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Quarant’anni senza Siani. Mattarella:”Uccidere i giornalisti è uccidere la nostra libertà”

[quote]ROMA – “Sono trascorsi quarant’anni da quell’agguato. La sua testimonianza vive nella società che rifiuta l’oppressione delle mafie”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato Giancarlo Siani in…
L'articolo Quarant’anni senza Siani.



I dipendenti pubblici chiedono cloud europei “a proprietà dei lavoratori” per l’IA

L'articolo proviene da #Euractiv Italia ed è stato ricondiviso sulla comunità Lemmy @Intelligenza Artificiale
Un sindacato che rappresenta i dipendenti pubblici ha chiesto alla Commissione europea di rafforzare la sovranità dell’Europa nel settore del cloud e



Nvidia investe in OpenAi e accontenta (di nuovo) Trump

L'articolo proviene da #StartMag e viene ricondiviso sulla comunità Lemmy @Informatica (Italy e non Italy 😁)
Nvidia investirà fino a 100 miliardi di dollari in OpenAi per realizzare centri dati e altre infrastrutture. L'azienda di microchip di Jensen Huang vuole rimanere fondamentale per l'industria dell'intelligenza artificiale, e strizza l'occhiolino a

in reply to Informa Pirata

NVIDIA, servo della gleba di Trump.

Mi viene da bestemmiare. La bolla può seriamente fare male quando arriverà il momento.

Questa voce è stata modificata (6 giorni fa)




Abusate dai soldati Usa: le donne della Corea del Sud chiedono giustizia in tribunale


@Notizie dall'Italia e dal mondo
Decenni dopo la Guerra di Corea, le donne denunciano abusi, coercizione e sfruttamento sessuale nelle basi militari degli Stati Uniti, chiedendo risarcimento e riconoscimento ufficiale.
L'articolo Abusate dai soldati Usa: le donne della Corea



La fiducia sia nella giustizia

@Politica interna, europea e internazionale

Giustizia non è sinonimo di magistratura: sovrapporre i due concetti è un errore da cui discendono pericolose storture. Antefatto. Nei giorni scorsi, durante una puntata di Omnibus su La7, mi sono trovato a dibattere con Nicola Gratteri. Il conduttore, Gerardo Greco, mi ha chiesto cosa pensassi delle polemiche sulla sovraesposizione mediatica



GAZA. Nata nuova milizia mercenaria sul libro paga di Israele


@Notizie dall'Italia e dal mondo
Frequentatore delle carceri palestinesi, allontanato anche dall'Anp, Husam al Astal sostiene di essere a capo di centinaia di uomini e di voler combattere Hamas assieme a Israele
L'articolo GAZA. Nata nuova milizia mercenaria sul libro paga di Israele proviene da Pagine Esteri.



“Appreciation for the priests who dedicate themselves to the delicate and ever necessary ministry of the exorcist, encouraging them to live it as both a ministry of liberation and of consolation, accompanying the faithful genuinely possessed by the E…


Truffa da 15 mila euro a Mantova: finti agenti della Polizia ingannano una professionista


La Polizia di Stato ha smascherato e denunciato quattro persone coinvolte in una sofisticata truffa informatica ai danni di una cittadina mantovana, che ha subito una frode superiore a 15 mila euro.

La vittima, una nota professionista, ha ricevuto un SMS apparentemente inviato da “Poste Info”, con l’invito a contattare un numero per bloccare un presunto trasferimento fraudolento di 980 euro dal suo conto corrente.

Convinta dall’interlocutore, che si è spacciato per un agente della Polizia, la donna è stata indotta a credere che il suo conto fosse stato compromesso e che fosse necessario trasferire i fondi su conti “sicuri”. Di conseguenza, ha effettuato numerosi trasferimenti, tra ricariche Postepay, bonifici bancari e ricariche Money, per oltre 15 mila euro, che sono finiti direttamente sui conti gestiti dai truffatori

Grazie alla pronta segnalazione della vittima e al tempestivo intervento della Polizia Postale, in collaborazione con Poste Italiane e gli istituti di credito coinvolti, alcuni dei bonifici sono stati bloccati in tempo, evitando così la sottrazione di oltre 9 mila euro.

Le indagini, condotte dalla Sezione Operativa per la Sicurezza Cibernetica di Mantova, hanno consentito di identificare quattro soggetti, tutti residenti nella provincia di Napoli, ritenuti responsabili della truffa.

La Polizia di Stato ricorda che banche, Poste Italiane, Polizia Postale e nessuna forza di polizia contatta gli utenti per avvisare di movimentazioni sospette su conti correnti o chiedere di fornire codici o dati personali o finanziari, che sono strettamente riservati. In generale, invita tutti i cittadini a mantenere alta la guardia di fronte a messaggi e chiamate sospette, raccomandando di verificare sempre l’autenticità delle comunicazioni prima di effettuare qualsiasi operazione finanziaria.

Questa vicenda ci ricorda quanto sia fondamentale mantenere sempre alta la guardia di fronte a messaggi, telefonate o email sospette. Truffatori sempre più sofisticati possono spacciarsi per istituzioni affidabili, come Poste Italiane o la Polizia, inducendo le vittime a compiere operazioni finanziarie che mettono a rischio i propri risparmi.

Alcuni consigli pratici per difendersi:

  • Verifica sempre l’autenticità di messaggi e chiamate: nessuna banca o forza di polizia richiede codici o trasferimenti su conti “sicuri”.
  • Non agire sotto pressione: i truffatori cercano di creare urgenza per farti sbagliare.
  • Contatta direttamente l’ente ufficiale (banca, Poste, Polizia) prima di effettuare qualsiasi operazione.
  • Segnala subito tentativi sospetti alla Polizia Postale e all’istituto finanziario coinvolto.

La cybersecurity non è solo tecnologia, ma anche attenzione e buon senso. Ogni cittadino può diventare la prima linea di difesa contro frodi come questa: rimanere vigili, informati e prudenti può davvero fare la differenza.

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Nella notte tra il 22 e il 23 settembre, alle ore 2,30, il frate cappuccino Padre Pio da Pietrelcina, al secolo Francesco Forgione, canonizzato da Giovanni Paolo II nel 2002, moriva nella sua cella nel Convento dei Frati Minori Cappuccini di San Giov…



California journalists make secret police records public


A searchable public database known as the Police Records Access Project has made public for the first time more than 1.5 million pages of previously secret records about the use of force and misconduct by California police officers.

The California Reporting Project, a collaboration between news outlets, universities, and civil society organizations, began collecting and organizing the documents after the passage of SB 1421, a landmark law that made them public records. The law was expanded in 2021 to give the public even greater access.

Now, however, the California legislature is beginning to reverse course. This month, it passed AB 1178, a new bill that would make it harder for the public to access police misconduct records. The bill is awaiting Gov. Gavin Newsom’s signature or veto.

We spoke to journalist Lisa Pickoff-White, who is the director of research at the California Reporting Project, about what the CRP has accomplished so far and what AB 1178 could mean for transparency and accountability.

What are some of the most impactful stories journalists in the CRP have published using these records?

