Liberati dagli elementi del mondo e resi figli
Ancora oggi molte persone vivono però la loro vita temendo gli elementi e le potenze del mondo o -sia pure in modo non religioso- si vogliono sentire perfetti rispetto agli altri.
Ebbene l'incarnazione di Gesù Cristo, solidale con la nostra umanità, ci libera e ci dà salvezza. Anzi ci fa divenire figli di Dio. E lo Spirito santo fa che non sia solo un'annuncio, ma una speranza viva e nuova energia per la nostra vita e ci fa essere in familiarità con il Signore.pastoredarchino.ch/2023/12/25/…
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Favoloso
Bisognerebbe tornare a raccontare le favole. Non le frottole, che abbondano, le favole. Le favole dicono molto di noi stessi e dicono moltissimo quando non le si racconta ai più piccoli.
Le festività non possono non ricordare il racconto di Natale per eccellenza, il Canto scritto da Charles Dickens nel 1843, la storia di Ebenezer Scrooge: vecchio, solo, avaro. Quattro fantasmi lo vanno a visitare, nella notte di Natale. Il primo è quello del suo socio, che lo mette in guardia dalcontinuare a vivere come anche lui visse. Il secondo è il fantasma dei passati Natale, quando lui, piccolo, ancora ne gioiva. Il terzo è quello del Natale presente, che gli mostra la felicità del suo impiegato, che lui sfrutta e affama, con il figlio più piccolo gravemente malato, ma che si ritrova in famiglia, si vogliono bene e gli sono anche grati. Il quarto è il fantasma del futuro, nero come l’inferno. Scrooge non cambia perché toccato dalla redenzione, ma perché devastato dalla paura. Perché la paura c’è, nelle favole. Ed è nelle favole perché è nel mondo.
Il Pinocchio di Disney non mette paura, ma in quello di Collodi il burattino vede crepare davanti ai suoi occhi l’amico, Lucignolo, trasformato in ciuco. Stramazza per la fatica di tirare su il bindolo dal pozzo e lui, per sfamare il padre, prenderà il suo posto. Quel Geppetto che soffrì il freddo per comprargli i vestiti e i libri della scuola e patì la fame, per offrire al figlio anche i torsoli che aveva avanzato. Pinocchio non diventa un “bravo bambino” perché la fatina lo miracola, ma perché prova il dolore e la paura, perché subisce l’umiliazione del Grillo parlante, cui si rivolge chiedendo aiuto dopo avere provato a spiaccicarlo sul muro.
Pollicino non è la storia di un bambino che ritrova la strada di casa, ma quella di sette fratelli che i genitori vogliono abbandonare nel bosco, non avendo di che sfamarli, affinché muoiano di fame lontano dai loro occhi. Teneroni. Ma Pollicino prima li frega, tornando a casa, poi si perde, ma non si arrende. È il più grande, ha la responsabilità dei fratelli, vede una casa e una brava donna li sfama, ma è la moglie dell’Orco. Si ritrova a letto, nella stanza con le loro sette figlie, ma Pollicino sgama il pericolo e cambia i sette cappellini dei suoi fratelli con quelli delle orchine. L’Orco torna, sente l’odore dei bambini e, al buio, li sbrana. Ma mangia le proprie figlie. Ce la raccontavano per farci addormentare. Aveva un senso: hai già cenato, hai il tuo letto, i genitori non ti mollano, pensa a Pollicino e vedi di non creare problemi. Buona notte.
Cenerentola è una ragazza sfruttata da una megera che il padre, vedovo, sceglie come seconda moglie. Lei e le sue laide figlie ne fanno una sguattera, ma Cenerentola conserva candore innanzi al dolore. Biancaneve è un caso di tentato femminicidio ad opera di una donna, per il motivo più vecchio del mondo e che ricorda quanto assassine possano essere l’invidia e la gelosia. Tralascio Hänsel e Gretel, che la vecchia prova a ingrassare e quelli, in gabbia, approfittando del fatto che è guercia, gli fanno toccare un ossicino, per non essere macellati.
Le favole ci hanno insegnato che il male e la malvagità esistono. E possono essere sconfitti. È un grosso errore provare a togliere il male dalla vita dei bambini, perché il male è parte della realtà. Può sembrare protettivo tenerli all’oscuro del male, edulcorando le favole o sostituendole con i tablet che rilasciano a getto continuo storie insulse e frettolose, ma è protettivo degli adulti, che possono così rinunciare a fare la parte dura del mestiere di genitori.
I bambini dei cartoni Disney, bellissimi, sono oggi adulti. Molti di loro pensano che il male si possa cancellarlo cambiando canale o chiedendosi perché mai tutti non si voglia il bene. Una domanda fuori dalla storia e dalla realtà, che li colloca in un infantilismo senile che è la più trucedelle favole. Narrata a sé stessi. Riprendiamo i libri delle favole, quelli veri, aiuterà a capire il mondo.
La Ragione
L'articolo Favoloso proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Cent’anni di Associazione nazionale bersaglieri. Il calendario tra storia e rinnovamento
L’Associazione Nazionale Bersaglieri ha presentato il Calendario 2024 presso la Camera dei deputati, alla presenza del presidente nazionale, generale Ottavio Renzi; del vice presidente, generale Nunzio Paolucci; del generale Francesco Ceravolo e della capogruppo Commissione Difesa, Paola Maria Chiesa.
Come ricordato da Chiesa, “è la prima volta che un calendario viene presentato presso la sala stampa della Camera dei deputati – ed è solo l’inizio, visto che, come aggiunto dall’onorevole – ci saranno importanti novità per l’esibizione della fanfara in luoghi istituzionali”.
Il Calendario 2024 è stato illustrato dal generale Nunzio Paolucci che lo ha definito “particolare, perché nel 2024 scocca il centenario dell’Associazione, nata a Bologna nel 1924”. Infatti, dopo le prime due pagine dedicate ai saluti del ministro della Difesa, Guido Crosetto e del presidente dell’Associazione Francesco Ceravolo, il calendario ripercorre la storia dell’Associazione attraverso foto e descrizioni di momenti significativi.
Il valore della storia
I primi mesi sono dedicati alla storia dell’Associazione e ai valori del bersaglierismo. Nello specifico, il Calendario ripercorre la vita dell’Associazione dal primo dopoguerra, quando, come ricordato da Paolucci, “si è toccato il punto più basso del bersagliersmo, con solo dodici reggimenti attivi”, alla sua rifondazione a seguito del secondo conflitto mondiale.
…e dei simboli
Uno spazio significativo viene dedicato ai simboli, tra questi il Medagliere, definito dallo stesso generale, “il simbolo che racchiude la storia di tutti i bersaglieri”. Vengono infatti riportate tutte le 185 medaglie d’oro al valore militare che sono state concesse ai bersaglieri in servizio dalla fondazione del corpo durante il Risorgimento ai giorni nostri.
Tra i simboli ricordati nel Calendario 2024, non potevano mancare le Fanfare associative, più di settanta dislocate su tutto il territorio nazionale e considerate dal general Paolucci “un passe-par-tout per fare arrivare l’Associazione ai giovani”.
…per affacciarsi al futuro
Il calendario 2024 non vuole solo raccontare la storia, presenta anche delle informazioni sull’associazione e sui suoi sforzi di cambiamento e rinnovamento. Rinnovamento, questo, che passa da una maggiore presenza sul territorio attraverso un crescente impegno di protezione civile e un coinvolgimento della cittadinanza attraverso manifestazioni ed eventi sportivi. L’importanza di una maggiore presenza dell’Associazione è stata sottolineata anche dal generale Renzi, secondo cui “per tornare sulla scena nazionale, non possiamo essere legati solo alla memoria, ma dobbiamo andare verso altre direzioni”. Il generale ha poi concluso richiamando l’importanza della collaborazione tra i bersaglieri e le istituzioni per rafforzare la presenza del corpo e dell’associazione nel tessuto sociale nazionale, a partire dalle scuole.
