130 anni di Mao Zedong
Il 26 dicembre ricorre il 130° anniversario dalla nascita del Grande timoniere. Ma in Cina questa ricorrenza ha perso i connotati di culto della personalità che aveva caratterizzato gli ultimi anni di vita del leader cinese. Ma la sua figura è ancora oggi un’icona tra il sacro e il profano
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Pratica applicazione open source self host per prendere appunti e catturare pensieri
Ormai da molti mesi sul mio NAS Synology DS220+ ho installato Memos un blocco note online per prendere appunti personali e decidere se condivedere pubblicamente.
Molto più di una semplice app per prendere appunti, ma una vera instanza che gira in selfhosting accessibile da qualunque browser.
Devo dire che le risorse occupate sono pressochè nulle e mi piace l’idea di salvare idee e appunti privatamente ma allo stesso tempo decidere se rendere pubblico il memos.
È disponibile perfino un’app di terze parti per android e l'integrazione con Telegram Bot per inviare memos direttamente all'instanza Memos
Memos - Easily capture and share your great thoughts. Open Source and Free forever
A privacy-first, lightweight note-taking service. Easily capture and share your great thoughts.www.usememos.com
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Interagire con GPT da terminale con tgpt
tgpt è uno strumento CLI (interfaccia a riga di comando) multipiattaforma che ti consente di utilizzare il chatbot AI nel tuo terminale senza richiedere chiavi API.
GitHub - aandrew-me/tgpt: ChatGPT in terminal without needing API keys
ChatGPT in terminal without needing API keys. Contribute to aandrew-me/tgpt development by creating an account on GitHub.GitHub
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James Webb, due anni nello spazio! Ecco le più importanti scoperte degli ultimi due anni l AstroSpace
"Nel corso di questi due anni trascorsi dal lancio, il telescopio ha attraversato mesi di test, dato il via alle attività scientifiche all’inizio dell’estate 2022, e sondato il cosmo vicino e lontano con il suo potente occhio infrarosso. Ciò ha consentito agli scienziati di compiere scoperte straordinarie, anche completamente rivoluzionarie, sul nostro Universo. E ci ha regalato dei mosaici colorati e ricchissimi di dettagli (e di scienza) di molti oggetti cosmici, tra pianeti, galassie, nebulose e sorgenti primordiali."
🎄Buone feste a tutte e a tutti dal Ministero dell’Istruzione e del Merito!
Qui il videomessaggio del Ministro Giuseppe Valditara ▶️
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Ministero dell'Istruzione
🎄Buone feste a tutte e a tutti dal Ministero dell’Istruzione e del Merito! Qui il videomessaggio del Ministro Giuseppe Valditara ▶️ https://youtu.be/aj4NHcUHv4YTelegram
Allarme rosso: stanno sfasciando la sanità pubblica l Contropiano
«Nell’anno che sta volgendo a conclusione, più di 3 milioni di cittadini hanno rinunciato a curarsi per mancanza di risorse. Il 21% degli italiani, poi, risparmia denaro per poter effettuare prestazioni sanitarie mentre un italiano su quattro (23%) “drammaticamente non riesce a risparmiare denaro per far fronte alle spese sanitarie”.
E sono tornate ad affacciarsi, con campagne pubblicitarie aggressive, le grandi compagnie di assicurazioni, anche grazie al lavoro di sponda offerto dai sindacati complici: il 17% della popolazione ne ha sottoscritta una.»
Regalo di Natale! Rilasciata la nuova versione di Friendica “Yellow Archangel” 2023.12: tra le novità, il supporto bidirezionale per Bluesky e nuove funzioni di moderazione
Siamo molto felici di annunciare la disponibilità della nuova versione stabile di Friendica “Yellow Archangel” 2023.12. Finalmente concludiamo le modifiche da maggio: i punti salienti di questa versione sono
1. il connettore bluesky è stato reso bidirezionale,
2. i rapporti di moderazione ora possono essere inviati dagli utenti ed esaminati dagli amministratori del nodo,
3. i gruppi definiti dall'utente ora sono chiamati Cerchie e gli account del forum sono ora account di gruppo e, ultimo ma non meno importante, gli utenti ora hanno un controllo migliore sui propri flussi di rete con la nuova funzionalità Canali .
Tieni presente che la versione minima di PHP per Friendica è stata portata a PHP 7.4 con questa versione.
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Ecco il video del seminario sul Fediverso a cura di Gianmarco Gargiulo
Nel video @Gianmarco Gargiulo :archlinux: spiega brevemente il Fediverso, i suoi software più importanti e il motivo per cui il @Napoli GNU/Linux Users Group APS dovrebbe avvalersene in maniera sistematica.
Qui le diapositive della conferenza
PeerTube: videos.gianmarco.gg/w/nVSXCEKB…
Piped: piped.adminforge.de/watch?v=wJ…
YT: youtube.com/watch?v=wJUKMAgaxl…
Odysee: odysee.com/nalug-riunione-16di…
Non c’è Natale in Palestina: «Siamo tutti sotto attacco»
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di Michele Giorgio
(questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto )
(nella foto di Michele Giorgio la piazza della Mangiatoia a Betlemme senza l’albero e gli addobbi di Natale)
Pagine Esteri, 24 dicembre 2023 – Dal 7 ottobre Betlemme è una città prigioniera, anche in questi giorni di Natale. Per entrarvi si è costretti a passare, e non è facile, il posto di blocco dell’esercito israeliano nei pressi del villaggio di Khader, a sud di Betlemme. Si resta in coda per un bel po’, anche un’ora all’uscita. Non c’è altro modo di arrivare in auto nella città. Tutti gli altri posti di blocco sono sigillati dal giorno dell’attacco di Hamas nel sud di Israele. Per ragioni di sicurezza, afferma Israele. Per i palestinesi invece è una punizione collettiva che stanno subendo città e villaggi della Cisgiordania. Da Khader si va verso il campo profughi di Dheisheh, quindi si passa per il sobborgo di Doha, poi all’incrocio grande di Beit Jala finalmente si svolta verso Betlemme. Giunti in città si capisce subito quanto forte sia il dolore dei palestinesi per i 20mila morti di Gaza e per l’offensiva israeliana che dura da quasi 80 giorni. E che i paesi occidentali, o gran parte di essi, lasciano continuare sebbene a pagare il conto più alto in vite umane, distruzioni e sofferenze siano i civili, a cominciare da donne e bambini.
Nabil Giacaman all’ingresso del suo negozio (foto di Michele Giorgio)
Di solito a dicembre la piazza della Mangiatoia, davanti alla Chiesa della Natività, ospita un enorme albero di Natale, gli addobbi decorano e arricchiscono negozi, locali, hotel e ristoranti. E un nutrito programma di concerti, cortei e spettacoli natalizi anticipano e seguono l’ingresso a Betlemme del Patriarca latino (cattolico) che a mezzanotte notte officia la tradizionale messa di Natale. Riti e celebrazioni che si ripetono giorni dopo per il Natale degli Ortodossi. Manca poche ore al Natale e le strade e i cortili di Betlemme sono in gran parte vuoti. Le Chiese di tutta la Palestina hanno annunciato la cancellazione delle festività in un’espressione di unità con Gaza, limitando le attività di questo periodo alle preghiere. «Quest’anno non ci sono festeggiamenti, ma solo riti religiosi ed è giusto così, perché come si fa a gioire del Natale mentre dentro di noi crescono tristezza e amarezza per l’uccisione di tanti innocenti a Gaza, di così tanti bambini», ci spiega Nabil Giacaman, proprietario di un noto negozio di souvenir nella piazza della Mangiatoia e membro di una delle famiglie cristiane più importanti di Betlemme. Davanti al suo negozio, nella piazza, passano poche persone, in buona parte poliziotti dell’Autorità Nazionale. Di fronte, sull’edificio del Centro turistico, sventolano una decina di bandiere palestinesi in fila, accanto a un poster enorme che chiede la fine della guerra. «Possibile che nel mondo non ci sia qualcuno che dica a Israele di finirla, di fermare il suo attacco, di interrompere la distruzione di Gaza?» domanda Giacaman. «Per questo» aggiunge «non abbiamo fatto l’albero a casa. Sono un cattolico e adoro il Natale con i suoi riti e le sue tradizioni, ma non c’è gioia, siamo a lutto quest’anno». La chiusura israeliana per Betlemme significa la fine di qualsiasi forma di turismo. «Nessuno può arrivare qui» ci dice ancora il commerciante «non mi riferisco ai turisti stranieri che, spaventati dalla guerra, non vengono in Terra santa. Parlo dei palestinesi di Gerusalemme e di quelli in Israele che non possono raggiungere Betlemme, non possono entrare in città. Betlemme è un carcere dove sono stati vietati persino i colloqui con i detenuti». I riflessi della guerra a Gaza sull’economia cittadina – Betlemme riceve fino a 1,5 milioni di turisti all’anno – si prevedono enormi e andranno ad aggiungersi a quelli causati dalle passate restrizioni sanitarie e di viaggio legate alla pandemia. Il ministero del turismo calcola le perdite nel 2023 in Cisgiordania intorno ai 200 milioni di dollari, di cui almeno il 60% a Betlemme.
