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Lotta alla criminalità organizzata e al degrado ambientale. L'azione dell'Interpol

I gruppi della criminalità organizzata prendono di mira specie protette, come rinoceronti, pangolini e pesci totoaba, per ottenere profitti elevati e bassi rischi.

La criminalità ambientale ha un impatto devastante sul clima, sulla biodiversità e sugli habitat locali, generando centinaia di miliardi di dollari all'anno.

L'unità di sicurezza ambientale dell'INTERPOL, parte della Direzione per la criminalità organizzata, lavora a stretto contatto con i paesi membri e i partner esterni per identificare, tracciare e smantellare queste reti.

Le specie protette, come i rinoceronti e i pesci totoaba, rischiano l'estinzione a causa dell'elevata domanda di prodotti da parte della criminalità organizzata. I criminali utilizzano tecniche sofisticate, come la falsificazione delle etichette di carico e delle dichiarazioni doganali, per contrabbandare merci come legname protetto e animali vivi. L'Operazione Thunder dell'INTERPOL, un'operazione annuale della durata di un mese, ha portato quest'anno al sequestro di migliaia di animali e all'arresto di centinaia di sospettati.

Si tratta di un'operazione su larga scala, condotta a livello globale per combattere il traffico di fauna selvatica e di prodotti forestali. Questa operazione ha coinvolto le forze dell'ordine di molti paesi che hanno collaborato per sequestrare e indagare su casi di traffico illegale di fauna selvatica e prodotti forestali. Il traffico illegale di fauna selvatica è il commercio illegale di animali, piante e loro parti. Include animali come grandi felini, uccelli e rettili, nonché piante e alberi. Il traffico illegale di fauna selvatica può danneggiare l'ambiente, causare l'estinzione di specie e persino alimentare conflitti e instabilità. Il traffico illegale di legname è il commercio illegale di legname e prodotti forestali. Può includere alberi, legname e altri prodotti forestali. Il traffico illegale di legname può danneggiare l'ambiente e contribuire al cambiamento climatico.

Durante l'operazione, le forze dell'ordine hanno collaborato per:

  1. Sequestrare fauna selvatica e prodotti forestali, inclusi animali vivi, piante e legname.
  2. Indagare su casi di traffico illegale di fauna selvatica e prodotti forestali, incluse attività online e profili di sospetti.
  3. Condividere informazioni e intelligence tra loro per costruire un quadro globale di intelligence sul traffico di fauna selvatica e legname.
  4. Arrestare e perseguire i presunti trafficanti.

L'operazione ha portato al sequestro di:

  • Oltre 2.200 sequestri di fauna selvatica e prodotti forestali in tutto il mondo
  • Centinaia di migliaia di parti e derivati di animali protetti
  • Migliaia di alberi e piante
  • Armi da fuoco, veicoli e attrezzature per il bracconaggio

Raccolta di intelligence globale

La portata transnazionale unica dell'INTERPOL e l'accesso al più grande database di polizia al mondo consentono all'organizzazione di guidare la lotta globale contro la criminalità organizzata contro la fauna selvatica. I suoi team specializzati condividono informazioni di intelligence e facilitano le indagini tra le forze di polizia nazionali, con conseguente pubblicazione di notifiche viola e rosse per informare i paesi membri su nuovi modus operandi o latitanti ricercati a livello internazionale.

Successo nell'applicazione della legge a livello globale

Una recente notifica rossa (red notice) emessa dall'INTERPOL ha portato all'arresto di una donna ucraina in Thailandia per aver contrabbandato 116 tartarughe protette dalla Tanzania. Dopo essere sfuggita alla cattura in Thailandia, la donna è stata fermata in Bulgaria e infine estradata in Tanzania. L'arresto della sospettata e il ritorno delle tartarughe nel loro paese d'origine dimostrano la portata globale dell'INTERPOL e la sua capacità di coordinare gli sforzi delle forze dell'ordine internazionali per combattere la criminalità transnazionale.

#interpol #wildlifecrime


noblogo.org/cooperazione-inter…


Lotta alla criminalità organizzata e al degrado ambientale.


Lotta alla criminalità organizzata e al degrado ambientale. L'azione dell'Interpol

I gruppi della criminalità organizzata prendono di mira specie protette, come rinoceronti, pangolini e pesci totoaba, per ottenere profitti elevati e bassi rischi.

La criminalità ambientale ha un impatto devastante sul clima, sulla biodiversità e sugli habitat locali, generando centinaia di miliardi di dollari all'anno.

L'unità di sicurezza ambientale dell'INTERPOL, parte della Direzione per la criminalità organizzata, lavora a stretto contatto con i paesi membri e i partner esterni per identificare, tracciare e smantellare queste reti.

Le specie protette, come i rinoceronti e i pesci totoaba, rischiano l'estinzione a causa dell'elevata domanda di prodotti da parte della criminalità organizzata. I criminali utilizzano tecniche sofisticate, come la falsificazione delle etichette di carico e delle dichiarazioni doganali, per contrabbandare merci come legname protetto e animali vivi. L'Operazione Thunder dell'INTERPOL, un'operazione annuale della durata di un mese, ha portato quest'anno al sequestro di migliaia di animali e all'arresto di centinaia di sospettati.

Si tratta di un'operazione su larga scala, condotta a livello globale per combattere il traffico di fauna selvatica e di prodotti forestali. Questa operazione ha coinvolto le forze dell'ordine di molti paesi che hanno collaborato per sequestrare e indagare su casi di traffico illegale di fauna selvatica e prodotti forestali. Il traffico illegale di fauna selvatica è il commercio illegale di animali, piante e loro parti. Include animali come grandi felini, uccelli e rettili, nonché piante e alberi. Il traffico illegale di fauna selvatica può danneggiare l'ambiente, causare l'estinzione di specie e persino alimentare conflitti e instabilità. Il traffico illegale di legname è il commercio illegale di legname e prodotti forestali. Può includere alberi, legname e altri prodotti forestali. Il traffico illegale di legname può danneggiare l'ambiente e contribuire al cambiamento climatico.

Durante l'operazione, le forze dell'ordine hanno collaborato per:

  1. Sequestrare fauna selvatica e prodotti forestali, inclusi animali vivi, piante e legname.
  2. Indagare su casi di traffico illegale di fauna selvatica e prodotti forestali, incluse attività online e profili di sospetti.
  3. Condividere informazioni e intelligence tra loro per costruire un quadro globale di intelligence sul traffico di fauna selvatica e legname.
  4. Arrestare e perseguire i presunti trafficanti.

L'operazione ha portato al sequestro di:

  • Oltre 2.200 sequestri di fauna selvatica e prodotti forestali in tutto il mondo
  • Centinaia di migliaia di parti e derivati di animali protetti
  • Migliaia di alberi e piante
  • Armi da fuoco, veicoli e attrezzature per il bracconaggio

Raccolta di intelligence globale

La portata transnazionale unica dell'INTERPOL e l'accesso al più grande database di polizia al mondo consentono all'organizzazione di guidare la lotta globale contro la criminalità organizzata contro la fauna selvatica. I suoi team specializzati condividono informazioni di intelligence e facilitano le indagini tra le forze di polizia nazionali, con conseguente pubblicazione di notifiche viola e rosse per informare i paesi membri su nuovi modus operandi o latitanti ricercati a livello internazionale.

Successo nell'applicazione della legge a livello globale

Una recente notifica rossa (red notice) emessa dall'INTERPOL ha portato all'arresto di una donna ucraina in Thailandia per aver contrabbandato 116 tartarughe protette dalla Tanzania. Dopo essere sfuggita alla cattura in Thailandia, la donna è stata fermata in Bulgaria e infine estradata in Tanzania. L'arresto della sospettata e il ritorno delle tartarughe nel loro paese d'origine dimostrano la portata globale dell'INTERPOL e la sua capacità di coordinare gli sforzi delle forze dell'ordine internazionali per combattere la criminalità transnazionale.

#interpol #wildlifecrime


Segui il blog e interagisci con i suoi post nel fediverso. Scopri dove trovarci:l.devol.it/@CoopIntdiPoliziaTutti i contenuti sono CC BY-NC-SA (creativecommons.org/licenses/b…)Le immagini se non diversamente indicato sono di pubblico dominio.



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✍️ Attese.. La mia vita ultimamente, ma da sempre è stata una corsa: partire, inseguire, arrivare, correre per raggiungere qualcosa o qualcuno! Ma poi in mezzo a questo correre continuo, ci sono le attese, che seguono a volte cadute, vuoti, quasi fossero stazioni silenziose e abbandonate dove non accade nulla, nessuno sale, nessuno scende e i binari restano immobili.. Ma l'attesa non è semplice, inutile, non è uno spreco di tempo ed energie, anzi è un promemoria che ci ricorda che tutto intorno a noi ha un suo ritmo e un tempo da rispettare. Eppure tante le mie attese, l'attesa della guarigione dopo una ferita, un messaggio che tarda ad arrivare, un volto amico da accarezzare, un sorriso, un abbraccio. Le attese non fanno altro che riempire silenzi, di significato. E allora quante attese dinanzi a treni che non arrivano, a quelli persi, a stazioni deserte...Significa che forse ciò che stavo aspettando non era pronto per me o forse ero io ad aver bisogno di più tempo per raggiungere quel treno. Aspettare richiede coraggio, significa credere nell'arrivo di un altro treno anche quando sai che quello appena passato era l'ultimo. È un modo nuovo di viaggiare, stando fermi, aspettando, sperando. Perciò sto imparando che ogni tanto bisogna rallentare, imparare a fermarsi, respirare e aspettare con pazienza, perché prima o poi il nostro tanto atteso treno arriverà e ci porterà al di là dei nostri sogni, per sempre!">DSCN6561-1.jpg


noblogo.org/bymarty/attese




Pere Ubu - Lady From Shangai (2013)


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Lady From Shangai titolo di un famoso film di Orson Welles del 1947 è l'ultima fatica dei Pere Ubu. Numero quindici della loro discografia, esce a trentacinque anni di distanza da quello che rimane il loro capolavoro, fondamentale, primo disco pubblicato “The Moder Dance”, targato 1978. Un'altra opera difficile e complessa uscita da quell'eclettico creativo sessantenne David Thomas, mente e voce del gruppo, unico membro originale della band che, in questi trent'anni ha “danzato” su un tappeto musicalmente tecnologico, “moderno” e rumoreggiante di un suono d'avanguardia... artesuono.blogspot.com/2014/10…


Ascolta: album.link/i/1667705209



noblogo.org/available/pere-ubu…


Pere Ubu - Lady From Shangai (2013)


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Lady From Shangai titolo di un famoso film di Orson Welles del 1947 è l'ultima fatica dei Pere Ubu. Numero quindici della loro discografia, esce a trentacinque anni di distanza da quello che rimane il loro capolavoro, fondamentale, primo disco pubblicato “The Moder Dance”, targato 1978. Un'altra opera difficile e complessa uscita da quell'eclettico creativo sessantenne David Thomas, mente e voce del gruppo, unico membro originale della band che, in questi trent'anni ha “danzato” su un tappeto musicalmente tecnologico, “moderno” e rumoreggiante di un suono d'avanguardia... artesuono.blogspot.com/2014/10…


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CANTICO DEI CANTICI - Capitolo 3


La sposa cerca l’amato del suo cuore1Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l'amore dell'anima mia; l'ho cercato, ma non l'ho trovato.2Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze; voglio cercare l'amore dell'anima mia. L'ho cercato, ma non l'ho trovato.3Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città: “Avete visto l'amore dell'anima mia?”.4Da poco le avevo oltrepassate, quando trovai l'amore dell'anima mia. Lo strinsi forte e non lo lascerò, finché non l'abbia condotto nella casa di mia madre, nella stanza di colei che mi ha concepito.5Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle o per le cerve dei campi: non destate, non scuotete dal sonno l'amore, finché non lo desideri.

TERZO POEMA (3,6-5,1)

Il corteo nuziale6Chi sta salendo dal deserto come una colonna di fumo, esalando profumo di mirra e d'incenso e d'ogni polvere di mercanti?7Ecco, la lettiga di Salomone: sessanta uomini prodi le stanno intorno, tra i più valorosi d'Israele.8Tutti sanno maneggiare la spada, esperti nella guerra; ognuno porta la spada al fianco contro il terrore della notte.9Un baldacchino si è fatto il re Salomone con legno del Libano.10Le sue colonne le ha fatte d'argento, d'oro la sua spalliera; il suo seggio è di porpora, il suo interno è un ricamo d'amore delle figlie di Gerusalemme.11Uscite, figlie di Sion, guardate il re Salomone con la corona di cui lo cinse sua madre nel giorno delle sue nozze, giorno di letizia del suo cuore.

_________________Note

3,6 L’apertura del poema è affidata al coro: è come una voce fuori campo, alla quale l’autore riserva il ruolo di commentatore o di transizione verso un nuovo quadro.

3,9 Libano: rinomato per il legname dei suoi boschi.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti


vv. 1-5. Se la notte del canto precedente era stata notte d'amore consumato, la notte del canto di 3,1-5 evoca il genere letterario del “Sogno d'amore”, nel quale la ragazza si immagina di aver perduto il suo diletto e di doverlo ricercare in un'impossibile notte. Il Ct conosce anche un secondo notturno d'amore (cfr. 5,2-7), ma senza il lieto fine che sigilla questo canto (3,5). Si tratta di un sogno raccontato (i verbi sono tutti al passato) che ricorda una scena che si svolge nel cuore della notte, entro una città immersa nel silenzio, dove tuttavia il silenzio notturno è rotto dalle parole della protagonista che, ripetute come un ritornello, scandiscono temi e tempi dell'amore di lei per colui che essa chiama con una dolcissima definizione «l'amato del mio cuore». L'amore è fatto di assenza e di presenza, percorre i sentieri del “cercare”, del “non trovare”, del “trovare” (vedi l'affastellarsi di questi verbi in tutti i primi quattro versetti): si tratta della ricerca mai scontata dell'amore, cercato e inseguito superando tutti gli ostacoli. Due volte l'inseguimento nel sogno ha un esito amaro: «L'ho cercato, ma non l'ho trovato» (vv. 1-2). Finalmente, l'immensa sorpresa: «trovai l'amato del mio cuore» (v. 4a), con l'incontro d'amore sognato «in casa della madre», nella camera di colei che «l'aveva concepita» (v. 4b). Il sogno si chiude con una voce fuori campo (v. 5; cfr. 2,7), che scongiura di non disturbare l'amore assopito dei due amanti.

vv. 6-11. In mezzo a tanti dialoghi e monologhi di cui è intessuto il poema del Ct, qui ci troviamo di fronte a una descrizione apparentemente impersonale. Il redattore impiega un antico epitalamio regale sul tipo di quello che leggiamo nel Sal 45. Sembrano nozze regali, addirittura di re Salomone (cfr. 1Re 9,16); ma nella finzione poetica del Ct, dove ogni sposo è chiamato «re» (cfr. 1,4), si nasconde la realtà del matrimonio di una qualsiasi coppia di giovani. La fastosa processione nuziale viene poeticamente evocata e ambientata nel deserto di Giuda non lontano da Gerusalemme: un gran polverone, che il poeta rilegge come «colonna di fumo, profumi di mirra e di incenso» (v. 6); una lettiga ornata con oro, argento e legno del Libano, il cui seggio è tessuto di porpora (v. 7.9.10); la scorta di sessanta amici dello sposo (vv. 7-8), paragonati ai sessanta soldati di scorta che si era scelto il re Salomone (cfr. 1Re 1,38.44). Si tratta di proteggere l'amata «contro i pericoli della notte» (v. 8b), i quali – dato il contesto nuziale – sembrano alludere agli spiriti maligni notturni che, secondo certe tradizioni popolari dell'Antico Oriente (cfr. Tb 3,7-8), imperversavano nella prima notte di nozze attentando alla fertilità e alla felicità della coppia. Il v. 11 è un invito alle «figlie di Sion» (cfr. «le fanciulle di Gerusalemme» del v. 10) a uscire di casa per applaudire il corteo nuziale che avanza in città, per ammirare lo sposo incoronato, abbigliato per le nozze dalla sua stessa madre. Tutto nel Ct è contemplato con occhi tipicamente femminili.

(cf. VALERIO MANNUCCI, Cantico dei Cantici – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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¿Alguna vez han tenido que lidiar con alguien que se rehúsa a aceptar que la traducción de “billion” en inglés no es “billón” en español, sino “mil millones”? ¿Alguna vez alguien les ha dicho, incorrectamente pero con total confianza, que en el planeta hay unos ocho billones* de personas? ¿Alguna vez se han preguntado por qué esta discrepancia? Pues hoy tienen miles de millones de razones para celebrar, porque en el #LunesDeLenguas de hoy, les voy a contar sobre las escalas larga y corta.

Ambas escalas son sistemas para nombrar potencias de 1000 (pero que aquí voy a escribir como potencias de 10, porque me ahorro espacio). Hasta 10^6 todo va bien, todo está muy tranquilo, porque en ambas escalas este número (1000000) se llama “millón” (que es una palabra que deriva de la palabra latina “mille” (“mil”) y que quiere decir “tremendo mil”, “cipote mil”, “flor de mil”, o “un mil grande”). El verdadero problema comienza después.

En la escala corta, que es la que se usa en el mundo angloparlante, 10^9 se llama “billion”. Pero en la escala larga, que es la que usamos en español y en las demás lenguas romances (entre otras), tenemos otro nombre para este número: “un millardo”. Si bien es más común en español ahora decir “mil millones”, en otras lenguas, como en italiano, sí es común decir “miliardo”.

Y en la escala corta 10^12 se dice “trillion”, pero en la escala larga decimos “billón”.

Lectoras avezadas se habrán dado cuenta ya del patrón. La escala larga está basada en millones. En esta escala, un billón es “un millón dos veces” (1000000^2). Un trillón es “un millón tres veces” (1000000^3) y así sucesivamente.

Pero la escala corta está basada en miles (comenzando desde un millón). Un “billion” es el segundo paso en la escala: un millón multiplicado por mil. Un “trillion” es el tercer paso en la escala: un “billion” multiplicado por mil” Y así sucesivamente.

La escala larga, además, tiene otros nombres para sus potencias de 1000 que quedan entre potencias de millones. Estos siguen el formato de “millardo” descrito más arriba. Por ejemplo, 10^15, que es mil billones, es un billardo. Y 10^21, que es mil trillones, es un trillardo. Nombres que estoy seguro que todos usamos diariamente.

