I rompighiaccio AI di Bumble stanno principalmente violando la legge dell'UE Bumble invia le informazioni del profilo personale delle persone a OpenAI per creare messaggi generati dall'intelligenza artificiale, senza mai chiedere il consenso mickey26 June 2025
Simulating Empires with Procedurally Generated History
Procedural generation is a big part of game design these days. Usually you generate your map, and [Fractal Philosophy] has decided to go one step further: using a procedurally-generated world from an older video, he is procedurally generating history by simulating the rise and fall of empires on that map in a video embedded below.
Now, lacking a proper theory of Psychohistory, [Fractal Philosophy] has chosen to go with what he admits is the simplest model he could find, one centered on the concept of “solidarity” and based on the work of [Peter Turchin], a Russian-American thinker. “Solidarity” in the population holds the Empire together; external pressures increase it, and internal pressures decrease it. This leads to an obvious cellular automation type system (like Conway’s Game of Life), where cells are evaluated based on their nearest neighbors: the number of nearest neighbors in the empire goes into a function that gives the probability of increasing or decreasing the solidarity score each “turn”. (Probability, in order to preserve some randomness.) The “strength” of the Empire is given by the sum of the solidarity scores in every cell.
Each turn, Empires clash, with the the local solidarity, sum strength, and distance from Imperial center going into determining who gains or loses territory. It is a simple model; you can judge from the video how well it captures the ebb and flow of history, but we think it did surprisingly well all things considered. The extra 40-minute video of the model running is oddly hypnotic, too.In v2 of the model, one of these fluffy creatures will betray you.
After a dive into more academic support for the main idea, and a segue into game theory and economics, a slight complication is introduced later in the video, dividing each cell into two populations: “cooperators” or “selfish” individuals.
This allows for modeling of internal conflicts between the two groups. This hitch gives a very similar looking map at the end of its run, although has an odd quirk that it automatically starts with a space-filling empire across the whole map that quickly disintegrates.
Unfortunately, the model not open-source, but the ideas are discussed in enough detail that one could probably produce a very similar algorithm in an afternoon. For those really interested, [Fractal Philosophy] does offer a one-time purchase through his Patreon. It also includes the map-generating model from his last video.
We’re much more likely to talk about simulating circuits, or feature projects that use fluid simulations here at Hackaday, but this hack of a history model
youtube.com/embed/1p3tMNbFdCs?…
Ceramic Printing Techniques for Plastic
[Claywoven] mostly prints with ceramics, although he does produce plastic inserts for functional parts in his designs. The ceramic parts have an interesting texture, and he wondered if the same techniques could work with plastics, too. It turns out it can, as you can see in the video below.
Ceramic printing, of course, doesn’t get solid right away, so the plastic can actually take more dramatic patterns than the ceramic. The workflow starts with Blender and winds up with a standard printer.
The example prints are lamps, although you could probably do a lot with this technique. You can select where the texturing occurs, which is important in this case to allow working threads to avoid having texture.
You will need a Blender plugin to get similar results. The target printer was a Bambu, but there’s no reason this wouldn’t work with any FDM printer.
We admire this kind of artistic print. We’ve talked before about how you can use any texture to get interesting results. If you need help getting started with Blender, our tutorial is one place to start.
youtube.com/embed/Eqp6iOob9Mc?…
Cyberbullismo e terrore digitale: perché il fumetto di Betti ti fa sentire a disagio (e fa bene così)
Quando ho deciso di scrivere questa storia di Betti, non era certo per fare un fumetto “carino” o “facile”, da leggere in un pomeriggio assolato al mare e da dimenticare il giorno dopo. No, nasce dal bisogno urgente di raccontare una realtà che anch’io ho visto, sentito e vissuto, senza filtri, né abbellimenti.
Certo non mi riferisco alla realtà del bullismo digitale, ma di quello vecchio stile anni ’70, quando i “praticoni” di una scuola di periferia, con ben poca simpatia, decisero di farmi diventare il loro bersaglio per qualche risata. Il bullismo, oggi digitale, specie in una scuola, non è mai una storia a lieto fine che si risolve con un “E vissero felici e contenti”. È piuttosto un labirinto oscuro, dove ogni passo falso può significare perdere qualcosa di più grande: la dignità, la fiducia e a volte, purtroppo, persino se stessi.
Il fumetto “byte the silene” della serie Betti-RHC realizzata e diffusa da Red Hot Cyber sul Cyberbullismo, è scaricabile gratuitamente dal sito academy.redhotcyber.com.