Etiopia non tutela i diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo eritrei
La Commissione etiope per i diritti umani (ESMECO) ha annunciato che, a causa dell’interruzione della registrazione dei rifugiati ad Addis Abeba negli ultimi 3 anni, molti eritrei rifugiati in Etiopia hanno visto limitati i loro diritti di movimento e alcuni di loro sono stati arrestati . Secondo il rapporto pubblicato dalla commissione (2022/2023), più di 200 eritrei sono stati costretti a tornare in Eritrea dove temevano che ci sarebbe stato pericolo per la loro vita.
Molti eritrei sono stati arrestati e torturati
Il rapporto conteneva evidenze e preoccupazioni riguardo al trattamento dei diritti umani dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Ha ricordato inoltre che dopo l’instaurazione delle relazioni tra i governi di Etiopia ed Eritrea, molti rifugiati eritrei sono entrati in Etiopia. Tuttavia ha annunciato che gli eritrei sono ora in pericolo a causa della cessazione della registrazione dei rifugiati in territorio etiope.
La Commissione ha dichiarato di aver capito che gli eritrei sono attualmente detenuti in “mancanza di prove”, il loro diritto di muoversi liberamente è limitato e gli sforzi per fornire soluzioni permanenti ai loro problemi, compresa la protezione individuale e la protezione dei rifugiati, sono in pericolo. La Commissione ha aggiunto che il fatto che si tratti di rifugiati, richiedenti asilo o migranti senza indagini adeguate e senza che il loro caso sia preso legalmente in carico (così come l’abuso dei diritti umani se dovessero essere rimpatriati in Eritrea) sono contesti non presi in considerazione ed approfonditi dai responsabili.
Quando i servizi di registrazione e documenti per i rifugiati furono interrotti, il fatto che gli eritrei furono costretti a ritornare nel loro paese d’origine fu una delle violazioni dei diritti umani più gravi che la commissione avesse osservato ed ha spiegato di aver chiesto la fine della detenzione arbitraria di rifugiati e richiedenti asilo.
Nel suo lavoro di monitoraggio e indagine, l’ESMECO ha annunciato di aver monitorato e indagato la gestione dei diritti umani di oltre 650.000 rifugiati e richiedenti asilo in 17 campi e siti per rifugiati.
La Commissione ha affermato che nei campi profughi di Buramino e Helawyin nella regione somala, il servizio di carta d’identità precedentemente fornito ai rifugiati somali è stato interrotto e la maggior parte dei rifugiati non era in grado di muoversi liberamente poiché non aveva un documento d’identità. Anche se i rifugiati a cui è stata consegnata la carta d’identità hanno chiesto che la loro carta d’identità fosse rinnovata perché scaduta, non hanno ricevuto risposta dagli enti preposti, afferma il rapporto.
Sebbene il numero di persone che immigrano in Etiopia sia in aumento a causa dei conflitti su larga scala nei paesi vicini, la commissione ha annunciato che i nuovi immigrati non vengono adeguatamente protetti per vari motivi.
Sebbene il Servizio per i rifugiati e i rimpatriati abbia annunciato di aver iniziato a rilasciare carte d’identità ai rifugiati, nonché a emettere nuove carte d’identità, la Commissione ha dichiarato che la registrazione dei richiedenti asilo nella città di Addis Abeba non è iniziata fino al momento del rilascio dei richiedenti asilo dagli arresti arbitrari.
Il rapporto indica che alcuni rifugiati vengono arrestati quando si spostano da un posto all’altro a causa della sospensione dei servizi di carte d’identità, e che alcuni rifugiati cercano di spostarsi da una città all’altra utilizzando carte d’identità false e documenti medici di riferimento a causa del problema di ottenimento dei documenti legali.
Tra i rifugiati di Addis Abeba ai quali non è stata rinnovata la carta d’identità, oltre a limitare il loro diritto di spostarsi liberamente da un luogo all’altro, si segnala nel rapporto che sono stati arrestati.
ESMECO ha inoltre esortato a riprendere immediatamente la registrazione dei rifugiati ad Addis Abeba, sospesa da più di 3 anni.
Tra gli oltre 900.000 immigrati stranieri in Etiopia, 417.419 (45%) provengono dal Sud Sudan, 302.195 (31%) dalla Somalia, 167.391 (18%) dall’Eritrea, 50.564 (5%) dal Sudan e 4.034 (1%) dal Kenya.
Secondo i dati della Commissione, suddividendo il numero dei profughi e il loro insediamento per regione:
- Gambella: 383.000
- Somali Region: 301.000
- Benishangul Gumuz: 79.000
- Addis Abeba: 76.000
- Afar: 58.0000
- Amhara: 22.000
- Ex nazioni e popoli del sud: 5.000
- Oromia: 4.000
- Tigray: 2.000
- 14000 in varie località
Secondo il rapporto della Commissione, il sostegno fornito a donne, bambini, anziani e disabili non tiene conto dello stato di salute, dell’età, del sesso e della disabilità, e il sostegno fornito dal governo etiope e dalle organizzazioni non governative è molto limitato in termini di quantità e tipologia.
FONTE: ethiopianreporter.com/125350/
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Pidocchi, Migrazioni e Analisi Genetica
Una recente analisi sulla diversità genetica dei pidocchi umani rivela che questi parassiti sono arrivati nelle Americhe in due occasioni distinte: inizialmente con la migrazione umana attraverso lo Stretto di Bering e successivamente con laContinue reading
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La raccomandazione europea sull’insegnamento dell’informatica nella scuola
Mercoledì 6 dicembre si è svolta alla Camera la conferenza stampa, organizzata dall’Intergruppo Innovazione (gruppo bipartisan di parlamentari che hanno a cuore i temi dell’innovazione), dedicata all'approvazione da parte del Consiglio dell'Unione Europea della proposta di Raccomandazione della Commissione Europea sull'insegnamento dell'informatica nella scuola. Per l'Intergruppo hanno partecipato il senatore Lorenzo Basso (PD) e i deputati Giulio Centemero (Lega) e Giulia Pastorella (Azione). Per il mondo produttivo: Agostino Santoni (vicepresidente per il digitale di Confindustria) e Giorgio Binda (presidente nazionale Unimatica di Confapi). Il video della conferenza stampa è disponibile a questo link.
La Raccomandazione approvata affronta la necessità di far sì che l'istruzione supporti la trasformazione digitale, fornendo le competenze necessarie a questo scopo. Pertanto, viene raccomandato a tutti gli Stati Membri di sviluppare un’istruzione di qualità in informatica nell’istruzione sia primaria che secondaria.
In modo più specifico, si raccomanda di:
- inserire un insegnamento di alta qualità in informatica dall’inizio dell’educazione obbligatoria, avendo stabilito in modo chiaro gli obiettivi di apprendimento, il tempo dedicato e i metodi di valutazione, allo scopo di offrire a tutti gli studenti la possibilità di sviluppare le loro competenze digitali in modo scientificamente ben fondato,
- far sì che l’insegnamento dell’informatica sia erogato da insegnanti qualificati, che abbiano a disposizione risorse didattiche di qualità, approcci didattici ben fondati, e appropriati metodi di valutazione degli obiettivi di apprendimento.
Si manifesta quindi chiaramente a tutti gli Stati Membri la necessità di avere l’informatica come disciplina scientifica fondamentale per l’istruzione di tutti i cittadini nel 21-mo secolo. È un’indicazione quanto mai opportuna. Ricordiamo infatti che, con il passare da una società agricola ad una società industriale, il processo educativo delle persone è mutato, introducendo nell’istruzione obbligatoria elementi di quelle scienze (fisica, biologia, chimica, …) che sono alla base di ogni macchina industriale. Analogamente, nel passaggio dalla società industriale alla società digitale è necessario aggiungere nell’istruzione obbligatoria lo studio dell’informatica, indispensabile per comprendere le macchine digitali.
