freezonemagazine.com/articoli/…
Un EP di duetti che è anche una confessione intima C’è qualcosa di profondamente umano nel modo in cui Margaret Glaspy affronta la voce altrui. In The Golden Heart Protector, la cantautrice californiana trapiantata a New York trasforma l’idea del duetto in un gesto di ascolto, più che di esposizione. Non cerca la fusione spettacolare, […]
L'articolo Margaret Glaspy –
ho smesso di avere rispetto per...
ho smesso di avere rispetto per un intellettuale/editore con cui dialogavo fino...
n. non c'entra, o non del tutto, ma - a proposito di cani (del sinai) - ecco: https://t.ly/YiBWu (bisogna leggere, attenzione, tutti i riquadri ai quali il post rinvia). differx & slowforward (entropia gratis) + ko-fi (help, support!)...differx
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Apple, i dark pattern e la difficile battaglia contro il tracciamento
@Informatica (Italy e non Italy 😁)
ATT, la funzione di iOS che blocca la raccolta dei dati sullo smartphone, è amatissima dagli utenti e odiata dall’industria pubblicitaria. Ora rischia di sparire: l’autorità italiana deciderà entro il 16 dicembre.
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La differenza fondamentale di Luciano Floridi
@Politica interna, europea e internazionale
L’intelligenza artificiale non è soltanto una nuova tecnologia: è la forza che sta ridefinendo il nostro presente. Capace di apprendere, adattarsi e decidere in autonomia, l’IA sta già trasformando in profondità la nostra vita quotidiana, l’economia, le imprese, il lavoro, l’istruzione, la politica, la cultura e
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seguendo il link https://t.ly/YiBWu si trova un riferimento alle pratiche di #tortura messe in atto dallo stato sionista contro #prigionieri palestinesi. tra queste pratiche ce n'è una, particolarmente atroce e umiliante, che ha una terribile consonanza con quell'espressione fortiniana.
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ilgiorno.it/milano/cronaca/stu…
quello che io chiamo un classico involucro vuoto che parla, mangia ma che non ha un'anima o niente dentro. una specie di macchina assassina. che poi è a quanto pare è lo stato finale dell'umanità. anche chi non andrebbe a uccidere la gente per strada, è infatti spesso non in grado di esprimere un pensiero coerente e logico, e tutto sommato diventa difficile da definire una piena persona. che questo coincida con il 60% di definiti analfabeti funzionali?
Studente bocconiano massacrato per 50 euro, il branco dei ‘bravi ragazzi’ dopo il raid: “Speriamo che muoia. Bro, facciamoci una storia su Instagram”
Milano, le frasi choc intercettate al commissariato: “Magari quel c... è ancora in coma, domani schiatta e ti danno omicidio”. “Ma speriamo bro, almeno non parla! Gli stacco tutti i cavi”.MARIANNA VAZZANA (Il Giorno)
La Francia in rivolta sui pesticidi riscrive il rapporto tra scienza e potere
@Notizie dall'Italia e dal mondo
Il 7 agosto 2025, il Consiglio costituzionale francese ha dichiarato incostituzionale la cosiddetta legge Duplomb, approvata dal Parlamento un mese prima. La norma prevedeva la reintroduzione dell’acetamiprid, pesticida vietato dal 2018 per la sua comprovata
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è sbagliato mettere sempre di mezzo la chiesa... ci fosse solo e soltanto unico cattivo... sarebbe bello. di certo gli italiani non sono estranei a questa cultura maschilista e patriarcale, di bullismo e di machismo.
credo che il primo passo per liberarsi della chiesa sia liberarsi dall'ossessione e smettere di parlarne. dopotutto qualcuno diceva che va bene che si parli di qualcuno, anche male, purché se ne parli... parlarne così è dare e sopratutto riconoscere (molto peggio) potere. è un palloncino che va lasciaro sgonfiare naturalmente, senza pestarlo continuamente. da ignorare.
dopotutto i grandi mangiatori di preti, la cosiddetta sinistra "vera", quella che oggi difende un fascista come putin, ha prodotto una cultura altrettanto tossica...
sarà pur vero che la sinistra, sempre quella "vera", non ha mai mangiato bambini, ma è pur vero che sostiene putin che lo fa, con quelli ucraini. si dice attorno ai 35'000 bambini. che oggi combattono in ucraina a fianco dei russi, con il cervello lavato, e più sfortunati dei russi.