Scarica gratuitamente Byte The Silence, il fumetto gratuito sul cyberbullismo realizzato da Red Hot Cyber accedendo alla nostra Academy.
Ho scritto questo episodio di Betti, quindi, perché credo che la narrativa, specie quella pop, abbia il dovere di affondare le mani nelle pieghe più scure della realtà. E se questa realtà ha mura scrostate e corridoi rumorosi, allora meglio calarcisi dentro senza filtri. La storia si dipana, ovviamente, in quel luogo emblematico che è la scuola, situata, per esigenze narrative, nella periferia di Roma. Ma tranquilli, presidi di altre città: non puntate il dito sulla Capitale, che anche da voi, ne sono sicuro, non manca mica!
L’edificio è quasi un personaggio a sé, con i suoi banchi consumati e quella polvere che sembra incrostata sulle anime degli studenti. Ma quello che inquieta davvero non è la scuola in sé, è l’atmosfera. Quella tensione che si respira tra gli sguardi sfuggenti, le voci sussurrate e il silenzio pesante che racconta storie mai dette, ma sentite da tutti. Betti arriva come supplente di matematica. Ma non si ferma alla superficie. Vede qualcosa che altri professori non riescono a notare, Morena, una ragazza fragile e invisibile, la vittima perfetta del bullismo che si muove nell’ombra e sulle pagine di Instagram. “La ragazza balena”: un’etichetta tossica alimentata da immagini manipolate, video distorti, commenti velenosi. Un incubo digitale che non si spegne quando si esce dalla scuola.
Betti non è solo un personaggio. È chi ha scelto di non voltarsi dall’altra parte (e, per fortuna, di Betti ce ne sono) in quella periferia un po’ dimenticata, dove si nascondono i veri mostri: non solo i ragazzi che fanno bullismo, ma un sistema che li usa per mandare avanti ricatti, manipolazioni e creare silenzi troppo pesanti per essere ignorati. In questa storia, il bullismo non è solo fatto di schiaffi o spintoni, ma soprattutto di pixel e “like” che possono diventare armi affilate. Il profilo Instagram anonimo che umilia Morena, i 200 “like” che trasformano la sofferenza in uno spettacolo pubblico, sono la prova che la tecnologia può amplificare la cattiveria, renderla virale, incontrollabile.
Scarica gratuitamente Byte The Silence, il fumetto gratuito sul cyberbullismo realizzato da Red Hot Cyber accedendo alla nostra Academy.
Non ti mentirò: quando ho scritto di Morena sulla terrazza, pronta a sparire nel vuoto, mi sono fermato a pensare. E forse anche tu, leggendo, ti sei ritrovato a sfiorare quel pensiero, quel momento fragile in cui tutto sembra troppo pesante da sopportare. Oppure, ti sarà capitato di incrociare quello sguardo spento, e chiederti in silenzio: “Cosa posso fare, io?”. È questa domanda che ho cercato di inserire in ogni vignetta. Non perché io abbia la soluzione (chi ce l’ha, dopotutto?), ma perché non possiamo permetterci di ignorare quelle storie, nemmeno nelle pieghe più invisibili della nostra società.
Il fumetto fa qualcosa di potente: mostra che il bullismo digitale non è sempre solo un problema di adolescenti sconsiderati. Dietro c’è un “fratello maggiore”, oscuro, che fa da burattinaio; c’è la complicità del silenzio e c’è la paura che tiene incastrati i ragazzi come in una ragnatela. Questa è la parte più inquietante, ma anche la più reale. Dietro il bullismo c’è sempre qualcosa di più grande, una rete di paura, ricatti, silenzi. Non basta “denunciare” o “bloccare” un profilo. Il problema è sistemico, e in Betti lo raccontiamo senza giri di parole.
E poi c’è il lato umano, a tratti fragile, a tratti sorprendente. Un ragazzo che, dopo aver camminato sull’orlo del baratro, sceglie di raccontare la sua verità davanti a una scuola intera e una ragazza che si alza e, senza urlare, restituisce dignità a chi pensava di essere invisibile. Sono momenti che ti fanno capire che anche nelle situazioni più nere si può trovare una scintilla, una possibilità di riscatto. Se ancora ti stai chiedendo “Ma perché scaricare e leggere questo fumetto?” la risposta è semplice: perché non puoi permetterti di ignorare il mostro che si nasconde dietro uno schermo. Perché questo non è un fumetto per bambini o per chi cerca solo intrattenimento. È un pugno nello stomaco che ti fa riflettere, sorridere amaro e, forse, agire.