Hanna Hanania, il sindaco, è impegnato a spiegare i motivi dell’annullamento delle celebrazioni natalizie e, più di tutto, la gravità della condizione di tutti i palestinesi a cominciare, naturalmente, da quelli a Gaza sotto attacco. È molto occupato ma trova qualche minuto per rispondere alle domande del manifesto. «Il nostro popolo sta vivendo giorni molti difficili, a Gaza è in corso un genocidio, una pulizia etnica, e la municipalità ha deciso di cancellare ogni attività che non sia legata ai riti religiosi del Natale» ci dice. «Non osiamo paragonare in alcun modo le sofferenze dell’economia di Betlemme con le devastazioni che subisce Gaza» aggiunge «allo stesso è evidente che la guerra e la chiusura (israeliana) stanno avendo un impatto durissimo sui commerci, sul lavoro, su tutte attività della nostra città. Israele deve fermarsi perché a Gaza è un massacro e perché la guerra sta devastando in modi diversi tutta la Palestina».
foto di Michele Giorgio
L’atmosfera cupa e triste di questi giorni ricorda quella che regnò a Betlemme per mesi durante l’operazione Muraglia di Difesa, nella primavera del 2002, quando Israele, nel pieno della seconda Intifada palestinese, rioccupò le principali città della Cisgiordania che aveva evacuato sette anni prima nel quadro degli Accordi di Oslo. L’assedio della Chiesa della Natività, circondata dai carri armati, è un ricordo indelebile per gli abitanti. «Avevo venti anni allora e ricordo bene quel clima tanto simile a questo. La differenza è che oggi non ci sono i carri armati sulle strade, ma chi ci garantisce che non tornino presto o tardi. Israele fa ciò che vuole e potrebbe trasformare la Cisgiordania in una distesa di macerie come Gaza. E il mondo sta zitto», afferma il proprietario di un caffè che preferisce non darci il suo nome: «Abbiamo paura di tutto, di parlare, di scrivere, di dire la nostra opinione. Ci arrestano per qualsiasi cosa». Dopo il 7 ottobre, nel distretto di Betlemme sono stati eseguiti dozzine di arresti. L’esercito israeliano concentra i suoi raid notturni nel campo profughi di Dheisheh, un tempo roccaforte della sinistra palestinese che considera una «base per il terrorismo». Ma sono presi di mira tutti i campi profughi della zona. Ad Aida, ai piedi della città, riferiscono di incursioni senza sosta. Tra gli arrestati figura anche un noto attivista, Munther Amira.
Nabil Giacaman prima di salutarci ci lascia il suo messaggio di Natale. «Il mondo deve capire che i palestinesi sono un popolo uguale agli altri, con gli stessi diritti e doveri e che vuole essere libero. I palestinesi non rinunceranno mai a poter decidere della propria vita e del proprio destino». Pagine Esteri
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Buon Natale di speranza
L’annuncio del Natale, del “Dio con noi”, dell’Emmanuele, è così potente non solo perché Egli è il Salvatore, ma perché è anche il Re di gloria, il Signore. Gesù Cristo, se non fosse anche Re, non potrebbe darci indicazioni per il nostro vivere, guidarci e insieme sostenerci nella nostra esistenza.
Il mondo è invitato ad accoglierlo e a festeggiarlo con gioia, per riconoscerne la Signoria e la Grazia, per sentire come sia vicino a noi, come umanità: umano con gli umani e insieme Dio con gli umani. Questo annuncio è il dono che possiamo fare come cristiane e cristiani e come chiese ai nostri contemporanei, non tanto il buonismo natalizio, ma il significato vero del Natale che è ciò che dà vera speranza e permette un nuovo inizio.
Un augurio, dunque, di un buon Natale di gioia per ogni fase della nostra vita.
Reportage video, live e documentari su Gaza e il Medio oriente, aiutaci a realizzarli
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Giuseppe Conte, parabola di un “turboatlantista”
C’è stato un tempo in cui il senso delle Istituzioni suggeriva agli ex presidenti del Consiglio la massima coerenza e la minor demagogia in materia di politica estera e di difesa. I tempi sono evidentemente cambiati.
Nessun giornale ne ha dato conto e, tutto sommato, anche questo è un segno dei tempi. Resta, tuttavia, il fatto che l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte nei giorni scorsi abbia sparato a palle demagogiche incatenate contro la decisione dell’Italia di partecipare, con la fregata Virginio Fasan, alla missione internazionale volta a ripristinare la navigabilità dello stretto di Suez e del Mar Rosso, compromessa dalle incursioni militari dei ribelli jememiti, sciti, Huthi. Coalizione a cui partecipano circa 35 paesi tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Norvegia, Canada e che mercoledì ha avuto il via libera del capo della politica estera europea, Josep Borrel.
L’intrepido Conte l’ha messa così: “L’Italia si sta caratterizzando come turboatlantista… Non mi sembra che farci coinvolgere in un ulteriore conflitto sia il nostro obiettivo, ma siccome bisogna essere ossequiosi a Washington, manderemo una fregata e forse ne manderemo delle altre”. Un uomo tutto d’un pizzo.
Si da però il caso che per l’Italia, così come per gli altri paesi della coalizione, non si tratti si assecondare un diktat americano, ma di impedire che i ribelli Huthi blocchino una rotta da cui passa circa il 30% del traffico commerciale mondiale e l’intero interscambio tra il nostro Paese e l’Asia. Evitare Suez per i mercantili e le petroliere significherebbe dover circumnavigare l’Africa: sette giorni di navigazione in più, con relativa impennata dei costi che dagli armatori si ripercuoterebbero sui consumatori, Ma questo a Giuseppe Conte non interessa. A lui, oggi, interessa screditare l’immagine del governo facendolo apparire servile nei confronti degli Stati Uniti così come, in materia di riforma del Patto di stabilità, di Francia e Germania. Calcoli di bottega elettorale che mal si conciliano con il recente status istituzionale del nuovo capo grillino.
Resta, così, la nostalgia per lo stile dei tempi andati. Tempi lontani. Comunque lontanissimi dalla sensibilità del camaleontico Giuseppe Conte. Lo abbiamo riscontrato ieri alla Camera, quando il Movimento 5stelle si è allineato a FdI e Lega nel respingere la riforma del Mes i cui negoziati erano stati avviati nel 2021, con Conte premier. Lo abbiamo visto sin dall’inizio della legislatura sull’Ucraina. Il Conte “pacifista” ha più volte criticato la scelta del governo Meloni, così come dell’Unione europea, di sostenere lo sforzo bellico del popolo ucraino inviando armi e munizioni. Soldi sottratti agli italiani in difficoltà, è stata ed è la retorica contiana. Narrazione che mal si concilia col fatto che sia nel 2018 sia nel 2019 l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte abbia assicurato alla Nato che l’Italia avrebbe portato al 2% del Pil le proprie spese militari e che con lui a palazzo Chigi le spese militari siano effettivamente passate dai 23,4 miliardi del 2018 ai 25,6 miliardi del 2021. Oltre due miliardi di euro in più. Ma è inutile stupirsi, allora il “turboatlantista” era Giuseppe Conte, il quale aveva evidentemente ritenuto opportuno mostrarsi “ossequioso a Washington”.
Huffington Post
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I CARABINIERI RECUPERANO IN OLANDA STATUA TRAFUGATA IN COSTIERA AMALFITANA
I CARABINIERI RECUPERANO IN OLANDA STATUA TRAFUGATA IN COSTIERA AMALFITANA
La storica statua italiana della Madonna del Monte Carmelo, di grande importanza religiosa, è stata restituita all'Italia dai Paesi Bassi con il sostegno giudiziario di Eurojust. Il reperto religioso è stato rubato nel 2014 da una chiesa a Pastena, nella Costiera Amalfitana e successivamente acquistato da un collezionista olandese. Eurojust ha assistito le autorità italiane nella rapida esecuzione di un ordine europeo di indagine (OEI) per organizzarne la restituzione alla parrocchia di Pastena.
L’ordine europeo di indagine è una decisione giudiziaria emessa o convalidata dall’autorità giudiziaria di un paese dell’UE per ottenere atti di indagine effettuati in un altro paese dell’UE al fine di raccogliere elementi di prova in materia penale. L'esecuzione deve essere eseguita con le stesse modalità che si seguirebbero che l'atto investigativo in questione fosse stato ordinato da un'autorità dello Stato di esecuzione.
La statua, che ha circa 700 anni, è stata rubata dalla chiesa nell'agosto 2014 e messa in vendita tramite un antiquario italiano. È stata acquistata in buona fede da un collezionista olandese che intendeva rivenderla e ha postato le foto sui social. Ad avvistarli è stato il parroco di Pastena, che ha contattato le autorità italiane.
