ma io vorrei capire come funziona il diritto internazionale. la russia vota l'annessione del tegame di sua madre. israele l'annessione del tegame di suo padre. l'italia vota l'annessione delle'x impero romano. funziona così? praticamente un atto nullo.
la giurisdizione delle leggi di uno stato termina ai confini dello stato. la cisgiordania è dello stato di palestina. pare evidente. trump sei un grande...
L’ultima minaccia a Paolo Berizzi in un video di Davide Di Stefano. Per Giulietti “è ora di alzare un muro”
@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/10/lultima…
In Italia ogni giorno decine di cronisti subiscono
I dati personali come merce: come l’accesso facile alimenta i mercati della cybercriminalità
Oggi i dati personali sono diventati una delle merci più importanti su internet. Tuttavia, molte persone non si rendono conto che le informazioni che li riguardano, disponibili online, possono in realtà nuocere quando vengono raccolte silenziosamente, vendute e rivendute da data broker e piattaforme di ricerca persone.
Una volta che i dati vengono venduti, c’è un’enorme probabilità che siano utilizzati in truffe, furti d’identità e campagne di molestia. Questo significa che è necessario essere più vigili riguardo a ciò che si condivide online.
Molti non si accorgono che i propri dati stanno già circolando attraverso pipeline digitali. Con elenchi pubblici, social media e archivi governativi, è diventato estremamente facile raccogliere e archiviare informazioni. Con pochi clic, chiunque può accedere a questi dati.
Per chi desidera ridurre la propria esposizione, soluzioni come fast people search removal possono aiutare a riconquistare un certo controllo prima che le informazioni finiscano nelle mani sbagliate. È sempre meglio essere cauti e intraprendere ulteriori passi per limitare la propria esposizione, piuttosto che lasciare il campo libero ai cybercriminali.
Dal Surface Web al Dark Web
Il viaggio dei dati personali inizia quasi sempre con directory aperte e facilmente accessibili. La maggior parte di questi siti sembra innocua, persino utile. Per questo molte persone tendono a fidarsi ciecamente. Ma dietro le quinte, queste piattaforme operano in un meccanismo continuo di raccolta e redistribuzione dei dati. Nella maggior parte dei casi, i proprietari di tali dati non sanno nemmeno che questo sta accadendo.
L’aspetto inquietante è che i cybercriminali sanno esattamente dove guardare. Con le loro competenze, è diventato facile per loro scambiare o vendere queste informazioni nei marketplace del dark web, dove l’anonimato non significa responsabilità.
Perché i cybercriminali valorizzano i dati facilmente reperibili
Per i criminali informatici, anche i dati apparentemente banali sono utili. Ad esempio, avere indirizzo e numero di telefono di una persona permette di effettuare chiamate di phishing. Disporre della data di nascita e di una vecchia password può consentire di reimpostare accessi su diverse piattaforme.
All’inizio può sembrare innocuo, ma è proprio così che funziona la catena dello sfruttamento. I criminali non hanno quasi mai bisogno di tecniche di hacking sofisticate subito. Cominciano raccogliendo piccoli frammenti di dati, fino a metterne insieme abbastanza per ingannare o impersonare la vittima. Per questo motivo il mercato delle informazioni personali continua a crescere.
Il ruolo dei data broker e degli aggregatori
Al centro di questo sistema ci sono i data broker. Queste aziende si specializzano nella raccolta, nell’impacchettamento e nella rivendita di informazioni sui consumatori. Le loro fonti sono enormi: registri elettorali, post sui social media, acquisti online e persino dati di localizzazione raccolti da app mobili. Anche se alcuni broker operano entro i limiti della legge, la mancanza di trasparenza su dove e come i dati vengano condivisi rende quasi impossibile per i singoli tracciare la diffusione delle proprie informazioni.
I motori di ricerca persone rappresentano il livello visibile di questo ecosistema. Monetizzano la visibilità, permettendo a chiunque di accedere a parti del flusso dei dati. Sebbene per queste aziende sia legale compilare e distribuire tali informazioni, le implicazioni etiche e il potenziale di abuso sono enormi.
Ridurre la superficie di attacco
Anche se è impossibile cancellare ogni traccia dei propri dati da internet, passi proattivi possono aiutare a minimizzare l’esposizione. Qui entrano in gioco i servizi specializzati. Strumenti progettati per la rimozione rapida dalle piattaforme di ricerca persone inoltrano richieste ai data broker affinché eliminino le informazioni, aiutando così a ridurre l’impronta digitale individuale.