Questa raccomandazione è dunque una svolta epocale, che speriamo serva ad avviare finalmente in tutti i Paesi Europei una seria attività di formazione sull’informatica nella scuola. Ricordo che l’istruzione è una materia di competenza degli Stati Membri, per cui il ruolo dell’Unione Europea rimane sussidiario.
Tutti gli intervenuti sono stati concordi nel ribadire l’auspicio che in Italia venga avviata nella scuola un’intensa attività educativa in questa direzione, sottolineando l’importanza di fare sistema tra pubblico e privato.
In Italia, il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha già da tempo dichiarato di voler rafforzare le preparazione scolastica nelle materie scientifiche, obiettivo quanto mai meritorio. Inoltre, dal momento che questa proposta della Commissione indica in modo evidente l’informatica come la materia scientifica alla base della preparazione per la società digitale, sarebbe opportuno integrare quanto previsto in tale settore, anche nell’ambito del PNRR, dove sono discusse solo le competenze operative di utilizzo della tecnologia digitale.
A questo fine, nella missione M4 (Istruzione e Ricerca) del PNRR è presente la sotto-componente C1.3 (Ampliamento delle competenze e potenziamento delle infrastrutture), che prevede l’investimento 3.1 (Nuove competenze e nuovi linguaggi), con l’obiettivo di «promuovere l’integrazione, all’interno dei curricula di tutti i cicli scolastici, di attività, metodologie e contenuti volti a sviluppare le competenze STEM, digitali e di innovazione», con a disposizione fondi per 1.100 milioni di euro.
Con il DM n.184 del 2023 sono state pubblicate le linee guida STEM, che danno solo indicazioni, necessariamente non dettagliate, su cosa fare relativamente alle competenze digitali. A tal proposito, si fa notare che il Laboratorio Informatica e Scuola del CINI, il Consorzio che raggruppa più di 50 università statali italiane attive nel settore dell’informatica ed è quindi l’istituzione di riferimento in Italia per la formazione in informatica, aveva preparato, già da dicembre 2017, una proposta molto dettagliata dei traguardi di competenze e degli obiettivi di apprendimento per l’insegnamento dell’informatica in tutte le fasce dell’istruzione obbligatoria, che viene citata in una nota delle linee guida stesse.
Il Ministero, con DM n.65 del 12 aprile 2023, ha già assegnato 600 milioni di euro alle scuole per lo sviluppo delle competenze STEM degli studenti: ogni istituto dovrà preparare i relativi progetti seguendo tali linee guida. Osserviamo preliminarmente che, per garantire sostenibilità nel lungo periodo ai processi di trasformazione digitale, in aggiunta alla formazione degli studenti è necessaria quella degli insegnanti, così da consentire di preparare i ragazzi anche negli anni successivi ai fondi PNRR. Inoltre, riteniamo che per aumentare l’efficacia dell’azione ministeriale occorra fornire agli istituti coinvolti, ben inteso senza ledere l’autonomia scolastica, indicazioni precise sui contenuti.
In quest’ottica, è utile guardare a chi, dei grandi paesi Europei, ha affrontato questo snodo prima di noi e può quindi indicarci una strada. Vi è l’esempio del Regno Unito. Nell’a.s. 2014-15 aveva inserito un curricolo di informatica obbligatorio per tutte le scuole. Nel novembre 2017 un rapporto della Royal Society aveva evidenziato che però la situazione era addirittura peggiorata. Allora nel novembre 2018 il governo ha deciso uno stanziamento di 84 milioni di sterline per la creazione, concretizzatasi nel 2019, di un istituto nazionale per l’insegnamento dell’informatica, il National Centre for Computing Education, che sta per essere rifinanziato.
Sulla linea di investimento 3.1 dovrebbero essere rimasti fondi in quantità sufficiente per un intervento di questo genere, imprescindibile se si vuol preparare il Paese alla transizione digitale.
È quindi indispensabile una chiara determinazione in questa direzione da parte della politica, che sia anche supportata da intese larghe e trasversali, per guidare una trasformazione che richiederà almeno un decennio per essere completata. Solo così potremo garantire alle future generazioni la possibilità di governare il loro futuro digitale.
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Versione originale pubblicata su "StartMAG" il 23 dicembre 2023.
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GAZA. Un giorno nella vita di una madre e di sua figlia
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di Azhaar Amayreh – Mondoweiss
(foto di Archivio)
Nonostante i continui bombardamenti israeliani, i bombardamenti, il terrore che si diffonde nell’aria da vicino e da lontano, in qualche modo, essendo una creatura abitudinaria, mi sveglio alla chiamata alla preghiera, ogni mattina presto. E dopo essermi prostrata in direzione della Mecca, in direzione della mia fede nell’Onnipotente, la domanda immediata che si impone alla mia mente, ogni volta che si fa la preghiera del Fajr, è: come e da dove oggi io, giovane donna palestinese, giovane madre palestinese, mi assicurerò il cibo necessario e l’acqua preziosa per me e per mia figlia di sei anni. Sempre che riusciamo a sopravvivere fino al tramonto e oltre, con la grazia dell’Onnipotente, al quale sono profondamente fedele in quanto musulmana osservante.
Poi c’è una corsa folle per riempire d’acqua le nostre taniche di plastica da un litro. La quota assegnata alla mia famiglia ieri è stata di pochi litri di acqua sporca e sudicia per il giorno successivo. Siamo sei adulti, oltre ai piccoli, i bambini, ammassati in questo piccolo appartamento fatiscente. Questo è il nostro attuale rifugio da tutta la morte, la distruzione e l’inimmaginabile, semplicemente indicibile sofferenza umana che ci circonda. Usiamo questa preziosa acqua assegnata per lavarci rapidamente con le spugne e per il bucato, che ci sembra un lusso stravagante. È un lusso apparentemente stravagante, che mi costa una faticosa scalata quotidiana dal piano terra fino al quinto piano dell’edificio, senza elettricità e senza ascensore funzionante. Trascinare tutta quest’acqua pesante ma preziosa come una bestia da soma e tenere costantemente d’occhio la mia bambina che si aggrappa, si avvinghia a qualche parte dei miei vestiti, e mi accompagna. Questa assillante e costante paura che, molto probabilmente, potrebbe esserci un attacco missilistico dal cielo e tutto sarebbe finito in un attimo. Non solo per me, ma per tutti, da terra fino al quinto piano.
Una normale visita alla toilette deve essere programmata, pianificata e pensata con precisione per non sprecare acqua: è un equilibrio costante tra un normale impulso umano, il mantenimento della propria salute mentale e la possibilità di perdere tutto in un attimo (acqua, vita e persone care).
I sei adulti di questo bilocale fanno i turni per andare in bagno, per fare una specie di doccia con le spugne, per prendersi cura dei rispettivi figli, per mantenere una certa dignità umana e un minimo di igiene. C’è una competizione non dichiarata per l’acqua del bagno. C’è una competizione per il pane che ci arriva, una competizione molto sgradevole, un modo di vivere molto disumano: tanti adulti sono costretti a scrutarsi, a predarsi a vicenda le misere fette di pane e le lenticchie, se sono disponibili quel giorno. Il prezzo della farina di frumento è altissimo, ammesso che sia disponibile; oggi a Gaza non ci si può permettere la farina di frumento se si è il Jack o Jill medio, ordinario. La farina per fare il pane, per nutrire il vostro stomaco affamato, non è per voi.