Pero, ¿cómo llegamos a esta diferencia? El asunto es que contar con números tan grandes es bien complicado.

De hecho, por lo menos en el mundo occidental, no era común contar hasta números tan altos hasta ya entrado el Medioevo. Los numerales romanos originales, por ejemplo, no tenían un símbolo para “mil”. Aunque sí tenían maneras de escribir ese número, la M fue agregada en el Alto Medioevo: latin.stackexchange.com/questi…

Y la primera instancia de alguien usando la palabra “millón” está atribuida a un tal Máximo Planudes y data del Siglo XIII d.C.: en.wikipedia.org/wiki/Maximus_…

Ambas escalas se desarrollaron más o menos paralelamente, desde el Siglo XIII en adelante. Pero no tenemos claro quién se las inventó o por qué. Y por mucho tiempo no era claro quién estaba usando qué escala.

Por ejemplo, aunque en Francia ahora la escala larga es la estándar, durante los siglos XVIII y XIX la mayoría de académicos franceses prefirieron la corta. Los estadounidenses se pasaron a la escala corta desde el siglo XVIII, pero los británicos siguieron en la larga hasta el XX.

De hecho, en 1974 el Reino Unido, quizás impulsado por el peso del inglés estadounidense en el mundo, oficializó su paso a la escala corta.

Y toda esta situación es tan confusa que sólo fue un año después de esto, en 1975, que a alguien se le ocurrieron los nombres “escala larga” y “escala corta”. Ese crédito es de la matemática francesa Geneviève Gutiel, quien acuñó los nombres en francés: “échelle longue” y “échelle courte”.

Actualmente casi todo el mundo (excepto Grecia y la mayoría del oriente asiático, que usan otros sistemas interesantes a los que llegaremos algún día, pero que han sido brevemente reseñados en #PalabrasEficientes) se divide entre ambas escalas.

En este mapa pueden ver que la mayoría de Europa, buena parte de África y todo el mundo hispanoparlante está en la escala larga. Todo el mundo anglófono está en la escala corta: en.wikipedia.org/wiki/Long_and…

En portugués usan la escala larga... Excepto Brasil que siempre ha querido ser diferente.

En algunos países, como Canadá, se usan dos (o más) lenguas que usan dos escalas diferentes (la corta en inglés y la larga en francés). Y en el mundo árabe y en la mayoría del eslavo se usa la escala corta, pero también usan la palabra “millardo”. No sé cómo funciona en cada uno de estos, pero sé que en ruso “millardo” y “billón” son sinónimos (y significan “mil millones”).

Si quieren entender mejor las escalas, les recomiendo este video: youtube.com/watch?v=C-52AI_ojy…

Y si quieren saber más de su historia, les recomiendo este link: en.wikipedia.org/wiki/Long_and…

Un billón de gracias.

*En el planeta Tierra hay aproximadamente ocho mil millones de personas. U ocho millardos, que es lo mismo.


noblogo.org/lunes-de-lenguas/a…



[esclusioni]come] creano un pdf/x con l'alta pressione delle mollette sui] fili nella scuola scansione degli elementi primari terricole la] via dàzìbào allora] la scena vola tolti i piombi sono – meno passati] minuti e sottominuti la nitidezza] prevede camera disimpegno in condizione tiene l'input] verificano fanno] – meno la provincia fatica [fuori] tutto rimane] per accumulo per nastro] [trasportatore


noblogo.org/lucazanini/esclusi…



Benvenuti al teatro senza biglietto C’è chi entra a teatro con il biglietto in mano, in fila davanti al botteghino, pronto a farsi avvolgere dal buio della sala e dal fascio di luce sul palco. E poi ci siamo noi, che a teatro ci entriamo senza volerlo. Ogni giorno. Senza sipario, senza posto numerato, senza applausi finali. Il teatro della vita non ha registi dichiarati, solo improvvisatori maldestri. L’assurdo, in questo spettacolo, non è un ospite inatteso: è il protagonista fisso. Lo troviamo al supermercato, davanti allo scaffale della pasta, quando due signore litigano se sia meglio la penna rigata o la liscia, con lo stesso fervore con cui i filosofi greci discutevano di metafisica. Oppure sull’autobus, quando un signore racconta a voce alta le proprie vicende mediche a passeggeri sconosciuti, trasformando il viaggio in una tragedia clinica. E noi, spettatori e attori al tempo stesso, restiamo intrappolati in questa rappresentazione permanente. Il filosofo Erving Goffman, con il suo “La vita quotidiana come rappresentazione”, ci aveva già avvertiti: “ogni gesto, ogni parola, è parte di un copione sociale. Il problema è che spesso quel copione fa acqua da tutte le parti.” Pensiamoci: quante volte ci siamo trovati a sorridere in riunioni noiose, recitando un entusiasmo inesistente, come comparse in una commedia scadente? Quante volte abbiamo applaudito frasi banali solo perché pronunciate dal capo di turno, come se fossero battute di Shakespeare? La vita è un palcoscenico dove si applaude più per convenzione che per convinzione. Eppure, nonostante l’assurdità, in questo spettacolo ci troviamo a nostro agio. Perché nell’improvvisazione, a volte, c’è verità. L’uomo che inciampa sul marciapiede e si rialza con finta disinvoltura, la signora che parla con il cane come fosse un Nobel per la letteratura, il ragazzo che scrive poesie sui tovaglioli del bar… tutto questo ci ricorda che non c’è differenza netta tra palco e platea. Pirandello ci aveva visto lungo: “Così è, se vi pare”. Ogni individuo indossa una maschera diversa, a seconda della scena che deve affrontare. Il problema non è la maschera, ma dimenticare che dietro ce n’è sempre un’altra. E che, forse, sotto tutte le maschere non resta un volto, ma un altro sipario. Il bello dell’assurdo è che non ha bisogno di effetti speciali. Un vicino di casa che canta alle tre di notte convinto di essere Pavarotti, un impiegato che discute animatamente con la macchinetta del caffè, un politico che promette serietà con la stessa convinzione con cui un illusionista giura di non avere trucchi nelle maniche. E noi ridiamo, scuotiamo la testa, ma in fondo sappiamo che facciamo parte dello stesso gioco. Il teatro della vita è gratuito, ma non per questo meno impegnativo. Richiede presenza, adattamento, un minimo di spirito critico e, soprattutto, la capacità di non prendersi troppo sul serio. Perché se non riusciamo a ridere dell’assurdo, rischiamo di esserne schiacciati. Allora, forse, la vera filosofia non è quella che cerca verità assolute nei libri polverosi, ma quella che si esercita nel quotidiano: nell’arte di osservare, di sorridere, di capire che anche un litigio sul parcheggio può avere la dignità di una tragedia greca. È un modo di “divulgare” filosofia senza renderla spicciola: riportarla alla vita, dove è nata, tra mercati, piazze e osterie. E se proprio dobbiamo accettare di essere parte di questa commedia infinita, tanto vale imparare a godercela. Non c’è prova generale, non c’è serata d’esordio. Si va in scena tutti i giorni, spesso impreparati, e il pubblico — che poi siamo noi stessi — non sempre è clemente. Ma forse è proprio questo il segreto: accettare l’imperfezione come parte del copione. Ridere quando sbagliamo battuta, improvvisare quando dimentichiamo le parole, sorridere quando la scena sembra tragica. Perché, alla fine, in questo teatro senza biglietto, l’assurdo non è il nemico da combattere, ma l’alleato che ci ricorda che siamo vivi. Che non siamo macchine, ma esseri capaci di cadere e rialzarci, di ridere e piangere, di cambiare ruolo da un atto all’altro. Allora, benvenuti a teatro. Lo spettacolo è già iniziato, e non ci sarà replica. Tanto vale, almeno, divertirsi un po’.


noblogo.org/lofficinadellestor…



✍️ Ci sono giorni in cui ti senti smarrita, persa in un bosco fitto, con intorno solo alberi, rovi, spine, ombre e piccoli sentieri che sembrano chiudersi e scomparire nel buio! Ti senti impaurita, come se non ci fosse una via dì fuga, davanti a te, così ti fermi e ti abbracci , cerchi un punto di contatto, un punto di partenza dentro di te! Perché li ci sono le mie radici, quelle fatte di ricordi, di scelte, di persone che mi hanno sostenuta e a volte aiutato a ritrovare il giusto sentiero! Non sempre sono visibili queste radici, ma spesso ci nutrono in silenzio, come fossero le radici profonde di un grande albero secolare. Eppure il bosco diventa un rifugio sicuro, perché custodisce silenzi che guariscono più delle parole, basta fermarsi un attimo, respirare, ascoltare, ma soprattutto aspettare! Attendere risposte dettate dal lento scorrere del tempo, rimanere semplicemente ad ascoltare, lasciando che sia il silenzio a parlare! E poi arrivano i tramonti, la fine di una giornata di sole, i rami sembrano spogli e cupi e la luce lentamente si affievolisce, non è la fine, ma un unizio nascosto. Quindi ogni nostra caduta, ogni smarrimento, altro non sono che l'inizio di qualcosa, una rinascita! Perciò il bosco, con le sue radici invisibili, con i suoi grandi alberi, i sentieri impervi, ci aiuta a comprendere che smarrirsi non è la fine, non è segno di debolezza o fragilità, ma è il modo in cui la vita ci dà l'occasione, la forza per farci ritrovare e riscoprire seppur diversi!


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✍️ Ci sono giorni in cui ti senti smarrita, persa in un bosco fitto, con...


✍️ Ci sono giorni in cui ti senti smarrita, persa in un bosco fitto, con intorno solo alberi, rovi, spine, ombre e piccoli sentieri che sembrano chiudersi e scomparire nel buio! Ti senti impaurita, come se non ci fosse una via dì fuga, davanti a te, così ti fermi e ti abbracci , cerchi un punto di contatto, un punto di partenza dentro di te! Perché li ci sono le mie radici, quelle fatte di ricordi, di scelte, di persone che mi hanno sostenuta e a volte aiutato a ritrovare il giusto sentiero! Non sempre sono visibili queste radici, ma spesso ci nutrono in silenzio, come fossero le radici profonde di un grande albero secolare. Eppure il bosco diventa un rifugio sicuro, perché custodisce silenzi che guariscono più delle parole, basta fermarsi un attimo, respirare, ascoltare, ma soprattutto aspettare! Attendere risposte dettate dal lento scorrere del tempo, rimanere semplicemente ad ascoltare, lasciando che sia il silenzio a parlare! E poi arrivano i tramonti, la fine di una giornata di sole, i rami sembrano spogli e cupi e la luce lentamente si affievolisce, non è la fine, ma un unizio nascosto. Quindi ogni nostra caduta, ogni smarrimento, altro non sono che l'inizio di qualcosa, una rinascita! Perciò il bosco, con le sue radici invisibili, con i suoi grandi alberi, i sentieri impervi, ci aiuta a comprendere che smarrirsi non è la fine, non è segno di debolezza o fragilità, ma è il modo in cui la vita ci dà l'occasione, la forza per farci ritrovare e riscoprire seppur diversi!

@Marti75@snowfan.masto.host




Devendra Banhart - Mala (2013)


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Anche col titolo del disco, Devandra, non smentisce il suo stile; il saper “giocare” con i doppi sensi. Mala infatti, soprannome della sua fidanzata serba Ana Kras, significa “tenera” in serbo e “cattiva” in spagnolo, lingua usata spesso dal cantautore. L'atmosfera di questo suo nono disco, non si discosta di molto da quella a cui ci ha abituato in questo decennio; una base folk con varie escursioni psichedeliche, latinoamericane e soprattutto in quest'ultimo, un abbondante uso del suono elettronico. Considerato il cantautore più freak ed hippie in circolazione, Mala è stato registrato a Los Angeles e, come nei precedenti lavori, ha usato uno studio familiare, con attrezzature che di fedeltà ne hanno ben poca. Basti ricordare che in passato usò (anche) la segreteria telefonica come registratore... sigh!... artesuono.blogspot.com/2014/10…


Ascolto: album.link/i/608045906



noblogo.org/available/devendra…


Devendra Banhart - Mala (2013)


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Anche col titolo del disco, Devandra, non smentisce il suo stile; il saper “giocare” con i doppi sensi. Mala infatti, soprannome della sua fidanzata serba Ana Kras, significa “tenera” in serbo e “cattiva” in spagnolo, lingua usata spesso dal cantautore. L'atmosfera di questo suo nono disco, non si discosta di molto da quella a cui ci ha abituato in questo decennio; una base folk con varie escursioni psichedeliche, latinoamericane e soprattutto in quest'ultimo, un abbondante uso del suono elettronico. Considerato il cantautore più freak ed hippie in circolazione, Mala è stato registrato a Los Angeles e, come nei precedenti lavori, ha usato uno studio familiare, con attrezzature che di fedeltà ne hanno ben poca. Basti ricordare che in passato usò (anche) la segreteria telefonica come registratore... sigh!... artesuono.blogspot.com/2014/10…


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CANTICO DEI CANTICI - Capitolo 2


1Io sono un narciso della pianura di Saron, un giglio delle valli.2Come un giglio fra i rovi, così l'amica mia tra le ragazze.3Come un melo tra gli alberi del bosco, così l'amato mio tra i giovani. Alla sua ombra desiderata mi siedo, è dolce il suo frutto al mio palato.4Mi ha introdotto nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore.5Sostenetemi con focacce d'uva passa, rinfrancatemi con mele, perché io sono malata d'amore.6La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia.7Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle o per le cerve dei campi: non destate, non scuotete dal sonno l'amore, finché non lo desideri.

SECONDO POEMA (2,8-3,5)

Lo sposo cerca la sposa8Una voce! L'amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline.9L'amato mio somiglia a una gazzella o ad un cerbiatto. Eccolo, egli sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia dalle inferriate.10Ora l'amato mio prende a dirmi: “Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto!11Perché, ecco, l'inverno è passato, è cessata la pioggia, se n'è andata;12i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna.13Il fico sta maturando i primi frutti e le viti in fiore spandono profumo. Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto!14O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole”.

Intensità d’amore15Prendeteci le volpi, le volpi piccoline che devastano le vigne: le nostre vigne sono in fiore.16Il mio amato è mio e io sono sua; egli pascola fra i gigli.17Prima che spiri la brezza del giorno e si allunghino le ombre, ritorna, amato mio, simile a gazzella o a cerbiatto, sopra i monti degli aromi.

_________________Note

2,1 il nome della pianura costiera, che si estende dalla città di Giaffa al monte Carmelo. A questo nome è collegata l’idea di prosperità e abbondanza.

2,4 cella del vino: il luogo dove veniva fatto fermentare il vino.

2,12-14 Nella poesia biblica la tortora, con il suo canto, era considerata il simbolo dell’amore; la colomba il simbolo della fedeltà e della fecondità.

2,15-17 L’immagine delle piccole volpi che devastano le vigne può essere compresa come un’ombra minacciosa, attorno alla luce e alla bellezza dell’amore, che va difeso. Nel simbolismo biblico, la vigna è immagine della donna ed è anche il bene più prezioso che l’agricoltore possiede.

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Approfondimenti


vv. 1,15-2,3. Segue dal capitolo precedente lo scambio tra lui (1,15; 2,1) e lei (1,16; 2,2). L'oasi di verde e di pace impresta così l'ultimo mutuo elogio, prima di consumare l'amore (2,4-6). L'amato è per lei «un narciso di Saron, un giglio delle valli» (2,1). Il narciso è un fiore delicato – ma dal profumo intenso – di quella fertilissima pianura di Saron sulla costa mediterranea della Palestina, emblema di tutte le pianure; il giglio dei campi è un fiore semplice, eppure dotato di una bellezza incomparabile (cfr. Mt 6,28-29; Lc 12,27). Lui riprende la seconda immagine per parlare di lei: non «un giglio dei campi», ma «un giglio tra i cardi» (2,2), un giglio miracolosamente spuntato in un campo di spine, perché lei è la donna più bella che esista, di una bellezza incomparabile. E lei risponde all'amato evocando l'immagine del melo (2,3a), un albero spesso presente nella poesia erotica: evoca qualcosa di fortemente desiderabile (2, 3b) perché capace di donare dolci e insieme forti sensazioni, e l'ombra della sua chioma è come un abbraccio di fecondità.

vv. 4-7. La «cella del vino» è la stanza dell'amore, spesso simboleggiato nel Ct con il vino (1,2.4; 4,10; 5,1; 7,10; 8,2); e l'insegna (il «vessillo» del v. 4b) della cella del vino non può essere che amore! I due amanti abbracciati consumano l'amore, con gesti (v. 6) che tutte le culture conoscono. La donna, «malata d'amore» (o – come traducono i LXX – «perforata da amore»), spossata dall'amplesso, chiede «focacce d'uva passa» (cfr. Os 3,1; Is 16,7 ecc.) e succo di «mele», considerati dagli orientali come un afrodisiaco e un sostegno vitaminico. E l'amato implora il coro invisibile delle figlie di Gerusalemme a non svegliare l'amata dal suo sopore amoroso (v. 7); ma potrebbe essere ancora lei a parlare, invitando a non disturbare l'amore (in ebraico, è femminile!), a rispettarne i tempi e i momenti, «a lasciare nella pace i due amanti assopiti l'uno nelle braccia dell'altra» (D. Garrone). L'appello chiama in causa «le gazzelle e le cerve», sacre in Oriente alla dea dell'amore Astarte, per la bellezza e la libertà dell'amore che esse simboleggiano.

vv. 8-17. Con il v. 8 ha inizio un nuovo canto. Dopo il primo poema (1,9-2,7), che costituisce in qualche modo l'ouverture e anche una specie di riassunto del Ct, il tema dell'amore sponsale si dispiega come un appuntamento primaverile. L'inverno è assenza; la primavera è presenza.