A differenza degli strumenti di cybersicurezza tradizionali, questi servizi non bloccano direttamente gli hacker. Lavorano invece sul lato preventivo, riducendo la superficie che i criminali possono sfruttare. Ad esempio, richiedendo la cancellazione da più directory, gli utenti rendono molto più difficile ai malintenzionati costruire profili accurati.
Uno sguardo più ampio: la cybersicurezza oltre i firewall
La cybersicurezza viene spesso descritta come questione di password forti, firewall e software antivirus. Sebbene queste difese siano essenziali, non affrontano il problema più profondo: la quantità di dati personali già esposti. I criminali raramente iniziano più con attacchi di forza bruta; partono da informazioni disponibili online gratuitamente o a basso costo.
Trattando i dati personali come la merce preziosa che sono, individui e organizzazioni possono comprendere meglio l’urgenza di limitarne la diffusione. Richieste di cancellazione, unite a comportamenti online più consapevoli, non sono scudi perfetti, ma rappresentano passi concreti per recuperare una certa misura di controllo.
Conclusione: un mercato che non rallenterà
La realtà è chiara: i dati personali resteranno una merce di alto valore finché internet esisterà. La facilità con cui directory e piattaforme di ricerca persone forniscono informazioni garantisce un flusso costante di materiale ai mercati del dark web. I criminali prosperano grazie a questa accessibilità, e ogni nuovo dataset alimenta ulteriori truffe e sfruttamenti.
Ciò che le persone possono fare è concentrarsi nel ridurre al minimo la propria impronta digitale, prima che i loro dati vengano riutilizzati per attività dannose. Consapevolezza, rimozione proattiva e vigilanza costante rimangono le difese più forti in un mondo in cui le informazioni personali sono diventate un bene commerciabile.
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Violenza di genere online: una sfida crescente che deve essere fermata
La data del 25 novembre è il giorno designato a livello internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, un momento cruciale per riflettere su tutte le forme di aggressione che colpiscono il genere femminile.
In un’era sempre più connessa, un’attenzione particolare va rivolta al fenomeno della violenza facilitata dalla tecnologia o technology-facilitated gender-based violence (TFGBV). Questa rappresenta il lato oscuro della rete, un’estensione digitale della violenza di genere tradizionale.
In vista della ricorrenza che chiude le iniziative di sensibilizzazione, questo articolo inaugura una serie di analisi dedicate alla violenza sulle donne in rete. La trattazione si svilupperà con la pubblicazione di un contributo a settimana, da oggi fino alla fine di novembre.
Da avvocato penalista, specializzato in digital crime e docente di Diritto penale dell’informatica, ho seguito in aula e studiato l’evoluzione di questi fenomeni. La mia esperienza processuale in materia mi ha permesso di osservare direttamente come, negli anni, sia cresciuto il corpus normativo per rispondere a questa emergenza. Purtroppo, sebbene si registri un aumento delle denunce, i fatti più gravi non accennano a diminuire, e anzi, la violenza digitale spesso si rivela un preludio al danno nel mondo reale.
Questo primo contributo fornirà un quadro generale sul fenomeno della TFGBV, definendone la portata e le manifestazioni principali in Italia e in Europa, analizzando la normativa applicabile in via generale. Gli articoli successivi si concentreranno sull’esame dettagliato di singoli reati specifici previsti dal diritto penale italiano, come il cyberstalking o la diffusione illecita di contenuti sessualmente espliciti.
Definizione e forme della violenza online
La TFGBV è definita come qualsiasi atto di violenza di genere compiuto o amplificato tramite mezzi digitali. Secondo l’UN Women, essa comprende ogni atto che utilizza le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e che risulti o possa risultare in danni fisici, sessuali, psicologici, sociali, politici o economici alle vittime. La sua natura non è una deviazione dal sessismo e dal maschilismo, ma piuttosto un loro continuum nella dimensione digitale, trovando nuove e potenti forme di oppressione patriarcale.
Le manifestazioni di questa violenza sono molteplici e subdole. Cyberstalking: condotte persecutorie ripetute via email, social media o messaggi, volte a intimidire o molestare la vittima, compromettendone il benessere e il senso di sicurezza.
Revenge porn: la diffusione non consensuale di immagini o video intimi. Si tratta di un fenomeno in cui le vittime sono quasi sempre donne, con la stragrande maggioranza dei casi in cui il materiale viene diffuso da ex partner.
