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Colombia. Petro: “pronti a rompere le relazioni con Israele”
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di Redazione
Pagine Esteri, 16 ottobre 2023 – «Se occorre sospendere le relazioni con Israele le sospenderemo. Non appoggiamo i genocidi». Così si è espresso il presidente della repubblica della Colombia rispondendo alle proteste sollevate dall’esecutivo israeliano nei confronti di Bogotà per le forti prese di posizione del capo di stato colombiano contro il massacro compiuto da Israele nella Striscia di Gaza.
Riferendosi all’assedio e ai bombardamenti su Gaza, che hanno provocato in pochi giorni migliaia di vittime civili, Petro aveva paragonato la situazione del territorio palestinese ai campi di concentramento nazisti.
Poco prima, il ministero degli Esteri israeliano aveva convocato l’ambasciatrice colombiana, Margarita Manjarrez, per censurare le ultime esternazioni del primo presidente di sinistra del paese, accusato da Tel Aviv di «istigazione all’antisemitismo». «Israele – recitava un comunicato della rappresentanza diplomatica israeliana in Colombia – condanna le dichiarazioni del presidente colombiano che riflettono un sostegno alle atrocità commesse dai terroristi di Hamas, alimentano l’antisemitismo, colpiscono i rappresentanti dello Stato di Israele e minacciano la pace della comunità ebraica in Colombia».
«Il presidente della Colombia non si insulta. Chiamo l’America Latina a una solidarietà reale con la Colombia. Né gli Yair Klein, ne i Rafael Eithan potranno dire qual è la storia della pace in Colombia. Hanno scatenato i massacri e il genocidio in Colombia. La Colombia, come ci hanno insegnato Bolivar e Narino, è una nazione indipendente, sovrana e giusta» ha quindi reagito Petro riferendosi a due ex militari israeliani coinvolti negli eccidi compiuti nei decenni scorsi dagli squadroni della morte di estrema destra contro i movimenti guerriglieri e i movimenti sociali. Se Yair Klein, ex militare di Tel Aviv e mercenario, è noto per aver addestrato i paramilitari di estrema destra colombiani, Rafael Eithan suggerì all’ex presidente colombiano Virgilio Barco di sterminare i membri del partito di sinistra Unione Patriottica, cosa che effettivamente avvenne negli anni ’80 e ’90 con migliaia di militanti assassinati.
Il presidente colombiano, sempre molto attivo sulle reti sociali, è intervenuto spesso nei giorni scorsi sulla crisi mediorientale, denunciando tra le altre cose il fatto che il «potere mondiale tratta in modo distinto l’occupazione russa sull’Ucraina e quella israeliana in Palestina». Dopo aver ricordato che “uccidere bambini innocenti significa terrorismo, sia in Colombia sia in Palestina”, Petro ha invitato le parti a sedere a un tavolo negoziale per arrivare ad una soluzione politica del conflitto attraverso la fondazione di due Stati sovrani.
«Nessun democratico al mondo può accettare che Gaza sia trasformata in un campo di concentramento» ha scritto Petro su Twitter. «I campi di concentramento sono vietati dal diritto internazionale e coloro che li allestiscono si trasformano in colpevoli di reati di lesa umanità» ha aggiunto il presidente della Colombia suscitando la rabbia dell’ambasciatore di Israele a Bogotà, Gali Dagan.
Il governo israeliano è intervenuto annunciando il blocco della vendita di armi alle forze armate colombiane.
Da parte sua Gustavo Petro ha esortato le Nazioni Unite a convocare quanto prima una sessione straordinaria, ha promesso l’invio di aiuti umanitari alla popolazione della Striscia di Gaza e che cercherà la mediazione e la collaborazione delle autorità egiziane.
Ovviamente i partiti di destra all’opposizione non hanno preso bene né le dichiarazioni di Petro contro Tel Aviv né la crisi aperta con Israele, da sempre fornitore privilegiato di armi e alleato delle oligarchie colombiane nella repressione dei movimenti guerriglieri, sociali e sindacali del paese, tra i più estesi di tutto il continente. – Pagine Esteri
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Non c’è differenza tra Isis e Hamas: vogliono entrambe distruggere Israele
«Benjamin Netanyahu è un dirigente catastrofico, ma non è per questo che Israele è stato colpito da Hamas». Secondo il filosofo francese Alain Finkielkraut, figlio di ebrei polacchi sopravvissuti all’Olocausto, le cause dell’attacco condotto da Hamas sono riconducibili «ai tentativi di normalizzazione tra Israele e l’Arabia saudita». Sulla minaccia islamista in Europa, diventata più concreta dopo l’attacco avvenuto venerdì nel nord della Francia dove un ventenne originario del Caucaso ha ucciso un insegnante a coltellate, l’intellettuale ricorda l’esistenza «una comunità arabo-musulmana che si identifica da sempre alla causa palestinese». «La questione sta nel sapere fino a dove arriverà questo riconoscimento», spiega il filosofo.
Come giudica gli ultimi avvenimenti che hanno scosso la Francia?
«Stiamo assistendo allo spirito e alla messa in atto dei pogrom condotti da Hamas sotto forma di guerriglia urbana e al modo in cui si installano sul nostro continente. Gli ebrei di Israele e quelli della diaspora sono sulla stessa barca, uniti da un destino comune. Nessuno poteva immaginare una simile situazione, ma c’è un nuovo antisemitismo in marcia, che non ha nulla a che vedere con il nazismo e si presenta sotto le vesti dell’antirazzismo. Bisognerà affrontarlo, ma penso che, nonostante le divisioni di Israele, gli ebrei non sono mai stati così solidali tra loro come oggi».
Che conseguenze potrà avere la risposta militare di Israele in Occidente?
«Gli israeliani hanno chiesto agli abitanti della parte nord di Gaza di rifugiarsi a sud dell’enclave. Hamas, che non si preoccupa della sua popolazione, respinge questa richiesta, così come l’Onu. Il rischio è quello di avere molte vittime civili, con conseguenze devastanti per l’Europa. Le manifestazioni palestinesi si moltiplicheranno, così come gli atti antisemiti. Vorrei però ricordare che i bombardamenti effettuati dall’Occidente per distruggere l’Isis hanno fatto molti più danni rispetto a quelli mirati di Israele. In quel caso, però, nessuno ha urlato allo scandalo».
A proposito, che ne pensa dei tanti cortei pro-palestinesi di questi giorni?
«Dimostrano l’esistenza e la forza di quello che in Francia è chiamato islamo-gauchisme, termine utilizzato per indicare una parte della sinistra che vede nei musulmani dei dominati in rivolta contro un occidente dominatore e colonialista».
Che responsabilità ha in questa crisi l’esecutivo del premier Benjamin Netanyahu?
«Il governo israeliano ha dimostrato la sua incapacità. Il fronte sud è rimasto sguarnito. I miliziani di Hamas hanno superato la barriera di sicurezza con una facilità incredibile perché una parte dell’esercito israeliano è stata inviata a proteggere gli insediamenti in Cisgiordania, mentre sotto la pressione dei religiosi ultra ortodossi il 40% dei soldati ha ottenuto un permesso per festeggiare in famiglia le feste ebraiche. È stata una situazione delirante e una volta che questa crisi sarà finita il governo dovrà pagare».
È d’accordo con il parallelo tra l’Isis e Hamas?
«L’attacco contro Israele dimostra che non c’è nessuna differenza tra questi due gruppi. Del resto, molte bandiere dello Stato islamico sono state piantate nei kibbutz attaccati. L’unica missione di Hamas, fin dalla sua creazione, è quella di distruggere Israele, non di obbligarlo a lasciare i territori occupati. Il principale nemico dei palestinesi e della causa palestinese è Hamas».
Da filosofo, cosa pensa delle recenti dichiarazioni di Papa Francesco, che in riferimento ai tanti conflitti in corso ha parlato di una “Terza Guerra mondiale combattuta a pezzi”?
«Sono sbalordito dalle posizioni del Pontefice, che non si preoccupa dell’Europa e in nome dell’ospitalità incondizionata approva la scomparsa programmata della civilizzazione europea. Fa esattamente il contrario dei suoi predecessori: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Non ha mai condannato come si deve l’invasione russa dell’Ucraina e non ha mai nemmeno voluto prendere in considerazione la realtà della violenza islamista. Per me Papa Francesco è ormai totalmente screditato e rappresenta una catastrofe per la Chiesa e per l’Europa».
Quindi non è d’accordo con le sue parole?
«Temo naturalmente un ampliamento del conflitto. Se Hezbollah interverrà, si aprirà un nuovo fronte, con il rischio di veder entrare anche l’Iran nelle danze. Tuttavia, credo che questa guerra rimarrà circoscritta. C’è però un blocco anti- occidentale in fase di costruzione, che comprende la Russia, l’Iran e altri Paesi membri dei Brics. È come se all’orizzonte si stesse delineando quello che il politologo Samuel Huntington definiva “scontro di civiltà”».
Pensa che questo scontro sia già iniziato?
«C’è qualcosa del genere in atto. La mia unica speranza è che una parte dei musulmani residente in Europa si rivolti contro questa radicalizzazione e dica “Not in my name”».
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🥗 Oggi, 16 ottobre è la Giornata mondiale dell’alimentazione 2023 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO).
