina d'insetti, contro l'ananas sulla pizza, contro l'aborto, i diritti delle persone non binarie, lo ius soli, le celebrazioni per il 25 aprile... contro tutto quello che non si conforma alla propria visione del mondo, come se per assicurare gli stessi diritti a persone diverse da noi per provenienza, genere, religione, ecc., dovessimo in qualche modo privarcene noi. Beh, ecco un altro segreto svelato: i diritti non sono una quantità a somma costante (in fisica si direbbe che si conservano), non esiste un valore che rappresenta il totale dei diritti di cui godono tutti gli esseri umani, per cui se concedo un diritto in più a qualcuno lo devo togliere a qualcun altro. Garantire dei diritti alle minoranze non significa toglierli a chi ha avuto la fortuna di nascere maschio, etero, bianco, europeo, significa contribuire a creare una società migliore. E, come scrivevo prima, avere il diritto a qualcosa non implica essere obbligati ad averlo. Come il mio diritto di mangiare farina di grilli non ti obbliga a fare altrettanto, così i diritti delle persone LGBTQIA(BCDEFGH...)+ non riducono i diritti dei maschi alfa bianchi, eterosessuali, cattolici, che credono nella famiglia tradizionale. (lo sapete vero che la storia del maschio alfa è una cazzata?). Garantire un fine vita dignitoso e di libera scelta a persone malate e sofferenti non implica che chiunque debba ricorrere al suicidio assistito né, come qualcuno ha detto, che si vogliano eliminare dalla società le persone vecchie e malate. Il diritto all'aborto non impedisce a chi vuole avere figli di farlo e riguarda la coscienza di chi decide di esercitarlo, non fondamentalisti incel che si riempiono la bocca di concetti come il diritto alla vita. Spesso mi sembra che stiamo trattando i diritti civili come fanno certi tifosi di calcio: non importa se la mia squadra perde, basta che quella degli altri che mi stanno antipatici non vinca. Ora, se questo tipo di ragionamento già è ridicolo a livello sportivo, quando si parla di diritti civili è una cazzata bella e buona. Se vi dà fastidio che una coppia di persone dello stesso sesso adotti un bambino o una bambina, che un malato terminale decida che non ce la fa più a vivere, se pensate che sia sbagliato che una persona che vive in Italia da 5 anni chieda la cittadinanza, e che i suoi figli nati qui diventino di diritto italiani, non state proteggendo i vostri diritti, ma i vostri privilegi a scapito delle fasce più deboli della popolazione, state cercando di mantenere una vostra presunta superiorità. insomma, siete solo dei razzisti del cazzo.


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NEL ROVESCIAMENTO

(a cura di Luca Rossi)

(non vedi al di là del tuo naso scientifico):

è come leggessi sull'acqua

lettere storte: poiché noi siamo

nel rovesciamento afferma

la weil – e negazione

ci appare la grazia

[da Fuoco dipinto – 2002, edizione dell'Autore]

*

Riscattare la propria condizione esistenziale è il fondamento di questa poesia.

Il nostro Io interiore e quello esteriore sono legati da un qualche cosa che li determina, che li unisce per essere insieme un tutt'uno, a costruire un significato.

Vediamo da un lato, mentre perdiamo visione dell'insieme dall'altro (non vedi al di là del tuo naso scientifico), perché i parametri di giudizio sono quelli di sempre, basati su una visione del cosmo troppo mediata dalla ragione e poco dai sentimenti; dalla rigida regola di catalogare il tutto per dare una risposta a ciò che avviene e poco dalla capacità di comprendere l'impossibilità di penetrare i progetti della natura che sfuggono a ogni capacità di previsione.

La realtà può essere quella che vediamo riflessa in uno specchio d'acqua, ma può anche essere quella che lo specchio d'acqua riflette quando la stessa viene mossa e confonde l'immagine.

Eppure è sempre la medesima realtà vista in due modi differenti.

Poiché noi siamo l'una e l'altra: lettere ordinate, ben composte, ma anche lettere storte che descrivono un racconto di vita diverso.

Leggiamo nell'acqua un volto, leggiamo un pezzo di cielo che la sovrasta, leggiamo un desiderio precluso (quello di Narciso che non seppe vedere il proprio rovesciamento) e ci appare distinto un progetto dove la luce colpisce, dove la luce rende tutto più chiaro.

La grazia fa da tramite per vedere le due realtà in cui vivere; tempo speso perché la vita resti quella di sempre scombinata nei suoi opposti.

Dicembre 2000


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LA VITA NELLE MANI DEL VENTO

palpebre d'aria

chiuse sulla disfatta del giorno

(depistate tracce

rotte smarrite

a insanguinare il vento:

ruotare del tempo

nella sua vuota occhiaia)

anse d'ombre

annegano il grido

dell'anima giocata a testa e croce

Felice Serino

Da Fuoco dipinto, 2002

*

Commento critico di Luca Rossi

Settembre 2000

Occorre tirare le somme e vedere la realtà per quella che è o per quella che è stata. La nostra anima, il nostro passato, non li possiamo cambiare.

Li abbiamo giocati al gioco del destino, apparso sempre così mutevole, come il vento che ora soffia in una direzione e subito dopo nella direzione opposta.

Un vento che corre lontano prima che il giorno finisce.

E ora che si fa sera si devono fare le proprie considerazioni, come palpebre che si chiudono alla disfatta del giorno.

Ma il giorno – la vita – è stato pieno di tante cose, di tanti avvenimenti, di un destino falsato, di una scelta che non si è trasformata in realtà (rotte smarrite, dice il poeta), che ha cambiato le sorti della

stessa e ha macchiato quel vento che porta oltre.

Restano le ombre, con le loro pieghe, con i loro risvolti che si accompagnano al grido di quella che è ora la realtà dell'anima che vuole tornare a essere se stessa, vita nelle mani del vento.


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Frasi sulla poesia "IL PECULIO DI LUCE" (a Simone Weil) di Felice Serino


Frasi sulla poesia “IL PECULIO DI LUCE” (a Simone Weil) di Felice Serino

IL PECULIO DI LUCE

(a Simone Weil)

1.

(occhi come laghi

a eco fremiti di vita)

ha mani che sfondano muri

di solitudine – amore

2.

germoglia grido di luce

da nuovo dolore

Felice Serino

Da Il sentire celeste, 2006

*

Tornano a te, come in un lago al centro della sua valle, gli echi della tua voce-dolore-di-tempo, di quando pronunciasti frasi o pensieri appena ieri, o tornano a te gli echi di chi, in un tempo più remoto, ti assomigliava nel suo “sentire”. Perché l'eco è un sentire che può arrivare dalle orecchie al cuore.

Queste sono le “mani che sfondano muri” (e anni), mani prolungate in gesti d'amore e alzate in inni di lode.

L'eco della “luce” sorge come un grido potente di vittoria che abbatte mura di Gerico (la preghiera “funziona” quando uno non dubita che otterrà quel che chiede, anzi sa già di averlo ottenuto prima che questo accada), che stronca le resistenze nemiche più volitive, che smaschera la “notte” con le sue abissali contrapposizioni del bene e con l'offerta lieta delle proprie pene.

E' così che Felice Serino si specchia negli occhi di Simone Weil (intravede il suo sorriso come una mano tesa), è così che Felice Serino si specchia nella vita piena.

Andrea Crostelli


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Estratti da Afflati di Felice Serino (e-book, 2022)

Senza titolo 2

.

un'alba cadmio

apre spazi

inusitati nel cuore

.

usciti dal sogno

beccano sillabe

gli uccelli di Maeterlinck

in un cielo di vetro

.

da un luogo non- luogo

le uve dei tuoi occhi

chiamano il mio nome

genuflesso nella luce

.

.

Spleen 2

.

brusio di voci

.

galleggiare di volti

su indefiniti fiati

.

si sta come

staccati

da sé

.

golfi di mestizia

mappe segnate

dietro gli occhi

.

vi si piega

il cuore

nella sanguigna luce

.

.Vita nascosta

.

il muro d'aria che divide

luogo e non- luogo

o solo quell'esistere sognato

che torna come déjà vu

.

qui solo apparire:

l'essere è vita

parallela – nascosta

.

..

Felice Serino (Pozzuoli, 1941), autore prolifico, redattore presso molti lit-blog e riviste on line, ha all'attivo diverse sillogi poetiche; la sua poesia è tradotta in diverse lingue. Con Afflati (scaricabile cliccando QUI), il nuovo e-book creato all'inizio di questo 2022 in cui raccoglie la sua produzione poetica 2019 – 2020, rinnova il legame con i suoi lettori.

In effetti, quello che si stabilisce con questo autore è un legame di fedeltà, tra se stesso e i suoi temi e tra il poeta e il suo pubblico, il quale, ad ogni lettura, rileva una sfumatura, coglie un significato in più, in un'attesa mai delusa nei confronti di questa poesia che, col passare del tempo, si eleva, percorrendo man mano proprio quella strada auspicata dall'autore nella stesura dei propri versi.

La lettura è introdotta da una breve ed efficace Prefazione redatta da Enrico Marià, che si sofferma, a giusta ragione, sull'introspezione, che diventa patrimonio comune, esternato con sonorità lievi, mai eccessive, fuori luogo o aggressive; un balsamo anche per questi tempi che stiamo attraversando, nei quali Felice Serino si pone, con la sua voce sensibile e costante, quasi come un punto fermo al quale riferirsi.

“Afflato”, per definizione, è il soffio, ma anche l'ispirazione e nella poesia che Felice Serino ha incluso in questo titolo al plurale, ben si coglie questo momento particolare occorso nella vita del poeta, il quale sembra voler gradualmente lasciare le cose terrene per involarsi verso un cielo verso il quale l'anelito non è mai stato celato o mal esternato in tutta la sua produzione poetica. Il tono delle poesie detta quasi una suddivisione in due parti: nella prima si avverte un'assenza, una mancanza, quasi il poeta stesse usando la poesia per ricordare qualcosa o, meglio, qualcuno, che era presenza e che oggi ha mutato la sua condizione; nelle poesie successive, invece, si ritrova il Serino dei precedenti lavori, la sua forza e la sua radice, in un'analisi intima degna di nota e che mai abbandona i riferimenti culturali e artistici tipici di questo poeta.