The project had impact from the beginning. A district attorney dropped charges against a woman who was wrongly arrested for allegedly misusing 911, after an investigation into one of the first cases released under SB 1421.

Reporters documented where departments failed to investigate police killings, found a homicide detective whose dishonesty upended criminal cases, and uncovered a pattern of excessive force at a state prison. We identified 22 people who died after officers held them face down, including two people who died after a state law banning the practice.

The governor is expected to sign a law barring agencies from using secret deals to conceal misconduct, prompted by an investigation exposing how 163 departments signed “clean-record agreements.”

What were some of the biggest challenges in collecting, reviewing, and standardizing these records and launching the database?

Obtaining records continues to be a major challenge. Just days before SB 1421 took effect, Inglewood destroyed records, for instance. In August, we sued San Joaquin County over the cost of autopsy reports related to deaths caused by law enforcement officers. We’ve made more than 3,500 record requests and maintain relationships with hundreds of agencies.

Once we have the records, assembling them is a challenge. There’s no standard police report, and we receive a great variety of files, from PDFs to surveillance video. We built tools to extract information, which researchers use to match files into a case. Then we reextract information from each case, some of which is published, and then also used to help us identify places where we need more records.

Now that the database is public, what should journalists know about using it? How has the public responded to the database since it launched?

So far, people have searched our archive more than 1 million times. We’ve heard from people who have lost loved ones to police violence that this database makes it easier to access records.

Expanding the search can help. Multiple agencies may have records about the same incident. If an officer shoots and kills someone, the police, the district attorney, and the medical examiner or coroner may hold records. A review board may have files. The state attorney general could investigate. Sometimes, agencies also investigate cases for each other; a local sheriff may investigate a shooting for a police department.

Officers can also appeal disciplinary charges. If you’re looking at a misconduct case, it might also be worth searching local administrative agencies or the state personnel board.

A new bill awaiting the signature or veto of Gov. Newsom, AB 1178, could lead to more redactions when officers claim their duties require anonymity. What would it mean for transparency and accountability if misconduct records become harder for the press and the public to obtain?

Without AB 1178, agencies can already redact the names of undercover officers. Our records show that agencies across the state continue to improperly redact the names of officers. Meanwhile, the bill’s authors have yet to cite any harm that’s come from releasing the names of officers involved in use-of-force and misconduct incidents.

Our reporting, and other investigations, revealed that agencies can and do hire officers who previously violated policies. These officers are more likely to receive complaints again. For instance, Derek Chauvin had 18 prior complaints in the Minneapolis Police Department, two of which led to discipline, before killing George Floyd.

What lessons can journalists and advocates in other states learn from CRP’s work?

There is a vast amount of work to do and collaboration is the key to doing it. More than 100 reporters have worked on the project for the last seven years, and we needed people with a wide range of expertise to make requests, build tools, and report.

That mix of skills allowed us to build tools to spot the gaps between what cases agencies disclose and incidents listed in other data sources about shootings and sustained complaints. We’ve gained thousands of cases through this kind of check. Having a group of people with request aptitude, coding ability, and domain knowledge allowed us to identify what we needed and the incremental steps to take to get it.


freedom.press/issues/californi…



“Apprezzamento per i sacerdoti che si dedicano al delicato e quanto mai necessario ministero dell’esorcista, incoraggiandoli a viverlo sia come ministero di liberazione che di consolazione, accompagnando i fedeli realmente posseduti dal maligno con l…


Il Re dei DDoS è qui! 40 secondi a 22,2 terabit mitigati da Cloudflare


Il colosso Cloudflare ha reso noto di aver gestito in autonomia un attacco DDoS (Distributed Denial-of-Service) senza precedenti, il più grande mai visto fino ad ora.

L’attacco ipervolumetrico ha raggiunto un picco senza precedenti di 22,2 terabit al secondo (Tbps) e 10,6 miliardi di pacchetti al secondo (Bpps), stabilendo un nuovo e allarmante punto di riferimento per la portata delle minacce informatiche.

Tale attacco segnala un’escalation significativa nelle capacità degli attori malintenzionati e delle botnet da loro controllate. Il record precedente era un attacco UDP Flood da 11,5 terabit al secondo. Questo attacco è durato 35 secondi.

L’attacco da record si è distinto non solo per le sue dimensioni, ma anche per la sua brevità. L’intero evento è durato solo circa 40 secondi, una tattica studiata per sopraffare le difese prima che avessero la possibilità di rispondere pienamente.

Attacco DDoS da 22,2 Tbps definisce un nuovo record mondiale. Gli aggressori utilizzano sempre più spesso questi attacchi DDoS per causare il massimo danno in un lasso di tempo minimo, rendendo il rilevamento e la mitigazione automatizzati e in tempo reale assolutamente essenziali.

Tali attacchi ipervolumetrici vengono solitamente lanciati da enormi botnet , reti di computer compromessi e dispositivi IoT, che vengono sfruttate per inondare i server di un bersaglio con una quantità enorme di traffico, rendendo i suoi servizi non disponibili agli utenti legittimi.

Cloudflare afferma che i suoi sistemi hanno autonomamente identificato e fermato l’attacco, escludendo qualsiasi necessità di intervento manuale. Questa efficace strategia di difesa sottolinea l’importanza di un fondamentale cambio di passo nella sicurezza informatica, ovvero l’adozione di sistemi automatizzati che sfruttano l’intelligenza artificiale per rispondere alle minacce che si evolvono alla stessa velocità dei computer.

Grazie alla sua vasta capacità, la rete globale di Cloudflare è riuscita ad assorbire e neutralizzare il traffico dannoso ai margini, vicino alla fonte. Ciò ha impedito all’attacco di raggiungere e sopraffare l’obiettivo previsto, garantendo che i suoi servizi online rimanessero disponibili e funzionanti durante il breve ma intenso assalto.

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“Il Santo Padre esprime apprezzamento per i sacerdoti che si dedicano al delicato e quanto mai necessario ministero dell’esorcista, incoraggiando a viverlo sia come ministero di liberazione dal maligno sia come ministero di consolazione”.


Jaguar Land Rover ha ancora il motore in panne per colpa di un hacker


@Informatica (Italy e non Italy 😁)
Il costruttore britannico nelle mani degli indiani di Tata avrebbe già visto sfumare un miliardo di sterline. L'incursione hacker ha causato un blackout che ha paralizzato tutti gli impianti localizzati dalla Gran Bretagna all'India fino agli hub cinesi travolgendo a



Il Gruppo Warlock: nuovo attore nel mercato dei ransomware


Il gruppo Warlock, noto anche come Storm-2603 e GOLD SALEM, è passato dall’essere un nuovo arrivato a un attore di spicco nel mercato dei ransomware in pochi mesi. I ricercatori di Sophos riferiscono che l’attività del gruppo è iniziata a marzo 2025 e che a settembre aveva già creato un proprio portale di fuga di dati, “Warlock Client Data Leak Show”, dove sono state pubblicate 60 vittime. Gli aggressori operano in tutto il mondo, colpendo piccole agenzie governative e aziende commerciali a multinazionali in Nord e Sud America ed Europa.