🚰 Il tema di quest’anno è: “L’acqua è vita, l’acqua ci nutre. Non lasciare nessuno indietro.
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Taekwondo diplomacy: arti marziali e governi asiatici
La popolarità delle arti marziali tradizionali asiatiche nel mondo è oggi tanto uno strumento di soft power quanto una base narrativa utile a rafforzare l'identità nazionale. Un estratto dall’ultimo e-book di China Files su Sport e Politica (per sapere come ottenerlo, clicca qui)
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Ecuador: la destra di Daniel Noboa vince le elezioni
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di Davide Matrone –
Pagine Esteri, 16 ottobre 2023.
I primi risultati e le dichiarazioni a caldo
Con il 91% dei voti scrutinanti il candidato Daniel Noboa vince con il 52.1% dei consensi con uno scarto di quasi 500 mila voti sulla candidata Luisa González. Quest’ultima, nonostante avesse recuperato nelle ultime due settimane, non è stata capace di ribaltare il risultato che comunque era sfavorevole sin dal primo turno. I primi exit poll emanati alle 18, un’ora dopo la chiusura dei seggi, davano in vantaggio Noboa con un 53% a 47%. Il tam tam dei primi exit poll ha creato confusione e malumore tra gli addetti ai lavori. Luisa Gonzalez è intervenuta sul suo account di Twitter scrivendo: “Gli exit poll a volte hanno commesso, in passato, dei gravi errori. Attendiamo con calma e determinazione. Con responsabilità democratica seguiremo i dati ufficiali e avremo fiducia nella volontà popolare”.
Dopo i risultati ufficiali, la stessa González con Andrés Arauz e i quadri della Revolución Ciudadana ha ringraziato tutti coloro che hanno camminato insieme durante questi giorni di campagna elettorale riconoscendo la vittoria del candidato Daniel Noboa. “Bisogna rispettare la democrazia e la serietà della politica. Il nostro è un progetto che continuerà per il prossimo futuro”.
Verso le 21,30 il neoeletto presidente della Repubblica dell’Ecuador (il più giovane della storia) ha scritto sul suo account twitter: “Oggi abbiamo fatto la storia. Le famiglie ecuadoriane hanno scelto il Nuovo Ecuador, un paese più sicuro e con più occupazione. Andiamo avanti per realizzare le promesse fatte in campagna elettorale e che la corruzione venga castigata. Grazie Ecuador”
Il primo a fare i complimenti a Daniel Noboa è stato il Presidente uscente Guillermo Lasso che ha scritto le seguenti parole sul suo account di Twitter: “Caro Daniel, presidente eletto dell’Ecuador: i miei complimenti. Oggi, il nostro paese ti ha dato la fiducia per governarlo. Sarà un piacere riceverti martedì al Palacio Carondelet (sede della Presidenza della Repubblica). Dovremo già cominciare il processo di transizione perché conosca fino in fondo la situazione dell’Ecuador per quanto concerne l’economia, la parte sociale e la sicurezza. Complimenti. La nostra democrazia si rafforza”.
Un’analisi del voto
La partecipazione resta stazionaria rispetto a 2 anni fa e cioè intorno all’82% degli aventi diritto con un lieve incremento dello 0.4%. Si registra un calo del voto nullo che passa da 1 milione e 700 mila voti a 73a mila voti in queste ultime elezioni con un calo di 3,5%. Tuttavia, il 7.7% di voti nulli di ieri, molto probabilmente, hanno nuovamente svantaggiato la candidata della Revolución Ciudadana come nel caso di Andres Arauz nel 2021. Alle scorse elezioni, il candidato Yaku Perez – che in due anni passa dal 19,3% al 3,9% – fece una dura campagna per il nullo ideologico anche se una parte del suo elettorato votò per Lasso al ballottaggio. Ricordiamo che lo stesso Yaku aveva più volte dichiarato “meglio un banchiere che un despota”. Poi i risultati del banchiere rispetto al despota hanno lasciato molto a desiderare, a mio avviso.
Se si analizza a prima vista la distribuzione territoriale del voto, si replica il voto del 2021.
La Revolución Ciudadana, che rappresenta la forza di centro – sinistra, marca la sua presenza nella costa, da Esmeraldas al Guayas e conserva e si difende nelle due regioni amazzoniche di Sucumbios e Orellana. Mantiene il suo elettorato in definitiva ma non cresce. Questo elemento deve fare riflettere all’entourage della prima forza politica del paese.
Arauz aveva conquistato al secondo turno il 47,64% (4 milioni 263, 515 voti) e Luisa González ieri il 47,70% (4 milioni 451,243 voti). In termini percentuali +0,06% e + 187,728 voti. Pochini se si vuole conquistare Palacio Carondelet.
Mentre invece la destra – che aveva vinto con Lasso nel 2021 con il 52,36% pari a 4 milioni 656,426 voti – in queste elezioni conquista il 52,30 (-0,06%) e 4 milioni 881 100 voti (+ 224,674 voti). Gli ecuadoriani premiano e ridanno fiducia alla destra nonostante il suo ultimo Presidente in carica – di destra – sia stato sfiduciato nel referendum popolare dello scorso febbraio ed esca con una bassissima accettazione popolare intorno al 15%, secondo gli ultimi sondaggi Gallup del giugno 2023.
Il paradigma di sviluppo neoliberista esce dalla finestra con Lasso e rientra dalla porta con Noboa.
È curioso notare come la destra vinca nelle regioni e zone economicamente più depresse e con maggior indici di povertà (la Sierra interna per esempio). Questo ci porta a pensare che un maggior impatto negativo del neoliberismo non si traduce, necessariamente, in una reazione opposta allo stesso; c’è accettazione, rassegnazione e addirittura rancore verso chi si oppone. Quindi non è il neoliberista il responsabile del fracasso, bensì il suo oppositore che in Ecuador si configura con Correa e con lo slogan “la colpa è di Correa”. Slogan costruito e orchestrato all’infinito dai mezzi di comunicazione privati.
Un altro dato da analizzare è quello del voto all’estero che si è svolto nelle 97 zone elettorali delle 3 circoscrizioni speciali. Qui, gli oltre 400 mila ecuadoriani (180 mila solo in Spagna) hanno votato dalle 9H00 alle 19h00 (in base ai differenti fusi orari). Non hanno votato per motivazioni logistiche e politiche gli ecuadoriani residenti in: Israele, Russia, Bielorussia e Nicaragua.
Ricordiamo che con questo voto si dovevano assegnare 6 parlamenti dei 137 totali. Secondo i dati emanati dal CNE (Consiglio Nazionale Elettorale) la Revolución Ciudadana ha vinto nelle 3 circoscrizioni. In quella Latinoamericana, Caraibi ed Africa ottiene il 37% dei voti validi, nella circoscrizione Europa, Oceania ed Asia conquista il 63% e in Canada e Stati Uniti il 42,1%. Questo vuol dire che la RC conquisterebbe i 6 posti che si sommano ai 48 parlamentari già ottenuti al primo turno.
L’assemblea Nazionale vede quindi una maggioranza del partito della RC con 54 parlamentari su 137, seguito dal gruppo Movimento Construye (28) e poi dal Partido Social Cristiano (14). Il partito ADN del neopresidente Noboa ha solo 13 parlamentari. Quasi scompare Pachakutik che passa da 24 a 4 parlamentari. Sembra ripresentarsi la stessa situazione di 2 anni fa quando Lasso vinse le elezioni ma portò al Parlamento un’esigua flotta di 12 parlamentari che gli permisero di governare solo 2 dei 4 anni previsti. Lasso non riuscì a costruire alleanze politiche, anzi. Litigò finanche con il suo maggiore alleato Nebot. Inoltre, la dura opposizione dell’Assemblea Nazionale lo costrinse alla resa con la firma della famosa Muerte Cruzada (lo scioglimento anticipato delle Camere). Atto che si è registrato per la prima volta nella storia del paese.
Ora Noboa, forse, si troverà nella stessa situazione. Dovrà realizzare le riforme con le atre forze politiche e per farlo dovrà negoziare. A meno che non si formi una maggioranza amplia e compatta. Ci riuscirà?
In definitiva, c’è un’egemonia culturale delle élite dominanti in Ecuador che continua a rendere dominanti i propri valori e le proprie idee. Anche in queste elezioni vediamo concretizzarsi un processo mediante il quale i poveri e i subalterni appoggiano i propri oppressori. Gramsci lo spiegava quando diceva appunto che la classe dominante mantiene il suo potere non solo attraverso la forza ma anche attraverso un’egemonia culturale e ideologica (consenso) sulla società. La classe dominante ecuadoriana riesce a stabilire quest’egemonia ideologica attraverso le istituzioni come il sistema educativo, i mezzi di comunicazione (tradizionali, reti sociali e influencers) e la religione. E continua a vincere. La sinistra, con l’uscita di scena di Correa e con il processo di neutralizzazione della destra attraverso i suoi mezzi, dovrà rendere maggioritaria la sua egemonia culturale che ha costruito solo in alcune zone del paese ma non riesce ancora a costruirla nelle altre. Pagine Esteri
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In Cina e Asia – Wang Yi accusa Israele di "punizione collettiva sui civili di Gaza”
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LIVE. GAZA/ISRAELE. Giorno 10. Protezione civile di Gaza: “sotto le macerie i corpi di altri mille palestinesi”
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della redazione
Pagine Esteri, 16 ottobre 2023 – Sono 2670 i palestinesi, per la maggior parte civili, tra cui centinaia di bambini e ragazzi, morti nei bombardamenti aerei israeliani cominciati il 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas al sud di Israele (1300 morti). I feriti palestinesi sono circa 10mila. Il bilancio è stato comunicato ieri sera dal ministero della sanità ma la Protezione civile avverte che sotto le macerie degli innumerevoli palazzi, case ed edifici distrutti dalle bombe potrebbero esserci i corpi non recuperati di altri mille palestinesi. La scorsa notte, riferiscono gli abitanti di Gaza, Israele ha colpito con la sua aviazione decine di volte.
