La Nato di domani oltre Vilnius. Meloni punta tutto su Mediterraneo
Fianco orientale e Mediterraneo: sono questi i due “coni di interesse” che Giorgia Meloni da Vilnius attribuisce alla Nato di domani. Il ragionamento di fondo, in un mondo sempre più incerto, è che questo vertice è riuscito a ribadire una delle certezze che abbiamo avuto in questo tempo: “l’unità dell’Alleanza atlantica e la determinazione a difendere i valori e le regole del diritto internazionale senza le quali nessuno di noi sarebbe al sicuro”. Ma per difendere le regole del diritto internazionale e i suoi cittadini, la Nato deve guardare anche oltre l’emergenza orientale. Ovvero al fronte sud dell’Europa.
Ruolo e proiezioni
Quando spiega che l’Italia sostiene gli adattamenti in corso della Nato come confermato dagli importanti contributi nel fianco orientale e nel Mediterraneo, Giorgia Meloni mette l’accento su un passaggio nevralgico: la rivendicazione da parte italiana del ruolo all’interno dell’Alleanza dopo le “incertezze” pro Cina dei governi Conte e il voler assumere decisioni all’altezza in tema di deterrenza e difesa in un momento eccezionale come l’attuale.
E qui si inserisce l’elemento legato all’impegno sul 2% di Pil per la difesa, che secondo il premier deve tenere conto della progressione, della sostenibilità e della responsabilità e della partecipazione al funzionamento dell’Alleanza che ogni alleato assume. “Lo dico da premier di una nazione che con quasi 3 mila uomini è il principale contributore in termini di presenza nelle missioni di pace”.
La considerazione italiana è che occorre fare il meglio per rafforzare autonomia, indipendenza e capacità di difesa. Senza garanzie di sicurezza per l’Ucraina sarebbe molto difficile arrivare alla pace, ha poi osservato, perché lo considera “un tema propedeutico a favorire il processo pace e come Italia abbiamo lavorato a sostenere queste garanzie”.
Migranti e primi risultati
Non solo, quindi, Meloni rivendica il proprio status nella Nato, ma utilizza lo sforzo comune fatto di politiche dedicate, strumenti a supporto e costruzioni di modelli (come quello per la Tunisia), per certificare un passo in avanti alla voce migranti: “Abbiamo un domino di conseguenze che partono dall’Afghanistan e arrivano nel Sahel e nel Corno d’Africa. L’approccio deve essere diverso, ed è il motivo per cui agli occhi di molti italiani non siamo risolutivi. Ma io preferisco metterci di più ma trovare soluzioni strutturali piuttosto che fingere di trovare iniziative spot. È quello a cui sto dedicando maggiore attenzione. Si cominciano a vedere i risultati”.
Il riferimento è allo stanziamento da parte della Commissione europea di un investimento che può arrivare a 15 miliardi sulla dimensione esterna, che corrisponde alla proposta avanzata da Palazzo Chigi.
Africa e Piano Mattei
Ma non è tutto, perché l’analisi del premier va oltre e si spinge nei meandri del continente africano e delle sue contraddizioni, su tutte l’influenza di attori esterni. Quando auspica che molti in Africa aprano gli occhi sulla Wagner scopre un nervo scoperto dell’Ue, che fino ad oggi è stata anticipata sul campo dalla Cina e dalla brigata di Prigozhin a quelle latitudini. Per cui il modo migliore per operare in questo senso è una presenza diversa e maggiore.
“Sono andata a rileggere Machiavelli: qualche secolo fa cercava di spiegare a chi governa una nazione che privarsi del controllo della sicurezza per affidarlo a soggetti esterni poteva essere molto pericoloso – ha aggiunto -. Oggi confido che molti possano aprire gli occhi dopo quello accaduto in Russia, con milizie che si rivoltano contro la propria capitale. A maggior ragione bisogna fare attenzione quando si trovano in terra straniera”. Questi mercenari, ha spiegato, sono “soggetti che possono non avere interessi alla stabilizzazione. L’interesse alla stabilizzazione lo abbiamo noi”. Tradotto in due parole: Libia e Piano Mattei.
Vilnius, conferenza stampa. Seguitemi in diretta. t.co/W5jr8fQnQn— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) July 12, 2023
Nato, un vertice di successo con l’impronta di Erdogan. Scrive D’Anna
Se non apparisse ironico si potrebbe dire che a Vilnius Zelensky è quasi Nato. Nei protocolli della diplomazia formale del vertice dell’Alleanza Atlantica, l’adesione dell’Ucraina viene classificata come ancora da decidersi, anche se in realtà é virtualmente stabilita ed in parte sostanzialmente operativa da 505 giorni, dal momento stesso della brutale invasione da parte della Russia di Putin.
Il gioco della parti sull’ingresso di Kiev nella Nato viene comunque utilizzato da Stati Uniti e Francia per considerare come una compensazione l’invio di missili a lunga gittata che consentiranno alle forze di liberazione ucraine di colpire le retrovie dell’armata d’invasione di Mosca.
In attesa dell’ok della Casa Bianca per il sofisticato sistema di missili tattici Atmcs, il presidente Macron ha già disposto la consegna degli Scalp, acronimo di Système de Croisière Autonome à Longue Portée, la versione francese dei missili inglesi Storm Shadow, che Londra sta già fornendo Kiev dal maggio scorso.
Il governo ucraino, a cominciare da Zelensky, ha realisticamente preso atto delle problematiche strategiche che impongono ai paesi Nato di non offrire alibi a Putin per scatenare una guerra mondiale. Intransigente sulla cooptazione immediata dell’Ucraina, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden è stato inveceaperturista sull’altra richiesta avanzata da Kiev: la concessione di garanzie di sicurezza anche prima dell’entrata nella Nato.
Biden ha dato un’indicazione precisa, paragonandola all’accordo per il sostegno militare che Washington ha con Israele: non quindi un’alleanza formalizzata in un trattato, ma un accordo di partenariato strategico volto ad accrescere la capacità dell’Ucraina di difendersi dalla Russia.
In primo piano, all’attivo del summit Nato lituano c’è la svolta del presidente turco Recep Erdogan che in pochi giorni ha letteralmente ribaltato la posizione che definiva testualmente di “amico fedele” di Putin.
In attesa di verificare se davvero ad agosto, come annunciato nelle settimane scorse, il Presidente russo si recherà in Turchia, l’Alleanza Atlantica sta analizzando gli effetti delle tre recentissime clamorose mosse anti Cremlino di Erdogan: ha ricevuto con grande enfasi Zelensky a Instambul col quale avrebbe parlato a porte chiuse del dopo conflitto; ha restituito all’Ucraina i comandanti del Battaglione Azov che hanno combattuto i russi asserragliandosi nell’acciaieria Azovstal di Mariupol e che erano stati consegnati da Mosca come ostaggi alla Turchia; e soprattutto dall’oggi al domani ha rimosso il veto che impediva l’ingresso nella Nato della Svezia, scoprendo così totalmente il fronte nord della Russia.
A Vilnius non trapela nei comunicati ufficiali, ma il non detto del vertice Nato confida nel fiuto di Erdogan che potrebbe aver captato segnali d’implosione del regime di Putin. Il bilancio oltremodo positivo di Vilnius comprende, oltre al notevole potenziamento apportato all’Alleanza dall’ ingresso della Svezia, che con la Finlandia completa lo schieramento nord europeo, l’approvazione di nuovi piani di difesa più capillari e completi dalla fine della Guerra Fredda, che tra l’altro prevedono una forza d’intervento rapido di 300.000 truppe comprendente lo schieramento di notevoli forze aero navali, e l’ extension della copertura asiatica della Nato a Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud.
Una extension per rafforzare la cooperazione di sicurezza tra la regione indo-pacifica e euro-atlantica, tenendo conto della Cina, sottolineata dalla significativa partecipazione al vertice di Vilnius del premier giapponese Fumio Kishida e del leader della Corea del Sud. Discorso diverso per Australia e Nuova Zelanda da sempre considerate gemellate alla Nato in quanto facenti parte dei Five Eyes, acronimo dell’alleanza di sorveglianza elettronica globale comprendente anche Canada, Regno Unito e Stati Uniti. In vista delle celebrazioni dell’anno prossimo del 75 esimo anniversario della fondazione della Nato, l’alleanza nella prospettiva del dopo Ucraina si appresta infatti a valutare l’evoluzione di una situazione strategica internazionale che vedrà in primo piano l’ulteriore contrapposizione con la Russa e con La Cina.
Se la Russia è la minaccia attuale, la Cina assume un rilievo di problematicità a più lungo termine. “La minaccia cinese è a lungo termine perché l’economia cinese è molto più forte, pervasiva e totalmente autonoma rispetto a quella russa” spiega Satoru Nagao, esperto di politiche di difesa e sicurezza del think tank statunitense Hudson Institute. E poiché la Russia fa affidamento sulla Cina nell’attuale situazione di guerra e l’influenza di Pechino su Vladimir Putin sta crescendo, la Nato intensificherà i rapporti con Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud e moltiplicherà i contatti con India e Indonesia.
Una Nato globale, allineata anche con i non allineati, ma con baricentro europeo.
Alla Presentazione del Rapporto nazionale “Le prove Invalsi 2023” il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara è intervenuto su diverse tematiche riguardanti il sistema scolastico.
Qui il discorso <img src="assets/img/emoji/25b6.
Una strategia Med-Indo-Pacific per la Nato
La regione indo-pacifica è lontana, e sia i politici che il pubblico europeo sono inclini a non guardare così lontano. La preoccupazione per i progetti russi e cinesi sul Mediterraneo, tuttavia, è un’altra storia. O forse parte della stessa storia, ma più vicina a noi. Thibault Muzergues è un analista politico senior advisor dell’International Republican Insitute e autore di “War in Europe? From impossible war to improbable peace”, Routledge 2022 e ha una visione piuttosto interessante su quello che la Nato dovrebbe mettere nei suoi prioritari obiettivi. Lo chiama “Med-Indo-Pacific”, una strategia che in sostanza comprenda il Mediterraneo allargato e l’Indo Pacifico, e che dimostra come i due quadranti geostrategici sono sempre più interconnessi.