Warlock ricevette particolare attenzione dopo gli incidenti di agosto: i criminali si vantarono di aver compromesso le società francese Orange e britannica Colt. In quest’ultimo caso, affermarono di aver rubato un milione di documenti e annunciarono persino un’asta per l’archivio.

Successivamente, la stessa risorsa ha elencato la Star Alliance tra le sue vittime, sebbene non sia arrivata alcuna conferma ufficiale da parte dell’organizzazione, e il post stesso era accompagnato da una nota sulla vendita del set di dati rubato. A differenza di altri gruppi ransomware, Warlock non pubblica le date degli attacchi e raramente mostra esempi di materiale rubato, limitandosi a laconiche note sullo stato del riscatto o a un collegamento a un archivio.

Lo stile negoziale di Warlock è palesemente duro: sul loro sito web, accusano le organizzazioni di irresponsabilità e promettono di divulgare i dati se si rifiutano di contattarle. Allo stesso tempo, per le grandi aziende che detengono informazioni estremamente sensibili, dichiarano che l’intera portata dei dati rubati non sarà resa pubblica. Questo approccio consente al gruppo di minare contemporaneamente la reputazione della vittima e di mantenere vivo l’interesse degli acquirenti del mercato nero.

Il rapporto di Sophos pone particolare enfasi sulle tecniche di attacco. Warlock è apparso pubblicamente per la prima volta a giugno su un forum di hacker, dove un rappresentante del gruppo era alla ricerca di exploit per applicazioni aziendali come Veeam, ESXi e SharePoint, nonché di strumenti per bypassare i sistemi EDR.

A luglio, Microsoft aveva già rilevato che il gruppo stava utilizzando una nuova vulnerabilità zero-day sui server SharePoint locali.

L’exploit è stato inizialmente distribuito dal gruppo cinese Salt Typhoon il 18 luglio, ma un aggiornamento problematico ha lasciato vulnerabili decine di migliaia di sistemi, inclusi server governativi. Warlock ha approfittato della situazione e ha implementato la propria catena ToolShell per installare web shell e ottenere persistenza di rete tramite un server Golang personalizzato basato su WebSocket.

Inoltre, gli aggressori combinano attivamente metodi collaudati: utilizzano Mimikatz per rubare le credenziali, PsExec e Impacket per gli spostamenti laterali e distribuiscono il ransomware sulla rete tramite policy di gruppo. Per il traffico nascosto, utilizzano strumenti legittimi, in particolare Velociraptor. Questa combinazione rende i loro attacchi flessibili e difficili da rilevare. Sophos sottolinea che questo mix di tecniche standard e innovazioni mirate dimostra l’elevato livello di preparazione e coraggio degli autori.

In breve tempo, Warlock è entrato nella lista delle 20 operazioni ransomware più attive dell’ultimo anno. Gli esperti stimano che sia improbabile che un’ulteriore pressione sulle infrastrutture aziendali possa essere fermata senza misure aggressive da parte degli operatori di sicurezza.

Per mitigare i rischi, gli esperti consigliano alle organizzazioni di prestare maggiore attenzione al monitoraggio della superficie di attacco, all’applicazione tempestiva di patch ai servizi pubblici e al mantenimento della prontezza per una risposta rapida agli incidenti. Sophos sottolinea che comprendere le tattiche dei Warlock è essenziale per rafforzare le difese prima che il gruppo selezioni un nuovo obiettivo.

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Play Capacitor Cupid With The Matchmaker


Occasionally a design requires capacitors that are much closer to being identical in value to one another than the usual tolerance ranges afford. Precision matching of components from parts on hand might sound like a needle-in-a-haystack problem, but not with [Stephen Woodward]’s Capacitor Matchmaker design.
The larger the output voltage, the greater the mismatch between capacitors A and B.
The Matchmaker is a small circuit intended to be attached to a DVM, with the output voltage indicating whether two capacitors (A and B) are precisely matched in value. If they are not equal, the voltage output indicates the degree of the mismatch as well as which is the larger of the two.

The core of the design is complementary excitation of the two capacitors (the CD4013B dual flip-flop achieves this) which results in a measurable signal if the two capacitors are different; nominally 50 mV per % of mismatch. Output polarity indicates which of the capacitors is the larger one. In the case of the two capacitors being equal, the charges cancel out.

Can’t precision-matched capacitors be purchased? Absolutely, but doing so is not always an option. As [Stephen] points out, selection of such components is limited and they come at an added cost. If one’s design requires extra-tight tolerances, requires capacitor values or types not easily available as precision pairs, or one’s budget simply doesn’t allow for the added cost, then the DIY approach makes a lot more sense.

If you’re going to go down this road, [Stephen] shares an extra time-saving tip: use insulated gloves to handle the capacitors being tested. Heating up a capacitor before testing it — even just from one’s fingers — can have a measurable effect.

[Stephen]’s got a knack for insightful electronic applications. Check out his PWMPot, a simple DIY circuit that can be an awfully good stand-in for a digital potentiometer.


hackaday.com/2025/09/23/play-c…



“The Holy Father expresses appreciation for the priests who dedicate themselves to the delicate and ever necessary ministry of the exorcist, encouraging them to live it both as a ministry of liberation from the Evil One and as a ministry of consolati…


Noncitizen journalists face risk from ICE — here’s what newsrooms can do


Atlanta-based journalist Mario Guevara has been detained for nearly 100 days and is facing imminent deportation from the United States. His crime? Doing his job.

Guevara was detained first by local police and then by Immigration and Customs Enforcement, in what experts say was retaliation for his reporting on immigration raids and subsequent protests.

Guevara’s case is a disturbing example of how ICE can target non-American journalists, with or without legal status. Recently, Freedom of the Press Foundation (FPF) hosted a panel discussion featuring immigration lawyers, civil rights advocates, and journalists to talk about what to do when a journalist is detained by ICE — and what must happen before that day ever comes.

Here’s what we learned.

youtube.com/embed/zYnWSBocxJ4?…

Why are journalists being detained?

Non-American journalists in the United States—especially those covering immigration or working in vulnerable roles like freelancers or independent journalists—are at serious risk as a result of the Trump administration’s anti-immigrant and anti-press policies.

President Donald Trump’s campaign to retaliate against journalists who contradict the government’s preferred narrative, plus his administration’s promise to ramp up deportations, has created a “perfect storm for those, like immigrant reporters, who are on the front lines,” said Nora Benavidez of Free Press.

“This administration has made it very clear that it considers the public and press documenting immigration enforcement to be a threat,” explained American Civil Liberties Union’s Scarlet Kim, who is part of Guevara’s legal team.

What can be done? Advanced preparation is key.

The experts we spoke to agreed: Newsrooms can’t wait until a journalist is detained to act. Here are key steps newsrooms and reporters can take before it happens.

1. Create an action plan before you need it.

Journalist and Investigative Reporters and Editors board member Alejandra Cancino has been working with fellow reporters to create a checklist to help newsrooms prepare for the potential detention of one of their reporters by ICE.

The checklist includes steps like gathering key information ahead of time, such as about medical needs, emergency contacts, and immigration attorney contacts (more on that below).