La Francia in rivolta sui pesticidi riscrive il rapporto tra scienza e potere
@Notizie dall'Italia e dal mondo
Il 7 agosto 2025, il Consiglio costituzionale francese ha dichiarato incostituzionale la cosiddetta legge Duplomb, approvata dal Parlamento un mese prima. La norma prevedeva la reintroduzione dell’acetamiprid, pesticida vietato dal 2018 per la sua comprovata
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Cloudflare blackout globale: si è trattato di un errore tecnico interno. Scopriamo la causa
Il 18 novembre 2025, alle 11:20 UTC, una parte significativa dell’infrastruttura globale di Cloudflare ha improvvisamente cessato di instradare correttamente il traffico Internet, mostrando a milioni di utenti di tutto il mondo una pagina di errore HTTP che riportava un malfunzionamento interno della rete dell’azienda.
L’interruzione ha colpito una vasta gamma di servizi – dal CDN ai sistemi di autenticazione Access – generando un’ondata anomala di errori 5xx. Secondo quanto riportato da Cloudflare che lo riporta con estrema trasparenza, la causa non è stata un attacco informatico ma un errore tecnico interno, scatenato da una modifica alle autorizzazioni di un cluster database.
Cloudflare ha precisato fin da subito che nessuna attività malevola, diretta o indiretta, è stata responsabile dell’incidente. L’interruzione, come riporta il comunicato di post mortem, è stata innescata da un cambiamento a un sistema di permessi di un database ClickHouse che, per un effetto collaterale non previsto, ha generato un file di configurazione anomalo utilizzato dal sistema di Bot Management.
Tale “feature file”, contenente le caratteristiche su cui si basa il modello di machine learning anti-bot dell’azienda, ha improvvisamente raddoppiato le sue dimensioni a causa della presenza di numerose righe duplicate.
Questo file, aggiornato automaticamente ogni pochi minuti e propagato rapidamente a tutta la rete globale di Cloudflare, ha superato il limite previsto dal software del core proxy, causando un errore critico.
Il sistema che esegue l’instradamento del traffico – noto internamente come FL e nella sua nuova versione FL2 – utilizza infatti limiti rigidi per la preallocazione di memoria, con un massimo fissato a 200 feature. Il file corrotto ne conteneva più del doppio, facendo scattare un “panic” del modulo Bot Management e interrompendo l’elaborazione delle richieste.
Nei primi minuti dell’incidente, l’andamento irregolare degli errori ha portato i team di Cloudflare a sospettare inizialmente un massiccio attacco DDoS: il sistema sembrava infatti riprendersi spontaneamente per poi ricadere nel guasto, un comportamento insolito per un errore interno.
Questa fluttuazione era dovuta alla natura distribuita dei database coinvolti. Il file veniva generato ogni cinque minuti e, poiché solo alcune parti del cluster erano state aggiornate, il sistema produceva alternativamente file “buoni” e file “difettosi”, propagandoli istantaneamente a tutti i server.
Nell blog si legge :
“Ci scusiamo per l’impatto sui nostri clienti e su Internet in generale. Data l’importanza di Cloudflare nell’ecosistema Internet, qualsiasi interruzione di uno qualsiasi dei nostri sistemi è inaccettabile. Il fatto che ci sia stato un periodo di tempo in cui la nostra rete non è stata in grado di instradare il traffico è profondamente doloroso per ogni membro del nostro team. Sappiamo di avervi deluso oggi“.
Con il passare del tempo, l’intero cluster è stato aggiornato e le generazioni di file “buoni” sono cessate, stabilizzando il sistema nello stato di errore totale. A complicare ulteriormente la diagnosi è intervenuta una coincidenza inaspettata: il sito di stato di Cloudflare, ospitato esternamente e quindi indipendente dall’infrastruttura dell’azienda, è risultato irraggiungibile nello stesso momento, alimentando il timore di un attacco coordinato su più fronti.
La situazione ha iniziato a normalizzarsi alle 14:30 UTC, quando gli ingegneri hanno individuato la radice del problema e interrotto la propagazione del file corrotto. È stato quindi distribuito manualmente un file di configurazione corretto e forzato un riavvio del core proxy. La piena stabilità dell’infrastruttura è stata ripristinata alle 17:06 UTC, dopo un lavoro di recupero dei servizi che avevano accumulato code, latenze e stati incoerenti.
