Che liberale sei? Il test della Fondazione Luigi Einaudi
@Politica interna, europea e internazionale
Sei un liberale classico, un libertario o un liberal? O forse sei tutt’altro che liberale! Ti senti più conservatore o più progressista?
Si tratta di un divertissement, un gioco da fare da soli o in compagnia. Se siete in compagnia, vi darà uno spunto per dibattere, se siete soli, vi invoglierà a leggere un buon libro, a guardare un bel film, ad ascoltare una canzone indimenticabile
De Gasperi: l’europeista che vinse perdendo
Settant’anni senza Alcide De Gasperi e dobbiamo stare attenti a non cedere anche noi alla tentazione di farne un santino o, al contrario, di demonizzarlo per i suoi errori.
Trentino, classe 1881, De Gasperi nacque quando ancora quelle terre erano irredente. Per questo motivo, la sua prima avventura politica fu al Parlamento di Vienna, dove venne eletto per rappresentare una realtà ribollente di rabbia e incerta sul proprio futuro. Fu in quegli anni, segnati anche dall’orrore del primo conflitto mondiale, che egli maturò quegli ideali europeisti che lo avrebbero indotto, tanti anni dopo, a immaginare per l’Italia un ruolo di primo piano nel contesto della nascente Comunità europea.
Cari amministratori @Carlo Gubitosa :nonviolenza: @Signor Amministratore come vi comportate quando un vostro utente, come è il caso di @Oblomov offende senza alcuna ragione un altro utente di un'altra istanza?
Questo è il messaggio che ho rivevuto:
@enzoesco in tal caso @Pëtr Arkad'evič Stolypin sarebbe un coglione e non varrebbe comunque la pena di argomentare (tempo sprecato), ma no, il fatto stesso che abbia cercato di insistere per l'argomentazione dimostra che è un troll.
A me sembra che il messaggio non sia del tutto aderente alle regole di sociale.network
Anche le regole di Poliverso mi sembrano incompatibili con il comportamento di Oblomov, visto che si fa riferimento a questa roba qua: 0) L'utente deve conoscere la fediquette, una netiquette del fediverso: informapirata.it/2022/03/22/fe…
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@Che succede nel Fediverso?
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QUINDI CHE COSA AVETE INTENZIONE DI FARE?
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Difesa comune, se l’Europa fa i conti senza l’oste. L’analisi di Camporini
La dinamica accelerata degli ultimi mesi, con la crisi in Medio Oriente che non dà segni di avviarsi verso una qualsiasi forma di evoluzione, quella ucraina dove a linee del fronte pressoché stabilizzate continuano senza soste gli attacchi aerei a tutto il territorio, in una riedizione della strategia di Goering, il risorgere della minaccia terrorista e le incertezze politiche dovute alle prossime stagioni elettorali, questa dinamica ha rilanciato il dibattito sull’insostenibilità di un’Europa che nel suo complesso non appare disporre di uno degli strumenti chiave della politica verso l’estero: quello di un’adeguata e credibile capacità militare.
Si rinvigorisce quindi un dibattito che, avviato a valle dell’incontro di Saint Malo del dicembre 1998, dopo i solenni impegni dello Helsinki Headline Goal, ha attraversato fasi di stanca, per non dire di paralisi. Oggi si parla nuovamente di esercito europeo, di fondi europei per la difesa, addirittura con ipotesi di eurobond, ipotesi stroncata sul nascere da Berlino. Viene addirittura lanciata dalla presidente della Commissione l’ipotesi di un Commissario per la Difesa, senza peraltro dire come dovrebbe coordinarsi e dividere i compiti con la figura dell’Alto Rappresentante.
Per chi crede fermamente nella futura ever closer Union questo è un dibattito surreale, di chi vuole costruire un tetto senza prima elevare i muri di sostegno. Dovrebbe essere ormai chiaro a chiunque che uno strumento militare comune o anche il solo impiego coordinato e sinergico delle risorse militari ha senso solo se si sa che cosa farne, se sono ben fermi gli obiettivi politici che si vogliono perseguire anche, ma non solo, con l’uso pur solamente ventilato delle capacità operative di unità armate. Anche per il solo ruolo di mediatore di conflitti, un sagace analista ha affermato che bisogna avere un revolver carico in tasca.
Tutto ciò a monte della soluzione di una miriade di altri problemi di ordine organizzativo, di comando e controllo, di struttura produttiva e industriale, per i quali nel passato sono state provate soluzioni, sempre su base contingente e occasionale, come per le missioni in Bosnia e in Macedonia, a valle di quelle Nato, o per l’Artemis del 2003 in Congo. Tutto questo per dire che sul piano organizzativo non c’è molto da inventare, ma basta aver chiaro che cosa fare e avere la determinazione di farlo in modo sistematico.
Le circostanze citate ci dicono quindi che sul piano operativo, anche a livello strategico, il rapporto Ue-Nato si può reggere su basi sufficientemente solide e chiare, come bene evidenziato dagli accordi Berlin Plus circa l’utilizzo delle strutture di pianificazione e comando dell’Alleanza Atlantica, Shape, da parte dell’Unione europea, in caso di specifiche necessità. La struttura di comando peraltro è elemento chiave e irrinunciabile per una credibile e quindi efficace postura militare e disporne può essere il primo indispensabile mattone di quella ‘autonomia strategica’ a suo tempo evocata e da taluni intesa come lo strumento per allentare il vincolo transatlantico, mentre al contrario dovrebbe essere quello per assurgere a partner ‘near peer’ in grado di negoziare autorevolmente con Washington per la definizione di politiche condivise.
Venendo agli aspetti più squisitamente tecnici, più che a vagheggiare di un esercito europeo, sarebbe il caso di puntare più modestamente, ma più concretamente ad una standardizzazione degli equipaggiamenti e dei sistemi d’arma, in modo da abbatterne drasticamente i costi unitari e di esercizio e nel caso di operazioni congiunte da poter contare sulla possibilità di mutuo supporto fra contingenti di diverse nazionalità attivando catene logistiche unitarie.
Ma anche questo appare un obiettivo difficilmente raggiungibile, per concrete motivazioni legate alla politica industriale.
Uno dei più pesanti fattori che incidono pesantemente sulla potenzialità operativa dei paesi europei nel loro complesso è la frammentazione della base industriale della difesa, che impedisce il conseguimento delle economie di scala necessarie per assicurare un sufficiente rendimento delle spese per la difesa di ciascun paese: in sintesi, si dovrebbe spendere di più, ma prima si deve spendere meglio. Ma per ovvie motivazioni legate alla difesa dell’occupazione e della base tecnologica nazionale, ogni governo difende strenuamente i propri campioni, come Dassault, Krauss-Maffei e Leonardo, per citarne solo alcuni.
Una reale politica di europeizzazione della difesa deve quindi comprendere una strategia per indurre i grandi complessi industriali a forme sempre più strette di collaborazione allo scopo di attuare progetti comuni per i principali sistemi d’arma: non si dovrebbero più verificare situazioni come quella dello sviluppo contemporaneo di due velivoli da combattimento, come Rafale e Eurofighter, con una duplicazione dei costi di sviluppo e un incremento inaccettabile dei costi di produzione e invece ci stiamo ricascando con GCAP e SCAF. La strada è quella di incentivi irrinunciabili, secondo il modello dello European Defense Fund, ma con risorse superiori di due ordini di grandezza.
Il modello Next Generation Eu, pur nella sua specifica eccezionalità, potrebbe indicare la strada, che al momento non appare percorribile per la rigida opposizione di molti stati membri, a partire dalla Germania, ma l’acuirsi delle crisi internazionali potrebbe indurre a rapidi ripensamenti, come per la crisi pandemica, aprendo la via a una nuova stagione, in cui le capacità operative dei paesi europei nel loro complesso, a sostegno di una coerente e condivisa politica estera comune, potrà ridare all’Ue il ruolo di interlocutore paritario che oggi francamente non ha.
Presentazione dell’Osservatorio Carta, Penna e Digitale presso Assocarta
26 marzo 2024, ore 12:30, in presenza presso la sede di ASSOCARTA – Bastioni Porta Volta 7, Milano e in videoconferenza
Associazione Italiana Editori, Federazione Carta e Grafica e Federazione Italiana Editori Giornale: invitano le aziende alla presentazione del nuovo Osservatorio Carta, Penna e Digitale.
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LYMEC Digital Assembly – ‘Non dica gay’ – Protection of LGBTQIA+ rights in Italy and beyond
Dear liberal friends,
Before you all go on Christmas holidays, we are back with our next opportunity in 2024!
It is time for our first LYMEC Digital Assembly of 2024. This event (already our #8 Digital Assembly) will take place online on Saturday, 3rd February 2024 between 10:30-13:00 CET (Brussels time). This event is supported by the Friedrich Naumann Foundation for Freedom (FNF) – European Dialogue.
In our constant efforts to increase the amount of opportunities to meet the current leadership and to discuss together the main issues we are facing today in Europe.
The agenda will be as follows:
PART A – The topic of the event will be focusing on LGBTQIA+ rights, as LYMEC recently adopted a resolution on the current worrying developments on the matter in Italy. The proposal is calling upon EU Member States and representatives to maintain pressure on Italy to back down from these latest queerphobic policies, respect civil liberties and political rights for the LGBTQ+ community. We would like to therefore open the discussion around this pressing issue in Italy and see with a set of local speakers and experts how the European community can support the Italian LGBTQ+ community to face the new realities. It is very important for us young liberals to be vocal and at the forefront of the fight for the rule of law and civil liberties all over in Europe. The draft programme with the list of speakers will be circulated to the registered participants. We will be coordinating with our partner organisations in Italy for this event and especially the Fondazione Luigi Einaudi.
PART B – It will be dedicated to the Bureau presenting what has been done so far since the Autumn Congress (in Riga last November) and what the plans and actions for the coming months are, especially in light of the European Elections in 2024 and the ongoing Russian invasion of Ukraine. This will be primarily an opportunity for delegations to ask questions and share their concerns/comments with the current leadership. Questions or comments for Part B can be sent to office@lymec.eu and bureau@lymec.eu anytime ahead of the event or you can simply ask for the floor during the event.
Schedule:
The meeting will start at 10 h 30 CET (Rome time) and end around 13 h 00 CET.
The event will take place fully online on Zoom conferencing platform. The link will be sent to registered participants the days before the event.
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Spese per la difesa fuori dal patto? In Europa la voce dell’Italia è ascoltata. Parla Loperfido (FdI)
“Resterà deluso chi mesi fa in Aula accusava furbescamente il governo di togliere i fondi agli asili o alla sanità per pagare gli aiuti all’Ucraina”. Si riferisce evidentemente alle accuse grilline il deputato di FdI, Emanuele Loperfido, membro della commissione Difesa nel commentare a Formiche.net la decisione europea di accettare la linea dell’Italia e di tenere le spese della Difesa al di fuori dei parametri del Patto di stabilità.
Quali le prospettive di questa scelta?