Cancino also encouraged newsrooms to talk with non-American reporters about their concerns and how to mitigate them. “We obviously don’t want any reporter to be taken away from their beat,” she explained, but creative risk-mitigation measures can work, such as having a journalist facing heightened risks report from the newsroom based on information being provided from others in the field.

2. Get local immigration counsel — now.

Journalists at risk need an experienced immigration lawyer in place before they’re detained, experts said.

Newsrooms should consider keeping local immigration counsel on retainer. “Getting a roster of vetted attorneys together is the first important step,” explained Marium Uddin, legal director of the Muslim Legal Fund of America and a former immigration judge.

News outlets should also consider having non-American journalists they work with sign a retainer agreement with an immigration attorney in advance, paid for by the newsroom, so that representation of the journalist could be immediate if they were detained, Uddin said.

To build their rosters of immigration attorneys, newsroom lawyers should seek referrals from those in their networks who may already have strong reputations and experience with the local immigration courts. They can also seek referrals by contacting organizations like the American Immigration Lawyers Association, the Immigration Advocates Network, and local legal aid offices.

Unfortunately, asylum cases can be expensive to litigate. In Texas, where Uddin is based, they can cost $10,000 to $20,000. While some immigration attorneys may offer free or low-cost services, newsrooms should budget for the cost of legal defense of non-American journalists detained by immigration authorities. Protecting journalists “is the cost of doing business,” said Cancino.

3. Act immediately to locate the detained journalist.

If a journalist is detained, one of the first steps will be to locate them, a process that can be made difficult by an opaque detention system and strategic shuffling of people around detention facilities.

Newsrooms should first determine if a detained journalist is in local custody, said Samantha Hamilton of the Atlanta Community Press Collective and Asian Americans Advancing Justice-Atlanta, since people who are arrested are often taken first to the county jail before being transferred to ICE.

If they have been transferred to ICE, Hamilton recommended searching for them with the online ICE detainee locator, using the person’s alien registration number and country of birth. If you don’t have that information, you can also search using their last name and country of origin. Hamilton recommended using all variations of the name, especially if the person has multiple names or uses a nickname.

Once a newsroom locates the journalist, it will want to figure out how to contact them. Each facility can have different communication rules, explained Uddin, which can often be found on the facility’s official website or ICE’s general detention center directory. Legal visits may require special steps, like completing a legal notice of representation.

4. Consider all the legal options.

In addition to challenging the journalist’s detention and deportation in immigration court, a legal petition known as habeas corpus may present another way to challenge the detention in court if a journalist is detained in retaliation for their reporting, said ACLU attorney Kim. A habeas petition asks a federal judge for an order that a person in custody be brought before the court to determine if their detention is valid.

A successful habeas petition can free someone from immigration detention. However, it cannot resolve their immigration status or stop deportation proceedings altogether. Those legal issues must be addressed separately in immigration court.

Habeas is especially important in cases where immigration detention is being used to punish people for their speech or journalism. The ACLU has brought habeas petitions in Guevara’s case and also to challenge the detention of students by immigration officials based on their political speech.

One of the biggest challenges in bringing a habeas petition is timing. Kim warned that strategic transfers of detainees between ICE facilities without warning can make legal action harder, because petitions must usually be filed in the jurisdiction where the detainee is being held. That’s why it’s so important to have legal counsel lined up and to file a habeas petition as soon as possible, ideally before any transfer occurs.

The bigger picture

A recent court ruling in California reminded the public that “a camera and a notepad are not threats to the public,” said Uddin. Unfortunately, however, government retaliation against non-American journalists remains a real threat.

So it’s not enough for newsrooms and journalists to prepare. People outside the media industry need to see how detentions of non-American journalists and other attacks on the press impact us all and speak up against them, explained Benavidez. “Because if it is one of those other people today,” she said, “it could be one of us tomorrow.”


freedom.press/issues/noncitize…



EGITTO. Scarcerato Alaa Abdel Fattah, simbolo della rivoluzione del 2011


@Notizie dall'Italia e dal mondo
La liberazione segna la fine di un’odissea giudiziaria e umana durata quasi sei anni, contrassegnata da condizioni detentive durissime
L'articolohttps://pagineesteri.it/2025/09/23/medioriente/egitto-scarcerato-alaa-abdel-fattah-simbolo-della-rivoluzione-del-2011/



Importazioni cinesi fraudolente in Ue. L'operazione Calypso di EPPO, la Procura europea che tutela gli interessi finanziari dell’Unione. Bloccati dalle autorità europee merci (soprattutto biciclette) per un valore di 250 milioni di euro


L’Ufficio del procuratore europeo (#EPPO) ha annunciato l’incriminazione di sei persone per il loro presunto coinvolgimento nell’ingresso fraudolento di merci cinesi (soprattutto biciclette e monopattini elettrici) nel porto greco del #Pireo. I sequestri di navi container sono avvenuti alla fine di giugno, per un totale di 2.435 container coinvolti e un valore della merce pari a 250 milioni di euro.
L’accusa dell’ufficio europeo fa parte dell’inchiesta “Calypso”, che quest’estate ha coinvolto numerosi scali dell’Unione Europea. La procuratrice capo europea, Laura Codruța Kövesi (nell'immagine), ha affermato: “Si trattava di un gruppo molto organizzato di criminali, specializzato in questo tipo di frodi. L’operazione Calypso manda a questi criminali un messaggio semplice: le regole del gioco sono cambiate, non ci sono più rifugi sicuri per voi!”.

Le autorità della dogana greca, a seguito delle prime prove ottenute, hanno accusato due doganieri, uno dei quali fermato venerdì, per false certificazioni e favoreggiamento. Inoltre, tra i fermati ci sono quattro spedizionieri frontalieri, già arrestati dalle autorità greche a giugno.
Il meccanismo fraudolento era in atto da almeno otto anni e ha causato una perdita stimata intorno ai 350 milioni di euro in dazi europei e 450 milioni di euro in IVA. L’EPPO ha stimato che, in media, solo “il 10-15 per cento del numero effettivo di biciclette elettriche in un container è stato dichiarato”.
Il modus operandi utilizzato dai contrabbandieri consisteva nel far entrare la merce dal porto del Pireo, dichiarando un valore molto basso. Operatori doganali, come spedizionieri o fornitori di servizi, facilitavano lo sdoganamento verso altri Paesi dell’Unione attraverso un meccanismo ideato per evadere il pagamento dell’IVA. Lo scopo era quello di assicurarsi un esenzione dal pagamento dell’IVA attraverso l’applicazione della Procedura Doganale 42 (CP42) che permette un esenzione se la merce viene venduta ad altre società comunitarie. In realtà, questi acquirenti finali non esistevano ed erano usati solamente come prestanome per evadere l’imposta. Le merci venivano, invece, stoccate in hub illegali cinesi e poi distribuite con documenti falsi in giro per l’Unione.