Proprio ieri, la mia bambina aveva tanta fame, ma non sono riuscita a ottenere nulla da nessuno degli operatori umanitari, che si presentano sempre meno spesso in questa zona. E, vergognandomi, le ho chiesto di correre nell’appartamento vicino, allo stesso piano, per chiedere un po’ di pane. La bambina di sei anni, su suggerimento della madre, si è avvicinata ai vicini, ma è tornata indietro altrettanto rapidamente. E’ tornata piangendo e ha detto: “Mamma, i vicini mi hanno severamente vietato di presentarmi alla loro porta per chiedere qualcosa di prezioso come il pane da mangiare”.
Sembra sempre più probabile, quasi sicuro, che non riusciremo ad uscire vive da qui, vista la scarica di ordigni e bombardamenti diretti contro di noi da ogni direzione immaginabile. Nel caso in cui non ce la facessimo, spero che quando saremo fisicamente morte, qualcuno là fuori comprenderà l’inferno che io e mia figlia abbiamo passato nei nostri ultimi giorni, sperando solo in qualche pezzo di pane fresco, in una zuppa calda, in un po’ di frutta succosa, ma desiderando soprattutto un po’ d’acqua pulita per bere e pulirci, lavarci – i nostri bisogni umani così basilari e così terreni.
E ciò che mi ha fatto andare avanti fino all’ultimo sono tre cose: la mia fede in Dio, l’amore per la mia giovane figlia e il sangue palestinese che mi scorre nelle vene.
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EEE, avvelenamento dei pozzi, mietitura dei dati e sostituzione etnica: ecco i quattro rischi esistenziali che Threads può determinare per il fediverso ed ecco perché il Fediverso ce la può fare
Rimanere ingarbugliati nei "threads": sta per caderci il cielo addosso o si apre un nuovo mondo?
Il cambiamento spaventa, soprattutto quando tanti dettagli sembrano cambiare direzione e polarità. Il fatto che #Threads faccia parte di questo posto sembra un paradosso per alcuni e un sacrilegio per altri. Nessuno di noi vuole vedere il #Fediverso trasformarsi in una discarica tossica per il peggio che i social media hanno da offrire. Nessuno vuole che i Google del mondo dirottino uno standard Internet.
Sean Tilley fa parte del social web federato da oltre 15 anni, a partire dalle sue esperienze con Identi.ca nel 2008. Sean è stato coinvolto nel progetto Diaspora come Community Manager dal 2011 al 2013 e ha aiutato il progetto a muoversi ad un modello autogovernato. Da allora, Sean ha continuato a studiare, discutere e documentare l'evoluzione dello spazio e delle nuove piattaforme che sono sorte al suo interno.
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130 anni di Mao Zedong
Il 26 dicembre ricorre il 130° anniversario dalla nascita del Grande timoniere. Ma in Cina questa ricorrenza ha perso i connotati di culto della personalità che aveva caratterizzato gli ultimi anni di vita del leader cinese. Ma la sua figura è ancora oggi un’icona tra il sacro e il profano
L'articolo 130 anni di Mao Zedong proviene da China Files.
Pratica applicazione open source self host per prendere appunti e catturare pensieri
Ormai da molti mesi sul mio NAS Synology DS220+ ho installato Memos un blocco note online per prendere appunti personali e decidere se condivedere pubblicamente.
Molto più di una semplice app per prendere appunti, ma una vera instanza che gira in selfhosting accessibile da qualunque browser.
Devo dire che le risorse occupate sono pressochè nulle e mi piace l’idea di salvare idee e appunti privatamente ma allo stesso tempo decidere se rendere pubblico il memos.
È disponibile perfino un’app di terze parti per android e l'integrazione con Telegram Bot per inviare memos direttamente all'instanza Memos
Memos - Easily capture and share your great thoughts. Open Source and Free forever
A privacy-first, lightweight note-taking service. Easily capture and share your great thoughts.www.usememos.com
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Interagire con GPT da terminale con tgpt
tgpt è uno strumento CLI (interfaccia a riga di comando) multipiattaforma che ti consente di utilizzare il chatbot AI nel tuo terminale senza richiedere chiavi API.
GitHub - aandrew-me/tgpt: ChatGPT in terminal without needing API keys
ChatGPT in terminal without needing API keys. Contribute to aandrew-me/tgpt development by creating an account on GitHub.GitHub
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James Webb, due anni nello spazio! Ecco le più importanti scoperte degli ultimi due anni l AstroSpace
"Nel corso di questi due anni trascorsi dal lancio, il telescopio ha attraversato mesi di test, dato il via alle attività scientifiche all’inizio dell’estate 2022, e sondato il cosmo vicino e lontano con il suo potente occhio infrarosso. Ciò ha consentito agli scienziati di compiere scoperte straordinarie, anche completamente rivoluzionarie, sul nostro Universo. E ci ha regalato dei mosaici colorati e ricchissimi di dettagli (e di scienza) di molti oggetti cosmici, tra pianeti, galassie, nebulose e sorgenti primordiali."
🎄Buone feste a tutte e a tutti dal Ministero dell’Istruzione e del Merito!
Qui il videomessaggio del Ministro Giuseppe Valditara ▶️
youtu.be/aj4NHcUHv4Y
Ministero dell'Istruzione
🎄Buone feste a tutte e a tutti dal Ministero dell’Istruzione e del Merito! Qui il videomessaggio del Ministro Giuseppe Valditara ▶️ https://youtu.be/aj4NHcUHv4YTelegram
Allarme rosso: stanno sfasciando la sanità pubblica l Contropiano
«Nell’anno che sta volgendo a conclusione, più di 3 milioni di cittadini hanno rinunciato a curarsi per mancanza di risorse. Il 21% degli italiani, poi, risparmia denaro per poter effettuare prestazioni sanitarie mentre un italiano su quattro (23%) “drammaticamente non riesce a risparmiare denaro per far fronte alle spese sanitarie”.
E sono tornate ad affacciarsi, con campagne pubblicitarie aggressive, le grandi compagnie di assicurazioni, anche grazie al lavoro di sponda offerto dai sindacati complici: il 17% della popolazione ne ha sottoscritta una.»
Regalo di Natale! Rilasciata la nuova versione di Friendica “Yellow Archangel” 2023.12: tra le novità, il supporto bidirezionale per Bluesky e nuove funzioni di moderazione
Siamo molto felici di annunciare la disponibilità della nuova versione stabile di Friendica “Yellow Archangel” 2023.12. Finalmente concludiamo le modifiche da maggio: i punti salienti di questa versione sono
1. il connettore bluesky è stato reso bidirezionale,
2. i rapporti di moderazione ora possono essere inviati dagli utenti ed esaminati dagli amministratori del nodo,
3. i gruppi definiti dall'utente ora sono chiamati Cerchie e gli account del forum sono ora account di gruppo e, ultimo ma non meno importante, gli utenti ora hanno un controllo migliore sui propri flussi di rete con la nuova funzionalità Canali .
Tieni presente che la versione minima di PHP per Friendica è stata portata a PHP 7.4 con questa versione.
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Ecco il video del seminario sul Fediverso a cura di Gianmarco Gargiulo
Nel video @Gianmarco Gargiulo :archlinux: spiega brevemente il Fediverso, i suoi software più importanti e il motivo per cui il @Napoli GNU/Linux Users Group APS dovrebbe avvalersene in maniera sistematica.