La poesia di Felice Serino si apre sempre alle domande fondamentali, alle riflessioni filosofico-religiose, che fanno bene al lettore, ma anche alla rappresentanza italiana di questa scrittura, alla Poesia nostrana degli ultimissimi tempi intendo, spesso maltrattata con il trattare argomentazioni futili, quando non parli addirittura di questioni sterili con la scusa di essere specchio dei tempi.

[Angela Greco AnGre]


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La poesia come atto di fede.

Recensione a Trasparenze 2019-2020 di Felice Serino (Poesiainversi.it, 2021)

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Di Mario Saccomanno

Sono diversi i punti fondanti intorno cui gravitano le poesie che compongono l'ultima raccolta di Felice Serino che porta il titolo Trasparenze 2019-2020 (Poesiainversi.it, 2021). Per questo motivo, una breve presentazione del testo come quella che si vuole offrire al lettore in queste righe risulterà inevitabilmente carente di molti aspetti. Si aggiunga che l'autore possiede una conoscenza minuziosa dei mezzi poetici, affinati con l'esperienza che traspare anche dagli altri lavori che precedono la silloge che si vuole prendere in esame. Di conseguenza, le analisi che verranno tracciate possono risultare proficue in particolare se utilizzate come spunto per avvicinarsi alla poetica dell'autore con l'intento di leggere le poesie con un piglio personale, cercando strade interpretative individuali che possono anche distaccarsi enormemente da quanto verrà proposto in questo contesto.

Dopo questa premessa indispensabile, il primo punto che occorre evidenziare è il tema della fede, filo rosso della silloge. Per capire il tipo di

fede a cui Serino si riferisce e comprendere la pervasività di questo aspetto, ci si può affidare a quanto descrisse nel libro La confessione il celebre scrittore russo Lev N. Tolstoj. A prima vista, potrebbe sembrare azzardato prendere le mosse dal testo tolstojano, eppure proprio in quelle pagine Tolstoj giunse ad affermare che l'assurdità della vita era evidente soprattutto se si guardava ai modelli di vita ostentati dalle classi agiate. I frutti di questo approccio si riscontravano nelle ultime strade percorse dalle scienze, nei modi di intendere la società e, ancor di più, nella violenza imperante. Quelli appena elencati, sono tutti temi che nella raccolta di Serino ricoprono un ruolo importantissimo e decisivo.

A Tolstoj, osservando la massa delle persone, i popoli, in contrapposizione proprio alle caratteristiche predominanti delle classi agiate, impantanate nell'ozio, risultò evidente una cosa: la vita aveva uno scopo. Quel senso ultimo di ogni gesto era garantito dal possedere una fede semplice e radicata nella quotidianità. Da questa convinzione, Tolstoj cominciò ad affinare la sua visione del mondo basata, sempre più su una fede universale riflessa in un principio, il rifiuto di utilizzare la violenza, che provocò reazioni disparate, sia di disprezzo, sia di profonda ammirazione, come avvenne nel celebre caso di Gandhi.

Il libro di Felice Serino parte da un assunto, che è l'assunto tolstojano: il bisogno di credere. È questa fede che smuove il ristagnare della vita. Senza la fede non si può giungere oltre gli angusti confini materiali di ogni esistenza. Del resto, sin dalle prime righe della Prefazione, Donatella Pezzino presenta egregiamente quest'aspetto al lettore affermando: «In ogni mondo esiste una porta di comunicazione con tutto il resto. Conoscerne l'esatta ubicazione, aprirla, e attraversarla non presuppone capacità medianiche, ma solo un umile atto di fede: una fede qualsiasi, in Dio, nell'amore, nelle energie della natura, in sé stessi».

Dunque, nel testo di Serino questo bisogno di fede assume, come appena avuto modo di notare, tratti differenti in base al contesto precipuo e al bagaglio culturale ed esperienziale del singolo. Di sicuro, è un aspetto sotteso in ogni verso dell'autore incluso nella raccolta che si sta prendendo in esame. Di più: sembra possibile affermare che senza l'assunto della fede non potrebbe mai prendere forma l'illogico e indispensabile gioco poetico presentato dal poeta.

Il riflesso più grande di questo approccio poetico-comunicativo basato su un atto di fede è lo sgretolarsi di ogni barriera che intercorre in chi è impantanato costantemente nel divenire, costretto a una continua peregrinazione, a un eterno calpestare le strade del suo ultimo presente. Nella raccolta, Serino si occupa con vigoria proprio di questa condizione, con un linguaggio che acclude diversi registri, intrecciati sempre con sapienza al punto che risultano essere in grado di soddisfare le esigenze che sottendono la costruzione di ogni singolo verso.

È tramite questo approccio che nel testo risulta evidente come ogni mancanza che segna irreversibilmente il singolo venga prontamente colmata da un ricordo, da una continua presenza, viva e penetrante, che risulta essere in grado di indicare i modi adeguati che conducono a sciogliere i nodi di ogni nuovo inevitabile inciampo esistenziale.

Così, la poesia è il riflesso di questa condizione di insicurezza e fragilità. Diventa tonico per l'esistenza, specchio di una continua ricerca. In effetti, a ben vedere, i versi di Serino sono l'unico modo attraverso cui l'autore può comunicare al lettore tutte quelle condizioni che il linguaggio ordinario non può contenere nella forma usuale. Appellarsi alla poesia e alle sue regole perennemente in bilico, che necessitano di una compartecipazione costante e duratura del lettore, significa abbracciare la possibilità di cogliere gli aspetti che – sembra affermare l'autore in conclusione – non solo sono ben presenti negli atteggiamenti quotidiani, ma si pongono come elementi regolatori e determinanti di tutte le esistenze.

Dunque, l'atto di fede, il credere che viene richiesto al lettore, non è un azzardo, ma viene riscontrato nella quotidianità, nell'osservazione minuziosa degli atteggiamenti mostrati dagli uomini. Per questo motivo, un altro elemento fondamentale della poetica dell'autore è il prendere costantemente le mosse dall'analisi degli avvenimenti peculiari del presente, filtrati principalmente i comportamenti e gli umori mostrati dalle persone più vicine. È in questa quotidianità che si annida sempre il bisogno della fede, della speranza. Proprio in questo contesto il linguaggio canonico perde il suo significato. Ecco perché solo la poesia sembra indicare un modo attraverso cui indicare al lettore la possibilità di percorrere una strada, solo apparentemente impervia, che possa far cogliere i tratti distintivi di una quotidianità che spesso si vive senza partecipazione attiva.

Serino rassicura in più luoghi del testo come, al di là delle difficoltà di fare i conti con un nuovo alfabeto che regoli la propria esperienza vitale, il modo attraverso cui scardinare i muri che contornano il presente è un qualcosa che sembra quasi essere spontaneo una volta che si ha avuto la forza di volontà di percorrere i primi faticosi passi. Del resto, questo risultato è ben visibile non solo nelle principali religioni che hanno contraddistinto da sempre l'uomo, ma anche nelle figure di spicco d'ogni secolo. La semplicità è contrassegnata nella fede nell'amore, in un amore che da particolare si spinge, quasi ficinianamente, ad amore universale e che, in una spirale infinita, include ogni particolare in un contesto più ampio.

Questa percorso, nel testo di Serino, è un compito che spetta al singolo. Eppure, nel peregrinare continuo sulle strade spesso secondarie del presente, il bisogno dell'altro è sempre fondamentale, specialmente nei contesti più usuali, quelli intimi. Da qui, nasce anche il bisogno di riportare la propria esperienza, i ricordi, il vissuto avvalendosi dei versi quasi come forma diaristica. Da questo punto di vista, Trasparenze è una testimonianza, una sorta di confessione utile a indicare il modo attraverso cui l'autore è giunto alle sue conclusioni. Per rifarsi ancora alle parole di Donatella Pezzino: «Più che limitarsi ad essere credente, l'uomo di Serino guarda oltre, desidera oltre: e nel farlo, il suo sguardo incontra Dio».

È possibile analizzare i temi passati in rassegna finora facendo riferimento ad alcuni versi presenti nella raccolta. Di sicuro, sin dalle prime poesie della silloge risulta evidente come il tema dell'oltre sia l'elemento caratteristico della poetica di Serino. L'urgenza di allontanarsi in qualche modo, di liberarsi dalla «gravezza della carne» è un bisogno primario, al punto che spinge a percorrere i nuovi viaggi e finisce per assumere il tono di una richiesta, rivolta a se stesso, prima ancora che a Dio. Il bisogno di liberazione, l'andare oltre diventa necessario soprattutto nel caso in cui, utilizzando le parole del poeta, «come giunco mi piego / in arida aria».

Il bisogno del viaggio, il più delle volte interiore, capace di dare nuova linfa al ristagno in cui può versare un'esistenza è riscontrabile, ad esempio, in Musica sacra in cui si può leggere: «Il tempo si era fermato e / fu come uscire fuori da me / uno sconosciuto luogo di pace / mi accolse». Solo da questa nuova condizione si giunge all'empatia, tassello fondamentale di cui si discuteva già in precedenza, raccordo indispensabile tra l'uomo che percorre questo nuovo viaggio esistenziale di liberazione e «gli angeli e i morti». È proprio l'empatia che spinge energicamente a osservare le trame del presente con nuovo piglio. In merito si veda In questo giorno stordito di luce dove tuonano i versi «canto per la dignità dell'uomo / che fa della sua insopprimibile libertà / ali di luce // a lambire le fonti del sogno».

Non resta che sottolineare un ultimo aspetto della poetica di Serino: la musicalità delle sue composizioni. Del resto, tra i debiti mostrati e mai nascosti dall'autore spicca quello nei riguardi del celebre poeta Federico Garcia Lorca – si veda in merito Bocche di chitarre – che sulla musicalità delle sue poesie ha a lungo lavorato raggiungendo risultati indiscutibili. Le composizioni di Serino nutrono sempre il bisogno di una musicalità che deve permeare tutti i versi che, solo così facendo, possono diventare veste soddisfacente che copre i tratti dell'esistenza. Solo col ritmo impresso nella poetica, il messaggio può diventare davvero universale e spingersi oltre l'apparente staticità del vivere. Nella poetica di Serino la bonaccia quotidiana è spazzata via da un vento fatto di musica che risuona in parole ricolme di nuove possibilità che si insinuano nei meandri spesso insondati d'ogni uomo.

