Da est a sud, alle tecnologie dirompenti. Così la Nato si prepara alle sfide
In uno scenario internazionale in continuo mutamento è fondamentale riflettere sul ruolo attuale e futuro della Nato, sulla postura dell’Unione europea, e in modo più ampio, comprendere lo stato delle relazioni transatlantiche. Analogamente, è essenziale analizzare le sfide che attendono l’Alleanza e l’Unione, dalle minacce ibride a quelle convenzionali. Questi i temi trattati nel corso di due panel, moderati dal direttore di Formiche e Airpress, Flavia Giacobbe, e l’onorevole Paolo Alli, segretario generale della Fondazione De Gasperi, durante la prima giornata della terza edizione dei Security and Defence Days, iniziativa organizzata proprio dalla Fondazione De Gasperi, insieme al Wilfried Martens Centre for European Studies, in collaborazione con la Nato Public diplomacy division e Regione Lombardia e in media partnership con Formiche.
Quali sfide per la Nato
Il vertice Nato di Vilnius ha tratteggiato “una terza fase nella storia ed evoluzione dell’Alleanza”, ha affermato Nicola De Santis, head Engagement section della Public diplomacy division della Nato, poiché “le decisioni prese hanno rappresentato l’ulteriore adattamento dell’Alleanza ad un contesto strategico globale che è in rapida trasformazione”. Il ritorno della guerra nel continente europeo con il conflitto russo-ucraino ha dato un nuovo slancio al ruolo della Nato. Oggi l’Alleanza si trova ad affrontare nuove sfide, come la guerra ibrida, l’uso dell’intelligenza artificiale in ambito militare o l’applicazione delle tecnologie quantistiche. Ma anche l’uso sempre maggiore da parte di Russia e Cina di mezzi di carattere politico, economico o sociale come forma sia di coercizione che di dipendenza negli altri Paesi e, in ultimo, come strumento di guerra.
Le faglie di tensione nel mondo
Il senatore Marco Dreosto, membro della commissione Affari esteri e difesa, ha invece sottolineato il lavoro che si sta svolgendo per riportare il tema della difesa al centro del dibattito politico e che “il posizionamento geopolitico italiano resta invariato nella cornice strategica dell’Alleanza e accanto ai partner tradizionali”. Oltre al confine est europeo, anche altre faglie destano profonda preoccupazione. Il recente attacco di Hamas contro Israele ha riacceso i riflettori sulla zona del Mediterraneo. Ma guardando verso l’Asia e la zona dell’indopacifico, in particolare lo Stretto di Taiwan, preoccupano anche le interconnessioni tra le potenze autocratiche come Cina, Iran e Russia che ad oggi usano strumenti di disinformazione e propaganda per destabilizzare i Paesi democratici.
Il futuro della difesa europea
Per Angelino Alfano, presidente della Fondazione De Gasperi, “l’Europa si rivede nella dimensione transatlantica in modo del tutto coerente con gli ideali degasperiani”. Ma il primo presidente del Consiglio della Repubblica italiana credeva molto anche nell’idea di un progetto di difesa comune europea, che non ha ancora mai visto la luce. Il Vecchio continente è circondato da uno spazio geopolitico in tensione che dal Caucaso si estende fino all’Africa. “È in questo contesto che l’Europa deve domandarsi che tipo di attore vuole essere nello scacchiere internazionale”, ha ricordato il Presidente. La storia insegna che per essere rilevanti negli scenari globali è fondamentale possedere un sistema di deterrenza. Di conseguenza, il dibattito europeo dovrebbe includere anche il ruolo che l’Unione vuole avere nel campo della difesa all’interno della cornice dell’Alleanza atlantica.
Contro la paralisi cerebrale Nato
“L’ Europa è una costruzione politica dove il sogno della difesa comune non è fine a se stesso, ma è lo strumento essenziale per realizzare lo stesso fine politico europeo” così ha esordito l’ambasciatore Marco Peronaci, Rappresentante permanente d’Italia presso la Nato, ricordando l’attuale rilevanza del pensiero degasperiano. In questo quadro, ha continuato il rappresentante alla Nato, “la Nato è uno strumento di forza europeo”, pertanto diventa cruciale coadiuvare gli sforzi dell’Alleanza con quelli dell’Unione. A questo proposito, è fondamentale che la Nato superi quella che è stata definita una “paralisi celebrale” sostenendo l’impegno di sicurezza globale statunitense attraverso un più forte coordinamento con il G7 e il G7 plus attraverso i security commitments.
Rafforzare la base industriale
Sulla necessità di rafforzare la cooperazione e gli sforzi comuni tra Ue e Nato si è detto d’accordo anche il contrammiraglio Pietro Alighieri, senior advisor del segretario generale della Difesa, sottolineando l’importanza di incrementare la coordinazione industriale tra i Paesi membri. Infatti, secondo l’ammiraglio, “dobbiamo evolvere in una relazione diversa dove industria e difesa vanno a braccetto in un’intima connessione verso il futuro” in modo da raggiungere la desiderata sovranità tecnologica. La Nato, come ricordato da Alighieri, si è già mossa in questo senso attraverso il progetto Diana e il Nato Investment fund, piani essenziali per garantire stabilità e certezza degli investimenti attraverso il supporto alle start-up dual use e gli investimenti in tecnologie deep tech.
Collaborazione pubblico-privata
Rafforzare gli investimenti tecnologici è cruciale anche secondo Walter Renna, ceo di Fastweb, soprattutto a causa di quello che potrebbe essere definito “il paradosso italiano”. Come illustrato dall’amministratore delegato, l’Italia è un Paese soggetto a un numero considerevole di attacchi phishing a causa della scarsa alfabetizzazione tecnologica della popolazione, ma caratterizzato dalla presenza di diverse eccellenze nel settore che però hanno difficoltà a trovare personale specializzato per via del numero ridotto di laureati in discipline Stem. Di conseguenza, secondo il Ceo, il rapporto tra le telecomunicazioni e la Difesa si fa sempre più stretto e un’azienda leader del settore come Fastweb “vuole contribuire alle sfide di difesa italiane” occupandosi di cyber-sicurezza. È quindi fondamentale porre l’innovazione al centro degli sforzi di sicurezza del Paese, attraverso ulteriori investimenti in quantum computing e crittografia.
Manifestarsi
In Francia e in Germania hanno proibito le manifestazioni a favore della causa palestinese. Sono manifestazioni che utilizzano il popolo palestinese quale ostaggio verbale, come Hamas lo usa quale ostaggio materiale. Alla Fiera di Francoforte hanno deciso di sospendere la consegna di un riconoscimento a una scrittrice palestinese, conosciuta per le sue tesi anti israeliane. Si tratta di due errori. Le manifestazioni non si proibiscono (salvo che non ricorrano specifici problemi di ordine pubblico) e i premi assegnati si consegnano (semmai interrogandosi sui criteri d’assegnazione). Il perché non si trova soltanto nel generico e pur importante fatto che noi siamo il mondo libero e difendiamo la libertà dei nostri avversari e di chi la pensa diversamente da noi, ma risiede nella convenienza: le ragioni della civiltà non devono temere le parole di chi le mette in discussione, non devono avere timore.
È facile osservare che manifestazioni a favore della (presunta) causa palestinese sono possibili nelle nostre strade, mentre non lo è vederne a favore di Israele in Cina o in Russia. Il che vale anche per la libertà di culto: è facile trovare moschee dalle nostre parti, meno trovare chiese in tante (non tutte) aree musulmane. Vero, ma non c’è un solo buon motivo per cui si debba aspirare ad assomigliare al peggio essendo il meglio.
Non è saggio togliere la parola, lo è darla. E ritrovarla. Gli estremisti si amano fra di loro e si scambiano vicendevolmente la legittimazione: esisto e sono violento perché c’è quell’altro che esiste ed è violento; tolgo la parola perché quell’altro non riconosce la libertà di parola; affermo essere unica la mia identità religiosa perché quell’altro vuole che sia unica la sua. Sono colleghi. Il che capita anche in politica ed è la ragione per cui le piazze d’Israele erano piene di vita e opposizione, prima che Hamas le riempisse di morte: il governo provava a svellere i cardini del diritto, cercando la forza nel perdurare del nemico alle porte. Finché il nemico le ha sfondate. Gli estremisti collaborano fra loro, li si combatte collaborando fra ragionevoli.
Il guaio è che gran parte dei ragionevoli rinunciano alla parola o la danno per scontata. Invece si potrebbe perderla, continuando a dire che sono “tantissimi” i manifestanti anti occidentali, mentre sono ben più numerosi i cittadini della libertà. Il guaio è lasciare la piazza agli estremisti. Compresa la piazza digitale. Invece non si dovrebbe mai lasciare senza replica, non si dovrebbe mai smettere di esporre le proprie idee e richiamare i fatti. Questo è il modo per combattere i nemici della storia.
Una digressione su casa nostra. Per ricordare l’infamia del 16 ottobre 1943, quando la comunità ebraica di Roma fu rastrellata e inviata alla morte, la presidente del Consiglio ha detto che si tratta di «uno dei crimini più efferati che la storia italiana abbia conosciuto», perpetrato dai «nazisti con la complicità fascista». Lo sapevamo già, ma va sottolineato un miliardo di volte e vanno valorizzate le parole di chi è cresciuto sulla scia dell’ammirazione verso il fascismo. O vogliamo essere così ipocriti da negare il valore di quelle parole e il disvalore di quella provenienza? Si deve essere ottusi per non capire che la giusta posizione di politica estera del governo italiano, sia sulla questione ucraina che su quella israeliana, discende dall’avere rinnegato quell’orrida radice. E si deve essere ciechi per non accorgersi che nel governo ci sono diverse posizioni. Così come nell’opposizione. La parola serva a non tacerlo.
Israele è un bastione della libertà occidentale, come l’Ucraina è una trincea della sicurezza occidentale. Né Israele né l’Ucraina sono la perfezione, perché la perfezione è dei pazzi assassini, invasati e mistici. Ma l’attacco a Israele e all’Ucraina viene dai nemici del nostro mondo. A quanti, in casa nostra, si schierano da quella parte non va tolta la parola: vanno ricoperti di parole, colpo su colpo, senza nulla concedere.
La Ragione
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Il Ministero dell'Istruzione e del Merito e l'Accademia della Crusca organizzano il Corso di didattica di Italiano "Le parole dell'italiano: idee e pratiche efficaci per insegnare e apprendere il lessico".