L’operazione Calypso, tenutasi quest’estate, è il più grande sequestro di container mai effettuato nell’Ue. L’indagine condotta dall’EPPO riguarda 14 Paesi: Bulgaria, Cina, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna. La fese operativa di “Calypso” è iniziata il 26 giugno con l’esecuzione di 101 perquisizioni presso gli uffici di spedizionieri doganali. A giugno sono stati arrestati dieci individui in vari punti d’Europa. Nelle loro abitazioni, sono stati trovati circa 5,8 milioni di euro (di cui 4,75 milioni in Grecia e i restanti in Francia e Spagna), in diverse valute, tra cui dollari di Hong Kong ed euro, spesso custoditi in portafogli digitali e criptovalute.
L'EPPO, o Procura Europea, è un'agenzia dell'Unione Europea istituita nel 2017 per indagare e perseguire i reati che ledono gli interessi finanziari dell'UE, come frodi, corruzione o riciclaggio di denaro. È caratterizzata dall'essere la prima Procura sovranazionale dell'UE, con giurisdizione in 22 Stati membri; avere poteri di indagine e di azione penale diretti a livello transnazionale; essere indipendente sia dalle istituzioni dell'UE che dai singoli Stati membri; mirare a garantire un'applicazione uniforme del diritto penale dell'UE in tutta l'Unione.

@Attualità, Geopolitica e Satira

fabrizio reshared this.




Simone Galassi – Simone Galassi
freezonemagazine.com/articoli/…
Quando ho messo nel lettore il CD di Simone Galassi, ho pensato di aver messo un disco sbagliato. Mi spiego. Non che non sappia chi sia Galassi avendolo visto on stage nella band di Ellen River, ma non sapevo cosa avrei potuto attendermi da un album a suo nome. Non che questo costituisca una sorpresa, perché proprio […]
L'articolo Simone Galassi – Simone Galassi proviene da FREE ZONE MAGAZINE.


Cyberwar in Italia: il governo porta l’esercito nel cyberspazio


Il cyberspazio non è più una dimensione marginale ma un vero e proprio dominio operativo strategico. La sua rilevanza è oggi equiparabile a quella di terra mare aria e spazio. L’accelerazione tecnologica trainata dall’Intelligenza Artificiale e dalla digitalizzazione diffusa ha trasformato infrastrutture critiche, servizi sanitari, università e comunicazioni personali in superfici di attacco permanenti. In questo scenario la linea di confine tra criminalità informatica, attivismo politico e minacce di matrice statale si è progressivamente assottigliata dando vita a nuove forme di conflitto ibrido.

In Italia questa trasformazione si riflette nel dibattito sul disegno di legge presentato dal presidente della Commissione Difesa Nino Minardo che attribuisce alle Forze Armate un ruolo operativo anche al di fuori dei tradizionali contesti bellici. L’iniziativa si colloca in un percorso avviato in sede NATO che dal 2016 riconosce il cyberspazio come dominio operativo. L’urgenza della proposta nasce dalla crescita esponenziale di attacchi informatici diretti verso istituzioni imprese e cittadini.

Il contenuto del disegno di legge


Il testo introduce modifiche al codice dell’ordinamento militare, prevedendo la creazione di una riserva ausiliaria composta da ex militari e la possibilità di integrare competenze esterne altamente specializzate. Questo personale civile affiancherebbe i militari nelle operazioni digitali e verrebbe equiparato per alcuni profili giuridici agli operatori delle Forze Armate.

Si tratta di una scelta che apre scenari innovativi e al tempo stesso complessi. Non siamo davanti a una semplice esternalizzazione di servizi ma alla creazione di un nuovo attore ibrido dotato di una speciale causa di giustificazione. Tale istituto, già previsto per l’intelligence, consente di escludere la rilevanza penale di condotte poste in essere nell’interesse istituzionale. L’estensione al dominio militare e a figure civili rischia tuttavia di creare un’area di opacità difficilmente compatibile con le esigenze di trasparenza e con la giurisdizione della magistratura ordinaria.

Le ragioni di una scelta


Il contesto che ha spinto il legislatore a proporre questo intervento è chiaro. Tra gennaio 2023 e luglio 2024 l’Italia ha registrato oltre 19 mila attacchi informatici con una media di più di trenta al giorno. Nei primi sei mesi del 2025 l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale ha rilevato un aumento del 53 per cento rispetto all’anno precedente con quasi trecentocinquanta incidenti a impatto confermato.

Gli attacchi colpiscono soprattutto i settori dell’energia e dell’acqua ma anche pubblica amministrazione università e telecomunicazioni. L’episodio del ransomware che nel 2021 paralizzò la Regione Lazio resta un caso emblematico della vulnerabilità del sistema Paese e del potenziale impatto delle minacce ibride. Nonostante non fosse un atto di guerra il blocco dei servizi sanitari e delle prenotazioni vaccinali produsse effetti paragonabili a quelli di un’azione militare convenzionale.

Il nodo della governance


Il disegno di legge apre inevitabilmente una riflessione sul coordinamento istituzionale. L’Italia dispone già di un’autorità civile unica l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale con il compito di prevenire mitigare e certificare la sicurezza informatica. L’ingresso delle Forze Armate con funzioni operative anche in tempo di pace solleva il rischio di un doppio binario che potrebbe replicare frammentazioni già sperimentate in passato.

Una difesa cibernetica efficace richiede al contrario una strategia unitaria che definisca ruoli e responsabilità senza sovrapposizioni. La Difesa può avere un ruolo centrale nella risposta attiva, mentre l’Agenzia dovrebbe mantenere la funzione di coordinamento della resilienza nazionale. Una governance competitiva anziché integrata rischierebbe di indebolire il sistema complessivo.

Il confronto con i modelli internazionali


Gli alleati occidentali hanno già affrontato sfide simili. Negli Stati Uniti lo US Cyber Command opera come comando unificato con meccanismi di supervisione civile e un sistema di accountability consolidato. Nel Regno Unito il GCHQ gestisce la maggior parte delle operazioni mantenendo una chiara separazione tra compiti civili e militari.

Il caso più vicino all’Italia è la Germania che ha istituito il Comando per lo Spazio Cibernetico e delle Informazioni all’interno della Bundeswehr. Anche lì il tema della compatibilità costituzionale e del controllo parlamentare è ancora aperto. L’esperienza tedesca dimostra che un trasferimento diretto di poteri alla Difesa non basta a risolvere le criticità legali e democratiche del dominio cibernetico.

Verso un equilibrio tra sicurezza ed equità giuridica


Il rafforzamento della capacità di risposta è una priorità strategica ma non può tradursi in un indebolimento delle garanzie dello stato di diritto. L’attribuzione di poteri eccezionali a militari e civili specializzati deve essere accompagnata da una cornice normativa chiara che definisca presupposti limiti e modalità di intervento.

Occorre inoltre investire nelle competenze con un polo formativo cyber interforze che coinvolga università e industria e attragga talenti con strumenti di lungo periodo. La trasparenza deve restare un pilastro anche quando le operazioni richiedono riservatezza. La rendicontazione parlamentare non può essere un atto formale ma deve tradursi in un controllo sostanziale.

Il futuro della difesa cibernetica in Italia


Il disegno di legge Minardo rappresenta una tappa significativa nell’evoluzione della difesa nazionale. La sua attualità deriva dall’urgenza di affrontare minacce crescenti che non conoscono confini né dichiarazioni di guerra. Ma la vera sfida per l’Italia è costruire un’architettura di sicurezza cibernetica solida sul piano operativo coerente sul piano istituzionale e inattaccabile sul piano democratico.