.

Poesie scelte:

Giobbe

Signore liberami

da questa gravezza della carne

– ora mi pesano gli anni

come macigni –

ascoltami – quando

il sangue grida le ferite della luce

ed io come giunco mi piego

in arida aria

***

Dell'immaginario (del sogno)

Li vedevo salire dal mare

dal grande mare aperto

i miei morti che dispensavano sorrisi

era esplicito il loro invito

lo si leggeva negli occhi forti

di luce

ma una vocina dal di dentro

mi diceva

che non era giunto il tempo

***

Bocche di chitarre

alla sua morte per fucilazione

anche le chitarre emisero lamenti –

a un ordine dei generali

dalle loro bocche uscirono insetti

bibliofagi

a divorare pagine e pagine

di versi sparsi per il mondo

ma lo spirito del popolo è vivo

la memoria è vasta come il mare –

venne ricomposto il poema

insanguinato

fino all'ultimo rigo-respiro

si può uccidere un poeta

non la poesia

(Federico Garcia Lorca, 1898 – 1936)

***

Tra la bestia e l' angelo

tra la bestia e l' angelo

corda tesa sull' abisso

nel divario della mente dove destrieri

scalpitano inesausti

bivaccano i tuoi fantasmi

o si mimetizzano tra

la fantasiosa tappezzeria dei divani

semmai si annoiassero sai

dove trovarli: a giocare ore

e ore con le nuvole

tenendo al guinzaglio i sogni

***

Da un imperscrutabile sentire

ti attraversano come una luce sottile:

sono sempre con te i tuoi morti

mai andati svaniti -ci crederai?-

saldano le tue radici

“vivendo” con te ancora: ubiqui e

onnipresenti

da un imperscrutabile sentire

puoi percepirne al tuo fianco la presenza

sono essi a suggerirti in un soffio

semmai ti giunga

una ispirazione

sostano dentro gli specchi

si fanno tuoi consiglieri

quando non sai deciderti

sul colore di un maglione da indossare

allucinate presenze

ti accompagnano in quel mondo parallelo

ch'è la regione del sogno

***

Emarginato

quest'uomo: tristezza

d'albero nudo

avanzo di vita aperta

ferita

-occhi scavati

che perdono pezzi

di cielo

quest'uomo

puntato a dito

quest'uomo fatto

torcia

per gioco


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Trasparenze 2019 2020 di Felice Serino letto da Angela Greco

27 APRILE 2021 ~ ANGELA GRECO – ANGRE

Felice Serino Trasparenze 2019 2020La poesia di Felice Serino, in questo tempo difficile e non ordinario, appare al lettore come una epifania; una luminosa presenza utile a prendere consapevolezza di taluni dettagli, che non sfuggono al poeta, attraverso i quali sperare in qualcosa di più, oltre quello che si vede. Serino attraversa le occasioni che gli vengono offerte quotidianamente dal vivere con i sensi disposti a percepire e a codificare quello che accade, anche tra le righe, attento a circoscrivere con perizia l'evento, per fornire una eventuale chiave di accesso, senza imporsi o alzare la voce, quanto piuttosto con la pacata ragionevolezza di chi affronta le situazioni forte del proprio bagaglio spirituale ed esperienziale.

“Trasparenze 2019 2020” (pubblicato in formato elettronico dal sito “Poesieinversi”, con prefazione di Donatella Pezzino) è un altro tassello degno di nota nel lavoro poetico dell'autore; lavoro, che va sempre più affinandosi col procedere delle condivisioni dei versi con i suoi lettori, ponendo in tal modo l'accento sull'importanza, anche in Poesia, del confronto e dello scambio, elementi assolutamente necessari alla crescita.

La raccolta si apre con una emblematica poesia, che funge, a parer mio, anche da incipit: Giobbe, antonomasia della pazienza, nella quale, elaborando la tradizione classica di affidarsi, in incipio, alla divinità, il poeta per mezzo del protagonista invoca l'atto essenziale per il quale, con buona ragione, sembra addirittura scrivere, in due versi dalla forza non indifferente, che tolgono ogni dubbio al fatto che per Serino il vivere è affidarsi a qualcosa di più grande di lui (sacro e poesia, d'altro canto, si possono senza dubbio mettere sullo stesso piano):

Signore liberami

da questa gravezza della carne

-ora mi pesano gli anni

come macigni-

ascoltami – quando

il sangue grida le ferite della luce

ed io come giunco mi piego

in arida aria

Si ritrovano, sempre con piacere, gli elementi caratterizzanti dell'autore; ed ecco che l'occhio non manca di osservare tutto quello che c'è intorno, con riferimenti ad altre materie, oltre quelle letterarie ed artistiche, evidenziando il tutto tondo della poesia di Felice Serino, la sua innata curiosità e la sua volontà di rendere partecipe la poesia di ogni momento della sua esperienza di vita. La trascendenza, tuttavia, sembra avere il posto d'onore in questi versi brevi, incisivi e pregni di terminologie specifiche, trai quali, con una sola parola, spesso si può leggere la tendenza del poeta al ragionamento filosofico, all'interrogazione di se stesso in rapporto al mondo, sempre con la pacata tensione dell'attesa di una risposta di chi sa, però, che non arriverà, perché i quesiti posti sono di un ordine ben oltre questo umano che attraversiamo, come ad esempio si legge in Rinascere negli occhi o in A prescindere, a seguire:

all'inizio nel tempo

primigenio

il primo stupore in un volo

ai piedi dell'angelo

sarà poi precipizio della luce

ma si resta

nella memoria della rosa

che vuole rinascere negli occhi

*

questo uscire rientrare nell'alveo celeste

è racchiuso in un tempo

rallentato

un lampo nel cuore dell' universo

t' è stato messo nel cuore il senso

dell'eterno – a prescindere

ogni giorno ti riscopri vivo

come il seme

Una poesia, quella contenuta in “Trasparenze 2019 2020”, che non manca di riferimenti anche ad episodi più concreti, vissuti dall'autore o dedicati a persone reali, che hanno il grande pregio di avvicinare il poeta al lettore, in un rapporto di reciproca stima, indubbiamente lodevole; Serino non spiazza con trovate lessicali ad effetto o termini ineleganti, tutt'altro; la sua è una poesia che continua a carezzare il fruitore anche quando tratta temi scottanti o difficili, con una delicatezza che non può non essere propria della persona che scrive, perché sarebbe difficile creare ad arte quel sentimento che si stabilisce durante la lettura di un'opera. [Angela Greco AnGre]

Cieli capovolti

nel cavo del grido

deflagra rombo di tuono e

scalpitano nella testa

destrieri impazziti

egli non vede

più il corpo della madre

solo cieli capovolti e

accovacciato in un angolo

della parete che separa

vita da vita

trascorre le ore vuote suonando

l'ocarina

ilsassonellostagno.wordpress.c…

.


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Patti Smith - Twelve (2007)


immagine

Twelve è il decimo album in studio di Patti Smith, pubblicato il 17 aprile 2007 dalla Columbia Records. L'album contiene dodici tracce, tutte cover. Ha debuttato nella Billboard 200 al numero 60, con 11.000 copie vendute nella prima settimana. È stato pubblicato anche un EP promozionale intitolato Two More, contenente due cover non presenti nell'album: “Perfect Day” di Lou Reed e “Here I Dreamt I Was an Architect” dei Decemberists.


Ascolta: album.link/i/1352642017



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Patti Smith - Twelve (2007)


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Twelve è il decimo album in studio di Patti Smith, pubblicato il 17 aprile 2007 dalla Columbia Records. L'album contiene dodici tracce, tutte cover. Ha debuttato nella Billboard 200 al numero 60, con 11.000 copie vendute nella prima settimana. È stato pubblicato anche un EP promozionale intitolato Two More, contenente due cover non presenti nell'album: “Perfect Day” di Lou Reed e “Here I Dreamt I Was an Architect” dei Decemberists.


Ascolta: album.link/i/1352642017


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SALMO - 94 (93)


INNO A DIO, GIUSTO GIUDICE1 Dio vendicatore, Signore, Dio vendicatore, risplendi!

2 Àlzati, giudice della terra, rendi ai superbi quello che si meritano!

3 Fino a quando i malvagi, Signore, fino a quando i malvagi trionferanno?

4 Sparleranno, diranno insolenze, si vanteranno tutti i malfattori?

5 Calpestano il tuo popolo, Signore, opprimono la tua eredità.

6 Uccidono la vedova e il forestiero, massacrano gli orfani.

7 E dicono: “Il Signore non vede, il Dio di Giacobbe non intende”.

8 Intendete, ignoranti del popolo: stolti, quando diventerete saggi?

9 Chi ha formato l'orecchio, forse non sente? Chi ha plasmato l'occhio, forse non vede?

10 Colui che castiga le genti, forse non punisce, lui che insegna all'uomo il sapere?

11 Il Signore conosce i pensieri dell'uomo: non sono che un soffio.

12 Beato l'uomo che tu castighi, Signore, e a cui insegni la tua legge,

13 per dargli riposo nei giorni di sventura, finché al malvagio sia scavata la fossa;

14 poiché il Signore non respinge il suo popolo e non abbandona la sua eredità,

15 il giudizio ritornerà a essere giusto e lo seguiranno tutti i retti di cuore.