Israele non intenderebbe restare nella Striscia di Gaza. Così afferma l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Gilad Erdan in risposta all’intervista in cui il presidente americano Joe Biden ha definito un errore la possibile rioccupazione di Gaza. “Non abbiamo alcun interesse a occupare Gaza o a restarvi”, ha detto Erdan alla Cnn, in risposta alle affermazioni del presidente Usa, Joe Biden, secondo il quale l’occupazione di Gaza da parte di Israele sarebbe un “grosso errore”. Erdan ha aggiunto che Israele “farà tutto il necessario per distruggere le capacità di Hamas” e rimuoverlo dal potere ma non ha indicato quale “futuro” i comandi politici e militari di Israele immaginano per il controllo di Gaza. Secondo Erdan il focus ora deve essere solo sulla liberazione degli israeliani prigionieri a Gaza e sull’offensiva militare di terra.
Offensiva che non è ancora scattata. A causa, spiegano alcuni, dell’elevato numero di civili palestinesi nel nord di Gaza. L’ultimatum a lasciare “entro 24 ore” le proprie case e a recarsi a sud lanciato giovedì notte da Israele, ha messo in fuga centinaia di migliaia di civili. Ma altrettanti hanno scelto di non partire o più semplicemente non hanno la possibilità di farlo. Inoltre, sul territorio sono presenti strutture ospedaliere e di assistenza alla popolazione che rifiutano di evacuare.
La tv Canale 13 oggi riferisce che il primo ministro israeliano Netanyahu non vorrebbe allargare i fronti di guerra mentre il suo ministro dell’esercito, Yoav Gallant, insiste per attaccare anche Hezbollah in Libano.
Mentre vanno avanti i bombardamenti aerei e, da parte sua, Hamas continua a lanciare razzi. Israele ha annunciato l’uccisione di due presunti capi militari del movimento islamico e di quattro membri del suo ufficio politico. Hamas accusa Israele di aver colpito con gli aerei e ucciso 70 sfollati che l’altro giorno stavano percorrendo in auto uno due “percorsi sicuri” indicati dallo stesso esercito israeliano per raggiungere il sud di Gaza. Il portavoce militare ha nega e accusa a suo volta Hamas di aver ucciso i civili.
Intanto dopo pressioni statunitensi, Israele ieri ha annunciato di aver ripreso la fornitura idrica al sud di Gaza, dove si ammassano gli sfollati, ma i palestinesi non confermano e sottolineano che la rete idrica è stata gravemente danneggiata dai raid aerei. Pagine Esteri
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La minaccia Cbrn non va sottovalutata. La lezione dello Iai
La minaccia Cbrn (chimica, biologica, radiologica e nucleare) è di natura multidisciplinare e transnazionale per eccellenza. Questo il tema di fondo, sintetizzato dal presidente dell’Istituto affari internazionali, ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, nel corso della sua introduzione al workshop “Rischi e minacce Cbrn nel nuovo scenario internazionale”, tenutosi il 12 ottobre. “È quindi fondamentale valorizzare le numerose capacità sviluppate a livello nazionale – ha continuato il presidente – rappresentate all’evento dagli attori istituzionali presenti”.
L’ambasciatore ha inoltre ricordato il contributo dello Iai nel supportare la Difesa italiana nello sviluppo di significative “competenze che contribuiscono ad inserire il nostro Paese fra quelli di riferimento a livello europeo”.
Delle sfide legate ai rischi e alle minacce Cbrn sul nuovo scenario internazionale ha parlato anche il coordinatore cluster Cbrn e vice presidente dello Iai, Michele Nones. “Mi riferisco, in particolare, alle possibili conseguenze dei massicci bombardamenti aerei e terrestri di aree in cui sorgono centrali nucleari o sono presenti depositi o produzioni che comportano l’impiego di sostanze chimiche”, ha continuato, visto l’elevato rischio che tali strutture possano essere colpite, volontariamente o involontariamente, provocando potenziali contaminazioni di aree densamente popolate. Tale pericolo è stato reso evidente dalla guerra in Ucraina che, tra l’altro, ha sottolineato l’importanza di una sinergia tra operatori civili e militari nel settore Cbrn.
A questo proposito, la terza missione del Cluster è proprio quella di “favorire una maggiore attenzione dell’opinione pubblica e del mondo politico per il settore Cbrn e, quindi, una crescita del settore e del mercato della protezione, della prevenzione e della gestione di eventuali emergenze Cbrn”, ha sottolineato Nones.
L’attuale scenario internazionale necessita di “uno sforzo sempre maggiore per rafforzare le capacità esistenti di prevenzione e risposta” contro le minacce Cbrn, ha affermato il presidente di Enea Gilberto Dialuce. Tale impegno deve essere mirato a “prestarsi mutuo supporto fra stati, individuare nuove priorità di ricerca, ma anche per sviluppare tecnologie innovative” ha continuato Dialuce. Il presidente di Enea ha inoltre ricordato il ruolo di primo piano e i risultati tangibili della ricerca italiana, ottenuti anche grazie al contributo dello Iai. Nel rimarcare l’importanza di sostenere il ruolo italiano nella ricerca Cbrn, Dialuce ha evidenziato l’importanza delle nuove tecnologie anche per via della loro capacità di deterrenza. Infatti, secondo il presidente, “soltanto se dotate delle migliori e più innovative soluzioni tecnologiche, le istituzioni preposte possono attuare con efficacia i loro piani di prevenzione e risposta ad un evento Cbrn. Intelligenza artificiale, sistemi robotici, sensoristica avanzata e materiali innovativi sono solo alcune delle tecnologie emergenti su cui investire”.
Questi temi sono poi stati approfonditi nel corso del workshop dopo il saluto del presidente della Commissione Difesa Antonio Minardo.
Al primo panel, moderato dalla dottoressa Paola Tessari, ricercatrice dello Iai, sono intervenuti Ciro Carroccio dell’ufficio V° Disarmo e controllo armamenti, non proliferazione, armi chimiche della direzione generale Affari politici e sicurezza del ministero degli Affari esteri; il comandante Scuola di interforze di difesa Nbc, il generale Riccardo Fambrini; il direttore del master Protezione da eventi Cbrne dell’università di Roma Tor Vergata, il professore Andrea Malizia e il vice capo Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, direttore generale per la Difesa civile e le politiche di protezione civile del ministero dell’Interno, il prefetto Clara Vaccaro.
Il secondo panel, moderato dal presidente della fondazione Safe, il dottor Andrea D’Angelo, ha trattato il tema delle risposte a livello tecnologico, operativo e istituzionale. Sono intervenuti alla discussione il comandante del 7° reggimento difesa Cbrn “Cremona”, il colonnello Marco Baleani; il responsabile divisione tecnologie fisiche per la sicurezza e la salute di Enea, il dottor Luigi De Dominicis; il direttore Attività tecniche scientifiche del Dipartimento della protezione civile, l’ingegnere Nazzareno Santilli e il direttore Ufficio contrasto rischio Nbcr dei vigili del fuoco, l’architetto Sergio Schiaroli.
La separazione delle carriere è la madre delle riforme della giustizia
Mercoledì alla Camera dei deputati abbiamo lanciato un appello e una raccolta firme, che trovate sul sito della Fondazione Luigi Einaudi, a favore della separazione delle carriere dei magistrati, tra giudici e Pm. Una riforma costituzionale necessaria per equilibrare il nostro sistema giustizia, per garantire l’effettiva parità tra accusa e difesa nel processo, e una battaglia di civiltà. Abbiamo promosso questa iniziativa indipendentemente dalle proposte di legge già depositate in Parlamento, perché pensiamo sia importante mantenere alta l’attenzione sul tema e arrivare a una rapida approvazione.
E abbiamo da subito raccolto adesioni in modo trasversale. Nella sala stampa della Camera dei deputati erano presenti insieme a noi il nuovo presidente dell’Unione camere penali, Francesco Petrelli, Enrico Costa di Azione, Roberto Giachetti di Italia Viva, Raffaele Nevi di Forza Italia, Stefano Maullu di Fratelli d’Italia, e il presidente della Fondazione Unione Camere Penali, Beniamino Migliucci. Tutti convinti sostenitori dell’importanza di questa riforma.
