La lobby di chatcontrol: “Confermate le peggiori paure”. Un'intera rete di lobby si batte a Bruxelles per far approvare il regolamento che renderà obbligatoria la scansione di tutti i messaggi
L'indagine "conferma le nostre peggiori paure", ha affermato Diego Naranjo, capo della politica dell'organizzazione per i diritti civili European Digital Rights ( @EDRi ). "La legge europea sulla tecnologia più criticata negli ultimi dieci anni è il prodotto del lobbying delle imprese private e delle forze dell'ordine." Il commissario capo degli Interni Ylva Johansson ha ignorato “la scienza e la società civile” e ha proposto una legge per “legalizzare la sorveglianza di massa e infrangere la crittografia”.
"Qui si abusa della protezione dei bambini per aprire la porta a un'infrastruttura di sorveglianza di massa senza motivo", lamenta @Konstantin Macher dell'associazione per la protezione dei dati @Digitalcourage .
Allo stesso tempo, si parla già di espandere la misura invasiva per l’applicazione della legge comune da parte di Europol. Macher sottolinea: "Ciò significa che la credibilità residua della prevista legge sulla sorveglianza è andata perduta. Il controllo della chat deve essere immediatamente interrotto". Il deputato europeo Patrick Breyer (Partito Pirata) è rimasto scioccato: poiché era il negoziatore del Partito dei Verdi, molte delle presunte organizzazioni di protezione dell'infanzia o associazioni di vittime menzionate si erano rivolte a lui. Finora si è aspettato che i metodi descritti di “legislazione dirottata” si applicassero solo ai gruppi imprenditoriali.@Patrick Breyer ha affermato di non avere idea che la campagna di controllo delle chat fosse orchestrata e finanziata da "una rete di organizzazioni legate all'industria tecnologica e ai servizi di sicurezza". Questi partecipanti ricevono “milioni in denaro da una fondazione gestita dagli Stati Uniti”, che paga anche agenzie di consulenza per creare strategie di lobbying. Per creare un precedente, gli attori statunitensi in Europa avrebbero voluto imporre "uno screening privo di sospetti dei nostri messaggi privati", cosa che non è la legge negli stessi Stati Uniti. Meredith Whittaker, responsabile del servizio di messaggistica Signal, si è lamentata, che dietro “l’attacco globale alla privacy digitale” c’erano pubblici ministeri e società di intelligenza artificiale. Questi ultimi affermano di essere rappresentanti della società civile, anche se hanno "un interesse commerciale nella vendita di tecnologie di scansione di massa fraudolente".
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In Cina e Asia – Sempre più cinesi rimandano i propri viaggi all’estero
La rassegna stampa di oggi, da Cina e Asia. Sempre più cinesi rimandano i propri viaggi all'estero.
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VIDEO. Più di 100 morti e 150 feriti in un incendio in Iraq
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della redazione
Pagine Esteri, 27 settembre 2023 – Oltre 100 persone sono rimaste uccise e 150 ferite in un incendio divampato durante un matrimonio nel distretto di Hamdaniya, nella provincia settentrionale irachena di Ninive. In queste ore i soccorritori continuano a cercare possibili sopravvissuti nello scheletro carbonizzato dell’edificio.
Il vicegovernatore di Ninive Hassan al-Allaq ha detto che al momento 113 persone sono state confermate morte, con i media statali che riferiscono anche di 150 feriti.
Testimoni hanno detto che l’edificio ha preso fuoco intorno ieri intorno alle 22:45 ora locale e che centinaia di persone erano presenti al momento dell’incidente. L’incendio ha devastato una grande sala dopo che erano stati accesi i fuochi d’artificio al suo interno.
Il ministero dell’Interno iracheno ho emesso quattro mandati di arresto per i proprietari della sala. I rilievi preliminari indicano che l’edificio era stato realizzato con materiali da costruzione altamente infiammabili, cosa che ha contribuito al suo rapido crollo.
Il governo ha proclamato tre giorni di lutto nazionale.
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Sinosfere – Il Dharma della Diaspora. Connessioni buddhiste attraverso il Mar Cinese Meridionale
Il saggio di Jack Meng-Tat Chia (Singapore National University) intitolato “Il Dharma della Diaspora: connessioni buddhiste attraverso il Mar Cinese Meridionale”, esamina l’evoluzione della rete di rapporti buddhisti tra la Cina sud-orientale e il sud-est asiatico nella prima metà del ventesimo secolo, focalizzandosi sul monastero di Nanputuo 南普陀. Chia mette in luce il ruolo chiave dei cinesi d’oltremare nel sostenere finanziariamente il buddhismo in Cina, illustrando al contempo la conseguente diffusione in Malesia e a Singapore di pratiche tipiche del buddhismo modernista, come la fondazione di organizzazioni laiche, la promozione di opere di beneficenza e filantropiche, l’impegno sociale dei monaci e lo sviluppo di attività nazionalistiche, aspetti che caratterizzano ancora oggi il buddhismo cinese dell’area.
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Il Niger espelle le truppe francesi e si allea con Mali e Burkina Faso
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di Marco Santopadre
Pagine Esteri, 27 settembre 2023 – Dopo mesi di braccio di ferro seguiti al golpe militare del 26 luglio scorso, Emmanuel Macron ha ammesso che la «Françafrique è morta» annunciato il celere rimpatrio dell’ambasciatore di Parigi in Niger, Sylvain Itté, e il ritiro delle truppe francesi dal paese entro la fine del 2023.
La mossa arriva dopo che per diverse settimane l’Eliseo aveva rifiutato di richiamare il suo rappresentante diplomatico a Niamey nonostante l’esplicita richiesta da parte dei golpisti e il boicottaggio dell’ambasciata, presa di mira dai manifestanti e oggetto del distacco delle utenze da parte delle nuove autorità del paese. Da quasi un mese la sede diplomatica francese è circondata dalle forze di sicurezza nigerine e l’ambasciatore, al quale Niamey ha ritirato l’immunità, non è in grado di muoversi liberamente.
«Mettiamo fine alla nostra cooperazione militare con le autorità de facto del Niger, perché non vogliono più lottare contro il terrorismo» ha spiegato Macron annunciando il ritiro dei 1.500 soldati francesi dispiegati finora nel paese.
La «Françafrique è morta»
Finora il Niger ha rappresentato il perno della presenza militare francese nel Sahel, dopo la partenza forzata delle truppe di Parigi dal Mali nell’agosto del 2022 a seguito di un colpo di stato, che ha posto fine all’operazione Barkhane (a sua volta succeduta all’operazione Serval lanciata nel 2013). All’inizio di quest’anno, poi, anche la Saber Force – forze speciali francesi operative a Ouagadougou da 15 anni – ha dovuto abbandonare il Burkina Faso dopo la presa del potere da parte di una giunta militare ostile alla Francia.
Dopo dieci anni di operazioni militari nel Sahel, giustificate dall’esigenza di contrastare l’insorgenza jihadista, nel Sahel Parigi manterrà una presenza militare soltanto in Ciad, dove si trovano circa 1.000 soldati (qui il figlio di Idriss Déby ha preso il potere al posto del padre violando la Costituzione col consenso di Parigi…). Nel resto dell’Africa Parigi manterrà anche 900 militari in Costa d’Avorio, 1400 a Gibuti, 350 in Senegal e 400 in Gabon, ma il ritiro dal Niger conferma il rapido e conclamato declino dell’influenza francese in un’area del continente dove si stanno affermando delle potenze concorrenti. Dopo il golpe, in particolare il Mali ha avviato una collaborazione militare con Mosca e ha accolto un contingente della Wagner, presente anche nella Repubblica Centrafricana e in Cirenaica (Libia).
Ovviamente l’annuncio di Macron è stato accolto con entusiasmo dai golpisti di Niamey: «celebriamo il nuovo passo verso la sovranità del Niger. È un momento storico che testimonia la determinazione e la volontà del popolo nigerino» ha affermato la giunta militare in un comunicato. Per il cosiddetto “Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria” «tutte le persone, le istituzioni o le strutture che costituiscono una minaccia per gli interessi e i progetti del Paese devono abbandonare» il Niger, «le forze imperialiste e neocolonialiste non sono più le benvenute».
Il ritiro dell’ambasciatore e del contingente militare francese da Niamey rappresentano una cocente sconfitta per Macron, che finora aveva tenuto il punto affermando di non riconoscere la legittimità delle autorità nigerine salite al potere con il golpe di fine luglio, insistendo sul fatto che il deposto presidente Mohamed Bazoum fosse il suo unico interlocutore.
Il contingente francese è dispiegato in tre basi: la principale è quella di Niamey – dove sono presenti anche 250 militari italiani – e altre truppe di Parigi sono presenti a Ouallam (a nord della capitale) e ad Ayorou,vicino alla frontiera con il Mali. Nelle basi sono dispiegati anche numerosi aerei da combattimento Mirage ed elicotteri d’attacco Tiger, oltre a decine di veicoli corazzati e di droni da bombardamento MQ-9 Reaper.
Le giunte golpiste contro l’Ecowas
All’inizio di agosto il governo di transizione nigerino, guidato dal generale Abdourahamane Tchiani, aveva denunciato gli accordi di cooperazione militare con Parigi definendo “illegale” la presenza in Niger dei circa 1.500 soldati francesi. Da allora fuori dalla principale base francese a Niamey si sono svolte partecipate manifestazioni a sostegno della richiesta di ritiro delle truppe di Parigi che in un primo tempo aveva ridotto il contingente aumentando però il numero delle sue truppe in altri paesi africani come Senegal, Costa d’Avorio e Benin.