Qui le diapositive della conferenza
PeerTube: videos.gianmarco.gg/w/nVSXCEKB…
Piped: piped.adminforge.de/watch?v=wJ…
YT: youtube.com/watch?v=wJUKMAgaxl…
Odysee: odysee.com/nalug-riunione-16di…
Non c’è Natale in Palestina: «Siamo tutti sotto attacco»
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di Michele Giorgio
(questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto )
(nella foto di Michele Giorgio la piazza della Mangiatoia a Betlemme senza l’albero e gli addobbi di Natale)
Pagine Esteri, 24 dicembre 2023 – Dal 7 ottobre Betlemme è una città prigioniera, anche in questi giorni di Natale. Per entrarvi si è costretti a passare, e non è facile, il posto di blocco dell’esercito israeliano nei pressi del villaggio di Khader, a sud di Betlemme. Si resta in coda per un bel po’, anche un’ora all’uscita. Non c’è altro modo di arrivare in auto nella città. Tutti gli altri posti di blocco sono sigillati dal giorno dell’attacco di Hamas nel sud di Israele. Per ragioni di sicurezza, afferma Israele. Per i palestinesi invece è una punizione collettiva che stanno subendo città e villaggi della Cisgiordania. Da Khader si va verso il campo profughi di Dheisheh, quindi si passa per il sobborgo di Doha, poi all’incrocio grande di Beit Jala finalmente si svolta verso Betlemme. Giunti in città si capisce subito quanto forte sia il dolore dei palestinesi per i 20mila morti di Gaza e per l’offensiva israeliana che dura da quasi 80 giorni. E che i paesi occidentali, o gran parte di essi, lasciano continuare sebbene a pagare il conto più alto in vite umane, distruzioni e sofferenze siano i civili, a cominciare da donne e bambini.
Nabil Giacaman all’ingresso del suo negozio (foto di Michele Giorgio)
Di solito a dicembre la piazza della Mangiatoia, davanti alla Chiesa della Natività, ospita un enorme albero di Natale, gli addobbi decorano e arricchiscono negozi, locali, hotel e ristoranti. E un nutrito programma di concerti, cortei e spettacoli natalizi anticipano e seguono l’ingresso a Betlemme del Patriarca latino (cattolico) che a mezzanotte notte officia la tradizionale messa di Natale. Riti e celebrazioni che si ripetono giorni dopo per il Natale degli Ortodossi. Manca poche ore al Natale e le strade e i cortili di Betlemme sono in gran parte vuoti. Le Chiese di tutta la Palestina hanno annunciato la cancellazione delle festività in un’espressione di unità con Gaza, limitando le attività di questo periodo alle preghiere. «Quest’anno non ci sono festeggiamenti, ma solo riti religiosi ed è giusto così, perché come si fa a gioire del Natale mentre dentro di noi crescono tristezza e amarezza per l’uccisione di tanti innocenti a Gaza, di così tanti bambini», ci spiega Nabil Giacaman, proprietario di un noto negozio di souvenir nella piazza della Mangiatoia e membro di una delle famiglie cristiane più importanti di Betlemme. Davanti al suo negozio, nella piazza, passano poche persone, in buona parte poliziotti dell’Autorità Nazionale. Di fronte, sull’edificio del Centro turistico, sventolano una decina di bandiere palestinesi in fila, accanto a un poster enorme che chiede la fine della guerra. «Possibile che nel mondo non ci sia qualcuno che dica a Israele di finirla, di fermare il suo attacco, di interrompere la distruzione di Gaza?» domanda Giacaman. «Per questo» aggiunge «non abbiamo fatto l’albero a casa. Sono un cattolico e adoro il Natale con i suoi riti e le sue tradizioni, ma non c’è gioia, siamo a lutto quest’anno». La chiusura israeliana per Betlemme significa la fine di qualsiasi forma di turismo. «Nessuno può arrivare qui» ci dice ancora il commerciante «non mi riferisco ai turisti stranieri che, spaventati dalla guerra, non vengono in Terra santa. Parlo dei palestinesi di Gerusalemme e di quelli in Israele che non possono raggiungere Betlemme, non possono entrare in città. Betlemme è un carcere dove sono stati vietati persino i colloqui con i detenuti». I riflessi della guerra a Gaza sull’economia cittadina – Betlemme riceve fino a 1,5 milioni di turisti all’anno – si prevedono enormi e andranno ad aggiungersi a quelli causati dalle passate restrizioni sanitarie e di viaggio legate alla pandemia. Il ministero del turismo calcola le perdite nel 2023 in Cisgiordania intorno ai 200 milioni di dollari, di cui almeno il 60% a Betlemme.
Hanna Hanania, il sindaco, è impegnato a spiegare i motivi dell’annullamento delle celebrazioni natalizie e, più di tutto, la gravità della condizione di tutti i palestinesi a cominciare, naturalmente, da quelli a Gaza sotto attacco. È molto occupato ma trova qualche minuto per rispondere alle domande del manifesto. «Il nostro popolo sta vivendo giorni molti difficili, a Gaza è in corso un genocidio, una pulizia etnica, e la municipalità ha deciso di cancellare ogni attività che non sia legata ai riti religiosi del Natale» ci dice. «Non osiamo paragonare in alcun modo le sofferenze dell’economia di Betlemme con le devastazioni che subisce Gaza» aggiunge «allo stesso è evidente che la guerra e la chiusura (israeliana) stanno avendo un impatto durissimo sui commerci, sul lavoro, su tutte attività della nostra città. Israele deve fermarsi perché a Gaza è un massacro e perché la guerra sta devastando in modi diversi tutta la Palestina».
foto di Michele Giorgio
L’atmosfera cupa e triste di questi giorni ricorda quella che regnò a Betlemme per mesi durante l’operazione Muraglia di Difesa, nella primavera del 2002, quando Israele, nel pieno della seconda Intifada palestinese, rioccupò le principali città della Cisgiordania che aveva evacuato sette anni prima nel quadro degli Accordi di Oslo. L’assedio della Chiesa della Natività, circondata dai carri armati, è un ricordo indelebile per gli abitanti. «Avevo venti anni allora e ricordo bene quel clima tanto simile a questo. La differenza è che oggi non ci sono i carri armati sulle strade, ma chi ci garantisce che non tornino presto o tardi. Israele fa ciò che vuole e potrebbe trasformare la Cisgiordania in una distesa di macerie come Gaza. E il mondo sta zitto», afferma il proprietario di un caffè che preferisce non darci il suo nome: «Abbiamo paura di tutto, di parlare, di scrivere, di dire la nostra opinione. Ci arrestano per qualsiasi cosa». Dopo il 7 ottobre, nel distretto di Betlemme sono stati eseguiti dozzine di arresti. L’esercito israeliano concentra i suoi raid notturni nel campo profughi di Dheisheh, un tempo roccaforte della sinistra palestinese che considera una «base per il terrorismo». Ma sono presi di mira tutti i campi profughi della zona. Ad Aida, ai piedi della città, riferiscono di incursioni senza sosta. Tra gli arrestati figura anche un noto attivista, Munther Amira.
Nabil Giacaman prima di salutarci ci lascia il suo messaggio di Natale. «Il mondo deve capire che i palestinesi sono un popolo uguale agli altri, con gli stessi diritti e doveri e che vuole essere libero. I palestinesi non rinunceranno mai a poter decidere della propria vita e del proprio destino». Pagine Esteri
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Buon Natale di speranza
L’annuncio del Natale, del “Dio con noi”, dell’Emmanuele, è così potente non solo perché Egli è il Salvatore, ma perché è anche il Re di gloria, il Signore. Gesù Cristo, se non fosse anche Re, non potrebbe darci indicazioni per il nostro vivere, guidarci e insieme sostenerci nella nostra esistenza.
Il mondo è invitato ad accoglierlo e a festeggiarlo con gioia, per riconoscerne la Signoria e la Grazia, per sentire come sia vicino a noi, come umanità: umano con gli umani e insieme Dio con gli umani. Questo annuncio è il dono che possiamo fare come cristiane e cristiani e come chiese ai nostri contemporanei, non tanto il buonismo natalizio, ma il significato vero del Natale che è ciò che dà vera speranza e permette un nuovo inizio.
Un augurio, dunque, di un buon Natale di gioia per ogni fase della nostra vita.
Reportage video, live e documentari su Gaza e il Medio oriente, aiutaci a realizzarli
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Giuseppe Conte, parabola di un “turboatlantista”
C’è stato un tempo in cui il senso delle Istituzioni suggeriva agli ex presidenti del Consiglio la massima coerenza e la minor demagogia in materia di politica estera e di difesa. I tempi sono evidentemente cambiati.