Un'indagine era stata avviata dai carabinieri della Tutela dei Beni Culturali e dalla Procura della Repubblica di Salerno, che hanno poi contattato Eurojust per avviare l'iter di recupero e restituzione del reperto in Costiera Amalfitana. L'Agenzia ha prestato assistenza nell'esecuzione dell'OEI, ed ha fornito ulteriore supporto giudiziario transfrontaliero alle autorità in Italia e nei Paesi Bassi. Il trasferimento della statua è avvenuto nei giorni scorsi.
Per saperne di più sull’ordine europeo di indagine: e-justice.europa.eu/content_eu…
Export militare, la svolta giapponese con vista sul Gcap
Sarà possibile per il governo di Tokyo esportare materiale d’armamento, attrezzature militari e tecnologie di difesa prodotte in Giappone sia verso i Paesi proprietari delle licenze, sia verso le Nazioni che si difendono da un’invasione. La riforma voluta dal governo del Sol levante segna un cambio di passo notevole per un Paese la cui rigida costituzione pacifista impediva fino a questo momento il trasferimento di attrezzature militari. L’obiettivo dichiarato da Tokyo è quello di rafforzare i legami di sicurezza con i Paesi partner, una necessità nel quadro internazionale sempre più insicuro e instabile. La decisione ancora non ricomprende il caso di prodotti co-sviluppati con partner internazionali a Paesi terzi, mancando un accordo tra i vari partiti di maggioranza, e in questo senso un progetto come il Global Combat Air Programme per sviluppare, insieme a Italia e Regno Unito, il caccia di sesta generazione resta per ora escluso dalla possibilità di esportazione da parte di Tokyo. Tuttavia, il segnale resta importante, e non è escluso che in attesa degli sviluppi del Gcap, non possa avvenire un ulteriore passo in questa direzione da parte nipponica.
La recente riforma segnala infatti la prosecuzione del processo di revisione delle norme sulle esportazioni iniziate nel 2014, quando il Giappone rimosse le misure di embargo netto sulle armi della sua Costituzione. In generale, il Paese del Sol levante ha intrapreso con sempre maggiore decisione la strada di una riforma generale del suo comparto difesa, superando le resistenze storiche anche della popolazione, di fronte alla necessità ravvisata dal governo di assicurare una maggiore sicurezza al Paese in uno scenario globale e regionale sempre più fragile. La minaccia missilistica nordcoreana e l’assertività crescente di Pechino nel mar Cinese meridionale (dove oltre a Taiwan, Pechino rivendica anche le isole Senkaku amministrate da Tokyo) hanno spinto il Giappone a rivedere le proprie politiche di disarmo, verso un potenziamento delle Forze di auto-difesa e una maggiore collaborazione internazionale di Difesa, a partire dagli Stati Uniti e dagli altri Partner regionali.
Sono tre i principi emendati sul trasferimento di attrezzature e tecnologie per la difesa. Con le nuove norme, il Giappone può adesso trasferire i sistemi d’arma prodotti su licenza straniera in Giappone ai Paese licenziatari. È il caso recente dei missili terra-aria Patriot (e in particolare i modelli Pac-2 e Pac-3) prodotti in territorio giapponese sotto licenza dell’azienda americana Raytheon, che il governo di Tokyo sta per inviare agli Stati Uniti. Gi arsenali di Washington stanno infatti fronteggiando una forte carenza di questi sistemi, in parte forniti alle forze armate di Kyiv e in parte dispiegati in Medio Oriente, ma anche nella regione Indo-Pacifica. La revisione consente inoltre al Paese di vendere parti di armi a condizione che i componenti di per sé non siano letali, come i motori dei jet da combattimento, e infine di fornire attrezzature di difesa a Paesi che si difendono da invasioni che violano il diritto internazionale, come l’Ucraina.
Per quanto riguarda il caccia di nuova generazione sviluppato congiuntamente da Giappone, Regno Unito e Italia, il governo Fumio Kishida sta cercando di eliminare il divieto di esportare prodotti co-sviluppati ad altri Paesi. Questo rappresenterebbe un boost sostanziale alla sostenibilità del progetto non solo per il Giappone, ma in generale per lo sviluppo dell’intero programma. Permetterebbe, infatti, al consorzio di avere nel Giappone un partner cruciale per la sua presenza nell’Indo-Pacifico, diventando una potenziale piattaforma per l’esportazione del sistema a Paesi partner come Australia o Corea del Sud.
Sono una giornalista a Gaza: “Ogni giorno, ogni momento, mi confronto con l’idea che potrei essere uccisa”
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di Maha Hussaini* – The New Humanitarian
(la foto è di al Jazeera English per Creative Commons)
Come giornalista palestinese e attivista per i diritti umani nella Striscia di Gaza che racconta l’impatto della guerra israeliana che dura ormai da due mesi e mezzo, sto diventando sempre più consapevole che potrei essere il prossimo obiettivo di un attacco aereo israeliano.
Da quando Israele ha iniziato a bombardare e assediare Gaza il 7 ottobre – lanciando un’invasione di terra dell’enclave tre settimane dopo – almeno 97 giornalisti sono stati uccisi, secondo l’ufficio stampa del governo di Gaza. Committee to Protect Journalists, una ONG internazionale, stima a 61 il numero dei morti a Gaza durante la guerra.
Molti di questi giornalisti e operatori dei media sono stati uccisi mentre lavoravano, ma altri sono stati uccisi insieme ai membri delle loro famiglie mentre erano a casa o nelle case in cui si erano rifugiati dopo essere stati sfollati con la forza. I giornalisti uccisi sono un piccolo sottoinsieme delle 20.000 persone – di cui circa il 70% donne e bambini – che sono state uccise dalla campagna militare di Israele a Gaza dal 7 ottobre.
Non dovrei essere obbligata a ricordarlo, ma i giornalisti sono civili e i civili non dovrebbero essere presi di mira nelle operazioni militari: si tratta di una violazione del diritto internazionale umanitario.
A causa della difficoltà di raccogliere prove, in molti casi è difficile dimostrare in modo definitivo che Israele stia deliberatamente prendendo di mira i giornalisti. Tuttavia, l’elevato numero di operatori dei media uccisi a Gaza sembra essere intenzionale o dimostrare che l’esercito israeliano sta operando con un totale disprezzo per la vita dei civili – o entrambe le cose.
Ci sono comunque prove che le forze israeliane abbiano intenzionalmente preso di mira i giornalisti; sia durante le attuali ostilità – come nel caso dell’attacco del 13 ottobre che ha ucciso il giornalista libanese Issam Abdullah – sia recentemente, con l’uccisione della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh in Cisgiordania nel 2022.
Come giornalisti che lavorano durante i combattimenti, indossiamo giubbotti antiproiettile ed elmetti per identificarci chiaramente come membri della stampa. Questa dovrebbe essere una forma di protezione, che segnala ai combattenti di non prenderci di mira. A Gaza, le giacche e gli elmetti dei giornalisti sono sempre più spesso considerati un problema. I miei colleghi giornalisti a volte preferiscono toglierseli quando fanno reportage in luoghi pubblici affollati, temendo che la loro presenza visibile nell’area possa provocare un attacco da parte di Israele.
Anche i residenti di Gaza hanno sempre più paura di trovarsi nello stesso posto dei giornalisti. Uno di recente mi ha detto: “Ovunque si trovi un giornalista può essere preso di mira”.
Il nostro dovere è fare luce
Ho vissuto tutta la vita sotto l’occupazione israeliana e so che in passato i giornalisti palestinesi sono stati presi di mira e uccisi a Gaza e in Cisgiordania. Ma in qualche modo credevo ancora che essere un giornalista mi garantisse una sorta di sicurezza durante gli attacchi militari. Volevo credere che quando i giornalisti venivano uccisi negli attacchi aerei o dai proiettili dei cecchini, non fossero il bersaglio designato, che la loro morte fosse un incidente.
Dopo gli ultimi due mesi e mezzo, non ci credo più.
Durante la seconda settimana dell’invasione israeliana, stavo facendo un servizio in diretta per un canale televisivo dalla casa in cui mi sono rifugiata dopo essere stato costretta a lasciare la mia abitazione. Descrivevo la situazione a Gaza e riferivo degli attacchi di Israele.
Pochi minuti dopo aver terminato l’intervista, ho ricevuto una telefonata da un parente all’estero che l’aveva vista per caso. “Sai che puoi essere presa di mira nella casa dove stai, e che tutti quelli che sono con te possono essere uccisi a causa del tuo lavoro?”, mi ha chiesto. Un altro collega straniero mi ha poi domandato: “Come ti senti a lavorare in una professione in cui un collega giornalista viene ucciso ogni giorno?”.