Una mossa denunciata dal nuovo regime del Niger, secondo il quale Parigi si preparava ad un intervento militare contro Niamey, d’altronde paventato nei giorni immediatamente successivi al golpe ma poi sfumato a favore di una operazione militare per “ristabilire l’ordine costituzionale” da affidare ai paesi riuniti nell’ECOWAS, la Comunità Economica dell’Africa Occidentale. Ma poi anche questa seconda opzione è sfumata, dopo che Washington si è tirata indietro valutando positivamente l’indebolimento del ruolo francese nel continente. Dopo le rassicurazioni ricevute dai golpisti – in particolare dall’ex capo delle Forze Speciali, generale Moussa Salaou Barmou, ora esponente del nuovo regime, formatosi negli Stati Uniti e incaricato delle relazioni con la vice segretaria di Stato Victoria Nuland – Washington ha infatti deciso di mantenere per ora nel paese i suoi 1100 militari, la maggior parte dei quali sono stati però spostati da Niamey ad Agadez.
La giunta militare del Niger ha poi deciso nei giorni scorsi di disdire l’accordo di cooperazione militare esistente con il Benin, accusato da Niamey di aver concesso la propria disponibilità a partecipare ad un intervento armato contro i golpisti per conto di Parigi. Nel frattempo la Nigeria ha tagliato a Niamey le forniture elettriche mentre altri paesi hanno deciso di imporre sanzioni economiche e commerciali.
Niger, Mali e Burkina siglano un’alleanza militare
Per tentare di far fronte alla situazione, le giunte militari di Mali, Niger e Burkina Faso hanno quindi siglato un accordo di mutua difesa per «preservare la sovranità dei tre paesi» e per contrastare l’insorgenza jihadista.
I leader militari dei tre paesi – il colonnello Assimi Goita per Bamako, il generale Omar Tchiani per Niamey e il capitano Ibrahim Traoré per Ouagadougou – hanno firmato un documento articolato in 17 punti secondo il quale «qualsiasi attacco alla sovranità e all’integrità territoriale di una o più parti contraenti sarà considerato un’aggressione contro le altre parti».
Al documento è stato dato il nome di Carta del Liptako-Gourma, la regione in cui si incontrano i confini dei tre Paesi firmatari, nota anche come “zona delle tre frontiere”, al centro negli ultimi anni della violenza dei gruppi fondamentalisti islamici. La cosiddetta “Alleanza degli Stati del Sahel” (Aes) struttura in modo formale il sostegno offerto a Niamey da Mali e Burkina Faso in caso di attacco da parte della Comunità dei Paesi dell’Africa occidentale.
Oltre a impegnare i tre paesi a non attaccarsi a vicenda e a contrastare eventuali ribellioni armate contro i rispettivi governi, il documento prevede anche l’eventuale adesione di altri paesi dell’area. L’obiettivo dell’Alleanza, ha spiegato il “presidente di transizione” maliano Goita, è «istituire una architettura di difesa collettiva e di assistenza reciproca a beneficio delle nostre popolazioni». Il tentativo è quello di unire le forze per far fronte all’espansione delle milizie legate ad al Qaeda o a Daesh una volta espulse le truppe francesi e di altri paesi occidentali.
La firma dell’Alleanza dei Paesi del Sahel
Sforzi comuni contro le ribellioni e i jihadisti
Proprio in questi giorni gli eserciti del Burkina Faso e del Niger stanno compiendo delle operazioni congiunte contro i gruppi jihadisti nell’est del Burkina Faso. L’operazione, in cui sarebbero morti decine di fondamentalisti, è avvenuta una settimana dopo che il parlamento di Ouagadougou ha approvato lo spiegamento di un certo numero di truppe in Niger per combattere la rivolta jihadista lungo il confine tra i due paesi. Nei giorni precedenti l’aviazione del Niger ha realizzato dei raid aerei sulla città di Tamalat, situata nel Mali sud-orientale, contro alcuni miliziani dello Stato Islamico del Grande Sahara (Eigs), organizzazione radicata nell’area di confine.
Effettivamente il paese della nuova alleanza che per ora sembra essere messo peggio è sicuramente il Mali, dove negli ultimi mesi è riesplosa anche la ribellione dei combattenti Tuareg riuniti nella Coalizione dei Movimenti dell’Azawad (Cma). I Tuareg, che nel 2012 avevano proclamato l’indipendenza del nord del paese, accusano ora la giunta golpista di aver violato l’accordo di pace siglato nel 2015 ad Algeri con l’allora governo civile di Bamako e di aver attaccato i territori dove sono insediati i ribelli.
Dal Mali si stanno ritirando in queste settimane, su richiesta della giunta militare al potere, le forze della Missione di Mantenimento della pace delle Nazioni Unite (Minusma), che comprendono anche 900 militari tedeschi, il che rende ancora più gravoso il compito delle forze armate locali. Negli ultimi mesi, infatti, le milizie jihadiste hanno riconquistato in Mali territori consistenti in particolare nel nord: da agosto la città di Timbuktù è assediata dalle milizie del Gruppo di Sostegno dell’Islam e dei Musulmani (JNIM), e i suoi abitanti non possono né abbandonare l’area né ricevere rifornimenti.
Per cercare di frenare questa avanzata, la giunta del Mali sta rafforzando le relazioni con Mosca. Dopo aver ricevuto dalla Russia numerosi caccia, aerei per trasporto truppe ed elicotteri da combattimento, ad agosto i leader di Bamako hanno avuto ben due colloqui con Vladimir Putin. Dopodiché la giunta golpista del Mali ha annunciato il rinvio – per “motivi tecnici” – delle elezioni presidenziali previste per febbraio, che avrebbero dovuto segnare la consegna del potere ai civili. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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L’Azerbaigian piega gli armeni, abbandonati da Russia e Nato
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di Marco Santopadre
Pagine Esteri, 22 settembre 2023 – L’ennesimo assalto militare azero alla Repubblica di Artsakh è durato solo poche ore, tra il 19 e il 20 settembre, ma è bastato per costringere gli armeni alla resa.
Isolati e indeboliti da dieci mesi di assedio, durante i quali i nazionalisti azeri travestiti da “ecologisti” hanno bloccato il corridoio di Lachin (l’unico accesso dalla madrepatria all’enclave armena) impedendo il passaggio di cibo e medicinali, gli armeni del Nagorno-Karabakh non sono riusciti a tenere testa alle truppe di Baku armate da Turchiae Israele.
Pur di evitare un bagno di sangue, le autorità di Stepanakert – la capitale della piccola repubblica autoproclamata dagli armeni all’inizio degli anni ’90 all’interno del territorio dello stato azerbaigiano – hanno dovuto capitolare.
Ieri mattina, mentre le delegazioni dell’Artsakh e dell’Azerbaigian si incontravano a Yevlakh per definire i dettagli della resa e dello smantellamento della piccola repubblica armena, a Stepanakert numerosi testimoni hanno denunciato sparatorie e l’avanzata delle truppe azere, in violazione del cessate il fuoco varato il 20 settembre con la mediazione russa.
Inizialmente sembrava che il bilancio dell’ultimo attacco azero al Nagorno-Karabakh avesse provocato poche vittime, ma nelle ultime ore il bilancio è stato elevato a circa 200 morti e 400 feriti, per lo più appartenenti alle forze di autodifesa della Repubblica di Artsakh. Purtroppo il conteggio include anche alcune decine di civili.
Anche una pattuglia di soldati russi, appartenenti alla forza dispiegata da Mosca nel 2020 per monitorare il rispetto del cessate il fuoco raggiunto al termine del conflitto di 44 giorni durante il quale Baku ha ripreso la maggior parte dei territori persi agli inizi degli anni ’90, è caduta in un’imboscata dell’esercito azero nella zona di Dzhanyatag. Sotto il fuoco dei militari di Baku sarebbero morti ben 6 soldati di Mosca, tra cui il vicecomandante del contingente russo Ivan Kovgan. Il dittatore azero Aliyev si è ufficialmente scusato con il Cremlino ed ha sospeso il comandante delle truppe inviate in Nagorno-Karabakh in attesa dell’esito di un’inchiesta sull’accaduto.
Lo spettro della pulizia etnica
Le truppe russe hanno affermato di aver evacuato già migliaia di abitanti armeni della regione, e altre migliaia starebbero cercando di abbandonare l’enclave assediata per sottrarsi alle rappresaglie azere. Il difensore civico del Nagorno-Karabakh, Ghegham Stepanian, denuncia una “catastrofe”.
Secondo i termini dell’accordo imposto con le armi da Baku in quella che il regime di Aliyev ha ribattezzato “operazione antiterrorismo”, le forze di autodifesa dell’enclave armena devono consegnare le armi e cedere il controllo del territorio alle truppe azere. Di fatto la prospettiva è quella dello scioglimento dell’entità statuale autoproclamata ormai trent’anni fa dagli armeni dell’Azerbaigian. Si profila un esodo forzato verso l’Armenia dei circa 120 mila abitanti dell’enclave e l’azzeramento della millenaria presenza armena in territori che l’Unione Sovietica aveva deciso di trasformare in una Repubblica Autonoma annessa all’Azerbaigian e che poi, con lo sfaldamento dello stato socialista e in seguito a una sanguinosa guerra con Baku e la conseguente cacciata degli abitanti azeri, si era proclamata indipendente.
Il regime di Ilham Aliyev da una parte esulta per la sconfitta dei “terroristi” e il recupero della sovranità nazionale su tutto il territorio statale, dall’altra assicura che i diritti politici, civili, religiosi e culturali degli armeni saranno garantiti nel rispetto della Costituzione dell’Azerbaigian. Ma, ha avvisato il dittatore (al potere dal 2003 e preceduto da dieci anni di potere assoluto del padre), chi non accetterà di integrarsi dovrà andarsene, come hanno già fatto migliaia di armeni scappati o cacciati dai territori della Repubblica di Artsakh riconquistati da Baku nel 2020 e ripuliti etnicamente.