È la dimostrazione che un’Europa diversa è possibile: da quando ci siamo insediati come governo, a furia di insistere, si è diventati meno rigidi e più comprensivi rispetto alle buone proposte. Il fatto di togliere le spese della difesa da quei parametri è un risultato molto positivo, perché vuol dire che possiamo destinare quelle risorse alla sanità, al sociale, all’istruzione, a al contempo continuare a fare investimenti per l’Italia in un settore strategico. Proveremo ad arrivare a quel famoso 2% che è un obiettivo condiviso da tutti i paesi Nato. Per cui la considero una vittoria dell’Italia e del governo Meloni, quindi capisco la soddisfazione del ministro Crosetto.
L’opposizione spesso vi ha accusato di togliere fondi al sociale per comprare armi. Da oggi cosa cambia?
Resterà deluso chi mesi fa in Aula accusava furbescamente il governo di togliere i fondi agli asili o alla sanità per pagare gli aiuti all’Ucraina. In questo modo abbiamo liberato le risorse per la sanità, il sociale e la fiscalità: inoltre abbiamo dimostrato che in Europa la voce dell’Italia è ascoltata. Noi continueremo a investire nel sociale, nell’istruzione e nella sanità ma anche nelle armi così come fanno tutti i Paesi europei e soprattutto per il momento delicato in cui ci troviamo, dal momento che proseguiremo nel sostegno all’Ucraina.
Come impatta questa decisione su fronti aperti come il dossier Ucraina?
Noi continuiamo a essere i principali sostenitori di una coalizione unita per l’Ucraina e continueremo anche a fornire armamenti che saranno sempre più omogenei: ciò aiuterà anche un facile addestramento dei membri degli eserciti europei. Ricordo che noi siamo quelli che da tempo parlavano di una politica di difesa comune e di un esercito europeo, magari occorreranno ancora degli anni, ma penso che questi sono dei piccoli passi che potranno aiutare quantomeno ad avere agilità nelle risposte. Ma non è tutto.
Ovvero?
Penso anche alla questione di un centro unico di fornitura in vista della costituzione di un mercato unico europeo nel settore degli armamenti. Lo si evince da un documento del Centro alti studi per la difesa che spiega in dettaglio come sia un obiettivo comune a lungo termine. Un obiettivo che porterà dei vantaggi anche all’industria italiana della difesa che può contare su aziende tecnologicamente avanzate su scala mondiale: potranno fare davvero la differenza e con una serie di ripercussioni positive sull’economia italiana anche dal punto di vista occupazionale.
@FDepalo
L’AIE aderisce all’Osservatorio “Carta, penna e digitale” della Fondazione Einaudi
L’Associazione italiana editori (AIE) ha aderito quest’oggi all’Osservatorio “Carta, penna & digitale” della Fondazione Luigi Einaudi. Un progetto nato per promuovere, soprattutto nei giovani, l’importanza della lettura su carta e della scrittura a mano, abitudini imprescindibili per un corretto sviluppo delle attività cognitive. Significativa è, dunque, l’adesione di AIE, presieduta da Innocenzo Cipolletta: la più antica associazione di categoria italiana, da sempre attenta a questi temi. L’Osservatorio, al quale hanno già aderito i confindustriali di Federazione Carta e Grafica e Comieco, è stato presentato a novembre a Milano alla fiera BookCity e riproposto oggi a Roma in occasione della Fiera internazionale della piccola e media editoria, “Più libri più liberi”. Di fronte a una platea di studenti delle scuole secondarie.
“Luigi Einaudi riteneva che una società è sana quando ciascuna persona è messa nelle condizioni di realizzare al massimo le proprie potenzialità. Sta accadendo esattamente il contrario”, ha detto il Segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi, Andrea Cangini. “Nessun pregiudizio sul digitale, che sta trasformando e migliorando le nostre vite, ma carta e penna sono letteralmente insostituibili”, sottolinea.
Lo scorso luglio, la Fondazione Luigi Einaudi ha presentato in Senato uno studio che, compendiando le principali ricerche scientifiche internazionali, ha dimostrato l’importanza della scrittura a mano e della lettura su carta, soprattutto nel mondo dell’Istruzione. Perdere queste consuetudini significherebbe compromettere il pensiero logico-lineare, impoverire il linguaggio, limitare la conoscenza, fiaccare la memoria. Un danno alla persona, un danno alla società. A conclusioni analoghe sono recentemente giunti sia il governo svedese sia l’Economist britannico.
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La forza della legalità e del senso del dovere
La Camera Civile di Firenze ha organizzato, in condivisione con la Fondazione per la Formazione Forense, il Comune di Firenze, l’Ordine degli Avvocati di Firenze, Fondazione Spadolini, Fondazione Luigi Einaudi, e con il patrocinio della Federazione delle Camere Civili, UNCC e Università degli Studi di Firenze, un interessante convegno dal titolo “La forza della legalità e del senso del dovere”, coordinato dal Prof. Pier Francesco Lotito e con illustri partecipanti, tra cui la Presidente della Corte di Cassazione Dott.ssa Margherita Cassano, l’Avv. Umberto Ambrosoli e il nostro Direttore degli affari europei Avv. Prof. Marco Mariani
Programma
Dario Nardella – Sindaco di Firenze
Avv. Sergio Paparo – Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Firenze
Avv. Francesca Cappellini – Presidente Camera Civile di Firenze e Federazione delle Camere Civili della Toscana
Prof.ssa Irene Stolzi – Direttore Dipartimento Scienze Giuridiche Università di Firenze
Avv. Prof. Marco Mariani – Direttore degli affari europei della Fondazione Luigi Einaudi
Prof. Cosimo Ceccuti – Presidente della Fondazione Spadolini Nuova Antologia
Introduce e coordina
Prof. Pier Francesco Lotito Università degli Studi di Firenze
Relatori
Dott.ssa Margherita Cassano – Presidente della Suprema Corte di Cassazione
Dott. Ettore Squillace Greco – Procuratore Generale della Corte di Appello di Firenze
Avv. Umberto Ambrosoli – Foro di Milano
Avv. Gaetano Viciconte – Vice Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze
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Tornado, F-16, Rafale, Mirage. Ecco l’Italia al Nato Tiger Meet 2023
Dopo 35 anni l’Italia torna ad ospitare il Nato Tiger Meet che annualmente dal 1960 fa interagire i Gruppi di Volo delle diverse Forze Armate dell’alleanza. Dalla base di Gioia del Colle in Puglia caccia ed elicotteri di 10 Paesi Nato sono i protagonisti di un’esercitazione che si svolge in un momento geopolitico particolarissimo, caratterizzato dagli effetti della guerra in Ucraina, dalla presenza di mezzi navali non Nato nel Mediterraneo e dal conflitto scoppiato due giorni fa in Israele dopo gli attacchi di Hamas.
Tiger
70 aeromobili ad ala fissa, 10 ad ala rotante e unità navali fino al prossimo 13 ottobre opereranno in acque internazionali, mar Tirreno, canale di Sicilia e mar Ionio: l’Italia, anche in concomitanza con i festeggiamenti per il centenario dell’Aeronautica Militare, partecipa con i Typhoon assieme a Tornado, F-16, Rafale, Mirage. Le operazioni si stanno svolgendo nello spazio aereo di Puglia, Calabria e Basilicata con l’obiettivo di perfezionare l’interoperabilità degli assetti in missioni di difesa e interdizione aerea, di supporto a truppe a terra (Close Air Support – CAS) o di ricerca e recupero di personale in ambiente ostile (Personnel Recovery-PR). Tale addestramento in gergo viene chiamato Large Force Employment (LFE).
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Perché in Italia
“Dopo 35 anni abbiamo organizzato questa esercitazione internazionale in Italia con un ritorno addestrativo elevatisismo – spiega il Maggiore Emanuele Fumanti, comandante del XII Gruppo Caccia Intercettori, gruppo di volo che fa parte del 36º Stormo di stanza a Gioia del Colle – con un grandissimo numero di assetti. Siamo 70 velivoli su 19 gruppi Tiger, ovvero quei gruppi che hanno come logo una tigre. In base al piano quinquennale stabilito dai comandanti dei gruppi Tiger, il 2023 è stato l’anno dell’Italia: la coincidenza con il centenario ci ha fatto molto piacere ma non è stato voluto”.
Tra Ucraina e Israele
L’esercitazione si inserisce in un peculiare contesto geopolitico dove, accanto alla guerra in Ucraina, si segnalano l’iperattivismo russo nel Mediterraneo allargato e l’attacco di Hamas contro Israele che comunque rientra nel cono di interesse geopolitico di Ue e Nato. In primis va segnalata l’iniziativa di Mosca in Libia dove interloquisce con il generale Khalifa Haftar per ottenere i diritti d’attracco ai porti della Cirenaica. Un elemento, questo, che avrebbe come prima conseguenza il potenziamento oggettivo della capacità militare russa nel Mare Nostrum con un tentativo di interferenza con le attività della Nato: appare di tutta evidenza che il ruolo dei porti libici, vicinissimi al canale di Sicilia e al Mar Adriatico, è strategico per Putin.
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Russi nel Mediterraneo
In secondo luogo, sono stati numerosi i passaggi di navi militari e sottomarini russi al largo delle coste pugliesi e calabresi: nel giugno 2022 l’incrociatore “Varyag” transitò a circa 150 miglia dal golfo di Taranto, in acque internazionali, per poi dirigersi verso Creta. In quei giorni c’era un totale di 18 navi militari russe nel Mediterraneo, più due sommergibili.
Lo scorso maggio ancora la presenza della flotta russa al largo di Puglia e Calabria, con la fregata Ammiraglio Gorshkov, armata con i missili ipersonici Zircon che volano a 10 mila chilometri orari. Pochi giorni fa l’ultimo avvistamento: il sottomarino russo Krasnodar, classe Kilo, dopo due anni di attività dalla base siriana di Tartous è passato dall’Italia con destinazione Gibilterra a raggiungere i porti del Baltico.
Cosa sappiamo del sottomarino nucleare cinese (forse) affondato
Un sottomarino d’attacco a propulsione nucleare Type 093 (denominazione Nato “Shang”) della Marina militare dell’Esercito popolare di liberazione cinese avrebbe subito un gravissimo incidente lo scorso agosto, portando alla morte 55 membri dell’equipaggio. Lo scrive in esclusiva il quotidiano britannico Daily Mail, che cita un rapporto dell’intelligence britannica.
Secondo il rapporto, il sottomarino, impegnato in una missione imprecisata nelle acque del Mar Giallo, è rimasto impigliato il 21 agosto scorso in una trappola per sottomarini precedentemente posizionata proprio dalle forze cinesi contro eventuali intrusioni di sottomarini statunitensi e dei Paesi loro alleati. L’urto con l’ostacolo avrebbe “causato guasti ai sistemi che hanno richiesto sei ore per riparare e riportare in superficie il vascello”. In quel lasso di tempo, un “guasto catastrofico” del sistema di rigenerazione dell’aria avrebbe causato la morte per ipossia di 17 marinai e 22 ufficiali, incluso il comandante del sottomarino, Xue Yong-Peng.
Ufficialmente, la Cina nega che l’incidente sia mai avvenuto, e ha bollato come “completamente false” le indiscrezioni in proposito. Ufficiosamente, Pechino avrebbe respinto dopo l’incidente diverse offerte di assistenza internazionale. Quanto alla sorte del sottomarino, non è chiaro se l’unità sia stata recuperata o se sia andata definitivamente perduta a seguito dell’incidente.