Nonostante il pericolo e la sensazione di essere un bersaglio, i giornalisti a Gaza hanno continuato a coprire gli eventi sul campo. È nostro dovere raccontare ciò che sta accadendo, soprattutto perché Israele e l’Egitto non permettono ai giornalisti internazionali di entrare a Gaza se non per missioni controllate dall’esercito israeliano. Senza di noi, la morte, la distruzione e la sofferenza causate dalla campagna militare e dall’assedio di Israele si svolgerebbero all’oscuro di tutto.
Anche noi viviamo la catastrofe
Mentre continuiamo a fare il nostro lavoro – anche se sentiamo sempre più spesso che le nostre vite sono minacciate a causa della nostra professione – viviamo la catastrofe a Gaza come chiunque altro.
Sentiamo che potremmo essere uccisi da un momento all’altro, o che le nostre famiglie o i nostri vicini potrebbero essere uccisi. Ogni giorno, ogni momento, mi confronto con l’idea che potrei essere uccisa. Nella mia testa, convivo con questo pensiero, implorando di avere un giorno in più per scrivere un’altra storia o intervistare un’altra vittima di questa guerra. Sento l’immensa responsabilità di rimanere in vita il più a lungo possibile, non solo per la mia sicurezza, ma anche per continuare a dare voce a tutte le persone senza voce che incontro ogni giorno.
Se dovessi essere uccisa, so che ci sono decine di giornalisti che continueranno il lavoro. Ma sento anche di dover lottare per poter continuare a lavorare, per andare avanti, a qualunque costo.
Essere un giornalista a Gaza significa essere sia la persona che racconta un attacco sia la vittima che ne è testimone. Sei il giornalista che scrive delle centinaia di migliaia di sfollati forzati, e sei uno degli sfollati costretto a fuggire perché il tuo quartiere è stato bombardato a tappeto e la tua casa è stata distrutta. Sei quello che scrive delle interruzioni di corrente a Gaza usando carta e penna, fotografando la tua storia scritta a mano per inviarla via WhatsApp e risparmiare la batteria del tuo cellulare.
Quando citi le fonti a sostegno dei tuoi articoli, sei uno del 56% dei residenti che soffrono di gravi livelli di fame e uno.a dei 350.000 sfollati – su 1,9 milioni in totale – che patiscono malattie e diarrea a causa dell’acqua contaminata e della mancanza di forniture igieniche. E sei uno dei 2,3 milioni di residenti di questa enclave che vorrebbero essere tutto tranne che esseri umani che vivono a Gaza in queste condizioni disumane.
*Giornalista pluripremiata e attivista per i diritti umani basata a Gaza
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Sabrina Web 📎 reshared this.
La differenza tra Threads e il Fediverso libero
Threads è Come andare in crociera: stai in mezzo a mille persone, ognuna che pensa di essere Gesù Cristo in Terra e in più paghi un sacco di soldi. Quando invece stai in una istanza del fediverso libero è come se fossi in barca a vela invitato da un gruppo di amici: Se vuoi puoi contribuire alle spese e soprattutto non ti "senti" libero, ma sei "davvero" libero!
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Chissà per quale motivo Threads, come già Twitter, dà fin da ora (e anche nell'interfaccia del browser) la possibilità di creare post concatenati...
...mentre Mastodon ancora no... 🤬
#chepalle #Threads
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A volte fa anche streaming quando programma la app e vedi in tempo reale cosa fa, e ovviamente la app è open source.
Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ likes this.
BiPatto
L’accordo sul Patto è stato trovato. Ne è soddisfatto il governo italiano, che si annette il geometrico merito d’essersi messo al centro. E ci mancherebbe, fossero questi i problemi. Quello di cui parliamo è il Patto europeo sulla migrazione e sull’asilo, al termine di un negoziato che ha coinvolto i Paesi membri, il Parlamento europeo (che lo voterà in seduta plenaria) e la Commissione europea, che ne fissa i cinque pilastri. In buona sostanza: responsabile resta il Paese di primo approdo; si standardizzano identificazioni e dati biometrici; i Paesi che non accetteranno la distribuzione del carico umano saranno tenuti a un maggiore carico economico.
Fino a qualche settimana addietro era tutto uno sgrugnarsi di rimproveri reciproci e di finte rotture. Noi guardavamo la sostanza, tenevamo in conto la realtà reale e non la narrativa mendace della serie «L’Italia è stata lasciata sola» e ritenevamo l’accordo non soltanto possibile ma a portata di mano. Così è stato e il copione si replica con l’altro Patto, quello economico e intitolato alla stabilità e alla crescita. In questo caso il ministro dell’economia richiama lo <<spirito del compromesso>>. Bene così.
Convergere su un Patto europeo è buona cosa, ma non in sé una soluzione. Che le frontiere esterne di ciascun Paese fossero frontiere esterne europee era già assodato, mentre i Paesi governati da sovranisti, a Est, avevano impedito la monetizzazione del rifiuto allo smistamento (la solita Ungheria è ancora di traverso). Che non è e non sarà automaticamente accoglienza. Ora il Parlamento europeo fa un importante passo in avanti, in accordo con la festante Commissione europea (la cui presidente ha parlato di accordo «storico», e bisognerà che ci si rassegni all’idea che la storia la scrivono i posteri, mentre i contemporanei compiono scelte). Non di meno il problema resta intatto, molti altri proveranno a entrare illegittimamente, i respingimenti resteranno complicati. Ma si è fissata la procedura con cui affrontare il problema. E non è poco.
Analogo ragionamento vale sul lato economico. I debiti alti – il nostro lo è esageratamente – restano tali. Contabilizzare questa o quella spesa (ad esempio i soldi spesi nella difesa) ai fini dell’equilibrio fra Stati non modifica il fatto che i soldi presi in prestito comunque debito rimangono. E se crescente il problema aumenta, anche ove non contestato dalle autorità europee. Ma convergere sui criteri è molto importante perché crea le condizioni dell’argine comune, togliendo terreno ad attacchi speculativi e lasciando attive le difese comuni. Le difficoltà nel rispettare gli accordi – evocate sia dalla presidente del Consiglio che dal ministro dell’Economia – sono reali, ma di gran lunga meno dolorose e pericolose del non avere un Patto attivo.
Ricordato ancora una volta che il Meccanismo europeo di stabilità non c’entra nulla, non c’è alcun nesso e che l’idea di gestire un negoziato ‘a pacchetto’ la si può vendere a qualche elettore sprovveduto ma è priva di fondamento, quindi sottolineato ancora che allungare questo strazio serve soltanto a rendere più dolorosa l’inversione a U che le forze al governo dovranno fare (la Lega ha già trovato la formula: siamo contrari, ma ci rimettiamo a Meloni), il problema italiano è la consapevolezza che non sono reali i conti ancora da approvare. Fra Natale e la fine dell’anno, con puntuale rispetto della tradizione e del palpitante ultimo minuto (ma tanto non succede niente), sarà approvata una legge di bilancio che – nello stabilire in che modo e in che misura sarà ridotto il debito pubblico nel corso del 2024 – parte dall’assunto che la nostra crescita sarà dell’1,2%. Il che è fuori dalla realtà e la Banca d’Italia prevede che cresceremo della metà, lo 0,6%. Quindi saranno votati conti che già si sa dovranno essere rifatti. Quello è il nostro problema, serio.
Il dilemma politico sta da un’altra parte: come praticare scelte sagge, che portano a maggiore integrazione europea, dopo avere lungamente sostenuto il contrario. Ma l’arte delle parole è materia in cui l’eccellenza abbonda, fra le file della politica.
La Ragione
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I tre cappi al collo dei bipopulisti italiani
Una classe politica senza memoria, priva di continuità istituzionale e consegnata ad un eterno presente che impedisce ogni visione strategica a medio, lungo periodo. È questa l’immagine dell’Italia dopo il voto alla Camera sul Mes.
La memoria. Se i partiti che non hanno votato a favore della riforma del Meccanismo europeo di stabilità (FdI, Lega, FI, M5s) sostenendo che “serve solo alle banche tedesche” avessero avuto memoria della crisi finanziaria che travolse l’Europa nel 2010, saprebbero che quando le banche tedesche entrano in sofferenza il contagio dilaga ai paesi considerati più fragili. E l’Italia è il primo della lista. Se il Mes, inapplicabile a causa della mancata ratifica italiana, non salverà, all’occorrenza, le “banche tedesche”, chi salverà il sistema creditizio italiano?
La continuità istituzionale. Di prassi, i cambiamenti dei governi non cambiano il merito degli accordi internazionali sottoscritti dai governi precedenti. La riforma del Mes è stata avviata dal governo Conte nel 2021, ma né il partito di Conte, né i partiti che oggi compongono la maggioranza hanno ritenuto di confermare tale continuità. Un chiaro segno di inaffidabilità nazionale agli occhi di partner e investitori internazionali
Il presentismo. Alcuni osservatori vicini alla Meloni cavillano: a dichiararsi contrario non è stato il governo, ma il parlamento, il che non esclude che dopo le elezioni Europee del prossimo giugno il governo non possa indurre le Camere a ribaltare il voto espresso ieri approfittando magari di una qualche parziale ma simbolica modifica. Tesi bizzarra, che presuppone una disinvoltura degna dei corsari di Tortuga, oltre ad una naturale inclinazione a prendere per i fondelli gli elettori.