L’Armenia sempre più sola
La Repubblica Armena è di nuovo sotto shock per l’ennesima e storica disfatta e la consapevolezza di un isolamento quasi assoluto a livello internazionale che mette a rischio la sua stessa sopravvivenza. Il regime azero infatti ha già aggredito lo scorso anno il territorio dello stato armeno e rivendica apertamente il carattere azero di buona parte del suo territorio. Il casus belli è rappresentato dalla contesa per il raggiungimento della continuità territoriale tra l’Azerbaigian e una sua exclave – la Repubblica di Nakhchivan – separata dalla madrepatria da una larga striscia di territorio armeno. Per ottenere il collegamento con l’exclave Baku potrebbe pensare di impossessarsi di una porzione di Armenia approfittando della evidente debolezza di Erevan abbandonata dagli storici alleati e soverchiata dalla potenza militare ed economica di Baku.
Mentre l’Armenia ha davvero poco da offrire, negli ultimi anni l’Azerbaigian è diventato una potenza energetica emergente, sostenuta dalla Turchia e finanziata da una lunga lista di paesi che acquistano i suoi idrocarburi e che, pur solidarizzando con Erevan e criticando gli eccessi di Aliyev, si guardano bene dall’imporre sanzioni al regime di Baku.
Il governo dell’Armenia ha fatto di tutto pur di rimanere fuori dall’ennesimo scontro militare tra i cugini dell’Artsakh e gli azeri, temendo un’espansione dei combattimenti nel suo territorio. D’altronde ormai il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha riconosciuto l’appartenenza all’Azerbaigian del Nagorno-Karabakh, cedendo alle rivendicazioni di Baku.
Pashinyan ci ha tenuto, con varie dichiarazioni, a segnare le distanze con l’amministrazione dell’Artsakh e l’estraneità ai combattimenti – Erevan ha ritirato le sue ultime unità militari dall’enclave armena nel 2021 – accusando anzi “attori interni ed esterni” di voler coinvolgere il paese in un disastro.
«Se le forze di pace russe hanno avanzato la proposta di porre fine alle ostilità e di sciogliere l’esercito dell’Artsakh, significa che si sono completamente assunte l’obbligo di garantire la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh» ha affermato il primo ministro armeno. Secondo Pashinyan le forze di pace russe dovrebbero garantire condizioni adeguate affinché «gli armeni del Nagorno-Karabakh possano godere del pieno diritto di vivere nelle loro case e sul loro suolo».
Il tradimento russo
Tra Erevan e Mosca le relazioni non sono mai state così deteriorate, e in Armenia monta la rabbia per l’inerzia delle truppe russe di fronte all’ennesima aggressione militare azera preceduta dal micidiale assedio durato dieci mesi.
La Russia, impantanata in Ucraina, certo non desidera essere coinvolta in un conflitto nel Caucaso nonostante il patto militare con l’Armenia (sul cui territorio possiede una base militare) e l’impegno, assunto nel 2020 con il dispiegamento di 2000 peacekeepers nei territori contesi, a garantire il rispetto del cessate il fuoco.
Oltretutto Mosca ha sviluppato negli ultimi anni ottime relazioni economiche e anche militari con il regime di Ilham Aliyev, al quale Gazprom fornisce ogni anno 1 miliardo di tonnellate di gas che poi Baku rivende a caro prezzo ai paesi occidentali, gli stessi che dopo l’aggressione militare russa all’Ucraina hanno disdetto i contratti con la Russia e cercato fonti alternative di idrocarburi.
«L’Azerbaigian agisce sul proprio territorio, che l’Armenia ha riconosciuto quindi si tratta di un affare interno dell’Azerbaigian» ha detto il portavoce del Cremlino, Dimitrij Peskov, imitato da Vladimir Putin.
Il “voltafaccia” di Pashinyan
Dimitrij Medvedev, presidente del Consiglio di Sicurezza russo, sui social ha invece fatto intendere che l’Armenia merita il destino che la attende, colpevole di aver flirtato con la Nato.
Che il leader armeno abbia cercato a occidente il sostegno non più proveniente da Mosca è innegabile, d’altronde Pashinyan è diventato premier per la prima volta nel 2018 in seguito a dei moti di piazza filostatunitensi e filoeuropei. Ma la versione russa che punta il dito esclusivamente sulle responsabilità del premier armeno sorvolando su quelle del regime di Putin è quanto mai di parte.
Quando nel 2020 l’Azerbaigian ha aggredito l’Artsakh e le truppe armene, forte dei droni da bombardamento turchi Bayraktar e delle truppe addestrate da ufficiali di Ankara, l’intervento di Mosca impedì una disfatta totale, obbligando però Erevan ad affidarsi completamente alla Russia per non soccombere. Ma il tempo ha dimostrato che la Federazione Russa non aveva alcun interesse a difendere realmente l’Armenia e men che meno l’Artsakh, e non ha mosso un dito per bloccare le ulteriori aggressioni azere. Mosca non è intervenuta a sostegno di Erevan neanche quando, nel settembre 2022, Baku ha attaccato direttamente la Repubblica Armena e questa ha chiesto l’intervento dell’Organizzazione del trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO), un’alleanza militare regionale guidata dalla Russia che oltretutto con Erevan ha un accordo militare di difesa mutua.
Negli ultimi mesi, mentre l’inerzia russa convinceva Baku che era venuto il momento di tentare la spallata finale, Pashinyan e i suoi ministri hanno iniziato a cercare un’alternativa all’inefficace scudo russo, irritando però ancora di più Putin senza al tempo stesso garantirsi una difesa efficace da parte dei nuovi alleati, cioè gli Stati Uniti e la Francia, ma anche l’India e l’Iran.
Quando l’11 settembre una manciata di militari armeni ha iniziato ad addestrarsi insieme a un numero equivalente di soldati statunitensi, il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov ha dichiarato che le esercitazioni (le “Eagles Partner 2023“) congiunte con un paese della Nato violavano lo “spirito” del partenariato militare con Mosca. Pochi giorni prima, Erevan ha ritirato il proprio rappresentante presso il CSTO accusando il blocco militare di complicità oggettiva con l’Azerbaigian, mentre la moglie di Pashinyan visitava Kiev, l’Armenia inviava aiuti umanitari simbolici all’Ucraina e avviava l’iter di adesione alla Corte Penale Internazionale. Per tutta risposta la Russia ha convocato l’ambasciatore armeno per illustrare le proprie rimostranze.
Nel frattempo l’Azerbaigian ha ammassato per settimane le proprie truppe a ridosso dell’Artsakh, facendo poi scattare i bombardamenti e le incursioni. Putin ha lasciato fare. Forse a Mosca sperano che l’isolamento di Pashinyan e i suoi errori gli costino la carica di primo ministro, magari a vantaggio di un personaggio più vicino ai propri interessi. Ma nel paese il risentimento nei confronti della Russia non ha mai raggiunto livelli così alti e comunque Mosca ha lasciato deteriorare la situazione a tal punto, con la situazione in Nagorno-Karabakh ormai irrimediabilmente compromessa, da avere ormai davvero poco da offrire agli armeni.
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Manifestazioni e scontri a Erevan
Mentre in Azerbaigian la folla nazionalista esulta sventolando bandiere turche e russe, nella capitale armena si susseguono le manifestazioni e gli scontri, con relativi feriti e arresti. Da martedì decine di migliaia di persone, aderenti a movimenti nazionalisti o a partiti di opposizione, al grido di “vergogna” e “assassini” assediano la sede del parlamento e del governo armeni, oltre che la sede diplomatica di Mosca, chiedendo le dimissioni di Nikol Pashinyan e un intervento deciso a favore degli armeni dell’Artsakh.
Per impedire l’ingresso dei dimostranti nelle sedi istituzionali, la polizia in assetto antisommossa ha operato numerosi arresti e ha fatto uso di granate stordenti. Alcuni manifestanti impugnano le bandiere degli Stati Uniti o dell’Unione Europea, della Georgia e della Francia, riponendo false speranze in paesi che, dichiarazioni a parte, non hanno mosso un dito per bloccare l’ennesima offensiva azera.
L’UE protesta con Baku ma pensa al gas
Non sono mancate le dichiarazioni di condanna nei confronti delle mosse di Baku da parte del responsabile della politica estera dell’UE, Josep Borrell, o del Dipartimento di Stato di Washington, o da parte del governo francese. Ma nessuna misura concreta è stata fin qui varata da nessun governo occidentale per convincere il regime di Aliyev a rinunciare all’aggressione militare o alle prevedibili operazioni di pulizia etnica in Nagorno-Karabakh, suscitando la delusione del ministro degli Esteri armeno, mentre l’ambasciatore Edmon Marukyan ha accusato esplicitamente UE e Stati Uniti di essere responsabili della tragedia in corso nell’enclave armena dell’Azerbaigian.
Mentre in numerosi parlamenti europei ed in quello di Strasburgo crescono le richieste di sanzioni nei confronti di Baku, è evidente che l’UE non ha nessun interesse a vararle, anzi.
Lo scorso anno Bruxelles ha siglato un accordo con Baku per raddoppiare entro il 2027 le forniture di gas che, estratto nel Caucaso meridionale, arriva a Melendugno attraverso il TAP. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si è impegnata personalmente per accaparrarsi le forniture azere e poter tagliare quindi quelle russe. Volata a Baku per siglare l’accordo nel luglio scorso, von der Leyen ha descritto l’Azerbaigian come «un partner affidabile e degno di fiducia» sorvolando sulla violazione sistematica dei diritti umani e politici da parte del regime e sul militarismo e lo sciovinismo nei confronti degli armeni.