“C’erano rumor” ad agosto, alimentati soprattutto dai media taiwanesi, “è plausibile”, risponde su X uno dei maggiori esperti di questi temi, H I Sutton.
There were rumors at the time, it’s plausible t.co/OVRhtP09na— H I Sutton (@CovertShores) October 3, 2023
Lo storico Phil Weir ha fatto notare che non sembrano essere state registrate attività insolite da parte delle navi cinesi di supporto/salvataggio sottomarini.
I’d have thought a key marker would be some unusual activity from their submarine support/rescue ships. The North Sea Fleet has at least four, & PLAN has at least three DSRVs, including an LR-7 they bought from Britain.
I’ve not heard anything, but haven’t been closely watching— Dr Phil Weir (@navalhistorian) October 3, 2023
De-risking e gallio, i rischi per la difesa e la sicurezza nazionale
Due metalli per semiconduttori, con un consumo globale complessivo stimato dall’industria di circa 800 tonnellate all’anno e con un crescente peso nelle tecnologie militari, digitali e green, sono entrati di prepotenza nella ‘guerra’ commerciale e tecnologica tra Stati Uniti e Cina, mentre l’industria già si prepara per affrontare le potenziali implicazioni dei nuovi controlli sulle esportazioni imposti da Pechino.
A circa una settimana dall’entrata in vigore delle misure imposte dal ministero del Commercio cinese citando interessi di sicurezza nazionale, come si leggeva nella nota pubblicata circa un mese fa, è ancora poco chiaro quali saranno le reali conseguenze sui mercati globali. O cosa sia necessario per ottenere la licenza o comportare un divieto, secondo quanto annunciato dal Ministero. Tuttavia, i produttori cinesi dovranno fornire informazioni dettagliate sui clienti, per verificare quale ne sia l’utilizzo finale, se civile o militare. La Cina potrebbe quindi essere principalmente interessata a controllare i Paesi a cui vengono fornite queste materie prime.
La tempistica dell’annuncio, appena prima della visita in Cina del Segretario al Tesoro statunitense Janet Yellen e un giorno dopo l’annuncio di nuove limitazioni alle esportazioni di apparecchiature avanzate per la produzione di chip, ha portato alcuni operatori di mercato a concludere che la mossa della Cina fosse più simbolica che guidata da motivi pratici. In realtà, la legislazione che introduce restrizioni per le esportazioni di materiali o tecnologie ritenute strategiche o ‘sensibili’ è in vigore da tempo, introdotta nell’ottobre 2020, ma la natura e l’entrata in vigore della misura hanno creato un’enorme incertezza. Più evidente è il controllo della Cina di questo materiale critico, che rischia di creare una vulnerabilità per le supply chain di un numero considerevole di applicazioni e tecnologie.
UN MATERIALE RIVOLUZIONARIO…
Il gallio, così come il germanio, hanno una lunga storia che inizia nell’industria dei semiconduttori. Il primo chip per computer al mondo è stato realizzato nel 1958 con il germanio, anche se è stato rapidamente soppiantato dal silicio, molto più economico e abbondante. Più recentemente, il gallio è stato il primo metallo ad essere adottato su larga scala, sotto forma di arseniuro di gallio (GaAs) e nitruro di gallio (GaN), in una nuova classe di materiali in rapida evoluzione chiamata compaund semiconductors. Ad oggi, il silicio rimane il principale materiale per fabbricare i microchip, con la produzione di wafer al silicio concentrata in Giappone. Ma la scienza dei materiali ha fatto passi da gigante. Oggi il gallio è cruciale per una serie di applicazioni high-tech, dai cavi in fibra ottica alle stazioni per le telecomunicazioni 5G, dalle rilevatori termini ai laser, dai LED ai pannelli solari per satelliti e al controllo dei sistemi di power management per batterie e motori dei veicoli elettrici (EV).
Questa nuova generazione di materiali offre intervalli energetici (band gap nel lessico dell’ingegneria elettronica) più ampi rispetto al silicio per reggere la potenza e le frequenze necessarie nelle applicazioni di amplificazione. Il GaN è anche più efficiente dal punto di vista energetico rispetto al silicio, potendo gestire più tensioni in un’area più piccola. Il gallio, un metallo morbido e bluastro, non compare diffusamente a livello geologico, in quanto viene recuperato come sottoprodotto dell’alluminio dalla lavorazione bauxite, ad un livello di concentrazione molto basso (circa 50 parti per milione). Vi sono alcuni giacimenti di zinco che contengono importanti concentrazioni di gallio, che potrebbero offrire una valida alternativa per diversificare l’attuale fornitura del metallo.
Un recente brief report del Center for Strategic and International Studies (CSIS), think tank di Washington, ricostruisce alcuni importanti dettagli nella storia scientifica e industriale intorno al gallio. Le straordinarie proprietà chimico-fisiche siano state scoperte negli Stati Uniti e con il tempo perfezionate nelle applicazioni end-use dal Defense Advanced Research Project Agency (DARPA) sin dalla fine degli anni 70’. Lo sviluppo dell’arsenuro di gallio è stato al centro della leadership americana nello sviluppo del sistema GPS, dei missili teleguidati e dei radar più avanzati. Anche il nitruro di gallio è stato lanciato, attraverso la ricerca applicata del DARPA, per lo sviluppo di radar ancora più sofisticati. Nel 2019, Raytheon si è assicurata un contratto dal Pentagono da oltre 380 milioni di dollari per lo sviluppo di chip al nitruro di gallio per i missili Patriot dello US Army. Nel 2022 è seguito un contratto da 3,2 miliardi di dollari per equipaggiare fino a 31 navi con radar AN/SPY-6 alimentati a GaN, tra cui i nuovi cacciatorpediniere Arleigh Burke classe Flight III, le portaerei e le navi anfibie della Marina.
Come anticipato, come per il 5G e gli EV, l’importanza del gallio è destinata a crescere. Quasi l’80% del gallio consumato nel mondo è sotto forma di wafer di GaN, GaAs e fosfuro di gallio (GaP), utilizzati principalmente nei semiconduttori e nelle apparecchiature di telecomunicazione. Mentre i continui progressi nella produzione di chip spingono i limiti della legge di Moore, gli esperti del settore considerano i composti di gallio una alternativa per spingere ancora oltre l’avanzamento dell’elettronica miniaturizzata. Questi trend di mercato e tecnologici dovrebbero portare a una crescita annua del 25% del mercato globale dei chip GaN fino al 2030 e si stima, come riporta il CSIS, che le applicazioni per la difesa rappresenteranno circa la metà di questo aumento. Negli USA attualmente vi sono importanti produttori come Wolfspeed e ONsemi, mentre in Europa la tedesca Infineon e l’olandese NXP già sviluppano e producono chip al nitruro di gallio. Seppur queste aziende guardino al mercato civile (automotive e telecomunicazioni), il crescente peso del nitruro di gallio per le tecnologie militari rende la supply chain particolarmente esposta, a sottolineare il valore strategico del gallio per la modernizzazione militare degli Stati Uniti e degli alleati vis-a-vis con Pechino.
CONTROLLATO DALLA CINA…
Secondo i dati dello US Geological Survey, che classifica il gallio come critico sin dal 2018, al 2022 la Cina produceva il 98% del gallio allo stato puro, principalmente come sottoprodotto dell’alluminio. La storia della presa di Pechino su questo materiale strategico segue, infatti, la progressiva delocalizzazione dell’industria siderurgia ed estrattiva che ha consegnato, in un pattern simile, nelle mani di Pechino anche l’estrazione e raffinazione delle terre rare fino alla produzione di magneti permanenti al neodimio (altro punto critico per la base industriale della difesa americana). Grazie a ingenti sussidi governativi e incentivi fiscali, la Cina ha decuplicato la produzione di alluminio (da 4,2 a 40,2 milioni di tonnellate) tra il 2000 e il 2022. Oggi le industrie cinesi, tra cui Chinalco (azienda a controllo statale) forniscono circa il 59% dell’alluminio mondiale.
Table 1 | Analisi del rischio di approvvigionamento delle materie prime. Fonte: CSIS su studio elaborato dallo US Geological Survey.
Avendo conquistato il settore dell’alluminio, la Cina ha così potuto gettare la base per assorbire la produzione globale di gallio. Come? Attraverso l’implementazione, da parte del governo centrale, di una rigorosa politica industriale. I risultati sono evidenti: dal 2005 al 2015 la produzione cinese di gallio è esplosa da 22 tonnellate metriche a 444 tonnellate metriche. La rapida ascesa della Cina nel settore ha creato un eccesso di offerta nel mercato globale, innescando gravi fluttuazioni nei prezzi del gallio per gran parte degli anni 10’ del XXI secolo. Di conseguenza, i principali fornitori nel Regno Unito, Germania, Ungheria e Kazakistan sono stati costretti a chiudere la produzione.
La dimensione relativa di questo mercato non deve ingannare: secondo una stima dello USGS, un’interruzione del 30% delle forniture di gallio potrebbe causare un calo di 602 miliardi di dollari nella produzione economica degli Stati Uniti, pari al 2,1% del prodotto interno lordo. Un leverage economico notevolissimo, senza contare le ricadute sulla sicurezza nazionale qualora si verificassero interruzioni delle forniture per l’industria della difesa. Tra il 2018 e il 2021, gli USA hanno importato gallio metallico per un valore medio di 5 milioni di dollari e wafer all’arsenuro di gallio per 220 milioni di dollari. Cifre che giustificano la convenienza economica delle importazioni, ma non il loro valore strategico: il 53% proveniva dalla Cina, seguita da Giappone (16%), Germania (13%), Ucraina (5%) e altri paesi (16%) secondo i dati della US Critical Mineral Association.
Ma come accaduto per altri minerali e metalli critici, nel giro di un decennio la dipendenza è passata a stadi a maggior valor aggiunto dal momento che il governo cinese ha deciso di investire nel settore, e in piccole-medie imprese innovative, per abilitare il suo sviluppo tecnologico. Per raggiungere questo obiettivo, Pechino sta sostenendo attivamente le aziende cinesi nel superare gli Stati Uniti e i loro alleati per diventare leader mondiale nella produzione di semiconduttori a base di gallio. Il 14° Piano quinquennale, il principale programma economico nazionale cinese pubblicato nel 2021, identifica i semiconduttori ad ampio bandgap – in particolare il GaN un altro composto, il carburo di silicio – come un’area chiave.
L’obiettivo: saltare, a piè pari, il vantaggio tecnologico occidentale basato sulla manifattura di chip basati sul silicio, facendo leva sulle nuove applicazioni (strategiche) del gallio. Un mercato relativamente recente, ma destinato come evidenziato pocanzi a maturare molto velocemente, come per gli EV. Chi riuscirà a costruire vantaggi competitivi, se ne aggiudicherà una buona fetta. L’industria dei veicoli elettrici ha bisogno di gallio metallico da aggiungere ai magneti di terre rare al neodimio ad alte prestazioni nei motori. La domanda è in crescita e, secondo le stime dell’industria, si aggira attualmente intorno alle 130 tonnellate annue. La Cina ne ricava la maggior parte per la sua industria dei magneti, mentre il Giappone ne consuma circa 30 t/a.