Ministero dell'Istruzione
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Carri, missili e caccia del futuro. Cosa c’è nel Dpp di Crosetto
L’impiego delle Forze armate prioritariamente nelle missioni di pace e stabilizzazione è un lusso che l’Italia non può più permettersi. Apre così il ministro della Difesa, Guido Crosetto, il Documento programmatico pluriennale (Dpp) con la quale il dicastero presenta le previsioni di spesa necessario per l’anno corrente e il prossimo triennio. A segnare questo nuovo Dpp c’è soprattutto il “deterioramento del quadro generale di sicurezza”, che impone un ripensamento di come lo strumento militare è stato impiegato finora, tornando a essere “il principale baluardo in termini di difesa e deterrenza da tutti i tipi di minacce, presenti e future, che la nostra Nazione si potrebbe trovare ad affrontare e che possono mettere a rischio i nostri interessi nazionali”, indica il ministro nella sua introduzione al documento. Nel testo, vengono infatti presentati 193 programmi di procurement, a cui si aggiungono 33 programmi di ammodernamento delle Forze armate che riceveranno l’ulteriore impulso del Fondo relativo all’attuazione dei programmi di investimento pluriennale per le esigenze di difesa nazionale, in Legge di Bilancio 2023.
Il budget
La dotazione complessiva per il 2023 della Difesa ammonta a 27 miliardi e 748 milioni di euro, una cifra pari all’1,38% del Pil. Una crescita di un miliardo e ottocento milioni rispetto a quella dell’anno scorso, fissata a 25 miliardi e 900 milioni, e un’inversione di tendenza rispetto a quanto previsto sempre per il 2023 nel Dpp del ’22 (che prevedeva per l’anno in corso 25 miliardi e 492 milioni). Nel nuovo documento, invece, per il 2024 e il 2025 si prevede un investimento di 27 miliardi e 278 milioni e 27 miliardi e 485 milioni rispettivamente. Cifre importanti, ma che segnalano un rapporto con il Pil pari all’1,30% e all’1,26%. Naturalmente, queste cifre dovranno poi essere riviste nelle successive previsioni di bilancio. Nonostante questo, il ministro è categorico: “Non devono esserci dubbi in merito alla necessità di proseguire nel percorso di adeguamento ed incremento del bilancio della Difesa, per affrontare le nuove sfide e per rispettare gli impegni assunti in ambito Nato: siamo infatti ancora lontani dall’impegno di conseguire una spesa per la Difesa pari al 2% del Pil entro il 2028”, data da sempre prevista, e confermata da governi di diverso colore, come quella entro la quale il nostro Paese dovrà raggiungere il traguardo.
Lo scenario strategico
Il Documento, inoltre, recepisce anche il Concetto strategico del capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, che delinea il complesso quadro operativo nel quale le Forze armate sono chiamate oggi a operare. “La sicurezza dell’Italia e della comunità internazionale – scrive il capo di Smd – è divenuta più complessa” e lo scenario geopolitico attuale è caratterizzato “da articolate dinamiche di competizione strategica accelerate dalla crisi ucraina”. Tutto questo “colloca in una posizione di rinnovata centralità e rilevanza il cosiddetto Mediterraneo Allargato, quadrante di primario interesse strategico per l’Italia e spazio ove criticità dalle radici storiche si intersecano a minacce ibride, a conflitti di intensità variabile ed a confronti multidominio”. E la crisi in Israele non fa che confermare quanto descritto.
Rinnovamento delle forze pesanti: carri…
Quello che emerge dai numeri e dalle impostazioni del Dpp è lo sforzo di ammodernamento e potenziamento dello strumento militare, chiamato ad affrontare il ritorno della sfida convenzionale nell’orizzonte delle minacce, e per la quale le Forze armate devono essere messe nelle condizioni di affrontarla. Uno sforzo che segue anni di focus sui conflitti a bassa intensità e operazioni di contro-insorgenza. Tra i principali gap individuati, e da tempo segnalati dall’intero comparto militare, c’è l’adeguamento della componente pesante delle forze di terra in ogni sua parte, che infatti registra la maggior parte dei programmi di previsto avvio (budget complessivo di quattro miliardi e 623 milioni), a cominciare dal già annunciato acquisto dei carri armati da battaglia Leopard 2, e varianti, dalla Germania, per i quali sono stati stanziati due miliardi e 624 milioni. Ma quello del main battle tank non è il solo programma.
… e missili
Per l’esercito infatti è previsto il rinnovamento dell’intera capacità di combattimento forze pesanti attraverso l’acquisizione di un sistema di sistemi (famiglia di piattaforme) per la fanteria pesante (Armored infantry combat system), incentrato su una famiglia di piattaforme sia combat (Armored infantry fighting vehicle) sia di supporto (posto comando, controcarro, esploranti, porta-mortaio, genio guastatori, esploratori, contraereo, portaferiti, portamunizioni, scuola guida). Inoltre, anche la componente contraerea e d’artiglieria vengono prese in considerazione. Circa 175 milioni saranno dedicati alla nuova generazione di missili spalleggiabili contraerei Vshorad, mentre un fabbisogno complessivo di 960 milioni (al momento finanziati solo con 137 milioni distribuiti in sette anni) è previsto per l’ampliamento della capacità d’artiglieria mediante l’acquisizione di 21 sistema di artiglieria lanciarazzi Himars, oltre al munizionamento e al supporto logistico.
L’impegno del Gcap
Tra tutte le singole voci, però, quella con il finanziamento più alto è, come prevedibile, quello per il caccia di sesta generazione Global air combat programme (Gcap), con oltre cinque miliardi di euro in bilancio. Per il Dpp, “La partecipazione della Difesa al programmainsieme a Uk e Giappone, garantirà all’Italia l’esclusivo accesso ad un progetto destinato ad avere risvolti non solo nell’ambito tecnologico militare ma anche a favore della crescita sistemica delle filiere produttive operanti nel settore della digitalizzazione”, definendo il progetto un “piano di naturale estensione all’intero Sistema-Paese”. L’onere finanziario è estremamente importante per il budget della difesa, e il programma ha infatti ricevuto una “necessaria integrazione attraverso risorse a “fabbisogno” recate dalla legge di bilancio del 2023”. Di fronte a questo investimento, sarà perciò fondamentale assicurarsi, attraverso la cooperazione tra governo, Difesa, istituzioni e, soprattutto, industria, che i ritorni per l’Italia siano adeguati al livello di impegno previsti. L’intero settore che partecipa al Gcap, quindi, è chiamato a sostenere le ambizioni dell’Italia all’interno del programma.
📌 Dal 26 al 28 ottobre a Bologna, presso Opificio Golinelli, si terrà un seminario sull’insegnamento di Matematica e Scienze nella Secondaria di I grado, promosso dal MIM.
La tre giorni sarà introdotta, il 26 ottobre alle 14.
Edward Said ha letto nella Storia il futuro della Palestina
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Pagine Esteri, 18 ottobre 2023. Riproponiamo questo articolo su Edward Said scritto nel 2021, dopo i disordini avvenuti in Cisgiordania e a Gerusalemme, seguiti dai bombardamenti israeliani della Striscia di Gaza. Nel mese di maggio le proteste per gli espropri di case palestinesi a Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme, si sono trasformati in scontri con la polizia israeliana. All’aggressione dei fedeli nella Moschea di Al Aqsa a Gerusalemme ha fatto seguito un lancio di razzi da Gaza verso Israele da parte di Hamas e della Jihad Islami che ha ucciso 13 israeliani. L’esercito ha bombardato Gaza, causando circa 250 morti.
di Eliana Riva
Pagine Esteri, 26 luglio 2021 – “L’unica decisione che sarà necessario prendere per quanto riguarda la conoscenza della Storia è se dovremo insegnarla dall’indietro in avanti o da avanti all’indietro” (Tertuliano Màximo Afonso).
Si potrebbe cominciare raccontando del caprone e dell’acro di Weizmann oppure dell’ultima escalation militare, quella dello scorso maggio, tra Israele e Hamas; si potrebbe partire da Sheikh Jarrah o dall’occupazione israeliana del 1967. È complicato individuare un altro storico, scrittore, intellettuale che sia tanto legato al suo tempo e al suo luogo pur riuscendo ad attraversarli, superarli e ritornarvi.
Nel 1996 Edward Said scriveva, in uno dei suoi interventi meno pessimisti sul futuro, che “La scommessa stava nel trovare un modo pacifico di coesistere non come ebrei, musulmani e cristiani ma come cittadini a pari diritto in una stessa terra”.
All’inizio di luglio la Corte Suprema israeliana ha decretato la legittimità della cosiddetta Legge fondamentale o legge Stato-Nazione, che la Knesset aveva approvato nel 2018. Ha rigettato le obiezioni di chi riteneva che questa legge non fosse democratica e rispettosa delle minoranze. La legge Stato-Nazione è il provvedimento che sistema giuridicamente e rende legale la definizione di Israele come Stato della nazione Ebraica. Lo stato degli ebrei.
In Israele circa il 21% della popolazione è composta da arabi, dai palestinesi. La legge Stato-Nazione dichiara che “l’adempimento del diritto all’autodeterminazione nazionale nello stato di Israele è unico per gli Ebrei” e fa esplicito riferimento alla Terra d’Israele quale patria storica degli ebrei. La Terra d’Israele così intesa è la Palestina storica, tutta la regione, quindi che comprende ora Israele e i Territori Palestinesi Occupati. E la norma vi promuove lo sviluppo dell’insediamento ebraico.
Cosa significa tutto questo?
Quando si analizzano le leggi, i regolamenti e le decisioni politiche e giuridiche in Israele, anche quelli più recenti, è necessario tener sempre bene a mente che nella stragrande maggioranza dei casi sono in completa continuità con un progetto pensato, scritto e sostenuto molti anni fa, almeno un secolo. Come le altre, dunque, la legge Stato-Nazione non fa altro che formalizzare una direzione e un progetto che Israele o meglio, l’Organizzazione Mondiale Sionista, aveva già ben chiaro in mente, prima ancora della nascita dello Stato ebraico. Certo, la legge Stato-Nazione in un certo senso legalizza l’apartheid e la discriminazione, ma non ne decreta certo la nascita. Il Jewish National Fund, l’organismo autorizzato a comprare la terra e a gestirla in nome e per conto dell’intero popolo ebraico, è nato nel 1901 e ha cominciato ad acquistare terra nel 1905. Acquistava e affittava terre solamente per gli ebrei. Lo sviluppo dell’insediamento ebraico ne era già l’obiettivo. Perseguito poi negli anni, fino all’occupazione delle case e dei terreni dei profughi palestinesi del 1948, ai quali è stato negato il diritto al ritorno sancito dalle leggi internazionali, e ai quali non è consentito reclamare la proprietà di quelle terre, cosa permessa invece agli ebrei.