Nell’ultimo anno in Italia la quota di gas proveniente dall’Azerbaigian è già aumentata dal 10 al 15,1%, eguagliando le importazioni dall’Algeria. Baku ha nel frattempo aumentato gli introiti delle esportazioni di idrocarburi da 20 a 35 miliardi di euro; di questi ben 16,5 provengono dall’Italia. E poi c’è tutto il capitolo degli armamenti: grazie ai crescenti introiti dell’industria petrolifera il regime di Aliyev negli ultimi anni ha fatto il pieno di armi turche e israeliane, ma anche americane ed europee (e russe). – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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“Philips Italia: nel futuro, da 100 anni”
A partire dalle 12.00 avrò il piacere di partecipare con Andrea Celli, Managing Director Philips Italia, Israele e Grecia, al Convegno organizzato da Philips per celebrare i suoi 100 anni per discutere della digitalizzazione al servizio della salute
PRIVACYDAILY
Weekly Chronicles #47
Privacy Week, giorno 2 e 3
Anche il secondo giorno di Privacy Week è passato e spero che molti di voi abbiano assistito al pomeriggio che abbiamo organizzato.
Sono stato tra i conduttori della seconda giornata, e insieme a tanti ospiti abbiamo dialogato di smart city e sorveglianza di massa, social scoring e perfino smart home, con aspetti anche relativi all’esperienza italiana.
Ad esempio, sapevate che esiste un mercato di voyeuristi che pagano per spiare la gente dalle telecamere hackerate nelle loro case? È una delle tante cose di cui abbiamo parlato ieri. Se hai una telecamera connessa o qualche dispositivo IoT a casa, qualche dubbio me lo farei venire…
Un piccolo dietro le quinte dello studio di Privacy Week
Per la seconda parte della giornata abbiamo invece affrontato il tema spinoso della sanità pubblica e della cybersicurezza dei dispositivi medici. Tantissima carne al fuoco per argomenti che ruotano intorno al concetto di cittadino e di città, che però somigliano sempre più a feudi digitali pronti ad accaparrarsi i nostri dati, ma molto meno propensi a proteggerli.
Oggi invece si parte con il terzo giorno, dedicato alle cryptovalute e all’identità digitale. Non sarò io a condurre ma gli amici Jacopo Sesana, Angelica Finatti e il buon Gianluca Grossi, che forse qualcuno di voi conoscerà in quanto capo redattore di e autore di . Con loro, anche oggi molti ospiti che si alterneranno dalle 10 alle 12:30 in un palinsesto ricco di contenuti.
Tutti gli incontri oggi saranno in streaming come sempre su www.privacyweek.it
Prometto che cercherò di rimanere calmo e pacato.
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Apple ci prova con iOS 17
Pare che l’ultimo aggiornamento di iOS abbia attivato di default alcune impostazioni che riguardano geolocalizzazione delle “significant locations” e l’acquisizione di dati di analisi per il miglioramento dei servizi.
I dati di geolocalizzazione dovrebbero essere conservati in locale, sul dispositivo. Per quanto riguarda invece i dati di analisi, questi sono inviati direttamente ai server Apple e hanno molto a che fare con ciò che fate e come usate il dispositivo.
Solitamente l’acquisizione di questi dati è molto invasiva, quindi il consiglio è di disattivare l’opzione che invece Apple ha pensato bene di riattivare per tutti con questo aggiornamento.
Le nuove cards Lightning SatsMobi
1Come saprete, in questo periodo sono sempre più i negozi fisici e online che accettano pagamenti Bitcoin. Questo è molto positivo per tutto l’ecosistema, ma bisogna trovare strumenti semplici, amichevoli e dalla user experience migliorata, che agevolino l’uso di Bitcoin come sistema di pagamento.
Sappiamo che per i piccoli acquisti e scambi, Lightning Network è oggi il metodo di pagamento Bitcoin più usato, essendo istantaneo, comodo e facile da gestire con la maggior parte dei wallet. Anche la comodità di Lightning arriva però fino a un certo punto: dobbiamo tirar fuori il telefono, aprire il nostro wallet, puntare e fare scan di un QR code. Insomma, non è poi così immediato.
È per questo che abbiamo pensato di introdurre le NFC Cards Lightning SatsMobi. Sono carte di pagamento Lightning che effettuano la transazione semplicemente avvicinando la carta al dispositivo di pagamento (se abilitato NFC). Si tratta di uno standard aperto.
Dove sta il valore aggiunto per l’utente? Prima di tutto, le cards SatsMobi sono connesse a un Bot Telegram (SatsMobiBot) che permette di gestire il saldo, vedere la lista movimenti, ricaricare la disponibilità (“top-up”) e molto altro.
Inoltre, la carta può essere collegata al wallet Lightning Zeus, permettendo una usabilità ancora maggiore.
Una volta attivata l’utente avrà automaticamente disponibile un Lightning address del tipo “nomeutente@sats.mobi” che gli permetterà da subito di ricevere tips Lightning, pagamenti e donazioni da qualunque wallet, oppure da Nostr2.
Da ultimo, le cards SatsMobi sono collegate automaticamente anche al BitcoinVoucherBot e quindi possono anche essere caricate con un Voucher Lightning acquistato su questo sistema di cambio.
Quindi: massima usabilità per cercare di rendere l’esperienza utente semplice, veloce e anche piacevole. Per ordinare le cards e visionare le caratteristiche d'impiego, potete riferirvi al seguente link: bitcoinvoucherbot.com/product-…
Weekly meme
Weekly quote
“What we know is everything, it is our limit, of what we can be.”
Julian Assange
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Contributo di Massimo Musumeci
Social network decentralizzato con integrazione Lightning, molto amato dai Bitcoiner
Abbiamo un'inchiesta bomba sulla fortissima attività di lobbying che sta per portare all'approvazione del regolamento #chatcontrol che intercetterà di fatto TUTTI i cittadini europei.
Ne parlano Le Monde, Die Zeit, El Diario.
MA IN ITALIA LA STAMPA TACE ANCORA!
Di cosa ha paura?
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Key enabling technologies. Soluzioni per le nuove sfide nei cinque domini nell’evento Elesia
L’aumento sempre maggiore nel ricorso alle cosiddette “tecnologie abilitanti fondamentali” porta con sé diverse sfide per il futuro in ambiti strategici e ambientali cruciali per la sicurezza e la difesa del nostro Paese, e soprattutto per le operazioni militari multidominio e per la riduzione del carbon footprint.
Questo sarà il focus dell’evento “Key enabling technologies (Ket) – Soluzioni per le nuove sfide nei cinque domini”, organizzato da Elesia con il patrocinio del Segretariato generale della Difesa e direzione nazionale armamenti (Segredifesa), della Marina militare e della Confederazione italiana armatori Confitarma. L’iniziativa si terrà a Roma mercoledì 27 settembre presso Villa Dino, in via Appia Antica 249B, a partire dalle ore
L’evento rappresenterà un’opportunità per dare uno sguardo approfondito al mondo delle Ket, strettamente legate a un intenso impegno in ricerca e sviluppo, a cicli di innovazione rapidi e alla creazione di posti di lavoro altamente specializzati. Tali tecnologie sono infatti fondamentali a livello sistemico, in quanto contribuiscono al valore generato nella catena produttiva e hanno la capacità di innovare i processi, i prodotti e i servizi in tutti i settori economici. I due diversi panel in cui si articola la conferenza saranno dedicati rispettivamente all’utilizzo delle tecnologie abilitanti chiave per i settori della difesa e della sicurezza e alle Key enabling technologies per il dominio marittimo.
Interverranno nel corso dell’evento il presidente di Elesia, Davide Magini, il ceo di At Agency e già sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo, il professore di Studi strategici presso l’università Lumsa, Matteo Bressan, il contrammiraglio di Segredifesa Pietro Alighieri, il direttore commerciale di Elesia, Fabio Saba e l’head of technology & innovation electronics division di Leonardo, Domenico Vigilante.
Il secondo panel, che metterà invece al centro l’ambiente sopra e sotto la superficie del mare, vedrà intervenire il capo del 7° reparto navi dello Stato maggiore della Marina militare, l’ammiraglio Marco Tomassetti, l’head of energy saving, R&D and ship design di Grimaldi group Confitarma, Dario Bocchetti, il professore del dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale dell’università Sapienza, Antonio Carcaterra, e il vice presidente research & innovation di Fincantieri, Massimo Debenedetti.
Il libero commercio fa bene a tutti
“Nessuno ha mai visto un cane con un suo simile fare uno scambio deliberato e leale di un osso contro un altro osso. Nessuno ha mai visto un animale, coi suoi gesti o le sue grida naturali, far capire a un altro animale: “questo è mio, quello è tuo, io darei volentieri questo
in cambio di quello”.
Il celebre passaggio di Adam Smith ci ricorda che l’uomo è portato allo scambio con i propri simili. E, in effetti, “in una società incivilita egli ha bisogno in ogni momento della cooperazione e dell’assistenza di moltissima gente, mentre tutta la vita gli basta appena per assicurarsi l’amicizia di poche persone”. Il riferimento a “moltissima gente” è essenziale perché implica che lo scambio è tendenzialmente senza confini, mentre all’epoca gli Stati nazionali adottavano una politica mercantilista, per la quale il commercio era un gioco a somma zero. La scoperta degli illuministi scozzesi, Hume e Smith, consisteva proprio nella dimostrazione che il libero commercio tra le nazioni faceva stare meglio tutti, sia chi importava che chi esportava e colui il quale formulò con maggiore rigore questa teoria fu un seguace di Adam Smith, l’inglese David Ricardo, di cui lo scorso 11 settembre ricorreva il 200° anniversario della morte.
La disquisizione non è puramente teorica. Mentre negli anni 90 la comunità internazionale (e quella scientifica) aveva accettato questo principio, da un po’ di anni si assiste alle difficoltà della globalizzazione. Sempre più spesso i governi impongono restrizioni al commercio. Alla base ci sono motivi politici, come per le sanzioni nei confronti di Stati-canaglia o guerrafondai; il timore di trasferimento di tecnologie strategiche verso Paesi ostili (esportazioni europee e americane verso la Cina); la genuflessione verso lobby interne (il blocco dell’importazione di grano ucraino da parte della Polonia) o infine la reazione ai sussidi statali a favore di imprese esportatrici (ancora una volta l’Ue verso la Cina). Persino i provvedimenti più giustificabili comportano conseguenze negative per entrambe le parti.