Solo superando le frammentazioni, definendo regole certe e valorizzando le competenze, sarà possibile proteggere il Paese dalle guerre ibride senza sacrificare i diritti civili e i principi costituzionali che ne garantiscono la coesione.

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DK 10x03 - Il futuro secondo Babbeo


Dopo una intro che è più un rant, parliamo di come El Zucko continua a pensare di avere qualcosa da dire sul "futuro" e soprattutto che a qualcuno interessino le sue idee da quattro soldi al riguardo. Sì, parliamo di Meta Ray-Ban Display (sono stupidi smart glass, nonostante il nome roboante).


spreaker.com/episode/dk-10x03-…



Open Letter: The European Commission and Member States must keep AI Act national implementation on track


EDRi, along with a broad coalition of civil society organisations, demands urgent action from the European Commission and Member States to ensure that the rights enshrined in the AI Act do not remain hollow promises, but that the Commission and Member States act decisively and immediately to ensure the timely national implementation of the AI Act now.

The post Open Letter: The European Commission and Member States must keep AI Act national implementation on track appeared first on European Digital Rights (EDRi).

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Perché serve un visto europeo per attrarre i cervelli in fuga dagli Stati Uniti

L'articolo proviene da #StartMag e viene ricondiviso sulla comunità Lemmy @Informatica (Italy e non Italy 😁)
Trump, nel tentativo di proteggere il mercato americano con i nuovi visti, rischia di offrire all’Europa un’occasione irripetibile. Bruxelles ha una finestra di opportunità che non deve lasciarsi sfuggire. L'intervento



Giancarlo Siani, mio fratello


@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/09/giancar…
Era il 1985, avevo da poco terminato il mio turno in ospedale, faceva caldo, era stato un pomeriggio faticoso, ma alle 21,43 del 23 settembre del 1985 all’improvviso la mia vita cambia radicalmente. Non sento più la fatica, né il caldo, la mia vita si ferma bruscamente, accanto alla



Reviving a Scrapped Sound Blaster 2.0 ISA Soundcard


What do you do when you find a ISA Sound Blaster 2.0 card in a pile of scrap? Try to repair the damage on it to give it a second shot at life, of course. This is what [Adrian Black] did with one hapless victim, with the card in question being mostly in good condition minus an IC that had been rather rudely removed. The core Creative CT1336A and Yamaha YM3812 ICs were still in place, so the task was to figure out what IC was missing, find a replacement and install it.

The CT1350 is the final revision of the original 8-bit ISA Sound Blaster card, with a number of upgrades that makes this actually quite a desirable soundcard. The CT1350B revision featured here on a card from 1994 was the last to retain compatibility with the C/MS chips featured on the original SB card. After consulting with [Alex] from the Bits und Bolts YT channel, it was found that not only is the missing IC merely an Intel 8051-based Atmel MCU, but replacements are readily available. After [Alex] sent him a few replacements with two versions of the firmware preflashed, all [Adrian] had to do was install one.

Before installation, [Adrian] tested the card to see whether the expected remaining functionality like the basic OPL2 soundchip worked, which was the case. Installing the new MCU got somewhat hairy as multiple damaged pads and traces were discovered, probably because the old chip was violently removed. Along the way of figuring out how important these damaged pads are, a reverse-engineered schematic of the card was discovered, which was super helpful.

Some awkward soldering later, the card’s Sound Blaster functionality sprung back to life, after nudging the volume dial on the card up from zero. Clearly the missing MCU was the only major issue with the card, along with the missing IO bracket, for which a replacement was printed after the video was recorded.

youtube.com/embed/40nBje9KRTk?…


hackaday.com/2025/09/22/revivi…



L’FBI avverte di siti web falsi che impersonano IC3 per commettere frodi


L’FBI ha lanciato l’allarme : alcuni truffatori si stanno spacciando per il sito web dell’Internet Fraud Complaint Center (IC3) per commettere frodi finanziarie o rubare le informazioni personali dei visitatori.

“Gli aggressori creano siti web falsi, spesso modificando leggermente i domini di risorse legittime, al fine di raccogliere le informazioni personali inserite dall’utente sul sito (tra cui nome, indirizzo di casa, numero di telefono, indirizzo email e dati bancari)”, riporta l’FBI. “Ad esempio, i domini di siti web falsi possono contenere grafie alternative di parole o utilizzare un dominio di primo livello diverso per impersonare una risorsa legittima”.

I giornalisti di Bleeping Computer hanno trovati diversi siti come icc3[.]live, practicelawyer[.]net e ic3a[.]com. Il primo sito mostra persino lo stesso avviso di truffa del vero sito web dell’Internet Fraud Complaint Center, avvertendo che i truffatori si spacciano per dipendenti di IC3, offrendo alle vittime “aiuto” per recuperare i fondi rubati.

L’avviso è stato diffuso nell’aprile 2025, dopo che l’FBI ha ricevuto più di 100 denunce su truffatori che utilizzavano questa tattica.

Per proteggersi da tali attacchi, l’FBI raccomanda di digitare sempre www.ic3.gov nella barra degli indirizzi del browser anziché utilizzare i motori di ricerca. Le forze dell’ordine sconsigliano inoltre di cliccare sugli annunci di ricerca, poiché spesso vengono pagati da truffatori che tentano di reindirizzare il traffico da siti web legittimi ai loro siti di phishing.

L’FBI ha inoltre ricordato alle persone di non condividere mai informazioni sensibili con persone conosciute di recente online o al telefono e di non inviare mai loro denaro, carte regalo, criptovalute o altre attività finanziarie.

Si sottolinea che i dipendenti di IC3 non contattano mai direttamente le vittime di frode tramite telefono, e-mail, social media, app mobili o forum pubblici. Inoltre, non richiederanno mai il pagamento per la restituzione dei fondi rubati né indirizzeranno le vittime ad aziende che applicano commissioni per i rimborsi.

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Apple attacca Google Chrome: “Passa a Safari per proteggere la tua privacy”


Apple ha lanciato un severo avvertimento: smettete di usare Google Chrome. Il browser più popolare al mondo sta tenendo testa sia ai computer che agli smartphone, sottraendo gradualmente quote di mercato ad Apple. Ma l’azienda ha deciso di non arretrare e sta rispondendo con un attacco diretto.

“Passa a un browser che protegga davvero la tua privacy”, afferma Apple nel suo annuncio.

Secondo l’azienda, Safari offre una protezione avanzata contro il tracciamento cross-site, nasconde il tuo indirizzo IP ai tracker noti e molto altro. A differenza di Chrome, Safari, sottolinea Apple, aiuta davvero a preservare la tua privacy.

Microsoft sta usando una tattica simile, avvertendo gli utenti Windows dei pericoli di Chrome e promuovendo il suo browser Edge. Ma mentre Edge non è riuscito a prendere il sopravvento, Safari, il browser predefinito sugli iPhone, è in una categoria completamente diversa.