vv. 8-14. Una voce inconfondibile risveglia l'amata verso l'alba. Il diletto ha valicato monti e colline che lo separavano da lei, veloce e leggiadro come «un capriolo o un cerbiatto» (v. 9a), che apre sempre la marcia nei branchi dei cervi. La voce, grido dell'amato, appena egli si avvicina alla casa di lei e si mette ad occhieggiare dietro la finestra protetta dalla grata, diventa parola-appello personale all'incontro d'amore: «Alzati e vieni!» (v. 10). La bella stagione primaverile, brevissima ma intensa in Palesina, viene stupendamente descritta (vv. 11-13) con una notazione visiva (i fiori), uditiva (il canto degli umani in sintonia con il cinguettio degli uccelli) e persino olfattiva (la fragranza delle vigne in fiore e dei fichi primaticci). Ogni volta che trionfa l'amore – sembra dirci il Ct – passa l'inverno che tiene prigionieri della propria paura e del proprio esilio ed esplode la primavera della vita, come fosse il primo mattino del mondo. «Amica mia, mia bella, mia colomba» (v. 14). L'amata diventa ora, nell'invocazione di lui, la sua colomba: simbolo ben noto a molta letteratura d'amore ed espressivo della fedeltà della coppia, nonché di una grazia ricca di attenzioni e dimostrazioni d'affetto. E il nuovo simbolo sposta il sogno dalla casa alla roccia e alle sue fenditure, agli anfratti dei dirupi in cui le colombe selvatiche amano nidificare. Lo sposo implora «la sua colomba» di mostrargli il suo viso leggiadro e di fargli udire la sua voce soave, le propone un'intimità che abolisca separazione e segreti.

vv. 15-17. Il coro interrompe l'appello d'amore di lui, con un invito a creare una specie di difesa attorno alla vigna meravigliosa dell'amore. L'immagine della «vigna» per designare il corpo e la femminilità di lei era già presente in 1,6; ma qui si parla de «le nostre vigne» al plurale, come se il coro delle amiche si mettesse in sintonia già con la voce di lei (vv. 16-17). L'amore sponsale è sempre minacciato dalle «piccole volpi» golose dei grappoli d'uva in maturazione, contro le quali si organizzavano in Oriente turni di guardia notturni. L'amore, che è tutto vita-freschezza-floridezza-profumo come «una vigna in fiore», va difeso dai tanti predatori che ne vogliono fare scempio. Il canto si chiude (vv. 16-17) con un'altissima dichiarazione d'amore sulla bocca di lei: «Il mio diletto è per me e io per lui». Questa formula di mutua appartenenza, ripetuta anche in 6,3 e 7,1 e che in versione più distesa esprime nell'AT la relazione di alleanza tra Dio e Israele (cfr. Dt 26,17-18; Os 2,25; Ger 7,23; 11,4; Ez 34,30-31 ecc.), consacra i due sposi l'uno con l'altro, l'uno per l'altro, totalmente, sempre. Si tratta di un sospiro d'amore consumato, visto che nel v. 16b «lui pascola tra i gigli», con un'allusione all'intimità dei due amanti: in 4,5 «i gigli» alludono al corpo della ragazza in mezzo a cui, come due gazzelle, spuntano i seni. Il v. 17, uno dei più difficili del Ct, evoca con una forte carica di erotismo una notte piena d'amore. L'amata invita il suo diletto a visitare come un cerbiatto «i monti degli aromi», simbolo del corpo di lei, «prima che spiri la brezza del giorno e si allunghino le ombre».

(cf. VALERIO MANNUCCI, Cantico dei Cantici – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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[vortex]la non belligeranza rattrappante il modo [è perpetuo segnato con acciai e profili falsi continenti] occupano gli orti sociali il Bramantino [cancella è solo] un esempio


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NON NOI

______________________________________ “noi no” (sandra mondaini, raimondo vianello, jeff bezos, 1977) (n.b.: l’epigrafe deve essere di merda e deve fare sorridere) ______________________________________

il noi di cui noi disponiamo è completamente sbagliato, è da rifare, siamo noi da rifare. in attesa, va evitato l’uso; ci evitano in parecchi.

il noi anche semplicemente grammaticale che disponiamo sulla scacchiera della sintassi non sta messo meglio: errore o meglio un errante fra convenzioni di diorite e alleanzelle di biscotto.

tra l’altro si sapeva, si è sempre saputo.

cioè continua a essere: stupro di gruppo, fusioni societarie, coloni, ufficiali, uffici, tribalismo, correnti di convezione, cattivo odore bene collettivo, circhi senza farina, batte col piatto del machete sulla gamba e taglia le condutture d’acqua ovviamente in Cisgiordania.

il pronome yankee a inizio agosto 2024 stanzia 18 miliardi di dollari perché israele continui la distruzione del popolo Palestinese e il furto di terre.

non so/sappiamo e nessuno sa cosa possa sostituire la splendida profondità fognaria dei pronomi di prima persona, uno e multiplo, instagrammer e gruppi fb.

non c’è crimine che non trovi (un) noi a giustificarlo, dagli omicidi e violenze sessuali a megiddo e nelle altre carceri israeliane agli acquirenti dei manualetti di ultradestra.

la pancia di amazon è piena di mosche, una per ogni penny di jb.

è passato da poco il primo compleanno del genocidio ai danni della Palestina, a sua volta vetta di 76 compleanni di Nakba. una montagna di montagne di morti.

il noi (di merda) degli intellettuali (di merda) non si è mica sentito, o – diciamo – si è sentito pochissimo (e) male. o meglio uno zero, per altri zeri, di fronte al noi invece energico tricolore bluette del roblox di parigi ’24 [=olimpiadi].

medici operai operatori scrivono noi tornando da Gaza, da Gerusalemme Est, dalla West Bank, o standoci: possono usare il pronome, gli altri no, noi no.

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#Gaza #genocide #genocidio #Palestine #Palestina #warcrimes #sionismo #zionism #starvingpeople #starvingcivilians #iof #idf #colonialism #sionisti #izrahell #israelterroriststate #invasion #israelcriminalstate #israelestatocriminale #children #bambini #massacri #deportazione #concentramento #famearmadiguerra #intellettuali #Nakba #ilnoi #noi #primapersonaplurale #primapersona #Megiddo #carceriisraeliane #olimpiadidiparigi #intellettuali #intellettualidimerda #ICJ #ICC #Cisgiordania #WestBank #settlers #coloni #prigionieri #ostaggi #leparoleelecose #LPLC #poetiitaliani #poesia #poesiaprimapersona #olimpiadi #pronomesbagliato #noidimerda


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✍️La mia montagna! (16/08/2025)

Le ho sempre osservate da lontano, sui libri, in TV, sempre enormi e irraggiungibili e quasi impossibile arrivare fino in cima, con tutta quella strada da fare, tortuosa e ricca di insidie! Ma chi ama e conosce la montagna, io invece amo il mare, sa che non bastano pochi e semplici passi per scalarla! Si sale lentamente e pazientemente e un passo dopo l'altro, la cima si avvicina. La montagna? Il mio cambiamento, dover rallentare la mia corsa folle e abbandonarmi alla pazienza e alla lentezza! Bisogna ritornare sul sentiero ogni giorno, anche quando le gambe non reggono e la cima è nascosta dalle nuvole. E magari un giorno, all'improvviso , mi ritroverò più in alto e voltandomi indietro saluterò quel sentiero che ha accompagnato i miei passi, le mie cadute, tra prati e rocce. Capirò che la vetta non era irraggiungibile o immaginaria e che quel sentiero a volte ripido e difficile altro non era che il percorso che mi avrebbe avvicinata al cambiamento, all'essere più forte e paziente, di nuovo me stessa! (By Marty)


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Steve Earle & The Dukes - The Low Higway (2013)


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A due anni dall'ottimo I'll Never Get Out of This World Alive, Steve Earle ritorna con una altro bel disco “The Low Higway”. Quindicesimo lavoro in studio, l'album si mantiene nella sua collaudata sfera folk/country/rock, senza particolari peccati ne virtù. Niente di marcatamente nuovo quindi, ma dodici brani firmati da grande autore. Da scrittore qual'è, (è uscito da pochi mesi un romanzo dal titolo “Non uscirò vivo da questo mondo”) il cinquantottenne cantautore statunitense, non ha difficoltà ad esprimere attraverso la forma artistica della “canzone” versi, pensieri e idee soprattutto sociali. Da sempre impegnato politicamente Earle, attraverso i testi, sottolinea disagi e invia segnali di protesta, facendosi portavoce anche di chi voce non ha... artesuono.blogspot.com/2014/10…


Ascolta: album.link/i/1436912489



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Steve Earle & The Dukes - The Low Higway (2013)


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A due anni dall'ottimo I'll Never Get Out of This World Alive, Steve Earle ritorna con una altro bel disco “The Low Higway”. Quindicesimo lavoro in studio, l'album si mantiene nella sua collaudata sfera folk/country/rock, senza particolari peccati ne virtù. Niente di marcatamente nuovo quindi, ma dodici brani firmati da grande autore. Da scrittore qual'è, (è uscito da pochi mesi un romanzo dal titolo “Non uscirò vivo da questo mondo”) il cinquantottenne cantautore statunitense, non ha difficoltà ad esprimere attraverso la forma artistica della “canzone” versi, pensieri e idee soprattutto sociali. Da sempre impegnato politicamente Earle, attraverso i testi, sottolinea disagi e invia segnali di protesta, facendosi portavoce anche di chi voce non ha... artesuono.blogspot.com/2014/10…


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CANTICO DEI CANTICI - Capitolo 1


PROLOGO1Cantico dei Cantici, di Salomone.2Mi baci con i baci della sua bocca! Sì, migliore del vino è il tuo amore.3Inebrianti sono i tuoi profumi per la fragranza, aroma che si spande è il tuo nome: per questo le ragazze di te si innamorano.4Trascinami con te, corriamo! M'introduca il re nelle sue stanze: gioiremo e ci rallegreremo di te, ricorderemo il tuo amore più del vino. A ragione di te ci si innamora!

PRIMO POEMA (1,5-2,7)

La sposa si presenta5Bruna sono ma bella, o figlie di Gerusalemme, come le tende di Kedar, come le cortine di Salomone.6Non state a guardare se sono bruna, perché il sole mi ha abbronzato. I figli di mia madre si sono sdegnati con me: mi hanno messo a guardia delle vigne; la mia vigna, la mia, non l'ho custodita.

Desiderio dello sposo7Dimmi, o amore dell'anima mia, dove vai a pascolare le greggi, dove le fai riposare al meriggio, perché io non debba vagare dietro le greggi dei tuoi compagni?8Se non lo sai tu, bellissima tra le donne, segui le orme del gregge e pascola le tue caprette presso gli accampamenti dei pastori.

Colloquio d’amore9Alla puledra del cocchio del faraone io ti assomiglio, amica mia.10Belle sono le tue guance fra gli orecchini, il tuo collo tra i fili di perle.11Faremo per te orecchini d'oro, con grani d'argento.12Mentre il re è sul suo divano, il mio nardo effonde il suo profumo.13L'amato mio è per me un sacchetto di mirra, passa la notte tra i miei seni.14L'amato mio è per me un grappolo di cipro nelle vigne di Engàddi.15Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella! Gli occhi tuoi sono colombe.16Come sei bello, amato mio, quanto grazioso! Erba verde è il nostro letto,17di cedro sono le travi della nostra casa, di cipresso il nostro soffitto.

_________________Note

1,1-4 Il Cantico si apre con la presentazione dei protagonisti (l’amata, l’amato, le ragazze che compongono il coro) e con l’enunciazione dei temi in esso dominanti (i sentimenti, le effusioni, i desideri e i gesti dell’amore). Il titolo “Cantico dei Cantici” è una forma di superlativo ebraico (“il canto per eccellenza”, “il canto più bello”).

1,5 La sposa ha le fattezze della donna della campagna palestinese, che il sole e il lavoro dei campi hanno abbronzato. Le ragazze di Gerusalemme, invece, vedono nel candore del volto la bellezza ideale (5,10). Kedar: designa una tribù di nomadi, discendenti da Ismaele (Gen 25,13).

1,12-14 nardo, mirra, cipro: profumi caratteristici dei paesi orientali. Spesso venivano conservati in sacchetti, da cui effondevano il loro aroma. Engàddi (“sorgente del capriolo”) è una località sulle rive del Mar Morto.

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Approfondimenti


v. 1. Il titolo, che dà il nome al libro e ne indica l'autore, è di chiara origine redazionale: il pronome relativo che, qui nella forma usuale ’ašer, è impiegato nel Ct sempre nella forma abbreviata še. Può essere stato aggiunto addirittura nel sec. II d.C. L'espressione «Cantico dei cantici» è una forma di superlativo ebraico per dire semplicemente “il canto per eccellenza”, “il canto più sublime”. Salomone, indicato nel titolo come “autore” del libro, è nominato più volte nel libro in terza persona e in maniera tale che è impensabile che egli potesse parlare così di se stesso (cfr. 3,11). Come i Proverbi e il Qoelet, anche il Ct è attribuito mediante una finzione letteraria a Salomone, il sapiente poeta per eccellenza.

vv. 2-4. È l'ouverture del Ct, il suo tema, il suo “manifesto” sull'amore. Le due strofe simmetriche (5 stichi nei vv. 2-3; 5 stichi nel v. 4) si chiudono sullo stesso verbo amare, e ripetono la stessa frase: «le tue tenerezze sono più dolci del vino» (v. 2a e v. 4d). Esplodono qui le voci della femminilità: lei, che grida il suo desiderio d'amore mediato con baci inebrianti, e le fanciulle che fanno coro al desiderio d'amore di lei. Ma chi è il destinatario dell'appello all'amore? Ovviamente è lui, è l'amato con i suoi baci, è lo sposo che figura già qui (cfr. 1,12; 7,6) come il re, titolo di ogni sposo durante le feste nuziali. Anche nel Ct gli sposi sono una coppia regale (cfr. 3,6-11; 6,8-7,7). Ma assistiamo subito a una strana alternanza dei pronomi suffissi: i baci della sua bocca, le tue tenerezze, i tuoi profumi. È sempre l'amato e il profumo personale del suo corpo, che l'amata sa riconoscere tra mille, tanto da farle dire: «profumo (šemen) olezzante è il tuo nome (šēm)» (v. 3b). Ma potrebbe essere anche «la fonte stessa del piacere, l'amore vissuto come amplesso nella sua più immediata materialità» (G. Garbini), che la sposa e le fanciulle rincorrono.

vv. 5-6. Lei parla di sé alle amiche e le chiama «figlie di Gerusalemme», perché associate alla capitale del regno, la cui regalità incorona lei e lui nel giorno delle nozze. Essa scopre la sua personale bellezza confrontandola con quella delle amiche, che la città ha protetto dal sole che brucia. Lei, invece, il sole l'ha accarezzata e abbronzata: il suo volto è divenuto dolce e ha preso il colore scuro del miele denso (il v. 6b, alla lettera: «il sole mi ha fatto di miele»). Si tratta di un colore simile a quello delle tende beduine, che tremano nel deserto. «L'abbronzatura m'ha resa ancora più bella», recita la fanciulla smaliziata, che ora si spinge ben oltre nella maliziosa dichiarazione non richiesta (v. 6c-e). «Si può osservare qui un doppio gioco di parole, sul verbo “conservare” e sui due sensi di “vigna”». Per correre dietro al suo amato, lei «non ha custodito la vigna» suscitando le ire dei fratelli; soprattutto «non ha custodito la sua vigna, la sua», simbolo comune a tutta la letteratura orientale per evocare le parti intime della donna.

vv. 7-8. Ora l'amata, che ha eluso il controllo della famiglia, confessa l'esplosione del suo desiderio d'amore e si mette alla ricerca del pastore amato, scongiurandolo: «Dimmi, o amore dell'anima mia, dove vai a pascolare il gregge..» (v. 7). L'anima (nepeš) è il respiro stesso della persona, la sua vita; per l'amata la presenza dell'amato è la sua stessa vita, come la sua assenza è morte. Vuole sapere il luogo preciso dove l'amato pastore «riposa nel meriggio», per non correre il rischio di vagabondare dietro i greggi degli altri pastori come farebbe «una donna velata» (v. 7d: alla lettera sinonimo di «prostituta», cfr. Gn 38,14). La risposta all'appello di lei viene dal coro (v. 8) delle stesse «figlie di Gerusalemme» sopra evocate (cfr. anche 2,7; 3,5.10.11; 5,8.16; 8,4), oppure più probabilmente dai pastori beduini, i quali indicano a lei – «la più bella tra le donne» – le orme del gregge dell'amato e su quelle le tende dei pastori per la sosta pomeridiana. 1,9-2,7. Dopo tante voci femminili, ecco la voce di un uomo, la voce di lui, il pastore, l'amato che apre il primo duetto d'amore con l'amata (1,9-2,7; cfr. 7,1-8,4).

vv. 9-14. Lui (vv. 9-11) elogia la bellezza della più bella tra le donne paragonandola «alla cavalla del cocchio del faraone», secondo una immagine tipica non solo degli Ebrei e degli Arabi, ma anche dei Greci che associavano volentieri la superba nobiltà del loro destriero con la bellezza maestosa della donna del cuore (v. 9). La bellezza del volto e del collo di lei, incorniciati con orecchini e collane, innamora l'amato. Lei (vv. 12-14) si perde nell'evocazione di un lungo amplesso notturno con lo sposo (il re), un amplesso vissuto o almeno intensamente rievocato. Le immagini privilegiate per descriverlo sono eufemistici profumi, tra i più preziosi: il nardo, profumo dolcissimo, la mirra e il cipro che sono aromi penetranti e soavi. Il sacchetto di mirra che le donne portavano appeso tra i seni e il cui profumo penetrante ne avvolgeva tutto il corpo, evoca l'amato «abbandonato teneramente sul corpo della donna, che “passa la notte” (alla lettera, il “riposa” del v. 13b) tra i seni di lei» (G. Ravasi). E «il grappolo di cipro» del v. 14 è ancora l'amato: un grappolo di cipro «nelle vigne di Engaddi» oppure – supponendo un testo ebraico originariamente diverso – «nella mia vigna sopra di me». 1,15-2,3. Lui (1,15; 2,1) e lei (1,16; 2,2) si scambiano elogi di bellezza con immagini che risuonano vicendevolmente come una eco. E lei, i cui occhi parlano con la mobilità-dolcezza-passione delle colombe (v. 15), anela subito all'amplesso su un tappeto di verde campestre: è questo il loro letto d'amore, in una casa fatta dei cedri che li circondano, con le cime dei cipressi svettanti che fanno da prezioso soffitto (vv. 16b-17). L'oasi di verde e di pace impresta così l'ultimo mutuo elogio, prima di consumare l'amore (2,4-6). L'amato è per lei «un narciso di Saron, un giglio delle valli» (2,1). Il narciso è un fiore delicato – ma dal profumo intenso – di quella fertilissima pianura di Saron sulla costa mediterranea della Palestina, emblema di tutte le pianure; il giglio dei campi è un fiore semplice, eppure dotato di una bellezza incomparabile (cfr. Mt 6,28-29; Lc 12,27). Lui riprende la seconda immagine per parlare di lei: non «un giglio dei campi», ma «un giglio tra i cardi» (2,2), un giglio miracolosamente spuntato in un campo di spine, perché lei è la donna più bella che esista, di una bellezza incomparabile. E lei risponde all'amato evocando l'immagine del melo (2,3a), un albero spesso presente nella poesia erotica: evoca qualcosa di fortemente desiderabile (2, 3b) perché capace di donare dolci e insieme forti sensazioni, e l'ombra della sua chioma è come un abbraccio di fecondità.