Questi, dunque, i tre cappi nei quali ieri i leader di FdI, Lega, FI e M5s hanno disinvoltamente infilato il collo. Si attendono le rappresaglie dei partner europei, e in modo particolare della Germania. Giorgia Meloni ha dimostrato di non reggere la competizione, densa di demagogia, di Matteo Salvini alla sua destra. Giuseppe Conte ha dimostrato di non reggere il peso delle sue pur recenti responsabilità istituzionali. Ieri, ancora una volta, il bipolarismo italiano ha esibito i tratti poco rassicuranti del bipopulismo. La campagna per le Europee è ufficialmente iniziata, ed è iniziata nel peggiore dei modi.
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“A Rosolini senz’acqua né servizi”: le associazioni denunciano lo stato in cui vivono 180 minori stranieri nella struttura siciliana
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Comunicato stampa –
Pagine Esteri, 22 dicembre 2023. ASGI, ARCI, CNCA, Defence for Children International Italia, INTERSOS e Oxfam Italia chiedono che i minori siano trasferiti in centri di accoglienza adeguati e ricordano le recenti condanne della CEDU verso l’Italia
Circa 180 minori stranieri non accompagnati vivono in condizioni gravemente inadeguate e lesive della loro dignità in una struttura di primissima accoglienza sita nel Comune di Rosolini, in Sicilia, alcuni da oltre tre mesi.
Tali condizioni, oltre a non risultare conformi alle norme in materia di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, potrebbero configurare, sulla base della recente e ormai consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell’art. 3 della Convenzione EDU.
È quanto denunciano ASGI, ARCI, CNCA, Defence for Children International Italia, INTERSOS e Oxfam Italia in una lettera inviata lunedì 18 dicembre 2023 alle istituzioni centrali e locali, quali la Prefettura, il Tribunale per i Minorenni, la Procura, il Sindaco, il Servizio Centrale SAI e le Autorità garanti per l’infanzia.
Nella struttura, per legge destinata a brevissime permanenze, emerge una preoccupante mancanza di diritti e di servizi: la rete idrica assicura la distribuzione d’acqua per sole tre ore al giorno e, talvolta, i minori sono costretti a lavarsi con l’acqua delle bottiglie; sono inoltre disponibili solo cinque docce (prive di acqua calda) e una decina di servizi igienici, collocati all’esterno e spesso mal funzionanti, evidentemente insufficienti per 180 persone.
Le associazioni descrivono così le condizioni all’interno della struttura: “I minori dormono su brandine collocate all’interno del pallone tensostatico, senza alcuna garanzia di privacy. Non sono disponibili spazi comuni per la mensa né per svolgere attività educative e ricreative. In mancanza di tavoli e sedie, i ragazzi sono costretti a consumare i pasti in piedi o seduti sulle brandine”. A questo si aggiunga che”non sarebbero stati forniti ai minori coperte, vestiti e prodotti igienici in quantità sufficiente, soprattutto considerato il prolungamento dell’accoglienza per settimane o addirittura mesi””.
Mancano inoltre assistenti sociali ed educatori, la presenza dei mediatori è limitata ad un giorno alla settimana, non è stata fornita alcuna informativa o assistenza legale e non risultano le nomine dei tutori né i minori hanno avuto accesso alla richiesta di permesso per minore età o alla domanda di protezione internazionale. Sebbene sia presente personale sanitario, “non risulterebbe garantita un’adeguata assistenza psicologica, benché molti dei minori accolti abbiano subito gravi traumi e in alcuni casi portino sul corpo i segni delle torture subite, e alcuni ragazzi appaiano in uno stato depressivo” si legge nella lettera alle istituzioni.
Una situazione che emerge anche dalla visita che Il 18 settembre il Senatore Antonio Nicita ha svolto presso la struttura e su cui è stata presentata il 22 novembre alla Camera un’interrogazione parlamentare al Ministro dell’Interno a firma dell’On. Marco Grimaldi.
La struttura risulta essere in aperta violazione delle norme relative ai centri per minori non accompagnati, che prevedono una capienza massima di 50 posti e la garanzia di i servizi tra cui l’insegnamento dell’italiano, l’orientamento legale e l’assistenza psicologica.
Ispezioni da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni presso la struttura, trasferimenti dei minori in strutture adeguate e, in attesa, garanzia del rispetto dei diritti fondamentali loro riconosciuti dalla normativa vigente, come il soddisfacimento dei bisogni essenziali, con la nomina di un tutore per ciascun minore oltre alla presentazione al più presto della richiesta di permesso di soggiorno per minore età ovvero la domanda di protezione internazionale: queste le richieste con cui si conclude la lettera di ASGI, ARCI, CNCA, Defence for Children International Italia, INTERSOS e Oxfam Italia che ricordano la recente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani(CEDU), che ha condannato l’Italia in ben tre decisioni per aver collocato alcuni minori stranieri non accompagnati in strutture d’accoglienza inadeguate, ove non erano rispettati i diritti fondamentali loro riconosciuti dalla normativa nazionale e internazionale, con conseguente violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (divieto di trattamenti inumani e degradanti). Pagine Esteri
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“Cercasi Stato disperatamente” l’ultima fatica di Matteo Grossi – L’informatore lomellino
Né virgole né congiunzioni. I figli di WhatsApp arrivano all’università ma non sanno più scrivere – La Repubblica
Scrivono, costantemente. Messaggi brevi, spezzettati, arricchiti di emoticon.Frasi non per forza stringate ma immediate, ispirate dal momento, sollecitate dall’interlocutore. Conil risultato che nessuna generazione ha mai scritto tanto quanto i ventenni di oggi. Tra chat e socialè un profluvio di parole quotidiane. Quando però devono dare forma a un testo complesso, si arenano.Anche gli studenti universitari. Si perdono nel mare della punteggiatura, tentennano nella sintassi.
È il risultato di uno studio che ha coinvolto 2.137 studenti di 45 atenei italiani. A guidarlo NicolaGrandi, ordinario di glottologia e linguistica a Bologna,
capofila del progetto condotto insieme agli atenei di Pisa, Macerata e all’università per stranieri di Perugia. «Nel febbraio 2017 — spiega Grandi— una lettera inviata da seicento professori al presidente del consiglio, al ministro dell’istruzione e al parlamento denunciava le carenze linguistiche degli studenti, messi sotto accusa per l’italiano scritto con errori “appena tollerabili in terza elementare”. Il documento mi colpì, anche perché non si basava su alcun dato scientifico». Così Grandi e il suo gruppo di lavoro sono voluti andare a fondo con il progetto UniversIta, la prima ricerca sistematica condotta in Italia sulle capacità di scrittura di chi è iscritto a un corso di laurea. A ogni partecipante è stato chiesto di redigere un testo formale tra le 250 e le 500 parole, un elaborato in cui si doveva mettere nero su bianco la propria esperienza durante il lockdown (era la primavera del 2021). Gli scritti sono stati poi corretti in base a numerosi parametri, tra cui lessico, sintassi e punteggiatura. Con il risultato che per ogni elaborato sono presenti in media 20 errori, di cui la metà di punteggiatura.
«L’abitudine alla scrittura in ambito informale — osserva Grandi — sembra aver pervaso l’ambito formale. Una sorta di parlato digitato, con una assai limitata articolazione sintattica e una struttura dell’argomentazione abbastanza “spezzettata” ». Testi carenti di sintassi, coerenza, scelte lessicali. E l’uso di punti e virgole ne è la manifestazione più evidente: «D’altronde la punteggiatura non è, come spesso si insegna, solo un fatto grafico, ha un forte valore testuale, cioè scandisce l’organizzazione del testo. Ed è risultata molto deficitaria».
D’altronde scorrendo i risultati della ricerca solo il 17,5% del campione legge più di dieci libri in un anno, mentre il 52% si cimenta a malapena con cinque volumi in 12 mesi. Altro dato sorprendente è che gli studenti di area scientifica sono più bravi nella redazione di un elaborato rispetto a gli umanisti. E, più in generale, chi frequenta un ateneo del nord ha un lessico più variegato rispetto a chi è iscritto in un’università del centro Italia. Nessuna sorpresa invece per quanto riguarda la provenienza: chi viene dal liceo se la cava meglio con le parole. E tra questi chi conosce lingue antiche fa in media 2,46 errori in meno. Da notare poi che il numero di strafalcioni commessi cala progressivamente passando da studenti pr ovenienti dalla classe socioeconomica bassa a quelli di medio alta, per poi aumentare nuovamente tra chi appartiene ai ceti più agiati.