Diversi servizi chiave hanno subito impatti significativi: il CDN ha risposto con errori 5xx, il sistema di autenticazione Turnstile non riusciva a caricarsi, Workers KV restituiva errori elevati e l’accesso alla dashboard risultava bloccato per la maggior parte degli utenti. Anche il servizio Email Security ha visto diminuire temporaneamente la propria capacità di rilevare lo spam a causa della perdita di accesso a una fonte IP reputazionale. Il sistema di Access ha registrato un’ondata di fallimenti di autenticazione, impedendo a molti utenti di raggiungere le applicazioni protette.
L’interruzione ha evidenziato vulnerabilità legate alla gestione distribuita della configurazione e alla dipendenza da file generati automaticamente con aggiornamenti rapidi. Cloudflare ha ammesso che una parte delle deduzioni del suo team durante i primi minuti dell’incidente si è basata su segnali fuorvianti – come il down del sito di stato – che hanno ritardato la corretta diagnosi del guasto. L’azienda ha promesso un piano di intervento strutturato per evitare che un singolo file di configurazione possa nuovamente bloccare segmenti così ampi della sua rete globale.
Cloudflare ha riconosciuto con grande trasparenza la gravità dell’incidente, sottolineando come ogni minuto di interruzione abbia un impatto significativo sull’intero ecosistema Internet, dato il ruolo centrale che la sua rete svolge.
L’azienda ha annunciato che questo primo resoconto sarà seguito da ulteriori aggiornamenti e da una revisione completa dei processi interni di generazione delle configurazioni e gestione degli errori di memoria, con l’obiettivo dichiarato di evitare che un evento simile possa ripetersi.
L'articolo Cloudflare blackout globale: si è trattato di un errore tecnico interno. Scopriamo la causa proviene da Red Hot Cyber.
Il Pledge ‘Secure by Design’ di CISA: un anno di progresso nella sicurezza informatica
A cura di Carl Windsor, Chief Information Security Officer di Fortinet
Le pratiche secure-by-design rappresentano un cambiamento fondamentale nello sviluppo software: la sicurezza non viene più considerata un’aggiunta successiva, ma è integrata fin dalle basi, nel DNA stesso del prodotto. Questa filosofia è ampiamente riconosciuta nel settore come best practice, ma non è ancora obbligatoria, né applicata in modo uniforme o pienamente compresa dai clienti. Tuttavia, adottare un approccio secure by design è sempre più cruciale, poiché le infrastrutture digitali si trovano ad fronteggiare una velocità e un volume senza precedenti di minacce sofisticate. Cybercriminali, sia inesperti che altamente qualificati, sfruttano nuove risorse – dall’acquisto di exploit kit nel dark web all’uso di strumenti automatizzati – per colpire vulnerabilità su larga scala.
Alla RSA Conference 2024, la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA) ha presentato il proprio Secure by Design Pledge, un’iniziativa volta a innalzare il livello minimo di sicurezza informatica in tutto il settore tecnologico, integrando pratiche sicure alla base dello sviluppo dei prodotti e riducendo il rischio sistemico nell’ecosistema digitale. Fortinet è orgogliosa di essere stata tra i primi firmatari di questo impegno, e il nostro Jim Richberg ha avuto un ruolo chiave nella sua definizione.
Carl Windsor, Chief Information Security Officer di Fortinet
Sebbene Fortinet sia da tempo in prima linea nell’adozione e nella promozione delle migliori pratiche di cybersecurity, il Secure by Design Pledge rappresenta un passo avanti significativo nel definire e promuovere politiche che impongano a tutti i produttori di software standard più rigorosi. Il Pledge individua sette obiettivi principali, focalizzati sull’integrazione della sicurezza lungo l’intero ciclo di vita dello sviluppo dei prodotti, offrendo ai fornitori di software linee guida concrete per progredire verso tali traguardi.
Adozione e avanzamento dei principi Secure-by-Design in Fortinet
Fortinet adotta molti di questi principi da decenni e, in più occasioni, ha illustrato i progressi compiuti nell’implementazione e nel perfezionamento di tali standard. Di seguito una panoramica delle azioni intraprese da Fortinet per rispondere agli obiettivi del Pledge:
Obiettivo n.1: Dimostrare azioni volte ad aumentare in modo misurabile l’uso dell’autenticazione a più fattori (MFA) nei prodotti del produttore.