16 Chi sorgerà per me contro i malvagi? Chi si alzerà con me contro i malfattori?

17 Se il Signore non fosse stato il mio aiuto, in breve avrei abitato nel regno del silenzio.

18 Quando dicevo: “Il mio piede vacilla”, la tua fedeltà, Signore, mi ha sostenuto.

19 Nel mio intimo, fra molte preoccupazioni, il tuo conforto mi ha allietato.

20 Può essere tuo alleato un tribunale iniquo, che in nome della legge provoca oppressioni?

21 Si avventano contro la vita del giusto e condannano il sangue innocente.

22 Ma il Signore è il mio baluardo, roccia del mio rifugio è il mio Dio.

23 Su di loro farà ricadere la loro malizia, li annienterà per la loro perfidia, li annienterà il Signore, nostro Dio.

_________________Note

94,1 Formulando questa preghiera, l’orante invoca l’intervento di Dio contro ogni ingiustizia e prevaricazione. La vendetta non è sollecitata come cieca reazione contro i malvagi, ma quale manifestazione di un Dio che ha come prerogativa fondamentale il ristabilimento della giustizia.

94,17 regno del silenzio: è il regno della morte e dell’oltretomba.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


Inno e supplica a Dio re e giudice giusto Inno della regalità di JHWH (+ motivi di lamentazione, ringraziamento, giudiziali e sapienziali)

Il salmo è un appello a «Dio che fa giustizia» (alla lett. «Dio delle vendette»), a intervenire contro l'ingiustizia degli empi; questi lo sfidano apertamente, approfittando del suo apparente silenzio, per commettere soprusi e angherie, in particolare attraverso il legalismo ingiusto degli stessi tribunali. Il salmista è certo che Dio interverrà a difesa del debole con mano forte. Perciò è un salmo di speranza e di fiducia nella giustizia di Dio. Sebbene non si accenni direttamente al regno di Dio, l'appartenenza del Sal 94 al genere degli “Inni della regalità” divina è giustificata. Infatti il riferimento al giudizio di Dio, che è chiamato «giudice della terra» (v. 2), richiama quello della regalità come nei Sal 96-99. Inoltre, il riferimento al «tribunale iniquo» (alla lett. «trono iniquo») (v. 20) dei giudici terreni corrotti, fa da contrapposizione al «trono saldo» (Sal 93,2) segno della regalità divina e del perfetto giudizio divino degli stessi Sal 96-99. Il salmo, ruotante nell'area implicita della regalità di Dio, si mostra come una composizione mista con motivi appartenenti ad altri specifici generi letterari: ci sono elementi della “lamentazione comunitaria”, del genere “sapienziale”, e di “ringraziamento”; sono presenti inoltre la “diatriba giudiziaria” ed elementi vari di altri generi. L'epoca di composizione è quella del postprofetismo, ma prima dell'epoca greca o maccabaica, data la sua fattura classica. È sviluppato il simbolismo giudiziario, spaziale e antropomorfico. Il verso nel TM è distico con 3 + 3 accenti.

La struttura è concentrica secondo il seguente schema:

  • vv. 1-2: appello iniziale a Dio, giusto giudice;
  • vv. 3-7: I lamentazione: l'arrogante trionfo degli empi;
  • vv. 8-11: I lezione sapienziale: diatriba con gli empi;
  • vv. 12-15: Il lezione sapienziale: beatitudine dell'uomo istruito da Dio;
  • vv. 16-21: II lamentazione: soccorso divino nell'oppressione;
  • vv. 22-23: appello finale a Dio, difesa, rifugio e giusto giudice.

v. 1. «Dio che fai giustizia»: alla lett. «Dio delle vendette». L'appellativo è ripetuto due volte. In questo caso la voce «vendetta» ha un significato positivo, cioè di difesa di chi ha subito ingiustizia da parte di giudici iniqui. Dio è il vendicatore del sangue innocente (Gn 9,6; Lv 17,11; Nm 35,19; Dt 12,23) e il tutore (gō’ēl) del suo popolo. Per il significato della vendetta del Signore cfr. anche Is 61,1-2.

v. 2. «giudice della terra»: è il secondo appellativo di Dio. Qui si evidenzia più l'aspetto negativo punitivo anziché quello positivo di salvezza legato al titolo. «superbi»: questi superbi (ge’îm) si mostrano anche arroganti osando sfidare Dio stesso. Sono gli stessi del Sal 9-10.

v. 4. «diranno insolenze»: considerato il contesto giuridico l'espressione si riferisce alla cattiva amministrazione della giustizia e alle ingiuste sentenze giudiziarie, contro cui si scagliano anche i profeti, cfr. Is 1,23; Ger 5,28.

v. 6. «Uccidono la vedova... il forestiero... gli orfani»: ma Dio è il difensore dei deboli. Egli è «padre degli orfani e difensore delle vedove» (Sal 68,6) e cura i loro diritti (cfr. Dt 10,18; Sal 9-10,39). L'AT è molto sensibile alla causa dei deboli, cfr. Is 1,17; Ml 3,5; Sal 72,4.

v. 7. «Dicono: Il Signore non vede... non se ne cura»: cfr. Sal 73,11. È una sfida ingiuriosa nei riguardi di Dio, è l'ateismo sfacciato, condannato dal Sal 14 e in Sal 9-10,25.32-34. Il momentaneo silenzio di Dio è visto come assenza e disinteresse. «il Dio di Giacobbe»: cfr. Es 3,6. L'espressione ricorda l'alleanza stretta con i patriarchi e in questo contesto aggrava l'accusa di noncuranza di Dio da parte degli empi.

vv. 8-11. Si riporta la forte reazione del salmista alle accuse degli empi del v. 7, nello stile della diatriba sapienziale, tendente a dimostrare l'assurdità della loro posizione. Nel v. 8 c'è un appello, quasi un'intimazione, agli «insensati» a diventare «saggi»; nei vv. 9-10 con una serie di domande retoriche e un ragionamento a maiori ad minus, che si basa su un forte antropomorfismo somatico, si vuole dimostrare che Dio, poiché ha creato l'uomo con gli organi dei sensi e gli ha dato l'intelligenza, conosce i suoi pensieri, perciò non può essere sordo, cieco e insensibile alle angherie subite dagli oppressi.

v. 9. «Chi ha formato l'orecchio»: alla lett. «Colui che ha piantato l'orecchio». C'è l'immagine plastica di un albero che affonda le sue radici nella terra. Per la creazione degli organi dell'udito e della vista cfr. anche Sal 40,7; Prv 20,12.

v. 10. «Chi regge i popoli...»: Dio ammonisce i popoli, è il loro giudice (cfr. Sal 7,8-9; 96,10) e lo è tanto più del suo popolo! «lui che insegna... il sapere»: Dio è il maestro dell'uomo, avendogli dato le norme sociali di convivenza, cfr. Sal 25,4.9.

vv. 12-15. Secondo il genere sapienziale, sotto forma di beatitudine (macarismo), il salmista esalta in positivo, al contrario dei vv. 8-11, la felicità del fedele, del saggio (in opposizione agli «insensati» e «stolti» del v. 8), che riconoscendo Dio e la sua giustizia, si lascia ammonire da lui. Si segue la teoria della retribuzione terrena.

v. 14. «Perché il Signore non respinge il suo popolo...»: l'espressione recupera in positivo quanto nel v. 5 veniva lamentato per l'arroganza degli empi.

v. 15. «ma il giudizio si volgerà a giustizia...»: alla lett. «perché a giustizia ritornerà il giudizio». Si manifesta la certezza fiduciosa del salmista nel ristabilimento della giustizia e perciò del giusto ed equo giudizio per opera di Dio, cui non temeranno più di esservi sottoposti i «retti di cuore» (Sal 7,11; 11,2; 32,11; 36,11 есс.).

vv. 16-21. Ancora per contrastare e contestare l'assurdità delle tesi degli empi sul silenzio di Dio, il salmista ora adduce la sua esperienza personale: il sostegno della grazia di Dio e del suo conforto nei momenti della prova. È un lamento, ma incalzato dalla speranza. Il v. 16 è una domanda retorica che si richiama all'appello del v. 2 (cfr. Sal 7,7; 108,11; 121,1-2). I vv. 17-21 raccolgono l'esperienza liberatoria del salmista da parte del Signore.

v. 17. «regno del silenzio»: è lo šᵉ’ôl chiamato qui dûmâ dalla radice dmm (= tacere) per indicare 1l luogo del silenzio definitivo (Sal 31,18; 115,17). Se lo si assimila alla voce dmt (= torre, fortezza) presente nell'ugaritico e nell'accadico, dûmâ rispecchia l'immagine dello šᵉ’ôl come prigione (cfr. Sal 88,5-9; 142,8).

vv. 22-23. Dopo i dubbi sul silenzio di Dio davanti alle ingiustizie sollevati nei versetti 3-7 e la lezione sapienziale della dimostrazione del contrario, il salmo termina con la professione di fede nella certezza dell'intervento di Dio giusto e fedele, chiamato «difesa» e «rocca di rifugio». Egli ritorcerà sugli empi stessi la loro malizia, facendoli perire. Dal salmo traspare una profonda ansia di giustizia.

Nel NT Paolo in Rm 11,1-2 cita il v. 14. In 1Cor 3,19-20 cita con libertà il v. 11, e in 1Ts 4,6 chiama il Signore «vindice», alludendo al v. 2.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Pensieri sull’elezione del nuovo Papa


L’elezione del nuovo Papa non è solo un evento interno alla Chiesa cattolica. È un momento che parla anche a noi cristiani di altre confessioni, che viviamo il nostro discepolato in comunione con l’unico Signore e in apertura al cammino dell’unità.

Come pastore di una Chiesa protestante storica, impegnata nel dialogo ecumenico, sento il desiderio di condividere alcuni pensieri e una parola di vicinanza ai fratelli e alle sorelle cattolici. Questo nuovo inizio è per tutti un’occasione per rinnovare la preghiera, l’ascolto reciproco e la speranza, per essere testimoni della giustizia e della pace di Dio.

Un motto che impegna tutte e tutti


Il motto scelto dal nuovo Pontefice, In Illo uno unum – “Nell’unico, uno solo” – è tratto da sant’Agostino, che nel commento al Salmo 127 scrive:

“Sebbene noi cristiani siamo molti, nell'unico Cristo siamo uno.”


Parole semplici e profonde, che racchiudono la visione di un’unità non costruita dalle nostre mani, ma ricevuta come dono in Cristo. Come protestanti, sentiamo risuonare in esse un richiamo alla nostra comune appartenenza al Corpo di Cristo, oltre ogni divisione storica.