“Man mano che l’industria dei semiconduttori passa dal silicio al gallio, la Cina si sta preparando a ad assumere la posizione di leader”, le parole di Hao Xiaopeng dello State Key Laboratory of Crystal Materials.
E LE POSSIBILI CONTROMISURE…
Come riporta il CSIS, lo sforzo della Cina di controllare il mercato è stato multidimensionale, compresi spionaggio e acquisizioni strategiche. Proprio per la criticità del gallio, le autorità statunitensi sono intervenute più volte per tutelare aziende americane ed europee: nel 2010 una giuria federale del Massachusetts aveva condannato due cittadini cinesi per aver esportato illegalmente componenti elettronici vietati per l’esportazione e contenenti tecnologia GaAs a enti militari in Cina. Nel 2015 il Comitato per gli investimenti esteri negli Stati Uniti (CFIUS) ha bloccato un’offerta di 2,9 miliardi di dollari da parte di investitori cinesi per la filiale di componenti LED di Philips. Il CFIUS ha citato, a motivazione del suo giudizio negativo, che la Cina ricercasse tecnologia GaN dell’azienda per scopi militari. Sempre il CFIUS ha interdetto un’offerta di 713 milioni di dollari da parte di un’azienda cinese per la filiale statunitense del produttore tedesco di chip GaN Axitron, citando le minacce alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Nel 2018 il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha incriminato due persone per aver sottratto tecnologie riservate a Wolfspeed (e uno dei principali fornitori dell’esercito americano) e destinate a due dei principali centri di sviluppo radar dell’Esercito di Liberazione della Cina (PLA).
Il governo statunitense ha imposto tariffe sulle importazioni di gallio cinese e di molti altri metalli e composti all’inizio della guerra commerciale e tecnologica tra Stati Uniti e Cina nel 2018. Anche i prodotti chimici e gli ossidi di germanio erano soggetti alle tariffe, inizialmente imposte al 10% e successivamente sono salite al 25%. Sebbene l’obiettivo fosse quello di “creare condizioni di parità”, gli industriali si sono lamentati del fatto che le tariffe hanno aumentato gli oneri per i produttori statunitensi, ma non hanno incrementato l’offerta di metalli e materiali critici.
Come per altri materiali critici, come lito e grafite su cui gli USA, tramite gli incentivi federali dell’Inflation Reduction Act (IRA) cercano di aumentare la produzione domestica, non esistono soluzioni rapide e indolori per diversificare l’offerta e attuare una strategia di de-risking dalla Cina. Il gallio, così come il germanio, viene attivamente riciclato negli Stati Uniti e in Europa. Tra i fornitori figurano l’azienda canadese Neo Performance Materials, la statunitense Indium e la belga Umicore. Pochi giorni dopo l’annuncio delle autorità cinesi sui futuri export controls, i vertici della Commissione europea hanno contattato Mytilineos Energy & Metals, un produttore greco di alluminio, per valutare la possibilità di produrre gallio come sottoprodotto della sua raffineria che trasforma la bauxite in alluminio. L’Europa importa circa il 70% del suo fabbisogno interno dalla Cina.
Tra le soluzioni elecante dal CSIS, vi sono il ricorso al Defense Production Act (DPA) già invocato dall’amministrazione Trump e i seguito da quella Biden per incentivare la produzione di materiali strategici, la collaborazione con i partner oltreoceano come l’Australia, che possiede significative riserve di bauxite, incentivare il riciclo, lo stoccaggio e una maggiore trasparenza nei flussi e nei dati di mercato, lungo tutta la catena del valore. Sforzi necessari, ma che rimarranno complessi per la natura ristretta del mercato, vista da molti operatori come una barriera all’ingresso di fronte allo strapotere cinese.
Come perseguire l’interesse nazionale. La ricetta di Crosetto, Cingolani e Folgiero
L’interesse nazionale è uno strumento fondamentale, una bussola che deve orientare l’azione dello Stato a prescindere dal colore politico del governo in carica, per la cui definizione sono necessarie le migliori energie del Paese. Questo è solo uno dei temi emersi nel corso del Med-Or Day, l’appuntamento annuale della fondazione creata nel 2021 da Leonardo, e giunto alla terza edizione, dal titolo “Italia, Europa, Mediterraneo: per una nuova visione dell’interesse nazionale”. “In un mondo così disordinato, l’interesse nazionale costituisce in qualche modo una bussola, un’idea non solo per questa o quella alleanza di governo”, ha infatti aperto i lavori della serata il presidente della fondazione, Marco Minniti, aggiungendo come si tratti di qualcosa che “unisce, non quello che divide”.
Italia, ponte mediterraneo
Per il presidente Minniti, “in questo mondo così profondamente interconnesso l’interesse nazionale si gioca fuori dai confini nazionali”, sottolineando come un pezzo fondamentale per l’Italia “si giochi nel rapporto tra Europa e Mediterraneo”. Essendo “al centro del Mediterraneo, il suo ruolo è quello di fare da ponte tra Europa e Mediterraneo allargato”, una posizione che le consente di diventare un “punto di congiunzione fisico con il Global South”.
L’importanza dell’interesse nazionale
“Perseguire l’interesse nazionale non è una cosa facile, significa anche capire quali sono le ambizioni e quali perseguire”. A sottolinearlo il ministro della Difesa, Guido Crosetto, intervenendo ai lavori, aggiungendo come “siamo un Paese piccolo, serve una visione e una strategia che trovi il concorso di migliaia di persone”. “Viviamo tempi difficili e drammatici – ha proseguito il ministro – e non esiste un Paese che abbia un futuro se non esiste una classe dirigente, soprattutto quella pubblica, che pensa di costruire una strategia” per il suo futuro, aggiungendo come non esistano “conduttori illuminati” che possano sostituirsi al lavoro di squadra necessario richiesto alle leadership nazionali. “Dobbiamo costruire un campo neutro e parlare di queste cose e non lasciare le cose nelle mani della politichetta”, ha allora proposto Crosetto, segnalando l’importanza che ad agire sia l’ossatura burocratico-industriale dello Stato, definito dal ministro il “deep state” costante anche col cambio dei governi: “Se domani il governo cadesse il 90% di questa sala rimarrebbe al suo posto”, ha detto il ministro rivolgendosi alla platea del Med-Or Day.
La dimensione industriale
La definizione di un interesse nazionale è importante anche per la dimensione industriale. Come registrato ancora dal ministro Crosetto, “un piccolo Paese come l’Italia non può perseguire tutto, può essere un leader sugli elicotteri, sull’elettronica, sulle navi, nel settore spaziale, ma non può essere leader in tutto”. Lo Stato, dunque, deve fare una scelta, orientandosi verso quello su cui ritiene importante assumere un ruolo di guida “quello che tra trent’anni ti garantirà di essere tra i leader del mondo”. Per fare questo, ancora una volta c’è bisogno di un “lavoro di squadra” della classe dirigente pubblica. Senza questa assunzione di responsabilità, alle imprese rimangono due strade: “Potete avere la più bella tecnologia del mondo – ha detto infatti il ministro alle aziende presenti– ma se vivete in un Paese che non ha altro o morite o vi spostate”. Per questo, per Crosetto, l’Italia “ha bisogno come il pane di un documento di strategia nazionale condivisa”.
Un ministero del Futuro?
Per Roberto Cingolani, amministratore delegato e direttore generale di Leonardo, “nelle ultime decadi spesso è mancata la risposta alla domanda fondamentale: cosa vogliamo essere tra trent’anni”. Una riflessione che avrebbe dovuto coinvolgere non solo il Paese, ma anche le aziende. “una società non può limitarsi a guardare ai conti a tre anni”, deve sapere “dove andare e dove trascinare il Paese”. Anche perché, “se si ha una direzione, si sa cosa si vuole essere in futuro, e se si sceglie bene la direzione poi i conti di un’azienda tornano”. In Italia, invece, c’è stata una miopia non solo da parte delle istituzioni, ma anche delle imprese, che avrebbero “cercato di risparmiare la fatica”. “Abbiamo accumulato una serie di fallimenti che sono preoccupanti, ha detto Cingolani, secondo cui l’Italia ha “perso i computer, eliminato il nucleare – pur essendo stata protagonista della loro invenzione – e adesso c’è chi costruisce sviluppo economico oggi su questi ambiti”. La provocazione dell’ad del gruppo di Monte Grappa, allora, è stata la costituzione di un “ministero del Futuro”.
Cambiano le catene del valore
“Siamo nell’era del reshoring, onshoring, friendshoring e dell’alliedshoring, e l’interesse nazionale di oggi ripensa alla globalizzazione, accorcia le catene di fornitura, pensa a difendere quanto dell’industria pesante è rimasto in Europa, il lavoro e la tecnologia” ha sottolineato l’amministratore delegato e direttore generale di Fincantieri, Pierroberto Folgiero. L’esempio del trend precedente è dato dalla cantieristica navale, il cui solo 3% “è rimasto in Europa, il resto è andato in Asia”. Bisogna allora progettare e riprogettare le filiere: “Il momento storico – ha detto Folgiero – ha spinto il mondo ha fare una conversione a U nel ripensamento delle catene di forniture”. È stata marginalizzata l’industria, abdicando spesso a quella pesante, che ha potuto sopravvivere “grazie all’industria militare”, una questione che non coinvolge solo l’aspetto economico, dal momento che il “settore della difesa contiene i trend del futuro”. Ne è un esempio il dominio underwater, “un aspetto in partenza, che dovrà essere occupato e abbiamo le tecnologie che ci permetteranno di innovare”.
Investire sui giovani
“L’industria è fatta da persone che devono rispondere alle esigenze di futuro”, ha continuato Cingolani, segnalando come nei prossimi serviranno “300mila specializzati Stem nei prossimi anni, ingegneri e gente tecnica”. Questo però richiederà un investimento sui giovani “è un discorso che ha radici lontane – ha detto Cingolani –è impossibile andare avanti con la contrattualistica attuale, chiedo un altro tipo di modello: se uno è bravo va avanti e la banca gli dà il mutuo anche se ha contratto a tempo determinato”. Una questione che non impatta solo l’aspetto industriale, ma la sicurezza nel suo insieme. “In Ucraina dei giovani con Internet e la connessione digitale hanno guidato i droni che hanno affondato navi”. La difesa, per l’ad di Leonardo, “è un sottoinsieme di una cosa più grossa che è la sicurezza nazionale, che significa anche sicurezza energetica, infrastrutture, cibernetica, ci vuole una visione più ampia”. Riflessioni a cui ha fatto eco anche Folgiero, sottolineando come in Italia ci sia un problema di manodopera, “gli italiani non vogliono più produrre”. Se è vero che si può strutturare una fabbrica sempre più robotizzata, è anche vero che “senza manodopera l’industria non si fa, si possono fare tante cose senza mani, ma non la manifattura”. Serve, allora, “la capacità di innovare, lavorare sulla distintività di questa manifattura” anche perché si tratta di un volàno per fare Pil, export e portare l’Italia all’estero.