Risultato Fortinet: Fortinet ha abilitato l’MFA per gli account cloud dei clienti, con il 95% di questi che utilizza effettivamente questa misura di sicurezza.
Obiettivo n.2: Dimostrare progressi misurabili nella riduzione delle password predefinite nei prodotti del produttore.
Risultato Fortinet: Le password predefinite sono state eliminate nella Fortinet Secure Development Lifecycle Policy e rimosse da tutti i prodotti, imponendo agli utenti la creazione di credenziali uniche durante l’installazione.
Obiettivo n.3: Dimostrare azioni volte a ridurre in modo significativo e misurabile la presenza di una o più classi di vulnerabilità nei prodotti del produttore.
Risultato Fortinet: Fortinet ha intrapreso la rimozione delle vulnerabilità di tipo SQL injection e buffer overflow. Si tratta di un processo continuo che proseguirà nelle future versioni.
Obiettivo n.4: Dimostrare azioni intraprese dai clienti per aumentare in modo misurabile l’installazione di patch di sicurezza.
Risultato Fortinet: Fortinet ha compiuto importanti progressi in questo ambito grazie all’introduzione della funzionalità di auto-update, che ha aggiornato oltre un milione di dispositivi dalla sua implementazione, contribuendo in modo sostanziale alla sicurezza dei clienti.
Obiettivo n.5: Pubblicare una Vulnerability Disclosure Policy (VDP).
Risultato Fortinet: Fortinet è membro del Forum of Incident Response and Security Teams (FIRST), che consente ai suoi oltre 600 membri in più di 100 Paesi di condividere obiettivi, idee e informazioni relative alla gestione degli incidenti di sicurezza e allo sviluppo di programmi di risposta. Fortinet applica le conoscenze acquisite attraverso FIRST per garantire una comunicazione costante con i propri clienti. Inoltre, Fortinet pubblica la propria VDP sulla pagina dedicata al Product Security Incident Response Team (PSIRT) e tramite un file Security.txt.
Obiettivo n.6: Dimostrare trasparenza nella segnalazione delle vulnerabilità.
Risultato Fortinet: Fortinet ha implementato da tempo un programma di trasparenza radicale nella pubblicazione e comunicazione delle Common Vulnerabilities and Exposures (CVE), includendo già i campi Common Weakness Enumeration (CWE) e Common Platform Enumeration (CPE) in ogni CVE. Inoltre, Fortinet è impegnata a divulgare in modo proattivo e trasparente le vulnerabilità attraverso il suo solido programma PSIRT.
Obiettivo n.7: Dimostrare un incremento misurabile della capacità dei clienti di raccogliere evidenze di intrusioni informatiche che coinvolgono i prodotti del produttore.
Risultato Fortinet: A partire dalla versione 7.4.4 di FortiOS, sono state introdotte nuove funzionalità di controllo dell’integrità del file system per rilevare e registrare modifiche o aggiunte non autorizzate ai file. Fortinet continuerà ad aggiungere nuove funzioni con il rilascio delle versioni successive di FortiOS.
Oltre il Pledge: le iniziative aggiuntive di Fortinet
Fortinet adotta ulteriori misure che vanno oltre quanto previsto dal CISA Secure by Design Pledge, tra cui:
- Esecuzione regolare di test e audit approfonditi del codice, oltre a test di penetrazione condotti da terze parti.
- Obiettivi di performance (Management by Objectives) legati alla qualità del codice.
- Lancio di un programma pubblico di bug bounty.
- Collaborazione continua con diverse alleanze di cybersecurity, tra cui la Network Resilience Coalition, la Joint Cyber Defense Collaborative (JCDC) e la Cyber Threat Alliance (CTA), per condividere informazioni sulle minacce e sviluppare strategie volte a migliorare la resilienza cibernetica.
Guardando al futuro
Fortinet continua a lavorare su iniziative volte a incoraggiare i clienti a implementare patch e aggiornamenti, monitorando al contempo l’impatto di tali miglioramenti di sicurezza. Riconosciamo l’importanza di un’adozione su larga scala dei principi secure-by-design per costruire un ecosistema digitale più resiliente – un obiettivo che richiede un forte impegno e collaborazione tra settore pubblico e privato.
Fortinet continuerà a sostenere gli sforzi di organizzazioni come CISA e MITRE, introducendo e rispettando standard solidi che rafforzano la resilienza informatica a beneficio di tutti.