Il progetto è stato portato avanti anche in seguito, con gli espropri, con l’espansione delle colonie israeliane nei Territori Palestinesi Occupati, con la Legge degli assenti, con la politica demografica, il divieto al ricongiungimento familiare e così via.
“Il successo del sionismo – dice Edward Said – e la sua efficacia a superare la resistenza arabo-palestinese, sta nel suo essere una politica attenta ai minimi dettagli e non semplicemente una generica visione colonialista. Quindi la Palestina, già dal principio, era un territorio con le sue caratteristiche che fu studiato fino all’ultimo millimetro per pianificarne la colonizzazione, fino ai minimi particolari”.
E il progetto sionista poteva essere realizzato solo centimetro per centimetro, passo per passo. “Un altro acro, un altro caprone” come disse appunto Weizmann, il primo presidente dello Stato d’Israele.
E i palestinesi? Said scrive “gli arabi non hanno saputo rispondere a questo progetto. Forse perché credevano che bastasse il fatto che vivevano lì e possedevano quelle terre”.
Chaim Weizmann
Ma come è potuto accadere che un piano tanto ambizioso e complicato venisse nei fatti realizzato e che anzi sia dopo un secolo in avanzatissima fase attuativa, con gli espropri a Gerusalemme Est, le colonie in espansione, la distruzione dei villaggi beduini, eccetera?
Sono stati di fondamentale importanza i negoziati di pace e il ruolo di giudice assegnato agli Stati Uniti d’America. Said ha letto con estrema lucidità ciò che per molti è diventata un’evidenza solamente dopo molti anni: il Processo di pace aveva il compito di dare maggiore sicurezza e terra a Israele, non di restituirla ai palestinesi.
Come? Con il principio dello status quo, la politica del fatto compiuto, the facts on the ground li chiamano durante i negoziati gli israeliani e i palestinesi. Ha assunto un’importanza totalizzante nel processo di espansione israeliano. Ed è sempre in quest’ottica che si devono guardare i continui espropri di case palestinesi a Gerusalemme Est e gli avanzamenti degli outpost e delle colonie israeliane nei Territori Palestinesi Occupati.
Said aveva già nel 1996 scritto di quanto il concetto dello status quo venisse sistematicamente distorto dai governi israeliani, con il supporto dei negoziatori statunitensi. “Un tempo voleva dire non rinunciare alle posizioni raggiunte, scrive, ma oggi significa derubare aggressivamente il proprio partner di pace (con il suo aiuto) per assicurarsi a sue spese nuovi profitti”.
Ottenere più che si può, tutto quello che è possibile prima di essere, eventualmente, costretti a fermarsi.
Questa è la politica dello status quo, di cui parlava Said. Ed è molto più semplice perseguirla se ci si presenta puntuali agli appuntamenti per i negoziati di pace.
Edward Said aveva compreso perfettamente che spezzettare i negoziati in fasi propedeutiche e fasi conclusive, tutte anticipate dalla firma dell’OLP, avrebbe significato arrivare, una volta giunti alla fase sullo Status definitivo, a non poter più negoziare niente. Perché i palestinesi non avrebbero avuto più nulla da contrattare, avendo sottoscritto già tutto prima, senza chiedere garanzie sulle tematiche fondamentali: Gerusalemme, i profughi, gli insediamenti.
Yitzhak Rabin e Yasser Arafat
Era l’8 novembre 1995. Le trattative sullo Status definitivo non erano ancora cominciate ma Edward Said poteva già prevedere con estrema precisione dove si sarebbe andati a finire.
Le trattative sullo Status definitivo partivano da ciò che era accaduto durante la fase precedente. Tutto ciò che era stato firmato e accettato dall’OLP diventava ora una carta da scambiare per Israele. E l’OLP aveva accettato la presenza dei coloni ad Hebron, l’espansione dei terreni confiscati a Gerusalemme, le ragioni di “sicurezza” dei coloni e poi il territorio spezzettato, la costruzione delle infrastrutture per collegare gli insediamenti, cose che hanno ristretto sempre più un territorio palestinese diventato pian piano troppo piccolo per poter accogliere i rifugiati del 1948, altra cosa sulla quale, quindi, diventava impossibile negoziare.
Ecco allora l’importanza della politica del fatto compiuto e il fallimento totale dei negoziati di pace: i palestinesi provano a far partire la negoziazione dai confini riconosciuti dalla legislazione internazionale ma gli israeliani, invece, continuano a far presente che le cose sono cambiate, che non si può negoziare su qualcosa che non esiste più ma si deve partire dai Facts on the ground, dalla realtà territoriale come è in quel momento. Ed è per questo che la realtà territoriale deve essere cambiata di continuo e in fretta da Israele, per questo non si può fermare la costruzione delle colonie, per questo non si possono bloccare gli espropri, né prima, né durante, né dopo i negoziati di pace.
Per i palestinesi questo vuol dire dover riconoscere le colonie illegali israeliane e le infrastrutture che le collegano e provare a trovare un accordo tuttalpiù su un semplice scambio di terra, nel tentativo disperato di riuscire ancora a dare una qualche continuità a quello che dovrebbe, che poteva essere uno stato palestinese.
La realtà, però, è ben peggiore: pur accettando di partire dai dati di fatto, pur accogliendo tutte le precondizioni poste dai negoziatori israeliani, i palestinesi non hanno mai avuto, già da Oslo, una reale possibilità di trattare qualcosa. E “l’inganno”, come lo ha definito Edward Said, è saltato fuori per intero negli ultimi anni, quando l’Autorità Nazionale Palestinese ha concesso tutto ciò che poteva, ha accettato il ritorno di un numero simbolico di profughi, chiesto solo un piccolo scambio di terre in cambio del riconoscimento delle colonie, consegnato gran parte di Gerusalemme est ad Israele. “Lo apprezziamo molto. Grazie ma no grazie” hanno risposto gli israeliani, salvo poi prendersi con la forza degli espropri, un po’ alla volta, quello che i palestinesi gli avevano proposto di scambiare. L’inganno è venuto fuori ancora una volta a settembre del 2020, con la firma degli “Accordi di Abramo”, una normalizzazione, soprattutto economica e militare tra Israele e alcuni paesi arabi che è solo l’ufficializzazione di ciò che già avveniva nonostante la Palestina, nonostante i palestinesi.
Benjamin Netanyahu, Barack Obama e Abu Mazen
“Per l’Autorità Nazionale Palestinese ogni cosa, inclusi i diritti umani, va sacrificata alla pia immagine del processo di pace”, Said non riusciva a comprendere come fosse possibile che l’Olp e l’ANP poi avessero accettato di negoziare senza alcuna garanzia sulle questioni fondamentali, la cui discussione veniva anzi spostata ad una fase “definitiva” dei negoziati stessi. “Arrivati a quella fase non avrete più niente da negoziare”, diceva Said, e così è stato.
Le critiche di Said all’Olp di Arafat e all’ANP sono state spietate e, ancora una volta, profetiche. Hanno previsto una subalternità e una debolezza sempre crescenti, il meccanismo perverso che, una volta innescato, ha incastrato i suoi rappresentanti nella maniera dualistica e manichea che conosciamo: santi negoziatori o diavoli terroristi. Non è più esistita una via di mezzo. Le contestazioni e le manifestazioni che stanno attraversando in queste settimane la società palestinese sono lo strascico di un lungo processo di decostruzione e allontanamento della leadership palestinese dal popolo che dovrebbe rappresentare.
Insomma, attraverso a Edward Said la storia della Palestina si può leggere e comprendere sia dall’indietro in avanti che da avanti all’indietro, perché come diceva Tertuliano Màximo Afonso attraverso la penna di José Saramago, “parlare di un presente che ogni minuto ci scoppia in faccia, parlarne tutti i giorni dell’anno mentre si risale navigando nel fiume della Storia fino alle origini, o lì nei pressi, sforzarci di comprendere sempre meglio la catena di avvenimenti che ci ha portato dove stiamo ora, questa è ben altra musica, dà un mucchio di daffare, richiede costanza nell’applicazione, bisogna mantenere sempre la corda tesa, senza rotture”.
E della Storia Said si era fatto un’idea precisa e finanche spietata: “La storia, ahimé, è un arbitro crudele dei popoli piccoli e sproporzionatamente deboli. La pace va fatta tra uguali, ed è proprio questo che [qui] non funziona”.
- Edward Said, La questione palestinese, il Saggiatore, Milano, 2001
- E. Said, Fine del processo di pace. Palestina/Israele dopo Oslo, Feltrinelli, Milano, 2002.
- E. Said, La pace possibile. Il testamento politico del grande intellettuale palestinese, il Saggiatore, Milano, 2005
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Il 19 ottobre torna l’appuntamento mensile con L'Ora di Costituzione!
L'iniziativa sostenuta dal Senato prosegue con il ciclo di incontri per illustrare i principali articoli della Carta agli studenti.
In Cina e Asia – Xi presenta il nuovo corso della Belt and Road
I titoli di oggi: Belt and Road forum, Vladimir Putin arriva in Cina Chip war, nuove limitazioni in arrivo dagli Usa Per la prima volta i Five Eyes accusano pubblicamente la Cina di spionaggio Cina, una commemorazione di basso profilo per i 110 anni di Xi Zhongxun Cina, sempre più limitazioni ai viaggi all’estero di dipendenti statali e banchieri Cina-Australia, ...
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Chat control vote postponed: Huge success in defense of digital privacy of correspondence!
Tomorrow, Thursday 19 October, the Justice and Home Affairs Council will not adopt its position EU regulation on “combating child sexual abuse”, the so-called chat control regulation, as planned, which would have heralded the end of private messages and secure encryption. This is because there is currently not the required majority for the highly controversial and unprecedented regulation. Germany, Austria, Poland and Estonia, among others, are clearly positioning themselves against the current draft, but France also has questions. This is now the second time that the planned vote has been postponed.
Pirate Party MEP, digital freedom fighter and negotiator for his group in the European Parliament, Patrick Breyer, cheers:
“Without the commitment and resistance of countless individuals and organizations in Europe, the EU governments would have decided tomorrow in favour of totalitarian indiscriminate chat control , buried the digital privacy of correspondence and secure encryption. The fact that we have prevented this for the time being should be celebrated! I am particularly pleased that the multi-million Euro professional lobbying and disinformation campaign by a network of the EU Commission and supposed child protection lobbyists has failed for the time being.