Nessun giornale ne ha dato conto e, tutto sommato, anche questo è un segno dei tempi. Resta, tuttavia, il fatto che l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte nei giorni scorsi abbia sparato a palle demagogiche incatenate contro la decisione dell’Italia di partecipare, con la fregata Virginio Fasan, alla missione internazionale volta a ripristinare la navigabilità dello stretto di Suez e del Mar Rosso, compromessa dalle incursioni militari dei ribelli jememiti, sciti, Huthi. Coalizione a cui partecipano circa 35 paesi tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Norvegia, Canada e che mercoledì ha avuto il via libera del capo della politica estera europea, Josep Borrel.
L’intrepido Conte l’ha messa così: “L’Italia si sta caratterizzando come turboatlantista… Non mi sembra che farci coinvolgere in un ulteriore conflitto sia il nostro obiettivo, ma siccome bisogna essere ossequiosi a Washington, manderemo una fregata e forse ne manderemo delle altre”. Un uomo tutto d’un pizzo.
Si da però il caso che per l’Italia, così come per gli altri paesi della coalizione, non si tratti si assecondare un diktat americano, ma di impedire che i ribelli Huthi blocchino una rotta da cui passa circa il 30% del traffico commerciale mondiale e l’intero interscambio tra il nostro Paese e l’Asia. Evitare Suez per i mercantili e le petroliere significherebbe dover circumnavigare l’Africa: sette giorni di navigazione in più, con relativa impennata dei costi che dagli armatori si ripercuoterebbero sui consumatori, Ma questo a Giuseppe Conte non interessa. A lui, oggi, interessa screditare l’immagine del governo facendolo apparire servile nei confronti degli Stati Uniti così come, in materia di riforma del Patto di stabilità, di Francia e Germania. Calcoli di bottega elettorale che mal si conciliano con il recente status istituzionale del nuovo capo grillino.
Resta, così, la nostalgia per lo stile dei tempi andati. Tempi lontani. Comunque lontanissimi dalla sensibilità del camaleontico Giuseppe Conte. Lo abbiamo riscontrato ieri alla Camera, quando il Movimento 5stelle si è allineato a FdI e Lega nel respingere la riforma del Mes i cui negoziati erano stati avviati nel 2021, con Conte premier. Lo abbiamo visto sin dall’inizio della legislatura sull’Ucraina. Il Conte “pacifista” ha più volte criticato la scelta del governo Meloni, così come dell’Unione europea, di sostenere lo sforzo bellico del popolo ucraino inviando armi e munizioni. Soldi sottratti agli italiani in difficoltà, è stata ed è la retorica contiana. Narrazione che mal si concilia col fatto che sia nel 2018 sia nel 2019 l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte abbia assicurato alla Nato che l’Italia avrebbe portato al 2% del Pil le proprie spese militari e che con lui a palazzo Chigi le spese militari siano effettivamente passate dai 23,4 miliardi del 2018 ai 25,6 miliardi del 2021. Oltre due miliardi di euro in più. Ma è inutile stupirsi, allora il “turboatlantista” era Giuseppe Conte, il quale aveva evidentemente ritenuto opportuno mostrarsi “ossequioso a Washington”.
Huffington Post
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I CARABINIERI RECUPERANO IN OLANDA STATUA TRAFUGATA IN COSTIERA AMALFITANA
I CARABINIERI RECUPERANO IN OLANDA STATUA TRAFUGATA IN COSTIERA AMALFITANA
La storica statua italiana della Madonna del Monte Carmelo, di grande importanza religiosa, è stata restituita all'Italia dai Paesi Bassi con il sostegno giudiziario di Eurojust. Il reperto religioso è stato rubato nel 2014 da una chiesa a Pastena, nella Costiera Amalfitana e successivamente acquistato da un collezionista olandese. Eurojust ha assistito le autorità italiane nella rapida esecuzione di un ordine europeo di indagine (OEI) per organizzarne la restituzione alla parrocchia di Pastena.
L’ordine europeo di indagine è una decisione giudiziaria emessa o convalidata dall’autorità giudiziaria di un paese dell’UE per ottenere atti di indagine effettuati in un altro paese dell’UE al fine di raccogliere elementi di prova in materia penale. L'esecuzione deve essere eseguita con le stesse modalità che si seguirebbero che l'atto investigativo in questione fosse stato ordinato da un'autorità dello Stato di esecuzione.
La statua, che ha circa 700 anni, è stata rubata dalla chiesa nell'agosto 2014 e messa in vendita tramite un antiquario italiano. È stata acquistata in buona fede da un collezionista olandese che intendeva rivenderla e ha postato le foto sui social. Ad avvistarli è stato il parroco di Pastena, che ha contattato le autorità italiane.
Un'indagine era stata avviata dai carabinieri della Tutela dei Beni Culturali e dalla Procura della Repubblica di Salerno, che hanno poi contattato Eurojust per avviare l'iter di recupero e restituzione del reperto in Costiera Amalfitana. L'Agenzia ha prestato assistenza nell'esecuzione dell'OEI, ed ha fornito ulteriore supporto giudiziario transfrontaliero alle autorità in Italia e nei Paesi Bassi. Il trasferimento della statua è avvenuto nei giorni scorsi.
Per saperne di più sull’ordine europeo di indagine: e-justice.europa.eu/content_eu…
Export militare, la svolta giapponese con vista sul Gcap
Sarà possibile per il governo di Tokyo esportare materiale d’armamento, attrezzature militari e tecnologie di difesa prodotte in Giappone sia verso i Paesi proprietari delle licenze, sia verso le Nazioni che si difendono da un’invasione. La riforma voluta dal governo del Sol levante segna un cambio di passo notevole per un Paese la cui rigida costituzione pacifista impediva fino a questo momento il trasferimento di attrezzature militari. L’obiettivo dichiarato da Tokyo è quello di rafforzare i legami di sicurezza con i Paesi partner, una necessità nel quadro internazionale sempre più insicuro e instabile. La decisione ancora non ricomprende il caso di prodotti co-sviluppati con partner internazionali a Paesi terzi, mancando un accordo tra i vari partiti di maggioranza, e in questo senso un progetto come il Global Combat Air Programme per sviluppare, insieme a Italia e Regno Unito, il caccia di sesta generazione resta per ora escluso dalla possibilità di esportazione da parte di Tokyo. Tuttavia, il segnale resta importante, e non è escluso che in attesa degli sviluppi del Gcap, non possa avvenire un ulteriore passo in questa direzione da parte nipponica.
La recente riforma segnala infatti la prosecuzione del processo di revisione delle norme sulle esportazioni iniziate nel 2014, quando il Giappone rimosse le misure di embargo netto sulle armi della sua Costituzione. In generale, il Paese del Sol levante ha intrapreso con sempre maggiore decisione la strada di una riforma generale del suo comparto difesa, superando le resistenze storiche anche della popolazione, di fronte alla necessità ravvisata dal governo di assicurare una maggiore sicurezza al Paese in uno scenario globale e regionale sempre più fragile. La minaccia missilistica nordcoreana e l’assertività crescente di Pechino nel mar Cinese meridionale (dove oltre a Taiwan, Pechino rivendica anche le isole Senkaku amministrate da Tokyo) hanno spinto il Giappone a rivedere le proprie politiche di disarmo, verso un potenziamento delle Forze di auto-difesa e una maggiore collaborazione internazionale di Difesa, a partire dagli Stati Uniti e dagli altri Partner regionali.