Torniamo ai nostri filosofi ed economisti del XVIII e del XIX secolo. Ebbene, David Hume, filosofoscettico scozzese, aveva già demolito le credenze protezionistiche nei suoi saggi Of Commerce, Of theBalance of Trade e Of Jeaulosy of Trade. Scriveva infatti che “l’incremento delle ricchezze e del commercio di una qualunque nazione, piuttosto che causare un danno di solito favorisce i Paesi limitrofi nell’acquisto di ricchezze e di commerci” anche perché la libertà di scambio costituisce uno stimolo positivo e “un incoraggiamento” per l’economia degli Stati circostanti. “All’inizio la merce è importata dall’estero con nostro grande disappunto, perché pensiamo che essa ci privi della nostra moneta; in un secondo tempo le competenze stesse vengono gradualmente importate, a nostro evidente vantaggio”: il commercio come veicolo di diffusione della conoscenza. Se nel passato gli stranieri “non ci avessero istruito, noi ora
saremmo dei barbari”. Adam Smith, suo caro amico, lo spiegò con grande semplicità: “Per mezzo di vetrate, concimazioni e serre riscaldate si possono coltivare in Scozia ottime uve, e con esse si può fare anche dell’ottimo vino, con una spesa quasi trenta volte più alta di quella con cui si può far arrivare da Paesi stranieri un vino almeno altrettanto buono”. D’altronde “è una regola di condotta di ogni prudente capofamiglia quella di non cercare mai di fabbricare a casa ciò che costerebbe più far da soli che comprare”.
Sulle spalle dei due giganti si piazza David Ricardo, politico, uomo d’affari, economista che sviluppò la teoria del vantaggio comparativo. Nei suoi Principles of Political Economy and Taxation, il ragionamento è sviluppato in modo semplice: anche quando un Paese è più
efficiente di un altro in due produzioni, comunque gli conviene specializzarsi in una. Poniamo che il Portogallo produca 1 bottiglia di vino con 5 ore di lavoro e un chilo di pane con 10 ore. L’Inghilterra, invece, produce la stessa bottiglia in 3 ore e il chilo di pane in un’ora. Sembrerebbe che all’Inghilterra convenga fare tutto a casa. Invece, il costo del Portogallo
per produrre il vino, sebbene più alto che in Albione, è più basso rispetto al pane. Per ogni bottiglia prodotta, il Portogallo dà via 1⁄2 chilo di pane, mentre all’Inghilterra basta 1/3 di chilo. Quindi il Portogallo ha un vantaggio comparativo nel produrre il vino, mentre l’Inghilterra lo ha nel produrre il pane. Se Londra e Lisbona scambiano vino e pane 1 a 1, il Portogallo convertirà le 10 ore che gli ci vogliono per produrre il pane per fare 2 bottiglie di vino. Anche l’Inghilterra ci guadagna, perché per importare due bottiglie di vino dal Portogallo in cambio di due chili di pane, ci dovrà mettere due ore di lavoro, mentre per fare una bottiglia di vino ne impiega tre e quindi, con lo scambio immaginato, convertirà le 3 ore per sfornare 3 chili di pane e alla fine si troverà con una bottiglia in più (ne importa due) e un chilo di pane in più (gliene avanza uno). Ecco qui la teoria dei vantaggi comparativi spiegata senza complesse formule matematiche. Il mondo è diventato sempre più complicato ma la lezione di questi tre giganti si è dimostrata una delle più solide della teoria economica: ricordiamocelo.
Affari & Finanza
L'articolo Il libero commercio fa bene a tutti proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Secolari
Se ne è sicuri: non ci sono più la classe politica di una volta, i protagonisti e la qualità del tempo che fu. Complici i funerali e le partecipazioni stereotipate al cordoglio, quello scemare di qualità è dato per scontato. Penso, però, che sia falso. Il nostro problema è che noi – noi cittadini, noi italiani – ci ostiniamo a essere uguali a quel che fummo.
Certo, se si riascoltano o rileggono gli interventi politici di una volta non si può non cogliere l’abisso in quanto a dimestichezza con la lingua italiana. Ma quello ha a che vedere con la scuola, non con la politica. Il che non toglie l’esistenza di un legame fra le due cose: meno si forma e più ci si sforma. Ma a parte l’esprimersi nella lingua italiana, ho l’impressione che nel mendace ricordo del passato si tenda a cancellare troppe cose.
I funerali di Giorgio Napolitano non mancano di sovrabbondanza retorica. Ma anche d’ipocrisia. E non è che si sfugga all’ipocrisia con l’avversità e il parlarne male, perché quella è soltanto l’ipocrisia che sta dall’altra parte. Napolitano è uno degli ultimi, grandi figli del Novecento, secolo in cui tantissimi siamo nati, ma quando erano già sbocciati la pace e il sanissimo e benedetto vincolo esterno. Prima è stato il secolo delle tragedie e delle allucinazioni. E anche quello in cui siamo cresciuti noi è stato il secolo delle divisioni. Di cui, appunto, Napolitano era figlio.
Oggi tutti a dire: il grande europeista. Fu fiero oppositore parlamentare dell’ingresso dell’Italia nel Sistema monetario europeo, il nonno dell’euro. Fu sostenitore dell’eurocomunismo, con francesi, portoghesi e spagnoli che la storia ha seppellito. Tutti a dire: l’amico degli Usa e dell’Occidente. Fu amico dell’Urss e tale rimase anche dopo l’invasione di Praga. Che non condannò lui, ma il Pci. Avendo plaudito quella di Budapest. Fu il responsabile dei rapporti d’affari con l’Urss, ovvero del sistema che generava tangenti all’estero, confluenti con i finanziamenti diretti. Ma è demenziale pensare di addebitare queste cose a Napolitano, perché quelle erano le caratteristiche del secolo. Come è ipocrita cancellarle.
Non era un “comunista liberale”, che è come dire un “prete laico”. Vedeva gli errori comunisti, ma sentiva che nessuna salvezza poteva esistere fuori dal partito, come fuori dall’ecclesia. La classe politica che mise il partito avanti all’onestà delle idee non è in sé ammirevole. Anche se tale può apparire nella stagione in cui ciascuno fa il proprio partito e ci mette anche il nome del casato. In quelle condizioni fare politica – ovvero tenere vivo il conflitto nel proprio partito, trovare appoggi in altri e non rompere né il proprio né l’altrui – richiedeva destrezza. Napolitano che ammira Craxi non se la può cavare facendo prima un governo con Craxi e poi uno con Almirante, o viceversa. Cosa che oggi s’usa e getta.
Era migliore, quel mondo? No, è migliore il nostro. Gli interpreti del secolo diviso si videro cadere in testa i macigni del Muro di Berlino. Non seppero vedere la fine del comunismo, ma capirono che come comunisti erano finiti. E chi aveva fieramente avversato il comunismo non seppe vedere il cambio di spartito che quel crollo innescava. Il nostro mondo è migliore, ma noi siamo sempre gli stessi: pronti a tutto pur di non fare i conti con gli errori commessi, pronti ad abboccare a qualsiasi racconto storico pur di non fare i conti con la Storia. Il Paese che fu fascistissimo e poi si volle raccontare in armi nella Resistenza. Che si unì contro il volere del papato, ma volle raccontarsi che lo fece con fede cristiana. Che baratta il voto con l’avere per sé un brano di spesa pubblica e pretende che corrotti ed evasori siano sempre gli altri.
Si era già estinto il filone di derivazione risorgimentale. Si estinguerà presto il filone comunista. Si è stinta la scuola del cattolicesimo sociale. E capita perché stiamo meglio e si suppone non serva più pensare alla politica, preferendo il trasformismo ipocrita. Che, per non migliorare, resta una strada avvincente.
La Ragione
L'articolo Secolari proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Grazie a Radio3Mondo che rompe il silenzio dell'informazione italiana sul regolamento chatcontrol
#stopchatcontrol
Fermiamo #chatcontrol
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L’Ucraina nell’Unione Europea: il momento di agire
La Fondazione Luigi Einaudi è stata lieta di ospitare questa mattina il convegno che il presidente della commissione Affari europei Giulio Terzi di Sant’Agata ha dovuto annullare in Senato causa lutto nazionale. L’abbiamo fatto perché Terzi è uno di noi, perché crediamo che la Fondazione Luigi Einaudi sia vocata a svolgere un ruolo di supplenza della politica e soprattutto perché siamo e restiamo al fianco del popolo ucraino.
L’Ucraina deve entrare al più presto nell’Unione europea.
Evento trasmesso anche su radioradicale.it
youtube.com/embed/b67UZ9JhQ2Q?…
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La Fondazione Luigi Einaudi è stata lieta di ospitare questa mattina il convegno che il presidente della commissione Affari europei Giulio Terzi di Sant’Agata ha dovuto annullare in Senato causa lutto nazionale. L’abbiamo fatto perché Terzi è uno di noi, perché crediamo che la Fondazione Luigi Einaudi sia vocata a svolgere un ruolo di supplenza della politica e soprattutto perché siamo e restiamo al fianco del popolo ucraino.