Now the critical governments should finally do their homework and agree on joint demands . It is not enough to be against chat control. The suspicionless, error-prone screening of private messages is the most toxic part of the draft regulation, but the problems go far beyond that. We therefore need a new approach that focuses on preventive child protection instead of mass surveillance and paternalism! The last ‘compromise proposal’ of the Council Presidency must be fundamentally revised in at least 5 points:
- No suspicionless chat control: Instead of blanket message and chat control, the judiciary should only be able to order searches of the messages and uploads of suspects. This is the only way to avoid a disproportionate mass surveillance order inevitably failing in court and achieving nothing at all for children. There must also be no untargeted ‘voluntary chat control’ by Internet corporations.
- Protect secure encryption: So-called client-side scanning to infiltrate secure encryption must be explicitly ruled out. General declarations of support for encryption in the text of the law are worthless if scanning and extraction take place even before encryption. Our personal devices must not be perverted into scanners.
- Protect anonymity: Remove mandatory age verification by all communications services to save the right to communicate anonymously. Whistleblowers risk being silenced if they have to show ID or face to the communications service before leaks.
- Deleting instead of blocking: Instead of trying and failing to block exploitative postings via access providers or search engines, it should become mandatory for hosters and law enforcement to delete or have deleted reported exploitative postings at the source.
- No app censorship for young people: It is completely unacceptable to exclude young people from apps such as Whatsapp, Instagram or games in order to protect them from grooming. Instead, the default settings of the services must become more privacy-friendly and secure. The push for suspicionless chat control is unprecedented in the free world. It divides child protection organizations, abuse victims, other stakeholders, the Parliament and the Council. It’s time for a fresh start that relies on consensus. I am convinced that we can protect children and all of us much better with a new approach.”
Anja Hirschel, top candidate of the Pirate Party for the European Election 2024, comments:
“The push for indiscriminate chat control is a profound attack on our privacy and unprecedented in the free world. It divides child protection organizations, abuse victims, other stakeholders, the Parliament and the Council. It is time for a fresh start that builds on consensus. I am convinced that we can protect children and all of us much better with a new approach. And we can do it without sacrificing our fundamental liberties.”
Meanwhile, negotiations in the European Parliament will continue tomorrow with what is likely to be the final round of negotiations. On October 25, EU Home Affairs Commissioner Ylva Johansson will have to answer to the LIBE Committee in the wake of the chat control lobbying scandal.[1] Already on October 26, the Home Affairs Committee (LIBE) is expected to vote on the European Parliament’s position and give a trilogue negotiating mandate, without a plenary vote by all MEPs planned. By the next EU interior ministers’ meeting in December, EU governments could then also have agreed on a position.
[1] patrick-breyer.de/en/breyer-on…
Breyer’s information portal on chat control: www.chatcontrol.eu
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LIVE. GAZA/ISRAELE. Giorno 12. Ospedale bombardato, è scontro sulle responsabilità, palestinesi insistono: “è stato Israele”
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Pagine Esteri, 18 ottobre 2023. Ieri sera il bombardamento dell’ospedale al-Ahli di Gaza City ha causato almeno 500 morti. Alcuni portavoce israeliani hanno dapprima rivendicato l’attacco, come ha fatto Hananya Naftali, portavoce social del premier israeliano Banjamin Netanyahu, che dopo l’esplosione all’ospedale ha pubblicato un messaggio sul suo canale Telegram in cui ha scritto: “L’aeronautica israeliana ha colpito una base terroristica di Hamas all’interno di un ospedale a Gaza. Molti terroristi sono morti. È straziante che Hamas lanci razzi da ospedali, moschee, scuole e utilizzi i civili come scudi umani”.
Dopo qualche ora, però, le forze armate israeliane hanno negato di aver svolto un’operazione militare sull’ospedale e hanno rilasciato la propria versione ufficiale, secondo la quale sarebbe stato un razzo della Jihad Islami, sparato da Gaza, a cadere per errore sulla struttura che ospitava migliaia di feriti, compiendo una strage.
Questa mattina il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, ha rilasciato una dichiarazione: “Secondo la nostra intelligence, Hamas ha controllato i rapporti e ha capito che si trattava di un errore della Jihad islamica palestinese, quindi ha lanciato una campagna mediatica globale con un numero gonfiato di vittime“.
L’Ambasciatore Palestinese alle Nazioni Unite, Riyad Mansour, ha accusato il presidente Netanyahu di essere un bugiardo: “Il portavoce israeliano dell’esercito ha emanato una settimana fa un ordine che diceva di evacuare l’ospedale perché era un obiettivo. E infatti lo hanno colpito una settimana fa. Hanno detto ‘evacuate altrimenti vi colpiamo’ e così hanno fatto. È inutile inventare storie”.
Quando la notizia della strage ha cominciato a diffondersi, manifestazioni e proteste si sono tenute in Cisgiordania e in diversi Paesi Arabi. A Ramallah i dimostranti hanno cantato slogan contro il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e hanno colpito a sassate una autovettura delle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese. Queste ultime hanno risposto sparando sulla folla.
In Giordania è stata presa d’assalto l’ambasciata israeliana.
Israele ha inviato un nuovo ordine di evacuazione per la popolazione palestinese del nord di Gaza, intimandole di spostarsi verso il sud della Striscia.
Dopo la strage all’ospedale di Gaza la Giordania ha annullato la visita, prevista per oggi, del presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Il leader USA incontrerà in mattinata Netanyahu per riconfermare il sostegno incondizionato a Israele. Avrebbe dovuto incontrare in Giordania i leader palestinesi e quelli egiziani.
Il portavoce del ministero degli Esteri russo ha chiesto a Israele di rilasciare le immagini satellitari dell’area di Gaza colpita ieri, per verificare la versione secondo cui non sarebbe stato un bombardamento delle IDF a distruggere l’ospedale.
Durante la notte non si sono fermati i raid aerei israeliani, che hanno ucciso almeno altri 37 palestinesi nel campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza. Pagine Esteri
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Firenze; immigrati islamici uccidono!
#Firenze.
La notte del 17 ottobre 2023 tre giovani -dicono- provenienti dalla #Tunisia hanno messo chissà come in moto una #BMW in via #Alfani e sono fuggiti finendo per uccidere un signore che le gazzette dei giorni successivi dipingeranno come benvoluto da tutti e appassionato di filosofia e letteratura.
La foto in alto è quella di una moto BMW del 2004, lo stesso anno di immatricolazione di quella rubata dai tre ragazzi.
Allora.
Chi si impossessa di un mezzo del genere e lo usa per percorrere a forte velocità e in senso contrario a quello stabilito dalla segnaletica una strada cittadina costituisce un perfetto esempio di completa adesione ai valori occidentali dominanti.
Chi sporca il web e le gazzette ciarlando di #risorse, #Islam e #immigrazione -immigrazione che tra l'altro viene presentata da più di trent'anni come un'emergenza invece che come un dato strutturale- lo fa per incompetenza, dimostrando tante volte ce ne fosse bisogno quale spreco di denaro rappresenti costringere tante migliaia di buoni a nulla a frequentare per dieci anni consecutivi le lezioni della scuola obbligatoria, o lo fa per propaganda, dimostrando in questo caso di essere mosso da malafede.
Nel primo caso siamo davanti a un diritto senza dubbio discutibile, ma esercitato a titolo gratuito.
Nel secondo caso siamo davanti a un "lavoro" del tipo retribuito qualche decina di euro a pezzo, che serve a riempire il bianco che c'è nelle gazzette fra una pubblicità e l'altra.
Weekly Chronicles #50
George Orwell era un sadico, misogino e omofobo
Anna Funder, la biografa di Eileen O’Shaugnessy, moglie di Orwell, ci racconta che Orwell era un uomo complicato.
Anna ha presentato il suo libro, “Mrs Orwell’s Invisible life” al Cheltenham Literature Festival, raccontando che Orwell:
“Voleva disperatamente essere un uomo decente, ed è un qualcosa di onorabile e nobile. Ma scrivere un libro come 1984, che è violento, misogino, sadico, tetro e psicotico, mostra invece tutti difetti dell’autore […] Serve un uomo violento, misogino, sadico e omofobo per scrivere queste cose. […] Una persona perbene e decente, non avrebbe mai avuto questi pensieri.1”
Insomma, se oggi pensate di vivere in un remake di 1984, siete probabilmente anche voi tutte queste cose. Comunque Orwell aveva indubbiamente anche dei difetti e ringraziamo Anna per questa entusiasmante recensione.
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Profilazione e disinformazione dalla Commissione Europea
In questo periodo è entrato in vigore il Digital Services Act, che tra le altre grottesche misure, impone più trasparenza ai social network per i contenuti sponsorizzati (advertisement). Ne ho parlato molto anche io, con ben due articoli dedicati al tema:
Allo stesso tempo, è in corso di discussione il famigerato Regolamento “Chatcontrol”, legge di sorveglianza di massa spacciata come misura contro la pedofilia. Anche di questo ne ho parlato a dismisura:
Ebbene, un ricercatore di Politico, Danny Mekić, ha recentemente pubblicato un’inchiesta2 in cui mostra che la Commissione Europea ha commissionato una serie di contenuti sponsorizzati profilati destinati ai cittadini dei Paesi che sono contrari al Chatcontrol: Paesi Bassi, Svezia, Belgio, Finalandia, Slovenia, Portogallo e Repubblica Ceca.
I contenuti sono tutti uguali, diversi solo nella lingua. Qui ne potete trovare un esempio.
Come se non bastasse la profilazione politica di massa, pare che la Commissione abbia deciso di non visualizzare il contenuto agli utenti che secondo gli algoritmi di X sono appassionati di privacy, euroscettici e perfino cristiani — cioè coloro che in qualche modo avrebbero potuto criticarlo.
Una tale profilazione di massa è niente più che un tentativo privare le persone della loro libertà di autodeterminazione e quindi sovvertire l’ordine democratico, attraverso un’opera di persuasione di massa che colpisce milioni di persone suscettibili a cui mancano gli strumenti per giudicare in modo critico ciò che arriva dalle istituzioni europee.
I Commissari europei come Thierry Breton (DSA) e Ylva Johansson (Chatcontrol) si riempiono la bocca di parole come lotta alla disinformazione, trasparenza, rispetto della democrazia e della libertà… per poi fare l’esatto contrario.