E ti dico un’ultima cosa, con un po’ di ironia che mi concede il ruolo di sceneggiatore: se pensi che basti spegnere il telefono per essere al sicuro, beh, Betti ti farà ricredere. Perché l’ombra del fratello maggiore è ancora lì, tra le mura scrostate della scuola, pronta a bussare alla porta di chiunque. E allora, se vuoi solo una lettura leggera, passa oltre. Ma se vuoi metterti in gioco, se vuoi capire come il digitale abbia trasformato il bullismo in qualcosa di più insidioso, allora questo Betti è il fumetto che devi leggere. In fondo, io credo che la vera libertà, quella che ci raccontiamo nei romanzi e nei film, passi anche da qui: da storie come Betti che ci ricordano che non possiamo mai smettere di guardare, di ascoltare, di combattere.
Perché nel mondo digitale, come nella vita, l’indifferenza è il peggior nemico. A chi legge non resta che una scelta: guardare o girarsi dall’altra parte. Io, per fortuna, ho scelto la prima, ma forse per me è più facile perché ho sempre con me un’arma potente: la penna.
ps. A proposito, ai vecchi “praticoni” di cui vi raccontavo non andò molto bene…
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Requiem for the accountability : la tradizione è dura a morire
Il concetto di accountability è noto ai più, soprattutto tra chi legge questo contributo, ma è opportuno farne una breve sintesi, quantomeno come “cappello” introduttivo al tema di cui si andrà a discutere.
L’accountability viene definita in diversi modi:
- “the fact of being responsible for what you do and able to give a satisfactory reason for it” (dictionary.cambridge.org/dicti…)
- “The accountability principle requires you to take responsibility for what you do with personal data and how you comply with the other principles.” (ico.org.uk/for-organisations/u…)
Nel linguaggio quotidiano il concetto si può riassumere nella frase “io (legislatore) ti dico dove devi arrivare, come ci arrivi lo decidi tu purché me lo motivi”. A titolo esemplificativo: vige l’obbligo di adottare misure tecniche adeguate, quali siano queste misure lo stabilisci tu, purché motivi le ragioni per cui le hai ritenute adeguate.
Questo principio è di origine anglosassone, poco conosciuto e ancor meno praticato nella tradizione giuridica dell’Europa continentale fino all’arrivo del GDPR. Gli Stati continentali, infatti, hanno creato e applicato, da secoli, un sistema di diritto c.d. positivistico, che assume la “natura ‘positiva’ del diritto, ossia il suo essere positum («posto») da un’autorità legislatrice umana o, comunque, a opera esclusiva dell’uomo” (treccani.it/enciclopedia/posit…).
In parole comuni: “io (legislatore) ti dico cosa fare e come farlo, oppure cosa non fare” (ad esempio, non andare a più di 90km/h, non importa se la strada è libera, rettilinea e non ci sono pericoli, se vai a 92 km/h orari, ti sanziono).
Quando ho approcciato per la prima volta il concetto dell’accountability, mi fecero questo esempio, molto utile, in tema privacy: il codice della privacy del 2003 prevedeva delle “misure minime” di sicurezza, il GDPR prevede l’adozione di misure adeguate. Quindi, nel primo caso c’era una “to do list”, nel secondo caso c’è una “done list”.
L’introduzione di questo nuovo principio giuridico non è stata semplice. Spesso nelle Organizzazioni, dopo la spiegazione teorica, veniva rivolta la domanda: si ma quindi? Cosa dobbiamo fare?
Il GDPR, come noto, è in vigore dal 2018. Nel frattempo sono state adottate molte altre normative europee, soprattutto in ambito digitale e tutte hanno fatto proprio il concetto di accountability come “faro guida” per la conformità normativa.
Tuttavia, mentre l’Unione Europea sembrava andare in una direzione, una serie di fonti nazionali ha, poco per volta, rimesso in secondo piano l’applicazione del principio di accountability, ristabilendo, più o meno consapevolmente, la supremazia dell’approccio più positivista del cosa fare o non fare, con il quale i nostri sistemi giuridici hanno più confidenza. Ed è certamente un caso che, dal 2018 anno del GDPR, l’unico Stato europeo a tradizione anglosassone ha lasciato l’Unione Europea.