Sono tre i principi emendati sul trasferimento di attrezzature e tecnologie per la difesa. Con le nuove norme, il Giappone può adesso trasferire i sistemi d’arma prodotti su licenza straniera in Giappone ai Paese licenziatari. È il caso recente dei missili terra-aria Patriot (e in particolare i modelli Pac-2 e Pac-3) prodotti in territorio giapponese sotto licenza dell’azienda americana Raytheon, che il governo di Tokyo sta per inviare agli Stati Uniti. Gi arsenali di Washington stanno infatti fronteggiando una forte carenza di questi sistemi, in parte forniti alle forze armate di Kyiv e in parte dispiegati in Medio Oriente, ma anche nella regione Indo-Pacifica. La revisione consente inoltre al Paese di vendere parti di armi a condizione che i componenti di per sé non siano letali, come i motori dei jet da combattimento, e infine di fornire attrezzature di difesa a Paesi che si difendono da invasioni che violano il diritto internazionale, come l’Ucraina.
Per quanto riguarda il caccia di nuova generazione sviluppato congiuntamente da Giappone, Regno Unito e Italia, il governo Fumio Kishida sta cercando di eliminare il divieto di esportare prodotti co-sviluppati ad altri Paesi. Questo rappresenterebbe un boost sostanziale alla sostenibilità del progetto non solo per il Giappone, ma in generale per lo sviluppo dell’intero programma. Permetterebbe, infatti, al consorzio di avere nel Giappone un partner cruciale per la sua presenza nell’Indo-Pacifico, diventando una potenziale piattaforma per l’esportazione del sistema a Paesi partner come Australia o Corea del Sud.
Sono una giornalista a Gaza: “Ogni giorno, ogni momento, mi confronto con l’idea che potrei essere uccisa”
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di Maha Hussaini* – The New Humanitarian
(la foto è di al Jazeera English per Creative Commons)
Come giornalista palestinese e attivista per i diritti umani nella Striscia di Gaza che racconta l’impatto della guerra israeliana che dura ormai da due mesi e mezzo, sto diventando sempre più consapevole che potrei essere il prossimo obiettivo di un attacco aereo israeliano.
Da quando Israele ha iniziato a bombardare e assediare Gaza il 7 ottobre – lanciando un’invasione di terra dell’enclave tre settimane dopo – almeno 97 giornalisti sono stati uccisi, secondo l’ufficio stampa del governo di Gaza. Committee to Protect Journalists, una ONG internazionale, stima a 61 il numero dei morti a Gaza durante la guerra.
Molti di questi giornalisti e operatori dei media sono stati uccisi mentre lavoravano, ma altri sono stati uccisi insieme ai membri delle loro famiglie mentre erano a casa o nelle case in cui si erano rifugiati dopo essere stati sfollati con la forza. I giornalisti uccisi sono un piccolo sottoinsieme delle 20.000 persone – di cui circa il 70% donne e bambini – che sono state uccise dalla campagna militare di Israele a Gaza dal 7 ottobre.
Non dovrei essere obbligata a ricordarlo, ma i giornalisti sono civili e i civili non dovrebbero essere presi di mira nelle operazioni militari: si tratta di una violazione del diritto internazionale umanitario.
A causa della difficoltà di raccogliere prove, in molti casi è difficile dimostrare in modo definitivo che Israele stia deliberatamente prendendo di mira i giornalisti. Tuttavia, l’elevato numero di operatori dei media uccisi a Gaza sembra essere intenzionale o dimostrare che l’esercito israeliano sta operando con un totale disprezzo per la vita dei civili – o entrambe le cose.
Ci sono comunque prove che le forze israeliane abbiano intenzionalmente preso di mira i giornalisti; sia durante le attuali ostilità – come nel caso dell’attacco del 13 ottobre che ha ucciso il giornalista libanese Issam Abdullah – sia recentemente, con l’uccisione della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh in Cisgiordania nel 2022.
Come giornalisti che lavorano durante i combattimenti, indossiamo giubbotti antiproiettile ed elmetti per identificarci chiaramente come membri della stampa. Questa dovrebbe essere una forma di protezione, che segnala ai combattenti di non prenderci di mira. A Gaza, le giacche e gli elmetti dei giornalisti sono sempre più spesso considerati un problema. I miei colleghi giornalisti a volte preferiscono toglierseli quando fanno reportage in luoghi pubblici affollati, temendo che la loro presenza visibile nell’area possa provocare un attacco da parte di Israele.
Anche i residenti di Gaza hanno sempre più paura di trovarsi nello stesso posto dei giornalisti. Uno di recente mi ha detto: “Ovunque si trovi un giornalista può essere preso di mira”.
Il nostro dovere è fare luce
Ho vissuto tutta la vita sotto l’occupazione israeliana e so che in passato i giornalisti palestinesi sono stati presi di mira e uccisi a Gaza e in Cisgiordania. Ma in qualche modo credevo ancora che essere un giornalista mi garantisse una sorta di sicurezza durante gli attacchi militari. Volevo credere che quando i giornalisti venivano uccisi negli attacchi aerei o dai proiettili dei cecchini, non fossero il bersaglio designato, che la loro morte fosse un incidente.
Dopo gli ultimi due mesi e mezzo, non ci credo più.
Durante la seconda settimana dell’invasione israeliana, stavo facendo un servizio in diretta per un canale televisivo dalla casa in cui mi sono rifugiata dopo essere stato costretta a lasciare la mia abitazione. Descrivevo la situazione a Gaza e riferivo degli attacchi di Israele.
Pochi minuti dopo aver terminato l’intervista, ho ricevuto una telefonata da un parente all’estero che l’aveva vista per caso. “Sai che puoi essere presa di mira nella casa dove stai, e che tutti quelli che sono con te possono essere uccisi a causa del tuo lavoro?”, mi ha chiesto. Un altro collega straniero mi ha poi domandato: “Come ti senti a lavorare in una professione in cui un collega giornalista viene ucciso ogni giorno?”.
Nonostante il pericolo e la sensazione di essere un bersaglio, i giornalisti a Gaza hanno continuato a coprire gli eventi sul campo. È nostro dovere raccontare ciò che sta accadendo, soprattutto perché Israele e l’Egitto non permettono ai giornalisti internazionali di entrare a Gaza se non per missioni controllate dall’esercito israeliano. Senza di noi, la morte, la distruzione e la sofferenza causate dalla campagna militare e dall’assedio di Israele si svolgerebbero all’oscuro di tutto.
Anche noi viviamo la catastrofe
Mentre continuiamo a fare il nostro lavoro – anche se sentiamo sempre più spesso che le nostre vite sono minacciate a causa della nostra professione – viviamo la catastrofe a Gaza come chiunque altro.
Sentiamo che potremmo essere uccisi da un momento all’altro, o che le nostre famiglie o i nostri vicini potrebbero essere uccisi. Ogni giorno, ogni momento, mi confronto con l’idea che potrei essere uccisa. Nella mia testa, convivo con questo pensiero, implorando di avere un giorno in più per scrivere un’altra storia o intervistare un’altra vittima di questa guerra. Sento l’immensa responsabilità di rimanere in vita il più a lungo possibile, non solo per la mia sicurezza, ma anche per continuare a dare voce a tutte le persone senza voce che incontro ogni giorno.
Se dovessi essere uccisa, so che ci sono decine di giornalisti che continueranno il lavoro. Ma sento anche di dover lottare per poter continuare a lavorare, per andare avanti, a qualunque costo.
Essere un giornalista a Gaza significa essere sia la persona che racconta un attacco sia la vittima che ne è testimone. Sei il giornalista che scrive delle centinaia di migliaia di sfollati forzati, e sei uno degli sfollati costretto a fuggire perché il tuo quartiere è stato bombardato a tappeto e la tua casa è stata distrutta. Sei quello che scrive delle interruzioni di corrente a Gaza usando carta e penna, fotografando la tua storia scritta a mano per inviarla via WhatsApp e risparmiare la batteria del tuo cellulare.