Per ulteriori informazioni dettagliate sul nostro impegno nel promuovere i principi secure-by-design, visita:
- Fortinet Reaffirms Its Commitment to Secure Product Development Processes and Responsible Vulnerability Disclosure Policies
- Proactive, Responsible Disclosure Is One Crucial Way Fortinet Strengthens Customer Security
- Fortinet’s Progress on Its Secure-by-Design Commitments
- Secure by Design: A Continued Priority in 2025 and Beyond
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Radio Dreyeckland: Hausdurchsuchung wegen eines Links war verfassungswidrig
Hacking a Pill Camera
A gastroscopy is a procedure that, in simple terms, involves sticking a long, flexible tube down a patient’s throat to inspect the oesophagus and adjacent structures with a camera fitted to the tip. However, modern technology has developed an alternative, in the form of a camera fitted inside a pill. [Aaron Christophel] recently came across one of these devices, and decided to investigate its functionality.
[Aaron’s] first video involves a simple teardown of the camera. The small plastic pill is a marvel of miniaturization. Through the hemispherical transparent lens, we can see a tiny camera and LEDs to provide light in the depths of the human body. Slicing the camera open reveals the hardware inside, however, like the miniature battery, the microcontroller, and the radio hardware that transmits signals outside the body. Unsurprisingly, it’s difficult to get into, since it’s heavily sealed to ensure the human body doesn’t accidentally digest the electronics inside.
Unwilling to stop there, [Aaron] pushed onward—with his second video focusing on reverse engineering. With a little glitching, he was able to dump the firmware from the TI CC1310 microcontroller. From there, he was able to get to the point where he could pull a shaky video feed transmitted from the camera itself. Artists are already making music videos on Ring doorbells; perhaps this is just the the next step.
Smart pills were once the realm of science fiction, but they’re an increasingly common tool in modern medicine. Video after the break.
youtube.com/embed/pf_eOLRd6B4?…
youtube.com/embed/qEIW5gOLzIs?…
Misoginia 2.0: l’istigazione all’odio che zittisce le donne
Questo è il quinto di una serie di articoli dedicati all’analisi della violenza di genere nel contesto digitale, in coincidenza con la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne del 25 novembre . Il focus qui è sulla Misoginia 2.0 e l’impatto dell’odio di genere online sul dibattito democratico.
Il panorama digitale, essenziale per la libertà di espressione, è tristemente divenuto l’ecosistema predominante per la proliferazione dei discorsi d’odio. Tra le manifestazioni più virulente si annovera l’odio misogino online o Online Sexist Hate Speech, un fenomeno che colpisce in modo mirato le donne, in particolare quelle in ruoli di visibilità pubblica, minacciando non solo la loro dignità ma anche l’integrità del dibattito democratico. La rete, infatti, garantisce l’anonimato e una diffusione trans-giurisdizionale che complica notevolmente ogni azione repressiva.
Il silenziamento democratico
La violenza di genere veicolata online non è un fenomeno marginale; i dati evidenziano una prevalenza allarmante tra le giovani donne. L’effetto più insidioso di questa violenza sistematica è il cosiddetto chilling effect, o dinamica di silenziamento.
Donne e persone non conformi al genere sono quotidianamente esposte a minacce online, spesso estreme, che culminano nell’autocensura e nell’esclusione digitale. Per paura dell’abuso, le vittime si trovano nell’impossibilità di partecipare pienamente ed esprimersi online, venendo di fatto estromesse dal dibattito pubblico e dalla vita politica.
L’odio misogino online cessa così di essere un mero attacco alla reputazione individuale e si configura come un attacco diretto ai principi fondamentali di libertà di manifestazione del pensiero (Art. 21 Cost.) e di parità democratica (Art. 3 Cost.). Se metà della popolazione è strutturalmente impedita dal partecipare al principale spazio di dibattito, l’integrità democratica ne è minata.
Il contesto europeo e la lacuna nell’ordinamento giuridico nazionale
Negli ultimi tempi si registra un aumento di discorsi, anche veicolati attraverso la rete, motivati in qualche modo dall’odio, dal disprezzo nei confronti dell’altro, verso il debole, verso il diverso.
Tuttavia, in questo contesto generale, l’odio di genere, e in particolare la misoginia digitale, emerge con una specifica virulenza, amplificando l’esclusione delle donne dal dibattito pubblico e rendendo la loro discriminazione un caso emblematico della necessità di adeguamento normativo.