La forza di una pace disarmante


Tra le prime parole del nuovo Papa, una in particolare mi ha colpito: ha parlato del bisogno di una “pace disarmante”. Una pace che non si impone con la forza, ma che nasce dal Vangelo, dal perdono, dalla riconciliazione. È la pace di Cristo, quella che spiazza e converte, che costruisce ponti e non barriere.

Nel nostro tempo ferito da guerre, violenze e polarizzazioni anche all’interno delle comunità cristiane, questa visione evangelica della pace ci chiama tutte e tutti. E' tempo di camminare insieme, nel rispetto e nella verità, testimoniando un Vangelo che continua a liberare e a trasformare.

Camminare insieme


Auguro al nuovo Papa un ministero segnato dalla luce del Vangelo e dalla libertà dello Spirito. E a tutti noi, credenti in Cristo, auguro di cogliere questo momento come un’occasione per rinnovare il nostro impegno a cercare ciò che ci unisce, a costruire comunione, a custodire insieme la speranza.

In Illo uno unum. In Lui, l’Unico, possiamo ritrovarci sempre più fratelli.


noblogo.org/jens/pensieri-di-u…



Reconnaître le fascisme de Umberto Eco.

Le texte dont il est question ici et publié sous le titre “Reconnaître le fascisme”, trouve son origine dans une conference prononcé par Umberto Eco à l'université de Colombia le 25 avril 1995, à l'occasion du 50e anniversaire de la libération de l'Europe.

Umberto Eco, né en 1932, était un universitaire, philosophe, sémioticien et écrivain italien. Reconnu pour ses nombreux essais universitaires sur la sémiotique (c’est la discipline scientifique qui étudie des processus de signes et de la fabrication du sens), l'esthétique médiévale, la communication de masse, la linguistique et la philosophie. Professeur titulaire de la chaire de sémiotique puis doyen de la faculté des sciences humaines à l'université de Bologne, avant d'en devenir professeur émérite en 2008. Il est mort en 2016.

Dans le contexte actuel, qui voit resurgir en France, en Europe, aux États Unis, en Inde, en Israël, en Argentine et ailleurs des populismes qui sont autant de “fascisme en civil”, ce court texte est une contribution indispensable au débat public, au réveil des consciences civiques. Car comme l'écrit Umberto Eco : “On peut jouer au fascisme de mille façons, sans que jamais le nom du jeu ne change.”

“Le terme fascisme s'adapte à tout parce que même si l'on élimine d'un régime fasciste un ou plusieurs aspects, il sera toujours possible de le reconnaître comme fasciste. [...] je crois possible d'établir une liste de caractéristiques typiques de ce que je voudrais appeler l'Ur-fascisme, c'est-à-dire le fascisme primitif et éternel. Impossible d'incorporer ses caractéristiques dans un système, beaucoup se contredisent réciproquement et sont typiques d'autres formes de despotisme ou de fanatisme. Mais il suffit qu'une seule d'entre elles soit présente pour faire coaguler une nébuleuse fasciste.”

1 la première caractéristique du fascisme éternel, c'est le culte de la tradition. Il ne peut y avoir d'avancée du savoir. La vérité a déjà été énoncée une fois pour toutes et l'on ne peut que continuer à interpréter son obscur message.

2 Le traditionalisme implique le refus de la modernité. Le rejet du monde moderne se dissimule sous un refus du mode de vie capitaliste, mais il a principalement consisté en un rejet de l’esprit de 1789. La Renaissance, l’Âge de Raison sonnent le début de la dépravation moderne.

3 Le fascisme éternel entretient le culte de l’action. Réfléchir est une forme d’émasculation. En conséquence, la culture est suspecte en cela qu’elle est synonyme d’esprit critique. Les penseurs officiels fascistes ont consacré beaucoup d’énergie à attaquer la culture moderne et l’intelligentsia libérale coupables d’avoir trahi ces valeurs traditionnelles.

4 Le fascisme éternel ne peut supporter une critique analytique. L’esprit critique opère des distinctions, et c’est un signe de modernité. Dans la culture moderne, c’est sur le désaccord que la communauté scientifique fonde les progrès de la connaissance. Pour le fascisme éternel, le désaccord est trahison.

5 En outre, le désaccord est synonyme de diversité. Le fascisme éternel se déploie et recherche le consensus en exploitant la peur innée de la différence et en l’exacerbant. Le fascisme éternel est raciste par définition.

6 Le fascisme éternel puise dans la frustration individuelle ou sociale. C’est pourquoi l’un des critères les plus typiques du fascisme historique a été la mobilisation d’une classe moyenne frustrée, une classe souffrant de la crise économique ou d’un sentiment d’humiliation politique, et effrayée par la pression qu’exerceraient des groupes sociaux inférieurs.

7Aux personnes privées d’une identité sociale claire, le fascisme éternel répond qu’elles ont pour seul privilège, plutôt commun, d’être nées dans un même pays. C’est l’origine du nationalisme. En outre, ceux qui vont absolument donner corps à l’identité de la nation sont ses ennemis. Ainsi y a-t-il à l’origine de la psychologie du fascisme éternel une obsession du complot, potentiellement international, et probablement antisémite. La meilleure façon de contrer le complot est d’en appeler à la xénophobie. Mais le complot doit pouvoir aussi venir de l’intérieur.

8 Les partisans du fascisme doivent se sentir humiliés par la richesse ostentatoire et la puissance de leurs ennemis. Les gouvernements fascistes se condamnent à perdre les guerres entreprises car ils sont foncièrement incapables d’évaluer objectivement les forces ennemies.

9 Pour le fascisme éternel, il n’y a pas de lutte pour la vie mais plutôt une vie vouée à la lutte. Le pacifisme est une compromission avec l’ennemi et il est mauvais à partir du moment où la vie est un combat permanent.

10 L’élitisme est un aspect caractéristique de toutes les idéologies réactionnaires. Le fascisme éternel ne peut promouvoir qu’un élitisme populaire. Chaque citoyen appartient au meilleur peuple du monde; les membres du parti comptent parmi les meilleurs citoyens; chaque citoyen peut ou doit devenir un membre du parti.

11 Dans une telle perspective, chacun est invité à devenir un héros. Le héros du fascisme éternel rêve de mort héroïque, qui lui est vendue comme l’ultime récompense d’une vie héroïque.

12 Le fasciste éternel transporte sa volonté de puissance sur le terrain sexuel. Il est machiste (ce qui implique à la fois le mépris des femmes et l’intolérance et la condamnation des orientation sexuelles ou identité de genre : comme l’homosexualité ou la transidentité.

13 Le fascisme éternel se fonde sur un populisme sélectif, ou populisme qualitatif pourrait-on dire. Le Peuple est perçu comme une qualité, une entité monolithique exprimant la Volonté Commune. Étant donné que des êtres humains en grand nombre ne peuvent porter une Volonté Commune, c’est le Chef qui peut alors se prétendre leur interprète. Ayant perdu leurs pouvoirs délégataires, les citoyens n’agissent pas; ils sont appelés à jouer le rôle du Peuple.

14 Le fascisme éternel parle la Novlangue. La Novlangue, inventée par Orwell dans 1984, est la langue officielle de l’Angsoc, ou socialisme anglais. Elle se caractérise par un vocabulaire pauvre et une syntaxe rudimentaire de façon à limiter les instruments d’une raison critique et d’une pensée complexe. Cela dit, nous devons être prêts à identifier d'autres formes de novlangue, même lorsque qu'elle prennent l'aspect innocent d'un populaire show télévisé.

“Le fascisme éternel est toujours autour de nous, parfois en civil. ce serait tellement plus confortable si quelqu'un s'avançait sur la scène du monde pour dire “je veux rouvrir auschwitz, je veux que les chemises noires reviennent tarder dans les rues italiennes !” hélas la vie n'est pas aussi simple. Le fascisme éternel est susceptible de revenir sous les apparences les plus innocentes. Notre devoir est de le démasquer, de montrer du doigt chacune de ces nouvelles formes, chaque jour, kdans chaque partie du monde.

Liberté et Libération sont un devoir qui ne finit jamais. telle doit être notre devise : n'oubliez pas.”

Je me permet de faire le lien avec cette Citation de Zeev Sternhell, l'un des plus grand spécialiste du fascisme, mort en 2020.

“L'histoire ne se “répète” pas, mais il y a une continuité. Et cette question de la continuité me préoccupe depuis longtemps, parce que ce qui me fascine depuis toujours, c'est d'essayer de comprendre le XXe siècle, essayer de comprendre pourquoi ça s'est passé comme ça. Le grand historien Marc Bloch a dit qu’on ne peut pas comprendre notre temps sans connaître l'histoire. Pour ma part, à l'inverse, le monde dans lequel je vis m'a aussi permis de mieux comprendre le passé. Quand on regarde les tragédies du XXe siècle, on se demande comment cela a été possible. Or, quand on regarde ce qui se passe sous nos yeux, on se dit que tout est possible. Aucune société ni aucun peuple ne possède des gènes qui les immunisent contre le fascisme, l’autoritarisme, l’exclusion de l’autre. Et cela, je ne cesserai de le marteler, y compris à mes concitoyens en Israël.”


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Ken il guerriero, Street Fighter 2 e la necessità delle cose inutili



Ken il guerriero, l'uomo di Hokuto, torna sempre. Non se ne è mai andato, probabilmente, comunque parto da Goldrake.

Ho visto Goldrake su Rete 2, ma ero troppo piccolo e non ho ricordi sufficienti a ricavarne un qualsiasi accenno di analisi. Quando è arrivato Ken il guerriero, Hokuto no Ken, ero grande abbastanza e quei ricordi sono ancora tutti qui. Penso sia uno delle pietre miliari della storia dell'animazione giapponese in Italia, non solo per il titolo in sè, ma per un impatto che definirei totalizzante. C'erano stati i robottoni, ma erano tanti e dividevano il pubblico, anche solo tra titoli nagaiani e non. Ken il guerriero, invece, era uno solo pur nella sua divisione interna in due serie.