Hate speech di genere: discorsi d’odio misogini o sessisti diffusi online, finalizzati a denigrare o istigare la discriminazione contro le donne o le minoranze di genere. L’ECRI (Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza) lo definisce come “istigazione… all’odio o alla diffamazione nei confronti di una persona o gruppo… sulla base del sesso, del genere, dell’identità di genere”.
Sextortion: estorsione sessuale online, un ricatto basato sulla minaccia di divulgare materiale intimo sottratto o ottenuto in altro modo, per ottenere favori sessuali o denaro.
La dimensione del fenomeno dati e preoccupazioni
I dati rivelano la gravità globale del problema. A livello mondiale, le stime ONU indicano che tra il 16% e il 58% delle donne sia stata vittima di qualche forma di violenza online. In Europa, già nel 2017 la commissione UE aveva calcolato che circa una donna su 10 (dai 15 anni in su) aveva subito atti persecutori o molestie sul web.
Il fenomeno è diffuso anche in Italia, dove studi recenti riportano che una moltitudine impressionante di persone ha scoperto online foto o video intimi privati senza il loro consenso, e di queste il 70% sono donne. In aggiunta, il 4% delle donne europee più giovani (18-29 anni) dichiara di aver subito online comportamenti persecutori ripetuti nell’ultimo anno. Questi numeri sottolineano l’urgenza di una risposta legale e sociale efficace. La cruda realtà processuale testimonia che la violenza online è raramente fine a sé stessa, ma spesso si traduce in minacce e danni che dal digitale si spostano nel reale, minando l’incolumità fisica e psicologica della vittima nel quotidiano.
I recenti fatti di cronaca, come il caso del gruppo facebook “Mia moglie” o quello che riguardava un portale con video intimi presi illecitamente da telecamere private e messi in vendita sul web, sono, tra l’altro, l’esempio drammatico dei diversi modi in cui la violenza sulle donne si manifesta.
Strumenti normativi europei e nazionali
In assenza di una normativa europea e nazionale organica e interamente dedicata alla TFGBV, la risposta giuridica si fonda sull’applicazione e sull’interpretazione estensiva di norme esistenti, spesso risalenti o concepite per un contesto non digitale, e su specifici interventi settoriali. L’incremento delle denunce, favorito dal miglioramento delle norme e della sensibilizzazione, conferma che le donne stanno trovando il coraggio di uscire dal silenzio, ma è imperativo che le istituzioni continuino a rafforzare la risposta giudiziaria per affrontare la persistenza dei fatti gravi.
A livello europeo, sebbene non esista ancora un atto specifico omnicomprensivo sulla TFGBV, diversi strumenti contribuiscono alla tutela:
- Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica) sebbene concepita prima della piena esplosione del digitale, i suoi principi fondamentali impongono agli Stati di sanzionare diverse forme di violenza.
- Direttiva 2011/93/UE sulla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che ha rilevanza per i casi di sextortion che coinvolgono vittime minorenni.
- Direttiva2024/1385 (UE)sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, che include espressamente la repressione di alcune forme di violenza online, come la condivisione non consensuale di materiale intimo e il cyberstalking, riconoscendole come reati che richiedono un approccio comune in tutta l’UnioneEuropea.
In Italia, il contrasto alla TFGBV è affrontato tramite il rigoroso utilizzo e l’interpretazione evolutiva del codice penale, spesso convalidata dalla giurisprudenza di cassazione che estende le tutele ai contesti online.
- Il cyberstalking è punito dal secondo comma dell’articolo 612-bis del codice penale, che sanziona gli atti persecutori realizzati attraverso strumenti informatici o telematici.
- Il revenge porn è stato specificamente criminalizzato dall’articolo 612-ter del codice penale (diffusione illecita di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito), introdotto con il codice rosso (Legge n. 69/2019). Tale norma punisce chi, dopo averli realizzati o ottenuti con il consenso della persona, li diffonde senza il suo consenso, cagionandole un pregiudizio.
L’inasprimento delle norme e la richiesta di maggiore responsabilità alle piattaforme sono solo una parte della soluzione. L’unica vera barriera contro ogni forma di sopraffazione, sia essa virtuale o fisica, risiede nella rivoluzione culturale. È indispensabile investire nell’educazione e nella sensibilizzazione per disinnescare alla radice il sessismo e la misoginia che alimentano l’aggressione di genere. La legge punisce, la cultura previene.