Quasi tutti — otto su dieci — dichiarano però di sentirsi abbastanza o molto sicuri nello scrivere.Senza però saper distinguere i contesti. «La grammatica che usiamo per redigere una tesi di laurea èdiversa da quella che usiamo quando digitiamo un messaggio su WhatsApp. Ma saper usare una linguasignifica proprio questo: compiere scelte adeguate alla situazione comunicativa. Che è quello chescuola e università dovrebbero insegnare, anche se quasi mai lo fanno». Secondo i dati emersi da unamappatura di 62 corsi di laurea sono infatti appena 14 gli insegnamenti finalizzati a rafforzare leabilità di scrittura. «Fino a pochi anni or sono, si producevano scritti quasi esclusivamente in unambiente, per così dire, protetto e sorvegliato, cioè a scuola. Testi destinati ad essere corretti,progettati avendo ben presente che sarebbero stati “vagliati” e corretti. Le relazioni tra pari eranoinvece dominio incontrastato dell’oralità. E la scrittura informale, non pianificata, di fatto nonesisteva. Oggi con la tecnologia siamo di fronte a uno scenario totalmente differente, con cui occorreconfrontarsi». L’esperto Nicola Grandi, 50 anni, ordinario di glottologia elinguistica all’università di Bologna. Ha guidato la ricerca sulle capacità di scrittura degliuniversitari.
di Emanuela Giampaoli, la Repubblica, 18 dicembre 2023
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Ministero dell'Istruzione
#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta quattro scuole di Lecce e provincia. Grazie ai fondi del #PNRR saranno realizzati laboratori digitali negli Istituti “De Pace” e “De Giorgi” di Lecce.Telegram
Laboratorio Parlamento Europeo
La Fondazione Luigi Einaudi è lieta di presentare il nuovo progetto formativo “Laboratorio Parlamento Europeo”, rivolto agli studenti delle scuole superiori della Regione Siciliana, che consisterà in una serie di simulazioni di sedute del Parlamento Europeo. I partecipanti vestiranno i panni degli Eurodeputati e si confronteranno con tematiche importanti dell’attualità europea e sociale.
Per informazioni e prenotazioni per l’organizzazione del laboratorio contattare il responsabile del progetto, l’avv. Gian Marco Bovenzi, all’indirizzo email: bovenzi@fondazioneluigieinaudi.it
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Presentazione del libro “Banche, agricoltura e Stato Italiano. Un saggio introduttivo: 1861-1946” di Simone Misiani
Il 20 dicembre alle ore 17.30 il professor Simone Misiani presenterà presso la nostra fondazione il volume “Banche, agricoltura e Stato italiano. Un saggio introduttivo: 1861 – 1946”. Il volume intende ricostruire la nascita, le caratteristiche e le finalità del modello di credito speciale per l’agricoltura che è sorto e si è via via affermato, in forme originali, in Italia.
Oltre all’autore interverranno Alfredo Gigliobianco (già Banca d’Italia – Ufficio ricerche storiche), Roberto Ricciuti (Università degli studi di Verona), Gaetano Sabatini (CNR-ISEM), Luca Tedesco (Università di Roma TRE). Introduce e coordina l’evento la professoressa Emma Galli, direttore del Comitato scientifico della Fondazione Luigi Einaudi.
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OPERAZIONE “KULMI” CONTRO IL TRAFFICO DI STUPEFACENTI DALL’ALBANIA. ARRIVANO LE CONDANNE DEFINITIVE
Può essere presa ad esempio come attività di polizia internazionale che ha sfruttato tutte le possibilità legislative ed operative: si tratta della Operazione “Kulmi”, orchestrata sin dal 2017 dal Centro operativo della Direzione Investigativa Antimafia (#DIA) di Bari, con la costituzione di una Squadra Investigativa Comune da parte della Procura Distrettuale Antimafia del capoluogo pugliese, la Procura Speciale contro la corruzione e la criminalità organizzata della Repubblica d’Albania (SPAK) ed Eurojust, nonché delle Divisioni Interpol e S.I.Re.N.E. del Servizio di Cooperazione Internazionale (SCIP) del Ministero dell’Interno, dell’Ufficio di Collegamento Interforze di Tirana e dell’Esperto per la Sicurezza presso l’Ambasciata d’Italia a Londra.
L’attività congiunta ha consentito di disarticolare una associazione criminale transnazionale di narcotrafficanti italiani ed albanesi operante nel barese, con ramificazioni oltre che nel Paese “delle due aquile”, in Puglia e Basilicata.
L’operazione, nel suo sviluppo, aveva permesso l’arresto di 27 affiliati e il sequestro di oltre 3,3 tonnellate di droga (marjuana, cocaina ed eroina).
Ora la Direzione Investigativa Antimafia ha dato esecuzione a 19 ordini di carcerazione emessi dalla Procura Generale di Bari nei confronti di altrettanti condannati in via definitiva a pene detentive fino ad 11 anni e 6 mesi di reclusione per il traffico internazionale di stupefacenti, a seguito di pronunciamento dello scorso 14 dicembre della Suprema Corte di Cassazione.
Il video qui: direzioneinvestigativaantimafi…
#SPAK #Albania #INTERPOL #SIRENE #SCIP #EUROJUST #ESPERTOPERLASICUREZZA
La Difesa fuori dal Patto di stabilità è solo il primo passo. L’opinione di Tricarico
Non si può non condividere, e plaudire, a questa ulteriore iniziativa di Guido Crosetto andata a buon fine con lo scorporo delle spese per la Difesa dalla tenaglia dei parametri di stabilità, destinati però nel tempo a rafforzare la loro cifra di fiscalità e rigore.
Ulteriore iniziativa, perché il ministro della Difesa sta mettendo mano – auspicabilmente in maniera non casuale – ad una serie di argomenti considerati finora tabù, nervi scoperti del sistema Italia da non sfiorare, quali l’esportazione dei materiali di armamento e la giustizia.
Che i temi evocati fossero polvere destinata a restare sotto il tappeto lo si è capito subito dalle reazioni scomposte, ed emblematiche di una politica che privilegia la rissa sistematica e puntuale agli approfondimenti la cui necessità dovrebbe essere fuori discussione.
Francamente è difficile comprendere come di fronte a parole sovversive – non c’è altra possibile lettura – pronunciate pubblicamente da alcuni magistrati si preferisca mettere in stato di accusa chi ha denunciato il fatto più che cercare di capire il grado di infezione nel corpo della magistratura.
Tutto ciò considerato, vi è da augurarsi che quelli di Crosetto siano solo i primi passi di un percorso da coprire nell’arco della legislatura.
E per quanto attiene in particolare alle spese per la difesa, numerosi sono gli interventi da cantierare, a cominciare dall’entità del bilancio della Difesa, da quel fatidico 2% del Pil che la Nato sta da tempo reclamando. Largamente inascoltata.
La sensazione, forse il concreto rischio, è che gli Stati Uniti, laddove dovessero cadere ancora in mano a Trump, possano dar seguito alle minacce di un sostanziale disimpegno fatto balenare fin troppo esplicitamente in più di una occasione.
A quel punto i parametri di condivisione degli oneri andrebbero rivisti a livelli ben più robusti ed il 2% potrebbe non rappresentare neppure la soglia minima di impegno.
La spesa poi andrebbe riqualificata, rispondendo alla semplice domanda di che cosa serva veramente per edificare una difesa comune.
Oggi ogni paese pensa a sé stesso, se si dovessero sommare aritmeticamente e geometricamente gli eserciti dei 27 membri se ne ricaverebbe uno strumento multiforme, incompleto, in alcune articolazioni ridondante in altre deficitario, non sempre interfacciabile nelle varie capacità, un’orchestra che non ha mai suonato insieme, dotata di strumenti uno diverso dall’altro, probabilmente divisi sullo spartito da interpretare nelle varie circostanze.
Ma ancor prima di una razionalizzazione complessiva, andrebbe scritta ex novo una dottrina di impiego della forza che possa attagliarsi con gli scenari per i quali ormai anche la fantasia viene spesso superata dalla realtà, andrebbe operato uno sforzo progettuale comune atto a conferire efficacia e flessibilità alle future forze armate.
Solo a valle di una fase concettuale di tale portata si potrà avere la percezione precisa di come impiegare le risorse, non prima.
Invece oggi tutto è lasciato alla perspicacia, alle intuizioni ed alle decisioni più o meno oculate di ogni singolo paese. Quando non agli interessi di carattere industriale, gli unici oggi capaci di generare progetti comunitari ma che pur sempre restano espressione di scelte incubate e sviluppate fuori dagli Stati maggiori.
Ecco perché spendere oggi risorse per la Difesa è un esercizio alquanto complesso, da incardinare saldamente nell’alveo di una progettazione coerente con i variegati scenari di crisi e con un occhio sempre rivolto ad uno strumento militare comune.
Comunicazione di servizio: nei prossimi giorni saranno possibili disservizi per la migrazione dei server poliverso.org e poliversity.it
A causa dell'incremento dei costi dovuti alla necessità di disporre di una sempre più elevata potenza di calcolo, abbiamo valutato l'impiego di un unico server dedicato a entrambe le comunità social poliverso.org e poliversity.it
Questa migrazione, che potrebbe comportare diverse ore di indisponibilità del sistema, avverrà nei prossimi giorni, ma a causa delle incipienti vacanze non sappiamo dirvi precisamente quando verrà effettuata se non con un breve anticipo.