Per noi la questione centrale a favore della separazione delle carriere non è l’enorme potere di questo o di quel Pm, ma la totale irresponsabilità dello stesso nel sistema giudiziario italiano che non vede eguali in nessun altro Paese europeo. Oggi pensiamo sia indispensabile avere un doppio Csm, uno per i giudici e uno per la pubblica accusa. In uno Stato liberal-democratico il magistrato non deve essere il sacerdote dell’etica pubblica, ma deve limitarsi ad applicare correttamente le leggi.
Chiariamo, nessun Pm deve essere controllato dall’esecutivo, infatti quella dei magistrati controllati dal Ministero della Giustizia è una bufala, una strumentalizzazione che arriva da una certa parte di magistratura militante che ogni volta che viene messa sul tavolo questa riforma si attiva per farla fallire. Il primo a dire che, pur separando le carriere dei magistrati, nessuno vuole mettere in discussione l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, è stato proprio il ministro Carlo Nordio.
A chi ci chiede quando sia il momento giusto per arrivare a questa riforma, noi rispondiamo “ieri”. Separare le carriere dei magistrati rappresenterebbe il completamento logico e cronologico del percorso di riforma iniziato nel 1989 con il nuovo Codice di Procedura Penale di Giuliano Vassalli, che ha segnato il passaggio dal rito inquisitorio al rito accusatorio, e proseguito dieci anni dopo con la riforma dell’art. 111 della Costituzione, che vede il giudice terzo. Oggi manca proprio quest’ultimo step, ci auguriamo che il Parlamento non si lasci sfuggire questa occasione.
L'articolo La separazione delle carriere è la madre delle riforme della giustizia proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
La guerra subita
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L'articolo La guerra subita proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Thierry Breton, Elon Musk e il DSA
10 ottobre 2023. Negli uffici di Twitter arriva una lettera indirizzata a Elon Musk, firmata dal commissario europeo Thierry Breton.
È sintetica e va dritta al punto: “dopo gli attacchi di Hamas contro Israele, abbiamo notizia del fatto che la piattaforma X sia usata per disseminare contenuti illegali e disinformazioni in UE.”
La lettera ricorda a Elon Musk che in UE è da pochissimo entrato in vigore il famigerato Digital Services Act, che prevede alcuni specifici obblighi verso le piattaforme come X.
Musk è chiamato a fare tre cose, e in fretta:
- Essere trasparente nel definire quali contenuti sono permessi o meno sul social
- Essere veloce, diligente e obiettivo nel rimuovere i contenuti che sono segnalati dalle autorità rilevanti
- Adottare misure tecniche e organizzative adeguate per mitigare il rischio di diffusione di contenuti illegali o falsi, come ad esempio vecchie immagini spacciate per nuove
In modo molto teatreale, Thierry Breton ha pubblicato la lettera anche su X, a cui Elon Musk ha prontamente risposto in modo impeccabile:
In effetti, gli algoritmi e le politiche di X sono open source e trasparenti, chiunque può capire come funziona il social sia dal punto di vista organizzativo che tecnico.
Che vuole allora la Commissione Europea da Musk? Per capirlo bisogna capire il Digital Services Act. Ne ho parlato in modo approfondito qui, ma ripercorriamo insieme i punti essenziali per poi passare a un commento personale su quello che sta succedendo.
I punti salienti del DSA
Il Digital Services Act è un regolamento proposto dalla Commissione UE a fine 2020 e fa parte del “pacchetto digitale” europeo. Da molti è stato annunciato come la risposta salvifica alla disinformazione e all’illegalità online, secondo il motto: “quello che è illegale offline deve essere illegale online”.
Come figli amati
Lo Spirito ci fa chiamare il Signore, il Creatore di ogni cosa, l’Onnipotente: "papà". Questo infatti significa "abbà" in aramaico. Per questo lo Spirito di adozione, con questa grande e disinvolta familiarità con il Signore, ci toglie la paura di Dio.
La paura di Dio o degli dèi o del destino ha sempre contraddistinto l’umanità. Ed anche spesso la chiesa stessa. Invece, in Gesù Cristo non dobbiamo più avere paura di Dio, tantomeno quindi dei potentati politici o religiosi che siano. #Amore, #FigliDiDio
I palestinesi sono principalmente vittime di se stessi
È l’ora di accorgersi che i palestinesi non sono vittime altro che di se stessi. Se potranno continuare sulla loro strada, proseguiranno come Al Qaida e Isis fino nel cuore dell’Occidente. È ora di cambiare: questa è una guerra fondamentale che deve battere il terrorismo, può invadere il mondo se non viene fermato in Israele. Deve finire l’illusione pietistica che i palestinesi siano le vittime di Israele: è vero il contrario. Israele è l’aggredito. Ogni offerta di pace è stata rifiutata. Occorre ristabilire la verità storica contro le bugie che inondano l’opinione pubblica. Chi descrive i palestinesi, specie quelli di Gaza, come vittime dell’oppressione, nega la prima di tutte le verità storiche: Gaza vive sotto il tallone di Hamas indisturbata dal 2005, non è occupata, il livello di vita della sua popolazione, che si è moltiplicata fino a 2 milioni da poche centinaia di migliaia, è pari a quello medio alta del mondo arabo. La reclusione che lamenta è solo dovuta a motivi di sicurezza. La povertà, al cinismo e alla corruzione della sua leadership. Anche il West Bank è stato liberato dalla presenza ebraica negli anni ’90, il 98% della sua popolazione vive governata solo dall’Anp, lo stato definitivo per l’istituzionalizzazione del governo di Abu Mazen attende un accordo che i palestinesi hanno sempre rifiutato. Così stabiliscono anche le risoluzioni dell’Onu: è falso che esista una «occupazione illegale».
Non c’era nessuno stato nei territori che Israele dovette occupare con la Guerra del ’67 e che erano illegalmente occupati dalla Giordania. Nessuno stato palestinese, mai esistito. Gaza è una storia a parte, passata dalle mani degli egiziani a Israele suo malgrado. Ma nei secoli, dal 140 dC hanno lottato per vivervi le comunità ebraiche poi espulse nel 1919 dagli ottomani, e definitivamente eliminate dagli arabi negli anni ’20. Oggi lamenta di essere una prigione a cielo aperto: ma i movimenti limitati sono dovuti alle aggressioni terroristiche. Pure, Israele ha sempre lasciato che Gaza venisse rifornita, finanziata, curata. Le molte guerre di aggressione di Hamas sono state sottovalutate, e lo sgombero del 2005 è stato un errore, si dice. Ma adesso dopo le mostruosità e le 1.300 creature inermi uccise bestialmente, Israele deve riaffermare il diritto alla vita della popolazione.
L’accusa più corrente è quella di colpire per vendetta i civili di Gaza. Non è vero. Hamas disloca missili e centri di comando in aeree densamente popolate, moschee, ospedali, scuole. Ogni civile colpito è per Hamas uno strumento di propaganda. Israele cerca di contenere il numero di innocenti colpiti, usa gli avvertimenti preventivi. Ma se non destruttura Hamas, con quelle armi, quegli uomini si produrranno continue ripetizioni del lancio di missili e delle atrocità. Questo non è possibile. Israele ha spesso fermato operazioni perché erano stati individuati bambini nell’area. Invece, Hamas vede nei bambini un punto debole con cui fiaccare il nemico. Stavolta tanti bambini sono stati rapiti. E anche decapitati. Non c’è confronto nel cercare di annichilire la leadership che fa della sua popolazione lo scudo umano del terrore e il sistematico sgozzamento di civili. Nel 2009 dopo una delle guerre di Gaza il giudice Goldstone compilò, incaricato dall’Onu, un’inchiesta sui crimini compiuti: prima accusò Israele, per poi denunciare quanto Hamas approfitta dei suoi cittadini facendone scudi umani.
La base teorica dell’odio palestinese è generale: Abu Mazen ha detto che gli ebrei non appartengono al Medio Oriente, ma sono colonizzatori europei, e che Hitler li ha perseguitati per la loro ignominia. Si chiama antisemitismo, delegittimazione. L’intera storia della presenza ebraica in Israele, a volte viene vista erroneamente come una presenza coloniale nella Palestina occupata: ma sono i palestinesi i recenti immigrati da Siria ed Egitto. La storia: il popolo ebraico ha la sua origine, la sua terra e la cultura della Bibbia, dal 1.600 aC. Gerusalemme è diventata capitale del regno di Israele nel 1.000 aC. Il Tempio è stato distrutto prima dai babilonesi, poi dai Romani nel 70 dC. Sulle sue rovine si costruì prima una basilica, poi la moschea. Ma nonostante i tentativi di cancellarla, c’è una massiccia evidenza storica, letteraria, archeologica dei secoli in cui gli ebrei sono rimasti attaccati a Gerusalemme nonostante le dominazioni greche, romane, dei mamelucchi, degli ottomani, e poi degli inglesi che sostituirono i turchi con il mandato britannico stabilito dalla Lega delle Nazioni. È proprio la decolonizzazione che riconsegna agli ebrei la loro terra, mentre cresce il movimento sionista, con la dichiarazione Balfour del 1917 che disegna «una casa nazionale» molto maggiore del territorio che Israele riceverà dall’Onu del 1948, e poi gli accordi di Sanremo, che nella legalità internazionale mandano avanti la creazione dello Stato ebraico. Il terrorismo arabo filonazista era già molto fiorente mentre nessuno stato palestinese è mai esistito. I leader arabi stessi includono quest’area nella Grande Siria e i palestinesi aumentarono di numero solo quando gli ebrei si misero al lavoro in una terra abbandonata e incolta. Più del 90% di quelli che si dichiarano oggi palestinesi giunsero con le migrazioni.