La strada della Turchia verso l’Ue è già chiusa. La versione di Tzogopoulos
Trovo difficile che la Turchia smetta di minacciare la Grecia e la Repubblica di Cipro o smetta di collaborare con Russia e Cina, dice a Formiche.net Giorgios Tzogopoulos, lecturer presso l’Istituto Europeo di Nizza Cife, fellow presso il Begin Sadat Center for Strategic Studies in Israele e presso la Hellenic Foundation for European and Foreign Policy in Grecia. L’occasione è una riflessione sulle mosse di Erdogan a Vilnius, tra aperture alla Nato e contropartite che già ha chiesto a Ue e Kfor. Nel mezzo la consapevolezza che la Turchia crede nel proprio eccezionalismo in politica estera.
Turchia-Nato-Svezia: cosa vuole davvero Erdogan?
Le conversazioni sembrano essere bilaterali – tra Turchia e Svezia – ma sono di natura molto più ampia. Riflettono l’interesse del presidente Erdogan a negoziare con gli Stati Uniti su una varietà di temi, dalla situazione nel Mediterraneo orientale, Medio Oriente e Africa al futuro dell’economia turca e alla profondità della collaborazione di difesa turco-americana. Ciò non significa che il contenuto dei negoziati turco-svedesi, come definiti nel memorandum trilaterale del giugno 2022 (anche con la Finlandia), non sia significativo. Naturalmente, se Washington e Ankara concordano su un modello generale di collaborazione, sarà naturale che Stoccolma e Ankara seguano l’esempio. Questo è ciò che sta accadendo attualmente a Vilnius, anche se dobbiamo attendere i risultati definitivi. L’Assemblea nazionale turca controllata dal partito di Erdogan e dai suoi partner politici avrà l’ultima parola sull’adesione della Svezia alla Nato.
Dopo il suo solido legame con Russia, Cina e Iran perché ora chiede l’ingresso nell’Ue?
La Turchia crede nel proprio eccezionalismo in politica estera. In altre parole, cerca di agire autonomamente e di collaborare sia con l’Occidente che con l’Oriente secondo i propri interessi strategici. Gli Stati Uniti sono preoccupati per queste acrobazie ma non hanno necessariamente la capacità di influenzare la Turchia come avveniva durante il periodo della Guerra Fredda. Ankara, da parte sua, sta cercando modi per dare energia alla sua economia nazionale e diagnostica i rischi nel suo precedente disimpegno dall’Occidente. Quindi cerca di ricongiungersi sia con gli Stati Uniti che con l’Ue. Ovviamente, la strada per l’Ue è quasi completamente chiusa. I riferimenti all’adesione all’Ue possono servire solo a soddisfare l’opinione pubblica turca. Le discussioni in corso tra Ankara e Bruxelles si concentrano su aree in cui può esistere la cooperazione: ad esempio sulla modernizzazione dell’unione doganale, sulla creazione di stabilità nel Mediterraneo orientale e sulla gestione della crisi dei rifugiati. Non creano illusioni sull’adesione della Turchia all’Ue.
La mediazione con l’Ucraina rischia di essere sbilanciata a favore di Mosca?
Ci sono due diverse letture di ciò in relazione alla guerra in Ucraina: alcuni dicono che la Turchia mette a repentaglio l’unità della Nato, mentre altri sostengono che la posizione equilibrata turca crei alcune opportunità per avere un interlocutore della Russia all’interno dell’Alleanza. Nella mia analisi, il problema per l’Occidente va oltre la Turchia. È che così tanti paesi del mondo, compresi i più grandi in termini di popolazione, Cina e India, preferiscono anche non prendere posizione nella guerra in Ucraina. Ciò pone seri ostacoli all’isolamento della Russia nel sistema internazionale e alla massimizzazione dell’efficacia delle sanzioni.
E’ un rischio geopolitico concedere i F16 americani alla Turchia?
A mio parere la questione non è se la Turchia ottenga o meno caccia F-16. È se la Turchia agisce come un tipico e affidabile stato membro della Nato. Se gli Stati Uniti trovano un modo per collegare la vendita dei caccia F-16 all’adeguamento della politica estera turca alle priorità della Nato, allora questa vendita sarà forse utile. Se gli Stati Uniti non lo faranno, la vendita sarà problematica. Personalmente trovo difficile che la Turchia smetta di minacciare la Grecia e la Repubblica di Cipro o smetta di collaborare con Russia e Cina. Ma gli Stati Uniti stanno facendo tutto il possibile per impedire la dissociazione di Ankara dall’Occidente. Successivamente, le tattiche di contrattazione turche produrranno risultati e ciò creerà un brutto precedente per le pratiche diplomatiche in Occidente.
La Bri sta trasformando la Turchia in un molo cinese nel Mediterraneo. Quanto influisce tutto ciò nel quadro generale?
La Cina sta esercitando una politica estera ed economica molto intelligente e attenta, e questo è evidente nel Mediterraneo. La Turchia non è uno stato membro dell’Ue e questo significa che è molto più facile per le aziende cinesi investire lì. In Turchia, ad esempio, non esisterà mai un dibattito simile al dilemma che l’Italia sta attualmente affrontando riguardo alla sua partecipazione alla Bri. Le relazioni sino-turche sono forti e il contributo delle banche e delle imprese cinesi all’economia turca è in rapida evoluzione. Ma credo che dovremmo guardare al quadro generale che è la presenza cinese generale nel Mediterraneo. La Cina gioca la carta dell’interconnettività. La Turchia è un partner importante ma, dal punto di vista cinese, è un anello della catena della Bri.
#IranWomenasAllMankind, il documento di Fondazione Einaudi ed ELF: “Tenere alta l’attenzione sull’Iran”
Un appello ai media italiani affinché mantengano alta l’attenzione sull’Iran, la vicinanza al popolo iraniano che si oppone al regime teocratico e militare e un richiamo alle diverse forze della diaspora iraniana affinché superino le rispettive diffidenze e si uniscano contro l’avversario comune rappresentato dal regime. Sono i tre punti emersi nel dibattito, organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi in collaborazione con European Liberal Forum, che si è svolto questa mattina nella sede della Fondazione e si è concluso con la condivisione un documento.
Dal 16 settembre 2022, dopo la morte della 22enne curda Mahsa Amini all’indomani del suo arresto da parte della polizia morale iraniana, Teheran è diventata teatro di una serie di proteste che intrecciano la questione femminile e delle libertà dell’uomo. Per ragionare di questa grave emergenza, la Fondazione Luigi Einaudi ed ELF hanno promosso a Roma una tavola rotonda, a seguito della quale si è scelto di lanciare l’hashtag: Iran Women as All Mankind (#IWAM).
Un dibattito plurale tra esperti liberali di cultura, politica e società iraniana e politici italiani di vario orientamento, in cui è stata fatta una panoramica approfondita e critica della resistenza civica iraniana delle donne e di come supportare questo fenomeno, tema chiave anche in vista delle imminenti elezioni europee. Si è trattato di un primo step per ragionare su proposte legislative da promuovere in sede europea.
All’incontro hanno partecipato Andrea Cangini, Segretario generale Fondazione Luigi Einaudi, Catharina Rinzema, MEP Volkspartij voor Vrijheid/Renew Europe, Renata Gravina, Researcher Sapienza, Fondazione Luigi Einaudi, Melissa Amirkhizy, European Liberal Forum, Antonio Stango, Italian Federation for Human Rights, Elisabetta Zamparutti, former MP Nessuno tocchi Caino, Luciana Borsatti, independent journalist, Alberto Pagani, Partito Democratico, Paolo Formentini, Lega, Lia Quartapelle, Partito Democratico, Andrea Orsini, Forza Italia.
La Fondazione Luigi Einaudi ed ELF si battono per far mettere in cima all’agenda del Parlamento europeo il dibattito sull’Iran, perché convinti che la liberazione delle donne iraniane equivalga al libero sviluppo del genere umano.
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Ustica, la retorica degli anniversari rallenta la ricerca dei responsabili
Scrive Repubblica che il DC-9 Itavia caduto il 27 giugno 1980 vicino Ustica sarebbe stato abbattuto da un missile lanciato da caccia francesi decollati da Solenzara, in Corsica, e da una portaerei. Secondo una vignetta che campeggia sul muro esterno del Museo della Memoria di Bologna, quella notte il cielo di Ustica sarebbe stato pieno di caccia americani. Per il giornalista Claudio Gatti, la responsabilità della morte di 81 italiani innocenti sarebbe invece degli israeliani. Potrebbe bastare questo a spiegare perché l’assunto della battaglia aerea non sia riuscita ad affermarsi nei processi penali: l’assoluta assenza di segni di impatto di missile sul relitto recuperato in mare e di aerei intorno al DC-9 sulle registrazioni dei radar fu rilevata sin dal 31 luglio 1998 dai pubblici ministeri (non dagli avvocati difensori, si badi bene!).
A 25 anni di distanza, sembra prenderne atto anche la Procura di Roma, che secondo Repubblica si preparerebbe ad archiviare l’inchiesta riaperta nel 2007 dopo le rivelazioni dell’ex presidente Francesco Cossiga sulla responsabilità francese. Benché il reato di strage non vada mai in prescrizione, è chiaro che senza un’indagine attiva le probabilità di dare un nome agli esecutori materiali e ai mandanti dell’attentato è pari a zero. Eppure, come in ogni anniversario, la teoria del missile viene riproposta alla pubblica opinione non solo come l’unica possibile ma addirittura come quella confermata dalle sentenze. Non è così.
L’ipotesi della battaglia aerea avanzata da Rosario Priore – che, come giudice istruttore, non ha mai sentenziato sulla colpevolezza, limitandosi a ordinare il rinvio a giudizio di alcuni militari, poi assolti – non ha mai superato rigorosa analisi del dibattimento penale. Dopo i pubblici ministeri, la bocciarono la Corte d’assise, la Corte d’appello e la Corte di Cassazione. La Corte dei conti rifiutò di addebitare ai generali il costo del recupero del relitto, del quale qualcuno riteneva inutile disporre per un rigoroso esame tecnico. Perché?
È presto detto. Con la disponibilità di oltre il 90% del relitto, il Collegio peritale d’ufficio – nominato, cioè, non dalle parti ma dal giudice istruttore – concluse infatti all’unanimità che ad abbattere il DC-9 era stata una bomba. Presieduto dal prof. Aurelio Misiti e composto da alcuni dei maggiori esperti internazionali, il Collegio prima certificò l’assenza di tracce di missile (piccoli ma fitti fori di schegge proiettate dall’esplosione della testata a una certa distanza dal bersaglio) e poi individuò la posizione della bomba nella toilette. A dimostrarlo stavano un tubo tondo reso piatto da una pressione di 392 kg/cm2 e il lavabo accartocciato e bucherellato come un merletto. I due pezzi furono esibiti in Assise ma, curiosamente, non sono presenti a Bologna. (A proposito: la conclusione della bomba è spesso criticata per l’incertezza del suo posizionamento, peraltro confinato a un raggio di qualche decina di centimetri. Curiosamente, la stessa univocità non è richiesta ai caccia, che possono essere diversi, venire da basi diverse, lanciare missili diversi, senza che ciò infici la credibilità del racconto). Contemporaneamente, i radaristi escludevano la presenza di aerei in un raggio di cinquanta-sessanta miglia dal DC-9.