L’Ucraina deve entrare al più presto nell’Unione europea.
youtube.com/embed/b67UZ9JhQ2Q?…
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Breyer on chat control investigative research: EU Commissioner as double agent of foreign interference
Research published yesterday by several European media outlets has revealed that an international campaign in support of the EU’s proposed child sexual abuse regulation has been largely orchestrated and financed by a network of organisations with links to the tech industry and security services. The controversial “chat control” regulation would require providers to indiscriminately scan and automatically disclose allegedly suspicious private messages and photos. EU Parliament lawmaker Patrick Breyer (Pirate Party), negotiator for the Greens/European Free Alliance group on the proposed regulation, expresses shock:
“As negotiator for my group, many of the organisations mentioned in the report, which call themselves child protection organisations or victims’ associations, also contacted me. But I had no idea that the pro-chat control campaign was being orchestrated and funded by a network of organisations linked to the tech industry and security services, drawing millions in funding from a US-led foundation and paying foreign consulting agencies to create lobbying strategies. I had previously only expected corporations to use such methods of ‘capturing legislation’.
To set a precedent, US stakeholders apparently want to push through indiscriminate screening of our private messages and photos in Europe, which is not law in the US itself.
So far, the EU’s Home Affairs Commission has mainly attracted attention as a source of misinformation on chat control. Yesterday’s report makes EU Home Affairs Commissioner Ylva Johansson look like a double agent of foreign interference. We urgently need a legislative footprint that exposes such remote-controlled and foreign-dictated legislation. This is about nothing less than defending our democracy and our fundamental right to digital privacy of correspondence!”
Commenting on the report, President of non-commercial encrypted messaging service Signal Meredith Whittaker said, “the best follow the money reporting on who’s behind the global attack on digital privacy yet.
It’s law enforcement x AI companies posing as NGOs with a commercial interest in selling scammy mass scanning tech. Deeply cynical, deeply shady.”
Cryptologist Matthew Green commented, “Just saw this new investigation into the web of for-profit AI companies pushing anti-encryption legislation in Europe, and it feels like the work of secret organization in a James Bond movie.”
Diego Naranjo, Head of Policy of European Digital Rights, said “The investigation published today confirms our worst fears: The most criticised European law touching on technology in the last decade is the product of the lobby of private corporations and law enforcement. Commissioner Johansson ignored academia and civil society in Europe while she shook hands with Big Tech in order to propose a law that will attempt to legalise mass surveillance and break encryption.”
Diego Naranjo, Head of Policy of European Digital Rights, said “The investigation published today confirms our worst fears: The most criticised European law touching on technology in the last decade is the product of the lobby of private corporations and law enforcement. Commissioner Johansson ignored academia and civil society in Europe while she shook hands with Big Tech in order to propose a law that will attempt to legalise mass surveillance and break encryption.”[5]
Decreto Caivano - "Applicazioni di controllo parentale nei dispositivi di comunicazione elettronica" ed altre fantastiche creature partorite dalla fantasia del legislatore
«Rieccoci, dopo qualche mese ho messo mano alla tastiera per scrivere qualcosa di più ampio respiro dei soliti tweet. Questo sia perchè twitter sta affondando, sia perchè oggi ci sono troppe cose da dire e ci vuole spazio.Recentemente, il Governo ha annunciato una serie di misure per la sicurezza dei minori in ambito digitale. Il DECRETO CAIVANO. Ho visto in diretta la conferenza stampa, da subito ho avuto l'impressione che ci fosse più di un problema nel progetto annunciato dall'esecutivo.
Forse il problema principale è nelle intenzioni, più ancora che negli aspetti tecnici.
Ma andiamo con ordine.»
Qui il post completo con il commento di Christian Bernieri al decreto Caivano
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Le Smart Cities e la protezione dati sono un binomio ricco di implicazioni, oggetto del documento di lavoro del Gruppo di Berlino
Dal controllo del traffico alla mobilità, dalla gestione delle risorse ai servizi sociali, le città stanno adottando processi nuovi e innovativi per rendere più confortevole la vita e il soggiorno. Ma il percorso verso città “intelligenti” o “connesse”, con l’introduzione di nuove tecnologie o l’adozione di nuovi trattamenti di dati pre-esistenti, richiede una significativa governance per evitare rischi per i diritti e le libertà delle persone.
Il documento di lavoro, attraverso analisi dei rischi, case studies e raccomandazioni, ha come obiettivo quello di fornire un pratico strumento di supporto rivolto ad amministrazioni locali, fornitori di servizi ed autorità di regolamentazione per definire soluzioni rispettose della protezione dei dati personali.
Uno dei casi proposti riguarda l’analisi degli spostamenti dei passeggeri connessi al wi-fi dell’azienda dei trasporti di Londra. Il progetto, realizzato attraverso l’immediata pseudonimizzazione dei dati personali degli utenti e secondo il principio di minimizzazione, aveva come obiettivo il monitoraggio dell’affollamento delle stazioni della metro e migliorare gli spostamenti dei pendolari. In questo modo, l’azienda aveva potuto immediatamente individuare i dati aggregati da utilizzare per la finalità, senza aver bisogno di incrociarli con altri in suo possesso, come ad esempio quelli presenti negli abbonamenti.
Un altro aspetto sfidante in termini di protezione dati è quello della trasparenza sul trattamento dei dati delle persone e sull’esercizio dei diritti da parte degli interessati. In tal senso, si rivelano interessanti le esperienze dell’Amsterdam Algorithm Register, un sito che illustra tutti gli algoritmi utilizzati dall’amministrazione nell’erogazione dei servizi comunali, e della città di Helsinki, che ha annunciato la creazione di un cruscotto in cui i cittadini possano gestire i consensi rilasciati.
Non mancano infine le raccomandazioni del Gruppo di Berlino affinché i dati siano trattati secondo il principio di limitazione delle finalità, nel caso di dispositivi “smart home” che monitorano le abitazioni di edilizia pubblica, e di integrità e riservatezza, relativamente agli standard di sicurezza degli strumenti IoT (Internet of Things).
Qui la newsletter dell'Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali.
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PRIVACYDAILY
Pubblicazione biglietti vincenti estrazione a premi
Ecco i biglietti vincenti dell’estrazione a premi della nostra festa. Congratulazioni a chi ha vinto! #rifondazioneinfesta #rifondazionecomunista #estraRifondazione Comunista
“Attenzione, non siamo soli al volante”
Ne scrivo oggi su Huffington Post nella rubrica Governare il Futuro Qui il link all’articolo huffingtonpost.it/rubriche/gov…
Maronno Winchester reshared this.
huffingtonpost.it/rubriche/gov…
Attenzione, non siamo soli al volante
Nessuno legge l’informativa per la privacy di un’auto prima di acquistarla. E invece dashcam, microfoni, sensori della temperatura, dispositivi di movimento de…Guido Scorza (HuffPost Italia)
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@Informatica (Italy e non Italy 😁)
Ai dischi serve davvero la cache?
È una curiosità che mi è venuta recentemente quando stavo facendo spesa,
Vedo che la maggior parte dei "dischi" (sia HDD che SSD) che vedo presentano una certa quantità di "cache DRAM",
Da quel che so serve a migliorare le prestazioni, mantenendo blocchi utilizzati di frequente in una memoria più veloce, e, per gli SSD, a ridurre i cicli di scrittura sulla memoria flash.
Ma qualcosa di simile se non mi sbaglio lo fanno anche sistemi operativi come linux e windows, mantenendo in memoria file letti e scritti di recente, quindi mi chiedo, fa davvero molta differenza avere o no una cache anche sul "disco" al di fuori di benchmark, come crystaldiskmark, che disabilitano esplicitamente la cache del sistema operativo?
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Informatica (Italy e non Italy 😁) reshared this.
tl;dr Sì, fa davvero molta differenza.
Anzitutto, in generale aggiungere altri livelli di cache, su un bus/dispositivo lento, aiuta sempre.
La cache interna e del sistema hanno ruoli diversi, non sono una in alternativa all'altra.
La cache del sistema operativo è a conoscenza della struttura dei file. Quindi sceglierà il momento migliore per "inviare" le scritture "cached" al disco, e quando "invalidare" la cache costringendoti a rileggere, sapendo quando apri o chiudi un file, e se lo apri in lettura o scrittura, etc.
Viceversa, il disco non sa come sono fatti i file, ma sa come è strutturato fisicamente il disco. Sugli SSD non è detto che dall'indice del blocco può indovinare su quale punto di quale chip si trova, perché questa corrispondenza cambierà nel tempo per rendere il disco più longevo. Quindi con queste informazioni aggiuntive, può sfruttare alcune euristiche basate sulla struttura fisica per migliorare le prestazioni.
Per gli hard disk invece ti serve semplicemente perché sono dannatamente lenti e ogni aiuto fa differenza.
Inoltre, si parla di DRAM, quindi volatile. Quindi più che i blocchi usati spesso sono quelli usati di recente che si trovano nella cache del disco, perché non sopravviverebbe al riavvio.
Alcuni hard disk hanno un piccolo SSD dentro che invece tiene i dati usati più spesso, e sono molto più veloci di un hdd normale. Ma su un ssd questo non ha senso perché se potessi fare una memoria non volatile più veloce faresti direttamente un ssd più veloce.
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Sabrina Web 📎 reshared this.
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ministero dell'Istruzione
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Fossilization live 2023
Fossilization da Brasile live in Barrios Milano 18/9
Fossilization live 2023
Fossilization da Brasile live in Barrios Milano 18/9GRAZIE A ROBY TUTTI PAZZICiao! Grazie per aver visto questo videoIL NOSTRO CANALEQuesto è il nostro canal...YouTube
Le classifiche delle migliori università del mondo lasciano il tempo che trovano
@Universitaly: università & universitari
Nonostante l’indubbia attenzione che ottengono, però, queste classifiche sono da anni molto criticate. Un po’ perché si basano su criteri arbitrari, che riflettono poco la moltitudine di ruoli sociali e culturali che le università svolgono sul territorio. Un po’ perché sono progettate quasi sempre sulla base del sistema d’istruzione inglese e statunitense, che riflette male come funzionano le università nel resto del mondo. Un po’, semplicemente, perché non è chiaro a cosa servano, se non a indirizzare attenzione e fondi verso le società che le stilano e le università che figurano ai primi posti.