(cf. VALERIO MANNUCCI, Cantico dei Cantici – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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[rotazioni] -semplice, misurato: parole s.; alieno

due ruoli con rocchetto trascinatore rullo folle basta] ruotarla le cifre a metà sono] arruolati a mano al ralenti [invarianti il] barista appoggia un vassoio tre con delicatezza fa uscire] ditteri domestici duecento volte a stagione [parcheggiano a Fort Dix


noblogo.org/lucazanini/rotazio…



Storie di Pisquani Che Giocano


O quella volta che un Cretino di Crescenzago, un ranocchio di vetro e una tigre di pezza, in bilico tra nostalgia e speranze, cercarono di ricreare l'humus adatto per giocare strani Giochi di Ruolo nel Fediverso e tirarono fuori un hashtag poco comprensibile ai più.

Se volete risparmiarvi i miei deliri e andare subito al sodo, ⬇ ⬇ ⬇ Qui ⬇ ⬇ ⬇ trovate il TL;DR di questo post.

Prologo[h2]

In principio fu la Forgia

In un tempo remoto, almeno così si dice, alcune persone coraggiose decisero di ribellarsi alla tirannia dei draghi capitalisti e palazzinari dal gusto finto-medievale. Nella loro cerca salvifica decisero di edificare una Forgia che potesse fornire all'umanità gli strumenti per debellare i giochi brutti che per essere giocati necessitavano di un dozzilione di costosi supplementi, manco fossero le uscite di Esplorando il Corpo Umano senza neanche il modellino per futuri chirurghi e/o serial killer in omaggio.

[/h2]
L'umanità quindi si riunì, guardò alla Forgia e le sorrise amorevole.

Non rompeteci i coglioni, noi vogliamo D&D, la regola d'oro, le avventure pre-generate, i venti milioni di manuali che ripropongono sempre lo stesso gioco... E non provate a dire che un gioco senza GM, dadi e crescita numerica dei personaggi è un gioco di ruolo, luridi cani hippy!linea di un fumetto che partendo dalla citazione qui sopra punta verso l'immagine qui sottouna donna dall'espressione inquietante armata di torcia e forcone

angry mob” by hans s is licensed under CC BY-ND 2.0 .

(Nerd e geek in fondo sono sempre persone ragionevoli)

Principiò dunque a lapidarla e, quando le braccia indolenzite non le permisero più di dar seguito alla giusta indignazione, si disperse per tornare alle proprie case a giocare a D&D.

Dentro la Forgia calò un po' di mestizia – girarono perfino voci di danni cerebrali – ma questo non fermò i loro sforzi. Non tutto era perduto; un piccolo, minuscolo, gruppo tra coloro che evidentemente avevano scelto di non iscriversi a ingegneria non aveva mosso loro violenza e anzi sembrava perfino annuire alle loro parole. La speme non era ancora morta.

Poi successero altre cose, credo; non penso siano importanti al fine del racconto e poi me le sono dimenticate e come sarebbe a dire che siamo nel 2025, l'ultima volta che ho controllato era il 2012 e avevamo tutta quella storia del calendario Maya a preoccuparci e...

Abe Simpson seduto su un tronco che racconta una storia ai bambini attorno

“Dai nonno, raccontaci un'altra storia”“Non vi abbasta mai” (cit)

La vera storia in breve

The Forge fu un forum rivoluzionario nato al cambio di millennio, dentro al quale si gettarono le basi per la maggior parte dei GdR indie moderni, in aperto contrasto col paradigma dominante di quelli che amiamo definire Giochi di Ruolo “tradizionali”.
A distanza di venticinque anni la maggior parte delle persone continua a giocare i giochi più mainstream, con il solo D&D che occupa la quasi totalità dello spazio all'interno di questo hobby; se però the Forge è nata è perché comunque, dispersa nel mare magnum di internet, c'era un po' gente a cui il mondo così com'era cominciava a star stretto e per farla breve da allora esiste una nicchia di strani giochi indipendenti che, pur rimanendo marginale, nel corso degli anni ha assunto sempre più peso. Essere una nicchia minoritaria all'interno di una nicchia solo un po' più grande però comporta dei problemi, in particolare riuscire a trovare altre persone della tua tribù con cui giocare. Un'impresa il più delle volte disperata, ma per fortuna internet è giunta in soccorso di chi non riusciva a trovare anime ludiche affini attorno a sé.

Nel più classico degli effetti domino, in Italia la rivoluzione messa in moto da The Forge portò alla creazione di un forum chiamato Gente Che Gioca, in cui si poteva discutere di quegli strani giochi che cominciarono ad arrivare anche qui da noi grazie a Narrattiva e ad altre case editrici indipendenti più piccole che si aggiunsero nel corso degli anni, ormai purtroppo per la maggior parte cadute come mosche.

Fu però quando Google provò a fare concorrenza a Facebook col suo google+ che le cose cambiarono notevolmente per il gioco online: le Communities tematiche e gli Hangouts che permettevano di fare chat video con più persone in contemporanea di quanto permettesse skype gratuitamente erano la combinazione perfetta per popolare di una nutrita comunità di giocatorɜ indie un social che veniva percepito da moltɜ come una città fantasma in quella che in realtà fu un'esagerata profezia auto-avverante. Nacque così la Community Gente Che G+ e finalmente in tantɜ cominciarono a giocare con altra gente dai gusti simili.

Back to the Future

o vedi che ti combinano dei pisquani con troppo tempo libero

Questo raffazzonato excursus nel passato più o meno spiega l'origine del cacofonico hashtag #GenteCheFediGioca – scusateci, ma almeno io a trovare dei nomi sono una pippa e morirò prima di chiedere aiuto a chatGPT 😅 Il perché l'abbiamo tirato fuori invece dipende da una conversazione su Livello Segreto con @cretinodicrescenzago e @lvl3GlassFrog, quando parlando di giochi che ci sarebbe piaciuto provare è nato l'insano proposito di riportare qui sul fediverso lo spirito di Gente Che G+. O morire provandoci (credo, in realtà non mi pare che alla fine si fosse accennato a un patto suicida ma sono anziano e potrei sbagliarmi).
Al momento abbiamo cominciato in piccolo tentando di organizzare qualche giocata inter nos direttamente su XMPP, ma OMEMO, severo dio della crittografia e della sincronizzazione, non ci è stato favorevole, scacciandoci con infamia e ignominia tra le braccia di un Discord ben felice di intrappolarci nel suo recinto proprietario. Pazienza, non si può vincere tutte le battaglie; l'antico vaso andava portato in salvo, c'erano le cavallette, eravamo in crisi d'astinenza... non giudicateci por nuestra vida loca, l'importante era cominciare a giocare.

L'ambizione però è un po' più grande del ritrovarci giusto noi tre una volta la settimana o giù di lì: anche se non abbiamo ancora idea di come fare e quali piattaforme sarebbe meglio utilizzare, se fonderemo una band che raggiungerà il successo in breve tempo per poi bruciarsi quando cominceremo a drogarci pesantemente, idealmente ci piacerebbe trovare un modo per far incontrare chi vorrebbe giocare di ruolo ma ha gusti un po' diversi dal mainstream. Soprattutto vorremmo che sia nel fediverso, lontano da recinti proprietari in cui devi iscriverti a qualche canale anche solo per poter vedere che cosa si dice da quelle parti – sì, sto pensando principalmente alla piaga di Discord utilizzato come forum/wikipedia che è una cosa che ho sempre odiato e... ok, la smetto con le lamentele da vecchio.

Sì, ma quindi cosa giocate voi hippy abbraccia-alberi con le vostre sigarette allegre?

Come potete intuire, l'idea di fondo è appunto esplorare l'immenso mondo ludico che c'è oltre l'ingombrante montagna di D&D. Io e CretinoDiCrescenzago seguiamo il lato indie della Forza (qualsiasi cosa significhi), mentre GlassFrog ama particolarmente l'OSR.
Beninteso, questi sono i giochi che piacciono a noi tre ma chiaramente, se la cosa prendesse davvero piede, niente vi vieterebbe di proporre quel che più vi aggrada e giocarlo con altre persone interessate. Però ecco, diciamo che se finiste a giocare coi sottoscritti, è lecito che vi aspettiate di trovare qualcosa di molto più matto in culo di, che so, Vampiri.

Per inquadrarci meglio, ecco cosa abbiamo giocato nelle due one-shot che siamo riusciti a fare finora:

La Storia al Microscopio

Il primo incontro ci è servito prevalentemente a capire cosa provare e nel poco tempo rimasto abbiamo improvvisato una partita a Microscope di Ben Robbins, un gioco di ruolo frattale in cui raccontiamo la Storia (proprio nel senso di Historia, non di racconto) di un concetto che a inizio partita decideremo di esplorare, muovendoci nel corso della partita avanti e indietro nel tempo, zoomando come più ci aggrada tra Periodi, Eventi e Scene.
screenshot della partita a Microscope, con una serie concatenata di Periodi, Eventi e Scene

Nel caso dei vostri tre amichevoli pisquani del fediverso, le cronache riguardavano la caduta e la riunificazione di un impero accentratore

Non starò a parlarvi del gioco in dettaglio (magari vi ammorberò in futuro quando mi tornerà la voglia di riprendere a scrivere qualcosa su Log), ma già questo dovrebbe bastare a darvi un'idea di quanto strano sia.

A più di un anno di distanza dall'ultima partita (fatta sempre grazie a Livello Segreto con @janawhoopwhoop e @raxaes) c'è voluto un po' a perché riprendessi la mano, tant'è che alla fine siamo riusciti a fare giusto un giro completo del tavolo, ma alla fine l'importante è essere riusciti a far partire il tutto.

Fotogramma di Frankenstein Junior con Gene Wilder in primo piano con gli occhi spiritati

Ma allora... Si! Può! Fare!

i PisCani sbirri della Fede

Al secondo appuntamento GlassFrog ha facilitato Cani nella Vigna, gioco “giovanile” di Vincent Baker, l'autore del ben più celebre Apocalypse World.
illustrazione in bianco e nero di una fanciulla armata di revolver che si nasconde dietro delle botti da una figura minacciosa in controluce, anch'essa armata

Qui qualcunə ha voluto escalare la situazione
(illustrazione del manuale italiano di Claudia Cangini linkata direttamente dalla rete, che trovarne una è un'impresa)
Qui lascio che siano le parole di CretinoDiCrescenzago a descrivere il gioco in 500 caratteri:


Post by @
View on Mastodon

Mettermi nei panni di una giovane sentinella della fede nel vecchio west è stata un'esperienza abbastanza straniante per quanto distante dalla realtà fosse, ma ammetto che più si ingranavamo e più il gioco mi ha preso. È un peccato che il sistema dei conflitti utilizzato non sia stato più ripreso da altri giochi, che è decisamente interessante e non mi dispiacerebbe riaverci a che fare. Certo, richiede una quantità spropositata di dadi o tanto lavoro di annotazione dei risultati, ma per fortuna avevamo dalla nostra Tabletop Simulator e potevamo spammare dadi in quantità industriale... per una volta godiamoci uno dei pochi vantaggi di giocare online 😅

Uno sguardo nel futuro

Ovviamente abbiamo una lunga lista di giochi da provare quando riprenderemo a settembre. Di alcuni, come Damn the Man, Save the Music! o House of Reeds ho già scritto qualcosa qui su Log; in futuro spero di aggiungerne altri (come quel Microfiction che spammo sempre), mentre altri ancora li lascerei descrivere direttamente a GlassFrog, che l'OSR non è proprio my cup of tea... 😅 In ogni caso sappiate che tra quel che il vitreo ranocchio vorrebbe giocare trovate Ultraviolet Grasslands, Vaults of Vaarn, We Deal in Lead o Cloud Empress.

Sì, ma alla fine che volete da me?

⬆ ⬆ ⬆ No dai, non volevo saltare tutto, riportami all'inizio del post ⬆ ⬆ ⬆

Ma niente; se ti piacciono i GdR pazzarielli che i Nerd Alpha perculano perché deviano dall'ortodossia D&Diana ma non hai con chi giocarli, se semplicemente odi D&D e vuoi fare piangere i Nerd Alpha, o se questo papello ha stuzzicato la tua curiosità e vuoi provare 'ste robe strane che citiamo, tieni d'occhio l'hashtag #GenteCheFediGioca, e incrocia le dita che se gli dei della forgia ci arridono magari riusciamo a dare vita a qualcosa di bello e far giocare un po' di gente qui sul fediverso 😀


log.livellosegreto.it/robercra…


Storie di Pisquani Che Giocano


O quella volta che un Cretino di Crescenzago, un ranocchio di vetro e una tigre di pezza, in bilico tra nostalgia e speranze, cercarono di ricreare l'humus adatto per giocare strani Giochi di Ruolo nel Fediverso e tirarono fuori un hashtag poco comprensibile ai più.

Se volete risparmiarvi i miei deliri e andare subito al sodo, ⬇ ⬇ ⬇ Qui ⬇ ⬇ ⬇ trovate il TL;DR di questo post.

Prologo[h2]

In principio fu la Forgia

In un tempo remoto, almeno così si dice, alcune persone coraggiose decisero di ribellarsi alla tirannia dei draghi capitalisti e palazzinari dal gusto finto-medievale. Nella loro cerca salvifica decisero di edificare una Forgia che potesse fornire all'umanità gli strumenti per debellare i giochi brutti che per essere giocati necessitavano di un dozzilione di costosi supplementi, manco fossero le uscite di Esplorando il Corpo Umano senza neanche il modellino per futuri chirurghi e/o serial killer in omaggio.

[/h2]
L'umanità quindi si riunì, guardò alla Forgia e le sorrise amorevole.

Non rompeteci i coglioni, noi vogliamo D&D, la regola d'oro, le avventure pre-generate, i venti milioni di manuali che ripropongono sempre lo stesso gioco... E non provate a dire che un gioco senza GM, dadi e crescita numerica dei personaggi è un gioco di ruolo, luridi cani hippy!linea di un fumetto che partendo dalla citazione qui sopra punta verso l'immagine qui sottouna donna dall'espressione inquietante armata di torcia e forcone

angry mob” by hans s is licensed under CC BY-ND 2.0 .

(Nerd e geek in fondo sono sempre persone ragionevoli)

Principiò dunque a lapidarla e, quando le braccia indolenzite non le permisero più di dar seguito alla giusta indignazione, si disperse per tornare alle proprie case a giocare a D&D.

Dentro la Forgia calò un po' di mestizia – girarono perfino voci di danni cerebrali – ma questo non fermò i loro sforzi. Non tutto era perduto; un piccolo, minuscolo, gruppo tra coloro che evidentemente avevano scelto di non iscriversi a ingegneria non aveva mosso loro violenza e anzi sembrava perfino annuire alle loro parole. La speme non era ancora morta.

Poi successero altre cose, credo; non penso siano importanti al fine del racconto e poi me le sono dimenticate e come sarebbe a dire che siamo nel 2025, l'ultima volta che ho controllato era il 2012 e avevamo tutta quella storia del calendario Maya a preoccuparci e...

Abe Simpson seduto su un tronco che racconta una storia ai bambini attorno

“Dai nonno, raccontaci un'altra storia”“Non vi abbasta mai” (cit)

La vera storia in breve

The Forge fu un forum rivoluzionario nato al cambio di millennio, dentro al quale si gettarono le basi per la maggior parte dei GdR indie moderni, in aperto contrasto col paradigma dominante di quelli che amiamo definire Giochi di Ruolo “tradizionali”.
A distanza di venticinque anni la maggior parte delle persone continua a giocare i giochi più mainstream, con il solo D&D che occupa la quasi totalità dello spazio all'interno di questo hobby; se però the Forge è nata è perché comunque, dispersa nel mare magnum di internet, c'era un po' gente a cui il mondo così com'era cominciava a star stretto e per farla breve da allora esiste una nicchia di strani giochi indipendenti che, pur rimanendo marginale, nel corso degli anni ha assunto sempre più peso. Essere una nicchia minoritaria all'interno di una nicchia solo un po' più grande però comporta dei problemi, in particolare riuscire a trovare altre persone della tua tribù con cui giocare. Un'impresa il più delle volte disperata, ma per fortuna internet è giunta in soccorso di chi non riusciva a trovare anime ludiche affini attorno a sé.

Nel più classico degli effetti domino, in Italia la rivoluzione messa in moto da The Forge portò alla creazione di un forum chiamato Gente Che Gioca, in cui si poteva discutere di quegli strani giochi che cominciarono ad arrivare anche qui da noi grazie a Narrattiva e ad altre case editrici indipendenti più piccole che si aggiunsero nel corso degli anni, ormai purtroppo per la maggior parte cadute come mosche.

Fu però quando Google provò a fare concorrenza a Facebook col suo google+ che le cose cambiarono notevolmente per il gioco online: le Communities tematiche e gli Hangouts che permettevano di fare chat video con più persone in contemporanea di quanto permettesse skype gratuitamente erano la combinazione perfetta per popolare di una nutrita comunità di giocatorɜ indie un social che veniva percepito da moltɜ come una città fantasma in quella che in realtà fu un'esagerata profezia auto-avverante. Nacque così la Community Gente Che G+ e finalmente in tantɜ cominciarono a giocare con altra gente dai gusti simili.