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La California raddoppia sulla protezione dei dati, ma non servirà a nulla
Lo stato della Big Tech raddoppia la portata della sua legge sulla protezione dei dati, molto simile al nostro GDPR. Dal 2026 i cittadini potranno fare una richiesta generale di cancellazione dei loro dati che varrà per tutti i data broker sul mercato, piuttosto che rivolgersi singolarmente a ognuno di loro.
A creare la struttura necessaria per sviluppare un meccanismo del genere ci penserà la California Privacy Protection Agency (una sorta di Garante Privacy). Non è chiaro come, ma potrebbe somigliare a qualcosa di molto simile al nostro Registro delle Opposizioni.
E proprio come il nostro Registro, temo che le belle parole non salveranno — come al solito — i progressisti woke benpensanti.
Forse, piuttosto che immaginare un pulsantone “DELETE ALL”, dovrebbero invece rimuovere barriere all’ingresso del mercato, aprire la competizione anche nel mercato dei dati, e così facendo agevolare indirettamente sistemi più rispettosi della privacy delle persone by design.
Meme della settimana
Citazione della settimana
"All propaganda has to be popular and has to accommodate itself to the comprehension of the least intelligent of those whom it seeks to reach."
Famoso pittore austriaco
dannymekic.com/202310/undermin…
Riforma dell'assetto del mercato elettrico: il Consiglio raggiunge un accordo
@Energia, fonti rinnovabili, approvvigionamento e mobilità
Sono orgoglioso di affermare che oggi abbiamo compiuto un passo avanti strategico per il futuro dell’UE. Abbiamo raggiunto un accordo che sarebbe stato inimmaginabile solo un paio di anni fa. Grazie a questo accordo, i consumatori di tutta l’UE potranno beneficiare di prezzi dell’energia molto più stabili, di una minore dipendenza dal prezzo dei combustibili fossili e di una migliore protezione dalle crisi future. Accelereremo inoltre la diffusione delle energie rinnovabili, una fonte di energia più economica e pulita per i nostri cittadini.Teresa Ribera Rodríguez, terza vicepresidente ad interim del governo spagnolo e ministra per la transizione ecologica e la sfida demografica
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Il più grande quotidiano norvegese raddoppia il pubblico audio con articoli doppiati dall'intelligenza artificiale
@Giornalismo e disordine informativo
Teien ha affermato che l'editore voleva trarre vantaggio da un cambiamento nel comportamento degli utenti verso l'audio e altri formati che consentono al pubblico di svolgere più attività contemporaneamente. Un'altra cosa è stata sfruttare i punti di forza storici dell'Aftenposten nel campo dell'audio.
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La visione strategica che difetta al governo
Tra Esteri e Interni, due fatti politici di prima grandezza si prestano ad essere osservati attraverso la stessa lente e ci suggeriscono un’unica chiave di lettura. In estrema sintesi, la chiave è questa: al presidente del Consiglio Giorgia Meloni, cui l’abilità tattica non manca, occorre una visione strategica. Occorre, cioè, la capacità di mettere a fuoco le convenienze proprie e dell’Italia non nel breve, ma nel medio e nel lungo periodo.
I due fatti sono le elezioni polacche e la legge di bilancio. Cominciamo dal primo.
Gli anni trascorsi all’opposizione, hanno suggerito al leader di Fratelli d’Italia di stringere alleanze a livello europeo con forze politiche non sempre presentabili, ma regolarmente coerenti con l’identità e la retorica di una destra cosiddetta sovranista, oltre che in apparenza destinata a mietere successi elettorali crescenti. Ad oggi, possiamo dire che quella scelta, prevalentemente tattica, non si è rivelata vincente.
In Spagna, Giorgia Meloni si è molto spesa a favore del leader di Vox Santiago Abascal nella convinzione che il vento della Storia ne avrebbe gonfiato le vele. È andata male. Lo scorso luglio Vox ha perso le elezioni, lasciando così la premier Meloni in balia di una sconfitta indiretta e alle prese con un governo, quello spagnolo, ben poco riconoscente. Domenica scorsa, in Polonia, c’è stato il bis.
Il partito alleato della Meloni, il Pis, non è andato male, ma essendo scarsamente coalizzabile a causa del proprio profilo identitario radicale, ha perso il governo fino ad allora presieduto dall’ipersovranista Moraviecki. A vincere è stato Donald Tusk, liberale, già presidente del Consiglio europeo e soprattutto membro autorevole del Ppe. Tusk ha vinto grazie alla sua capacità di stringere alleanze con credibilità di governo.
E la sua vittoria ha sfatato due luoghi comuni: che nelle democrazie avanzate l’astensionismo fosse destinato a crescere favorendo di conseguenza le forze più radicali; che i giovani o non votano o votano per i partiti più estremi. In Polonia, domenica, ha votato il 74% degli aventi diritto (un record) e la maggior parte dei giovani al di sotto dei 29 non solo si è recata alle urne, ma si è schierata a favore dei moderati piuttosto che degli scalmanati. La tattica della Meloni non ha pagato, e oggi è più che mai chiaro che se FdI vorrà partecipare alla prossima alleanza di governo a Bruxelles, dovrà accettare di fare parte di una maggioranza trasversale imperniata, come l’attuale, su Ppe e Pse.
Il secondo fatto politico di prima grandezza, lo si è detto, è rappresentato dalla legge di bilancio licenziata ieri dal Consiglio dei ministri. Una manovra “caratterizzata dalla precarietà”, secondo l’economista Carlo Cottarelli. Giudizio analogo è stato formulato dalla maggior parte degli osservatori nazionali e soprattutto (brutto segno!) internazionali. La manovra, infatti, manca di una visione strategica. Su 24 miliardi, 16 sono in deficit. Cioè a dire che per i due terzi il bilancio dello Stato sarà finanziato indebitandosi. Accrescendo, dunque, il nostro già colossale debito pubblico che tanto allarma gli investitori e le agenzie di rating internazionali. Buona parte dei restanti 8 miliardi, compresi quelli che derivano da una modesta spending review, è costituita da misure non strutturali, bensì occasionali.
Ne risulta anche in questo caso un eccesso di tattica e una carenza di strategia. Manca, insomma, quella visione strategica che il più delle volte fa la differenza tra tirare a campare e governare. Ovvero, tra governare indebolendosi e durare rafforzandosi.
L'articolo La visione strategica che difetta al governo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Good morning everyone!
I installed the latest version of the activitypub plugin for wordpress and I noticed a clear improvement compared to the versions from a few months ago.
Among other things (I don't know if it is an improvement of Wordpress or Friendica), a Friendica account can finally follow a Wordpress blog through activitypub, whereas until some time ago it was unable to force the follow, but could only follow its feed RSS.
That said, with wordpress, I can also follow some profiles, but unfortunately there is a problem with Friendica. In fact, although I can follow profiles of Mastodon, Lemmy, Misskey and Pleroma, I cannot follow the Friendica profile.
When I try to connect, I get the following error:
stream_socket_client(): Unable to connect to ssl://poliverso.org:443 (Connection timed out) (https://poliverso.org/profile/informapirata)
Could any of you help me understand if I'm doing something wrong?
PS: I didn't ask ActivityPub support for Wordpress, since the error seems to only affect Friendica
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Al via le assunzioni di nuovo personale Ata nelle scuole. Grazie a uno stanziamento di 50 milioni di euro il MIM ha autorizzato le scuole a stipulare nuovi contratti a partire dal 16 ottobre fino a fine anno.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola Al via le assunzioni di nuovo personale Ata nelle scuole. Grazie a uno stanziamento di 50 milioni di euro il MIM ha autorizzato le scuole a stipulare nuovi contratti a partire dal 16 ottobre fino a fine anno.Telegram
Giovanni Verga – I Malavoglia
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L'articolo Giovanni Verga – I Malavoglia proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
“Da amico a nemico”: Palestinesi in Israele sospesi dal lavoro a causa della guerra
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di Ylenia Gostoli
Pubblicato su Al-Jazeera il 15 ottobre 2023
(Traduzione a cura di Federica Riccardi) –
Pagine Esteri, 17 ottobre 2023. Sabato 7 ottobre, Noura* si è recata al lavoro come al solito di buon mattino nell’ospedale in Israele dove lavora da più di due anni. L’operatrice sanitaria palestinese aveva dato una rapida occhiata al telegiornale, ma nella fretta di arrivare in tempo al lavoro non aveva compreso appieno la portata di quanto stava accadendo nel Paese: un attacco del gruppo armato palestinese Hamas al sud di Israele che avrebbe causato la morte di almeno 1.300 persone in Israele. In risposta, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha lanciato una campagna di bombardamenti mortali sulla Striscia di Gaza che ha ucciso più di 2.300 palestinesi e ha imposto un assedio totale all’enclave, bloccando le forniture di cibo, medicinali e carburante. Un’invasione di terra sembra imminente.
Ma sabato mattina Noura non era a conoscenza di nulla di tutto ciò. I gruppi armati palestinesi lanciano periodicamente razzi nel sud di Israele, che vengono per lo più intercettati dal sistema di difesa missilistica del Paese, noto come Iron Dome.
Così, quando una collega visibilmente scossa ha parlato a Noura dell’accaduto, lei ha risposto dicendole: “Non è la prima volta” – una risposta che ora riconosce essere stata priva di empatia.
Ma quando sono emersi ulteriori dettagli e la natura senza precedenti dell’attacco è diventata più chiara, Noura è stata convocata nell’ufficio del suo manager, le è stato detto di lasciare il lavoro e di non tornare fino a nuovo ordine, a causa di quella conversazione precedente con la sua collega.
“Mi sono sentita molto offesa, non potevo credere che mi stesse succedendo questo”, ha detto Noura, che è una degli 1,2 milioni di palestinesi cittadini di Israele – circa il 20% della popolazione del Paese.
“Mi sento discriminata“, ha continuato. “Giorno dopo giorno, non te ne accorgi più. Ma lo senti quando succede una cosa del genere. Sai che automaticamente ti trasformi da amico a nemico”.
Poco dopo, ha ricevuto una lettera dalla direzione dell’ospedale, che Al Jazeera ha esaminato, in cui veniva convocata per un’udienza per formalizzare la sua sospensione per aver violato il codice disciplinare dell’istituto, sostenendo l’attacco di Hamas.
Noura ha negato di aver mai pronunciato le parole di cui è stata accusata.