Di fronte a questi fatti tecnici, il partito del missile (peraltro abbandonato anche da Priore, che nelle ultime fasi d’indagine aveva sterzato verso la “quasi collisione”) si affida piuttosto alle testimonianze orali, indifferentemente di Cossiga o dell’ex marinaio Brian Sandlin. È il trionfo della “narrazione” sulla scienza, tanto che nel 2005 i giudici d’appello si spingono a scrivere che “l’accusa non è altrimenti dimostrabile se non affermando come certo quanto sopra ipotizzato ma non è chi non veda in esso la trama di un libro di spionaggio ma non un argomento degno di una pronuncia giudiziale”.
E la bomba? È vero che, come scrive Repubblica, nei messaggi del centro Sismi di Beirut non se trova cenno? Mica tanto. Alle 10 del mattino del 27 giugno, il colonnello Stefano Giovannone invia a Sirio, un non meglio identificato vertice dei Servizi, un messaggio urgente. “2013 Habet informatomi tarda serata due sei [26 giugno] che Fplp avrebbe deciso riprendere totale libertà azione senza dar corso ulteriori contatti, in seguito mancato accoglimento sollecitata noto spostamento data procedimento appello in conseguenza psicosi et reazione negativa determinatasi in Italia seguito rivelazioni PECCI [sic] su aspetti fornitura armi da palestinesi at Bravo Charlie [sic].” Nel Regno Unito e in Francia questo, insieme alla perizia d’ufficio, sarebbe bastato a indagare sulla bomba che undici ore dopo disintegrò in cielo il DC-9. Loro hanno scoperto esecutori e mandanti delle bombe di Lockerbie (1988) e del Ciad (1989). In Italia c’è invece chi in nome del missile cerca la testimonianza o il documento che da soli invalidino il relitto, 1.750.000 pagine di istruttoria, quattromila testimoni, 277 udienze (comprese otto in videoconferenza con gli Usa), 115 tra perizie e consulenze, ottanta rogatorie internazionali (di cui 36, che hanno tutte avuto puntuale risposta, a Francia e Usa). Sarà mica per questo che, dopo 43 anni, i responsabili di Ustica dormono sonni tranquilli?
Ben(e)detto – 8 giugno 2023
L'articolo Ben(e)detto – 8 giugno 2023 proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Ben(e)detto – 5 giugno 2023
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Droni, IA e underwater, ecco le nuove tecnologie al SeaFuture 2023. L'articolo di @formichenews
La storia tra l’Italia e il mare è antichissima, un legame solido, proiettato anche verso il futuro. A dirlo, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, inaugurando a La Spezia l’ottava edizione di SeaFuture, il forum internazionale ospitato all’interno della base navale spezzina dedicato alla sicurezza, alla Blue economy, all’innovazione tecnologica, e alla sostenibilità del mare. Con lui, presenti alla cerimonia anche il segretario generale della Difesa e direttore nazionale armamenti, generale Luciano Portolano, e il capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Enrico Credendino. “Basti ricordare che la bandiera inglese nacque dopo che la Repubblica di Genova ne concesse l’uso alle navi britanniche – ha raccontato ancora il ministro, aggiungendo come oggi – il posto che abbiamo avuto sul mare nel passato vogliamo averlo sempre di più in futuro”. Per Crosetto, infatti, il Paese possiede tutte le competenze e le risorse necessarie per essere protagonista “lo dimostra la penetrazione dei nostri prodotti industriali e tecnologici, con gli esempi di Leonardo e Fincantieri su tutti. Oggi siamo a ricordarlo con un’esposizione che vede protagoniste centinaia di aziende”.
Droni, IA e underwater, ecco le nuove tecnologie al SeaFuture 2023
La storia tra l’Italia e il mare è antichissima, un legame solido, proiettato anche verso il futuro. A dirlo, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, inaugurando a La Spezia l’ottava edizione di SeaFuture, il forum internazionale ospitato all’interno della base navale spezzina dedicato alla sicurezza, alla Blue economy, all’innovazione tecnologica, e alla sostenibilità del mare. Con lui, presenti alla cerimonia anche il segretario generale della Difesa e direttore nazionale armamenti, generale Luciano Portolano, e il capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Enrico Credendino. “Basti ricordare che la bandiera inglese nacque dopo che la Repubblica di Genova ne concesse l’uso alle navi britanniche – ha raccontato ancora il ministro, aggiungendo come oggi – il posto che abbiamo avuto sul mare nel passato vogliamo averlo sempre di più in futuro”. Per Crosetto, infatti, il Paese possiede tutte le competenze e le risorse necessarie per essere protagonista “lo dimostra la penetrazione dei nostri prodotti industriali e tecnologici, con gli esempi di Leonardo e Fincantieri su tutti. Oggi siamo a ricordarlo con un’esposizione che vede protagoniste centinaia di aziende”.
L’Arsenale del futuro
Un protagonismo e uno sguardo verso il futuro che parte proprio dalla base navale spezzina, con il piano di rilancio per l’arsenale militare marittimo annunciato da Crosetto, sempre più aperto all’industria privata. “L’arsenale nasce 154 anni fa per l’intuizione di un grande italiano come Cavour – ha detto il ministro – oggi non è più quello che è stato, ma lo dovrà diventare di nuovo. Per questo, con Fincantieri e Rina, stiamo predisponendo un progetto per creare l’arsenale del futuro, che sia un luogo a cui guardi non solo l’Italia ma il mondo”, un progetto patrimonio dell’intero Paese. L’obiettivo, infatti, è rendere la base navale “la punta di diamante dell’industria, delle forze armate, della ricerca e della Marina”.Sempre a La Spezia, inoltre, è nato il Polo nazionale della subacquea, fondamentale per il ministro, dal momento che “nei prossimi decenni, sarà il mondo subacqueo a porci la sfida della sicurezza”
L’innovazione della Difesa
Del resto, grande protagonista del forum è la Difesa italiana, con il Segretariato generale della Difesa che ha presentato i suoi principali progetti di ricerca, che rientrano nel quadro del Piano nazionale della ricerca militare gestito dal V reparto Innovazione tecnologica, che spaziano da sistemi di automazione dei mezzi navali alle comunicazioni in ambienti difficili come quello sottomarino. Tra questi progetti c’è l’Electric test facility (Etef), un dimostratore tecnologico di smart power grids per attività di validazione, derisking e training proposto dall’università di Trieste, insieme al Safe, un sistema per l’automazione dell’analisi di integrità e sicurezza dei firmware utilizzati sui sistemi embedded di piattaforme automotive, navali o terrestri, proposto dall’azienda Cy4gate. Insieme a Telsy Elettronica e Telecomunicazioni, SegreDifesa ha anche mostrato Cryptobox, un progetto che affronta il problema della sicurezza delle reti di comunicazione tra componenti in ambienti di automazione industriale, mentre con WSense ha dimostrato Medusa, un un modulo general purpose per l’interconnessione di un insieme eterogeneo di piattaforme subacquee, abilitandone la cooperazione e realizzando un’infrastruttura di rete sicura e riconfigurabile.
Un elicottero senza equipaggio
Live from #Seafuture2023 the unveiling of the #AWHero Rotorcraft Uncrewed Aerial System’s new developments on board the @ItalianNavy’s Paolo Thaon di Revel #PPA in the presence of the Minister of Defence of Italy @GuidoCrosetto. #Leonardo pic.twitter.com/YEXhZSfgdq— Leonardo (@Leonardo_live) June 5, 2023
Tra le principali tecnologie presentate al SeaFuture 2023, svelata dal ministro Crosetto in persona a bordo del pattugliatore polivalente d’altura Paolo Thaon di Revel, c’è l’AWHero di Leonardo, un vero e proprio elicottero a pilotaggio remoto ideato per operazioni navali dall’Intelligence alla sorveglianza, dalla ricognizione alla lotta anti sommergibile, fino alla guerra elettronica e al supporto in combattimento. Il mezzo presentato a La Spezia, tecnicamente un Rotary uncrewed aerial system (Ruas), include alcune importanti innovazioni, tra cui l’impianto propulsivo Heavy fuel, basato su una soluzione bimotore che aumenta l’efficienza, la sicurezza e l’intervallo tra le revisioni; modifiche della cellula dell’aeromobile; modularità dei sensori e il radar di sorveglianza marittima Leonardo Gabbiano TS Ultralight. Per Gian Piero Cutillo, managing director di Leonardo Helicopters, l’AWHero “rientra nella roadmap di sviluppo che Leonardo sta implementando per mantenere la propria leadership nel volo verticale”. All’interno di questa roadmap, ha spiegato ancora Cutillo, “i sistemi uncrewed e le relative tecnologie abilitanti sono elementi-chiave su cui l’azienda ha investito, sfruttando la collaborazione con le autorità militari italiane”.
Difese di nuova generazione
Al salone sono state presentate anche le innovazioni nel campo dei sistemi d’arma antinave, a partire da quelli realizzati da MBDA proprio nella sua sede di La Spezia per unità navali di ogni dimensione, dalle fregate ai cacciatorpediniere, fino ai pattugliatori, ai sottomarini e ai velivoli navali ad ala fissa e rotante. Tra questi il nuovo Marte ER, un sistema di ultima generazione per piattaforme aree ad ala fissa e rotante, e il Teseo MK2/E, sistema pesante di nuova generazione. Nel campo della difesa navale aerea è stato presentato l’Aster 30B1 NT, in grado di contrastare le più avanzate minacce balistiche che equipaggerà i nuovi pattugliatori polivalenti d’altura della Marina. L’azienda ha anche presentato il suo Camm-ER nella sua versione adatta a equipaggiare il sistema di difesa navale Albatros NG, dopo essere stato selezionato anche dall’Esercito e dall’Aeronautica italiana per i propri sistemi di difesa aereo Grifo e Medium advanced air defence system (Maads).
Guerra elettronica e cyber sul mare
Evoluzioni importanti anche per quanto riguarda le capacità nello spettro elettromagnetico e cyber, con le soluzioni made in Elettronica per i pattugliatori d’altura e la nuova nave anfibia Trieste. I sistemi della società coprono infatti l’intero spettro delle comunicazioni e radar per la sorveglianza, la rilevazione e l’analisi dei dati, insieme ai sistemi di contromisure jamming e di protezione dalle minacce infrarosse attraverso il sistema Naval Dircm. Elt fornisce anche i sistemi di guerra elettronica per i sottomarini U212 NFS.SeaFuture è stata anche l’occasione per presentare le capacità navali del sistema anti drone Adrian (Anti-drone interception, acquisition and neutralisation) che, con il supporto della partecipata Cy4Gate, vede l’installazione di una nuova funzionalità, denominata Cyber RF, che rende il prodotto in grado reagire alle minacce provenienti da droni di nuova generazione. Sempre con riferimento al dominio cyber, Elettronica ha anche presentato l’Hybrid cyber digital twin, una piattaforma capace di simulare una rete IT/OT per individuare potenziali vulnerabilità e implementare preventivamente contromisure in grado di rendere più efficace e tempestiva la capacità di risposta ad attacchi hacker.