Back to the Future

o vedi che ti combinano dei pisquani con troppo tempo libero

Questo raffazzonato excursus nel passato più o meno spiega l'origine del cacofonico hashtag #GenteCheFediGioca – scusateci, ma almeno io a trovare dei nomi sono una pippa e morirò prima di chiedere aiuto a chatGPT 😅 Il perché l'abbiamo tirato fuori invece dipende da una conversazione su Livello Segreto con @cretinodicrescenzago e @lvl3GlassFrog, quando parlando di giochi che ci sarebbe piaciuto provare è nato l'insano proposito di riportare qui sul fediverso lo spirito di Gente Che G+. O morire provandoci (credo, in realtà non mi pare che alla fine si fosse accennato a un patto suicida ma sono anziano e potrei sbagliarmi).
Al momento abbiamo cominciato in piccolo tentando di organizzare qualche giocata inter nos direttamente su XMPP, ma OMEMO, severo dio della crittografia e della sincronizzazione, non ci è stato favorevole, scacciandoci con infamia e ignominia tra le braccia di un Discord ben felice di intrappolarci nel suo recinto proprietario. Pazienza, non si può vincere tutte le battaglie; l'antico vaso andava portato in salvo, c'erano le cavallette, eravamo in crisi d'astinenza... non giudicateci por nuestra vida loca, l'importante era cominciare a giocare.

L'ambizione però è un po' più grande del ritrovarci giusto noi tre una volta la settimana o giù di lì: anche se non abbiamo ancora idea di come fare e quali piattaforme sarebbe meglio utilizzare, se fonderemo una band che raggiungerà il successo in breve tempo per poi bruciarsi quando cominceremo a drogarci pesantemente, idealmente ci piacerebbe trovare un modo per far incontrare chi vorrebbe giocare di ruolo ma ha gusti un po' diversi dal mainstream. Soprattutto vorremmo che sia nel fediverso, lontano da recinti proprietari in cui devi iscriverti a qualche canale anche solo per poter vedere che cosa si dice da quelle parti – sì, sto pensando principalmente alla piaga di Discord utilizzato come forum/wikipedia che è una cosa che ho sempre odiato e... ok, la smetto con le lamentele da vecchio.

Sì, ma quindi cosa giocate voi hippy abbraccia-alberi con le vostre sigarette allegre?

Come potete intuire, l'idea di fondo è appunto esplorare l'immenso mondo ludico che c'è oltre l'ingombrante montagna di D&D. Io e CretinoDiCrescenzago seguiamo il lato indie della Forza (qualsiasi cosa significhi), mentre GlassFrog ama particolarmente l'OSR.
Beninteso, questi sono i giochi che piacciono a noi tre ma chiaramente, se la cosa prendesse davvero piede, niente vi vieterebbe di proporre quel che più vi aggrada e giocarlo con altre persone interessate. Però ecco, diciamo che se finiste a giocare coi sottoscritti, è lecito che vi aspettiate di trovare qualcosa di molto più matto in culo di, che so, Vampiri.

Per inquadrarci meglio, ecco cosa abbiamo giocato nelle due one-shot che siamo riusciti a fare finora:

La Storia al Microscopio

Il primo incontro ci è servito prevalentemente a capire cosa provare e nel poco tempo rimasto abbiamo improvvisato una partita a Microscope di Ben Robbins, un gioco di ruolo frattale in cui raccontiamo la Storia (proprio nel senso di Historia, non di racconto) di un concetto che a inizio partita decideremo di esplorare, muovendoci nel corso della partita avanti e indietro nel tempo, zoomando come più ci aggrada tra Periodi, Eventi e Scene.
screenshot della partita a Microscope, con una serie concatenata di Periodi, Eventi e Scene

Nel caso dei vostri tre amichevoli pisquani del fediverso, le cronache riguardavano la caduta e la riunificazione di un impero accentratore

Non starò a parlarvi del gioco in dettaglio (magari vi ammorberò in futuro quando mi tornerà la voglia di riprendere a scrivere qualcosa su Log), ma già questo dovrebbe bastare a darvi un'idea di quanto strano sia.

A più di un anno di distanza dall'ultima partita (fatta sempre grazie a Livello Segreto con @[url=https://livellosegreto.it/users/janawhoopwhoop]Janawhoopwhoop[/url] e @raxaes) c'è voluto un po' a perché riprendessi la mano, tant'è che alla fine siamo riusciti a fare giusto un giro completo del tavolo, ma alla fine l'importante è essere riusciti a far partire il tutto.

Fotogramma di Frankenstein Junior con Gene Wilder in primo piano con gli occhi spiritati

Ma allora... Si! Può! Fare!

i PisCani sbirri della Fede

Al secondo appuntamento GlassFrog ha facilitato Cani nella Vigna, gioco “giovanile” di Vincent Baker, l'autore del ben più celebre Apocalypse World.
illustrazione in bianco e nero di una fanciulla armata di revolver che si nasconde dietro delle botti da una figura minacciosa in controluce, anch'essa armata

Qui qualcunə ha voluto escalare la situazione
(illustrazione del manuale italiano di Claudia Cangini linkata direttamente dalla rete, che trovarne una è un'impresa)
Qui lascio che siano le parole di CretinoDiCrescenzago a descrivere il gioco in 500 caratteri:


Post by @
View on Mastodon

Mettermi nei panni di una giovane sentinella della fede nel vecchio west è stata un'esperienza abbastanza straniante per quanto distante dalla realtà fosse, ma ammetto che più si ingranavamo e più il gioco mi ha preso. È un peccato che il sistema dei conflitti utilizzato non sia stato più ripreso da altri giochi, che è decisamente interessante e non mi dispiacerebbe riaverci a che fare. Certo, richiede una quantità spropositata di dadi o tanto lavoro di annotazione dei risultati, ma per fortuna avevamo dalla nostra Tabletop Simulator e potevamo spammare dadi in quantità industriale... per una volta godiamoci uno dei pochi vantaggi di giocare online 😅

Uno sguardo nel futuro

Ovviamente abbiamo una lunga lista di giochi da provare quando riprenderemo a settembre. Di alcuni, come Damn the Man, Save the Music! o House of Reeds ho già scritto qualcosa qui su Log; in futuro spero di aggiungerne altri (come quel Microfiction che spammo sempre), mentre altri ancora li lascerei descrivere direttamente a GlassFrog, che l'OSR non è proprio my cup of tea... 😅 In ogni caso sappiate che tra quel che il vitreo ranocchio vorrebbe giocare trovate Ultraviolet Grasslands, Vaults of Vaarn, We Deal in Lead o Cloud Empress.

Sì, ma alla fine che volete da me?