Breve digressione sulla seconda serie. Le parole che si sentivano più spesso: “non mi piace, doveva finire a Raoul, i personaggi sono strani, si sono messi a fare le palle di fuoco.Tutte balle, la si continuava a guardare con la stessa avidità, chiusa la digressione.

Si poteva parteggiare per questo o quel personaggio, buono o cattivo era indifferente, il catalogo era micidiale. Si ragionava sempre all'interno di Ken il guerriero, però. Qualcuno, nelle reti locali di tutta Italia, deve aver fiutato il sentore e così, a diverse latitudini, siamo finiti con tre messe in onda quotidiane, chiaramente sfalsate tra loro e, spesso, di parecchio. Mossa azzeccatissima, perché c'era una specie di necessità di Ken il guerriero, c'era da guardarne le puntate e commentarle a scuola, prima della campanella, in sala giochi, per strada. Commentare tutto, anche se Raoul era vivo la mattina, morto il pomeriggio e impegnato con Fudo la sera. Non ce ne importava nulla dello spoiler (cos'era?), della ripetizione, della cronologia impazzita.Volevamo Ken ed eccocelo, prima, dopo e durante i pasti.

Qualche anno dopo, arriva Street Fighter 2, stavolta il mezzo è il videogioco e gli schermi sono quelli della sala giochi, l'impatto culturale e sociale è il medesimo. Anche stavolta, qualcuno se ne accorge, più facilmente perché bastava guardare le code infinite. I cabinati di SF2 si moltiplicano, le schede originali non bastano, i gestori fanno quel che possono e arrivano bootleg, rainbow edition, la gente vuole, deve giocarci ora e subito. Mai visto nulla del genere, prima o dopo, anche sette cabinati dello stesso gioco nella stessa sala.

Ken il guerriero, Street Fighter 2 sono cose superflue (inutili, direbbero gli altri, gli esterni). Come tante altre, come la maggior parte delle cose. Difficilmente sarà morto qualcuno per una grave carenza di Hokuto o per una prolungata astinenza dall'hadoken. Le cose inutili, però, sono quelle che ci aiutano a rendere sopportabile la vita.


log.livellosegreto.it/kipple/k…



Ciao Mondo!Ciao Mondo! Che bello poterti parlare di nuovo! Ti chiederei spensieratamente “come stai”, ma con disagio la reputerei una domanda tristemente incline alla retorica. L’ultima volta che ci siamo confrontati, le cose erano parecchio diverse... Dal punto di vista che riguarda la tua preziosa salute (da cui dipende, senza mezzi termini, anche la nostra) l’acqua era di certo più pulita, l’aria più respirabile, gli animali liberi di vivere le loro vite, ignari di tutto ciò che comporta condividerle con l’umanità. Mi correggo: con l’ultimo stadio raggiunto dall’umanità.IMG-1277Qualche scambio di parole addietro, mi avresti detto senza pensarci due volte di essere felice. L’unico grande motivo che avrebbe potuto renderti ineguagliabilmente spensierato ed appagato, sarebbe stato vedere noi esseri umani (nonostante la nostra natura animale, in perenne evoluzione e mutamento) capaci di non compromettere in modo irreversibile ciò che di più importante custodisci nella tua infinita composizione: i sistemi che ti appartengono, che ti rendono unico e speciale.
È quasi inutile affermare che una volta eravamo molto diversi. Eravamo facilmente affascinabili, e lo stupore ci arrivava sempre da te: un paesaggio, un temporale, una stella, ci lasciava senza fiato. Ci definivano i nostri grandi sentimenti universali, quelli rivolti a ciò che era ignoto, ingestibile, indomabile: la paura dell’ignoto e il bisogno di conoscenza. Ora tutto è diventato più piatto, ovattato, il sentimento stesso non ha più lo stesso valore.
La nostra esistenza, un tempo legata a un bisogno di semplicità oltre che di curiosità, ci permetteva di gioire di una quotidianità lenta e sana. Attributi che, a parer mio, rendevano le persone di ogni epoca, più felici di quanto sappiamo esserlo oggi. Non eravamo ancora contaminati da mille fattori esterni inutili, che oggi ci bombardano, ci distraggono, ci rincoglioniscono.
Una cosa che rendeva unica la nostra esistenza passata era che, involontariamente, non avendo i mezzi e la tecnologia per compiere disastri ambientali come quelli odierni, non avevamo nemmeno la responsabilità che oggi invece ci accomuna tutti. Non avevamo strumenti per essere tanto pericolosi quanto lo siamo adesso. Oggi, farti del male è diventata un’abitudine di poca importanza.
Che dire... ci legava una parte animale, primordiale, atavica, priva della complessità che oggi ci caratterizza. Eppure, anche allora la vita sapeva essere cruda, spietata, incoerente, profondamente parziale come concetto di giustizia. Il bianco doveva essere bianco, il nero a sua volta doveva rimanere nero. L’emancipazione dei deboli, la lealtà, la moralità, la coerenza... erano concetti limitati a un bisogno personale, non collettivo. Non erano diritti accettati e riconosciuti da un sistema volto alla tutela degli ultimi scalini della nostra infinita piramide sociale. Pochi condividevano quei valori e chi predicava la sua giustizia, se la trovava contro: dalla parte del carnefice, del potente, del socialmente riconosciuto. C’era molta parzialità e prepotenza, i torti erano all’ordine del giorno, e al sistema interessava poco.
Oggi, noi occidentali del “primo mondo”, possiamo ritenerci fortunati. Da questo punto di vista, devo ammettere che siamo migliorati parecchio, almeno nella porzione di mondo che impropriamente mi permetto di chiamare “casa”. Nel resto del pianeta... chi lo sa?
Sarò sincero, Mondo: i tempi di cui parlo vorrei tanto ricordarmeli. Desidererei sapere, conoscere esattamente ciò di cui sto discutendo o bagolando, ma quando sono nato io, poche decine di anni fa, era circa tutto così come è adesso. Forse il contesto umano era appena diverso, ma già predisposto a modellare il presente che conosciamo oggi. Viviamo in una situazione complessa: non ci capiamo, e nessuno capisce nessuno. La quotidianità è diventata subdola, fittizia, apparente, superficiale. Tutti pensiamo di essere liberi di agire secondo decisioni personali, con delle volute esigenze personali, ma è solo una bugia travestita da libero arbitrio, che ci incatena senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Viviamo in una prigione senza sbarre, da cui è impossibile evadere.
Tutto ciò che un tempo era raro e indispensabile oggi è considerato ovvio, scontato: nessuno si stupisce più di niente. Prendendo degli esempi banali, fare due o tre pasti variegati al giorno, o fare i propri bisogni su di un bagno caldo e accogliente, sono diventati normalità quotidiane, giustamente o meno. Ci sarebbero esempi più pertinenti, meno banali, ma lascio a te decidere se pensarli.
Qui a casa mia, la qualità della vita è davvero migliorata, ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Siamo viziati, annoiati, abbiamo tutto. Facciamo appena in tempo a desiderare qualcosa, lo ordiniamo e arriva a casa in pochissimo tempo: dopo una settimana ci siamo già dimenticati il motivo per cui lo abbiamo voluto. Ogni nuovo oggetto è un anestetico che attutisce temporaneamente i nostri problemi, una distrazione che ci allontana da ogni pensiero, soprattutto quelli più utili e costruttivi.
Ciò che oggi dovrebbe essere considerato davvero indispensabile, è diventato trascurabile. Come preservare te, Mondo, invece ti stiamo lentamente rovinando e compromettendo irreversibilmente. Uno dei motivi è che per le grandi masse, non sei più abbastanza seducente o interessante quanto le solite, misere cagate di cui ci circondiamo. Sicuramente non sei per noi seducente ed interessante come un tempo. La nostra condizione attuale ha avuto grandi ripercussioni nei tuoi confronti, questa è l’altra faccia della medaglia che ti ho menzionato prima. Il prezzo più alto, purtroppo, l’hai pagato tu, Mondo. Hai dovuto rinunciare ad ecosistemi, specie animali da noi portate all’estinzione, ci hai permesso di avvelenarti l’aria, forare l’ozono, farti sciogliere i ghiacciai, prosciugarti i fiumi e desertificare le foreste.
Fossi in te, sarei furibondo.

***

Ciao amico mio! Grazie per non avermelo chiesto direttamente, mi sarei sentito infastidito se l’umanità avesse ignorato ciò che è stato fatto. Apprezzo che ci sia ancora qualcuno disposto a rivolgermi la parola. Ormai, tutti sono distratti da mille impegni ritenuti più importanti di me, nessuno si preoccupa più nemmeno per l’altro, vicino o lontano che sia.
Capisco appieno il tuo disagio verso l’epoca in cui vivi, per le mille incoerenze ed ingiustizie che caratterizzano la tua vita e quella di chiunque altro voglia rendersene conto. La presa di coscienza fa male, lo so. Anch’io, spesso, mi imbestialisco: è assurdo che nel 2025 abbiate ancora una costellazione di problemi facilmente risolvibili, se solo lo voleste. Ma non dovresti avvelenarti il fegato per questo, prova a esistere nel miglior modo possibile, perché l’unico vero motivo per cui valga la pena esistere, è l’esistenza stessa, la tua, quella di qualsiasi altro essere vivente e non vivente.
Molti mi considerano impassibile, distaccato, ma non è mai stato così. La mia tristezza per ciò che è stato rovinato è grande, ma ciò che mi rattrista ancora di più è sapere che l’essere umano pagherà un prezzo ben più alto del mio per via della sua scarsa resilienza, dote che almeno io posso vantare. Chi patirà di più le conseguenze sarà l'umanità stessa. Le mie visibili reazioni sono governate dal caos e dalla casualità, non sono volontà punitive. Io non voglio scatenare sulla vita preziosa, calamità naturali come tsunami, uragani o incendi di massa... sono solo le conseguenze di ciò che avete fatto. Quando imparerete a rispettare ciò che vi circonda, oltre ai vostri interessi, sarò in grado di preservare tutta la vita presente sul pianeta, compresa la vostra, come ho sempre fatto e come vorrei continuare a fare.
Vorrei che vi ricordaste che, se siete voi umani in cima alla catena alimentare e a dominare la piramide sociale e biologica, è perché io vi ho fornito gli strumenti per farlo, riponendo in voi una immensa fiducia. Siete ciò che siete perché io ve l’ho permesso, dovreste riconoscerlo. Non pretendo grandi riconoscimenti, non mi sono mai interessati, ma esigerei che la vostra presenza non fosse sempre così dannosa. Esigerei che costruiste qualcosa di buono per tutti, invece di distruggere ciò che io ho già creato. Avete tutti gli strumenti per farlo. Dovreste ricambiare con un rispetto tale da permettermi di non condannarvi mai all’estinzione. Vi ho accolti e vi ho protetti, ma ora mi voltate ingenuamente le spalle come un figlio ribelle ed irriconoscente. La peggiore cosa che potreste farmi, per il momento, è dimenticarvi di me.
Io non dimentico mai nulla. Vi penso e mi preoccupate profondamente. Il futuro, di ogni cosa che riguarda tutti noi, è nelle vostre mani.


log.livellosegreto.it/disattua…



Radiohead - In Rainbows (2007)


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In Rainbows è il settimo album in studio della rock band inglese Radiohead. È stato autoprodotto il 10 ottobre 2007 come download, seguito da una distribuzione internazionale tramite XL Recordings il 3 dicembre 2007 e in Nord America tramite TBD Records il 1° gennaio 2008. È stata la prima pubblicazione dei Radiohead dopo la scadenza del loro contratto discografico con la EMI con l'album Hail to the Thief (2003).