L’Estonia, la nuova Europa e il futuro della Nato. La versione di Kolga
In questa intervista con Formiche.net, il direttore del Dipartimento pianificazione del ministero degli Affari Esteri di Tallin Margus Kolga ha rimarcato come il sostegno militare all’Ucraina sia necessario per permettere a Kyiv di difendersi con successo dall’aggressione russa, ma allo stesso tempo non sia sufficiente a garantire il mantenimento della pace e ad evitare il ripetersi di situazioni simili. Secondo il diplomatico, che è stato ambasciatore estone alle Nazioni Unite e in Svezia, un rafforzamento militare di tutti i membri dell’Alleanza atlantica (specialmente lungo il confine con la Federazione Russa) e un veloce allargamento della stessa sono requisiti indispensabili per neutralizzare ogni futura velleità di espansionismo militare da parte di Mosca.
Margus Kolga
L’Invasione dell’Ucraina iniziata nel Febbraio 2022 è stato uno degli eventi che hanno destabilizzato maggiormente il sistema internazionale. Quali pensa che siano le conseguenze principali?
È ancora troppo presto per dirlo. Per adesso sappiamo che definirà il futuro dell’intero ordine internazionale, non solo di quello dell’Europa. L’unica cosa certa è che Vladimir Putin ha fallito nel realizzare i suoi obiettivi originari: se gli intenti di quest’invasione fossero stati il ‘punire’ l’Ucraina, di rallentare l’espansione del mondo libero o di rimodellare gli equilibri internazionali a favore del Cremlino, hanno tutti fallito miseramente. Basti pensare al caso della Svezia e della Finlandia. Ma a su questo avremo tempo di riflettere in un secondo momento. Adesso quello che conta è concentrarci sul vincere questa guerra.
Ritiene che quest’invasione sia stata come un fulmine a ciel sereno?
L’attacco russo non è stata una sorpresa. Già in passato la Russia, uno dei membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha deciso di impiegare lo strumento militare per perseguire i suoi obiettivi, basti pensare alla Crimea o alla Georgia. Anche se non ci aspettavamo un’operazione militare di tale portata, da quando abbiamo cominciato a notare gli ingenti ammassamenti di truppe lungo i confini tra Ucraina, Russia e Bielorussia abbiamo capito che qualcosa stesse per succedere.
Come considera la postura assunta dall’Unione Europea nei confronti della Russia?
La strategia dell’Unione Europea per sostenere l’Ucraina e rispondere alla Russia è stata ottima. Certo, soprattutto all’inizio è stato difficile trovare un terreno comune per mettere d’accordo tutti gli stati membri. Ma le istituzioni europee hanno agito in modo veloce ed efficace. Sia nel sostenere militarmente l’Ucraina e nel programmare il suo accesso all’Unione Europea, ma anche nel mantenere coeso, assieme agli alleati Nato, il fronte delle sanzioni ad una portata senza precedenti. L’unità è forza, e soltanto preservandola potremo arrivare a una vittoria e costruire la pace. Ma dobbiamo essere pronti a ogni evenienza, e il conflitto potrebbe perdurare ancora a lungo, così come potrebbe finire in brevissimo tempo.
Quale pensa siano le priorità per ristabilire una situazione di sicurezza in Ucraina, e in generale lungo tutto il fianco est della Nato?
Prima di tutto, è necessario che la Russia venga respinta militarmente fino alle posizioni che occupava prima del 2014. In ogni altro caso si legittimerebbe, anche parzialmente, l’atto di aggressione che la Russia ha portato avanti negli ultimi 10 anni. Inoltre, è necessario fare in modo che la Russia inebolisca le sue capacità militari, cosa che sta avvenendo esattamente in questo momento: in Ucraina le Forze Armate russe si stanno lentamente dissanguando, e a questo punto del conflitto si cominciano a vedere i risultati. Un altro punto fondamentale è perseguire come criminali coloro che hanno messo in atto questa guerra, anche tramite l’istituzione di un tribunale internazionale. Ma su questo dobbiamo adoperarci ancor prima della fine del conflitto. Dobbiamo rendere giustizia agli ucraini, ma anche a noi stessi. La Russia deve capire una volta per tutte che nessun crimine resterà impunito: Bucha e Irpin non possono essere dimenticate.
Crede che l’Estonia possa in qualche modo sostenere la Svezia e la Finlandia nel processo di integrazione con l’Alleanza Atlantica?
Sul piano tecnico, sia Finlandia che Svezia sono già pronte per entrare nella Nato. Saranno membri a pieno titolo dell’alleanza e pienamente operativi sin dall’inizio. Quello che dobbiamo fare è incrementare ulteriormente il livello della nostra cooperazione militare, sia a un livello apicale che in un contesto quotidiano, soprattutto considerando la nostra posizione geografica. Le capacità aereonavali svolgono un ruolo importante nel contesto baltico, e sia Stoccolma che Helsinki possono dare un apporto importante in questo senso. Ma senza dimenticare l’importanza delle forze terrestri. La Finlandia ha un grande esercito di leva, necessario a difendere i suoi lunghi confini con la Federazione Russa; ma con l’entrata nella Nato, dovrà riformarne la struttura per accrescerne la sinergia con quelli degli altri stati membri. Fino ad ora, la difesa della regione baltica si basava sul concetto di “Forward Presence”: un piccolo contingente Nato presente sul campo con la responsabilità di svolgere un ruolo di deterrenza (grazie al cosiddetto tripwire mechanism) e, in caso di attacco russo, di supportare gli eserciti nazionali nel rallentare l’offensiva nemica in attesa dell’arrivo dei rinforzi. Dopo l’Ucraina, dobbiamo parlare di “Forward Defence”.
L’Estonia si sta già muovendo in questa direzione?
Assolutamente sì. Fino ad ora, il nostro esercito era organizzato avendo come unità di base la brigata, molto più adatta a conflitti di dimensioni ridotte e più facilmente gestibile. Adesso stiamo passando alla struttura divisionale. Allo stesso tempo, stiamo lavorando per ottenere a livello nazionale capacità di difesa aerea a medio raggio, che fino ad ora sono state fornite su base rotazionale dagli altri membri dell’alleanza. Ma sono necessarie le giuste risorse: per questo motivo tutte le forze politiche dell’Estonia si sono accordate per alzare il budget destinato alla difesa dal 2% al 3% del Pil. E speriamo che i nostri alleati facciano lo stesso, anche se non subito. Il problema, per l’Estonia e non solo, non è la scarsa disponibilità di armamenti, ma le basse capacità di produzione degli stessi.
Pensa che l’esistenza di un tripwire mechanism in Ucraina avrebbe prevenuto quanto accaduto nel febbraio scorso?
L’appartenenza dell’Ucraina alla Nato avrebbe prevenuto l’aggressione, non il tripwire mechanism. Nel 2008 siamo stati troppo vaghi: se ci fosse stata una roadmap per l’adesione di Kyiv alla Nato, forse le cose sarebbero andate diversamente.
L’Estonia ospita all’interno dei suoi confini una forte minoranza russa, fonte di timori per vari osservatori internazionali. Eppure non si sono verificati incidenti. Qual è stato l’approccio del vostro governo al riguardo?
Sin dall’indipendenza, abbiamo creato un clima di fiducia con tutte le minoranze non estoni (e specialmente quelle russe). Per capire il problema si deve guardare al passato. C’è sempre stata una minoranza russa in Estonia. Nel periodo tra le due guerre ammontava al 7% della popolazione, poi in epoca sovietica ha raggiunto il 34-35% grazie alle immigrazioni promosse dal governo di Mosca. All’inizio questi immigrati non erano benvisti, erano considerati alla stregua di occupanti e c’erano difficoltà relazionali tra i due ceppi. Dopo la caduta dell’Unione sovietica c’è stato il rischio di un conflitto etnico, ma abbiamo evitato la caccia alle streghe. Così abbiamo creato una fiducia reciproca.
Mostrare questa attitudine ha aiutato molto: la minoranza russa ha capito di far parte della nostra società. Dall’inizio del conflitto in Ucraina queste questioni sono tornate a galla, e quindi abbiamo cercato di limitare la propaganda del Cremlino. Abbiamo chiuso i canali russi, ma abbiamo creato canali estoni in lingua russa. Sono liberi, controlliamo solo che non ci sia alcuna forma di propaganda a favore di Mosca. In generale, i media estoni sono aperti e trasparenti, siamo quarti nel World Press Freedom Index. Non diciamo bugie ai nostri concittadini. Lavoriamo anche per accogliere i giornalisti russi che scappano dal regime, creando dei visti ad hoc. Siamo piccoli, ma facciamo quel che possiamo.
Quali sono, secondo lei, le priorità per il Summit della Nato che si terrà a Vilnius, in Lituania, tra poco più di un mese?
Per prima cosa, dobbiamo implementare sul piano pratico le decisioni prese lo scorso anno a Madrid. In secondo luogo, dobbiamo dare una prospettiva concreta all’Ucraina per l’adesione alla Nato, tenendo in considerazione l’evolversi della situazione al fronte. Dobbiamo essere preparati a cosa succederà al termine del conflitto, e l’adesione dell’Ucraina alla Nato, è la miglior forma di garanzia. Il terzo punto, l’ho già menzionato prima, è quello di discutere in modo sostanziale l’aumento al 3% del budget della difesa di ciascun paese membro. Un’altra priorità sarebbe la partecipazione della Svezia come stato membro effettivo, ma vedremo…
Il mese scorso il direttore della CIA Bill Burns ha fatto un viaggio senza preavviso a Pechino.
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Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha intrapreso una missione simile il mese scorso quando si è recato a Vienna per incontrare il massimo diplomatico di Pechino, Wang Yi, sebbene la Casa Bianca avesse annunciato quell'incontro in quel momento.
Come funziona una guerra simulata. L’esercitazione Joint Stars vista da vicino
Con Joint Stars le Forze armate italiane sono tornate ad addestrarsi sul campo, coordinate dal Comando operativo di vertice interforze (Covi). Dopo oltre tre anni di assenza legati alla pandemia, ritorna dunque la più grande esercitazione della Difesa che ha visto nell’edizione di quest’anno numeri impressionanti, con circa 5mila uomini e donne impegnati e oltre 900 mezzi utilizzati. Rispetto alla precedente edizione, come ha evidenziato il generale Francesco Paolo Figliuolo, comandante del Covi, quella di quest’anno ha visto una maggiore ampiezza, sia in termini di giorni esercitativi sia in termini di piattaforme, oltre a vedere il ritorno delle attività a fuoco. Il perdurare della guerra in Ucraina ha reso ormai evidente a tutti come anche la forma del conflitto tradizionale non sia da riservare soltanto ai libri di storia. “Le Forze armate sono una risorsa del Paese e per avere delle Forze armate pronte bisogna addestrarle. Per addestrarci dobbiamo farlo con scenari realistici, sul terreno, in mare e nel cielo”, ha proseguito Figliuolo. Per garantire pertanto l’efficacia e l’efficienza dello strumento militare, così come una costante prontezza operativa nei molteplici possibili scenari di impiego, è necessario sviluppare e condurre attività esercitative interforze e inter-agenzia come Joint Stars, così da testare procedure e aumentare il livello di professionalità e interoperabilità. “Questa esercitazione è un test importante per provare tutte le procedure di comando e controllo in un ambiente integrato e interforze”, ha spiegato ancora Figliuolo. A fornire il contesto delle operazioni, uno scenario verosimile e realistico che ha animato gli oltre 20 giorni di esercitazione che si sono da poco conclusi in Sardegna.