Messaggio da Vilnius
Il vertice Nato ospitato in Lituania, seppure molto concentrato sulla gestione complessa della guerra russa in Ucraina, ci ha parlato anche di queste interconnessioni. D’altronde Vilnius è di per sé un caso di studio, finito sotto le cose di Russia e Cina negli ultimi due anni. Tuttavia, restano degli scetticismi, anche legati al momento complicato: su tutti Francia e Germania sono poco inclini a deviare l’attenzione della Nato verso l’Indo Pacifico, sottolinea Muzergues, “almeno non mentre la guerra infuria in Europa”. È possibile (se ne parlerà anche altrove in questa newsletter), che la preoccupazione sia legata all’evitare di spostare la Cina, per reazione, apertamente verso la Russia. Preoccupazione per un conflitto aperto con la Cina sono anche parte del pensiero dell’opinione pubblica europea, secondo un recente sondaggio dell’Ecfr.
Una Nato direttamente attiva nell’Indo-Pacifico è quindi uno scenario che sarebbe meglio dimenticare, almeno per il prossimo futuro. “Tuttavia, ciò non significa che l’Alleanza non possa reinventare il proprio ruolo nei confronti della Cina; in questo caso, non si tratterebbe solo di tenere i cinesi fuori, ma piuttosto lontani dall’Europa: ciò risponderebbe alle preoccupazioni degli europei per le incursioni economiche di Pechino nelle economie europee e terrebbe strategicamente i cinesi a distanza di sicurezza nelle vicinanze dell’Europa”, spiega Muzergues.
Contenimento cinese
“Tenere lontani i cinesi potrebbe essere una strategia per l’Europa, visto che i primi hanno recentemente fatto breccia nel vicinato meridionale dell’Europa. Non solo sulla terraferma, in alcune zone dell’Africa e del Medio Oriente, ma anche in mare: non è un caso che l’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) abbia costruito la sua prima base militare al di fuori dei confini cinesi a Gibuti, il punto di strozzatura tra l’Oceano Indiano e il Mar Rosso, che a sua volta collega l’Indo-Pacifico e il Mediterraneo”.
“Dopo tutto, il controllo dei punti di strozzatura tra Cina ed Europa, da Gibilterra allo Stretto di Malacca (molti dei quali nel Mediterraneo), è tornato ad essere un problema, soprattutto se si considera che il Mediterraneo è un mare sempre più territorializzato e, di fatto, conteso”, aggiunge l’analista usando tra i vari esempi il grande interessamento delle società cinesi come Cosco ai porti europei nel Mediterraneo.
La maggior parte dei Paesi dell’Europa meridionale è ben consapevole della crescente presenza cinese nel Mediterraneo, di cui è sempre più preoccupata, mentre la maggior parte degli alleati dell’Europa centrale ha capito nel corso degli anni che la strategia di disturbo della Russia si estende anche a sud, dal Mar Nero al Mediterraneo e all’Africa. “Non ci sarebbe molto dissenso nel sostenere una strategia della Nato volta a spingere i russi e i cinesi fuori dai confini meridionali e orientali dell’Europa. E considerando il cruciale legame commerciale tra il Mediterraneo e l’Indo-Pacifico, sarebbe un modo per coinvolgere gli europei, attraverso una regione strategica più familiare, nella strategia globale americana. Per la Nato, l’Indo-Pacifico potrebbe non essere consensuale, ma una strategia Med-Indo-Pacifico potrebbe essere la chiave per far muovere gli europei”.
La NATO esce dal vertice di Vilnius più ricca, più aggressiva e più armata
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di Antonio Mazzeo –
Pagine Esteri, 12 luglio 2023. Se invece del summit Nato la capitale della Lituania Vilnius avesse ospitato un’Olimpiade, sul podio dei vincitori sicuramente sarebbero saliti il segretario generale dell’alleanza Jens Stoltenberg, il presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden e il premier-ras turco Recep Tayyip Erdogan. Il primo è stato premiato con l’ulteriore estensione temporale del suo mandato per aver allargato l’adesione de iure alla Nato di Finlandia e Svezia e de facto di mezzo mondo. Il secondo per aver imposto a tutti gli alleati la visione geostrategica di Washington e del Pentagono, riaffermando l’incontrastata supremazia militare-nucleare Usa e convertendo a bancomat l’Unione europea e le medie potenze del vecchio continente per finanziare la folle corsa al riarmo globale. Il terzo per aver ottenuto il consenso unanime degli alleati per il piano di liquidazione della questione kurda a suon di raid e bombe in cambio di un sì all’ingresso dell’ex neutrale Svezia nella Nato. Grande sconfitto ai “giochi olimpici” di Vilnius 2023 il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: si attendeva di essere accolto subito e a braccia aperte da chi gli ha garantito armi e munizioni per decine e decine di miliardi di euro per le controffensive anti-Mosca, ma alla fine è stato congedato con un “ti vogliamo, ma ci rivediamo domani” assai malamente digerito. Assai deludenti le performance dei leader diplomatici e militari di Londra, Parigi, Berlino, Roma e Bruxelles, opache comparse in una competizione che ha sancito lo strapotere del complesso militare-industriale e nucleare transnazionale, grande sponsor e nume tutelare della Nato del terzo millennio. Un’alleanza che esce da Vilnius tutt’altro che monolitica ma ancora più aggressiva e armata, sempre più anti-russa e anti-cinese, e più pronta a intervenire rapidamente per imporre la pax americana in ogni angolo del pianeta.
“L’ingresso della Finlandia è un passo storico per la Nato e saremo ancora più grandi e più forti quando si concluderà l’iter di adesione della Svezia”, ha enfatizzato il segretario Jens Stoltenberg a conclusione del vertice in terra lituana. “Siamo davvero felici dell’impegno assunto dal presidente turco di presentare prima possibile all’assemblea parlamentare nazionale il protocollo di ratifica all’ingresso della Svezia nella Nato. La Turchia e la Svezia continueranno a cooperare nella lotta al terrorismo. Le autorità di Stoccolma hanno emendato la costituzione, cambiato le leggi e accresciuto in modo significativo la cooperazione anti-terrorismo contro il PKK, riprendendo l’esportazione di armi alla Turchia”. (1) Anche Washington ha operato in prima persona per ottenere l’ok di Erdogan alla Svezia 32^ stella della Nato: alla vigilia del summit di Vilnius il capo del Pentagono Lloyd Austin ha fatto sapere al leader turco di essere deciso ad autorizzare il trasferimento ad Ankara di 40 cacciabombardieri F-16, una commessa anelata da diversi anni dall’aeronautica militare turca. (2)
Ospiti d’onore in Lituania accanto ai leader di governo dei due nuovi paesi membri dell’alleanza anche i rappresentanti dell’Unione europea con cui la Nato condivide missioni strategiche e oneri finanziari per potenziare la produzione bellica e le reti infrastrutturali per la mobilità di uomini e mezzi militari; i ministri degli esteri di Georgia, Repubblica di Moldavia e Bosnia ed Herzegovina e quelli di Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud. Per la Nato la regione indo-pacifica ha assunto un ruolo fondamentale “per la sicurezza euro-atlantica e l’impegno a difesa dell’Ucraina” e nella “cooperazione nel settore della cyber-difesa, della lotta al terrorismo e della produzione di armi e nuove tecnologie”. Nel documento finale del vertice di Vilnius i paesi membri dell’Alleanza Atlantica rivendicano pure una più stretta partnership con alcune delle maggiori organizzazioni internazionali e regionali come l’Onu, l’Osce e l’Unione africana. “Noi rafforzeremo queste interazioni per promuovere i nostri interessi comuni e contribuire alla sicurezza globale”, promette la Nato. “Stiamo inoltre esplorando la possibilità di stabilire un ufficio di collegamento a Ginevra per un ulteriore rafforzamento dei nostri legami con le Nazioni Unite”.
Buona parte del comunicato finale del vertice in Lituania è dedicato al nemico numero uno dell’Alleanza militare, la Russia di Putin. “La Federazione Russa ha violato le norme e i principi che contribuiscono a un ordine di sicurezza europeo stabile e affidabile”, scrivono i paesi Nato. “La Federazione Russa rappresenta la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza dell’Alleanza e alla pace e alla stabilità nell’area euro-atlantica (…) La Russia è del tutto responsabile della sua illegale, ingiustificabile e non provocata guerra di aggressione contro l’Ucraina, che ha gravemente compromesso la sicurezza euro-atlantica e globale. Noi non riconosciamo né riconosceremo mai le illegali e illegittime annessioni russe, inclusa quella della Crimea. La distruzione della diga di Kakhovka è tra le più gravi e brutali conseguenze della guerra avviata dalla Russia”.
La Nato stigmatizza inoltre il piano di ammodernamento dell’arsenale nucleare e convenzionale di Mosca. “Noi condanniamo l’intenzione della Russia di volere installare armi nucleari e sistemi a capacità nucleare nel territorio della Bielorussia, un’ulteriore dimostrazione delle ripetute azioni di Mosca si minare la stabilità strategica e la sicurezza generale nell’area euro-atlantica”, aggiunge la Nato. “La Russia ha intensificato le sue azioni ibride contro gli alleati e i partner Nato, inclusi quelli a lei confinanti. Ciò include l’interferenza nei processi democratici, la coercizione politica ed economica, le estese campagne di disinformazione, le minacce informatiche dannose, le operazioni illegali e distruttive dei servizi d’intelligence russi”. E sarà ancora il conflitto in Ucraina il banco di prova dell’Alleanza per contrastare e indebolire il regime di Putin. “Il summit di Vilnius ha reso l’Ucraina più forte e ha rafforzato le capacità di deterrenza e difesa della Nato”, ha enfatizzato il segretario generale Stoltenberg. “Mi aspetto che i leader dell’Alleanza assicurino un pacchetto di aiuti e interventi che avvicinino ancora di più l’Ucraina alla Nato. Esso includerà un programma di assistenza pluriannuale per assicurare l’interoperabilità; il rafforzamento dei legami politici grazie a un nuovo Consiglio Nato-Ucraina; la riaffermazione che l’Ucraina diventerà un membro della Nato”. Impegni ritenuti del tutto generici e deludenti dal premier Zelenskyy, ma ribaditi integralmente nel documento finale del summit. “Il futuro dell’Ucraina è nella Nato”, afferma l’Allenza. “Noi ribadiamo l’impegno assunto al Summit 2008 di Bucarest e oggi riconosciamo che il sentiero tracciato dall’Ucraina per una piena integrazione euro-atlantica è andato oltre di quanto previsto dal Membership Action Plan. L’Ucraina è divenuta sempre più interoperativa e politicamente integrata con l’Alleanza e ha fatto progressi sostanziali nel suo piano di riforma”. Ciononostante, così come richiesto dall’amministrazione Biden, non è stata decisa nessuna data per formalizzare l’ingresso di Kiev nella Nato. Tuttavia non verranno fatte mancare all’Ucraina le armi e le munizioni per condurre il sanguinoso conflitto fratricida con la Russia. “La continua e urgente consegna di assistenza non letale all’Ucraina attraverso il Pacchetto di assistenza completo (Pac) rimane una priorità della Nato”, si aggiunge nel documento finale del vertice di Vilnius. “A partire dallo scorso vertice di Madrid gli Alleati e i partner hanno fornito più di 500 milioni di euro al Pac. Per supportare la deterrenza e la difesa dell’Ucraina a breve, medio e lungo termine, abbiamo deciso oggi di sviluppare ulteriormente il Pac con un programma pluriannuale di assistenza che aiuterà a ricostruire il settore di difesa e sicurezza del paese e a garantire la sua transizione fino alla piena interoperabilità con la Nato”.