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Le grandi domande dell’essere umano… a Fumetti
Nelle storie disegnate – strisce a fumetti, graphic novel, manga – si ricerca la grandezza e la complessità del senso della vita. Come ricordava con un’espressione paradossale Umberto Eco: «Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese». Ogni lettore, dunque, può trovare un proprio senso alla lettura dei fumetti, che sono delle nuvole che passano nel cielo e che permettono di fermarsi e poter riflettere tra un disegno e l’altro, tra un «gulp» e un «gasp» o un «sigh», e scoprire che questi pongono con leggerezza, ironia e semplicità, le grandi domande dell’essere umano.
Zerocalcare e il suo Armadillo, Jacovitti, Charlie Brown e Snoopy, Mafalda, Dragon Ball, Asterix e molto altro: questa nuova edizione di Accènti raccoglie vari contributi sui fumetti proprio perché in essi appare un paradosso interessante che continua a dare da pensare: in ciò che è piccolo, semplice, è contenuto ciò che è grande, che potremmo sintetizzare nel detto latino sic parvis magna.
Lucy chiede a Charlie Brown: «Perché noi siamo sulla terra?»
«Per far felici gli altri», risponde.
Il volume «FUMETTI» include i contributi di Giancarlo Pani S.I., Claudio Zonta S.I., Giacomo Andreetta S.I. e una Presentazione firmata da Claudio Zonta S.I.
FUMETTI, il 31° volume della collana Accènti
«Accènti» è la collana monografica digitale curata dalla rivista dei gesuiti, che raccoglie, attraverso parole-chiave ispirate dall’attualità, il patrimonio di contenuti e riflessioni accumulato sin dal 1850 da La Civiltà Cattolica.
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Ungewollt im Internet: Neue Kampagne gegen Instrumentalisierung von Obdachlosen durch Influencer
Cosa hanno da insegnarci le piante
Dall’intreccio tra cultura indigena, scienza occidentale e mondo vegetale, una riflessione su come ripensare il legame tra esseri umani e natura.Il Tascabile
La guerra dei coloni agli ulivi ridisegna la Cisgiordania
@Notizie dall'Italia e dal mondo
Attacchi record dei settler israeliani ai palestinesi impegnati nella raccolta delle olive. Ferita gravemente anche una anziana
L'articolo La guerra dei coloni agli ulivi ridisegna la pagineesteri.it/2025/10/23/med…
Azure sotto attacco: app false che imitano Microsoft Teams e Portale di Azure
Una nuova ondata di inganni digitali ha colpito l’ecosistema Microsoft Azure, dove vulnerabilità appena scoperte hanno consentito ai criminali informatici di creare app dannose che imitavano perfettamente servizi ufficiali come Microsoft Teams o il Portale di Azure. Applicazioni “fake” identiche alle originali, capaci di trarre in inganno anche utenti esperti.
La scoperta, firmata dai ricercatori di Varonis, ha rivelato che le misure di sicurezza di Azure, progettate per bloccare i nomi riservati, potevano essere bypassate utilizzando caratteri Unicode invisibili. Inserendo caratteri come il Combining Grapheme Joiner (U+034F) tra le lettere, ad esempio in “Az͏u͏r͏e͏ ͏P͏o͏r͏t͏a͏l”, gli aggressori riuscivano a registrare app che apparivano legittime ma che il sistema interpretava come diverse. Un trucco subdolo, funzionante con oltre 260 caratteri Unicode, che ha permesso la creazione di app “clonate” con nomi riservati come Power BI o OneDrive SyncEngine.
Screenshot Varonis: esempio di app contraffatta che mostra il nome “Azure Portal” tramite caratteri Unicode invisibili
La vera forza di questo attacco risiedeva nell’inganno visivo: le pagine di consenso delle app contraffatte apparivano autentiche, spesso accompagnate da icone e loghi Microsoft. Molte applicazioni, infatti, non mostrano alcun badge di verifica, e gli utenti, vedendo nomi familiari, finivano per ignorare gli avvisi “non verificato” e concedere permessi completi.
Da lì partiva la seconda fase: e-mail di phishing costruite ad arte portavano le vittime su pagine di consenso falsificate, dove bastava un clic su “Accetta” per concedere token di accesso validi senza nemmeno inserire la password. In altri casi, gli attaccanti utilizzavano il cosiddetto phishing del codice del dispositivo, generando un codice di verifica legittimo per un’app malevola e convincendo la vittima a inserirlo su un portale apparentemente sicuro. In pochi secondi, la sessione veniva dirottata.