Gli annunci saranno effettuati anche dagli account di @informapirata :privacypride: e di @Poliverso :friendica: e verranno pubblicati sulla comunità Lemmy @Che succede nel Fediverso? dedicata al Fediverso, in modo che potrete essere informati anche durante i momenti di indisponibilità del sistema.
Vi ricordiamo che potete supportare il nostro progetto attraverso due canali di finanziamento:
1) Ko-Fi: ko-fi.com/poliverso
2) Liberapay: liberapay.com/poliverso
poliverso's profile - Liberapay
Poliverso è la più grande istanza italiana di Friendica. I fondi raccolti verranno utilizzati per finanziare la manutenzione di poliverso.org (friendica), di poliversity.it …Liberapay
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@sabrinaweb71 il nostro orientamento è pregiudizialmente negativo nei confronti di Meta. Al momento comunque stiamo valutando se avviare sperimentalmente la federazione con Threads, quanto meno per capire se funziona oppure no (non è scontato: Threads è stato fatto per comunicare principalmente con Mastodon!).
In ogni caso, prima di avviare la federazione, daremo una preventiva comunicazione agli iscritti
GAZA. In 77 giorni 20.000 morti e 53.000 feriti. Nella Striscia 1 bagno ogni 220 persone
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di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 22 dicembre 2023. Dopo 48 ore di blackout delle telecomunicazioni, il Ministero della Salute di Gaza ha oggi comunicato il numero dei palestinesi uccisi negli ultimi due giorni: 390, 734 i feriti.
Il numero totale dei morti accertati nella Striscia, sempre su comunicazione del Ministero della Sanità, supera i 20.000 (20.057) dal 7 ottobre 2023. Di questi circa 8.000 sono bambini e minori. I feriti sono almeno 53.320. Ma tenere un conteggio preciso diventa giorno dopo giorno più difficile: non ci sono più ospedali realmente funzionanti nel nord di Gaza, al sud la situazione è disperata e sono decine i palestinesi che ogni giorno lasciano i rifugi per provare a recuperare i corpi dei parenti rimasti sotto le macerie delle proprie abitazioni. La Mezzaluna Rossa palestinese ha fatto sapere questa mattina che la sala operativa continua a ricevere decine di telefonate di persone che supplicano e piangono per ricevere un soccorso che non potrà arrivare: non esiste un coordinamento per un accesso sicuro nelle aree sotto bombardamento e a Jabalia l’esercito israeliano ha bloccato le ambulanze, impedendo alle squadre mediche di muoversi.
🚨 Colleague Rana Al-Faqiha from the central operations room at the PRCS reports, “We receive dozens of calls from people pleading and crying for ambulance vehicles 🚑 to transport the wounded and injured in the airstrikes, whether in Gaza, the north, or some areas in… pic.twitter.com/dD5oTV9ljQ— PRCS (@PalestineRCS) December 21, 2023
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che la “combinazione letale di fame e malattie causerà molti altri morti nella Striscia di Gaza”. La fame che attanaglia la popolazione della Striscia, composta oramai quasi interamente da sfollati, porterà a un aumento delle malattie soprattutto tra i bambini, le donne incinte, quelle che allattano e gli anziani. Almeno una famiglia su 4, secondo le stime pubblicate oggi, si trova in “condizioni catastrofiche”, ossia muore letteralmente di fame oppure sperimenta una carenza estrema di cibo o, ancora, ha venduto i suoi beni primari per potersi procurare un pasto. I membri dell’OMS presenti nel nord di Gaza hanno dichiarato che ogni persona con cui hanno parlato soffriva la fame. Anche feriti, personale medico, tutti gli hanno chiesto loro del cibo. “Ci spostiamo nella Striscia per consegnare forniture mediche ma la gente quando ci vede corre verso i nostri camion sperando che sia cibo”. Secondo le testimonianze degli staff medici e di sicurezza, anche i feriti che soffrono terribili dolori non chiedono medicine ma acqua e cibo, e questo fa ben comprendere “la cifra della disperazione”. La malnutrizione aumenta la possibilità che malattie come diarrea, polmonite, morbillo, diventino letali per i bambini, soprattutto nei casi, sempre più numerosi, in cui non esiste un accesso ai servizi sanitari.
Di 1 milione e 900mila sfollati, 1 milione e 400mila persone vivono in rifugi di fortuna, sovraffollati, senza acqua potabile né bagni, in balìa delle piogge, del vento, degli allagamenti. Oggi a Gaza, in media c’è un bagno ogni 220 persone, una doccia ogni 4.500.
Un’indagine della CNN, pubblicata questa mattina, rivela che almeno in tre casi verificati dall’emittente televisiva statunitense, l’esercito israeliano ha bombardato una zona da esso stesso definita come sicura, verso la quale, solo poche ore prima, aveva invitato la popolazione a dirigersi. In alcuni di quei bombardamenti sono state compiute delle vere e proprie stragi, che hanno portato alla distruzione totale di intere famiglie, scomparse in un attimo dalla faccia della terra. Le Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie internazionali hanno denunciato decine di bombardamenti nei luoghi indicati come “sicuri” dalle mappe che Israele ha fornito alla popolazione palestinese, contenenti il più delle volte indicazioni confuse e contrastanti. L’ONU ha dichiarato che questo tipo di attacchi conferma ciò che da settimane i suoi portavoce stanno dichiarando: “A Gaza non esistono posti sicuri”. In queste ore arriva la notizia che un ordine di evacuazione è stato consegnato dall’esercito israeliano ai residenti del campo profughi di Bureij, perché si muovano tutti verso Deir al-Balah, a sud.
Una delle mappe di evacuazione consegnate dall’esercito israeliano ai civili di Gaza
Il Washington Post ha pubblicato poche ore fa una sua inchiesta indipendente sull’ospedale Al-Shifa, giungendo alla conclusione che l’esercito israeliano non è riuscito a consegnare nessuna prova convincente per dimostrare che la struttura sanitaria fosse utilizzata da Hamas come centrale operativa: “L’attacco da parte di un alleato degli Stati Uniti [Israele, nda] di un complesso che ospita centinaia di pazienti malati e morenti e migliaia di sfollati non ha precedenti negli ultimi decenni. La marcia su al-Shifa ha causato il blocco dei servizi ospedalieri. Mentre le truppe israeliane si avvicinavano e i combattimenti si intensificavano, il carburante si esauriva, le forniture non potevano entrare e le ambulanze non erano in grado di raccogliere le vittime dalle strade. Prima che le truppe entrassero nel complesso, i medici avevano scavato una fossa comune per ben 180 persone, come hanno detto le Nazioni Unite, citando il personale ospedaliero. L’obitorio aveva da tempo cessato di funzionare. Diversi giorni dopo, quando i medici dell’OMS sono arrivati per evacuare quelli ancora all’interno, hanno detto che da luogo di guarigione l’ospedale si era trasformato in una “zona di morte”. Almeno 40 pazienti – tra cui quattro bambini prematuri – sono morti nei giorni precedenti il raid e le sue conseguenze, secondo le Nazioni Unite […] Ma secondo un’analisi del Washington Post compiuta attraverso immagini open source, immagini satellitari e tutti i materiali dell’IDF rilasciati pubblicamente, le prove presentate dal governo israeliano non dimostrano che Hamas avesse usato l’ospedale come centro di comando e controllo. Ciò solleva domande critiche, dicono gli esperti legali e umanitari, sul fatto che il danno civile causato dalle operazioni militari israeliane contro l’ospedale – circondando, assediando e infine facendo irruzione nella struttura e nel tunnel sottostante – fossero proporzionati alla minaccia valutata”. L’Associazione Al–Awda Health and Community ha denunciato ieri l’uccisione, da parte dei cecchini dell’esercito israeliano, di diversi membri del personale sanitario dell’ospedale Al Awda, una delle ultime strutture rimaste parzialmente funzionanti nel nord della Striscia. Pagine Esteri
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Odi et amo per l’impero americano
Chi è Xi Jinping? Che storia ha e di quali idee, interessi nazionali, economici e geopolitici è portatore? La lunga marcia di un ragazzo diventato adulto in fretta, figlio di un importante collaboratore di Mao Zedong caduto in disgrazia e poi riabilitato. Dalla rivoluzione culturale nelle campagne, vissuta come un trauma, all’incontrastata ascesa allo scranno più alto del Partito comunista cinese: i sogni, le ambizioni e i progetti del nuovo “grande timoniere”.