⬆ ⬆ ⬆ No dai, non volevo saltare tutto, riportami all'inizio del post ⬆ ⬆ ⬆

Ma niente; se ti piacciono i GdR pazzarielli che i Nerd Alpha perculano perché deviano dall'ortodossia D&Diana ma non hai con chi giocarli, se semplicemente odi D&D e vuoi fare piangere i Nerd Alpha, o se questo papello ha stuzzicato la tua curiosità e vuoi provare 'ste robe strane che citiamo, tieni d'occhio l'hashtag #GenteCheFediGioca, e incrocia le dita che se gli dei della forgia ci arridono magari riusciamo a dare vita a qualcosa di bello e far giocare un po' di gente qui sul fediverso 😀
~~~~~~~~~~~~~~ Robercrantz ~~~~~~~~~~~~~~

(Lo sfondo del blog è un'immagine di Jen Zee: lo skyline della città di Cloudbank da Transistor)




Nintendo vs Sega: la guerra dei bit e il marketing che ha cambiato il videogioco


afc76123-afab-45c7-84e4-631af11f630e.pngC’è stato un periodo, tra la fine degli anni ’80 e la prima metà dei ’90, in cui una cifra bastava a vincere una discussione al bar: 8, 16. Quella cifra – i “bit” – era insieme slogan, promessa e arma psicologica. In realtà spiegava poco di clock, bus, chipset o pipeline grafiche, ma bastava a trasformare due aziende giapponesi in bandiere identitarie: Nintendo e Sega. Non fu soltanto una competizione tecnica; fu soprattutto una guerra di narrazioni. Ed è qui che nasce il fenomeno che oggi chiamiamo “console war”: un conflitto di immaginari in cui i prodotti diventano tribù, e il marketing plasma il gusto, la cultura e persino la moralità del videogioco.

Dai bit al mito: quando una specifica diventa un movimento


Se guardiamo sotto il cofano, lo scontro 8-bit vs 16-bit è fatto (anche) di differenze reali: CPU diverse, architetture audio opposte, soluzioni grafiche peculiari. Ma non è questa la parte che ha infiammato i salotti. La parola “bit” funziona perché è semplice. È un indicatore ascendente – più è alto, più “è meglio” – e consente di vendere “il prossimo livello” con una chiarezza che travolge le sfumature. Il paradosso è che la percezione di potenza conta più della potenza effettiva: l’idea di velocità, di ritmo, di “cattiveria” sonora o di profondità cromatica diventano segnali identitari leggibili in un trailer di 30 secondi, in un annuncio su rivista, nel passaparola a scuola.

Nintendo la gioca “di sistema”: affidabilità, coerenza estetica, controllo ferreo della qualità. Sega la gioca “di frizione”: aggressiva, ironica, laterale. Una vende il sigillo (la promessa che il gioco “funziona ed è buono”), l’altra vende la sfida (il gioco “ti fa sentire grande, veloce, diverso”).

Due voci, due pubblici: il marketing come posizionamento culturale


Nintendo arriva dall’epoca 8-bit con un capitale simbolico enorme: Mario non è solo una mascotte, è un linguaggio. L’azienda costruisce un ecosistema rassicurante, familiare, normativo: l’eroe positivo, il colore pieno, l’artigianato del level design. Strumenti chiave: il “Seal of Quality”, la rete distributiva ordinata, le politiche di licenza severe che riducono il caos post-crash dei primi anni ’80. Il messaggio è: “Qui il videogioco è al sicuro. È intrattenimento per tutti, pulito, rifinito”.

Sega sceglie l’angolo opposto. Il tono di voce è spigoloso, urbano, sarcastico. Gli spot sono taglienti, i claim memorabili (“Welcome to the Next Level” su tutti). Sega costruisce il proprio pubblico con una promessa punk: “non siamo l’infanzia, siamo l’adolescenza”. L’estetica è più rapida, la musica più metal, i giochi sportivi gonfi di licenze e statistiche, le conversioni arcade che “suonano” come la sala giochi del centro commerciale. È la marca che flirta apertamente con il cool.

Questa distinzione – rassicurazione vs trasgressione controllata – segmenta il mercato. Non si tratta solo di età; è una questione di aspirazione. Nintendo è l’universale; Sega è l’appartenenza.

Mascotte come manifesto: Mario e Sonic, due idee di velocità


Quando Sonic arriva, non è semplicemente un personaggio: è un manifesto di prodotto. Il riccio blu incarna la velocità come emozione primaria. Level design allungato, loop, piani multipli, colonna sonora che spinge. In copertina non vedi solo un mondo, vedi un atteggiamento. Mario, al contrario, è la grammatica pulita del platform: progressione leggibile, controllo millimetrico, sorpresa modulata. Se Sonic è “wow”, Mario è “ah!”. Due tempi emotivi diversi, due pubblici potenzialmente sovrapposti ma esteticamente distanti.

Il marketing trasforma queste differenze in identità totalizzanti: poster, bundle, demo nei negozi, riviste dedicate, rubriche, segreti. La mascotte non rappresenta più una line-up: rappresenta uno stile di vita ludico.

Tecnologia come retorica: Mode 7, “blast”, suoni che diventano carattere


Nel dettaglio tecnico, la generazione 16-bit porta strumenti nuovi che il marketing sa tradurre. Il Mode 7 diventa la parola magica invisibile che spiega perché F-Zero e Pilotwings sembrano “ruotare e volare”: non interessa davvero come funzioni, interessa che fa effetto. Dall’altra parte, la retorica della “potenza bruta” – la velocità percepita, l’FM sintetico dei chip audio che graffia – lega i giochi Sega a un immaginario “stradale”, adrenalinico.

Il punto non è chi “vince” sul banco da laboratorio. Il punto è come la tecnologia diventa raccontabile. L’utente recepisce immagini-ancora: rotazioni, scaling, scie sonore, scroll parallax. Sono “prove” che giustificano la spesa ai genitori, la scelta identitaria con gli amici, la fedeltà alla marca.

La politica dei contenuti: licenze, esclusività, rating


La vera trincea della guerra non è il silicio: sono i contenuti. Nintendo difende l’ecosistema con linee guida rigide, cura meticolosa, un equilibrio tra first party e partner selezionati. Sega spinge sulle licenze sportive, sulle conversioni arcade e – nodo cruciale – accetta contenuti più maturi quando serve spostare il baricentro demografico. La disputa intorno a giochi violenti porta alla nascita di sistemi di classificazione moderni: non è solo PR, è politica culturale. Anche qui il marketing traduce in narrativa: “noi trattiamo i giocatori come adolescenti-adulti”, oppure “noi proteggiamo l’esperienza familiare”.

Sul piano commerciale, esclusive e finestre temporali determinano traiettorie di crescita. Ogni JRPG, picchiaduro o racer first party non è solo un titolo; è un argine per tenere la community dentro il recinto.

Retail, bundle, riviste: l’ecosistema dove la guerra tocca terra


La guerra dei bit si gioca anche sugli scaffali. I bundle non sono soltanto offerte, sono cornici di senso: console + platform iconico significa “compra l’idea completa”. Le demo station nei negozi e i chioschi promozionali fanno da sala prove collettiva. La stampa specializzata e le riviste ufficiali diventano organi di partito: anteprime, walkthrough, poster, rubriche di trucchi. La fedeltà al marchio si costruisce nel tempo, attraverso una dieta mediatica coerente. È il primo, vero media mix del videogioco domestico.

Europa e Italia: il filtro delle culture locali


Nel mercato europeo la “voce” dei due marchi passa attraverso agenzie, doppiaggi, palinsesti TV e, in paesi come l’Italia, attraverso la rete capillare delle edicole: le coverstory e i voti delle riviste incidono sull’immaginario più degli spot. Il negoziante di quartiere diventa spesso evangelista di una delle due fazioni, con vetrine allestite ad arte, cartellonistica e tornei informali. La guerra è globale, ma arriva locale: adattamenti, prezzi, disponibilità, perfino la traduzione dei manuali. È un promemoria potente: il marketing migliore è quello che sa parlare dialetti.

Perché quella guerra conta ancora oggi


Guardando dall’oggi, la lezione è sorprendentemente attuale:

Il numero non basta, ma aiuta


Una metrica semplice – anche imperfetta – è un gancio mnemonico. Oggi sono i teraflops, ieri erano i bit. Servono per aprire la porta a una conversazione emotiva.

La brand voice definisce i confini del gioco


Rassicurazione vs ribellione, family vs teen. Non sono slogan: sono policy operative su contenuti, partnership, community management.

Il contenuto è diplomazia


Esclusive, licenze, prime parti: non sono colpi estemporanei, sono trattati che spostano popolazioni di giocatori.

La tecnologia va resa visibile


Mode 7 ieri, ray tracing oggi: l’hardware convince quando ha momenti dimostrativi che l’utente può ricordare e raccontare.

Locale batte globale


Dalla rivista al negozio, dai tornei al linguaggio degli spot: la cultura si costruisce vicino alle persone.

Riquadro critico · “Blast processing” e altri miti utili


Il termine “blast processing” è l’emblema della retorica tecnica anni ’90: un’etichetta suggestiva per comunicare che “qui le cose scorrono più veloci”. Non importa la precisione filologica; importa l’effetto cognitivo. È una tecnica che il marketing tech continua a usare: condensare complessità in un’immagine mentale. Da addetti ai lavori, dobbiamo leggere questi claim per quello che sono: metafore operative, non datasheet.

Epilogo: la pace impossibile


La guerra dei bit non è mai davvero finita; ha solo cambiato campo di battaglia. Oggi si combatte su ecosistemi digitali, servizi in abbonamento, retrocompatibilità, pipeline first party, community e creator economy. Ma la dinamica è la stessa: trasformare il freddo della tecnologia nel caldo di un’appartenenza. Nintendo e Sega, con voci opposte e spesso complementari, hanno stabilito il canone: il videogioco non si vende solo promettendo ciò che fa, ma promettendo chi ti fa diventare.

Nel resto del mese torneremo su questi temi entrando nel merito dei generi, delle periferiche e dei casi studio che hanno reso l’era 8/16-bit una palestra di marketing ancora attuale. Perché, numeri a parte, quella stagione ha insegnato all’industria come creare mondi prima ancora che macchine. E a noi giocatori ha dato, per la prima volta, il diritto di scegliere una bandiera.


noblogo.org/videogames-4-all/n…


Nintendo vs Sega: la guerra dei bit e il marketing che ha cambiato il videogioco


afc76123-afab-45c7-84e4-631af11f630e.pngC’è stato un periodo, tra la fine degli anni ’80 e la prima metà dei ’90, in cui una cifra bastava a vincere una discussione al bar: 8, 16. Quella cifra – i “bit” – era insieme slogan, promessa e arma psicologica. In realtà spiegava poco di clock, bus, chipset o pipeline grafiche, ma bastava a trasformare due aziende giapponesi in bandiere identitarie: Nintendo e Sega. Non fu soltanto una competizione tecnica; fu soprattutto una guerra di narrazioni. Ed è qui che nasce il fenomeno che oggi chiamiamo “console war”: un conflitto di immaginari in cui i prodotti diventano tribù, e il marketing plasma il gusto, la cultura e persino la moralità del videogioco.

Dai bit al mito: quando una specifica diventa un movimento


Se guardiamo sotto il cofano, lo scontro 8-bit vs 16-bit è fatto (anche) di differenze reali: CPU diverse, architetture audio opposte, soluzioni grafiche peculiari. Ma non è questa la parte che ha infiammato i salotti. La parola “bit” funziona perché è semplice. È un indicatore ascendente – più è alto, più “è meglio” – e consente di vendere “il prossimo livello” con una chiarezza che travolge le sfumature. Il paradosso è che la percezione di potenza conta più della potenza effettiva: l’idea di velocità, di ritmo, di “cattiveria” sonora o di profondità cromatica diventano segnali identitari leggibili in un trailer di 30 secondi, in un annuncio su rivista, nel passaparola a scuola.

Nintendo la gioca “di sistema”: affidabilità, coerenza estetica, controllo ferreo della qualità. Sega la gioca “di frizione”: aggressiva, ironica, laterale. Una vende il sigillo (la promessa che il gioco “funziona ed è buono”), l’altra vende la sfida (il gioco “ti fa sentire grande, veloce, diverso”).

Due voci, due pubblici: il marketing come posizionamento culturale


Nintendo arriva dall’epoca 8-bit con un capitale simbolico enorme: Mario non è solo una mascotte, è un linguaggio. L’azienda costruisce un ecosistema rassicurante, familiare, normativo: l’eroe positivo, il colore pieno, l’artigianato del level design. Strumenti chiave: il “Seal of Quality”, la rete distributiva ordinata, le politiche di licenza severe che riducono il caos post-crash dei primi anni ’80. Il messaggio è: “Qui il videogioco è al sicuro. È intrattenimento per tutti, pulito, rifinito”.

Sega sceglie l’angolo opposto. Il tono di voce è spigoloso, urbano, sarcastico. Gli spot sono taglienti, i claim memorabili (“Welcome to the Next Level” su tutti). Sega costruisce il proprio pubblico con una promessa punk: “non siamo l’infanzia, siamo l’adolescenza”. L’estetica è più rapida, la musica più metal, i giochi sportivi gonfi di licenze e statistiche, le conversioni arcade che “suonano” come la sala giochi del centro commerciale. È la marca che flirta apertamente con il cool.

Questa distinzione – rassicurazione vs trasgressione controllata – segmenta il mercato. Non si tratta solo di età; è una questione di aspirazione. Nintendo è l’universale; Sega è l’appartenenza.

Mascotte come manifesto: Mario e Sonic, due idee di velocità


Quando Sonic arriva, non è semplicemente un personaggio: è un manifesto di prodotto. Il riccio blu incarna la velocità come emozione primaria. Level design allungato, loop, piani multipli, colonna sonora che spinge. In copertina non vedi solo un mondo, vedi un atteggiamento. Mario, al contrario, è la grammatica pulita del platform: progressione leggibile, controllo millimetrico, sorpresa modulata. Se Sonic è “wow”, Mario è “ah!”. Due tempi emotivi diversi, due pubblici potenzialmente sovrapposti ma esteticamente distanti.

Il marketing trasforma queste differenze in identità totalizzanti: poster, bundle, demo nei negozi, riviste dedicate, rubriche, segreti. La mascotte non rappresenta più una line-up: rappresenta uno stile di vita ludico.

Tecnologia come retorica: Mode 7, “blast”, suoni che diventano carattere


Nel dettaglio tecnico, la generazione 16-bit porta strumenti nuovi che il marketing sa tradurre. Il Mode 7 diventa la parola magica invisibile che spiega perché F-Zero e Pilotwings sembrano “ruotare e volare”: non interessa davvero come funzioni, interessa che fa effetto. Dall’altra parte, la retorica della “potenza bruta” – la velocità percepita, l’FM sintetico dei chip audio che graffia – lega i giochi Sega a un immaginario “stradale”, adrenalinico.

Il punto non è chi “vince” sul banco da laboratorio. Il punto è come la tecnologia diventa raccontabile. L’utente recepisce immagini-ancora: rotazioni, scaling, scie sonore, scroll parallax. Sono “prove” che giustificano la spesa ai genitori, la scelta identitaria con gli amici, la fedeltà alla marca.

La politica dei contenuti: licenze, esclusività, rating


La vera trincea della guerra non è il silicio: sono i contenuti. Nintendo difende l’ecosistema con linee guida rigide, cura meticolosa, un equilibrio tra first party e partner selezionati. Sega spinge sulle licenze sportive, sulle conversioni arcade e – nodo cruciale – accetta contenuti più maturi quando serve spostare il baricentro demografico. La disputa intorno a giochi violenti porta alla nascita di sistemi di classificazione moderni: non è solo PR, è politica culturale. Anche qui il marketing traduce in narrativa: “noi trattiamo i giocatori come adolescenti-adulti”, oppure “noi proteggiamo l’esperienza familiare”.

Sul piano commerciale, esclusive e finestre temporali determinano traiettorie di crescita. Ogni JRPG, picchiaduro o racer first party non è solo un titolo; è un argine per tenere la community dentro il recinto.

Retail, bundle, riviste: l’ecosistema dove la guerra tocca terra


La guerra dei bit si gioca anche sugli scaffali. I bundle non sono soltanto offerte, sono cornici di senso: console + platform iconico significa “compra l’idea completa”. Le demo station nei negozi e i chioschi promozionali fanno da sala prove collettiva. La stampa specializzata e le riviste ufficiali diventano organi di partito: anteprime, walkthrough, poster, rubriche di trucchi. La fedeltà al marchio si costruisce nel tempo, attraverso una dieta mediatica coerente. È il primo, vero media mix del videogioco domestico.

Europa e Italia: il filtro delle culture locali


Nel mercato europeo la “voce” dei due marchi passa attraverso agenzie, doppiaggi, palinsesti TV e, in paesi come l’Italia, attraverso la rete capillare delle edicole: le coverstory e i voti delle riviste incidono sull’immaginario più degli spot. Il negoziante di quartiere diventa spesso evangelista di una delle due fazioni, con vetrine allestite ad arte, cartellonistica e tornei informali. La guerra è globale, ma arriva locale: adattamenti, prezzi, disponibilità, perfino la traduzione dei manuali. È un promemoria potente: il marketing migliore è quello che sa parlare dialetti.

Perché quella guerra conta ancora oggi


Guardando dall’oggi, la lezione è sorprendentemente attuale:

Il numero non basta, ma aiuta


Una metrica semplice – anche imperfetta – è un gancio mnemonico. Oggi sono i teraflops, ieri erano i bit. Servono per aprire la porta a una conversazione emotiva.

La brand voice definisce i confini del gioco


Rassicurazione vs ribellione, family vs teen. Non sono slogan: sono policy operative su contenuti, partnership, community management.

Il contenuto è diplomazia


Esclusive, licenze, prime parti: non sono colpi estemporanei, sono trattati che spostano popolazioni di giocatori.

La tecnologia va resa visibile


Mode 7 ieri, ray tracing oggi: l’hardware convince quando ha momenti dimostrativi che l’utente può ricordare e raccontare.

Locale batte globale


Dalla rivista al negozio, dai tornei al linguaggio degli spot: la cultura si costruisce vicino alle persone.

Riquadro critico · “Blast processing” e altri miti utili


Il termine “blast processing” è l’emblema della retorica tecnica anni ’90: un’etichetta suggestiva per comunicare che “qui le cose scorrono più veloci”. Non importa la precisione filologica; importa l’effetto cognitivo. È una tecnica che il marketing tech continua a usare: condensare complessità in un’immagine mentale. Da addetti ai lavori, dobbiamo leggere questi claim per quello che sono: metafore operative, non datasheet.

Epilogo: la pace impossibile


La guerra dei bit non è mai davvero finita; ha solo cambiato campo di battaglia. Oggi si combatte su ecosistemi digitali, servizi in abbonamento, retrocompatibilità, pipeline first party, community e creator economy. Ma la dinamica è la stessa: trasformare il freddo della tecnologia nel caldo di un’appartenenza. Nintendo e Sega, con voci opposte e spesso complementari, hanno stabilito il canone: il videogioco non si vende solo promettendo ciò che fa, ma promettendo chi ti fa diventare.

Nel resto del mese torneremo su questi temi entrando nel merito dei generi, delle periferiche e dei casi studio che hanno reso l’era 8/16-bit una palestra di marketing ancora attuale. Perché, numeri a parte, quella stagione ha insegnato all’industria come creare mondi prima ancora che macchine. E a noi giocatori ha dato, per la prima volta, il diritto di scegliere una bandiera.



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Noah and the Whale - Heart of Nowhere (2013)


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Heart of Nowhere è il quarto album pubblicato in cinque anni di attività dalla band inglese Noah And The Whale. Se dovessimo identificare la nostra quotidianità con delle canzoni “pop” è molto probabile che i suoni e soprattutto i testi potrebbero risultare frenetici se non addirittura volgari. La principale caratteristica dei Noah and the Whale invece, è quella di una “colonna sonora” tranquilla, semplice, umile, ma non per questo poco interessante, al contrario, i testi affrontano argomenti toccanti e a volte dolorosi e comunque mai banali. Una premessa necessaria perché ad un semplice e frettoloso ascolto è molto facile cadere in un giudizio di superficialità sonora che invece non meritano. La prima impressione che colpisce è l'equilibrio, la componente umanistica con i testi che ben si amalgamano con i suoni. Testi che raccontano la quotidianità, cambiano umore all'improvviso, imprevedibilmente come succede nella vita di tutti i giorni... artesuono.blogspot.com/2014/10…


Ascolta: album.link/i/1443419734



noblogo.org/available/noah-and…


Noah and the Whale - Heart of Nowhere (2013)


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Heart of Nowhere è il quarto album pubblicato in cinque anni di attività dalla band inglese Noah And The Whale. Se dovessimo identificare la nostra quotidianità con delle canzoni “pop” è molto probabile che i suoni e soprattutto i testi potrebbero risultare frenetici se non addirittura volgari. La principale caratteristica dei Noah and the Whale invece, è quella di una “colonna sonora” tranquilla, semplice, umile, ma non per questo poco interessante, al contrario, i testi affrontano argomenti toccanti e a volte dolorosi e comunque mai banali. Una premessa necessaria perché ad un semplice e frettoloso ascolto è molto facile cadere in un giudizio di superficialità sonora che invece non meritano. La prima impressione che colpisce è l'equilibrio, la componente umanistica con i testi che ben si amalgamano con i suoni. Testi che raccontano la quotidianità, cambiano umore all'improvviso, imprevedibilmente come succede nella vita di tutti i giorni... artesuono.blogspot.com/2014/10…


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QOELET - Capitolo 12


La vecchiaia e la morte1Ricòrdati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i giorni tristi e giungano gli anni di cui dovrai dire: “Non ci provo alcun gusto”;2prima che si oscurino il sole, la luce, la luna e le stelle e tornino ancora le nubi dopo la pioggia;3quando tremeranno i custodi della casa e si curveranno i gagliardi e cesseranno di lavorare le donne che macinano, perché rimaste poche, e si offuscheranno quelle che guardano dalle finestre4e si chiuderanno i battenti sulla strada; quando si abbasserà il rumore della mola e si attenuerà il cinguettio degli uccelli e si affievoliranno tutti i toni del canto;5quando si avrà paura delle alture e terrore si proverà nel cammino; quando fiorirà il mandorlo e la locusta si trascinerà a stento e il cappero non avrà più effetto, poiché l'uomo se ne va nella dimora eterna e i piagnoni si aggirano per la strada;6prima che si spezzi il filo d'argento e la lucerna d'oro s'infranga e si rompa l'anfora alla fonte e la carrucola cada nel pozzo,7e ritorni la polvere alla terra, com'era prima, e il soffio vitale torni a Dio, che lo ha dato.8Vanità delle vanità, dice Qoèlet, tutto è vanità.