L'articolo di @Viola Stefanello 👩💻 è qui su Il Post
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Fantastico modo di pensare! In effetti è proprio vero: gli osservatori influenzano ciò che osservano in questo caso e come l'hai scritto tu è perfetto.
È deprimente allo stesso modo che qualcosa che teoricamente sarebbe interessante (statistiche delle università a priori sarebbero anche cose utili) finisca per essere una forte fonte di influenza degli studenti e delle università. I fini di queste agenzie di classifiche non sono nobili...
Poliversity - Università ricerca e giornalismo likes this.
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Legge di Goodhart: quando una misura diventa un obiettivo, cessa di essere una buona misura. L'intero sistema capitalista è costruito in violazione di questa legge.
ConstipatedWatson likes this.
L reshared this.
📚 #Scuola, disponibili i primi dati sull’anno scolastico 2023/2024: in classe circa 7,2 mln di studenti.
📊 È disponibile sul sito del MIM l’approfondimento con i primi dati sull’anno appena iniziato.
Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.
Ministero dell'Istruzione
📚 #Scuola, disponibili i primi dati sull’anno scolastico 2023/2024: in classe circa 7,2 mln di studenti. 📊 È disponibile sul sito del MIM l’approfondimento con i primi dati sull’anno appena iniziato. Qui tutti i dettagli ▶️ https://www.miur.gov.Telegram
Quanto tempo impiega Xshitter a caricare le pagine di...? Twitter sta ancora limitando i link dei concorrenti: verifica tu stesso
Secondo l'analisi, gli utenti della piattaforma social, ora ufficialmente conosciuta come X, sono costretti ad attendere in media circa due secondi e mezzo dopo aver cliccato sui collegamenti a Bluesky, Facebook, Instagram e Substack. Si tratta di un'attesa più di 60 volte superiore all'attesa media per i collegamenti ad altri siti.
Oggi, dalle ore 10.00, presso la Sala “Aldo Moro” del MIM si svolge l’evento #BackToSchool 2023.
Potete seguire la diretta qui ▶️ youtube.com/watch?v=hF1i0WWrUO…
Ministero dell'Istruzione
Oggi, dalle ore 10.00, presso la Sala “Aldo Moro” del MIM si svolge l’evento #BackToSchool 2023. Potete seguire la diretta qui ▶️ https://www.youtube.com/watch?v=hF1i0WWrUO4Telegram
Weekly Chronicles #46
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Privacy vs sicurezza pubblica, l’eterno dilemma?
Come bilanciare le necessità di sicurezza pubblica con la nostra privacy? È giusto riempire le nostre città di telecamere? Quando è troppo o quando è poco? Sono alcune delle domande che mi sono state fatte da un giornalista del Sole24Ore parlando proprio del tema della criminalità e della videosorveglianza.
In verità ritengo che non ci sia nulla da bilanciare. Se pensiamo alla sicurezza pubblica come alla protezione dell’incolumità fisica delle persone, allora siamo messi male.
La videosorveglianza non ha alcun impatto reale sulla criminalità violenta. Un criminale violento, per definizione, non teme la legge e non teme punizioni, o non sarebbe tale. Sono molto recenti gli episodi di stupri e accoltellamenti in pieno giorno e in zone trafficatissime e sorvegliatissime come la Stazione Centrale di Milano.
Anche il web è pieno zeppo di video di criminali che noncuranti di telecamere e smartphone commettono reati violenti come rapine senza batter ciglio (un esempio). Altri, i più folli, si filmano addirittura da soli mentre ammazzano passanti innocenti per sport (un esempio).
Togliamoci dalla testa la funzione preventiva della videosorveglianza; esiste solo sui libri. Non funziona, se non limitatamente in casi molto specifici. Questo studio evidenzia infatti come i crimini non violenti e pianificati, come i piccoli furti commessi dai borseggiatori, sono parzialmente influenzati dalla presenza di telecamere (-20% di borseggi nel campione osservato). Tuttavia, lo stesso studio afferma senza ombra di dubbio che i crimini legati a droga o commessi da persone violente (quindi non pianificati, come uno stupro) non sono affatto influenzati dalla presenza di telecamere.
Riempire le nostre città di telecamere non ha senso.
Ciò detto, dobbiamo riconoscere che l’utilità delle telecamere riguarda esclusivamente l’amministrazione della giustizia. Il video è una prova che può essere usata in giudizio per ottenere un ristoro (in un mondo ideale) o perseguire il criminale.
Il bilanciamento allora, è presto fatto.
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Lo Stato dovrebbe rinunciare a ogni pretesa di sorveglianza nelle strade pubbliche e incentivare invece la diffusione privata di telecamere possedute dai cittadini. La diffusione capillare di telecamere sarebbe bilanciata dalla decentralizzazione del possesso e quindi del potere di controllo che ne deriva.
Le forze dell’ordine ne potrebbero comunque usufruire. Non è fuori dal mondo: la polizia già usa strumenti privati per coadiuvare le indagini. Ad esempio, l’accesso ai tabulati telefonici dei servizi di telecomunicazione o ai sistemi di tracciamento GPS di Google. Lo stesso può farsi per le videoregistrazioni.
Per un approfondimento sul tema vi rimando a questo articolo che scrissi nel 2021, ma ancora attualissimo:
Di tutto questo ne parleremo anche la prossima settimana durante la Privacy Week, il festival della privacy e delle nuove tecnologie. Vi consiglio tantissimo di registrarvi sul sito e seguire lo streaming!
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Anche l’Online Safety Bill è quasi legge
La legge inglese contro la pedopornografia e contro “contenuti illegali” potenzialmente pericolosi è stata approvata dal parlamento e presto sarà legge. L’Online Safety Bill è una legge che in qualche modo riunisce le finalità dei Regolamenti europei Digital Services Act (in vigore) e Chatcontrol (in discussione).
Ha lo scopo di “migliorare la sicurezza di Internet”, di mitigare il rischio derivante dalla diffusione di contenuti illegali e di proteggere i minori online — qualsiasi cosa voglia dire.
Tra le varie cose, obbligherà le aziende che offrono servizi di comunicazione a introdurre algoritmi e misure tecniche per sorvegliare proattivamente comunicazioni, video e immagini inviate attraverso i loro servizi. Le conseguenze potrebbero essere devastanti per tutte le aziende che offrono servizi di comunicazione cifrate end-to-end, trovandosi a dover decidere se rispettare la legge o tutelare i loro utenti.
Non è un caso che Signal, famosa organizzazione no profit che sviluppa l’omonimo sistema di comunicazione privacy-friendly, abbia già affermato tempo fa che avrebbe cessato l’erogazione dei servizi nel Regno Unito se la legge fosse passata.
Vedremo che succederà ora che la legge, in effetti, è quasi passata.
Offuscare la tua casa su Google Maps
Mi sono da poco trasferito e ho notato che, nonostante io viva in una piccola stradina laterale di un piccolo paese di periferia, la macchina spiona di Google Maps non mi ha risparmiato. Devo ammettere che non sono abituato ad avere casa mia esposta così a tutto il mondo, e la cosa mi ha turbato abbastanza.
Allora, non mi restava che chiedere a Google di offuscare tutto. Il processo è abbastanza semplice ma non tutti lo conoscono. Ecco una breve guida:
- Apri Google Maps: vai al sito web di Google Maps o apri l'app sul tuo smartphone
- Localizza la tua casa: Inserisci il tuo indirizzo nella barra di ricerca o naviga manualmente fino alla tua casa
- Passa alla vista stradale:
- Su Desktop: Clicca e trascina l’omino giallo (trovato nell'angolo in basso a destra) sulla strada davanti alla casa
- Su Mobile: Tocca la posizione e seleziona l'opzione Vista Stradale
- Identifica l'Area da offuscare:
- Su Desktop: Naviga fino alla vista che mostra chiaramente la tua casa
- Su Mobile: Pizzica per ingrandire o scivola per regolare la vista fino a quando la tua casa è visibile e centrata
- Clicca su “Segnala un problema”:
- Tocca l'icona del menu a tre punti (solitamente nell'angolo in alto a destra) e seleziona "Segnala un problema."
Compila il modulo:
- Trascina il riquadro rosso sulla tua casa per specificare l'area che desideri sfocare.
- Ti verrà chiesto perché vuoi sfocare l'immagine. Scegli l'opzione "la mia casa" e fornisci dettagli aggiuntivi se necessario.
Weekly Memes
Weekly Quote
“If you only read the books that everyone else is reading, you can only think what everyone else is thinking.”
Haruki Murakami
English version
Privacy vs. Security, the Eternal Dilemma
How to balance the needs of public security with our privacy? Is it right to fill our cities with cameras? When is it too much or too little? These are some of the questions I was asked by a journalist, discussing the topics of crime and video surveillance.
In truth, I believe there's nothing to balance. Video surveillance has no real impact on violent crime. A criminal, by definition, does not fear the law and does not fear punishment, or they wouldn't be a criminal. Violent criminals, in particular, are not particularly sensitive.
Moreover, the web is full of videos showing criminals committing violent crimes like robberies without a care for cameras and smartphones (an example). Others, the most insane and violent ones, even film themselves killing innocent passersby for sport (an example).
Let's dispel the notion that video surveillance has a preventive function; it only exists in books. It doesn't work.
That being said, we must acknowledge that the utility of cameras is solely related to the administration of justice. Video is evidence that can be used in court to seek redress (in an ideal world) or to prosecute the criminal.
The balance is then easily struck.
The state should abandon any claims to surveillance and instead encourage the private proliferation of cameras owned by citizens. This way, the widespread use of cameras would be balanced by the decentralization of ownership and thus the power of control that derives from it.