Tale fenomeno, comunemente indicato con l’espressione hatespeech, pur non essendo specifico di internet, esprime il massimo della lesività proprio attraverso lo strumento telematico e ciò per una serie di ragioni.
In primo luogo perché attraverso la rete posso raggiungere chiunque dovunque si trovi, quindi un bacino di utenza illimitato. In secondo luogo perché il messaggio può travalicare i confini nazionali, rendendo necessaria, per la punibilità dell’autore, una cooperazione internazionale non sempre agevole o possibile. A ciò si aggiunga, soprattutto, che anche se rimosso, un dato messaggio d’odio può riapparire nel tempo in un’altra parte della rete, rendendosi praticamente “eterno”.
Da un punto di vista giuridico si tende ad evidenziare come l’hatespeech si caratterizzi da un lato per la volontà del soggetto agente di discriminare taluno o un gruppo per la sua razza, religione, orientamento sessuale o altro; dall’altro per la reale capacità del messaggio di determinare tale discriminazione e magari il concretizzarsi di azioni violente che da tale messaggio traggono linfa. È appena il caso di sottolineare come anche i messaggi d’odio veicolati in rete finiscono per avere effetti, talvolta gravissimi, nel reale. Pensiamo, ad esempio, alle persone che sono state spinte a tentare il suicidio a seguito di vere e proprie campagne di odio.
Su come considerare l’hatespeech, orientamenti diversi si registrano negli Stati Uniti ed in Europa. Se, infatti, nel primo ci si rifà al Primo Emendamento e quindi in sostanza si cerca di evitare qualunque restrizione alla manifestazione del pensiero, a livello europeo si predilige l’impostazione per cui la libera manifestazione del pensiero non può essere illimitata, per cui si parla di responsabilità di parola.
Per quanto riguarda l’hatespeech telematico importanti indicazioni provengono dal Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica, relativo all’incriminazione di atti di natura razzista e xenofobica commessi a mezzo di sistemi informatici, che obbliga gli Stati aderenti ad adottare sanzioni penali per punire la diffusione di materiale razzista e xenofobo attraverso i sistemi informatici.
Di estremo interesse è anche il Digital Service Act, che si propone esplicitamente di garantire un ambiente on line sicuro, responsabilizzando il più possibile i provider e le piattaforme digitali che veicolano contenuti e, quindi, anche quelli che esprimono odio e discriminazione.
In Italia, se da un lato l’art. 21 della Costituzione fissa come principio fondamentale quello della libera manifestazione del pensiero, dall’altro la stessa trova dei limiti nel buon costume, nella riservatezza e onorabilità delle persone, nel segreto di Stato, nel segreto giudiziario e, infine, nell’apologia di reato.
Ciò posto, e considerata la copertura costituzionale non illimitata alla libertà di parola, l’espressioni di odio che tendono ad una discriminazione assumono rilevanza giuridica in virtù di quanto statuito dalla legge n.205/1993 (c.d. legge Mancino), che punisce oggi, attraverso l’Art. 604-bis c.p., l’istigazione alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi, escludendo, tuttavia, esplicitamente le discriminazioni basate sul genere.
In vero, da tempo si discute in merito a una possibile estensione della norma ai reati basati sulla discriminazione in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere, ma allo stato non si è pervenuti a un allargamento delle ipotesi previste, né tanto meno all’introduzione di una legge specifica da più parti auspicata, lasciando così l’odio misogino online senza un’adeguata e specifica cornice sanzionatoria.
L’obbligo di adeguamento europeo
Il quadro italiano è destinato a mutare radicalmente con l’adozione della Direttiva (UE) 2024/1385, che stabilisce norme minime per la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica.
L’Articolo 8 della Direttiva impone un obbligo di risultato stringente. Gli Stati membri devono punire esplicitamente l’istigazione alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone definito con riferimento al genere, se tale istigazione è diffusa tramite tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC).
Il confronto diretto tra l’Art. 8 UE e l’Art. 604-bis c.p. rivela il gap normativo che non è più sostenibile. L’inclusione del genere nel 604-bis c.p. non è più una facoltà oggetto di dibattito politico, ma un imperativo legale di origine sovranazionale. La riforma che ne deriverà deve consentire al sistema legale di punire l’odio misogino per la sua intrinseca capacità di minare l’uguaglianza, al di là del danno specifico causato alla singola vittima.