Contro la Russia sarà rafforzata la presenza di reparti di pronto intervento delle forze armate dei paesi Nato nel cosiddetto fianco orientale (Polonia, Lettonia, Estonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Ungheria e Bulgaria), a cui si aggiungerà una forza di dispiegamento rapido di oltre 300.000 militari pronti ad essere trasferiti ai confini con Russia e Bielorussia in caso di allerta, insieme a una sostanziale “potenza di combattimento” aerea e navale. Al summit di Vilnius è stato deciso di accelerare il processo di elevazione degli esistenti otto battlegroup dispiegati nei paesi dell’Europa orientale a unità di dimensione di brigata “dove e quando richiesto”, con una maggiore dotazione di mezzi da guerra, equipaggiamenti e sistemi di comando e controllo preposizionati. “Con il nuovo NATO Force Model varato al Summit di Madrid, gli Alleati stanno predisponendo un più ampio pool di forze da combattimento, incluse le unità di alta prontezza operativa, rafforzando la nostra capacità di risposta militare e sfruttando l’esperienza regionale e la vicinanza geografica”, riporta il documento finale del Summit. “Noi stiamo stabilendo anche una nuova Forza di Reazione Alleata multinazionale e multi-dominio, che garantirà più opzioni nella risposta in tempi rapidissimi alle minacce e alle crisi in tutte le direzioni. Abbiamo raggiunto l’accordo di potenziare il sistema di comando e controllo della Nato per assicurare che esso sia sufficientemente agile, resiliente e dotato del personale in grado di eseguire i nostri piani d’intervento”.
Particolare e preoccupante enfasi al vertice di Vilnius è stata data alle capacità di deterrenza nucleare dell’Alleanza militare. “Noi forniremo individualmente e collettivamente uno spettro completo di forze, capacità, piani, risorse, assetti e infrastrutture necessari alla deterrenza e alla difesa, inclusi quelli per una guerra ad alta intensità contro i nostri peggiori competitori armati di testate nucleari”, aggiungono i paesi Nato. “In accordo, rafforzeremo l’addestramento e le esercitazioni che simulano una dimensione di crisi e conflitto convenzionale e, per gli Alleati interessati, nucleare, facilitando una maggiore coerenza tra componenti convenzionali e nucleari nella postura di deterrenza e difesa della Nato in tutti i domini e nell’intero spettro di conflitto”. Scopo fondamentale della capacità nucleare della Nato – si ribadisce a Vilnius – è quello di preservare la pace, prevenire la coercizione e scoraggiare l’aggressione. “Le armi nucleari sono uniche e fino a quando esse esisteranno la Nato resterà un’alleanza nucleare. Le circostanze in cui la Nato potrebbe usare armi nucleari sono estremamente remote. Ogni impiego di armi nucleari contro la Nato altererebbe fondamentalmente la natura di un conflitto. L’Alleanza ha le capacità e la determinazione di imporre costi a un avversario che sarebbero inaccettabili e che superebbero di gran lunga i benefici che egli spererebbe di poter ottenere”. E onde rendere ancora più credibili le minacce di risposta e ritorsione nucleare, il vertice Nato ha annunciato nuovi passi per rendere ancora più efficienti e distruttivi i propri arsenali atomici. “Continueremo a modernizzare la dotazione nucleare Nato e stiamo aggiornando la pianificazione per accrescere la flessibilità e l’adattabilità di tutte le forze nucleari dell’Alleanza, mentre continueremo ad esercitare un forte controllo politico in ogni tempo”, si riporta nel documento finale.
Elemento chiave delle strategie belliche della Nato continuerà ad essere il sistema di Difesa integrata aerea e missilistica (IAMD). “Lo IAMD Nato è una missione essenziale e permanente in tempo di pace, durante una crisi e in caso di conflitto”, riporta il documento finale del vertice in Lituania. “Esso incorpora tutte le misure che contribuiscono alla deterrenza di ogni minaccia aerea e missilistica o ad annullare o ridurre la loro efficienza. Questa missione è condotta con un approccio a 360 gradi ed è indirizzata su misura e in tutte le direzione strategiche contro le minacce predisposte dagli attori statali e non”.
La difesa missilistica è ritenuta del tutto complementare alla deterrenza nucleare. “Lo spirito e i principi politici della Nato Ballistic Missile Defence (BMD) rimane immutata dal Summit di Lisbona del 2010”, annotano i paesi partecipanti al vertice di Vilnius. “La BMD è puramente difensiva ed è finalizzata a contrastare le minacce dei missili balistici che provengono da fuori dell’area euro-atlantica. Gli Alleati continuano ad essere impegnati al completo sviluppo della Nato BMD per contribuire alla difesa collettiva dell’Alleanza ed assicurare la piena copertura e protezione all’intera popolazione, ai territori e alle forze dell’Europa contro la crescente minaccia rappresentata dalla proliferazione di missili balistici”. Alla Nato Ballistic Missile Defence continueranno ad operare le unità anti-missile delle forze armate Usa schierate in Romania, Turchia, Spagna e Polonia, ma gli Alleati si dichiarano pronti a completare l’installazione di “componenti addizionali” del sistema anti-missili balistici e dei relativi centri di comando e controllo “in quanto necessari a raggiungere la completa capacità operativa”.
Un occhio di Washington e degli alleati euro-atlantici anche verso il cosiddetto Fianco Sud della Nato, comprendente il Mediterraneo allargato, il nord Africa, le regioni del Sahel e il Medio oriente. “I confini meridionali della Nato sono interconnessi con la sua sicurezza e rappresentano una sfida demografica, economica e politica”, aggiunge il documento approvato a Vilnius. “Ciò è aggravato dall’impatto del cambiamento climatico, dalla fragilità delle istituzioni, dalle emergenze sanitarie e dall’insicurezza alimentare. Questa situazione assicura un terreno fertile per la proliferazione di gruppi armati non statali, comprese le organizzazioni terroristiche. A ciò si aggiunge la destabilizzazione e l’interferenza coercitiva dei competitori strategici. La Russia sta alimentando le tensioni e l’instabilità in queste regioni. L’instabilità pervasiva sfocia nella violenza contro i civili, inclusa la violenza sessuale legata ai conflitti, così come negli attacchi contro i beni culturali e i danneggiamenti ambientali. Ciò contribuisce ai trasferimenti forzati delle popolazioni e ad alimentare il traffico di esseri umani e la migrazione irregolare”. La Nato globale si dichiara dunque pronta ad assumere il ruolo di protagonista nella gestione delle crisi sociali, economiche, ambientali, climatiche che affliggono il pianeta e nel “contenimento” di fenomeni strutturali come le migrazioni da sud a nord. “In risposta alle implicazioni profonde di queste minacce e sfide all’interno e in prossimità dell’area euro-atlantica, oggi noi abbiamo incaricato il Consiglio Nord Atlantico in sessione permanente a lanciare una riflessione completa e profonda su di esse e sulle opportunità di relazione con altre nazioni partner, organizzazioni internazionali e altri rilevanti attori nella regione, i cui risultati saranno presentati al prossimo Summit Nato del 2024”.
Per soddisfare le smisurate ambizioni Nato di global player mondiale, al vertice di Vilnius si è condiviso l’impegno ad investire sempre maggiori risorse finanziarie in armi e strutture militari. Tutti i paesi membri dell’Alleanza sono stati richiamati a rispettare “le obbligazioni sancite dall’art. 3 del Trattato di Washington” destinando annualmente non meno del 2% del Prodotto interno lordo al settore difesa. “Noi lo facciamo riconoscendo che ciò è ancora più necessario e urgente per rispondere agli impegni dell’Alleanza incluso le richieste di maggiori apparecchiature di lunga durata e per contribuire ai nuovi piani di difesa e al modello di forza Nato, così come alle operazioni, alle missioni e alle attività dell’Alleanza”, si aggiunge nel documento finale. “Noi affermiamo che in molti casi, la spesa oltre il 2% del Pil sarà necessaria per rimediare alle deficienze esistenti e rispondere ai bisogni di tutti i domini che giungono da un ordine di sicurezza contestato”. (3)
Ancora dunque maggiori spese in armi e strumenti di morte e conseguenti tagli al welfare e alle spese sociali nonostante le cifre record attestate nell’ultimo biennio nei budget delle forze armate dei paesi Nato. Alla vigilia del summit di Vilnius, lo stesso segretario generale Jens Stoltenberg si è dichiarato più che soddisfatto per gli sforzi di bilancio sostenuti dall’Alleanza, con una crescita in termini reali dell’8.3% nell’ultimo anno da parte degli alleati europei e del Canada. “Questo è il maggior incremento delle ultime decadi ed è il nono anno consecutivo che aumentano le nostre spese militari”, ha dichiarato Stoltenberg. “In questo modo gli alleati europei e il Canada hanno investito più di 450 miliardi di dollari da quando abbiamo deciso di accrescere gli investimenti nel 2014”. (4)
A Vilnius la Nato si è impegnata a destinare non meno del 20% del budget difesa alla ricerca, sviluppo e acquisizione di nuovi sistemi d’arma. “Stiamo accelerando i nostri sforzi per assicurare che l’Alleanza mantenga il suo vantaggio tecnologico nelle tecnologie emergenti e dirompenti per conservare la nostra interoperabilità ed efficienza militare, includendo anche soluzioni dual-use”, si riporta alla fine del documento del Summit. “Stiamo lavorando insieme per adottare e integrare nuove tecnologie, cooperare con il settore privato, proteggere i nostri ecosistemi innovativi, i modelli standard, ecc..”. In quest’ambito si inserisce il Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (DIANA) lanciato lo scorso anno per promuovere network di ricerca e sviluppo tra centri accademici, start-up e grandi e piccole aziende. A DIANA è stata destinata una prima tranche di un miliardo di euro circa grazie al NATO Innovation Fund, il fondo di investimenti finanziari varato al vertice di Madrid da 23 paesi (Belgio, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno unito, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Spagna, Turchia, Ungheria). Il fondo finanzierà in particolare i settori ritenuti strategici e prioritari dalla Nato: sistemi aerospaziali, intelligenza artificiale, biotecnologie e bioingegneria, computer quantistici, cyber security, motori ipersonici, robotica e sistemi terrestri, navali, aerei e subacquei a pilotaggio remoto, industria navale e delle telecomunicazioni, energia, sistemi di propulsione, ecc.. (5) Nel board dei direttori del NATO Innovation Fund è stato chiamato, tra gli altri, l’ex ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani.