Quando citi le fonti a sostegno dei tuoi articoli, sei uno del 56% dei residenti che soffrono di gravi livelli di fame e uno.a dei 350.000 sfollati – su 1,9 milioni in totale – che patiscono malattie e diarrea a causa dell’acqua contaminata e della mancanza di forniture igieniche. E sei uno dei 2,3 milioni di residenti di questa enclave che vorrebbero essere tutto tranne che esseri umani che vivono a Gaza in queste condizioni disumane.
*Giornalista pluripremiata e attivista per i diritti umani basata a Gaza
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La differenza tra Threads e il Fediverso libero
Threads è Come andare in crociera: stai in mezzo a mille persone, ognuna che pensa di essere Gesù Cristo in Terra e in più paghi un sacco di soldi. Quando invece stai in una istanza del fediverso libero è come se fossi in barca a vela invitato da un gruppo di amici: Se vuoi puoi contribuire alle spese e soprattutto non ti "senti" libero, ma sei "davvero" libero!
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@Gianlu 🇮🇹 – 🇪🇺 vaglielo a spiegare agli sviluppatori di Friendica... 😁 😄 🤣
(purtroppo il tag [share][/share]
di Friendica, viene transcodificato così sia da Mastodon sia da Misskey 🤷🏽♂️
Chissà per quale motivo Threads, come già Twitter, dà fin da ora (e anche nell'interfaccia del browser) la possibilità di creare post concatenati...
...mentre Mastodon ancora no... 🤬
#chepalle #Threads
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A volte fa anche streaming quando programma la app e vedi in tempo reale cosa fa, e ovviamente la app è open source.
Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ likes this.
BiPatto
L’accordo sul Patto è stato trovato. Ne è soddisfatto il governo italiano, che si annette il geometrico merito d’essersi messo al centro. E ci mancherebbe, fossero questi i problemi. Quello di cui parliamo è il Patto europeo sulla migrazione e sull’asilo, al termine di un negoziato che ha coinvolto i Paesi membri, il Parlamento europeo (che lo voterà in seduta plenaria) e la Commissione europea, che ne fissa i cinque pilastri. In buona sostanza: responsabile resta il Paese di primo approdo; si standardizzano identificazioni e dati biometrici; i Paesi che non accetteranno la distribuzione del carico umano saranno tenuti a un maggiore carico economico.
Fino a qualche settimana addietro era tutto uno sgrugnarsi di rimproveri reciproci e di finte rotture. Noi guardavamo la sostanza, tenevamo in conto la realtà reale e non la narrativa mendace della serie «L’Italia è stata lasciata sola» e ritenevamo l’accordo non soltanto possibile ma a portata di mano. Così è stato e il copione si replica con l’altro Patto, quello economico e intitolato alla stabilità e alla crescita. In questo caso il ministro dell’economia richiama lo <<spirito del compromesso>>. Bene così.
Convergere su un Patto europeo è buona cosa, ma non in sé una soluzione. Che le frontiere esterne di ciascun Paese fossero frontiere esterne europee era già assodato, mentre i Paesi governati da sovranisti, a Est, avevano impedito la monetizzazione del rifiuto allo smistamento (la solita Ungheria è ancora di traverso). Che non è e non sarà automaticamente accoglienza. Ora il Parlamento europeo fa un importante passo in avanti, in accordo con la festante Commissione europea (la cui presidente ha parlato di accordo «storico», e bisognerà che ci si rassegni all’idea che la storia la scrivono i posteri, mentre i contemporanei compiono scelte). Non di meno il problema resta intatto, molti altri proveranno a entrare illegittimamente, i respingimenti resteranno complicati. Ma si è fissata la procedura con cui affrontare il problema. E non è poco.
Analogo ragionamento vale sul lato economico. I debiti alti – il nostro lo è esageratamente – restano tali. Contabilizzare questa o quella spesa (ad esempio i soldi spesi nella difesa) ai fini dell’equilibrio fra Stati non modifica il fatto che i soldi presi in prestito comunque debito rimangono. E se crescente il problema aumenta, anche ove non contestato dalle autorità europee. Ma convergere sui criteri è molto importante perché crea le condizioni dell’argine comune, togliendo terreno ad attacchi speculativi e lasciando attive le difese comuni. Le difficoltà nel rispettare gli accordi – evocate sia dalla presidente del Consiglio che dal ministro dell’Economia – sono reali, ma di gran lunga meno dolorose e pericolose del non avere un Patto attivo.
Ricordato ancora una volta che il Meccanismo europeo di stabilità non c’entra nulla, non c’è alcun nesso e che l’idea di gestire un negoziato ‘a pacchetto’ la si può vendere a qualche elettore sprovveduto ma è priva di fondamento, quindi sottolineato ancora che allungare questo strazio serve soltanto a rendere più dolorosa l’inversione a U che le forze al governo dovranno fare (la Lega ha già trovato la formula: siamo contrari, ma ci rimettiamo a Meloni), il problema italiano è la consapevolezza che non sono reali i conti ancora da approvare. Fra Natale e la fine dell’anno, con puntuale rispetto della tradizione e del palpitante ultimo minuto (ma tanto non succede niente), sarà approvata una legge di bilancio che – nello stabilire in che modo e in che misura sarà ridotto il debito pubblico nel corso del 2024 – parte dall’assunto che la nostra crescita sarà dell’1,2%. Il che è fuori dalla realtà e la Banca d’Italia prevede che cresceremo della metà, lo 0,6%. Quindi saranno votati conti che già si sa dovranno essere rifatti. Quello è il nostro problema, serio.
Il dilemma politico sta da un’altra parte: come praticare scelte sagge, che portano a maggiore integrazione europea, dopo avere lungamente sostenuto il contrario. Ma l’arte delle parole è materia in cui l’eccellenza abbonda, fra le file della politica.
La Ragione
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Piero Bosio
in reply to Informa Pirata • • •marcolo
in reply to Piero Bosio • • •Veramente, signor Piero Bosio, esistono altri dati da trattare oltre a quelli personali e privati dei cittadini, senza avere il diritto di accedervi.
Piero Bosio
in reply to marcolo • • •@marcolo
Esatto, ed è proprio quello il problema: il diritto di accesso ai dati. Senza quel diritto, la scienza dell'informazione, cioè l'Informatica va ko, a scapito della qualità dell'informazione e a beneficio dell'ignoranza. Da qui emerge, secondo me, la contraddizione della UE.
Informa Pirata
in reply to Piero Bosio • •@Piero Bosio non c'è nessun diritto ad accedere ai dati in maniera indiscriminata!
@marcolo
Piero Bosio
in reply to Informa Pirata • • •marcolo
in reply to Piero Bosio • • •@pierobosio
Scusi sig. Bosio, mi pare che le sue affermazioni pecchino di logica. Da un lato sembra sostenere che sia necessario che vi sia libero accesso ai dati di tutti (e critica il GPRS europeo che li protegge), dall' altra dice che l' informatica non accede ai dati in maniera indiscriminata (quindi una selezione, che ne escluda parte, sembra conseguente). Piccola curiosità: ma lei è umano o no?
@informapirata
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Piero Bosio
in reply to marcolo • • •@marcolo
A me il Gdpr non piace. Lo ritengo un assurdo provvedimento che non aiuta l'informatica, ma la penalizza. Che i dati personali vadano protetti e tutelati ci sta, ma non nei termini stabiliti dal Gdpr che non accetto.
Marco Bresciani
in reply to Informa Pirata • • •Preparare alla transizione digitale... se aspettiamo ancora un po'... 😅
E spero che con "informatica" non intendano il poVerpoint, il grassetto in Word o formule Excel (tralasciando che non conoscono, temo, il software libero), ma che invece guardino alle regole di funzionamento delle "macchine digitali" 🙄, alla comprensione delle logiche booleane e delle basi e dei concetti del software, in generale: gli algoritmi, le basi dati, i protocolli di comunicazione, ...
Informa Pirata
in reply to Marco Bresciani • •Marco Bresciani
in reply to Informa Pirata • • •