La strategia integrata contro la misoginia
La gestione del fenomeno è complessa, sia per il confine mobile tra diffamazione individuale e odio collettivo, sia per le sfide procedurali.
Le indagini sui discorsi d’odio in rete presentano notevoli difficoltà. La natura dinamica e volatile della comunicazione online ostacola l’acquisizione forense dei dati, che possono essere rimossi velocemente dall’autore o dalle piattaforme. Il reperimento e la conservazione delle prove necessitano del ricorso a competenze specialistiche in digital forensics.
La Polizia Postale, in collaborazione con l’OSCAD (Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori), svolge un lavoro cruciale, ma i dati aggregati, che nel 2023 hanno visto 2.712 casi trattati per discriminazione e odio, nascondono una sottostima sistemica (underreporting). Le vittime non denunciano per timore di ritorsioni o sfiducia nel sistema.
Per rafforzare la tutela e affrontare la Misoginia 2.0 occorre, a mio avviso, agire su più fronti.
- Innanzitutto, investire nella formazione specialistica per le Forze dell’Ordine e le Autorità Giudiziarie sul riconoscimento del chilling effect come danno concreto e sulle tecniche avanzate di digital forensics.
- Inoltre, bisogna rafforzare il monitoraggio e l’applicazione sanzionatoria nei confronti degli operatori digitali che non adempiono agli obblighi di moderazione e rimozione di contenuti illegali, in linea con il Digital Services Act e la Direttiva UE.
- Infine,vi è necessità di implementare misure di protezione, assistenza specialistica e valutazione individuale delle esigenze di sicurezza per aumentare la fiducia delle vittime ed incentivare le segnalazioni.
La Misoginia 2.0 esige di essere equiparata all’odio razziale, non per similitudine, ma per l’identico potenziale lesivo della parità democratica. Il sistema giudiziario non può più permettersi l’alibi di una tutela frammentata, che subordina la libertà di espressione delle donne alla mera lesione dell’onore individuale.
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Dalla scrivania alla scuola
pnlug.it/2025/11/19/donazione-…
Segnalato dal Grupo Linux di #Pordenone e pubblicato sulla comunità Lemmy @GNU/Linux Italia
PNLUG e Electrolux danno nuova vita alla tecnologia e all'apprendimento a Pordenone donando 50 pc all’Istituto Comprensivo Pordenone Centro
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Kissing is ubiquitous among many animals, especially primates, suggesting deep evolutionary roots of the behavior.#TheAbstract
“Most drivers are unaware that San Jose’s Police Department is tracking their locations and do not know all that their saved location data can reveal about their private lives and activities."#Flock
Ministero dell'Istruzione
Dalle ore 12.00 di domani, mercoledì #19novembre, la piattaforma #CartadelDocente sarà accessibile per gli insegnanti che dispongano di eventuali residui dell’Anno Scolastico 2024/2025 e per i beneficiari di sentenze a cui è stata data esecuzione.Telegram
Roberto Rossetti reshared this.
Gipfel zur Europäischen Digitalen Souveränität: Kehrtwende für die „Innovationsführerschaft“
Ministero dell'Istruzione
La XXIV edizione del #concorso nazionale “I giovani ricordano la #Shoah” per l’anno scolastico 2025/2026 è promossa dal #MIM, in collaborazione con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.Telegram
Interne Dokumente: EU-Staaten einigen sich auf freiwillige Chatkontrolle
Journalists’ cameras become targets at Oregon protests
You’ve probably seen the inflatable frogs, the dance parties, the naked bike ride. Maybe you’ve also seen the darker images: a federal officer aiming a weapon at protesters, or federal agents hurling tear gas and flash bangs into peaceful demonstrations at a Portland, Oregon, immigration facility.
Local journalists have been attacked for bringing images like these to the world. They’re being tear-gassed and shot with crowd-control munitions by federal agents simply for doing their jobs.
Photojournalist John Rudoff is among them. He’s been covering these protests since June, photographing both peaceful marches and violent responses from federal officers that often follow.
On Oct. 11, while documenting a protest, Rudoff was struck by a stinger grenade, even though he was clearly identifiable as press. He was bruised, but not deterred.
“If you cover protests, you’re going to have discomfort and hazard. Period. That’s just the way it is,” Rudoff told us. “They shoot 20-year-old girls, and they shoot 70-year-old men, and they shoot people in wheelchairs, and they shoot blind people,” he added, referring to federal agents using crowd-control munitions. “The word impunity seems to be coined for them.”