Alla realizzazione dei programmi di ricerca DIANA concorreranno nove acceleratori e 63 Centri test da insediare in Europa e in Nord America. Uno di questi acceleratori Nato sorgerà nella città di Torino, mentre ancora in Italia sono previsti due Centri Test, il primo al Centro di sperimentazione e supporto navale (Cssn) di La Spezia e il secondo a Capua (Caserta) presso il Centro italiano di ricerche aerospaziali (Cira), società partecipata dall’Agenzia Spaziale Italiana, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dalla Regione Campania.
Note:
- nato.int/cps/en/natohq/news_21…
- avionews.com/item/1252468-stat…
- nato.int/cps/en/natohq/officia…
- france24.com/en/europe/2023071…
- nato.int/cps/en/natohq/news_19…
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Tra G7 e F-16, Zelensky torna da Vilnius più forte di prima
Il summit di Vilnius, che si è avviato al termine, è stato sicuramente proficuo per l’Ucraina. Anche se la speranza di un piano ben definito per regolare l’accesso all’interno dell’alleanza non si è concretizzata, la quarantottore lituana ha portato comunque importanti novità per Kyiv.
Nella mattinata di Mercoledì 12 Luglio Amanda Sloat, senior director per l’Europa all’interno del National Security Council statunitense, ha preannunciato che questa sera il presidente statunitense Joe Biden, assieme ad altri leader del G7, annunceranno una forma di impegno a lungo termine atta a garantire la sicurezza dell’Ucraina durante l’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy. “Gli Stati Uniti, insieme ai leader del G7, annunceranno la nostra intenzione di aiutare l’Ucraina a costruire un esercito in grado di difendersi e di scoraggiare un futuro attacco” sono state le parole della funzionaria statunitense.
L’annuncio dovrebbe coincidere con l’inizio di una serie di negoziati bilaterali tra l’Ucraina e ciascuno degli stati del G7 coinvolto nell’iniziativa (ancora non è chiaro quali siano effettivamente gli stati coinvolti in questo processo), portate avanti sotto l’egida di una dichiarazione-ombrello congiunta. Oggetto di queste negoziazioni saranno la fornitura di equipaggiamento bellico a lungo termine, così come l’incremento nella condivisione dei dati di intelligence, nel sostegno alla lotta contro le minacce informatiche e ibride, negli sforzi per l’addestramento e le esercitazioni militari e snello sviluppo della base industriale ucraina.
Quest’iniziativa, che offrirebbe un sostegno costante e in forma strutturata all’Ucraina, è atta a placare, almeno parzialmente, i malesseri di Kyiv e di quei paesi Nato che speravano di vedere uscire dal summit di Vilnius una roadmap ben definita per l’ammissione ucraina all’interno dell’Alleanza atlantica. A questo proposito, la prima ministra dell’Estonia Kaja Kallas ha constatato che gli accordi di sicurezza bilaterali potrebbero offuscare il dibattito sull’adesione dell’Ucraina, e che gli impegni preannunciati non sono sufficienti a scoraggiare la Russia nel lungo termine.
“L’adesione alla Nato darebbe la garanzia che quando c’è un cambio di leadership in alcuni paesi, perché ci sono le elezioni, non cambia l’obbligo di uno stato membro di aiutare l’Ucraina” ha affermato la leader del paese baltico.
Contemporaneamente, a latere del summit di Vilnius alcuni funzionari hanno annunciato la firma di un memorandum che prevede per agosto l’inizio delle sessioni di addestramento di piloti, tecnici e staff di supporto ucraini all’utilizzo dei velivoli multiruolo F-16. I primi addestramenti, condotti da personale di 11 nazioni diverse, avranno luogo in Danimarca, mentre un ulteriore campo sarà adibito nei prossimi mesi in territorio romeno. La notizia è stata rilanciata sul suo profilo Twitter dal ministro della difesa ucraino Oleksii Reznikov, che non esclude un’estensione del programma ad altre tipologie di apparecchi.
“Speriamo di poter vedere i risultati all’inizio del prossimo anno” si augura il ministro della difesa danese Troels Lund Poulsen, anche se al momento non risulta che nessun esemplare di F-16 sia stato effettivamente recapitato alle forze aeree di Kyiv.
L’Europa è al bivio, servono nuove regole fiscali e di governance
Sintesi della Martin Feldstein Lecture 2023 tenuta dall’ex premier ed già presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, durante la conferenza estiva del National Bureau of Economic Research di Cambridge, Massachusetts.
La domanda più importante che dobbiamo porci è se l’Europa possa aprire una strada diversa in direzione dell’unione fiscale.
La Storia ci insegna che di rado i bilanci comuni sono stati creati come appendici all’integrazione monetaria, bensì per garantire obiettivi specifici nell’interesse comune. Fino a oggi l’Europa non ha mai dovuto far fronte a così tanti obiettivi sovranazionali, che non possono essere perseguiti dai singoli Paesi. Stiamo vivendo una serie di importantissime transizioni che richiedono ingenti investimenti comuni. La Commissione Europea ha fissato in più di 600 miliardi l’anno, da qui al 2030, il fabbisogno degli investimenti per la transizione verde. Il settore pubblico dovrà finanziare da un quarto a un quinto di questa cifra.
Stiamo vivendo anche una transizione geopolitica per la quale non possiamo più fare affidamento su Paesi poco amichevoli nei nostri confronti per i nostri approvvigionamenti basilari. Ciò comporta un considerevole cambiamento di indirizzo degli investimenti per aumentare le capacità produttive in patria o nei Paesi partner.
Nel corso della Storia dell’Ue, inoltre, i suoi valori fondanti di pace, democrazia e libertà non sono mai stati messi alla prova come adesso dalla guerra in Ucraina. Una delle prime conseguenze di ciò è che dobbiamo avviare un’altra transizione e dirigerci verso una Difesa europea comune molto più forte, se intendiamo rispettare il target delle spese militari dei Paesi della Nato pari al due per cento del Pil.
Così com’è, però, la compagine istituzionale europea non è adatta per queste transizioni, come evidenzia un paragone con gli Stati Uniti. Negli Usa possiamo constatare una maggiore attenzione per la cosiddetta “arte di governo”, in cui la spesa federale, le modifiche delle regolamentazioni e gli incentivi fiscali si allineano per perseguire gli obiettivi strategici fissati. L’Inflation Reduction Act, per esempio, accelererà simultaneamente la spesa per la transizione verde, attirerà investimenti esteri e ristrutturerà le catene di approvvigionamento a favore dell’America.
L’Europa, all’opposto, è priva di una strategia equivalente che integri la spesa a livello Ue, le direttive sui sussidi pubblici e i piani fiscali nazionali, come dimostra l’esempio del clima.
Una volta scaduto il Recovery Plan, non c’è una proposta per uno strumento federale in sua sostituzione, atto a portare avanti la necessaria spesa per il clima. Le normative sugli aiuti pubblici dei Paesi dell’Ue limitano la capacità delle autorità nazionali di perseguire attivamente una politica industriale verde.
Nell’inerzia, si rischia seriamente di non rispettare i nostri obiettivi climatici e, probabilmente, di perdere la nostra industria di base a beneficio di regioni che hanno meno vincoli. Questo lascia spazio a due opzioni.
Primo, è possibile allentare le normative sugli aiuti di stato e rilassare le regolamentazioni fiscali per assumerci l’onere di una spesa per gli investimenti in pieno. Così facendo, però, si creerà frammentazione, dato che i Paesi con un maggiore margine di bilancio potranno spendere più degli altri. Come abbiamo appreso dall’Accordo di Deauville, la frammentazione non ha senso quando l’obiettivo sovranazionale è tale che i singoli Paesi non possono raggiungerlo da soli. Proprio come l’euro non può essere stabile se vengono meno ingenti parti dell’unione monetaria, così il cambiamento del clima non può essere risolto se un Paese riduce le sue emissioni di anidride carbonica più rapidamente degli altri.
Questo significa che non abbiamo a disposizione che un’unica opzione, la seconda: cogliere l’occasione per ridefinire l’Ue, la sua struttura fiscale e il suo processo decisionale e renderli più adeguati alle sfide che ci troviamo davanti.
La sfida più importante per la zona euro è che per perseguire molteplici obiettivi diversi stiamo facendo affidamento su regolamentazioni fiscali a livello nazionale.
Tenuto conto del ruolo fondamentale di stabilizzazione dei bilanci nazionali, abbiamo bisogno di regolamentazioni che permettano alle politiche controcicliche di reagire agli shock locali. Abbiamo bisogno di garantire l’affidabilità a medio termine delle politiche fiscali nazionali in un contesto post-pandemico caratterizzato da un indebitamento elevatissimo. Garantire la credibilità fiscale implica necessariamente per le regolamentazioni di essere più automatiche e che vi sia meno discrezionalità. Poiché è impossibile mettere a punto regolamentazioni adatte a tutte le situazioni che si presenteranno in futuro, un maggiore automatismo vincolerà sempre la capacità dei governi di reagire a shock imprevisti.
Nello stesso modo, regolamentazioni accettabili richiedono aggiustamenti su orizzonti temporali non troppo lunghi. Il tipo di investimento che ci occorre oggi, però, implica impegni di spesa a lungo termine, molti dei quali proseguiranno ben oltre l’arco di vita dei governi che li sottoscrivono. La Commissione Europea ha cercato di risolvere questi compromessi proponendo una grande attenzione alla regola di spesa collegata alla traiettoria debitoria a medio termine di un Paese.
Poiché costituisce una decentralizzazione dei poteri al centro, l’automatismo normativo può funzionare soltanto se è eguagliato da un livello di spesa maggiore dal centro. Questo è ciò che possiamo vedere negli Stati Uniti, dove la devolution dei poteri nel governo federale rende possibile norme di bilancio perlopiù inflessibili per gli stati.
La zona euro probabilmente non potrà mai replicare una struttura del genere, tenuto conto di quanto sono più grandi i bilanci nazionali rispetto a quelli degli stati americani. Vi sono buoni motivi, tuttavia, per adottarne alcuni elementi.