L’intenzione di Israele di condividere l’area con il mondo arabo è stata rifiutata: ma la Giudea e la Samaria, il West Bank, non sono mai state parte di nessuna Palestina, termine coniato dai Romani per cancellare la presenza ebraica. Erano illegalmente occupate dalla Giordania dal 1950 e nessuno ha mai protestato. Dal ’67 sono l’epicentro di una rivendicazione che parla di un’illegalità inesistente. La loro conquista è dovuta a una risposta a un attacco giordano e le risoluzioni Onu non assumono affatto che siano lo stato palestinese, ma asseriscono che la loro appartenenza è legata a una trattativa. La trattativa, sin da Oslo, si è sempre conclusa con un nettissimo rifiuto da parte palestinese: Arafat a Camp David nel 2000, cui seguì l’Intifada e poi Abu Mazen ad Annapolis nel 2007. Lo scopo era e resta quello dell’eliminazione di Israele, che Hamas ha trasferito nel campo religioso-ideologico. «Due Stati per due popoli» è stato anche per Fatah un cavallo di Troia, specie quando lo strumento del terrorismo diviene arma di sterminio di massa: durante la seconda Intifada fra il 2000 e il 2003 quasi 2mila ebrei furono uccisi sui bus, per strada. La politica dell’Anp è quella di non condannare mai il terrorismo, anzi di fornire ai terroristi un vitalizio ogni volta che vengono catturati o alle famiglie se muoiono. Il premier Ariel Sharon si immaginò un futuro di amicizia dando a Gaza aiuti, strutture agricole e industriali. Jihad Islamica e Hamas ne hanno fatto la punta di diamante di una strategia di attacco contro Israele e contro l’Occidente.
Oggi non c’è modo di immaginare un futuro avendo vicino Hamas che viola tutti i diritti umani e ordina di uccidere gli ebrei. Ogni giorno i terroristi agiscono sul territorio israeliano nonostante Israele si sia sempre preso cura dei suoi malati, dei bimbi, persino della moglie di Ismail Hanye. Non c’è mai stato accanimento sulla Striscia, i soldi degli aiuti, l’acqua, il gas, le medicine, la benzina sono state forniti in quantità. Ma Israele deve poter contare sul consenso del mondo quando cerca di cancellare il mostro che minaccia tutti noi.
L'articolo I palestinesi sono principalmente vittime di se stessi proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Etiopia, crisi umanitaria dimenticata in Tigray & ingiustizia legittimata dall’ ingerenza occidentale.
Arrivata la condanna di 40 organizzazioni per la mancata estensione del mandato per l’ Etiopia della commissione investigativa ICREE – International Commission of Human Rights Experts on Ethiopia, da parte dell’UNHRC e l’abbandono dell’indagine sui diritti umani in Etiopia delle Nazioni Unite.
La segnalazione di Tigrai TV
Mercoledì 4 ottobre non c’è stata la volontà politica da parte dell’ Europa e degli USA di rinnovare il mandato alla commissione di esperti di diritti umani ONU per l’Etiopia. L’ennesimo abuso da parte “occidentale” di non rispettare il “mai più”.
Approfondimenti:
- Etiopia, USA ed Europa hanno già scelto le sorti per la giustizia e le vittime della guerra genocida in Tigray
- Etiopia, 10 mesi di abusi e violenze dopo la tregua mentre sta per scadere la giustizia per le 800.000 vittime in Tigray
- Etiopia, a quasi un anno di cessate il fuoco, gli esperti ONU mettono in guardia da abusi e violazioni in atto, inclusi crimini di guerra e contro l’umanità.
Le organizzazioni sottolineano il ruolo fondamentale svolto dall’ICHREE come unico organismo internazionale indipendente che indaga sulle gravi violazioni dei diritti umani in Etiopia, tra cui la fame armata, gli abusi e le diffuse violazioni dei diritti umani.
Condannano l’inazione dell’UNHRC come una “grave inadempienza ai doveri e un disprezzo per la continua sofferenza di civili innocenti nel Tigray, Oromia, Amhara e in altre regioni dell’Etiopia”.
Italia: la diaspora del Tigray sul ruolo dell’ICHREE [intervista Radio Ondarossa]
Giovedì 5 ottobre viene rilasciato il REPORT dell’ OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità che riporta la catastrofica situazione degli ospedali e delle strutture in Tigray, dopo 2 anni di guerra dai risvolti genocidi e quasi 1 anni di tregua.
Oggi, dopo 3 anni è l’86% delle strutture sanitarie risultano devastate, in una regione che ha quasi 7 milioni di persone (tra civili, rifugiati eritrei e più di 1 milione di sfollati tigrini). C’è ancora grossa carenza di materiale igienico sanitario e medicinali. Link al REPORT
L’unico ospedale risultato essere rimasto miracolosamente attivo anche durante i 2 anni di guerra e che ha ricevuto recentemente un finanziamento di 6 milioni di euro è Kidane Mihret della missione salesiana di Adwa. L’ospedale attualmente fornisce servizi medici a oltre 70.000 persone, compresi gli sfollati interni.
Lo stesso giorno Reuters comunica che USAID ha ripreso le attività di fornitura di supporto alimentare umanitario ai rifugiati in Etiopia. A giugno 2023 USAID aveva sospeso tali attività sulla pelle di 20 milioni di persone dipendenti dal suoi aiuto. Nell’anno fiscale 2022, l’USAID ha sborsato quasi 1,5 miliardi di dollari in assistenza umanitaria all’Etiopia, la maggior parte dei quali aiuti alimentari.
Anche WFP – World Food Programm ha sospeso le sue attività per lo scandalo della diversione del materiale alimentare. Nel saccheggio, in questo crimine sono stati accusati e implicati alti funzionari di governo e dell’ esercito etiope.
Giovedì 5 ottobre 2023: sono passati esattamente 190 giorni da quando WFP e USAID hanno sospeso la fornitura alimentare umanitaria per 5,6 milioni di persone nello stato regionale del Tigray.
Lunedì 9 ottobre 2023 il WFP Ethiopia rilancia la notizia della ripresa attività del WFP per il sostegno dei rifugiati in Etiopia. Dal comunicato ufficiale si legge:
“Circa 35.000 persone fuggite dal Sudan in Etiopia negli ultimi sei mesi necessitano urgentemente di assistenza alimentare, mentre l’Etiopia ospita anche altri 850.000 rifugiati, provenienti principalmente dalla Somalia, dal Sud Sudan e dall’Eritrea. Le distribuzioni del WFP riprenderanno nelle regioni di Somalia, Gambella, Benishangul Gumuz, Oromia, SNNP e Afar, fornendo ai rifugiati cereali, legumi, olio vegetale e sale. Alcuni riceveranno parte del loro diritto sotto forma di assistenza in denaro. “
Tigray non pervenuto, giustamente, visto che si parla di rifugiati e non di sfollati interni, IDP, più di 1 milione di persone di origine tigrina che causa guerra sono stati costretti a scappare dalle proprie case e trovare salvezza altrove. Oggi la maggior parte occupano edifici scolastici, per cui si è creato anche un cortocircuito con i milioni di ragazzi e studenti che dovrebbero tronare a scuola.
Gli sfollati vengono schedati: mercato dei dati biometrici
USAID per prevenire il furto e la diversione di cibo. per le persone bisognose, prevede di implementare la raccolta di dati biometrici (impronte digitali, scansione del’liride…) per poter dare accesso ai servizi come conto corrente e pagamenti. La raccolta di dati biometrici vengono grazie ad aziende terze che mettono a disposizione la tecnologia alle agenzie umanitarie.
L’Etiopia è solo uno dei tanti Paesi in giro per il mondo e soggetto a crisi umanitarie in cui le agenzie umanitarie risultano utilizzare la raccolta di di dati biometrici.
Qui si apre un nuovo capitolo sulla società globalizzata sorvegliata con implicazioni e rischi per le persone profilate (migranti, richiedenti asilo, rifugiati…), diritti digitali e grossi interessi.
Approfondimenti:
- Gli Stati Uniti si rivolgono alla biometria per prevenire il furto di aiuti umanitari in Etiopia
- Tecnologie per il controllo delle frontiere in Italia – identificazione, riconoscimento facciale e finanziamenti europei
- Rafforzare le frontiere esterne dell’UE – Frontex
- Identità digitale, Migranti e Rifugiati: IL CASO ITALIANO
- IrisGuard biometrics to support Ethiopia’s G2C payments, financial inclusion
- AccessNow – Iris scanning of refugees is disproportionate and dangerous – What’s happening behind IrisGuard’s closed doors?
Oggi, ottobre 2023, ci sono ancora 80.000 rifugiati del Tigray nel vicino Sudan, persone scappate fin dai primi istanti di guerra dal 4 novmebre 2020. Dopo 3 anni sono ancora in cerca di normalità, sopravvivendo in campi di accoglienza in un Paese che oggi è devastato dal’lennesima guerra. Save The Children recentemente ha indicato che sono 19 milioni di bambini sudanesi a non poter andare a scuola a causa della devastazione dopo 6 mesi dall’inizio del conflitto che sta ancora imperversando.