I Radiohead hanno iniziato a lavorare a In Rainbows all'inizio del 2005. Nel 2006, dopo che le sessioni con il produttore Spike Stent si sono rivelate infruttuose, hanno ricontattato il loro produttore di lunga data, Nigel Godrich. I Radiohead hanno registrato nelle case di campagna Halswell House e Tottenham House, all'Hospital Club di Londra e nel loro studio nell'Oxfordshire. I testi sono meno politicizzati e più personali rispetto ai precedenti album dei Radiohead.

I Radiohead pubblicarono “In Rainbows” sul loro sito web senza alcuna pubblicità preventiva e permisero ai fan di stabilire il proprio prezzo, affermando che questo li liberò dai formati promozionali convenzionali e rimosse le barriere per il pubblico. Fu la prima pubblicazione del genere da parte di una major e attirò l'attenzione dei media internazionali. Molti elogiarono i Radiohead per aver sfidato i vecchi modelli e trovato nuovi modi per entrare in contatto con i fan, mentre altri ritenevano che creasse un precedente pericoloso a scapito di artisti meno affermati.


Ascolta: album.link/i/1109714933



noblogo.org/available/radiohea…


Radiohead - In Rainbows (2007)


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In Rainbows è il settimo album in studio della rock band inglese Radiohead. È stato autoprodotto il 10 ottobre 2007 come download, seguito da una distribuzione internazionale tramite XL Recordings il 3 dicembre 2007 e in Nord America tramite TBD Records il 1° gennaio 2008. È stata la prima pubblicazione dei Radiohead dopo la scadenza del loro contratto discografico con la EMI con l'album Hail to the Thief (2003).

I Radiohead hanno iniziato a lavorare a In Rainbows all'inizio del 2005. Nel 2006, dopo che le sessioni con il produttore Spike Stent si sono rivelate infruttuose, hanno ricontattato il loro produttore di lunga data, Nigel Godrich. I Radiohead hanno registrato nelle case di campagna Halswell House e Tottenham House, all'Hospital Club di Londra e nel loro studio nell'Oxfordshire. I testi sono meno politicizzati e più personali rispetto ai precedenti album dei Radiohead.

I Radiohead pubblicarono “In Rainbows” sul loro sito web senza alcuna pubblicità preventiva e permisero ai fan di stabilire il proprio prezzo, affermando che questo li liberò dai formati promozionali convenzionali e rimosse le barriere per il pubblico. Fu la prima pubblicazione del genere da parte di una major e attirò l'attenzione dei media internazionali. Molti elogiarono i Radiohead per aver sfidato i vecchi modelli e trovato nuovi modi per entrare in contatto con i fan, mentre altri ritenevano che creasse un precedente pericoloso a scapito di artisti meno affermati.


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è bene ricordare alcune date del genocidio. 19 marzo 2025

slowforward.net/2025/03/21/la-…

#Gaza #genocide #genocidio #Palestine #Palestina #warcrimes #sionismo #zionism #starvingpeople #starvingcivilians #iof #idf #colonialism #sionisti #izrahell #israelterroriststate #invasion #israelcriminalstate #israelestatocriminale #children #bambini #massacri #deportazione #concentramento


noblogo.org/differx/e-bene-ric…


la situazione a gaza, 19 mar. 2025


da un post di Michela Becchis su fb

Aggiornamenti
Maria Di Pietro – Assopacepalestina
19/03/2025

Un bambino di Gaza ha visto sua madre bruciare viva. Poi è morto anche lui.
Mentre la guerra genocida di Israele riprende a Gaza, intere famiglie vengono sterminate dai bombardamenti e le case familiari diventano tombe di famiglia. I sopravvissuti raccontano a Mondoweiss che la maggior parte dei morti sono donne e bambini.
Con profonda tristezza, Muhammad Hamidi racconta a Mondoweiss che nei suoi ultimi istanti di vita, il nipote di tre anni ha guardato la madre e il fratello bruciare. “Il bambino era indifeso”, ha detto.
Quando sua madre è stata bruciata viva mentre cullava il figlio di un anno, portava anche un feto nel grembo. Tutte e tre le vite sono state stroncate.

Il medico australiano Mohammed Mustafa, volontario in un ospedale di Gaza, ha raccontato la penosa esperienza di curare le ultime vittime degli attacchi israeliani a Gaza.
In un video condiviso sui social media il dottor Mustafa racconta le terribili ferite subite dalle vittime dell’ondata di attacchi israeliani su Gaza nelle prime ore di martedì mattina, che hanno ucciso più di 400 persone e lasciato molte centinaia di feriti.
“Abbiamo finito tutti gli antidolorifici. Non possiamo sedare nessuno. Non possiamo dare loro alcuna analgesia”, dice Mustafa nel video condiviso su Instagram, registrato dopo aver lavorato tutta la notte.
“Ci sono sette ragazze a cui stanno amputando le gambe – senza anestesia”, ha detto, aggiungendo: “Il bombardamento è ancora in corso. La stanza sta ancora tremando”.
“La maggior parte delle persone erano donne e bambini, bruciati dalla testa ai piedi, con arti mancanti e teste mancanti”, ha aggiunto.

Paramedico a Gaza “inorridito” dalle scene di guerra.
Il medico ha raccontato di aver visto i corpi smembrati di persone all’interno di un veicolo a Rafah, dopo che questo era stato colpito dagli attacchi israeliani.
“Abbiamo ricevuto una chiamata per un bombardamento nella zona di Dowar Khebat Al-Adas, di fronte al centro commerciale Al-Yasmeen”, ha raccontato ad Al Jazeera Sofian Ahmed, che fa parte di una squadra di protezione civile.
“Quando siamo arrivati sul posto, siamo rimasti scioccati nello scoprire che l’obiettivo era un’auto o un veicolo pubblico che trasportava i civili da un luogo all’altro”.
Ha aggiunto: “Siamo rimasti inorriditi nel vedere che all’interno del veicolo c’erano cinque persone bruciate e smembrate”.
“Questo è ciò che Rafah sta vivendo ogni giorno. Rafah rimane un luogo pericoloso, dove ogni giorno si verificano attentati nelle zone di confine. Inoltre, gli attacchi e gli spari continuano senza sosta”.

Quattrocento persone sono state uccise e ci sono ancora molti dispersi e intrappolati sotto cumuli di macerie, poiché gli attacchi sono stati molto massicci. Molto intensi.
Come ci ha descritto un membro dell’equipaggio della Protezione Civile, hanno dovuto letteralmente raccogliere pezzi di carne dalle aree vicine delle persone uccise, compresi i corpi di bambini e donne.
Nell’ospedale, qui nel cortile, regna la calma, ma all’interno dei reparti è una vera e propria lotta per il personale medico che ha lavorato tutto il giorno, intervenendo e cercando di contenere quanti più casi possibile.
Molti dei casi curabili non saranno trattati nell’ospedale qui, semplicemente perché i medici hanno dovuto scegliere a quali casi prestare attenzione per primi.
Hanno dovuto dare la priorità a questi casi semplicemente a causa dell’acuta carenza di forniture mediche.
Questo è già di per sé un elemento che ha inciso sul benessere mentale e fisico del personale medico e dei familiari sopravvissuti nell’ospedale. (Hani Mahmoud reporter da Gaza City)

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) avverte che i medici stanno lottando per gestire il forte aumento delle vittime nelle ultime 36 ore a causa della ripresa degli attacchi di Israele nella Striscia di Gaza.
“A causa della recente sospensione degli aiuti umanitari a Gaza, le scorte di forniture mediche sono diminuite in modo significativo e, inoltre, il personale ospedaliero sta lottando per gestire il forte aumento delle vittime”, ha dichiarato il CICR in un comunicato.
Israele ha bloccato Gaza per le due settimane precedenti la ripresa dell’assalto, lasciando ai palestinesi pochi rifornimenti necessari per resistere.

Bambino di due anni ucciso da un drone israeliano.
Il corrispondente di Wafa ha dichiarato che il drone ha ferito alla testa Omar Qassem Talab Abu Sharqiyya, di due anni e mezzo.
Ha aggiunto che Abu Sharqiyyah è stato trasportato d’urgenza al Kuwaiti Hospital della vicina Rafah, dove i medici lo hanno dichiarato morto poco dopo.