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In Cina e Asia – Riprende la comunicazione militari tra Cina e Stati Uniti
I titoli di oggi: Riprende la comunicazione militari tra Cina e Stati Uniti Nuova stretta sui videogame: crollano le azioni di Tencent Cina, nuovi controlli su esportazione di tecnologie strategiche Cina-Argentina, congelato accordo swap da 6,5 miliardi di dollari Gli Usa avvieranno indagine sui chip cinesi Aiea: la Corea del Nord ha attivato nuovo reattore nucleare Thailandia, il matrimonio egualitario ...
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Milei: liberismo e repressione a colpi di motosega
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di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 22 dicembre 2023 – Durante le iniziative della campagna elettorale che lo ha visto trionfare, il turboliberista Javier Milei aveva più volte agitato una motosega a simboleggiare il metodo con cui intendeva intervenire. Le prime misure adottate da presidente dell’Argentina dimostrano che non esagerava.
“Più mercato meno Stato”, la mannaia di Milei
La sera del 20 dicembre il leader de “La libertad avanza” ha presentato uno scioccante pacchetto che prevede l’eliminazione o la modifica di un totale di 300 leggi, con l’intento di aggredire le funzioni e le proprietà dello Stato e affidarle alle leggi di mercato e ai privati.
Il leader di un’estrema destra atipica quanto rabbiosa ha presentato un “megadecreto di necessità e urgenza” (DNU) che prevede la deregulation del mercato interno e del commercio estero, la deroga della legge sugli affitti, la riduzione dei diritti dei lavoratori e la creazione delle condizioni per la privatizzazione di un gran numero di imprese finora sotto il controllo pubblico.
«Cominciamo a distruggere questo castello giuridico-istituzionale oppressivo che ha distrutto il nostro paese» ha sentenziato Milei dal Salón Blanco della Casa Rosada nel corso di un discorso televisivo di appena 15 minuti. «Oggi è un giorno storico, dopo decenni di fallimenti e impoverimento iniziamo il cammino della ricostruzione» ha aggiunto dopo aver brevemente elencato i punti salienti del suo feroce piano di aggiustamento fiscale. Al suo lato, oltre a una decina di ministri, c’era anche Federico Sturzenegger, l’ideatore delle misure appena annunciate, ex governatore della Banca Centrale chiamato da Milei a coordinare le politiche economiche del governo, in cui pure non ha nessun incarico.
Milei ha affermato di ispirarsi alle politiche economiche di Carlos Menem, da lui definito «il miglior presidente della storia» e di voler «restituire la libertà e l’autonomia agli individui, togliendogli lo Stato di dosso». Ma il timbro turboliberista dei Chicago Boys e delle dittature sudamericane degli anni ’70 e ’80 è evidente.
“El loco” ha spiegato che intende «trasformare tutte le imprese statali in società anonime per poi poterle privatizzare» e che ha già autorizzato «la cessione del pacchetto azionario di Aerolineas Argentinas», la compagnia di bandiera nazionale. Milei ha inoltre annunciato che le società che gestiscono le squadre di calcio potranno trasformarsi in società per azioni.
Per quanto riguarda il capitolo lavoro, Milei ha anticipato che la sua riforma stabilisce una diminuzione degli indennizzi ai lavoratori licenziati, aumenta il periodo di prova precedente all’eventuale assunzione fino a otto mesi e include i blocchi e le occupazioni degli spazi aziendali durante le vertenze sindacali come possibile causa di licenziamento. Il decreto presidenziale stabilisce inoltre un aumento dei livelli minimi garantiti nei comparti ritenuti essenziali in caso di sciopero, nei quali l’attività lavorativa non potrà essere ridotta a meno del 50%, e una massiccia estensione dei suddetti servizi essenziali a molti settori finora esentati.
Attaccando e riducendo i diritti dei lavoratori, ha promesso il presidente, ridurrà i «salari da miseria» e «il lavoro precario». A detta dell’eccentrico 52enne «l’aumento indiscriminato e continuo delle tasse attenta al diritto di proprietà degli argentini, al risparmio, agli investimenti e genera salari reali miserabili». “El Loco” ha denunciato che a causa del deficit fiscale l’Argentina è un paese «in cui il 50% della popolazione vive sotto la linea della povertà, e più del 10% della popolazione è indigente in un paese che produce alimenti per 400 milioni di esseri umani, con una pressione fiscale sul settore agroalimentare del 70%». La ricetta, ha spiegato, è “meno stato e più mercato”, una cura neoliberista che però le popolazioni dell’America Latina hanno a lungo provato sulla propria pelle e pagato carissima nei decenni scorsi.
Il rischio iperinflazione
Secondo molti economisti argentini, le misure appena varate da Milei getteranno sul lastrico milioni di argentini, già colpiti dalla brutale svalutazione del 52% del Peso decisa il 12 dicembre dal Ministro dell’Economia Luis Caputo, insieme all’aumento di alcune tariffe e al taglio delle pensioni, con l’intento di ridurre il deficit statale. Il Governo stima che la svalutazione potrebbe generare un’inflazione mensile compresa tra il 30% e il 40% per almeno un trimestre; Milei spera che l’inflazione galoppante venga ridotta dal calo della domanda quando le classi medie e popolari, a causa del repentino crollo del loro potere d’acquisto, dovranno rinunciare a molti beni e servizi. Ma si tratta di una scommessa molto rischiosa. Ammesso che non si scateni un’iperinflazione fuori controllo, nel frattempo milioni di persone potrebbero essere ridotte in povertà.
Come se non bastasse “El Loco” ridurrà i sussidi attualmente applicati all’energia e ai trasporti, non bandirà più appalti per i lavori pubblici (da cui dipendono almeno 400 mila lavoratori) e congelerà la spesa pubblica, causando un’ondata di licenziamenti. Inoltre, contrariamente a quanto promesso in campagna elettorale, riprenderà il precedente sistema di imposta sul reddito che il governo del peronista moderato Alberto Fernandez aveva ridotto, e istituirà un’imposta del 17,5% sulle importazioni, allo scopo di risparmiare il 5% sul Pil per raggiungere l’equilibrio fiscale.
Le prime proteste
Le opposizioni parlamentari hanno immediatamente denunciato il “carattere nullo e incostituzionale” del decretone, annunciando l’organizzazione di una campagna di proteste nel paese. Ma secondo l’ordinamento costituzionale argentino i “decreti di necessità e urgenza” come quello appena varato da Milei non vengono sottoposti all’esame degli organismi elettivi, e per essere respinti devono essere cassati in blocco da entrambi i rami del parlamento, una circostanza che nella storia dell’Argentina non si è mai verificata.
Intanto lo scontento di molti quartieri di Buenos Aires e degli altri centri della sua area metropolitana si è manifestato a colpi di clacson e di pentole subito dopo la messa in onda del discorso del presidente. Migliaia di persone hanno marciato verso Plaza de Mayo scontrandosi con le forze dell’ordine nel giorno dell’anniversario della rivolta popolare del 2001 contro il peronista di destra Fernando de la Rua, la cui repressione costò la vita a 39 persone. Al termine della marcia, organizzata da alcuni movimenti della sinistra radicale, gli organizzatori hanno chiesto ai sindacati di proclamare immediatamente uno sciopero generale.
Divieti e repressione: il governo annuncia la mano dura
Il nuovo governo sembra temere molto le proteste popolari e infatti nei giorni scorsi la ministra della Sicurezza, Patricia Bullrich, subito dopo l’insediamento ha annunciato il divieto de facto delle mobilitazioni annunciate dalle organizzazioni sociali e sindacali, in nome del «diritto degli argentini a vivere e circolare tranquillamente». L’ex candidata alla presidenza della destra tradizionale (rivale di Milei prima dell’accordo per la formazione dell’esecutivo) ha ordinato alla polizia di impedire i blocchi stradali garantendo mano libera agli agenti. L’ordinanza del Ministero della Sicurezza include il ricorso massiccio all’identificazione dei manifestanti, all’uso dei droni e al riconoscimento facciale, tutte misure denunciate dalle associazioni dei giuristi democratici come lesive delle libertà costituzionali fondamentali.
Bullrich ha promesso addirittura il varo di una norma per imporre alle organizzazioni che indicono le proteste l’obbligo di sobbarcarsi la spesa necessaria alla mobilitazione delle forze dell’ordine; la sua collega Sandra Pettovello – ministra del Capitale Umano – lunedì ha minacciato di sospendere le sovvenzioni sociali ai manifestanti che parteciperanno ai picchetti e ai blocchi stradali o che porteranno con sé anche i figli.
Paradossalmente sia Bullrich sia Milei hanno partecipato abbastanza recentemente a manifestazioni e blocchi stradali non autorizzati. L’attuale ministra della Sicurezza, in particolare, nel 2020 fu in prima fila nelle proteste contro le restrizioni alla circolazione dettate dal governo di Alberto Fernández per far fronte alla pandemia. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria
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Eleonora
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Unknown parent • •@Gianlu 🇮🇹 – 🇪🇺 vaglielo a spiegare agli sviluppatori di Friendica... 😁 😄 🤣
(purtroppo il tag
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di Friendica, viene transcodificato così sia da Mastodon sia da Misskey 🤷🏽♂️