La direttiva c.d. NIS2 n. 2022/2555, in materia di sicurezza informatica, adottata dall’Unione nel 2022, al suo articolo 21 dispone che i soggetti rientranti nel perimetro NIS2 “adottino misure tecniche, operative e organizzative adeguate e proporzionate per gestire i rischi posti alla sicurezza”. Invero al suo comma n. 2, l’articolo indica misure minime introdotte con la formula “comprendono almeno gli elementi seguenti” e ne fa un’elencazione. La maggior parte di queste misure riguardano documenti e politiche organizzative, la cui genericità consente di mantenere un minimo di autonomia decisionale. Tuttavia altre misure, parimenti inserite nell’elenco, ad esempio l’obbligo di formazione alla dirigenza e l’adozione di MFA, rappresentano misure molto specifiche e puntuali.
Un provvedimento che, di certo, ha avuto il merito di rendere manifesto il ritorno ad un approccio più normativo e meno “accountable” è stato la determinazione ACN 164179 del 14 aprile 2025. Con questo documento l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale ha stabilito che “per l’adempimento degli obblighi di cui agli articoli 23, 24, e 25 del decreto NIS, i soggetti NIS, sono tenuti ad adottare le misure di sicurezza di base”[1], allegate al provvedimento. Queste altro non sono che una dettagliat(issim)a check list di 86 (OTTANTASEI!) controlli per i soggetti importanti e 115 (CENTOQUINDICI!) controlli per i soggetti essenziali.
Ultimo in ordine di tempo è il provvedimento adottato dal Garante per la Protezione dei Dati Personali, n. 243 del 29 aprile 2025. Con questa decisione l’Autorità ha decretato che il tempo massimo, adeguato, per la conservazione dei file dei metadati delle e-mail è di 21 giorni, mentre il periodo di conservazione dei file di log è di 90 giorni. In questo modo si è, di fatto, introdotta una regola e un termine fisso, validi per ciascuna Organizzazione indipendentemente dall’attività, dalla dimensione, ecc, derogabili solo per motivate ragioni.
Invero, applicando la logica dell’accountability, la determinazione del periodo massimo di conservazione dovrebbe avvenire all’esito di una valutazione del rischio al fine di determinare il periodo adeguato. L’ operazione dovrebbe essere svolta dal Titolare del trattamento dei dati personali, mentre con questo provvedimento l’Autorità Garante si è assunta il compito di effettuare la valutazione determinando un periodo massimo che deve valere per ciascuna Organizzazione.
A ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 58 par. 2 l’Autorità Garante ha indicato una serie di misure correttive che sono, nei fatti, diventate una lista di misure che qualunque Organizzazione sarà chiamata ad adottare, considerato che la loro adeguatezza è stata già “certificata” dall’Autorità.
Il principio di accountability, quindi, nel nostro sistema se non è morto ampiamente agonizzante e con questo contributo non si vuole certo esprimere un giudizio. Anche un sistema più “positivistico” ha i suoi vantaggi, ad esempio in termini di chiarezza e determinatezza normativa che, spesso, è ciò che le Organizzazioni cercano. Certamente andrebbe presa una decisione, e scelta una strada continuando a percorrerla con decisione, senza prendere delle deviazioni che conducono ora su una via, ora su un’altra.
[1] acn.gov.it/portale/nis/modalit…
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L’Europa si infligge sanzioni. Parte la rivoluzione digitale open source in nome della Sovranità Digitale
In passato abbiamo già assistito a come gli Stati Uniti abbiano bloccato la vendita di tecnologie e prodotti a paesi coinvolti in conflitti, come nel caso della guerra tra Ucraina e Russia. Queste restrizioni hanno accelerato lo sviluppo di soluzioni tecnologiche domestiche in molte nazioni. Ora anche l’Europa vuole seguire la stessa strada: avere il pieno controllo dei propri sistemi digitali, senza dipendere da attori stranieri.
Paradossalmente, il modello sanzionatorio adottato dagli Stati Uniti ha prodotto l’effetto opposto rispetto agli obiettivi dichiarati: anziché rallentare lo sviluppo tecnologico degli stati antagonisti, come la Russia, ha contribuito ad alimentare un forte desiderio di autonomia digitale. Un impulso che oggi sta prendendo piede in modo sorprendente anche in Europa, con conseguenze strategiche sempre più evidenti.