La popolazione di Gaza è terrorizzata, indifesa e devastata. Gli ultimi attacchi arrivano dopo 17 giorni di blocco di Israele sugli aiuti a Gaza.
Quindi, la gente sta già morendo di fame. Non hanno accesso al cibo. L’impianto di desalinizzazione dell’acqua che forniva acqua a 500.000 palestinesi non funziona più. Non ci sono medicine, né carburante, né gas da cucina. I palestinesi stanno lottando per vivere la loro vita quotidiana.
E mentre tutto questo accade, i palestinesi si svegliano con una serie massiccia di attacchi in diverse aree di Gaza. Tutti sono spaventati, soprattutto i bambini che pensavano che il Ramadan sarebbe finito e che avrebbero potuto festeggiare l’Eid per la prima volta senza attacchi aerei. (Hind Khoudary reporter da Deir el-Balah)

Il Ministero della Sanità di Gaza ha fornito un bilancio aggiornato delle vittime dell’ultima ondata di attacchi israeliani, iniziata martedì scorso.
Da allora, si legge, gli attacchi israeliani hanno ucciso 436 palestinesi, tra cui 183 bambini, e ferito 678 persone.
Questo porta il numero totale di morti accertati a Gaza dal 7 ottobre 2023 a 49.547, secondo il ministero, con 112.547 feriti.

L’esercito israeliano ha dichiarato che le sue forze e il servizio di sicurezza interno di Israele continueranno a operare a Gaza “al fine di rimuovere qualsiasi minaccia ai cittadini dello Stato di Israele”.
In una dichiarazione su X, l’esercito israeliano ha scritto che le forze armate e lo Shin Bet hanno continuato “le loro intense ondate di attacchi in tutta la Striscia di Gaza per tutto il giorno”.

Le forze israeliane continuano a colpire nuove aree di Gaza, comprese le zone meridionali, centrali e settentrionali.
Nelle ultime ore, hanno lanciato volantini sulle zone settentrionali di Gaza, in particolare su Beit Hanoon, intimando ai palestinesi di evacuare.
Hanno anche lanciato volantini su Khan Younis, dicendo ai palestinesi di evacuare nella parte occidentale di al-Mawasi.
Ma questa volta molti palestinesi, soprattutto quelli di Beit Hanoon e di altre aree settentrionali, hanno deciso di non evacuare perché dicono di non avere nulla da perdere e si rifiutano di ripetere il viaggio di sfollamento. (Hind Khoudary reporter da Deir el-Balah)

Il capo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (UNRWA) ha definito la giornata di oggi “un altro giorno nero” per le Nazioni Unite a Gaza.
In un post su X, il commissario dell’agenzia, Philippe Lazzarini, ha espresso le sue condoglianze per i lavoratori delle Nazioni Unite uccisi durante l’ultima escalation di Israele.
“Le Nazioni Unite, compresa l’UNRWA, continuano a pagare un prezzo pesante mentre svolgono compiti umanitari”, ha scritto. “Gli operatori umanitari devono essere protetti in ogni momento”.

La difesa civile di Gaza ha dichiarato che uno dei suoi membri è stato ucciso in un attacco avvenuto oggi a Gaza City.
La sua morte porta il numero totale di membri della difesa civile uccisi durante la guerra a 103, secondo il gruppo.

Fonti: UN, OCHA, MSF, Al Jazeera, Mondoweiss, Haaretz, UNICEF, Amnesty Int., Reuters, Human Rights Watch, Palestinian Red Crescent Society, Croce Rossa Int., Euro-med Human Rights, Save the children, Unrwa, Defence for children

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SALMO - 93 (92)


INNO A DIO, RE

1 Il Signore regna, si riveste di maestà: si riveste il Signore, si cinge di forza. È stabile il mondo, non potrà vacillare.

2 Stabile è il tuo trono da sempre, dall'eternità tu sei.

3 Alzarono i fiumi, Signore, alzarono i fiumi la loro voce, alzarono i fiumi il loro fragore.

4 Più del fragore di acque impetuose, più potente dei flutti del mare, potente nell'alto è il Signore.

5 Davvero degni di fede i tuoi insegnamenti! La santità si addice alla tua casa per la durata dei giorni, Signore.

_________________Note

93,1 Questo inno trionfale appartiene ai “salmi della regalità del Signore” (vedi Sal 47; 96-99). La regalità del Dio d'Israele appare nello splendore del tempio, simbolo di stabilità e nel suo dominio su tutte le forze disgregatrici.

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Approfondimenti


Dio è re stabile nel mondo e nella sia legge Inno della regalità del Signore (JHWH)

Il salmo celebra in modo entusiastico la regalità del Signore, che si riflette nella stabilità del mondo e del suo trono, e in quella dei suoi insegnamenti. La tematica annunciata nei primi due versetti è il cardine e la tesi che si sviluppa nel carme. Come tutti gli “Inni della regalità di JHWH” il salmo 93 è soggetto a vari tipi di interpretazione che vanno da quella mitologica a quella storico-escatologica. Vi sono vari punti di contatto con il Sal 29. La composizione può risalire all'inizio della monarchia, e perciò si è in presenza di una testimonianza, sebbene succinta, della poesia e teologia dell'antico Israele. L'atmosfera è quella di una marcia festosa e i pensieri e le immagini si svolgono in un crescendo che raggiunge l'apice nel v. 4c. Per lo stile notiamo che si passa dal pronome personale di terza persona (vv. 1.3.4) a quello di seconda (vv. 2.5), Predomina, inoltre, il campo semantico riferentesi alla monarchia; ma è presente anche quello relativo alla battaglia cosmica e alla stabilità. A livello contenutistico il salmo si può dividere in: v. 1ab (introduzione): acclamazione e presentazione del Signore-re; vv. 1c-4 (corpo): la stabilità del suo trono; v. 5 (epilogo): la legge come esercizio della regalità divina su Israele . Ma tenendo conto degli indizi letterari di struttura (inclusioni) è meglio dividere il salmo come segue:

  • vv. 1-2: solenne acclamazione e presentazione di JHWH-re;
  • vv. 3-4: esaltazione-sfida delle acque primordiali e vittoria di Dio;
  • v. 5: Dio legislatore nel suo tempio santo.

Nei vv. 1-2 il metro nel TM è di 2 + 2 accenti a differenza del resto del carme (3 + 3) che dà più cadenza al ritmo. Il v. 2, in seconda persona, si rivolge direttamente al Signore esaltando la stabilità del suo trono e la sua eternità.

v. 1. «Il Signore regna»: ebr. JHWH mālāk. Tale acclamazione, che corrisponde a «Viva il re» (cfr. 2Re 11,12), si trova anche in Sal 96,10; 97,1 e 99,1. Essa ha valore atemporale e si riferisce alla qualità stabile e profonda della regalità di Dio. A differenza della formula analoga mālāk JHWH (Sal 47,9; Is 52,7) in cui l'accento è posto sul verbo mlk (regnare), accentuando così il valore dinamico-ingressivo del significato, l'espressione pone l'accento sulla persona stessa del Signore (JHWH) e sulla sua regalità, qualità stabile ed esclusiva. «si ammanta... si cinge...»: si descrive il Signore-re-guerriero, rivestito delle sue insegne e armi. Il mantello (cfr. Sal 104,2) è ricordato due volte in forma chiastica: «di splendore si ammanta-si ammanta il Signore (JHWH)» (gē’ût labēš-labeš JHWH). Lo splendore del mantello è simbolo di trascendenza. «si cinge di forza»: cfr. Gb 38,3; 40,7. Si presenta Dio come eroe supremo, suggerendo la sua onnipotenza, cfr. Sap 5,17-20. «rende saldo il mondo»: la regalità del Signore si manifesta nella stabilità del mondo, a lui dovuta, e che nessun cataclisma né maremoto (cfr. vv. 3-4) può sconvolgere, cfr. Sal 24,1-2; Prv 8,27-29.

v. 2. «Saldo è il tuo trono»: ci si può riferire alla saldezza del trono nei cieli e a quello a esso strettamente collegato sulla terra: il tempio di Gerusalemme e l'arca dell'alleanza in esso conservata (cfr. Sal 29; Is 66,1; Ger 17,12).

v. 3. «Alzano i fiumi...»: cfr. Sal 29. Si sente l'eco della sfida cosmica a Dio degli elementi primordiali. Il verso è ben costruito secondo lo schema stilistico cananeo: abc/abd/abe. «Alzano i fiumi» si ripete per tre volte in modo assordante, progressivo e incalzante, come tre assalti al trono di Dio. I «fiumi» per sineddoche rappresentano le acque dell'oceano primordiale (cfr. Sal 24,2; 46,5; 89,26; Is 44,27; Gio 2,4).

v. 4. La potenza di Dio esce vincitrice contro l'assalto arrogante delle acque primordiali, cfr. Prv 8,29; Gb 38,8-11. La vittoria di Dio simboleggia anche la vittoria contro i nemici del suo popolo, cfr. Ab 3,8.13. «potente nell'alto è il Signore»: l'aggettivo «potente» (’addîr) è adoperato nell'originale una volta al plurale e una al singolare nello stesso verso. L'uso del plurale riferito a Dio (’elōhîm) è da considerarsi come plurale di maestà. L'espressione, suggestiva nella sua semplicità e pregnanza, è il climax del salmo e la risposta e contrapposizione a questo ripetuto alzarsi e sollevarsi delle acque dei fiumi del v. 3. Si esprime così sinteticamente l'onnipotenza assoluta del Signore.

  1. All'esercizio della regalità divina vittoriosa nel cosmo si associa nella mente del salmista quella esercitata, nella storia, sul suo popolo con l'alleanza. La prescrizione delle leggi, come presso gli antichi monarchi orientali, è segno di regalità e di dominio. «Degni di fede...»: l'espressione ne’emnû può tradursi «stabili, infallibili...». Anche nel dare le sue leggi Dio mostra la sua regalità eterna e la stabilità del suo trono (cfr. v. 2). Del v. 5 nel suo testo consonantico, diversamente dal testo vocalizzato dai masoreti, è passibile anche un'interpretazione più “arcaicizante” in conformità alla mitologia soggiacente a tutto il salmo. Così si può tradurre: «Il tuo trono è stato fermamente stabilito / nel tuo tempio i santi ti glorificano/ o JHWH, per la lunghezza dei giorni». Il versetto è così più in linea con il pensiero del salmo e ribadisce in chiusura, con un'inclusione, la sua affermazione principale: la vittoria di Dio sulle forze primordiali e la stabilità del suo trono.

Nel NT si cita il v. 4 in Ap 19,6.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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