Despite the danger, Rudoff refuses to stop documenting. “The entire media ecosystem has been covered with the administration’s rantings about the war-ravaged hellscape of Portland, and the city is burning down, and ICE officers are being attacked, and on and on and on,” he said. “I feel some obligation to try and counter this frankly preposterous narrative that the city’s burning down. It isn’t.”
Independent journalist Kevin Foster, who has also been covering the Portland protests, shares that sense of duty and outrage. “It’s clear the Trump administration wants to paint Portland as a war zone to seize more control, but it’s a lot harder to do that when I’m showing you all the dancing inflatable frogs,” he told us. “At the end of the day, someone needs to be there to document abuses of power.”
Foster has felt the danger up close while reporting from protests. “I’ve seen other press members shot with pepper balls, I’ve had flash bangs go off at my feet, and tear gas canisters explode above my head,” he said. But he continues to work to keep the public informed, reporting on federal agents’ heavy use of force and escalatory tactics at the protests.
For Foster, the concerns go beyond federal agents at protests. “Right-wing influencers and agitators have reportedly doxxed people,” Foster said. “With the state of the presidency and the history of authoritarianism, I do sometimes worry about persecution as well, especially given that a lot of my coverage subverts the narrative produced by right-wing media.”
The incident in Portland that got the most attention involved Katie Daviscourt, a reporter for the conservative news site The Post Millennial. She reported being hit in the face by someone swinging a flagpole at a protest, blackening her eye. Police let the suspect go, prompting feigned outrage from the White House.
Holding federal agents accountable
Violence against the press, from any direction, is an attack on the First Amendment itself, especially when enabled by law enforcement. Unfortunately, those purportedly appalled by the Daviscourt incident have not shown similar concern over federal law enforcement attacks on journalists who don’t further their preferred political narratives.
Since the Portland protests began in June, for instance, photojournalist Mason Lake has been struck by crowd-control munitions twice, pepper-sprayed, and had a rifle aimed at him. Yet federal officials haven’t condemned these attacks, or the attack on Rudoff.
“It’s very disconcerting to see how free press has been trampled,” Lake told the U.S. Press Freedom Tracker, a project of Freedom of the Press Foundation (FPF). “The best we can do is push back and make sure the truth isn’t run over.”
In other cities, like Chicago, Illinois, and Los Angeles, California, federal court orders protect journalists from such assaults. But Portland currently has no such order. Legal precedent from 2020 protests in Portland recognized reporters’ First Amendment right to cover protests and shielded them from dispersal orders. But it has done little to rein in federal agents today.
“They have to be sued, and they have to be enjoined, and they have to be criminally prosecuted until they stop doing it,” suggested Rudoff.
Until that happens, however, journalists must keep speaking up, not just about what they see, but also for being attacked for witnessing it. “Most attacks on journalists aren’t reported,” explained Rudoff. But, he added, “I don’t know a single journalist out there who hasn’t been shot or hit or knocked over or tear-gassed or pepper-sprayed. It’s everybody.”
Foster put it even more bluntly: “Many Americans seem to have this impression that brutalizing protesters and targeting the press only happens in other countries. If that notion hasn’t shattered for you yet, wait until your ears are ringing from flash bangs and you’re enveloped in a cloud of tear gas so thick you can’t see 15 feet.”
This isn’t some distant dictatorship. It’s the city of Portland. And the First Amendment is under siege.
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L'articolo
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Pare 🚲 🌞
in reply to differx • • •Dico solo che se io vedo un indirizzo ofuscato per il quale non ho neppure una vaga indicazione che mi anticipi dove porta, senza uno straccio di descrizione che mi spieghi di cosa si tratta, posso solo pensare allo SPAM; non lo seguitò mai.
Se chi pubblica pensa che non valga la pena spendere due minuti per spiegare perché il riferimento proposto può essere interessante, perché mai dovrei dedicare tempo a guardarlo?
Preferisco spenderlo per dire: rispettate chi vi legge.
@differx @poliversity
differx
in reply to Pare 🚲 🌞 • •ti ringrazio della critica, che trovo giusta: ho corretto e ampliato il post!
differx
in reply to Pare 🚲 🌞 • •@Pare 🚲 🌞 @Poliversity - Università ricerca e giornalismo
ecco il post corretto: poliverso.org/display/0477a01e…
differx
2025-11-19 10:52:13