Law enforcement could still make use of them. It's not far-fetched; the police already use private tools to assist in investigations. For example, access to phone call records from telecommunications services or GPS tracking systems from Google. The same can be done for video recordings.
We will also discuss all of this next week during Privacy Week, the privacy and new technologies festival. I highly recommend registering on the website and following the livestream!
The Online Safety Bill is almost law
The English law against child pornography and potentially dangerous "illegal content" has been approved by parliament and will soon become law. The Online Safety Bill is a law that somehow combines the purposes of the European Regulations Digital Services Act (in effect) and Chatcontrol (under discussion).
Its purpose is to "improve Internet safety," mitigate the risk arising from the spread of illegal content, and protect minors online—whatever that may mean.
Among other things, it will compel companies offering communication services to introduce algorithms and technical measures to proactively monitor communications, videos, and images sent through their services. The consequences could be devastating for all companies that offer end-to-end encrypted communication services, as they will have to decide whether to comply with the law or protect their users.
It's no accident that Signal, a well-known nonprofit organization that develops the privacy-friendly communication system of the same name, stated some time ago that it would cease providing services in the UK if the law were passed.
We'll see what happens now that the law is, in fact, almost passed.
Blur Your House on Google Maps
I recently moved and noticed that, despite living on a small side street in a small suburban town, Google Maps' spying car did not spare me. I must admit I'm not used to having my house exposed to the whole world, and it bothered me quite a bit.
So, all that was left for me to do was to ask Google to blur everything. The process is quite simple, but not everyone is aware of it. Here's a brief guide:
- Open Google Maps: Go to the Google Maps website or open the app on your smartphone.
- Locate your house: Enter your address in the search bar or manually navigate to your house.
- Switch to street view: On Desktop: Click and drag the yellow figure (usually found in the lower right corner) onto the street in front of your house. On Mobile: Tap the location and select Street View.
- Identify the Area to Blur: On Desktop: Navigate to the view that clearly shows your house. On Mobile: Pinch to zoom in or slide to adjust the view until your house is visible and centered.
- Click "Report a Problem": Tap the three-dot menu icon (usually in the upper right corner) and select "Report a Problem."
- Drag the red box over your house to specify the area you want to blur. You'll be asked why you want to blur the image. Choose the option "my home" and provide additional details if necessary.
Future of Privacy Forum and Leading Companies Release Best Practices for AI in Employment Relationships
Expert Working Group Focused on AI in Employment Launches Best Practices that Promote Non-Discrimination, Human Oversight, Transparency, and Additional Protections.
Today, the Future of Privacy Forum (FPF), with ADP, Indeed, LinkedIn, and Workday — leading hiring and employment software developers — released Best Practices for AI and Workplace Assessment Technologies. The Best Practices guide makes key recommendations for organizations as they develop, deploy, or increasingly rely on artificial intelligence (AI) tools in their hiring and employment decisions.
Organizations are incorporating AI tools into their hiring and employment practices at an unprecedented rate. When guided by a framework centered on responsible and ethical use, AI hiring tools can help match candidates with relevant opportunities and inform organizations’ decisions about who to recruit, hire, and promote. However, AI tools present risks that, if not addressed, can impact job candidates and hiring organizations and pose challenges for regulators and other stakeholders.
FPF and the AI working group recommend:
- Developers and deployers should have clearly defined responsibilities regarding AI hiring tools’ operation and oversight;
- Organizations should not secretly use AI tools to hire, terminate, and take other actions that have consequential impacts;
- AI hiring tools should be tested to ensure they are fit for their intended purposes and assessed for bias;
- AI tools should not be used in a manner that harmfully discriminates, and organizations should implement anti-discrimination protections that go beyond laws and regulations as needed;
- Organizations should not use facial characterization and emotion inference technologies in the hiring process absent public disclosures supporting the tools’ efficacy, fairness, and fitness for purpose;
- Organizations should implement AI governance frameworks informed by the NIST AI Risk Management Framework;
- Organizations should not claim that AI hiring tools are “bias-free;” and
- AI hiring tools should be designed and operated with informed human oversight and engagement.
“When properly designed and utilized, AI must process vast amounts of personal data fairly and ethically, keeping in mind the legal obligations organizations have to those with disabilities and people from underrepresented, marginalized and multi-marginalized communities. This is why developers and deployers of AI in the employment context should use these Best Practices to show their commitment to ethical, responsible, and human-centered AI tools in compliance with civil rights, employment and privacy laws.”
Amber Ezzell, FPF Policy Counsel“The intersection between hiring, employment, and AI tools presents complex opportunities and challenges for organizations, particularly concerning issues of equity and fairness in the workplace. Our Best Practices will guide U.S. companies as they create and use AI technologies that impact workers, ensuring that they address key issues regarding non-discrimination, responsible AI governance, transparency, data security and privacy, human oversight, and alternative review procedures.”
John Verdi, Senior Vice President of Policy at FPF
Leading policy frameworks, including the NIST’s AI Risk Management Framework (AI RMF), Civil Rights Principles for Hiring Assessment Technologies, the Data and Trust Alliance’s initiative Algorithmic Safety: Mitigating Bias in Workforce Decisions, and more, helped inform the Best Practices guide.
“AI tools can help candidates discover and describe their skills and find new opportunities that match their experience. The Best Practices assist organizations in instituting guardrails around using AI systems responsibly and ethically.”
Jack Berkowitz, ADP’s Chief Data Officer“The use of automated technology in the workplace can result in better matches for both job seekers and employers, increased access to diverse candidates and a broader pool of applicants, and greater access to hiring tools for small to mid-sized businesses. These Best Practices provide concrete guidance for using the tools responsibly.”
Trey Causey, Indeed’s Head of Responsible AI“We know that a responsible and principled approach to AI can lead to more transparency and better matching of job seeker skills to employer needs. The Best Practices are a real step forward and reflect the accountability needed to ensure these technologies continue to power opportunity for all members of the global workforce.”
Sue Duke, LinkedIn’s VP of Global Public Policy“Since 2019, Workday has partnered with government officials and thought leaders like the Future of Privacy Forum to advance smart safeguards that cultivate trust and drive responsible AI. We’re proud to have co-developed these Best Practices, which offer policymakers a roadmap to responsible AI in the workplace and call on other organizations to join us in endorsing them.”
Chandler Morse, Workday’s Vice President of Public Policy
While existing anti-discrimination laws can apply to the use of AI tools for hiring, the AI governance field is still maturing. FPF’s Best Practices engages the broader AI governance field in the ethical use and development of AI for employment. The guide may also be updated to reflect developing AI regulatory requirements, frameworks, and technical standards.
Read the full Best Practices Guide Here
You live in a digital neofeudalism
The Middle Ages are often invoked to describe a dark, brutal period without freedom, where the masses were at the mercy of a few feudal lords and rulers who fought over lands and resources.
They say life back then wasn't much to write home about. Fortunately, today we are much more civilized. At least, that’s what they say.
We have discovered representative democracy, expelled the cowardly monarchs who plagued us, eliminated the scourge of serfdom, and forgotten the picturesque chivalric orders with their oaths of loyalty to the rulers. But is it really so?
My impression is that representative democracy and the proliferation of eccentric ideas about social justice and social equity have actually created the conditions for the resurgence of a global digital neo-feudalism.
At the apex of this new feudal pyramid, we undoubtedly have a small but powerful elite of people with vast wealth and power who use supranational tools, both known and unknown, to exercise and manifest their will.
Among them, first and foremost, is the International Monetary Fund (IMF), a financial instrument of the United Nations and the ultimate authority for much of the world. Then there are central banks like the Federal Reserve Bank or the European Central Bank.
Lastly, we must not forget supranational administrative entities such as the World Health Organization (WHO), the aforementioned United Nations (UN), or the somewhat obscure Financial Action Task Force (FATF), which, nevertheless, has a huge impact on our lives. And how could we forget our beloved European Union and the globalist think-tank that is the World Economic Forum?
The combination of people and supranational structures makes up what we could define today as the head of the empire.
Call for Nominations: 14th Annual Privacy Papers for Policymakers
The Future of Privacy Forum (FPF) invites privacy scholars and authors with an interest in privacy issues to submit finished papers to be considered for FPF’s 14th annual Privacy Papers for Policymakers (PPPM) Award. This award provides researchers with the opportunity to inject ideas into the current policy discussion, bringing relevant privacy research to the attention of the U.S. Congress, federal regulators, and international data protection agencies.
The award will be given to authors who have completed or published top privacy research and analytical work in the last year that is relevant to policymakers. The work should propose achievable short-term solutions or new means of analysis that could lead to real-world policy impact.
FPF is pleased to also offer a student paper award for students of undergraduate, graduate, and professional programs. Student submissions must follow the same guidelines as the general PPPM award.
We encourage you to share this opportunity with your peers and colleagues. Learn more about the Privacy Papers for Policymakers program and view previous year’s highlights and winning papers on our website.
FPF will invite winning authors to present their work at an annual event with top policymakers and privacy leaders in spring 2024 (date TBD). FPF will also publish a printed digest of the summaries of the winning papers for distribution to policymakers in the United States and abroad.
Learn more and submit your finished paper by October 20th, 2023. Please note that the deadline for student submissions is November 3rd, 2023.
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Privatocrazia sanitaria, in Italia il 60% dei fondi per la salute pubblica finisce ai privati. Il monito di Nicoletta Dentico | AFV
"La situazione ha raggiunto livelli più che allarmanti: almeno il 60% dei fondi pubblici finisce in mano ai privati, in particolare per l’acquisto di servizi medici e farmacologici; più del 50% delle istituzioni sanitarie che si occupano di malattie croniche sono in mano ai privati, così come lo sono più dell’80% delle istituzioni di assistenza sanitaria residenziale. I tagli della prossima legge di bilancio assecondano questa metastasi.”
Privacy Pride
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