Chi lavora su ambienti Microsoft 365 conosce bene la potenza dei consensi applicativi e delegati: le prime permettono a un’app di agire per conto dell’utente, le seconde garantiscono accesso autonomo alle risorse. In mani sbagliate, questi permessi diventano strumenti di accesso iniziale, persistenza e escalation dei privilegi, aprendo la strada a compromissioni su larga scala.
Dopo la segnalazione, Microsoft ha corretto il bug nel bypass Unicode ad aprile 2025 e ha chiuso ulteriori varianti a ottobre 2025. Le patch sono state distribuite automaticamente, senza richiedere interventi diretti da parte dei clienti. Tuttavia, i ricercatori di Varonis sottolineano che il monitoraggio dei consensi, l’applicazione del principio del minimo privilegio e la formazione degli utenti restano elementi essenziali per ridurre il rischio.
Questo episodio dimostra ancora una volta come l’ingegneria sociale resti l’arma più efficace dei criminali informatici. Non servono exploit complessi quando basta una pagina di login perfettamente imitata e un nome familiare per convincere qualcuno a cliccare. Nel mondo del cloud, la fiducia può trasformarsi in una lama a doppio taglio: un consenso apparentemente innocuo può aprire le porte dell’intero tenant e compromettere seriamente la sicurezza dell’ambiente Microsoft 365.
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Anthropic lancia Claude Code! Ora il codice si scrive da solo
Anthropic ha lanciato una versione web di Claude Code, il suo assistente AI per programmatori in rapida crescita, che ora può essere utilizzato direttamente dal browser. Da lunedì, la nuova piattaforma è disponibile per gli abbonati ai piani Pro, Max e Max+, che costano tra i 20 e i 200 dollari al mese.
La versione web è accessibile dal sito web claude.ai, selezionando la scheda “Codice”, oppure tramite l’app mobile iOS.
In precedenza, Claude Code esisteva solo come strumento CLI avviato dal terminale, ma ora l’azienda si sta concentrando sulla possibilità per gli sviluppatori di creare e gestire i propri agenti di intelligenza artificiale in un ambiente familiare, senza dover installare software aggiuntivo.
Questa iniziativa rientra nella strategia di Anthropic volta ad espandere l’ecosistema Claude e trasformarlo in un ambiente di sviluppo multipiattaforma a tutti gli effetti.
Il mercato degli strumenti di programmazione basati sull’intelligenza artificiale è in rapida crescita: GitHub Copilot ha già rotto il suo monopolio e Google, OpenAI, Cursor e ora Anthropic hanno lanciato le proprie soluzioni. Claude Code, in particolare, ha registrato una crescita esponenziale negli ultimi mesi: la sua base utenti è decuplicata dal lancio generale a maggio e il prodotto genera oltre 500 milioni di dollari di fatturato annuo per l’azienda.
Kat Wu, Product Manager, ha attribuito il successo di Claude Code alla combinazione dei modelli ad alta fedeltà di Anthropic e alla loro facilità di interazione. Ha spiegato che il team si impegna a rendere l’utilizzo del servizio non solo efficiente, ma anche piacevole. Nonostante il lancio di una versione web, Wu ritiene che il terminale rimarrà la piattaforma principale per Claude Code, poiché offre agli sviluppatori la massima flessibilità e personalizzazione.
È interessante notare che circa il 90% del codice Claude è scritto utilizzando modelli proprietari. Wu, che in precedenza ha lavorato nel campo dell’ingegneria, ha ammesso di aver quasi completamente smesso di scrivere codice a mano e di dedicarsi principalmente alla revisione di soluzioni già pronte create dall’intelligenza artificiale.
Claude Code e strumenti simili segnano un cambio di paradigma: mentre i primi assistenti completavano singole righe di codice, gli agenti moderni possono eseguire attività in modo autonomo, trasformando gli ingegneri in gestori di sistemi di intelligenza artificiale. Tuttavia, non tutti gli sviluppatori hanno accolto con favore questa trasformazione. Alcuni studi dimostrano che la produttività quando si lavora con programmatori di intelligenza artificiale può essere ridotta dalla necessità di attendere le risposte del modello o di correggere errori in progetti di grandi dimensioni.
Ciononostante, le aziende continuano a investire in questa tecnologia. Il CEO di Anthropic, Dario Amodei, ha dichiarato in precedenza che l’intelligenza artificiale scriverà presto fino al 90% del codice. Sebbene questa sia già una realtà pressoché certa per Anthropic, il percorso verso un futuro simile per il resto del settore richiederà probabilmente più tempo.
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