Lo spazio fiscale asimmetrico europeo – dove alcuni Paesi sono in grado di spendere molto più di altri – è sprecato, in sostanza, quando si tratta di obiettivi condivisi come il clima e la Difesa. Se alcuni Paesi possono spendere liberamente a favore di questi obiettivi ma altri no, l’impatto di tutte le spese sarà in ogni caso inferiore, perché nessun Paese sarà in grado di arrivare alla sicurezza climatica o militare.
Una maggiore emissione di debito comune per finanziare questo investimento in teoria potrebbe espandere lo spazio fiscale collettivo che abbiamo a disposizione. Questo significa, quanto meno, che dovremmo garantire che gli stati membri più indebitati usino lo spazio fiscale per creare una spesa comune che migliori le loro prospettive.
Una possibilità, dunque, consiste nel procedere – come abbiamo fatto finora – con l’integrazione tecnocratica, apportando modifiche tecniche e sperando che le modifiche politiche seguano quanto prima. In definitiva, nel caso dell’euro questo approccio funzionò e l’Ue ne è uscita rafforzata. I costi di quella impresa, però, sono stati elevati, i progressi lenti.
Un’altra possibilità consiste nell’andare avanti con un iter politico vero e proprio, il cui fine sia chiaro dall’inizio e sia sottoscritto da tutti sotto forma di modifica del Trattato europeo. Questa strada non portò a nulla alla metà degli anni Duemila, e da allora i policymaker si sono astenuti dall’imboccarla un’altra volta. Tuttavia, io credo che oggi vi siano maggiori speranze di successo.
Quando l’Ue si allargherà per includere i Balcani e l’Ucraina, sarà indispensabile riaprire i Trattati per garantire di non ripetere gli errori commessi in passato espandendo la nostra periferia senza rafforzare il centro.
Il punto di partenza di qualsiasi cambiamento del Trattato in futuro dovrà essere il riconoscimento di un numero in costante incremento di obiettivi condivisi e la necessità di finanziarli insieme, il che richiede una forma diversa di rappresentatività e di processo decisionale centralizzato. A quel punto, diventerà più realistico incamminarci verso regolamentazioni più automatiche.
Io credo che oggi gli europei siano più pronti di vent’anni fa a imboccare questa strada, perché in verità hanno a disposizione soltanto tre opzioni: la paralisi, l’uscita dall’Ue o l’integrazione.
Dai sondaggi emerge chiaramente che i cittadini si sentono sempre più minacciati dall’esterno, non ultimo da quando è iniziata l’invasione russa. E questo rende la paralisi sempre più inaccettabile.
La Brexit ha tradotto in realtà le motivazioni teoriche a favore dell’uscita dell’Ue e, se i vantaggi di questa scissione appaiono ancora estremamente incerti, i costi sono fin troppo evidenti.
Se dunque la paralisi e l’uscita dall’Ue appaiono poco allettanti, i costi relativi di un’integrazione ulteriore appaiono minori.
Non potremo creare la capacità operativa dell’Ue senza rivedere l’assetto fiscale europeo. In conclusione, la guerra in Ucraina ha ridefinito profondamente la nostra Unione, non soltanto nella sua appartenenza o nei suoi obiettivi condivisi, ma anche nella consapevolezza che ha creato: il nostro futuro è interamente nelle nostre mani.
L'articolo L’Europa è al bivio, servono nuove regole fiscali e di governance proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Etiopia, appello all’Unione Africana per affrontare le debolezze dell’accordo di pace in Tigray
“Un meccanismo di monitoraggio appena rilasciato ha rivelato prove inquietanti che l’accordo sulla cessazione delle ostilità (CoHA) raggiunto otto mesi fa tra il governo federale etiope e il Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF) è viziato da lacune significative che incidono sulla protezione dei civili.”
Il monitoraggio della società civile, primo nel suo genere, trova inquietanti lacune nell’accordo di pace con il Tigray
Il report “Ethiopia Watch” esorta l’Unione Africana a costruire sullo storico accordo raggiunto a Pretoria otto mesi fa.
10 LUGLIO 2023 – Un meccanismo di monitoraggio appena rilasciato ha rivelato prove inquietanti che l’accordo sulla cessazione delle ostilità (CoHA) raggiunto otto mesi fa tra il governo federale etiope e il Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF) è viziato da lacune significative che incidono sulla protezione dei civili.
Il meccanismo di monitoraggio, che è la creazione di una coalizione di organizzazioni della società civile regionali e internazionali, ha pubblicato i suoi risultati in un rapporto intitolato Ethiopia Watch: Civil Society Monitor of the Cessation of Hostilities Agreement. Il rapporto raccoglie e analizza i dati provenienti da fonti pubbliche e private, creando una valutazione completa e indipendente dell’accordo di pace mediato dall’Unione africana.
Il rapporto del meccanismo descrive il CoHA come un risultato epocale che ha migliorato la situazione in Etiopia. Ma il rapporto trova, e dettaglia meticolosamente, lacune critiche che derivano sia dalla portata limitata dell’accordo sia dai fallimenti nella sua attuazione.
Il rapporto di 26 pagine viene pubblicato in vista del vertice dell’Unione africana, che si terrà a Nairobi dal 13 al 16 luglio.
“Il rapporto rivela che è pericoloso affermare che l’Etiopia è ora in pace”,
“Il rapporto rivela che è pericoloso affermare che l’Etiopia è ora in pace”, ha affermato Dismas Nkunda , direttore esecutivo di Atrocities Watch Africa, che è un membro della coalizione della società civile che ha istituito il meccanismo . Anche se c’è molto da festeggiare riguardo al processo di pace guidato dall’UA, resta ancora molto lavoro da fare. L’ accordo deve essere pienamente implementato e dotato di risorse. Dovrebbe essere esteso per includere altri attori chiave del conflitto in tutta l’Etiopia. E deve essere ampliato per includere la piena partecipazione dei giovani, delle donne e delle ragazze”.
Le fonti utilizzate per il rapporto, molte delle quali hanno condiviso le loro intuizioni sulla condizione di anonimato, hanno contestato la narrativa predominante secondo cui il conflitto nel Tigray è stato risolto.
Sebbene sia vero che i giorni peggiori della guerra sono passati, le fonti del rapporto indicano le significative lacune evidenziate nel rapporto come prova che la pace è provvisoria, incerta e fragile.
Il rapporto descrive in dettaglio come le truppe eritree rimangano presenti in alcune parti del Tigray, dove sono accusate di aver ucciso civili, aver commesso aggressioni sessuali e perpetrato sparizioni forzate. I gruppi regionali della società civile coinvolti nel meccanismo di monitoraggio invitano il governo federale dell’Etiopia a chiedere espressamente che le forze eritree sul territorio etiope se ne vadano.
Il rapporto descrive come il conflitto sia persistito e intensificato in Amhara e, in misura minore, in Afar, commesso (come nel caso degli attacchi delle truppe eritree) da non firmatari dell’accordo di pace. Il destino della terra politicamente contesa (nel Tigray occidentale e meridionale) non viene affrontato esplicitamente dall’accordo e tuttavia è chiaramente un motore della presunta pulizia etnica in corso nel Tigray occidentale, dell’instabilità e del conflitto nella vicina regione di Amhara.
“I limiti dell’accordo minacciano di vanificare i progressi compiuti finora e gli organi politici dell’Unione africana possono e devono rafforzare l’accordo al fine di garantire una pace sostenibile in Etiopia”, ha affermato Achieng Akena, direttore esecutivo dell’International Refugee Rights Initiative , anche un membro della coalizione della società civile che ha istituito il meccanismo.
Il rapporto rileva che l’articolo 4 del CoHA impegna le parti a condannare qualsiasi atto di violenza sessuale e di genere. Eppure c’è stata poca o nessuna condanna pubblica da parte delle parti della violenza sessuale da parte delle proprie truppe, né degli incidenti verificatisi dopo la firma del CoHA né degli incidenti durante il conflitto. Il rapporto descrive ulteriormente come le donne fossero assenti dalle delegazioni ufficiali delle parti ai colloqui di pace.
“Il livello e la brutalità della violenza di genere commessa da tutte le parti in conflitto rende imperativo che le donne e le ragazze svolgano un ruolo centrale nel processo di pace e in qualsiasi processo di giustizia di transizione”, ha dichiarato Annah Moyo-Kupeta, direttore esecutivo del Centro . per lo studio della violenza e della riconciliazione, anch’esso parte della coalizione della società civile.
Il rapporto rileva una sorprendente mancanza di trasparenza nel lavoro del meccanismo ufficiale di monitoraggio, verifica e conformità dell’UA (AU-MVCM)
Il rapporto rileva una sorprendente mancanza di trasparenza nel lavoro del meccanismo ufficiale di monitoraggio, verifica e conformità dell’UA (AU-MVCM). Il gruppo di monitoraggio dell’UA lavora con poche risorse e un mandato limitato, mostra il rapporto. Allo stesso tempo, i suoi sforzi per ottenere l’accesso alle aree detenute da forze che non fanno parte del CoHA meritano il riconoscimento e il sostegno politico dell’UA.
La coalizione chiede di intensificare la mediazione e il monitoraggio, anche nominando esperti civili in materia di diritti umani e di genere all’AU-MVCM.
“È importante utilizzare la memoria istituzionale e le risorse che il continente e l’Unione Africana hanno a disposizione e dispiegate in situazioni precedenti per risolvere problemi malvagi in passato”, ha affermato Shuvai Busuman Nyoni, direttore esecutivo della leadership Centro africana. “Lascia che l’Africa prenda seriamente in considerazione ciò che ha funzionato, ciò che può essere modificato e vada avanti con decisione e senza riserve”.
Il rapporto esplora la difficile situazione di centinaia di migliaia di sfollati interni (IDP) che hanno urgente bisogno di maggiore sostegno e sicurezza. Gli sfollati interni, che non hanno alcun diritto legale all’istruzione, alla salute, al benessere abitativo e al lavoro, vivono alla mercé degli individui e delle comunità che li aiutano.
La coalizione della società civile raccomanda che il governo federale introduca urgentemente un quadro politico per gli sfollati in tutta l’Etiopia e garantisca loro lo status legale come parte delle misure di riconciliazione nazionale a livello nazionale.
Il rapporto conferma le conclusioni di numerose notizie sulla sistematica dirottamento degli aiuti alimentari da parte delle autorità etiopi e tigrine.