Apple ha persino pubblicato una tabella comparativa delle funzionalità: blocco dei tracker, protezione da estensioni dannose e occultamento dell’IP. In ogni riga, solo Safari è selezionato, mentre Chrome, secondo Apple, non esegue nessuna di queste.

L’elenco, tuttavia, non menziona il fingerprinting dei dispositivi, la tecnologia di tracciamento occulto che Google ha reintrodotto quest’anno, nonostante il precedente divieto. Questo tracciamento è impossibile da disattivare: raccoglie numerose caratteristiche tecniche e crea un profilo utente univoco.

Tuttavia, Apple afferma di aver trovato un modo per contrastare parzialmente questo metodo. La nuova modalità di protezione avanzata da tracciamento e impronte digitali, precedentemente disponibile solo in navigazione privata, è ora abilitata di default per tutti gli utenti in iOS 26. Questa modalità intasa il sistema di riconoscimento con dati non necessari, rendendo estremamente difficile per il browser identificare i veri parametri del dispositivo.

In altre parole, Safari ha persino una protezione integrata contro l’impronta digitale, mentre Chrome su iPhone non offre tale protezione. Apple lo dice chiaramente: la scelta del browser determina direttamente il livello di sicurezza online.

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AI nelle mani degli hacker criminali: il gioco è cambiato, e noi siamo in svantaggio


Negli ultimi mesi, durante le mie attività di ricerca e studio, mi sono imbattuto in una realtà tanto sorprendente quanto preoccupante: la facilità con cui è possibile individuare sistemi esposti in rete, anche appartenenti a organizzazioni che – per missione o settore – dovrebbero avere una postura di sicurezza particolarmente solida.

Non si parla di tecniche da film o attacchi sofisticati: in molti casi, basta un sabato sera più noioso degli altri mentre il resto della famiglia dorme, un motore di ricerca specializzato o una scansione mirata per scoprire interfacce di gestione accessibili, server mal configurati, credenziali di default mai cambiate, servizi critici senza alcuna autenticazione.

La sensazione è quasi quella di camminare in una città dove molte porte di casa sono spalancate – e non sempre parliamo di abitazioni qualsiasi.

Non solo piccole realtà


Si potrebbe pensare che queste esposizioni riguardino soltanto realtà di piccole dimensioni o con budget limitati per la sicurezza informatica.

In realtà, capita di imbattersi anche in sistemi appartenenti a organizzazioni di maggiore rilevanza, che per ruolo o settore si presume abbiano un’attenzione più marcata alla protezione dei propri asset digitali.

Questo non significa che tutte queste realtà abbiano falle critiche o trascurino la sicurezza, ma evidenzia come il rischio di esposizione possa colpire chiunque, indipendentemente dalla dimensione o dal settore di appartenenza – a volte per mal configurazioni di base, a volte per attività di testing che poi non vengono sanate, a volte per nuovi exploit che vengono scoperti.

Segnalare… e aspettare


Dove e quando possibile, ogni volta che ho rilevato una criticità, l’ho segnalata alle istituzioni competenti. Il risultato? Nella maggior parte dei casi, a mesi di distanza, i sistemi risultano ancora accessibili come il primo giorno.

Questo significa che, se io – agendo in modo etico – ho potuto individuarli, chiunque con intenzioni malevole avrebbe avuto lo stesso margine di azione, con in più il vantaggio di avere un sacco di tempo a disposizione e tecnologia che oggi rende ancora più facile tutta la fase di ricognizione.

Un tempo, chi voleva portare a segno un attacco doveva saper bene come muoversi, padroneggiare tecniche, strumenti e metodologie. Oggi, con l’intelligenza artificiale, metà del lavoro può essere fatto mentre l’attaccante sorseggia un caffè: automazione nella ricerca di target, analisi delle vulnerabilità, persino generazione di exploit o script personalizzati.

Questo abbassa drasticamente la barriera di ingresso e velocizza ogni fase, dal rilevamento al potenziale sfruttamento.

Il fattore geopolitico


Il problema diventa ancora più serio se lo inseriamo nel contesto geopolitico attuale, dove gli attacchi informatici sono diventati armi di pressione e destabilizzazione, le informazioni strategiche – anche se non classificate – possono essere utilizzate per colpire servizi, infrastrutture e cittadini, e ogni sistema esposto è una possibile porta d’ingresso per operazioni di spionaggio, sabotaggio o campagne di disinformazione.

Non è uno scenario ipotetico: è già successo, e continua a succedere in tutto il mondo.

Una superficie d’attacco “in vetrina”


Chiunque lavori in ambito cyber sa che la superficie d’attacco di un’organizzazione si è estesa ben oltre i firewall aziendali. Cloud, smart working, dispositivi IoT, applicazioni web: tutto è collegato, tutto è raggiungibile, e ogni singolo punto esposto può diventare la crepa da cui far passare un intero attacco.

Se a questo aggiungiamo la mancanza di monitoraggio proattivo in alcune realtà, il quadro è chiaro: la superficie d’attacco è in vetrina, e non sempre c’è qualcuno che osserva.

Conclusione: serve un cambio di passo


Individuare sistemi esposti oggi è più facile che mai. Non serve un laboratorio segreto, non servono exploit zero-day: serve soltanto sapere dove guardare. E se questo vale per un ricercatore indipendente, vale anche – e soprattutto – per chi opera con finalità ostili.

In tempi di tensione geopolitica e conflitti ibridi, non possiamo permetterci che porte spalancate restino aperte per mesi dopo una segnalazione. Perché in cybersecurity vale un mantra che non dovremmo mai dimenticare: Non è se succede, ma quando succede. Perché, prima o poi, purtroppo, tocca più o meno a tutti.

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Samsung sotto attacco in Italia: telefoni presi in ostaggio dal ransomware


Da qualche giorno sta circolando la notizia, che al momento non mi risulta sia stata confermata da fonti ufficiali, di un attacco ransomware veicolato attraverso la funzionalità di gestione delle “flotte aziendali” (E-FOTA) di Samsung.

A quanto risulta dal post di un utente sul forum FibraClick, pubblicato qualche giorno fa, questo attacco si sta diffondendo anche in Italia. In sostanza, i cybercriminali inducono l’utente che sta navigando sul Web con il suo smartphone Samsung a far aprire un link appositamente creato di questo tipo:

intent://signin[.]samsung[.]com/key/yphxkjlx?modelName=SAMSUNG#intent;scheme=https;package=com.osp.app.signin;end.

  • intent:// = lo schema del generico URI di Android;
  • signin[.]samsung[.]com = l’URI di destinazione, assolutamente legittimo e quindi non bloccato da eventuali sistemi di protezione;
  • /key/yphxkjlx = l’identificatore, in forma accorciata, della chiave di licenza E-FOTA usata dall’attaccante;
  • ?modelName=SAMSUNG = il valore “SAMSUNG” usato per la variabile modelName è necessario per attivare il popup sullo smartphone della vittima, inducendola ad accedere usando il proprio account Samsung;

che fa aprire sullo smartphone della vittima un popup per chiedere l’accesso, attraverso il proprio account Samsung. Se la vittima approva il login, lo smartphone entra a far parte della “flotta aziendale” del cybercriminale, che a quel punto ha il totale controllo del terminale (MDM).