EPILOGO (12,9-14)9Oltre a essere saggio, Qoèlet insegnò al popolo la scienza; ascoltò, meditò e compose un gran numero di massime.10Qoèlet cercò di trovare parole piacevoli e scrisse con onestà parole veritiere. 11Le parole dei saggi sono come pungoli, e come chiodi piantati sono i detti delle collezioni: sono dati da un solo pastore. 12Ancora un avvertimento, figlio mio: non si finisce mai di scrivere libri e il molto studio affatica il corpo.13Conclusione del discorso, dopo aver ascoltato tutto: temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché qui sta tutto l'uomo.14Infatti, Dio citerà in giudizio ogni azione, anche tutto ciò che è occulto, bene o male.

_________________Note

12,3-4 i custodi della casa: probabilmente, le mani; i gagliardi: le gambe; le donne che macinano: i denti; quelle che guardano dalle finestre: gli occhi; i battenti sono le labbra; il cinguettio degli uccelli è in relazione con la capacità di udire.

12,5-6 il mandorlo: probabilmente la canizie; la locusta: i piedi; il cappero (considerato un afrodisiaco): l’attività sessuale; la lucerna che si infrange, l’anfora che si rompe e la carrucola che cade nel pozzo, sono immagini della morte.

12,9-14 Le ultime righe del libro sono dovute all’antico raccoglitore (o editore) dell’opera, probabilmente un discepolo di Qoèlet. Contengono un breve profilo dell’autore e collocano il libro nell’alveo della tradizione sapienziale.

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Approfondimenti


vv. 1-8. Secondo la maggior parte dei commentatori, il passo 12,1-8 descrive con metafore la vecchiaia, pensata come un'anticipazione della morte (12,1-5), e poi la morte stessa (12,6-7), vista in continuità logica e in tensione con la giovinezza.

v. 1. L'ambiguità del testo ebraico in 12,1 invita a riflettere sul rapporto tra Dio, la vita e la morte. Proprio questo è il problema centrale della sapienza, e proprio qui si manifesta con evidenza il limite del capire umano, tanto che la conclusione del ragionamento è «totale assurdità» (12,8).

v. 2. La struttura parallela permette di capire l'oscuramento del sole e delle altre luci non come il buio totale, simbolo della morte, ma come l'ombra cupa dei giorni di pioggia, un maltempo a cui non succederà più il sereno, simbolo questo della vecchiaia.

vv. 3-5. La parte centrale della pericope, ovvero i vv. 3-5, funziona secondo una dinamica di luoghi: casa, via, strada periodizzano 3-5a, creando delle tensioni dentro/fuori, e si ritrovano nello stico finale 5b (dove la strada è sostituita dal suo verbo correlativo «camminare», cfr. 11,9), in cui dalla casa provvisoria si passa alla casa definitiva, il sepolcro, e dalla via rumorosa di vita si passa a una via in cui si prepara il lutto.

Il v. 3 descrive una casa di persone anziane, in cui tutti vedono limitarsi le possibilità di movimento e di attività, e il v. 4 dipinge il silenzio che domina quella casa. Il v. 5 sposta l'attenzione fuori della casa, dove gli anziani hanno timore di ogni possibile pericolo, e dove lo sbocciare della primavera contrasta con l'andare dell'uomo incontro alla morte.

v. 6. I quattro membri di questo versetto vanno a coppie: argento e oro, fonte e pozzo. Entrambe le coppie possono alludere alla vita, presentata nel primo caso con il simbolo implicito della luce (un'ampolla d'oro, o piena di olio color dorato, per il candelabro, retta da una fune d'argento: la fune sfugge, l'ampolla si rompe), nel secondo con quello altrettanto implicito dell'acqua (la carrucola precipita nel pozzo e l'anfora si spezza).

v. 7. La metafora si scioglie, ed ecco la morte, descritta nella sua realtà: si scindono le componenti essenziali dell'uomo (polvere animata dal soffio di Dio, cfr. Gn 2, 7) e l'uomo cessa di esistere. Nessuna speranza ultraterrena: Dio aveva dato il soffio, Dio riprende il soffio, e così si chiude il ciclo della vita umana, e si chiude pure nel mistero il senso di tale vita (12, 8).

vv. 9-11. L'epilogo del libro è diviso in due parti.

La prima parte (12,9-11) contiene dei dati biografici su Qoelet, o piuttosto una valutazione complessiva della sua opera di saggio, il tutto espresso come discorso indiretto. Da notare che nella tradizione ebraica si è sempre preferito chi usa la sua saggezza per istruire gli altri, piuttosto che il saggio che studia solo per se stesso. La parola che sta al centro di questa parte e la focalizza è «verità» (’emet), ovvero la stabilità di chi è fedele alla realtà di cui fa esperienza. Riguardo al misterioso «unico pastore» che conclude il v. 11, bisogna ricordare che “pastore” è un titolo che fin dal periodo paleo-babilonese caratterizzava il re per la cura che aveva del suo popolo (cfr. i re Dumuzi, Etana e Lugalbanda, definiti “pastori” nella lista sumeica dei re, ANET 265-266), ciò che è coerente con la presentazione di Qoelet come re saggio. Nella stessa linea l'Antico Testamento presenta Dio come il re d'Israele (cfr. Nm 23,21; Dt 33,5; Sal 5,3; ecc.) e il pastore d'Israele (cfr. Sal 28,9; 80,2; Gn 49,24; есс.); pare dunque abbastanza fondata l'identificazione divina di questo «unico pastore», tanto più se si considera la doppia ricorrenza del nome di Dio nella parte seguente (13-14).

La seconda parte (12,12-14) dell'epilogo riprende il discorso rivolto direttamente al destinatario, usando la formula classica di indirizzo dei consigli sapienziali «figlio mio» (cfr. Prv 1,8.10; 2,1; 3,1; есс.). L'esortazione inizia con una forma di autoironia (12,12): Qoelet stesso aveva affermato che molte parole portano molte assurdità (5,6) e che il moltiplicar parole degli idioti stanca (10, 14-15); l'epiloghista ha ben presente tutto ciò, e d'altra parte è conscio che sta componendo l'epilogo per un libro che contiene tante parole; ecco allora il proverbio: «molto studio, stanchezza di carne». Questo versetto autoironico permette di passare all'ultima sotto-parte (12,13-14) che, proprio perché i libri si moltiplicano senza fine, cerca di condensare i messaggio di Qoelet in una formula breve e comprensiva.

I vv. 13-14 sono strutturati in modo concentrico, e questo ci permette di studiare le relazioni tra gli elementi corrispondenti. Bisogna aver timor di Dio (13c), perché egli conduce ogni cosa al suo destino (14b); bisogna osservare i suoi comandamenti (13d), malgrado tutto quel che si il cra (10 del chiasmo (13-14a) si tratta dell'uomo e del suo operare. In particolare c'è una risposta a 6,10, dove si diceva di sapere che cosa sia “uomo”: tutto sommato, è veramente “uomo” chi ha timor di Dio e osserva i suoi comandamenti, ben conscio che è Dio che conduce ogni cosa al suo destino e che per l'uomo è molto difficile capire che cosa è bene e che cosa è male.

(cf. PAOLO PAPONE, Qoelet – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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[provetecniche] -occhi ben chiusi

l'occhio che vuole non vuole [somiglia a un occhio che non somiglia qui] manca il fotofinish la didascalia misura del potere diottrico catottrico o] catadiottrico


noblogo.org/lucazanini/provete…



Meat Puppets – Rat Farm (2013)


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Gli anni ottanta oltre ad essere ricordati per le grandi kermesse di beneficenza e per i riti del rock da stadio, sono ricordati per il sottobosco del rock statunitense che affonda le proprie radici nell'era del movimento punk che, nel corso del tempo si estremizzò in hardcore. Era un rock orgogliosamente minoritario, forte e indipendente. Gli artisti, le band fuori dagli schemi che avevano fecondato la scena americana di nuove idee, ponendo inconsciamente le basi per la sua rinascita furono parecchi, fra questi ci furono i Meat Puppets... artesuono.blogspot.com/2014/10…


Ascolta: youtu.be/snsDKPuSxAc?si=kZc18W…



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Meat Puppets – Rat Farm (2013)


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Gli anni ottanta oltre ad essere ricordati per le grandi kermesse di beneficenza e per i riti del rock da stadio, sono ricordati per il sottobosco del rock statunitense che affonda le proprie radici nell'era del movimento punk che, nel corso del tempo si estremizzò in hardcore. Era un rock orgogliosamente minoritario, forte e indipendente. Gli artisti, le band fuori dagli schemi che avevano fecondato la scena americana di nuove idee, ponendo inconsciamente le basi per la sua rinascita furono parecchi, fra questi ci furono i Meat Puppets... artesuono.blogspot.com/2014/10…


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QOELET - Capitolo 11


Invito ad agire1Getta il tuo pane sulle acque, perché con il tempo lo ritroverai. 2Fanne sette o otto parti, perché non sai quale sciagura potrà arrivare sulla terra.3Se le nubi sono piene d'acqua, la rovesciano sopra la terra; se un albero cade verso meridione o verso settentrione, là dove cade rimane.4Chi bada al vento non semina mai, e chi osserva le nuvole non miete.5Come tu non conosci la via del soffio vitale né come si formino le membra nel grembo d'una donna incinta, così ignori l'opera di Dio che fa tutto.6Fin dal mattino semina il tuo seme e a sera non dare riposo alle tue mani, perché non sai quale lavoro ti riuscirà meglio, se questo o quello, o se tutti e due andranno bene.

Invito alla gioia7Dolce è la luce e bello è per gli occhi vedere il sole.8Anche se l'uomo vive molti anni, se li goda tutti, e pensi ai giorni tenebrosi, che saranno molti: tutto ciò che accade è vanità.9Godi, o giovane, nella tua giovinezza, e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù. Segui pure le vie del tuo cuore e i desideri dei tuoi occhi. Sappi però che su tutto questo Dio ti convocherà in giudizio.10Caccia la malinconia dal tuo cuore, allontana dal tuo corpo il dolore, perché la giovinezza e i capelli neri sono un soffio.

_________________Note

11,1 Getta il tuo pane: questo gesto, in sé sconsiderato e assurdo, potrebbe essere inteso come un rischio che si deve correre.

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Approfondimenti


vv. 1-6. Sia ai vv. 1-2 che al v. 6 troviamo la medesima struttura, con una doppia esortazione seguita da una motivazione. L'esortazione va sempre nel senso dell'agire (getta, fanne parte, semina, non dar riposo). Ai vv. 3-5 troviamo le motivazioni: il v. 3 evidenzia l'inevitabilità, l'ineluttabilità di ciò che accade; il v. 4 dà un insegnamento pratico: se si attendono le condizioni favorevoli, non si agisce mai; il v. 5 mette in evidenza il limite della conoscenza umana. Di fatto in tutti i posti-chiave della parte ritroviamo asserita l'incapacità umana di conoscere (2.5.6.), di conoscere ciò che riguarda il proprio futuro (2.6), di comprendere il segreto della vita, e il modo d'agire di Dio, origine di tutta la realtà (5). Malgrado tale incompetenza, l'uomo deve agire, agire sempre, con intelligenza e solerzia, ma rinunciando all'illusione di prevedere il futuro per programmare il suo agire; ciò che accade è ineluttabile e fa parte del segreto della vita che sta nelle mani di Dio e non dell'uomo.

vv. 7-8. Si può osservare una struttura parallela composta di due tavole in tensione fra di loro: la prima (7-8a), segnata dalla luce, con molti anni da godere, indugia e ridonda un poco, è quasi un augurio adombrato di malinconia; la seconda (8b), segnata dalla tenebra, più scarna e tetra, esplicita il motivo della malinconia: il pensiero della morte e dello šᵉ’ôl.

v. 9. La categoria del giudizio finale difficilmente può trovare il suo posto in Qoelet; infatti se c'è una medesima sorte per tutti (2,14-16; 9,1-3), la morte e lo šᵉ’ôl, il giudizio dovrebbe essere anticipato durante la vita; eppure nella vita non si vede alcuna relazione tra l'eticità delle scelte e ciò che accade (cfr. 7,15; 8,11-12), e anche il modo di morire non rispetta nessuna logica retributiva (cfr. 8,10). Il termine mispat deriva dalla radice spt, «giudicare», che non indica soltanto l'ambito forense, ma tutta la funzione di governo (cfr. i “giudici” antimonarchici); ora, il modo proprio di Dio di governare il mondo è la determinazione dei tempi (3,1-11); dunque il mispat di 11,9 può bene essere inteso come il “destino”, ovvero la vita umana in quanto ha di immodificabile, e al tempo stesso la morte come inevitabile punto d'arrivo della stessa vita. D'altra parte, anche mantenendo il senso strettamente giudiziale si giunge ad analoghe conclusioni, poiché il mispat (a differenza del rib, lite giudiziaria finalizzata al correggersi del colpevole, e non alla sua punizione) è un giudizio che si conclude sempre con una condanna; nel nostro caso diventa una metafora della morte, condanna senza appello. Capiamo allora il senso concessivo di quel «nonostante tutte queste cose» che sintetizza le esortazioni alla gioia: essa contrasta il pensiero della morte, ma non può e non deve eliminarlo, perché quella è la verità dell'uomo.

v. 10. Notiamo la progressione dall'interiorità verso l'esteriorità, dal cruccio del cuore al dolore della carne: l'andare verso la morte non è questione di sentimenti, ma è il cosificarsi dell'uomo che passa attraverso la carnalità dolente della vecchiaia per giungere al ritorno della polvere alla terra.

(cf. PAOLO PAPONE, Qoelet – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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A new blossom unfurls In my conscience Beautiful and dark and heady. I want to cherish each petal Of the flower of loss, But I can't forget the garden: My weeds need tending, too.


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[filtri]cookie wast land gli incarichi tasse] i caccia la] pertosse identificare chi] ha chiuso il terminal alle visite o fanno ferragosto la cresta i primi [dieci a tasso] quanto basta la persona degli incarichi [calcola] dimenticano per approssimazione


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✍️ Ci sono momenti in cui sembra che il terreno sotto i piedi si apre e tu ti ritrovi giù senza capire, a volte la caduta è lenta, altre volte è uno schianto improvviso. Può essere un sogno non realizzato, un’amicizia che si è incrinata, un' attesa che continua e ti logora! Ma cadere fa parte del viaggio, non significa non valere abbastanza, o non essere forte, bensì che ci stai provando, tra alti e bassi salite, discese e momenti in cui serve fermarsi a riprendere fiato, ciò che conta è il dopo, restare lì a guardare le macerie… oppure iniziare a costruire qualcosa di nuovo, da capo..Le sconfitte fanno male, ma nascondono piccoli semi, che se curati, innaffiati, germoglieranno e daranno nuovi frutti col tempo!Così nasce una nuova consapevolezza, si cambia, si cresce, la donna di oggi, accompagna quella che sarà domani, un passo, poi un altro, finché il paesaggio dall’altra parte comincia ad essere più chiaro, definito e bello! A volte capita di sentirsi giù, stanchi, soli, tristi, e vorresti tornare indietro, essere migliore, più forte, insomma di più di quello che si è, ma bisogna pensare a costruire una versione diversa, nuova, trasparente, che prima non c’era, perché nascosta per paura, timore o insicurezza! Ecco manca poco, tra un po' un nuovo anno, un giorno come tanti, la musica di Vasco come sottofondo, mentre gli ultimi minuti, scorrono veloci, in una serata come tante, per me diversa, chissà e allora che sia un giorno da colorare, emozionare, respirare e vivere come sempre, più di sempre...


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[escursioni] -ottimo taglio. Donne elegantissime

alle 2,45 a.m. buttano le bottiglie di vetro la spazzatura non calcolano la traiettoria] di notte vociare persone che fischiano la roba buona i tarocchi [auto con musica alta sotto la finestra anche] in bicicletta contro auto in sosta variabile i cani [dei condomìni lontani abbaiano per primi degli dei] ora occupato la pazienza la verde Q8 esaurite


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Laura Marling - Once I Was An Eagle (2013)


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Negli ultimi cinque anni, la musicista inglese Laura Marling ha inciso quattro album, nulla di straordinario si potrà pensare, ebbene, questa cantautrice ha 23 anni e il suo primo lavoro l'ha pubblicato a soli 18 anni. Se nei primi dischi era inevitabilmente espressa una certa ingenuità, con questo quarto album, la Marling affina la sua musica in modo sottile e discreto. Once I Was an Eagle è un album molto intimo, dove anche i momenti più profondi e le sensazioni personali vengono espresse in maniera semplice, con un senso elegante, consapevole ed intenso. Il suono è tipicamente folk, principalmente chitarre acustiche, pianoforti, archi e percussioni, tutti estremamente misurati con uno stile molto sommesso e silenzioso... artesuono.blogspot.com/2014/11…


Ascolta: album.link/i/1440824439



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Laura Marling - Once I Was An Eagle (2013)


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Negli ultimi cinque anni, la musicista inglese Laura Marling ha inciso quattro album, nulla di straordinario si potrà pensare, ebbene, questa cantautrice ha 23 anni e il suo primo lavoro l'ha pubblicato a soli 18 anni. Se nei primi dischi era inevitabilmente espressa una certa ingenuità, con questo quarto album, la Marling affina la sua musica in modo sottile e discreto. Once I Was an Eagle è un album molto intimo, dove anche i momenti più profondi e le sensazioni personali vengono espresse in maniera semplice, con un senso elegante, consapevole ed intenso. Il suono è tipicamente folk, principalmente chitarre acustiche, pianoforti, archi e percussioni, tutti estremamente misurati con uno stile molto sommesso e silenzioso... artesuono.blogspot.com/2014/11…


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QOELET - Capitolo 10


Sapienza, follia e stoltezza1Una mosca morta guasta l'unguento del profumiere: un po' di follia ha più peso della sapienza e dell'onore.2Il cuore del sapiente va alla sua destra, il cuore dello stolto alla sua sinistra.3E anche quando lo stolto cammina per strada, il suo cuore è privo di senno e di ognuno dice: “Quello è un pazzo”.4Se l'ira di un potente si accende contro di te, non lasciare il tuo posto, perché la calma pone rimedio a errori anche gravi.

5C'è un male che io ho osservato sotto il sole, uno sbaglio commesso da un sovrano: 6la stoltezza viene collocata in posti elevati e i ricchi siedono in basso. 7Ho visto schiavi andare a cavallo e prìncipi camminare a piedi, per terra, come schiavi.8Chi scava una fossa vi può cadere dentro e chi abbatte un muro può essere morso da una serpe.9Chi spacca pietre può farsi male e chi taglia legna può correre pericoli.10Se il ferro si ottunde e non se ne affila il taglio, bisogna raddoppiare gli sforzi: il guadagno sta nel saper usare la saggezza. 11Se il serpente morde prima d'essere incantato, non c'è profitto per l'incantatore.12Le parole del saggio procurano stima, ma le labbra dello stolto lo mandano in rovina:13l'esordio del suo parlare è sciocchezza, la fine del suo discorso pazzia funesta.14L'insensato moltiplica le parole, ma l'uomo non sa quello che accadrà: chi può indicargli ciò che avverrà dopo di lui?15Lo stolto si ammazza di fatica, ma non sa neppure andare in città.

Il potere e i suoi rischi16Povero te, o paese, che per re hai un ragazzo e i tuoi prìncipi banchettano fin dal mattino!17Fortunato te, o paese, che per re hai un uomo libero e i tuoi prìncipi mangiano al tempo dovuto, per rinfrancarsi e non per gozzovigliare.18Per negligenza il soffitto crolla e per l'inerzia delle mani piove in casa.19Per stare lieti si fanno banchetti e il vino allieta la vita, ma il denaro risponde a ogni esigenza.20Non dire male del re neppure con il pensiero e nella tua stanza da letto non dire male del potente, perché un uccello del cielo potrebbe trasportare la tua voce e un volatile riferire la tua parola.

_________________Note

10,20 un uccello del cielo: l’immagine dell’uccello propagatore di notizie appartiene alla sapienza popolare antica.

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Approfondimenti


vv. 5-20. Nel passo 10,5-20 si delinea una inclusione (5s. e 20) che incornicia due parti simmetriche e parallele (7-10 e 16-19), le quali a loro volta racchiudono un nucleo centrale a struttura parallela (11-15).

vv. 5-6.20. L'introduzione afferma che una parte del male di cui si fa esperienza dipende dagli errori di chi sta al potere. Notiamo che lo stesso concetto di male ricompare alla fine del v. 13, ovvero alla metà esatta del nucleo centrale, così da periodizzare l'intera pericope qualificandola in termini di negatività. Tuttavia, se in 5-6 l'autore riportava una riflessione alquanto amareggiata sugli errori di chi è al potere, in 20 sembra mettersi la mano sulla bocca, perché è troppo pericoloso parlar male di chi è potente e ricco.

vv. 7-10.16-19. Nei vv. 8-9 viene sottolineato il rischio inerente a ogni forma di agire in situazione, e nel v. 18 all'inverso il rischio inerente all'inazione. Nel v. 10 la sapienza è paragonata a un utensile di ferro, e così se ne evidenzia la potenza; al tempo stesso però si dichiara la necessità ché tale strumento sia davvero utile e vantaggioso: è l'efficacia pratica, il vantaggio, che ne decreta il successo. Dunque è l'aspetto dinamico della sapienza che vien messo in risalto, poiché una sapienza statica, stabilita e formalizzata, diventa subito un ferro smussato, non più adatto a interpretare la realtà in modo efficace e costringe il suo possessore a faticare invano.