“Il governo federale e il TPLF devono rispettare il loro impegno ai sensi del CoHA di non dirottare gli aiuti e l’assistenza alimentare e dovrebbero entrambi indagare con urgenza sulle segnalazioni persistenti di tale diversione e chiedere conto degli autori”, ha affermato Abdullahi Halakhe, che è l’ Avvocato anziano del Corno Orientale e dell’Africa meridionale con Refugees International.
I leader dell’Unione africana hanno la responsabilità speciale di insistere affinché le parti aderiscano al CoHA e garantire che l’accordo di pace serva da base per accordi futuri e migliori in tutta l’Etiopia, conclude il rapporto.
“Come accordo unico, il CoHA è un inizio positivo per la pace e la riconciliazione in Etiopia”, afferma il rapporto. “Nonostante i suoi successi nel mettere a tacere le armi nel Tigray, il CoHA rappresenta il pavimento, piuttosto che il soffitto, di ciò che può essere raggiunto per gli etiopi. La portata dei futuri accordi deve essere ampliata, se si vuole raggiungere una pace duratura in tutto il paese”.
Note ai redattori
Per intervistare i membri della coalizione della società civile che ha istituito il meccanismo di monitoraggio, si prega di contattare Peter Duffy: peter.duffy@crisisaction.org
FONTE: martinplaut.com/2023/07/10/a-c…
Pirates welcome new manufacturing rules
Today, the European Parliament will adopt its position on the Ecodesign regulation for the trilogue negotiations with the Council. MEPs drafted a law that will establish new manufacturing rules for e.g. tech and fashion companies, aiming to significantly reduce the environmental impact by setting circular design criteria on most consumer goods in the EU. Pirate Party Members of the European Parliament, active proponents of the ‘right to repair’ directive which pursues similar circular economy targets, welcome the mandate.
Patrick Breyer, Member of the European Parliament for the German Pirate Party, comments:“Consumers stand to benefit immensely from this legislation. We want to ban planned obsolescence particularly for digital consumer goods. Manufacturers must not be allowed to limit the lifetime of a product to maximise profits. According to our mandate, manufacturers will also need to make available software updates and cannot simply run away from their products. Consumers will have access to repair guidelines, not only mechanics. As consumers in the digital age, we should have a right to control, repair and modify the technology that shapes our lives – this is our conviction as Pirates.”
Marcel Kolaja, Member and Quaestor of the European Parliament for the Czech Pirate Party and Member of the Committee on the Internal Market and Consumer Protection, comments:
“Unfortunately, it’s not uncommon to throw away a product that still works and we would prefer continue using it. However, a repair of a minor flaw would be too expensive. We may have gotten used to it, but it’s a problem worth addressing. Both because of our wallets and because of the environmental impact. Ban on products that are faulty “by design” and compliance with ecodesign requirements such as affordable and accessible repair will save every European family between €650 and €1800 every year. And the benefits for our environment will be priceless. Another important aspect of the legislation is the ban on the disposal of functional but unsold products, such as electronic and textiles. This kind of wasteful behavior happens with the sole aim of not reducing market prices and it is unacceptable. Even more so at a time when we are hearing calls from the same producers for more sensible ways of consuming, as a way of their greenwashing techniques.”
GHAJAR. Vite sospese al confine tra Libano e Israele
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di Michele Giorgio –
(Articolo pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto)
Pagine Esteri, 12 luglio 2023. Una vita sospesa, senza sapere se Ghajar tornerà un giorno sotto il controllo di Damasco, come vorrebbero i suoi abitanti alawiti che si sentono siriani, se, almeno per metà, sarà parte in modo permanente del Libano o se invece, come sembra in questi giorni, resterà tutto sotto l’autorità di Israele. È questa la condizione di questo villaggio al confine tra il Libano e le alture siriane del Golan, attraversato dalla Linea Blu tracciata nel 2000 dall’Onu e abitato da duemila persone che Israele, alzando nei giorni scorsi una recinzione, ha voluto mettere sotto la sua sovranità (che l’Onu riconosce solo a metà). La vicenda è passata quasi inosservata perché i riflettori la settimana passata sono rimasti puntati sull’invasione israeliana del campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. Ed è emersa per lo scontro a fuoco lungo il confine – lancio di un razzo da parte di (pare) uomini di Hamas in Libano e reazione dell’artiglieria israeliana – avvenuto il 5 luglio. Una fiammata preceduta dalla mossa del movimento sciita Hezbollah di allestire due tende di osservazione nell’area delle colline di Kfar Shuba e delle fattorie di Shebaa occupate da Israele.
In sostanza gli israeliani hanno messo in discussione la demarcazione del confine terrestre fatta dall’Onu allo scopo di fare pressione su Hezbollah. Con i suoi avamposti «militari avanzati» nell’area delle fattorie di Shebaa, il movimento sciita libanese ha voluto riaffermare la sua resistenza armata e la legittimità del suo arsenale per la liberazione di quel fazzoletto di terra occupato da Israele rivendicato da Beirut sebbene sia considerato siriano dalla comunità internazionale. Il confine israelo-libanese da alcuni mesi vive una crescente tensione, in conseguenza della riconciliazione tra Iran e Arabia saudita, per decenni i principali giocatori sullo scacchiere politico interno libanese. La svolta ha complicato i piani di Tel Aviv di creare una coalizione araba a guida israeliana contro l’Iran. E ha dato agli alleati di Teheran nella regione, a cominciare da Hezbollah, maggior riconoscimento e legittimità di azione con riflessi immediati sul terreno. La leadership di Hezbollah intende unificare l’«asse della resistenza», dai Pasdaran (Guardie rivoluzionarie iraniane) alle fazioni armate palestinesi. Perciò, durante le recenti offensive militari israeliane in Cisgiordania e Gaza, si è detto pronta a sostenere la lotta armata palestinese. Ad aprile Hezbollah ha lanciato razzi verso il territorio israeliano e a giugno ha tenuto una esercitazione militare su vasta scala a Kfar Shuba. Quindi la scorsa settimana i combattenti sciiti hanno abbattuto un drone israeliano che aveva violato lo spazio aereo libanese.
Israele ha replicato inviando i suoi bulldozer oltre la recinzione tecnica e la Linea Blu a Houla e i suoi soldati hanno sparato proiettili di gomma e lanciato granate stordenti e lacrimogeni contro i civili libanesi che protestavano. Infine, è cominciata la battaglia della comunicazione. La stampa israeliana ha riferito che Hezbollah ha rimosso uno dei suoi avamposti militari a Kfar Shuba a seguito delle pressioni della comunità internazionale. L’Unifil, il contingente di interposizione dell’Onu sulla Linea Blu non è stato in grado di confermare. Il portavoce del movimento sciita ha negato: «Gli avamposti sono ancora dove dovrebbero essere e intendiamo persino aumentarne il numero in base alle esigenze della resistenza». Giovedì scorso Hezbollah ha esortato il governo e tutti i libanesi ad agire per impedire un insediamento israeliano permanente nella parte settentrionale di Ghajar. Gli abitanti del villaggio sono divisi. Quelli, nella zona nord, invocano la piena sovranità libanese e quelli, nella parte meridionale, che preferiscono restare almeno per ora con Israele, per ragioni di lavoro.
La disputa territoriale è iniziata nel 2000 quando Israele si è ritirato dal sud del Libano dopo 22 anni di occupazione, decidendo però di mantenere il controllo di una porzione del villaggio. Dopo 23 anni, la questione si è riaperta completamente e rischia di essere la scintilla di una nuova guerra tra Israele e Hezbollah. L’Unifil è presa tra due fuochi. Il suo mandato dovrà essere rinnovato dall’Onu ad agosto. Israele e Usa premono affinché i caschi blu svolgano un azione di contrasto di Hezbollah non prevista però dai compiti dei soldati delle Nazioni unite, in buona parte italiani.
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WaveMakers la serie che ha dato il via a un’ondata MeToo a Taiwan
WaveMakers, serie Netflix uscita nel 2023, racconta le vicissitudini dell'ufficio stampa di un partito politico taiwanese, impegnato nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali. Al centro della vicenda vi è la storia di una ragazza dell'ufficio stampa del partito, che accusa un collega di molestie sessuali. WaveMakers ha rafforzato il movimento #MeToo a Taiwan. Articolo realizzato in collaborazione con Gariwo - La Foresta dei Giusti
L'articolo WaveMakers la serie che ha dato il via a un’ondata MeToo a Taiwan proviene da China Files.
In Cina e Asia – Summit Nato: "Pechino minaccia l’ordine internazionale”
I titoli di oggi:
Summit Nato: "La Cina minaccia l'ordine internazionale"
Thailandia: il premier ed ex generale golpista Prayut annuncia di volersi ritirare dalla politica
Taiwan, pronta esercitazione di evacuazione su larga scala
Bulgari si scusa con Pechino per aver separato la Rpc da Taiwan sul proprio sito
Tik Tok, senatore Usa: il "lobbying aggressivo di Pechino sta rallentando la corsa al RestrictAct"
Allarme talenti, le aziende cinesi cercando di "riprendersi" i cittadini all'estero
Clima, piogge record causano morti e danni in tutta l'Asia
L'articolo In Cina e Asia – Summit Nato: “Pechino minaccia l’ordine internazionale” proviene da China Files.
“L’uomo e l’intelligenza artificiale tra scienza, etica e diritto”
Oggi a partire dalle ore 18,30 parteciperò con Gianluigi Ciacci e Paolo Galdieri all’incontro “L’uomo e l’intelligenza artificiale tra scienza, etica e diritto” organizzato dell’Associazione Culturale International Horizon, via degli Uffici del Vicario 43, Roma Qui il link completo alle informazioni internationalhorizon.it/2023/0…
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PRIVACYDAILY
#38 / Geopolitica dei dati e coincidenze
Stati Uniti e Unione Europea hanno fatto pace
La notizia della settimana è che la Commissione Europea ha adottato una decisione di adeguatezza per il nuovo accordo internazionale per il trasferimento di dati verso gli Stati Uniti: lo EU-US Data Privacy Framework, che ha sostituito il Privacy Shield.
Dice la Commissione che ora le aziende europee potranno esportare dati verso gli Stati Uniti, come facevano fino al 2020, senza doversi preoccupare di adottare particolari misure di sicurezza per la salvaguardia dei nostri interessi.
Sei già iscritto a Privacy Chronicles? No? Dai su…
Il motivo di questo rinnovato amore dopo anni di guerra fredda sui dati — di cui anche chatGPT fu vittima recente — è che gli Stati Uniti avrebbero previsto delle misure di salvaguardia per i diritti dei cittadini europei, inclusa la limitazione dell’accesso ai nostri dati da parte dell’intelligence statunitense.