Martedì 10 ottobre 2023 Alice Wairimu Nderitu, Sottosegretario Generale e Consigliere Speciale delle Nazioni Unite per la Prevenzione del Genocidio, ha lanciato un avvertimento sull’aumento del rischio di genocidio e di atrocità correlate in Etiopia. Ciò avviene mentre i conflitti violenti si intensificano in varie regioni del paese, tra cui Amhara e Oromia.
Ha sottolineato che l’accordo raggiunto un anno fa sulla cessazione delle ostilità nella regione del Tigray è in gran parte fallito, sottolineando la necessità di un’azione internazionale.
Alice Wairimu Nderitu ha dichiarato che:
“La sofferenza dei civili non dovrebbe essere normalizzata o accettata, e la prevenzione deve essere la priorità attraverso un’azione coordinata”
Ha anche fatto riferimento ai suoi precedenti avvertimenti negli ultimi tre anni e a un rapporto di settembre della Commissione internazionale di esperti sui diritti umani sull’Etiopia. Nderitu ha chiesto la fine immediata delle violazioni di ampia portata commesse da tutte le parti a partire da novembre 2020.
Venerdì 13 ottobre 2023 l’ ICHREE pubblica il rapporto finale prima della conclusione del suo mandato e invita alla vigilanza internazionale sul conflitto in Etiopia.
Citazione di quanto riporta Addis Standard sulle dichiarazioni dei membri della commissione ONU di esperti di diritto umanitario in Etiopia.
“Nel rapporto pubblicato al termine della 54a sessione del Consiglio per i diritti umani, la commissione ha implicato le forze federali etiopi, le truppe eritree e le milizie regionali alleate in sistematiche uccisioni di massa, diffusi stupri e riduzione in schiavitù sessuale di donne e ragazze, fame forzata, sfollamento e detenzioni arbitrarie di civili.Ha accusato le forze del Tigray di portare avanti la propria campagna di omicidi, violenza sessuale, saccheggi e distruzione in quella che il presidente della commissione Mohamed Chande Othman ha descritto come “una scala sconcertante e una continuità di violenza” contro i civili coinvolti nel fuoco incrociato.
Pur sottolineando che i suoi risultati sono probabilmente solo la punta dell’iceberg, la commissione ha affermato di non avere tempo o risorse sufficienti per prendere una decisione su potenziali genocidi o crimini di sterminio. Ma Othman ha sottolineato la necessità vitale di indagini più approfondite per stabilire i fatti e le responsabilità legali.
Con il suo mandato terminato dopo la presentazione di oggi, la commissione ha lanciato un severo avvertimento che la strada verso la giustizia non deve finire qui. Ha espresso grave preoccupazione per la continua presenza delle forze eritree nel Tigray, affermando che le loro violazioni sia prima che dopo i recenti accordi di cessate il fuoco sottolineano come l’impunità generi ulteriori atrocità.
L’esperta della Commissione Radhika Coomaraswamy ha affermato che le speranze di responsabilità interna sono “estremamente remote”, lasciando le vittime alla disperata ricerca di un’azione regionale e internazionale. Il collega esperto Steven Ratner ha definito un duro colpo per le vittime il fatto che il lavoro della commissione sia stato interrotto prematuramente, sottolineando che “è essenziale che questo lavoro continui”.
Othman ha esortato la comunità internazionale a non dimenticare le vittime del conflitto. Ha chiesto un monitoraggio rafforzato delle condizioni sul campo e una giurisdizione universale per i procedimenti giudiziari all’estero. Considerando il rischio allarmante di ulteriori crimini se lasciato senza controllo, la commissione ha affermato che il suo rapporto finale non deve essere l’ultima parola. Giustizia e responsabilità sono vitali per una pace sostenibile, ha sottolineato Othman.
La bozza di mozione per estendere la Commissione internazionale di esperti sui diritti umani sull’Etiopia non è stata rinnovata ed è scaduta il 4 ottobre, nonostante i ripetuti appelli delle principali organizzazioni per i diritti umani di tutto il mondo che ne chiedevano l’estensione.
Nelle settimane precedenti a questa scadenza, i membri della Commissione hanno lanciato l’allarme sull’alto rischio di continue atrocità in assenza di indagini indipendenti sulle violazioni dei diritti umani in corso nel paese. Hanno espresso profonda preoccupazione per il rischio di ulteriori crimini contro i civili dato il clima instabile in Etiopia.
I gruppi internazionali per i diritti umani hanno sottolineato la necessità vitale che il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite utilizzi il suo mandato per aiutare a prevenire le violazioni dei diritti e rispondere a emergenze come quelle ampiamente documentate nell’ultimo rapporto della Commissione.”
Mentre l’ICHREE pubblica il suo ultimo REPORT continuano abusi, violenze ed occupazione in Tigray.
E’ indiscrezione di questi giorni di ottobre che tramite un servizio di Tigrai TV che ha intervistato sfollati interni nati ad Humera, area del Tigray occidentale ed ospitati oggi nei campi di accoglienza ad Adwa e dintorni, hanno recentemente denunciato attività di pulizia demografica: registrazione da parte di ONG che li registrano cambiandone i luoghi di nascita. Motivazioni e nomi di queste realtà per ora risultano ingoti, ma per giustizia e trasparenza bisognerebbe che qualcuno debba indagare ed approfondire.
Approfondimento:
Etiopia, la pulizia etnica persiste nonostante la tregua in Tigray
Mentre il resto del mondo rincorre l’ennesima guerra, l’ennesima crisi umanitaria per volontà politiche e per interessi e nuove risorse dei signori della guerra, non bisognerebbe dimenticare quelle recentemente passate, ma che hanno prodotto conseguenze per cui ci sono ancora milioni di persone disperate che stanno cercando di sopravvivere in ogni modo.
Trasparenza e giustizia sono le colonne portanti per stabilità e pace, tutto il resto è solo rumore.
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Ministero dell'Istruzione
#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta l’Istituto alberghiero e agrario Turi di Matera, che sarà una delle 212 nuove scuole costruite grazie al PNRR.Telegram
Oggi al 38° Convegno di Capri dei Giovani Imprenditori Confindustria, interviene il Ministro Giuseppe Valditara.
Potete seguire il suo intervento dalle ore 16.20 su ▶️ https://giovanimprenditori.
Survey of Current Universal Opt-Out Mechanisms
With contributions from Aaron Massey, FPF Senior Policy Analyst and Technologist, Keir Lamont, Director, and Tariq Yusuf, FPF Policy Intern
Several technologies can help individuals configure their devices to automatically opt out of web services’ requests to sell or share personal information for targeted advertising. Seven state privacy laws require that organizations honor opt-out requests. This blog post discusses the legal landscape governing Universal Opt-Out Mechanisms (UOOMs), as well as the key differences between the leading UOOMs in terms of setup, default settings, and whether those settings can be configured. We then offer guidance to policymakers to consider clarity and consistency in establishing, interpreting, and enforcing UOOM mandates.
The legal environment behind Universal Opt-Out Mechanisms
Online advertising continues to evolve, specifically in reaction to new regulatory requirements as an increasing number of international jurisdictions and U.S. states have enacted comprehensive privacy laws. As of October 2024, twelve states grant individuals the right to opt out of businesses selling their personal information or processing that data for targeted advertising. Of these twelve state privacy laws, seven include provisions that make it easier for individuals to opt out of certain uses of personal data. This includes the kind of personal and pseudonymized information that is routinely shared with websites, such as browser information or information sent via cookies.
Historically, a significant practical hurdle existed in the implementation of opt-out rights: users wishing to exercise the right to opt out of the use of this information for targeted advertising must locate and manually click opt-out links that businesses provide on their web pages, and they generally must do so for every site they visit. To make opting out easier, seven state’s privacy laws (California, Colorado, Connecticut, Delaware, Montana, Oregon, and Texas) require businesses to honor individuals’ opt-out preferences transmitted through Universal Opt-Out Mechanisms (UOOMs) as valid means to opt out of targeted advertising and data sales. UOOMs refer to a range of desktop and mobile tools designed to provide consumers with the ability to configure their devices to automatically opt out of the sale or sharing of their personal information with internet-based entities with whom they interact. These tools transmit consumers’ opt out preferences by using technical specifications, chief among these the Global Privacy Control (GPC).
California became the first state to establish the force of law for opt-out signals as valid opt-outs through an Attorney General rulemaking process in August, 2020. Specifically, businesses who do not honor the Global Privacy Control on their websites may risk being found in noncompliance with the California Consumer Privacy Act (CCPA), which was the central topic in the recent enforcement action against Sephora, an online retailer. In the complaint, state authorities alleged that Sephora’s website was not configured to detect or process any GPC signals and, as a result, failed to honor users’ opt-out preferences by not opting them out of sales of their data.