“La cosa che mi ha offeso di più è che quando mi hanno convocata per l’incontro avevano già deciso, la decisione era stata presa. Non hanno voluto ascoltare”, ha detto Noura a proposito dell’udienza, prevista a breve.
Ha parlato con Al Jazeera a condizione di anonimato perché, nonostante tutto, spera di poter essere ascoltata in modo equo e di mantenere il suo lavoro.
Decine di reclami
Noura non è sola. Avvocati e organizzazioni per i diritti umani in Israele hanno ricevuto decine di denunce da parte di lavoratori e studenti che, da sabato scorso, sono stati bruscamente sospesi da scuole, università e luoghi di lavoro a causa di post sui social media o, in alcuni casi, di conversazioni con i colleghi.
Le lettere inviate da alcuni istituti o uffici, esaminate da Al Jazeera, citavano i post scritti sui social media e il presunto sostegno al “terrorismo” come motivo della sospensione immediata “fino a quando la questione non sarà indagata”. In alcuni casi, i destinatari sono stati convocati a comparire davanti a una commissione disciplinare.
“Persone che hanno lavorato per tre, quattro, cinque anni si sono ritrovate a ricevere lettere in cui si diceva di non presentarsi al lavoro a causa di ciò che avevano pubblicato”, ha dichiarato ad Al Jazeera Hassan Jabareen, direttore di Adalah, del Legal Centre for Arab Minority Rights in Israel, da Haifa, città del nord del Paese.
In alcuni casi, “si dice che le udienze si terranno in una data successiva, ma non si [specifica] quando”, ha detto. “L’udienza dovrebbe tenersi prima di ottenere la decisione”.
Adalah è a conoscenza di almeno una dozzina di lavoratori sospesi da sabato scorso in circostanze simili, per lo più a causa di post sui social media. Ha inoltre ricevuto le denunce di circa 40 studenti palestinesi delle università e dei college israeliani che hanno ricevuto lettere di espulsione o sospensione dalle loro istituzioni.
Wehbe Badarni, direttore del sindacato dei lavoratori arabi nella città settentrionale di Nazareth, ha dichiarato ad Al Jazeera che il sindacato sta seguendo più di 35 denunce, tra cui studenti e lavoratori di ospedali, alberghi, stazioni di servizio, ristoranti e call center.
In una lettera visionata da Al Jazeera, un’azienda aveva convocato un dipendente per un’udienza telefonica per “esaminare la possibilità di terminare il rapporto di lavoro con l’azienda” a causa di “post che sostengono attività terroristiche e incitamento”.
“L’incitamento al terrorismo è un’accusa grave che deve essere provata in tribunale”, ha dichiarato Salam Irsheid, avvocato di Adalah. “A nostro avviso, ciò che sta accadendo in questo momento non è legale”.
‘Atmosfera di terrore’
Un altro operatore sanitario con cui Al Jazeera ha parlato a Tel Aviv ha detto che sta facendo tutto il possibile per mantenere un basso profilo, per paura di punizioni. “Nessuno parla della situazione, ogni mattina mi trovo di fronte a facce scontrose e arrabbiate, considerando che sono l’unico palestinese che lavora lì”, ha detto ad Al Jazeera.
“Le notizie sono terribili, ma quando sono al lavoro cerco di far finta che tutto sia solo una notizia. Non posso davvero esprimere o parlare di ciò che sta accadendo”, ha detto. “Dall’ultima guerra [nel 2021] tutti tengono un profilo basso”.
Physicians for Human Rights Israel, un’organizzazione no-profit fondata più di tre decenni fa a Jaffa, ha gestito diversi casi di sospensione di operatori sanitari dal 2021, dopo l’ultima guerra tra Hamas e Israele, secondo la presidente del consiglio di amministrazione, la dottoressa Lina Qassem Hasan.
In un caso di alto profilo, Ahmad Mahajna, medico dell’ospedale Hadassah di Gerusalemme, è stato sospeso per aver offerto dolci a un adolescente palestinese che si trovava sotto la custodia della polizia nell’ospedale, dove veniva curato per ferite da arma da fuoco dopo un presunto attacco. “C’è un’atmosfera di terrore, la gente ha paura”, ha detto la dottoressa Qassem ad Al Jazeera.
Il 12 ottobre era prevista una visita bimestrale a Gaza con il suo gruppo per i diritti umani. La visita di medici e psicologi di questo mese è stata annullata dopo l’attacco di Hamas. Invece, si è trovata a curare i pazienti evacuati dalle loro case nel sud di Israele.
Una stazione radio locale l’ha intervistata durante la sua visita. “In questa intervista, ho detto che ciò che Hamas ha fatto è un crimine di guerra ai miei occhi, e che vedo anche che ciò che Israele fa a Gaza è un crimine di guerra”, ha detto.
“Due ore dopo l’intervista, ho ricevuto una telefonata dal mio datore di lavoro”, ha detto Qassem, che esercita anche la professione di medico in una clinica. Non le è stato chiesto di smettere di parlare con i media, ma “è stato come un avvertimento per me che devo stare attenta, sai, che [loro] seguono quello che [io] faccio “.
I cittadini palestinesi di Israele hanno storicamente affrontato discriminazioni sistemiche, tra cui la cronica mancanza di investimenti nelle loro comunità con – secondo Adalah – più di 50 leggi che sono pregiudizievoli nei loro confronti.
Eppure “il razzismo si è ulteriormente accelerato”, ha dichiarato l’avvocato Sawsan Zaher ad Al Jazeera. “Quello che stiamo vedendo ora è qualcosa che non abbiamo mai visto prima”.
“Il solo fatto di esprimere la propria opinione, anche se non si tratta necessariamente di incitamento ai sensi del codice penale… ora è sufficiente per l’accusa di esprimere sostegno non solo ad Hamas, ma al popolo palestinese in generale”, ha aggiunto.
Zaher ha detto che la gente ha sempre più “paura di parlare arabo” in pubblico.
Anche Noura è solita tenere la testa bassa.
“In ogni situazione in cui c’è un incidente o qualcosa che accade, cerchiamo di non parlarne affatto. Cerchiamo di dimenticarlo, di metterlo in secondo piano perché sappiamo che verremo giudicati se diremo una parola”, ha detto Noura.
“Questa volta è stato un mio errore rispondere”.
*Il nome è stato cambiato su richiesta della persona per evitare potenziali ritorsioni.
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In Cina e Asia – La Belt and Road in cerca di sostenibilità
I titoli di oggi: La Cina lancia una nuova iniziativa legata alla blue economy Il Canada protesta con Pechino dopo intercettamento aereo “pericoloso” Hong Kong: una nuova vittoria per le coppie LGBT Tribunale indonesiano apre la vicepresidenza al figlio di Jokowi Seul prende di mira le aziende che costruiscono i sottomarini taiwanesi L’ambasciatrice Usa di nuovo a Taiwan in vista ...
L'articolo In Cina e Asia – La Belt and Road in cerca di sostenibilità proviene da China Files.
Journa.host e la proprietà dei server Mastodon. Una storia sulla fragilità emotiva e professionale dei giornalisti
@Giornalismo e disordine informativo
Riportiamo le riflessioni di Laurens Hof, autore della newsletter fediversereport
Il server Journa.host , un server Mastodon dedicato ai giornalisti, ha trasferito la proprietà. Con ciò arrivano domande riguardanti le aspettative tra i proprietari/operatori del server e le persone che utilizzano il server. Il server Journa.host è iniziato come un progetto incentrato sulla comunità, con il finanziamento iniziale del Tow-Knight Center for Entrepreneurial Journalism presso la Craig Newmark Graduate School of Journalism della CUNY. Recentemente la proprietà del server è stata trasferita alla Fourth Estate Public Benefit Corporation. Questa organizzazione gestisce anche il server Mastodon newsie.social e, fino a poco tempo fa, anche il progetto verifyjournalist.org (la cui proprietà è stata recentemente trasferita a The Doodle Project).
Questo trasferimento di proprietà del server ha innescato una discussione da parte del giornalista etiope Zecharias Zelalem, che si è allontanato dal server journa.host a seguito di questo trasferimento di proprietà. Nei suoi post sottolinea i rischi reali che derivano dall'essere un giornalista, soprattutto nel suo contesto. Il trasferimento dei dati personali dei giornalisti e il controllo della loro presenza sui social media alla nuova proprietà senza alcun preavviso e spiegazione solleva interrogativi sulle considerazioni dei precedenti proprietari su questo trasferimento. Uno dei punti sollevati è che ci sono poche informazioni disponibili sull'identità del nuovo proprietario, Jeff Brown. È comprensibile che i giornalisti si sentano a disagio quando non è chiaro chi sia responsabile di una parte importante della loro presenza digitale. Allo stesso tempo, la maggior parte dei server non è finanziariamente sostenibile e non si può presumere che anche i server che ricevono finanziamenti da luoghi affidabili rimangano operativi per sempre quando i fondi si esauriscono. Nel frattempo, sotto la nuova proprietà, journal.host consentirà nuovamente la registrazione di nuove applicazioni per il server journal.host.
Dan Hon ha scritto un articolo interessante sulla situazione, tracciando parallelismi con il nuovo libro di Cory Doctorow "The Internet Con", che vale la pena leggere. Sta anche ospitando un incontro digitale per piccoli gruppi "Giornalismo, notizie e social network federati", organizzato anche in risposta a questa conversazione. Qui puoi trovare ulteriori informazioni su questo incontro "Hallway Track".
Le nostre considerazioni sulla vicenda
Quando abbiamo creato l'istanza mastodon poliversity.it, dedicata agli accademici e ai giornalisti, ci siamo resi conto che mentre gli accademici hanno iniziato a frequentarla, i giornalisti l'hanno praticamente disertata, preferendo stare dentro istanze generaliste come mastodon.uno o la gigantesca mastodon.social Ma altri hanno preferito iscriversi nelle due istanze tematiche anglofone più grandi dedicate al giornalismo, newsie.social e journa.host.
Il motivo dichiarato è che i giornalisti preferivano stare nei luoghi più comodi, più frequentati o più esclusivi. Insomma, preferivano Un posto al sole...
Ma questa individuazione dell'istanza del fediverso più affollata nasconde la pigrizia tipica della maggior parte dei giornalisti oltre alla impellente necessità di mettersi in mostra. Quando abbiamo creato la nostra istanza dedicata al giornalismo, abbiamo sempre affermato che si doveva trattare di una soluzione temporanea, in attesa di fare in modo che i giornalisti stessi creassero delle proprie istanze, legate alla piattaforma editoriale per cui già lavoravano o ai consorzi di cui fanno parte alcuni dei migliori giornalisti italiani ed esteri.