Joint Stars
Quella che si è tenuta le scorse settimane è la più importante esercitazione nel panorama della Difesa italiana. Pianificata e diretta interamente dal Covi, ha una forte connotazione interforze, inter-agenzia e ha carattere multinazionale. È un’esercitazione di Crisis response planning (Crp), con pianificazione di livello operativo che segue gli standard Nato di una Small joint operation Art. 5 del trattato del Nord-Atlantico (difesa collettiva). Uno degli obiettivi perseguiti dal Covi nelle tre settimane di esercitazioni era di aumentare la prontezza delle Forze armate con assetti Nato e Agenzie nazionali così da condurre attività operative sempre più efficienti in vista di possibili scenari emergenziali complessi. A dirigere le operazioni, vi era l’ammiraglio Fabio Agostini.
Operazioni viste da vicino
Airpress ha avuto l’opportunità di seguire da vicino, per una giornata intera, alcune delle numerose esercitazioni condotte nel corso di Joint Stars. A bordo di un elicottero SH90 della Marina militare siamo atterrati direttamente sulla nave anfibia San Giusto, in navigazione al largo delle coste cagliaritane, e inserita in un dispositivo navale che vedeva tra le altre anche la presenza della nave Garibaldi e della fregata Alpino. A bordo del San Giusto, dopo aver visto in mostra alcuni degli equipaggiamenti e armi a disposizione dei militari che hanno partecipato a Joint Stars, abbiamo assistito a un’esercitazione interforze che ha coinvolto velivoli dell’Aeronautica – che hanno anche mostrato come avviene il rifornimento in volo – il sommergibile Gazzana e altre navi della Marina, nonché forze della Guardia Costiera, impegnate nel mostrare come avviene il fermo di un’imbarcazione illegale. Al poligono di Capo Teulada, abbiamo invece potuto assistere all’esercitazione di un attacco terrestre coordinato dalla Brigata Bersaglieri Garibaldi, e guidato dal generale Mario Ciorra, condotto con la collaborazione dei velivoli dell’Aeronautica militare. A una prima ricognizione effettuata da due caccia F-35, sono seguite le manovre sul terreno e i colpi di sei carri armati dell’Esercito diretti verso l’obiettivo, una piccola altura su cui – da scenario – erano presenti le forze nemiche. Infine, a bordo dell’elicottero CH47 dell’Esercito, abbiamo raggiunto Decimomannu dove abbiamo potuto assistere alla dimostrazione di un’attività inter-agenzia che ha visto in azione i corpi dei Carabinieri, unitamente a nuclei sanitari del Corpo militare della Croce Rossa e squadre dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile, impegnati nella prima accoglienza di profughi.
Uno scenario più che realistico
Joint Stars si sviluppa intorno a uno scenario fittizio chiamato “Arcipelago Esmeralda” formato da tre isole maggiori che si affacciano sul Mar Tirreno. Secondo tale scenario, al termine della Seconda guerra mondiale i cittadini sardi decisero con un referendum di dividere l’isola in due Stati diversi: Nuragicum e Carbonium. Nuragicum è un Paese che non è né membro della Nato né dell’Ue, il cui 45% della popolazione è di etnia Trinacrium in Sardinia (Temis). Si tratta di una democrazia fragile, che sta piano piano rompendo i vincoli di dipendenza da Trinacrium; anch’esso un Paese non appartenente né alla Nato né all’Ue, che considera l’espansione dell’Alleanza Atlantica come una minaccia e vede il 98% della popolazione di etnia indigena. A Nuragicum, infatti, dal 2012 crescono i disordini interni e l’instabilità politica, così come l’aspirazione di una parte della popolazione di riunire tutti i territori con la presenza storica di Temis. In tale cornice è stata inoltre creata un’organizzazione insurrezionale chiamata Temis liberationa army (Tla), che ha condotto diversi attacchi terroristici nel Paese e i cui militanti vengono addestrati non ufficialmente da militari di Trinacrium che finanzia e arma questa milizia. Scopo del Tla è quello di rovesciare il governo di Nuracicum e di Carbonium, così da riunificare i territori della Sardegna con presenza etnica Temis. Carbonium, dal canto suo è invece una Repubblica parlamentare membro sia della Nato sia dell’Ue, che conta il 21% di popolazione di etnia Temis.
L’escalation
Ma l’escalation risale soltanto al 2022, quando il Tla ha avviato attacchi terroristici nell’enclave Temis di Carbonium. A novembre la principale centrale idroelettrica di Carbonium è stata vittima di un attacco cyber, e da allora sono stati numerosi gli attacchi cyber ai danni di Carbonium. Infine, a dicembre 2022, il Tla si è reso responsabile di numerosi incendi a Carbonium. Il Paese attaccato ha così chiesto supporto ai Paesi Ue e alleati, firmando anche un accordo di collaborazione con l’Italia (che in quest’esercitazione gioca il ruolo di se stessa). In risposta, Trinacrium ha aumentato la portata delle proprie esercitazioni militari offensive intorno alla Sardegna e sono aumentati gli scontri tra le forze di Carbonium e le milizie del Tla. A inizio gennaio 2023 delle forze di Trinacrium hanno iniziato un’esercitazione aeronavale di fronte alla costa di Nuragicum, prendendo il controllo dell’aeroporto e del porto di Olbia. In risposta, l’Italia ha lanciato un’operazione di evacuazione dei propri connazionali sul territorio di Nuragicum (operazione Lampo). Con l’avanzata di Trinacrium nel territorio di Nuragicum sono cadute diverse città, e l’avanzata è stata bloccata solo in corrispondenza della capitale Nuoro. Ecco che a fine gennaio il Consiglio del Nord atlantico ha dato allora il mandato di pianificare il dispiegamento a Carbonium della Nato Response Force ai sensi dell’Art.4 del Trattato Nord-Atlantico, per rispondere a una potenziale aggressione militare da parte di Trinacrium. Viene così costituita Joint task force (Jtf) della Nato, guidata dal vicecomandante del Covi, il generale Nicola Lanza de Cristoforis e con l’Italia come nazione capofila dell’operazione “Esmeralda defender”, che ha lo scopo di supportare la popolazione di Carbonium e garantire la sicurezza.
Casus belli
Alla base del conflitto simulato vi è l’aspirazione del presidente di Trinacrium, Alberto Mapo, che appoggia Tla, di riunificare la Sardinia sotto l’etnia Temis. Da diverse settimane aleggiava infatti lo spettro del conflitto sull’arcipelago di Esmeralda: un attrito in escalation. Le tensioni hanno raggiunto l’apice quando a inizio febbraio 2023 Trinacrium ha ordinato il lancio di un missile balistico che ha causato vittime, oltre che gravi danni sul territorio e alle infrastrutture. In risposta, la Nato ha predisposto il dispiegamento di una Nato response force in Carbonium per difendere il Paese e ripristinare l’integrità territoriale in caso di aggressione militare. Così le Forze armate di Trinacrium hanno iniziato il loro movimento per schierarsi lungo il confine con Carbonium, in risposta anche l’Italia e gli alleati hanno dispiegato assetti specializzati pronti a rispondere agli attacchi e a difendere Carbonium. L’assalto delle Forze armate di Trinacrium è stato preceduto da un’escalation di attacchi cyber e terroristici da parte del Tla, il che ne sottolinea la forte componente multidominio. La risposta di Saceur al missile balistico non si è fatta attendere e, oltre ad aver dato il mandato all’Italia per costituire la Jtf della Nato, ha fornito le indicazioni per avviare una Crisis response operation (Cro), ai sensi dell’articolo 5 della Nato.
Una spiccata natura inter-agenzia e multidominio
Joint Stars non ha visto solo l’impiego di corpi dell’Aeronautica, dell’Esercito e della Marina, ma ha visto impiegare anche corpi dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Guardia costiera. Insieme a loro, sul campo presenti anche la Croce Rossa italiana, la Protezione civile, i Vigili del Fuoco, così come altri corpi non armati dello Stato. Anche l’Agenzia spaziale italiana (Asi) è intervenuta, stimando la possibile traiettoria di rientro del missile e il potenziale rischio chimico. Come ha ricordato il capo di Stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, in visita in Sardegna durante l’esercitazione: “Come ci insegna la storia recente è fondamentale esercitarsi tutti non solo nei domini tradizionali, terra, mare e cielo, ma anche nelle attività cyber e nella gestione dello spazio”. Non solo, per la prima volta in un’esercitazione di questo tipo, è stato coinvolto anche un gruppo selezionato di studenti universitari che hanno affiancato i militari nelle funzioni di advisor in diverse aree, legale, questioni di genere e questioni culturali.
Esercitazioni numerose
Joint stars si è svolta in diverse località della Sardegna e all’esercitazione hanno partecipato anche assetti Nato, in particolare un battaglione meccanizzato norvegese, rimasto nell’area in seguito all’esercitazione alleata Noble Jump 23. La prima fase, dall’8 al 12 maggio, ha visto la gestione di eventi afferenti a ordine e sicurezza pubblica, antiterrorismo, contrasto dei traffici illeciti, soccorso di profughi e risposta a diverse tipologie di emergenze. In tale fase si è svolta inoltre la già citata esercitazione Lampo, integrata nella Joint Stars, che ha visto il personale della Italian joint force esercitarsi nell’evacuazione di personale da un’area di crisi e ha coinvolto reparti dell’Aeronautica, dell’Esercito e della Marina. In tale fase si sono svolti 28 eventi esercitativi inter-agenzia. Mentre la seconda fase, iniziata il 15 maggio, ha visto impegnate componenti di livello tattico delle varie Forze armate, sotto la guida del comandante della Jtf. In questa seconda fase sono stati ben 68 gli eventi interforze condotti, ai quali vanno aggiunti gli eventi sviluppati da ogni singola componente di Forza armata. Ma non è finita, nel mese di maggio vi sono state anche altre esercitazioni nazionali nella cornice della Joint Stars. Tra queste si ricordano la “Notte scura” condotta dalle Forze speciali, la “Complex aviation exercise (Caex)” del comando Aviazione dell’Esercito, la campagna di tiri Samp-t 2023 a cura del 4°Reggimento contraerei missili di Mantova e del 17°Reggimento contraerei Sabaudia.
Operazioni all’insegna della sostenibilità
L’organizzazione delle manovre, militari e non, ha tenuto conto fin dall’inizio dell’impatto ambientale, coinvolgendo anche esperti del settore per cercare di minimizzare gli effetti negativi delle operazioni sull’ambiente. Si sono infatti bonificate le aree da ordigni inesplosi e si è garantita la pulizia e il ripristino ambientale delle aree interessate, grazie a squadre di specialisti. Quest’anno vede inoltre, come sottolineato dal generale Figliuolo, “una bella novità intrapresa con i Carabinieri, e in particolare con i corpi forestali. Al termine delle attività è previsto il calcolo dell’anidride carbonica immessa a seguito dell’esercitazione e ci sarà una contropartita in piantumazione di alberi”.
Le due eredità di un uomo per bene
Con la partecipazione di Francesca Scopelliti, compagna di Enzo Tortora e presidente della Fondazione per la giustizia «Enzo Tortora»
Modera Salvo La Rosa, Giornalista e conduttore televisivo
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L'articolo Le due eredità di un uomo per bene proviene da Fondazione Luigi Einaudi.