Ovviamente l’occasione non viene fatta sfuggire: il cybercriminale disconnette la vittima dal Suo account Samsung e assegna lo smartphone ad un altro account, impostando il relativo PIN di protezione e segnalandolo come perso/rubato: la vittima è di fatto tagliata fuori dal suo dispositivo. Come dall’articolo originale che descrive tecnicamente questo attacco, pubblicato sul forum XDA-Developers (e poi rimosso), “This security state effectively prevents flashing via Odin, and causes the “KG Status: LOCKED (01)” message to appear in Download Mode.

A questo punto la vittima viene contattata per la richiesta di un riscatto, che deve essere pagato in criptovaluta, in cambio del PIN di sblocco.

Tecnicamente è un attacco ransomware, anche se con modalità diverse dal consueto. Gli autori dell’attacco prendono il controllo del dispositivo da remoto, tenendo in ostaggio non solo i dati dell’utente, ma anche il telefono stesso. A quanto si legge sempre in questo articolo, attualmente reperibile su archive.org, gli aggressori utilizzano un
gruppo Telegram e un bot automatizzato per facilitare l’estorsione, lasciando una richiesta di riscatto sulla schermata di blocco del dispositivo con le istruzioni su come contattarli.

Se sei stato vittima di questo attacco, è estremamente importante non pagare questi truffatori.Il motivo è semplice: anche se paghi e ti sbloccano il dispositivo, tutto ciò che hanno fatto è cambiare lo stato da “smarrito” a “ritrovato”. Questo significa che il dispositivo è ancora associato alla licenza E-FOTA del cybercriminale e non risulterebbe esserci alcuna intenzione di rimuovere questa associazione. Il rischio è che l’attaccante potrà bloccare nuovamente lo smartphone, chiedendo nuovamente il riscatto per sbloccarlo. Consiglio quindi di recarsi alla Polizia Postale per sporgere regolare denuncia, allegando i dati tecnici del terminale (IMEI) e chiedendo a Samsung Italia, possibilmente via PEC, il rilascio dello smartphone dall’MDM fraudolento.

Al momento la soluzione tecnica più veloce per impedire attacchi di questo tipo su smartphone Samsung è disabilitare la funzione “Apri collegamenti supportati” da abilitato a disabilitato: Impostazioni -> Applicazioni -> Samsung account -> Imposta come predefinita -> Apri collegamenti supportati

Valgono comunque, in ogni caso, sempre le medesime regole di precauzione: non usare lo smartphone per siti web di dubbia sicurezza e mai cliccare su link senza prima una attenta verifica degli stessi. Inoltre, alla richiesta di login usando l’account Samsung, fermarsi e verificare attentamente ciò che ci viene richiesto di fare.

Tecnicamente parlando, la funzionalità E-FOTA di Samsung è perfettamente legittima e utilizzata da migliaia di realtà aziendali senza problemi. Tuttavia, la facilità con cui un attaccante può acquistare una licenza di questo tipo, al costo qualche decina di $, rende questo attacco piuttosto semplice da implementare.

Samsung potrebbe, nel caso, disattivare le licenze E-FOTA rilasciate a questi attori malevoli, in seguito a denuncia delle vittime, rilasciando i relativi IMEI e sbloccando, di conseguenza, gli smartphone dei malcapitati. A quanto viene però sottolineato nell’articolo già citato, “Samsung has made it extremely difficult for me and others to reach out, with their support team sending generic email responses without escalating the issue to their Knox department.”.

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Immagini dal corteo cittadino di ieri a #Genova per lo sciopero generale pro #Gaza
Buona notizia è l' ampia partecipazione (20000 circa secondo la questura, ma probabilmente di più) con tanti giovani. Forse c'è ancora un po' speranza per il futuro.
Manifestazione assolutamente pacifica e anche questo è un ottimo segnale

#gaza reshared this.

in reply to Mauro in montagna

Hi ,I haven't received any donations for days. Please help me. My children and I need to go south. We are in danger here. Save my children.💔🙏

chuffed.org/project/save-my-fa…



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Blue Alchemist Promises Rocket Fuel From Moon Dust


Usually when an alchemist shows up promising to turn rocks into gold, you should run the other way. Sure, rocket fuel isn’t gold, but on the moon it’s worth more than its weight in the yellow stuff. So there would be reason to be skeptical if this “Blue Alchemist” was actually an alchemist, and not a chemical reactor under development by the Blue Origin corporation.

The chemistry in question is quite simple, really: take moon dust, which is rich in aluminum silicate minerals, and melt the stuff. Then it’s just a matter of electrolysis to split the elements, collecting the gaseous oxygen for use in your rockets. So: moon dust to air and metals, just add power. Lots and lots of power.

Melting rock takes a lot of temperature, and the molten rock doesn’t electrolyse quite as easily as the water we’re more familiar with splitting. Still, it’s very doable; this is how aluminum is produced on Earth, though notably not from the sorts of minerals you find in moon dust. Given the image accompanying the press release, perhaps on the moon the old expression will be modified to “make oxygen while the sun shines”.

Hackaday wasn’t around to write about it, but forward-looking researchers at NASA, expecting just such a chemical reactor to be developed someday, proposed an Aluminum/Liquid Oxygen slurry monopropellant rocket back in the 1990s.

That’s not likely to be flying any time soon, but of course even with the Methalox rockets in vogue these days, there are appreciable cost savings to leaving your oxygen and home. And we’re not biologists, but maybe Astronauts would like to breathe some of this oxygen stuff? We’ve heard it’s good for your health.


hackaday.com/2025/09/22/blue-a…



Full Scale Styrofoam DeLorean Finally Takes Flight


It’s 2025 and we still don’t have flying cars– but we’ve got this full-scale flying DeLorean prop from [Brian Brocken], and that’s almost as good. It’s airborne and on camera in the video embedded below.

We’ve written about this project before– first about the mega-sized CNC router [Brian] used to carve the DeLorean body out of Styrofoam panels, and an update last year that showed the aluminum frame and motorized louvers and doors.

Well, the iconic gull-wing doors are still there, and still motorized, and they’ve been joined by a tire-tilting mechanism for a Back To The Future film-accurate flight mode. With the wheels down, the prop can use them to steer and drive, looking for all the world like an all-white DMC-12.

The aluminum frame we covered before is no longer in the picture, though. It’s been replaced by a lighter, stiffer version made from carbon fibre. It’s still a ladder frame, but now with carbon fiber tubes and “forged” carbon fiber corners made of tow and resin packed in 3D printed molds. There’s been a tonne of work documented on the build log since we last covered this project, so be sure to check it out for all the details.

Even in unpainted white Styrofoam, it’s surreal to see this thing take off; it’s the ultimate in practical effects, and totally worth the wait. Honestly, with talent like [Brian] out there its a wonder anyone still bothers with CGI, economics aside.

Thanks to [Brian] for the tip! If you have a project you’ve hit a milestone with, we’d love to see it, even if it doesn’t trigger the 80s nostalgia gland we apparently all have embedded in our brains these days. Send us a tip!

youtube.com/embed/MybApXQIO5Q?…


hackaday.com/2025/09/22/full-s…