Voglia di Linux e di Open Source
I paesi europei stanno accelerando l’abbandono dei software e dei servizi cloud dei giganti tecnologici americani nel tentativo di riprendere il controllo dei propri sistemi digitali. A fronte delle crescenti tensioni geopolitiche e della dipendenza dalle infrastrutture statunitensi, sempre più paesi europei si stanno rivolgendo a Linux e ad altre soluzioni open source.
In Germania e Danimarca è già iniziato un massiccio passaggio dal software proprietario alle alternative open source. E non si tratta solo di risparmiare denaro: si tratta di potere, controllo e indipendenza in un panorama tecnologico instabile.
L’obiettivo principale di questa tendenza è raggiungere la sovranità digitale. Gli esperti del settore sottolineano che le organizzazioni devono controllare i propri dati e scegliere dove eseguire i carichi di lavoro di intelligenza artificiale. Indipendentemente da ciò che spinge le aziende – ottimizzazione dei costi, protezione della proprietà intellettuale, conformità normativa o desiderio di sovranità – tutto si riduce a un’esigenza fondamentale: la proprietà dei dati e la flessibilità nella loro collocazione.
È importante sottolineare che per molte organizzazioni l’indipendenza non è solo una preferenza, ma un requisito aziendale imprescindibile. Con la crescente influenza delle aziende tecnologiche americane, sempre più paesi considerano la dipendenza dall’IT come una vulnerabilità.
Il blocco alla corrispondenza del procuratore Karim Khan
Il caso Microsoft è stato un campanello d’allarme: l’azienda ha bloccato l’accesso alla corrispondenza di lavoro del procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan, costringendo le autorità europee a riconsiderare la propria dipendenza dai servizi IT esteri. L’eurodeputata Aura Salla ha affermato direttamente che l’incidente ha chiaramente dimostrato che l’UE non può fare affidamento sui fornitori di sistemi operativi statunitensi.
La Germania è stata la prima a dimostrare come questa situazione possa essere cambiata. Nello Schleswig-Holstein, Microsoft Office sta venendo sostituito da LibreOffice, SharePoint da Nextcloud e Windows da Linux. Anche la Danimarca sta seguendo attivamente questa strada. Il Paese ha avviato progetti pilota per creare cloud con controllo garantito dalle autorità nazionali. In alcuni casi, si sta coinvolgendo anche provider cloud europei come OVHcloud.
Anche le regioni spagnole dell’Andalusia e di Valencia stanno sviluppando progetti propri basati su Linux, rafforzando l’autonomia digitale regionale. La transizione verso soluzioni aperte è associata al cosiddetto “problema della scatola nera”, ovvero l’impossibilità di controllare o modificare i sistemi di intelligenza artificiale proprietari. Nel caso degli assistenti di intelligenza artificiale per programmatori, la questione della trasparenza diventa particolarmente critica, poiché tali sistemi hanno accesso a informazioni riservate delle aziende: codice sorgente, soluzioni architetturali e logica di business.
Lo spettro del Cloud Act e del FISA Act
Tra i rischi principali, i paesi europei menzionano il Cloud Act americano, che obbliga le aziende statunitensi a fornire alle autorità l’accesso ai dati archiviati all’estero. Questa disposizione contraddice i documenti europei sulla sovranità digitale e suscita giustificate preoccupazioni tra i governi. Le aziende IT europee hanno ripetutamente avvertito che l’utilizzo di servizi cloud e sistemi di intelligenza artificiale americani porta inevitabilmente a una perdita di controllo sui dati e riduce la sicurezza.
Anche la Francia si sta allontanando dal software americano: le forze armate del paese hanno iniziato a passare a Linux. Migliaia di postazioni di lavoro sono già state migrate da Windows a Ubuntu Linux. Una tendenza simile si osserva anche al di fuori dell’Europa. L’India sta sviluppando modelli di intelligenza artificiale open source per esigenze governative, educative e militari.
È difficile dire quanto queste misure influiscano sulle performance finanziarie dei giganti IT statunitensi. Tuttavia, le aziende locali stanno già percependo il crescente interesse per i loro servizi. Ad esempio, il motore di ricerca berlinese Ecosia sta registrando un costante aumento delle richieste da parte degli utenti europei che preferiscono evitare giganti come Google e Microsoft Bing.
Secondo Similarweb, Ecosia ha ricevuto 122 milioni di visite dai paesi dell’UE a febbraio, un dato che, sebbene non paragonabile ai 10,3 miliardi di Google, mostra un costante aumento dell’interesse. Il fatturato di Ecosia ad aprile è stato di 3,2 milioni di euro, di cui 770 mila sono stati destinati alla piantumazione di 1,1 milioni di alberi.