Eh sì, perché nel 2020 abbiamo deciso che esportare dati verso gli Stati Uniti era illegale proprio a causa di una sentenza della Corte di Giustizia Europea che dopo una causa lunga quasi 10 anni decise che le attività di sorveglianza di massa dell’intelligence statunitense erano troppo pervasive e penetranti per poter anche solo sperare di proteggere i diritti e interessi dei cittadini europei.
Abbiamo passato gli ultimi 3 anni a fare terrorismo psicologico alle aziende, con tanto di sanzioni del Garante Privacy, ma si scherzava: col nuovo pezzo di carta magico firmato da Biden e dalla Von der Leyen ora siamo tutti di nuovo al sicuro e i nostri dati potranno liberamente transitare verso i nostri padr… ehm — alleati: gli Stati Uniti.
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BRITcoin sarà uno strumento di controllo dell’immigrazione?
Britcoin, il nome con cui è conosciuto amichevolmente il progetto inglese di CBDC (Central Bank Digital Currency) — da non confondersi con Bitcoin — potrebbe essere collegato a un sistema di age check e nationality check automatizzati1.
In altre parole, questa nuova versione della Sterlina potrebbe essere programmabile in modo tale da bloccare l’acquisto di prodotti vietati ai minori di 18 anni o magari applicare condizioni di utilizzo diverse in base alla nazionalità. Magari potrebbero essere previsti limiti temporali per l’uso della CBDC nazionale da parte dei turisti o di tutti coloro che per qualche motivo si trovano in UK senza avere la cittadinanza.
La programmabilità è una caratteristica funzionale di molti progetti di CBDC, e la Bank of Englad non ha mai fatto mistero della volontà di approfondire proprio questo aspetto. I soldi del futuro potrebbero diventare un’importante arma geopolitica, ancora più di adesso.
Facebook era un progetto del Pentagono?
Noi ci fidiamo degli Stati Uniti perché sono nostri grandi amiconi, ma non dimentichiamo che hanno da sempre avuto il pallino della sorveglianza di massa.
Parliamo ad esempio di un peculiare progetto finanziato nel 2003 dalla US Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), che aveva lo scopo di creare una piattaforma pubblica per la raccolta massiva di dati personali utili ad allenare algoritmi di intelligenza artificiale.
Il progetto si chiamava “LifeLog” e l’idea era molto semplice: creare uno strumento — una sorta di diario elettronico — che permettesse alle persone di registrare digitalmente la loro vita: spostamenti, conversazioni, letture, relazioni, acquisti e molto altro.
"LifeLog will be able … to infer the user’s routines, habits and relationships with other people, organizations, places, and objects," the pamphlet explained, "and to exploit these patterns to ease its task."2
Inspiegabilmente DARPA chiuse però i rubinetti al progetto LifeLog poco meno di un anno dopo la sua nascita, precisamente a febbraio 2004…
Per una assoluta coincidenza, proprio in quegli stessi giorni veniva fondato Facebook.
Stasera webinar su privacy, sicurezza e hard-wallet
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Meme del giorno
Citazione del giorno
“In the West, we have been withdrawing from our tradition-, religion- and even nation-centred cultures, partly to decrease the danger of group conflict. But we are increasingly falling prey to the desperation of meaninglessness, and that is no improvement at all.”
Jordan B. Peterson
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Open Letter: Commissioner Reynders asked to correct unacceptable accusations against NGOs
Lettera aperta: Il Commissario Reynders chiede di correggere le accuse inaccettabili contro le ONG Il commissario europeo Reynders ha ripetutamente attaccato le "organizzazioni non profit" come la noyb, sostenendo che esse portano i casi davanti alla CGUE come "modello di business".
A proposito di Zeri, ricordiamo il grande Federico
Federico Zeri (Roma, 12 agosto 1921 – Mentana, 5 ottobre 1998) è stato uno storico dell'arte e critico d'arte italiano.
Ricordiamo chi ha inventato lo Zero
मुक्त ज्ञानकोश विकिपीडिया से
शून्य
Estela C de Tres Zapotes.jpg
ईपीआई-ओल्मेक स्क्रिप्ट।
शून्य (०) एक अंक है जो संख्याओं के निरूपण के लिये प्रयुक्त आजकी सभी स्थानीय मान पद्धतियों का अपरिहार्य प्रतीक है। इसके अलावा यह एक संख्या भी है। दोनों रूपों में गणित में इसकी अत्यन्त महत्वपूर्ण भूमिका है। पूर्णांकों तथा वास्तविक संख्याओं के लिये यह योग का तत्समक अवयव है।
ग्वालियर दुर्ग में स्थित एक छोटे से मन्दिर की दीवार पर शून्य (०) उकेरा गया है जो शून्य के लेखन का दूसरा सबसे पुराना ज्ञात उदाहरण है। यह शून्य आज से लगभग १५०० वर्ष पहले उकेरा गया था।[1]
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In Cina e Asia – Al via il summit Asean di Jakarta
I titoli di oggi:
Al via il summit Asean di Jakarta
Il Sud-Est asiatico contro le bombe a grappolo Usa dirette in Ucraina
Isole Salomone, la partnership con la Cina è ora ufficiale
Via Yellen, Xi incontra la portavoce del Consiglio russo
A cena con Yellen, i netizen cinesi criticano le donne che hanno condiviso l'esperienza sui social
India e chip, Foxconn si ritira dalla joint venture con Vedanta
L'articolo In Cina e Asia – Al via il summit Asean di Jakarta proviene da China Files.
La Commissione europea assegna il terzo round ai trasferimenti di dati UE-USA alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea
Nuovo Trans-Atlantic Data Privacy Framework in gran parte una copia di "Privacy Shield". #noyb contesterà la decisione.
Il terzo tentativo della Commissione europea di ottenere un accordo stabile sui trasferimenti di dati UE-USA tornerà probabilmente alla Corte di giustizia (CGUE) nel giro di pochi mesi. Il presunto "nuovo" Trans-Atlantic Data Privacy Framework è in gran parte una copia del fallito "Privacy Shield". Nonostante gli sforzi di pubbliche relazioni della Commissione europea, ci sono pochi cambiamenti nella legge statunitense o nell'approccio adottato dall'UE. Il problema fondamentale con FISA 702 non è stato affrontato dagli Stati Uniti, in quanto gli Stati Uniti continuano a ritenere che solo le persone statunitensi siano degne di diritti costituzionali
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Perché in ufficio c'è stato un trillo in tutti i cellulari tranne il mio 😑
European Commission gives EU-US data transfers third round at CJEU
La Commissione europea concede il terzo round ai trasferimenti di dati tra UE e USA presso la CGUE La Commissione europea annuncia il terzo "Safe Harbor", senza modifiche sostanziali. noyb riporterà la terza decisione di adeguatezza alla CGUE.
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Come uccidere una rete decentralizzata (come il Fediverso)
di Ploum il 2023-06-23
In questo articolo molto interessante, Lionel Dricot ricostruisce la strategia dei #Gafam che sta dietro all'operazione Threads di Meta.
Un grosso grazie all'autore.
Buona lettura
L'anno è il 2023. L'intera Internet è sotto il controllo dell'impero GAFAM. Tutto? Beh, non del tutto. Perché alcuni piccoli villaggi stanno resistendo all'oppressione. E alcuni di questi villaggi hanno iniziato ad aggregarsi, formando il "Fediverso".
Con i dibattiti su Twitter e Reddit, il Fediverso ha iniziato a guadagnare fama e attenzione. La gente ha iniziato a usarlo davvero. L'impero ha cominciato ad accorgersene.
Capitalisti contro la concorrenza
Come ha detto Peter Thiel, uno dei principali investitori di Facebook: "La concorrenza è per i perdenti". Già, questi pseudo "il mercato ha sempre ragione" non vogliono un mercato quando ci sono dentro. Vogliono un monopolio. Fin dalla sua nascita, Facebook è stato molto attento a uccidere ogni concorrenza. Il modo più semplice per farlo è stato quello di acquistare le aziende che un giorno avrebbero potuto diventare dei concorrenti. Instagram e WhatsApp, per citarne alcune, sono state acquistate solo perché il loro prodotto attirava utenti e poteva gettare un'ombra su Facebook.
Ma il Fediverso non può essere comprato. Il Fediverso è un gruppo informale di server che discutono attraverso un protocollo (ActivityPub). Questi server possono anche eseguire software diversi (Mastodon è il più famoso, ma ci possono essere anche Pleroma, Pixelfed, Peertube, WriteFreely, Lemmy e molti altri).
Non si può comprare una rete decentralizzata!
Ma c'è un altro modo: renderla irrilevante. Questo è esattamente ciò che Google ha fatto con XMPP.
Come Google è entrato a far parte della federazione XMPP
Alla fine del XX secolo, i programmi di messaggeria istantanea (IM) erano di gran moda. Uno dei primi di grande successo fu ICQ, seguito rapidamente da MSN messenger. MSN Messenger era il Tiktok dell'epoca: un mondo in cui gli adolescenti potevano trascorrere ore e giorni senza adulti.
Poiché MSN faceva parte di Microsoft, Google ha voluto fargli concorrenza e nel 2005 ha presentato Google Talk, includendolo nell'interfaccia di Gmail. Ricordiamo che all'epoca non esistevano smartphone e pochissime applicazioni web. Le applicazioni dovevano essere installate sul computer e l'interfaccia web di Gmail era innovativa. MSN a un certo punto è stato persino fornito in bundle con Microsoft Windows ed era davvero difficile rimuoverlo. La creazione della chat di Google con l'interfaccia web di Gmail era un modo per essere ancora più vicini ai clienti rispetto a un software integrato nel sistema operativo.
Mentre Google e Microsoft lottavano per conquistare l'egemonia, gli appassionati di software libero cercavano di costruire una messaggistica istantanea decentralizzata. Come la posta elettronica, XMPP era un protocollo federato: più server potevano dialogare tra loro attraverso un protocollo e ogni utente si connetteva a un particolare server attraverso un client. Quell'utente poteva poi comunicare con qualsiasi utente su qualsiasi server utilizzando qualsiasi client. Questo è ancora il modo in cui ActivityPub e quindi il Fediverso funzionano.
Nel 2006, Google talk è diventato compatibile con XMPP. Google stava prendendo seriamente in considerazione XMPP. Nel 2008, mentre ero al lavoro, squillò il telefono. In linea, qualcuno mi disse: "Salve, siamo di Google e vogliamo assumerla". Ho fatto diverse telefonate e si è scoperto che mi avevano trovato attraverso la dev-list di XMPP.Stavano cercando degli amministratori di sistema per XMPP.