Survey of UOOM Tools Available to Consumers
The California Attorney General references the Global Privacy Control as the leading opt-out specification that meets CCPA standards. As of this writing, eight UOOMs are endorsed by the creators of the GPC specification:
- Brave (a mobile and desktop browser)
- Disconnect (a browser extension and smartphone app)
- DuckDuckGo Privacy Browser (a mobile and desktop browser)
- DuckDuckGo Privacy Essentials (a browser extension)
- IronVest (a security suite with GPC functionality)
- Mozilla Firefox (a mobile and desktop browser)
- OptMeowt (a browser extension)
- Privacy Badger (a browser extension)
Although other UOOMs exist (and more are likely to emerge), we focus exclusively on the tools endorsed by the creators of the Global Privacy Control specification. In 2023, the FPF team downloaded and installed each tool and evaluated each tool’s installation process, whether GPC signals were sent without additional configuration, and whether those settings could be adjusted (see Figure 1 below).
Installation | GPC Signals Sent without Additional Configuration | Can the Configuration Be Adjusted? | |
IronVest | Requires account sign-up | Yes; GPC can be enabled only on a per-site basis, not globally. | |
Brave Browser | No steps required after installation | No; GPC cannot be disabled, either globally or per-site, even when other protections in the “Shields” feature are turned off. | |
Disconnect | No steps required after installation | Yes; GPC can be enabled globally but not on a per-site basis using a checkbox in the main browser plugin window. | |
DuckDuckGo Privacy Browser | No steps required after installation | Yes; GPC can be disabled globally but not on a per-site basis. | |
DuckDuckGo Privacy Essentials | No steps required after installation | Yes; GPC can be disabled both globally or on a per-site basis by disabling “Site Privacy Protection.” | |
Firefox | Requires technical configuration | Yes, GPC can be disabled globally in the browser’s technical configuration but not on a per-site basis. | |
OptMeowt | No steps required after installation | Yes; GPC can be disabled both globally or on a per-site basis by disabling the “Do Not Sell” feature. | |
Privacy Badger | No steps required after installation | Yes; GPC can be disabled both globally or on a per-site basis by disabling the “Do Not Sell” feature. |
Figure 1: Observations of eight leading UOOM tools
Our survey allows us to make four key observations about the state of these UOOMs.
- Current GPC implementations are largely limited to browser plugins for desktop environments. Google Chrome, Microsoft Edge, and Safari do not natively support the GPC signal. Mozilla Firefox supports sending the GPC signal, but configuring was the most challenging setup of all the tools we tested. Brave and DuckDuckGo are the only browsers that natively support the GPC. In addition, Brave and DuckDuckGo are the only desktop and mobile browsers with GPC enabled by default.
- GPC tools significantly differ from one another in user experiences for both installation and use. The installation process for six of the tools was direct and, therefore suitable to a broad range of consumer knowledge. Two of the tools, IronVest and Firefox, require additional steps to enable GPC. Ironvest requires the creation of an account upon downloading the tool, and through that account offers not only GPC but also a subscription-based suite of further online security services like password managers and email maskers. By contrast, Firefox does not require an account, but it requires users complete more steps to enable the GPC that require technical knowledge or experience. Specifically, users must access the about:config settings page in Firefox, which warns the user to “Proceed with Caution” and requires users to know how to find the GPC configuration options. Users with limited experience configuring about:config settings on this browser may struggle to enable the GPC signal on Firefox.
- GPC tools differ significantly in their default settings after installation, potentially creating consumer confusion in switching from one service to another. Three of the tools leave the GPC off by default following final installation; four of them enable the GPC by default. Firefox, for example, does not enable GPC by default, and it requires the most work to enable, whereas Brave enables GPC by default without notifying users or allowing them to disable it. Many tools include other privacy features in addition to GPC, such as Privacy Badger’s ability to block surreptitious tracking mechanisms like supercookies. These tools were not examined in this report, though they may create divergent user experiences that can cause consumers to draw different conclusions as to each tool’s utility and effectiveness. Users installing a privacy-focused browser extension or using a privacy-focused browser may be unaware that in certain cases privacy features are disabled by default and require additional configuration after installation.
- Finally, we observe that these tools significantly differ in configuration options for when and where to send the GPC signal. The tools collectively deploy two types of configuration: globally sending the GPC to every site and/or selectively sending the GPC on a per-site basis. None of the tools have pre-configured profiles or “allow / deny” lists for when to send the GPC, and about half of the tools allow users to set the GPC both as a global setting and on a per-site basis. IronVest only allows sending the GPC on a per-site basis, while Brave only enables the GPC on a global basis. However, given that most state laws that require compliance with a UOOM also require affirmative consent to opt back in following an opt-out, it is unclear whether disabling the GPC signal for a site after visiting it will have legal effect.
Next Steps & Policy Considerations
In 2023 alone, six states passed comprehensive privacy laws. In the years ahead, we expect that more states will be added to this list, and many are likely to include provisions regarding UOOMs. Policymakers must ensure that all UOOM requirements offer adequate clarity and consistency.
One place where greater detail from policymakers would provide benefit to organizations seeking to comply with legal requirements is in guidance not only for covered businesses, but also for vendors of consumer-facing privacy tools. Specifically, guidance would be useful regarding how a UOOM must be configured or implemented to give assurance that the GPC signals being sent are a legally valid expression of individual intent. For example, a minor detail such as whether a tool contains a “per-site” toggle for the GPC may be significant in one state, but not another.
Similarly, the question of “default settings” and their legal significance requires greater clarity in many jurisdictions. For example, to be considered a valid exercise of individuals’ opt-out rights under Colorado law, a valid GPC signal occurs when individuals provide “affirmative, freely given, and unambiguous choice.” This requirement creates an engineering ambiguity for publishers and websites over the validity of GPC signals they receive. For example, users installing a browser extension that requires a separate, affirmative user configuration prior to sending the GPC signal will unambiguously be a valid expression of individual choice. On the other hand, an individual using a browser marketed with a variety of privacy preserving features, including the GPC, may be sending a GPC signal that does not meet the law’s standards for defaults if those features are enabled by default and they do not provide notice to users. The user may have wanted a privacy feature other than GPC and not been aware that the GPC signal would be sent. On the other hand, another user may both be seeking and appreciate a default-on GPC and not want it to be legally ignored because they didn’t affirmatively enable it. Publishers and websites do not have an engineering mechanism to differentiate between these scenarios, incentivizing them to use nonstandard techniques, like fingerprinting, for the purposes of discerning which GPC signals are valid.
New states implementing comprehensive privacy laws also increase the odds that specific privacy rights may fracture across jurisdictions in ways that are either cohesive or irreconcilable. The current GPC specification does not support conveying users’ jurisdictions, so it is unclear how organizations must differentiate between signals originating from one jurisdiction or another. The result could be that entities must choose which state to risk running afoul of the law in such that they may follow the requirements of a conflicting jurisdiction.
As user-facing privacy tools are developed and updated, responsible businesses will likely err on the side of over-inclusion by treating all GPC signals as valid UOOMs. However, increased user adoption and the expansion of the GPC into new sectors (such as connected TVs or vehicles) could change expectations and put more pressure on different kinds of advertising activities. In the absence of uniform federal standards that would create guidance for such mechanisms, most businesses will aim to streamline compliance across states, providing a significant opportunity for policymakers to shape the direction of consumer privacy in the coming years. Policymakers must be aware of these developments and strive for clarity and consistency in order to best inform organizations, empower individuals, and set societal expectations and standards that can be applied in future cases.
Glovo traccia i rider anche fuori dall’orario di lavoro
Il gruppo di ricerca tracking.exposed, che studia la profilazione e analizza gli algoritmi online, ha realizzato tra il 2021 e il 2023 un reverse engineering dell’app Glovo Couriers in dotazione a ogni rider che lavora per la piattaforma spagnola. Lo scopo dello studio era quello di fornire una prova tecnica e verificata di come Glovo utilizzi i dati raccolti dall’app durante il suo utilizzo (e non solo), e come questo abbia ripercussioni in termini di privacy e di violazione dei diritti dei lavoratori.
L’analisi tecnica, avvenuta in più momenti, ha reso evidente come la posizione dei rider sia tracciata non solo durante lo svolgimento delle consegne, ma anche quando l’app Glovo Couriers rimane in background. Così come quelli relativi al livello della batteria e alla velocità del rider durante i turni di lavoro, informazioni inviatiìe a intervalli irregolari in diversi momenti della giornata e anche di notte.
Un resoconto dello studio su Wired Italia
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Il percorso scolastico è fatto di tanti momenti di crescita. Saper scegliere la direzione giusta è...
Il percorso scolastico è fatto di tanti momenti di crescita. Saper scegliere la direzione giusta è fondamentale per percorrere al meglio la strada, conoscere la destinazione, sapere come e quando chiedere supporto.
Weekly Chronicles #49
La chimera della protezione dei dati nelle smart cities
Le città intelligenti, o "Smart Cities" sono la buzzword del momento.
L’idea sarebbe di usare grandi quantitativi di dati e tecnologie per migliorare la qualità della vita urbana. Tuttavia, quello a cui assistiamo è invece una raccolta massiva di dati personali e l’uso di tecnologie di sorveglianza di vario tipo: dalle telecamere, ai droni, fino ad arrivare ai sensori wi-fi, bluetooth e celle telefoniche.