Invece questi progetti non sono ancora nati. In questo senso, troviamo che le lamentazioni di Zecharias Zelalem siano stucchevoli: non riguardano l'orgoglio del giornalismo, ma la semplice lamentela del giornalista che si vede cambiare padrone, che si vede cambiare il soggetto ospitante
Anche l'accusa nei confronti di Jeff Brown ossia quella di non essere un giornalista, è una cosa volgare che manca totalmente l'obiettivo: Il fatto è che Jeff Brown non deve essere un giornalista ma al massimo deve essere un bravo "editore"!
Il punto però è che il fediverso consente a ciascun giornalista o a ciascun gruppo di giornalisti di essere editore di se stesso. L'incapacità di comprendere la realtà da parte proprio di quei soggetti che dovrebbero raccontarle, è al nostro avviso l'aspetto più problematico e in un certo senso oscena di tutta questa vicenda.
Dài @GustavinoBevilacqua conosci troppo bene il fediverso per capire che non è questo il punto! Se hai bisogno di sicurezza, non devi cercare la "fiducia" di nessuno, ma devi solo avere il "controllo"!
Se vuoi usare l'istanza di un altro, il minimo che devi (Minimo che DEVI) fare è iscriverti con protonmail e collegarti con TOR project.
L'ottimale è crearti una tua istanza e comunicare solo con sistemi crittati (matrix, signal, session, etc)
@GustavinoBevilacqua aggiungo infine che nessuno deve
> dimostrare che Jeff Brown non è uno delle tante Wanna Marchi della rete, che cerca solo polli da mungere… sarà una buona notizia.
Questo è indifferente, così come lo è il fatto che sia o non sia un giornalista (per me è un "editore di fatto" e si posiziona nell'intervallo tra Wikileaks ed Elon Musk!): quello che conta è chi sei tu, utente che ti iscrivi là dentro...
Thierry Breton, Elon Musk e il DSA
10 ottobre 2023. Negli uffici di Twitter arriva una lettera indirizzata a Elon Musk, firmata dal commissario europeo Thierry Breton.
È sintetica e va dritta al punto: “dopo gli attacchi di Hamas contro Israele, abbiamo notizia del fatto che la piattaforma X sia usata per disseminare contenuti illegali e disinformazioni in UE.”
La lettera ricorda a Elon Musk che in UE è da pochissimo entrato in vigore il famigerato Digital Services Act, che prevede alcuni specifici obblighi verso le piattaforme come X.
Musk è chiamato a fare tre cose, e in fretta:
- Essere trasparente nel definire quali contenuti sono permessi o meno sul social
- Essere veloce, diligente e obiettivo nel rimuovere i contenuti che sono segnalati dalle autorità rilevanti
- Adottare misure tecniche e organizzative adeguate per mitigare il rischio di diffusione di contenuti illegali o falsi, come ad esempio vecchie immagini spacciate per nuove
In modo molto teatreale, Thierry Breton ha pubblicato la lettera anche su X, a cui Elon Musk ha prontamente risposto in modo impeccabile:
In effetti, gli algoritmi e le politiche di X sono open source e trasparenti, chiunque può capire come funziona il social sia dal punto di vista organizzativo che tecnico.
Che vuole allora la Commissione Europea da Musk? Per capirlo bisogna capire il Digital Services Act. Ne ho parlato in modo approfondito qui, ma ripercorriamo insieme i punti essenziali per poi passare a un commento personale su quello che sta succedendo.
I punti salienti del DSA
Il Digital Services Act è un regolamento proposto dalla Commissione UE a fine 2020 e fa parte del “pacchetto digitale” europeo. Da molti è stato annunciato come la risposta salvifica alla disinformazione e all’illegalità online, secondo il motto: “quello che è illegale offline deve essere illegale online”.
Come figli amati
Lo Spirito ci fa chiamare il Signore, il Creatore di ogni cosa, l’Onnipotente: "papà". Questo infatti significa "abbà" in aramaico. Per questo lo Spirito di adozione, con questa grande e disinvolta familiarità con il Signore, ci toglie la paura di Dio.
La paura di Dio o degli dèi o del destino ha sempre contraddistinto l’umanità. Ed anche spesso la chiesa stessa. Invece, in Gesù Cristo non dobbiamo più avere paura di Dio, tantomeno quindi dei potentati politici o religiosi che siano. #Amore, #FigliDiDio
Survey of Current Universal Opt-Out Mechanisms
With contributions from Aaron Massey, FPF Senior Policy Analyst and Technologist, Keir Lamont, Director, and Tariq Yusuf, FPF Policy Intern
Several technologies can help individuals configure their devices to automatically opt out of web services’ requests to sell or share personal information for targeted advertising. Seven state privacy laws require that organizations honor opt-out requests. This blog post discusses the legal landscape governing Universal Opt-Out Mechanisms (UOOMs), as well as the key differences between the leading UOOMs in terms of setup, default settings, and whether those settings can be configured. We then offer guidance to policymakers to consider clarity and consistency in establishing, interpreting, and enforcing UOOM mandates.
The legal environment behind Universal Opt-Out Mechanisms
Online advertising continues to evolve, specifically in reaction to new regulatory requirements as an increasing number of international jurisdictions and U.S. states have enacted comprehensive privacy laws. As of October 2024, twelve states grant individuals the right to opt out of businesses selling their personal information or processing that data for targeted advertising. Of these twelve state privacy laws, seven include provisions that make it easier for individuals to opt out of certain uses of personal data. This includes the kind of personal and pseudonymized information that is routinely shared with websites, such as browser information or information sent via cookies.
Historically, a significant practical hurdle existed in the implementation of opt-out rights: users wishing to exercise the right to opt out of the use of this information for targeted advertising must locate and manually click opt-out links that businesses provide on their web pages, and they generally must do so for every site they visit. To make opting out easier, seven state’s privacy laws (California, Colorado, Connecticut, Delaware, Montana, Oregon, and Texas) require businesses to honor individuals’ opt-out preferences transmitted through Universal Opt-Out Mechanisms (UOOMs) as valid means to opt out of targeted advertising and data sales. UOOMs refer to a range of desktop and mobile tools designed to provide consumers with the ability to configure their devices to automatically opt out of the sale or sharing of their personal information with internet-based entities with whom they interact. These tools transmit consumers’ opt out preferences by using technical specifications, chief among these the Global Privacy Control (GPC).
California became the first state to establish the force of law for opt-out signals as valid opt-outs through an Attorney General rulemaking process in August, 2020. Specifically, businesses who do not honor the Global Privacy Control on their websites may risk being found in noncompliance with the California Consumer Privacy Act (CCPA), which was the central topic in the recent enforcement action against Sephora, an online retailer. In the complaint, state authorities alleged that Sephora’s website was not configured to detect or process any GPC signals and, as a result, failed to honor users’ opt-out preferences by not opting them out of sales of their data.
Survey of UOOM Tools Available to Consumers
The California Attorney General references the Global Privacy Control as the leading opt-out specification that meets CCPA standards. As of this writing, eight UOOMs are endorsed by the creators of the GPC specification:
- Brave (a mobile and desktop browser)
- Disconnect (a browser extension and smartphone app)
- DuckDuckGo Privacy Browser (a mobile and desktop browser)
- DuckDuckGo Privacy Essentials (a browser extension)
- IronVest (a security suite with GPC functionality)
- Mozilla Firefox (a mobile and desktop browser)
- OptMeowt (a browser extension)
- Privacy Badger (a browser extension)
Although other UOOMs exist (and more are likely to emerge), we focus exclusively on the tools endorsed by the creators of the Global Privacy Control specification. In 2023, the FPF team downloaded and installed each tool and evaluated each tool’s installation process, whether GPC signals were sent without additional configuration, and whether those settings could be adjusted (see Figure 1 below).
Installation | GPC Signals Sent without Additional Configuration | Can the Configuration Be Adjusted? | |
IronVest | Requires account sign-up | Yes; GPC can be enabled only on a per-site basis, not globally. | |
Brave Browser | No steps required after installation | No; GPC cannot be disabled, either globally or per-site, even when other protections in the “Shields” feature are turned off. | |
Disconnect | No steps required after installation | Yes; GPC can be enabled globally but not on a per-site basis using a checkbox in the main browser plugin window. | |
DuckDuckGo Privacy Browser | No steps required after installation | Yes; GPC can be disabled globally but not on a per-site basis. | |
DuckDuckGo Privacy Essentials | No steps required after installation | Yes; GPC can be disabled both globally or on a per-site basis by disabling “Site Privacy Protection.” | |
Firefox | Requires technical configuration | Yes, GPC can be disabled globally in the browser’s technical configuration but not on a per-site basis. | |
OptMeowt | No steps required after installation | Yes; GPC can be disabled both globally or on a per-site basis by disabling the “Do Not Sell” feature. | |
Privacy Badger | No steps required after installation | Yes; GPC can be disabled both globally or on a per-site basis by disabling the “Do Not Sell” feature. |
Figure 1: Observations of eight leading UOOM tools
Our survey allows us to make four key observations about the state of these UOOMs.
- Current GPC implementations are largely limited to browser plugins for desktop environments. Google Chrome, Microsoft Edge, and Safari do not natively support the GPC signal. Mozilla Firefox supports sending the GPC signal, but configuring was the most challenging setup of all the tools we tested. Brave and DuckDuckGo are the only browsers that natively support the GPC. In addition, Brave and DuckDuckGo are the only desktop and mobile browsers with GPC enabled by default.
- GPC tools significantly differ from one another in user experiences for both installation and use. The installation process for six of the tools was direct and, therefore suitable to a broad range of consumer knowledge. Two of the tools, IronVest and Firefox, require additional steps to enable GPC. Ironvest requires the creation of an account upon downloading the tool, and through that account offers not only GPC but also a subscription-based suite of further online security services like password managers and email maskers. By contrast, Firefox does not require an account, but it requires users complete more steps to enable the GPC that require technical knowledge or experience. Specifically, users must access the about:config settings page in Firefox, which warns the user to “Proceed with Caution” and requires users to know how to find the GPC configuration options. Users with limited experience configuring about:config settings on this browser may struggle to enable the GPC signal on Firefox.