Quindi Google stava davvero adottando la federazione. Non era geniale? Significava che, improvvisamente, ogni singolo utente di Gmail diventava un utente XMPP. Questo non poteva che essere un bene per XMPP, giusto? Ero estasiato.
Come Google ha ucciso XMPP
Naturalmente, la realtà era un po' meno brillante. Innanzitutto, nonostante la collaborazione per lo sviluppo dello standard XMPP, Google stava realizzando una propria implementazione chiusa che nessuno poteva controllare. Si è scoperto che non sempre rispettavano il protocollo che stavano sviluppando. Non stavano implementando tutto. Questo ha costretto lo sviluppo di XMPP a rallentare, ad adattarsi. Nuove funzionalità interessanti non sono state implementate o non sono state utilizzate nei client XMPP perché non erano compatibili con Google Talk (gli avatar hanno impiegato moltissimo tempo per arrivare su XMPP). La federazione a volte si interrompeva: per ore o giorni non era possibile comunicare tra i server Google e i server XMPP regolari. La comunità XMPP fungeva da osservatrice e debugger dei server di Google, segnalando le irregolarità e i tempi di inattività (io l'ho fatto più volte, e questo è probabilmente il motivo dell'offerta di lavoro).
E poiché gli utenti di Google Talk erano molto più numerosi dei "veri utenti XMPP", c'era poco spazio per "non preoccuparsi degli utenti di Google Talk". I nuovi arrivati che scoprivano XMPP e non erano utenti di Google Talk avevano un'esperienza molto frustrante perché la maggior parte dei loro contatti erano utenti di Google Talk. Pensavano di poter comunicare facilmente con loro, ma in realtà si trattava di una versione degradata di ciò che avevano quando usavano Google Talk. Un tipico gruppo di utenti XMPP era composto principalmente da utenti di Google Talk e da alcuni geek.
Nel 2013, Google ha capito che la maggior parte delle interazioni XMPP avveniva comunque tra utenti di Google Talk. Non gli interessava rispettare un protocollo che non controllava al 100%. Quindi ha staccato la spina e ha annunciato che non sarebbe più stato federato. E ha iniziato una lunga ricerca per creare un servizio di messaggistica, a partire da Hangout (a cui sono seguiti Allo, Duo e poi ho perso il conto).
Come previsto, nessun utente di Google ha battuto ciglio. In effetti, nessuno di loro se n'è accorto. Nel peggiore dei casi, alcuni dei loro contatti sono diventati offline. Tutto qui. Ma per la federazione XMPP è stato come se la maggior parte degli utenti fosse improvvisamente scomparsa. Persino gli irriducibili fanatici di XMPP, come il vostro servitore, hanno dovuto creare account Google per mantenere i contatti con gli amici. Ricordate: per loro eravamo semplicemente offline. Era colpa nostra.
Sebbene XMPP esista ancora e sia una comunità molto attiva, non si è mai ripreso da questo colpo. Le aspettative troppo alte sull'adozione da parte di Google hanno portato a un'enorme delusione e a una silenziosa caduta nell'oblio. XMPP è diventato di nicchia. Così di nicchia che quando le chat di gruppo sono diventate di moda (Slack, Discord), la comunità del software libero le ha reinventate (Matrix) per competere mentre le chat di gruppo erano già possibili con XMPP. (Disclaimer: non ho mai studiato il protocollo Matrix, quindi non ho idea di come si comporti tecnicamente rispetto a XMPP. Credo semplicemente che risolva lo stesso problema e competa nello stesso spazio di XMPP).
XMPP sarebbe diverso oggi se Google non vi avesse mai aderito o non fosse mai stato considerato come parte di esso? Nessuno può dirlo. Ma sono convinto che sarebbe cresciuto più lentamente e, forse, in modo più sano. Che sarebbe più grande e più importante di oggi. Che sarebbe stata la piattaforma di comunicazione decentralizzata di default. Una cosa è certa: se Google non avesse aderito, XMPP non sarebbe peggiore di quello che è oggi.
Non è stata la prima volta: la strategia di Microsoft
Quello che Google ha fatto a XMPP non è una novità. Infatti, nel 1998, l'ingegnere Microsoft Vinod Vallopllil scrisse esplicitamente un testo intitolato "Blunting OSS attacks" in cui suggeriva di "differenziare (de-commoditize) i protocolli e le applicazioni [...]. Estendendo questi protocolli e sviluppandone di nuovi, possiamo impedire ai progetti OSS di entrare nel mercato".
Microsoft ha messo in pratica questa teoria con il rilascio di Windows 2000, che supportava il protocollo di sicurezza Kerberos. Ma il protocollo è stato esteso. Le specifiche di tali estensioni potevano essere scaricate liberamente, ma era necessario accettare una licenza che vietava di implementare tali estensioni. Non appena si cliccava su "OK", non si poteva lavorare su nessuna versione open source di Kerberos. L'obiettivo era esplicitamente quello di uccidere qualsiasi progetto di rete concorrente, come Samba.
Questo aneddoto è stato raccontato da Glyn Moody nel suo libro "Rebel Code" e dimostra che l'uccisione di progetti open source e decentralizzati è un obiettivo davvero consapevole. Non accade mai a caso e non è mai causato dalla sfortuna.
Microsoft ha utilizzato una tattica simile per assicurarsi il dominio nel mercato dell'office con Microsoft Office, utilizzando formati proprietari (un formato di file può essere visto come un protocollo per lo scambio di dati). Quando le alternative (OpenOffice e poi LibreOffice) sono diventate abbastanza brave ad aprire i formati doc/xls/ppt, Microsoft ha rilasciato un nuovo formato che ha definito "aperto e standardizzato". Il formato era, di proposito, molto complicato (20.000 pagine di specifiche!) e, soprattutto, sbagliato. Sì, sono stati introdotti alcuni bug nelle specifiche, il che significa che un software che implementa il formato OOXML completo si comporta in modo diverso da Microsoft Office.
Questi bug, insieme alle pressioni politiche, sono stati uno dei motivi che hanno spinto la città di Monaco a tornare indietro dalla migrazione verso Linux. Quindi sì, la strategia funziona bene. Oggi, docx, xlsx e pptx sono ancora la norma. Fonte: Ero presente, indirettamente pagato dalla città di Monaco per rfar sì che il rendering di LibreOffice OOXML fosse più simile a quello di Microsoft invece di seguire le specifiche.
AGGIORNAMENTO:
Questa tattica ha persino una pagina di Wikipedia
Meta e il Fediverso
Chi non conosce la storia è destinato a ripeterla. Il che è esattamente ciò che sta accadendo con Meta e il Fediverso.
Si dice che Meta diventerà "compatibile con Fediverso". Potrete seguire le persone su Instagram dal vostro account Mastodon.
Non so se queste voci abbiano un fondo di verità, se sia possibile che Meta prenda in considerazione l'idea. Ma una cosa mi ha insegnato la mia esperienza con XMPP e OOXML: se Meta si unisce al Fediverso, Meta sarà l'unico a vincere. In effetti, le reazioni mostrano che stanno già vincendo: il Fediverso è diviso tra il bloccare Meta o meno. Se ciò accadesse, significherebbe un mediverso a due livelli, frammentato e frustrante, con poca attrattiva per i nuovi arrivati.
AGGIORNAMENTO: Queste voci sono state confermate: almeno un amministratore di Mastodon, kev, di fosstodon.org, è stato contattato per partecipare a un incontro ufficioso con Meta. Ha avuto la migliore reazione possibile: ha rifiutato gentilmente e, soprattutto, ha pubblicato l'e-mail per essere trasparente con i suoi utenti. Grazie kev!
• Mail di Meta a Kev, da Fosstodon, e risposta
So che tutti sogniamo di avere tutti i nostri amici e familiari sul Fediverso, in modo da evitare completamente le reti proprietarie. Ma il Fediverso non cerca il dominio del mercato o il profitto. Il Fediverso non cerca la crescita. Offre un luogo di libertà. Le persone che si uniscono al Fediverso sono quelle che cercano la libertà. Se le persone non sono pronte o non cercano la libertà, va bene. Hanno il diritto di rimanere su piattaforme proprietarie. Non dovremmo costringerle a entrare nel Fediverso. Non dovremmo cercare di includere il maggior numero di persone a tutti i costi. Dovremmo essere onesti e fare in modo che le persone si uniscano al Fediverso perché condividono alcuni dei valori che lo animano.
Competendo contro Meta nella cervellotica ideologia della crescita a tutti i costi, siamo certi di perdere. Loro sono i maestri di questo gioco. Stanno cercando di portare tutti nel loro campo, per far sì che le persone competano contro di loro usando le armi che vendono.
Il Fediverso può vincere solo mantenendo la sua posizione, parlando di libertà, morale, etica, valori. Avviando discussioni aperte, non commerciali e non campate in aria. Riconoscendo che l'obiettivo non è vincere. Non è aderire. L'obiettivo è rimanere uno strumento. Uno strumento dedicato a offrire un luogo di libertà agli esseri umani connessi. Qualcosa che nessuna entità commerciale potrà mai offrire.
Testo originale: https://ploum.net/2023-06-23-how-to-kill-decentralised-networks.html
Distribuito con licenza Creative Commons BY-SA
Traduzione italiana: framapiaf.org/@nilocram
• Illustrazione di David Revoy
• Traduction en Français par Nicolas Vivant
• Traducción Española de Matii
• Deutsche Übersetzung von Janet und anderen
#Fediverso #Fediverse #Gafam #XMPP #Mastodon #SoftwareLibero
@Informa Pirata @Scuola - Gruppo Forum @Devol :fediverso: @maupao
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Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ likes this.
Ma in definitiva io sono per semplificare e secondo me i progetti minori dovrebbero approffittare dell'enorme popolarità di mastodon.
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Feddit: come può un utente #Mastodon seguire una comunità #Lemmy? Quali sono le comunità italiane nate dopo l'esplosione della redditmigration? Quali sono quelle nate prima? Si può aprire un nuovo thread da Mastodon?
Tutte le risposte nel post linkato (qui leggibile su feddit)
Ministero dell'Istruzione
#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta la Scuola primaria “Padre Pio da Pietrelcina” di Valmontone, a pochi chilometri dalla Capitale.Telegram
Godflesh - Purge
@Musica Agorà iyezine.com/godflesh-purge
Conoscere ADHD
Conoscere ADHD è importante, in particolare per gli insegnanti, e la sanità pubblica deve essere dalla parte delle famiglie rilasciando le certificazioni in tempi brevi
Aiuta Alberto Vallortigara a far crescere questa petizione! 🚀
Certi bambini non dovrebbero neanche nascereChange.org
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