Un documento pubblicato dall’International Working Group on Data Protection in Technology, disponibile qui, esplora a livello giuridico il tema della privacy nelle smart city, fornendo alcune raccomandazioni alle città che vorrebbero cimentarsi nel diventare “smart” nel rispetto della legge e dei dati delle persone.
Il documento fornisce spunti interessanti per chi lavora nel settore e per i politici che vorrebbero cimentarsi in tali attività. Le raccomandazioni, in estrema sintesi, sono queste:
- Valutare i rischi e la proporzionalità del trattamento prima della raccolta dei dati
- Garantire che i dati utilizzati nelle decisioni siano adeguati e rappresentativi della popolazione
- Stabilire chiare procedure per soddisfare i diritti dei cittadini e assicurare trasparenza nella filiera del trattamento
La protezione dei dati nelle “smart cities” sembra però una chimera irrealizzabile. Le amministrazioni locali ricevono fondi nazionali ed europei per installare sistemi di sorveglianza evoluta che non capiscono e che non sanno usare, né comprenderne l’utilità. Come se non bastasse, ne ignorano completamente i rischi.
Nel documento si cita un caso empirico che fa ben comprendere la natura del problema.
Il comune di Enschede, nei Paesi Bassi, per più di tre anni ha implementato un sistema di tracciamento wi-fi degli smartphones attivo 24/7 nel centro della città. L’obiettivo era quello di misurare l’efficacia degli investimenti municipali — qualsiasi cosa volesse dire.
Nella pratica, per tre anni i cittadini di Enschede sono stati spiati mentre passeggiavano in strada. Il sistema infatti raccoglieva dati (tra cui anche l’indirizzo MAC, identificativo unico del dispositivo) per analizzare il traffico pedonale, il tempo trascorso nelle diverse vie del centro e le abitudini delle persone.
In che modo quest’attività ha portato un beneficio agli abitanti di Enschede? Come sono stati valutati i rischi? Non è dato sapersi.
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Il caso del giudice Apostolico
In questi giorni sta facendo molto rumore il caso del giudice Iolanda Apostolico. Alcuni giorni fa è stato pubblicato un video risalente al 2018 in cui si vedeva la Apostolico partecipare a una manifestazione di protesta contro le politiche sull’immigrazione clandestina del governo di quel periodo.
Matteo Salvini, dopo la pubblicazione del video, ha presto chiesto le sue dimissioni per evidente mancanza di imparzialità. La giudice aveva infatti recentemente deciso in merito alla revoca dell’ordine di detenzione di alcuni tunisini in un centro in Sicilia.
Sulla questione prettamente politica non c’è molto da dire: chiunque pensi che i magistrati siano imparziali e che non si lascino influenzare dalle loro personalissime opinioni è un povero fesso.
Detto questo, la vicenda sottolinea l’importanza del concetto di privacy come capacità di controllare i propri dati e la propria identità, sia fisica che digitale. La giudice non aveva “nulla da nascondere” partecipando alla manifestazione politica, eppure a distanza di anni quel video, diffuso al pubblico, ha avuto un grande impatto negativo sulla sua persona.
Pensiamo ora al contesto dei social network. Potremmo dire che un social network sia un po’ come una manifestazione politica permanente. Capita a chiunque di esprimere più o meno palesemente le proprie opinioni. Che succederebbe se le autorità iniziassero un’opera di schedatura e dossieraggio su tutto ciò che abbiamo detto e fatto online? Le conseguenze sarebbero disastrose più o meno per chiunque.
Se vuoi approfondire il concetto di privacy, leggi qui:
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Google dice addio alle password
Pare che Google presto inizierà a spingere gli utenti verso un sistema di autenticazione senza password (passwordless) per migliorare la sicurezza1. L’autenticazione senza password utilizzerà i sistemi di identificazione biometrica presenti sui nostri dispositivi per il login nelle varie app di Google, facendo quindi a meno delle password.
Se da un certo punto di vista è indubbiamente comodo, dall’altro potrebbe essere un ulteriore passo in avanti verso una crescente dipendenza nei confronti della Big Tech per utilizzare i nostri account e servizi. Sebbene infatti i dati biometrici siano salvati sul dispositivo, esistono meccanismi di backup in Cloud per mitigare il rischio in caso di perdita di cui difficilmente si potrebbe fare a meno.
Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione. Userete questo nuovo metodo di autenticazione o continuerete a preferire le password?
Meme della settimana
Citazione della settimana
Questo cetriolo è amaro? Gettalo! Ci sono rovi nel cammino? Devia! È tutto ciò che occorre. Non dire sull'argomento: "Perché accadono queste cose nel mondo?"
Marco Aurelio
theverge.com/2023/10/10/239109…
Negative Approach Interview
Negative Approach May 12, 2022 at The Paramount
A product produced by Popburn Productions KRK & Ona
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Come collegare il tuo blog WordPress al Fediverso: iniziare con l'installazione e la configurazione di base, provvedere alle diverse opzioni di configurazione e familiarizzare con alcune buone pratiche
We Distribute, è una pubblicazione dedicata al software libero, alle tecnologie di comunicazione decentralizzate e alla sostenibilità. Questa è una pubblicazione di guerriglia sviluppata da Sean Tilley aka @Sean Tilley , sviluppata per trasmettere notizie al Fediverso e ad altre parti della rete libera.
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Questa guida NON UFFICIALE a /kbin ti aiuterà a familiarizzare con questo interessante progetto del Fediverso e a imparare a navigare nella piattaforma
Benvenuti nella guida non ufficiale di /kbin. /kbin è una piattaforma di social media che consente alle persone di creare contenuti di microblogging e contenuti di lunga durata da un unico punto. Vuoi inviare un messaggio veloce ai tuoi follower? Puoi farlo su/kbin. Vuoi condividere un collegamento a una notizia e discuterne in un forum? Puoi farlo su /kbin. Vuoi condividere la tua arte con il mondo? Puoi farlo su /kbin.
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L'intervista a Max Schrems su Computer World: "Dopo cinque anni di GDPR vediamo ancora come le autorità non stiano facendo bene il loro lavoro"
«dal punto di vista giuridico [il Data Privacy Framework è] un po' problematico, perché in fondo la legge non lo prevede ma la politica lo fa comunque. Ed è per questo che penso che per la terza volta dovremmo parlare un po' anche del tessuto costituzionale dell'UE perché, se l'esecutivo si limita ad approvare sempre la stessa cosa, sperando che la magistratura si stanchi di dirgli qual è la legge È, ciò non è realmente rispettoso dello Stato di diritto. È particolarmente interessante perché i commissari europei tendono a parlare a tutti dello stato di diritto e di quanto sia importante, ma sembra che una volta che si concentrano su questi problemi o una volta che sono sul lato ricevente, non ne sono poi così interessati.»
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La privacy? Un concetto obsoleto. Il video di morrolinux su alcune delle più inquietanti vicende che riguardano privacy e BigTech
Il video di @morrolinux è stato pubblicato su YouTube (in attesa di poterlo vedere sul suo canale Peertube)
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La guida base alle funzioni di Friendica: primi passi, nozioni di base,avvio rapido per nuovi utenti, creazione di post, il BBCode, il calendario eventi e le interazioni
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Signor Amministratore ⁂ likes this.
Come installare Friendica sul Synology: la guida passo passo di Marius Bogdan Lixandru per installare Friendica sul tuo Synology NAS utilizzando Docker & Portainer
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Moderazione del Fediverso: moderazione dei contenuti sui social media distribuiti. Il saggio di Alan Z. Rozenshtein pubblicato l'anno scorso sul Minnesota Legal Studies Research Paper No. 23-19
Riportiamo il sunto della pubblicazione (qui è possibile scaricare la monografia completa) di @Alan Rozenshtein
Gli attuali approcci alla moderazione dei contenuti generalmente presuppongono il continuo predominio dei "giardini recintati": piattaforme di social media che controllano chi può utilizzare i loro servizi e come. Ma una forma emergente di social media decentralizzati – il "Fediverse" – offre un modello alternativo, più simile a come funziona l'e-mail e che evita molte delle insidie della moderazione centralizzata. Questo saggio, che si basa su una letteratura emergente sui social media decentralizzati, cerca di dare una panoramica del Fediverso, dei suoi vantaggi e svantaggi e di come l'azione del governo può influenzare e incoraggiare il suo sviluppo.1. La prima parte descrive il Fediverso e come funziona, iniziando con una descrizione generale dei protocolli aperti rispetto a quelli chiusi e procedendo poi a una descrizione dell'attuale ecosistema Fediverso, concentrandosi sui suoi principali protocolli e applicazioni.
2. La seconda parte esamina la questione specifica della moderazione dei contenuti sul Fediverso, utilizzando Mastodon, un servizio di microblogging simile a Twitter, come caso di studio per delineare i vantaggi e gli svantaggi dell'approccio federato di moderazione dei contenuti rispetto all'attuale modello dominante di piattaforma chiusa.
3. La terza parte considera come i responsabili politici possono incoraggiare il Fediverso, sia attraverso la regolamentazione diretta, l'applicazione delle norme antitrust o gli scudi di responsabilità.
#Fediverso #Mastodon #moderazione #socialmedia #Section230 #interoperabilità
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Gatta Cikova
in reply to The Privacy Post • • •EROE!
@privacypride
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