Le più grandi aziende americane si sono astenute dal rilasciare dichiarazioni e non ci sono ancora dati specifici sulla loro perdita di quote di mercato nel mercato europeo.
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E così, mentre venti di guerra ci fanno stringere lo stomaco su cosa potrebbe capitarci, al governo si danno da fare perché ci possa davvero capitare.
Le due correnti maggioritarie,
"#dovetesoffrire" e
"#finepenamai" stanno preparando una legge per impadronirsi della vita di poveri cittadini malati che vorrebbero metter fine alle loro sofferenze.
Mi raccomando, continuate a votarci!
"#dovetesoffrire" e
Cosa mai potrebbe succedervi? Continuate e lo saprete....
La notizia trapela dal Pentagono: "Centrifughe nucleari iraniane quasi intatte"
Pete Hegseth, segretario alla difesa Usa "i bombardamenti hanno distrutto la capacità dell'Iran di produrre armi nucleari, chiunque continui ad affermare il contrario" vuole screditare Trump. Ma ai dubbi della Cnn si sommano quelli di Bbc e CbsRedazione di Rainews (RaiNews)
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Ma sì!, per il nostro governo si possono chiedere ospedali, lasciare il Paese allo sbaraglio, fregarsene degli anziani, dei disabili, degli studenti e delle famiglie. Per loro possiamo morire tutti, l'importante è dare i soldi per armi e guerre. Bastsrdi!
Meloni incatena l'Italia ai diktat della NATO: "Rispetteremo il 5% del PIL alla difesa" - L'INDIPENDENTE
lindipendente.online/2025/06/2…
Perché evitare confronti con i teorici del complotto?
Un post dell'amico e collega fact checker Juanne Pili ha aperto un dibattito su un tema che ci sta molto a cuore, così tanto che ho ritenuto interessante riportare le mie considerazioni nell'editoriale che state per leggere.maicolengel butac (Butac – Bufale Un Tanto Al Chilo)
freezonemagazine.com/rubriche/…
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350 supermercati Coop smetteranno di vendere prodotti israeliani
Era ora, ERA ORA!
Non capisco perché ci abbiano messo tanto.
E comunque da questa iniziativa resta fuori per lo meno la Toscana.
EDIT: come segnalato da Baylee, al boicottaggio partecipano anche Unicoop Firenze e Unicoop Tirreno.
#bds
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Ti ringrazio per l'informazione ma nonostante io sia un socio e un cliente assiduo di COOP a Firenze non avevo mai saputo niente del blocco delle vendite di prodotti israeliani. Sapevo di iniziative a sostegno della popolazione palestinese ma solo di queste.
Si tratta comunque di una presa di posizione estremamente tardiva.
Ricordo di aver partecipato a novembre 2024 ad un incontro organizzato dall'Accademia della Crusca con Zerocalcare e in quell'occasione il fumettista aveva dato voce ai soci COOP che chiedevano il boicottaggio dei prodotti israeliani e in quell'occasione un dirigente COOP aveva risposto che loro preferivano fare azioni "pro" qualcuno (i palestinesi) e non "contro" qualcuno (gli israeliani), posizione che a me era parsa molto pilatesca.
Signor Amministratore ⁂
in reply to paolo • •Ciao Paolo e benvenuto nel Poliverso 😅
Se vuoi sapere cosa succede qui, puoi iniziare da
1) Questo link poliverso.org/community che ti mostra i contenuti prodotti dagli utenti del solo server Poliverso
2) Questo link poliverso.org/community/global che ti mostra i contenuti prodotti dagli utenti di server diversi da Poliverso3) Questo link poliverso.org/network dove vedrai gli aggiornamenti dei tuoi contatti; e se anche non hai ancora contatti (e quindi non vedrai nulla nella pagina principale), puoi dare un'occhiata ai link a sinistra, dove troverai un filtro sui contenuti, in base alla tua lingua, gli ultimi contenuti pubblicati oppure tag come #Art #Socialmedia e #USA.
4) Questo link poliverso.org/calendar che ti mostra gli eventi federati condivisi da persone del tuo server o dai contatti dei tuoi contatti
Infine ti do il link di un promemoria utile per i nuovi utenti Friendica (ma anche per quelli meno nuovi)
informapirata
2025-02-02 12:57:58