- GPC tools differ significantly in their default settings after installation, potentially creating consumer confusion in switching from one service to another. Three of the tools leave the GPC off by default following final installation; four of them enable the GPC by default. Firefox, for example, does not enable GPC by default, and it requires the most work to enable, whereas Brave enables GPC by default without notifying users or allowing them to disable it. Many tools include other privacy features in addition to GPC, such as Privacy Badger’s ability to block surreptitious tracking mechanisms like supercookies. These tools were not examined in this report, though they may create divergent user experiences that can cause consumers to draw different conclusions as to each tool’s utility and effectiveness. Users installing a privacy-focused browser extension or using a privacy-focused browser may be unaware that in certain cases privacy features are disabled by default and require additional configuration after installation.
- Finally, we observe that these tools significantly differ in configuration options for when and where to send the GPC signal. The tools collectively deploy two types of configuration: globally sending the GPC to every site and/or selectively sending the GPC on a per-site basis. None of the tools have pre-configured profiles or “allow / deny” lists for when to send the GPC, and about half of the tools allow users to set the GPC both as a global setting and on a per-site basis. IronVest only allows sending the GPC on a per-site basis, while Brave only enables the GPC on a global basis. However, given that most state laws that require compliance with a UOOM also require affirmative consent to opt back in following an opt-out, it is unclear whether disabling the GPC signal for a site after visiting it will have legal effect.
Next Steps & Policy Considerations
In 2023 alone, six states passed comprehensive privacy laws. In the years ahead, we expect that more states will be added to this list, and many are likely to include provisions regarding UOOMs. Policymakers must ensure that all UOOM requirements offer adequate clarity and consistency.
One place where greater detail from policymakers would provide benefit to organizations seeking to comply with legal requirements is in guidance not only for covered businesses, but also for vendors of consumer-facing privacy tools. Specifically, guidance would be useful regarding how a UOOM must be configured or implemented to give assurance that the GPC signals being sent are a legally valid expression of individual intent. For example, a minor detail such as whether a tool contains a “per-site” toggle for the GPC may be significant in one state, but not another.
Similarly, the question of “default settings” and their legal significance requires greater clarity in many jurisdictions. For example, to be considered a valid exercise of individuals’ opt-out rights under Colorado law, a valid GPC signal occurs when individuals provide “affirmative, freely given, and unambiguous choice.” This requirement creates an engineering ambiguity for publishers and websites over the validity of GPC signals they receive. For example, users installing a browser extension that requires a separate, affirmative user configuration prior to sending the GPC signal will unambiguously be a valid expression of individual choice. On the other hand, an individual using a browser marketed with a variety of privacy preserving features, including the GPC, may be sending a GPC signal that does not meet the law’s standards for defaults if those features are enabled by default and they do not provide notice to users. The user may have wanted a privacy feature other than GPC and not been aware that the GPC signal would be sent. On the other hand, another user may both be seeking and appreciate a default-on GPC and not want it to be legally ignored because they didn’t affirmatively enable it. Publishers and websites do not have an engineering mechanism to differentiate between these scenarios, incentivizing them to use nonstandard techniques, like fingerprinting, for the purposes of discerning which GPC signals are valid.
New states implementing comprehensive privacy laws also increase the odds that specific privacy rights may fracture across jurisdictions in ways that are either cohesive or irreconcilable. The current GPC specification does not support conveying users’ jurisdictions, so it is unclear how organizations must differentiate between signals originating from one jurisdiction or another. The result could be that entities must choose which state to risk running afoul of the law in such that they may follow the requirements of a conflicting jurisdiction.
As user-facing privacy tools are developed and updated, responsible businesses will likely err on the side of over-inclusion by treating all GPC signals as valid UOOMs. However, increased user adoption and the expansion of the GPC into new sectors (such as connected TVs or vehicles) could change expectations and put more pressure on different kinds of advertising activities. In the absence of uniform federal standards that would create guidance for such mechanisms, most businesses will aim to streamline compliance across states, providing a significant opportunity for policymakers to shape the direction of consumer privacy in the coming years. Policymakers must be aware of these developments and strive for clarity and consistency in order to best inform organizations, empower individuals, and set societal expectations and standards that can be applied in future cases.
Glovo traccia i rider anche fuori dall’orario di lavoro
Il gruppo di ricerca tracking.exposed, che studia la profilazione e analizza gli algoritmi online, ha realizzato tra il 2021 e il 2023 un reverse engineering dell’app Glovo Couriers in dotazione a ogni rider che lavora per la piattaforma spagnola. Lo scopo dello studio era quello di fornire una prova tecnica e verificata di come Glovo utilizzi i dati raccolti dall’app durante il suo utilizzo (e non solo), e come questo abbia ripercussioni in termini di privacy e di violazione dei diritti dei lavoratori.
L’analisi tecnica, avvenuta in più momenti, ha reso evidente come la posizione dei rider sia tracciata non solo durante lo svolgimento delle consegne, ma anche quando l’app Glovo Couriers rimane in background. Così come quelli relativi al livello della batteria e alla velocità del rider durante i turni di lavoro, informazioni inviatiìe a intervalli irregolari in diversi momenti della giornata e anche di notte.
Un resoconto dello studio su Wired Italia
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Weekly Chronicles #49
La chimera della protezione dei dati nelle smart cities
Le città intelligenti, o "Smart Cities" sono la buzzword del momento.
L’idea sarebbe di usare grandi quantitativi di dati e tecnologie per migliorare la qualità della vita urbana. Tuttavia, quello a cui assistiamo è invece una raccolta massiva di dati personali e l’uso di tecnologie di sorveglianza di vario tipo: dalle telecamere, ai droni, fino ad arrivare ai sensori wi-fi, bluetooth e celle telefoniche.
Un documento pubblicato dall’International Working Group on Data Protection in Technology, disponibile qui, esplora a livello giuridico il tema della privacy nelle smart city, fornendo alcune raccomandazioni alle città che vorrebbero cimentarsi nel diventare “smart” nel rispetto della legge e dei dati delle persone.
Il documento fornisce spunti interessanti per chi lavora nel settore e per i politici che vorrebbero cimentarsi in tali attività. Le raccomandazioni, in estrema sintesi, sono queste:
- Valutare i rischi e la proporzionalità del trattamento prima della raccolta dei dati
- Garantire che i dati utilizzati nelle decisioni siano adeguati e rappresentativi della popolazione
- Stabilire chiare procedure per soddisfare i diritti dei cittadini e assicurare trasparenza nella filiera del trattamento
La protezione dei dati nelle “smart cities” sembra però una chimera irrealizzabile. Le amministrazioni locali ricevono fondi nazionali ed europei per installare sistemi di sorveglianza evoluta che non capiscono e che non sanno usare, né comprenderne l’utilità. Come se non bastasse, ne ignorano completamente i rischi.
Nel documento si cita un caso empirico che fa ben comprendere la natura del problema.
Il comune di Enschede, nei Paesi Bassi, per più di tre anni ha implementato un sistema di tracciamento wi-fi degli smartphones attivo 24/7 nel centro della città. L’obiettivo era quello di misurare l’efficacia degli investimenti municipali — qualsiasi cosa volesse dire.
Nella pratica, per tre anni i cittadini di Enschede sono stati spiati mentre passeggiavano in strada. Il sistema infatti raccoglieva dati (tra cui anche l’indirizzo MAC, identificativo unico del dispositivo) per analizzare il traffico pedonale, il tempo trascorso nelle diverse vie del centro e le abitudini delle persone.
In che modo quest’attività ha portato un beneficio agli abitanti di Enschede? Come sono stati valutati i rischi? Non è dato sapersi.
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Il caso del giudice Apostolico
In questi giorni sta facendo molto rumore il caso del giudice Iolanda Apostolico. Alcuni giorni fa è stato pubblicato un video risalente al 2018 in cui si vedeva la Apostolico partecipare a una manifestazione di protesta contro le politiche sull’immigrazione clandestina del governo di quel periodo.
Matteo Salvini, dopo la pubblicazione del video, ha presto chiesto le sue dimissioni per evidente mancanza di imparzialità. La giudice aveva infatti recentemente deciso in merito alla revoca dell’ordine di detenzione di alcuni tunisini in un centro in Sicilia.
Sulla questione prettamente politica non c’è molto da dire: chiunque pensi che i magistrati siano imparziali e che non si lascino influenzare dalle loro personalissime opinioni è un povero fesso.
Detto questo, la vicenda sottolinea l’importanza del concetto di privacy come capacità di controllare i propri dati e la propria identità, sia fisica che digitale. La giudice non aveva “nulla da nascondere” partecipando alla manifestazione politica, eppure a distanza di anni quel video, diffuso al pubblico, ha avuto un grande impatto negativo sulla sua persona.
Pensiamo ora al contesto dei social network. Potremmo dire che un social network sia un po’ come una manifestazione politica permanente. Capita a chiunque di esprimere più o meno palesemente le proprie opinioni. Che succederebbe se le autorità iniziassero un’opera di schedatura e dossieraggio su tutto ciò che abbiamo detto e fatto online? Le conseguenze sarebbero disastrose più o meno per chiunque.
Se vuoi approfondire il concetto di privacy, leggi qui:
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Google dice addio alle password
Pare che Google presto inizierà a spingere gli utenti verso un sistema di autenticazione senza password (passwordless) per migliorare la sicurezza1. L’autenticazione senza password utilizzerà i sistemi di identificazione biometrica presenti sui nostri dispositivi per il login nelle varie app di Google, facendo quindi a meno delle password.
Se da un certo punto di vista è indubbiamente comodo, dall’altro potrebbe essere un ulteriore passo in avanti verso una crescente dipendenza nei confronti della Big Tech per utilizzare i nostri account e servizi. Sebbene infatti i dati biometrici siano salvati sul dispositivo, esistono meccanismi di backup in Cloud per mitigare il rischio in caso di perdita di cui difficilmente si potrebbe fare a meno.
Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione. Userete questo nuovo metodo di autenticazione o continuerete a preferire le password?
Meme della settimana
Citazione della settimana
Questo cetriolo è amaro? Gettalo! Ci sono rovi nel cammino? Devia! È tutto ciò che occorre. Non dire sull'argomento: "Perché accadono queste cose nel mondo?"
Marco Aurelio
theverge.com/2023/10/10/239109…
Negative Approach Interview
Negative Approach May 12, 2022 at The Paramount
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Come collegare il tuo blog WordPress al Fediverso: iniziare con l'installazione e la configurazione di base, provvedere alle diverse opzioni di configurazione e familiarizzare con alcune buone pratiche
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