vv. 11-15. Osserviamo dei personaggi negativi che svolgono azioni lesive con la loro sfera orale: il serpente morde (11), le labbra dell'idiota rovinano qualcuno (12), lo stolto moltiplica le parole (14); l'attività ('ămal) degli stolti che stanca qualcuno (15) può dunque essere intesa nel senso di «logorrea», rimanendo così sempre nell'ambito di un “parlare” connotato negativamente.

(cf. PAOLO PAPONE, Qoelet – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Rete criminale organizzata albanese smantellata


https://poliverso.org/photo/preview/1024/55983851Una serie di perquisizioni in Albania, nei giorni scorsi, ha portato all'arresto di 10 presunti membri di una rete criminale organizzata albanese coinvolta nel traffico di cocaina e nel riciclaggio di denaro. La rete, che aveva legami con organizzazioni internazionali, è stata presa di mira dalle forze dell'ordine albanesi in coordinamento con Belgio, Francia, Germania, Italia e Paesi Bassi.https://poliverso.org/photo/preview/1024/55983853

Durante l'operazione, le autorità hanno sequestrato ingenti beni, tra cui immobili, veicoli e azioni di società per un valore di diversi milioni di euro. L'indagine ha inoltre portato alla luce una serie di prove fisiche e digitali, inclusi i dati della piattaforma di comunicazione criptata Sky ECC, che è stata disattivata nel 2021 ma ha comunque prodotto risultati operativi.

Il capo della rete era coinvolto nell'organizzazione di spedizioni e nell'investimento in grandi quantità di cocaina, ed era ricercato per una condanna a 21 anni di carcere emessa da un tribunale italiano per omicidio e altri reati. L'operazione ha segnato un successo basato sui dati: gli investigatori hanno ricostruito consegne di tonnellate di cocaina verso i porti dell'UE e sequestrato milioni di euro di beni.

#SKYECC #criminalitàalbanese


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Rete criminale organizzata albanese smantellata


Rete criminale organizzata albanese smantellata


https://poliverso.org/photo/preview/1024/55983851Una serie di perquisizioni in Albania, nei giorni scorsi, ha portato all'arresto di 10 presunti membri di una rete criminale organizzata albanese coinvolta nel traffico di cocaina e nel riciclaggio di denaro. La rete, che aveva legami con organizzazioni internazionali, è stata presa di mira dalle forze dell'ordine albanesi in coordinamento con Belgio, Francia, Germania, Italia e Paesi Bassi.https://poliverso.org/photo/preview/1024/55983853

Durante l'operazione, le autorità hanno sequestrato ingenti beni, tra cui immobili, veicoli e azioni di società per un valore di diversi milioni di euro. L'indagine ha inoltre portato alla luce una serie di prove fisiche e digitali, inclusi i dati della piattaforma di comunicazione criptata Sky ECC, che è stata disattivata nel 2021 ma ha comunque prodotto risultati operativi.

Il capo della rete era coinvolto nell'organizzazione di spedizioni e nell'investimento in grandi quantità di cocaina, ed era ricercato per una condanna a 21 anni di carcere emessa da un tribunale italiano per omicidio e altri reati. L'operazione ha segnato un successo basato sui dati: gli investigatori hanno ricostruito consegne di tonnellate di cocaina verso i porti dell'UE e sequestrato milioni di euro di beni.

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Segui il blog e interagisci con i suoi post nel fediverso. Scopri dove trovarci:l.devol.it/@CoopIntdiPoliziaTutti i contenuti sono CC BY-NC-SA (creativecommons.org/licenses/b…)Le immagini se non diversamente indicato sono di pubblico dominio.



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✍️Ho pensato di farmi un regalo, perché credo sia giunto il momento di dedicarmi un pensiero, un tramonto, un' alba o semplicemente di aprire il mio cuore a colei che in tutti questi anni non ho ascoltato, ho emarginato e talvolta ho dimenticato! E allora... Cara me, È arrivato il momento, il giorno, il traguardo, lo stesso di 10 anni fa, ovviamente cambia molto... è passato un decennio, mezzo secolo di vita, così riaffiorano ricordi, pensieri, emozioni, bilanci e qualche fragilità. Gli anni sono passati, veloci, a volte lenti, difficili, tristi e malinconici, poche, ma uniche volte sereni e felici, ma li ho vissuti, li ho assaporati al meglio! Ci sono ricordi che non bussano, invece costantemente si presentano come onde agitate di un mare in tempesta o venti freddi, da una finestra volutamente lasciata socchiusa. Improvvisamente un rumore, un odore, un silenzio, ti riportano in quella stanza, da quella voce che non hai più sentito, da quel dolore che hai sempre nascosto! È strano che ritorni proprio adesso, come se fin'ora nn abbia avuto il coraggio di lasciarlo andare! Spesso il passato continua ad avere potere su di noi, ma non è il passato che ci blocca, ma il modo in cui lo guardiamo, così pensiamo che potevamo essere più forti e magari sbagliare di meno!

Ma cara me, oggi sei un’altra persona, perché hai affrontato giornate difficili, hai visto cose che non volevi vedere e hai raggiunto una consapevolezza, che ti stai cucendo giorno dopo giorno, una nuova voce che può parlare a quella te di ieri, rassicurandola che andrà tutto bene .. Fin'ora insieme abbiamo cercato di tenere insieme i pezzi del puzzle...oggi lo possiamo completare, dando nuova forma al passato e dando senso alla nostra storia. E in questo sta la guarigione, nel non dimenticare, ma nel ricominciare ! Così, finalmente un giorno, potremo ripensare, guardarci indietro senza abbassare lo sguardo, senza versare lacrime, senza provare dolore o tristezza perché in fondo quel dolore, quei momenti difficili, non ci hanno spezzate, ma rese diversamente forti, fragili, sensibili e ancora vive per lottare insieme e proseguire il racconto della nostra vita. Perché mia cara, piccola me, io sono cresciuta, ma è solo insieme che possiamo continuare a vivere, sopravvivere ed amare il nostro mondo, i nostri cari, le nostre debolezze! Ti voglio tanto bene!

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[vortex]o visionare l'idonea [Kubíček resiste alle alte preso] in disparte è come k come] sigla dell'altoforno dove] a Boston c'è la neve maglie regolari sistema di quartieri a U migliora] il rendimento il] primo inverno della modernità a [formula M


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QOELET - Capitolo 9


Tutto è nelle mani di Dio1A tutto questo mi sono dedicato, ed ecco tutto ciò che ho verificato: i giusti e i sapienti e le loro fatiche sono nelle mani di Dio, anche l'amore e l'odio; l'uomo non conosce nulla di ciò che gli sta di fronte.2Vi è una sorte unica per tutti: per il giusto e per il malvagio, per il puro e per l'impuro, per chi offre sacrifici e per chi non li offre, per chi è buono e per chi è cattivo, per chi giura e per chi teme di giurare.3Questo è il male in tutto ciò che accade sotto il sole: una medesima sorte tocca a tutti e per di più il cuore degli uomini è pieno di male e la stoltezza dimora in loro mentre sono in vita. Poi se ne vanno fra i morti. 4Certo, finché si resta uniti alla società dei viventi, c'è speranza: meglio un cane vivo che un leone morto. 5I vivi sanno che devono morire, ma i morti non sanno nulla; non c'è più salario per loro, è svanito il loro ricordo. 6Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto è ormai finito, non avranno più alcuna parte in tutto ciò che accade sotto il sole.7Su, mangia con gioia il tuo pane e bevi il tuo vino con cuore lieto, perché Dio ha già gradito le tue opere.8In ogni tempo siano candide le tue vesti e il profumo non manchi sul tuo capo.9Godi la vita con la donna che ami per tutti i giorni della tua fugace esistenza che Dio ti concede sotto il sole, perché questa è la tua parte nella vita e nelle fatiche che sopporti sotto il sole. 10Tutto ciò che la tua mano è in grado di fare, fallo con tutta la tua forza, perché non ci sarà né attività né calcolo né scienza né sapienza nel regno dei morti, dove stai per andare.

L’uomo non conosce neppure la sua ora11Tornai a considerare un'altra cosa sotto il sole: che non è degli agili la corsa né dei forti la guerra, e neppure dei sapienti il pane e degli accorti la ricchezza, e nemmeno degli intelligenti riscuotere stima, perché il tempo e il caso raggiungono tutti. 12Infatti l'uomo non conosce neppure la sua ora: simile ai pesci che sono presi dalla rete fatale e agli uccelli presi al laccio, l'uomo è sorpreso dalla sventura che improvvisa si abbatte su di lui.

La sapienza del povero è disprezzata13Anche quest'altro esempio di sapienza ho visto sotto il sole e mi parve assai grave: 14c'era una piccola città con pochi abitanti. Un grande re si mosse contro di essa, l'assediò e costruì contro di essa grandi fortificazioni. 15Si trovava però in essa un uomo povero ma saggio, il quale con la sua sapienza salvò la città; eppure nessuno si ricordò di quest'uomo povero. 16Allora io dico: “È meglio la sapienza che la forza, ma la sapienza del povero è disprezzata e le sue parole non sono ascoltate”.17Le parole pacate dei sapienti si ascoltano meglio delle urla di un comandante di folli.18Vale più la sapienza che le armi da guerra, ma un solo errore può distruggere un bene immenso. _________________Note

9,5 i morti non sanno nulla: come il libro di Giobbe e come molti salmi, anche il libro di Qoèlet testimonia la concezione di una esistenza al di là della morte, ma una esistenza di ombre, prive di vita e di ricordi. Vedi Gb 3,17 e nota.

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Approfondimenti


vv. 1-12. Qoelet continua il suo riflettere riproponendo a se stesso e al suo interlocutore il problema della retribuzione, visto nella prospettiva di una speciale protezione accordata da Dio a chi è giusto e saggio (v. 1). Ora tale protezione non è un dato confermato dall'esperienza, ché anzi la morte, certezza ineludibile per ognuno, toglie significatività alle differenze tra gli uomini (v. 2). Il fatto che tutti gli uomini, senza differenza, vengano colpiti dalla morte, è visto come un male. E il colmo è che gli uomini vivono come se non dovessero morire, pieni di male e di follia, e poi, all'improvviso se ne vanno tra i morti (v. 3). Come attesta un proverbio, non c'è nessuna buona ragione per preferire la morte alla vita (v. 4). Tutto il v. 5 gravita intorno al problema conoscitivo. I primi due membri compongono un parallelismo antitetico intorno al “conoscere” attivo: i vivi sanno almeno che moriranno, i morti non sanno nulla. I secondi due membri negano pure la conoscenza passiva dei morti, che sarebbe quanto meno una piccola ricompensa: invece anche il loro ricordo viene dimenticato, e allo stesso modo con la morte finisce anche il mondo degli affetti (v. 6). Con un brusco salto l'autore afferma: «Dio ha già gradito le tue opere», senza tuttavia dare alcun criterio in base al quale riconoscere la giustizia e la saggezza. Questo sembra indicare che la benevola protezione divina si manifesta nel dono della vita, per quanto precaria e fugace essa sia. Se una giustizia e una saggezza esistono, stanno proprio nell'apprezzare il dono fondamentale della vita (vv. 7-8). «In ogni tempo siano bianche le tue vesti» (9,8): questo non è un tempo neutro; al v. 11 è la sorte che coglie comunque l'uomo impreparato, al v. 12 è l'ora fatale, il tempo orribile che si abbatte sull'uomo all'improvviso. L'esortazione a portare sempre vesti bianche non è dunque solo una questione di eleganza, ma un atteggiamento interiore costante, un modo di accogliere la vita come un bene, almeno per il fatto che non è morte. Nell'ambito di questo atteggiamento esistenziale, ritroviamo il mondo degli affetti; in particolare la possibilità di godere la vita (una vita faticosa di cui non si riesce a capire il senso) è subordinata alla compagnia della donna amata (v. 9). L'amore è visto come l'unica eredità concessa all'uomo durante la vita e la fatica di vivere. Il parallelismo antitetico del v. 10 sottolinea la tensione tra la vita, ovvero quando c'è la forza per tare qualcosa, qualunque cosa sia, e la morte, ovvero la prospettiva dello ṣ’ᵉôl, l'oltretomba semitico, dove non c'è più nulla di ciò che fa sentire l'uomo vivo. Di qui l'imperativo di cogliere il presente vitale: ogni cosa lasciata è persa, e questo è tanto più vero se si riconosce che non è l'uomo a determinare il destino, ma tempo ed evento colpiscono tutti quanti (v. 11), e l'uomo, che non conosce il suo tempo, viene sorpreso e preso dal tempo che gli è fatale (v. 12). Poiché il passo 9,1-12 è costruito con una grande incusione (vv. 1-2/11-12: nell'una e nell'altra parte troviamo una serie di cinque elementi che, non avendo alcuna ragione logica particolare, costituisce un'anomalia significativa), un'attenzione particolare meritano l'introduzione e la conclusione. In 9,1 ci si poneva il problema di che cosa significasse l'affermazione che i giusti e i saggi e le loro opere sono nelle mani di Dio. Ora, la prima parte del passo (9,1-6) esasperava il contrasto vita/morte evidenziando che non c'è da aspettarsi una diversa retribuzione finale; la seconda parte esorta perciò a cogliere la positività del presente (9,7-10); 9,11 riprende la tensione vita/morte mostrando che non c'è logica retributiva neppure durante la vita. Ed ecco che nella conclusione (9,12) si afferma l'abbattersi inatteso e fatale della morte su ogni uomo. La risposta alla domanda di 9,1 è evidente: altro che stare nelle mani di Dio, protetti e premiati; gli uomini sono come pesci acchiappati nella rete fatale, come uccelli presi al laccio, senza speranza. Davanti alla morte si è tutti uguali, e ugualmente inermi; per questo bisogna vivere intensamente il presente.

vv. 9,13-10,4. L'introduzione del passo (9,13) segnala che il problema in esame è ancora una volta quello della sapienza, e più precisamente quello di una sapienza che fallisce. Il passo inizia con un aneddoto emblematico (9,14-15), la cui morale è che la saggezza da sola, se non è accompagnata da potenza di mezzi, non ottiene alcun riconoscimento. In corrispondenza con 9,14-15 si trova 10,2-4, così che si ha una cornice ad andamento concentrico. Come in 9,14 si vedeva un gran re prendersela con una piccola città, così in 10,4 compare un potente che si adira contro un uomo che, in virtù del parallelismo con la piccola città, è certo in posizione di debolezza e precarietà. Se in 9,15 si trovava un saggio la cui saggezza falliva, poiché egli era povero e perciò disprezzato, in 10,2-3 appare un saggio vittima delle maldicenze di uno stolto. Il riferimento a 8,1-8, laddove si trattava della saggezza cortigiana, indica che il vero problema è quello di 10,2-4, ovvero come uno deve comportarsi a corte quando le maldicenze dei nemici lo rendono inviso al potente (in 8,3 il cortigiano ipocrita consigliava la fuga, mentre qui il saggio consiglia di rimanere, con un atteggiamento mite). L'aneddoto della piccola città e del gran re funge da paradigma sapienziale di una realtà che, pur declinandosi in molti modi, resta la stessa: non c'è corrispondenza tra azione ed effetto, non c'è retribuzione delle scelte, e dunque la saggezza non garantisce il successo. Il passaggio dall'aneddoto alla situazione finale si fa attraverso i proverbi e le asserzioni di 9,16-10,1, un vero e proprio dialogo di Qoelet con la sapienza tradizionale, articolato su due affermazioni della forza e del valore della saggezza (9,16.18) e una conclusione contraddittoria in cui la saggezza ha la peggio davanti alla follia. Osserviamo che la parola ebraica che è resa con «sbaglio» (bôte', ripresa alla fine di 10,4), significa anche «colui che sbaglia», il peccatore, il traditore, il fallito; tale pregnanza di significato permette di passare dall'azione negativa alla persona negativa, lo stolto di 10,2-3.

(cf. PAOLO PAPONE, Qoelet – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Parla come pensi. Pirla come parla.


Il linguaggio modella il nostro pensiero e la realtà che ci circonda. La parola è creatrice.

Due concetti ovvi, semplici, ma che tocca ricordare in un tempo in cui qualcuno sta cercando di ridefinire un mondo che era già abbastanza iniquo e assurdo per molti di noi.

Lo spunto mi arriva dalle parole dette qualche tempo fa da uno dei più fulgidi rappresentanti, o almeno così è considerato dai suoi, dell'intellighenzia neo-fascista. E che ne definisce impietosamente la cifra.

Con le sue ubique ospitate televisive è quanto di meglio questa Destra è riuscita ad esprimere per imporre la sua egemonia culturale. Un personaggio che vent'anni fa era considerato una nullità dai suoi stessi compagni di partito e dal suo Segretario, che lo aveva collocato in una posizione dove non potesse nuocere. Ma con la Meloni viene riesumato e proposto come giornalista-intellettuale-opinionista-portavoce nonché “esperto di numeri” (giuro, si auto-definisce così).

L'antefatto: il provvedimento del presidente argentino Milei, che qualche mese fa con una legge dello Stato ha stabilito che riguardo alle persone con disabilità mentali e fisiche potranno essere usati termini come ritardato mentale, handicappato, mongoloide, idiota e imbecille nei documenti ufficiali e nei rapporti con le istituzioni pubbliche.

Ciò significa che tutte le famiglie argentine con figli o parenti disabili saranno costrette, ad esempio, a firmare i moduli ufficiali di richiesta di un sussidio, o di un qualsiasi altro tipo di sostegno, nei quali i loro figli o parenti sono chiamati con quegli appellativi.

In tempo zero, buttate nel cesso conquiste fondamentali in tema di disabilità come la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), pubblicato dall’American Psychiatric Association, oggi utilizzato in tutto il mondo.

Insomma, una mostruosità disumana, civile, giuridica e scientifica.

Visto l'andazzo non stupirebbe se i prossimi passi dell'amico sudamericano della Meloni saranno quelli di una vera e propria discriminazione, dell'emarginazione sociale, del rifiuto e magari dell'internamento. Un processo che se adottato in altre parti del mondo potrebbe rievocare lo spettro dell'eugenetica. Futuro distopico? A me sembra di esserci già dentro fino al collo.

Il commento del nostro piccolo individuo, in una nota trasmissione televisiva, fu più o meno questo (per estremo rigore non metto “”, ma in rete si trova “tutto il girato”): con il politically correct si è andati troppo oltre, se Milei ritiene che sia giusto usare quei termini dobbiamo rispettare la sua opinione e la decisione di uno Stato sovrano. E in fondo si tratta solo di parole, ognuno può usare quelle che preferisce. Io sono per la libertà di pensiero e di parola.

Sovranisti un tanto a parola e comunque sempre col culo degli altri.

Questo stanno facendo le destre e personaggi pericolossissimi come Trump, Putin, Milei, Bolsonaro, Orban, partiti come FdI, Vox, AfD e bassa grottesca manovalanza come il succitato novello filosofo: criticano, sbeffeggiano e denigrano il politically correct, l'uso politico delle parole da parte della cultura di sinistra egemone (ci credono solo loro), ma cercano con tutte le loro forze di rimodellare il nostro pensiero e il mondo che conosciamo con le loro parole e il loro linguaggio di intolleranza, razzismo, violenza e disumanità.

Serve una lotta dura e senza quartiere, serve risvegliarsi dal torpore e sollevarsi.

Now playing:“Mr. Crowley”Blizzard of Ozz – Ozzy Osbourne – 1980

R.I.P. Godfahter of Metal.


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Billy Bragg - Tooth & Nail (2013)


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Come già in parte è avvenuto con Mr. Love and Justice, anche in Tooth and Nai, Billy Bragg abbandona il suo “essere” cantautore militante politico e sociale in favore di un suono e quindi di un risultato molto più riflessivo e intimo. E' evidente che in questi cinque anni di silenzio ha maturato esperienze personali, uno sguardo, un vissuto e un riequilibrio interiore che probabilmente negli anni passati aveva lasciato in stand-by. Una sfera “bragghiana” mi si passi il termine, non nuova quindi ma sicuramente più profonda e matura. Lo si sente subito fin dai primi brani a cominciare dalla voce che, come non mai, raggiunge vertici di espressione notevoli... artesuono.blogspot.com/2014/10…


Ascolta: album.link/i/1173762551



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Billy Bragg - Tooth & Nail (2013)


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Come già in parte è avvenuto con Mr. Love and Justice, anche in Tooth and Nai, Billy Bragg abbandona il suo “essere” cantautore militante politico e sociale in favore di un suono e quindi di un risultato molto più riflessivo e intimo. E' evidente che in questi cinque anni di silenzio ha maturato esperienze personali, uno sguardo, un vissuto e un riequilibrio interiore che probabilmente negli anni passati aveva lasciato in stand-by. Una sfera “bragghiana” mi si passi il termine, non nuova quindi ma sicuramente più profonda e matura. Lo si sente subito fin dai primi brani a cominciare dalla voce che, come non mai, raggiunge vertici di espressione notevoli... artesuono.blogspot.com/2014/10…


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QOELET - Capitolo 8


L’uomo non può conoscere il senso delle cose, né la propria sorte1Chi è come il saggio? Chi conosce la spiegazione delle cose? La sapienza dell'uomo rischiara il suo volto, ne cambia la durezza del viso.2Osserva gli ordini del re, per il giuramento fatto a Dio. 3Non allontanarti in fretta da lui; non persistere in un cattivo progetto, perché egli può fare ciò che vuole. 4Infatti, la parola del re è sovrana; chi può dirgli: “Che cosa fai?”. 5Chi osserva il comando non va incontro ad alcun male; la mente del saggio conosce il tempo opportuno. 6Infatti, per ogni evento vi è un tempo opportuno, ma un male pesa gravemente sugli esseri umani. 7L'uomo infatti ignora che cosa accadrà; chi mai può indicargli come avverrà? 8Nessun uomo è padrone del suo soffio vitale tanto da trattenerlo, né alcuno ha potere sul giorno della morte. Non c'è scampo dalla lotta e neppure la malvagità può salvare colui che la compie.9Tutto questo ho visto riflettendo su ogni azione che si compie sotto il sole, quando un uomo domina sull'altro per rovinarlo. 10Frattanto ho visto malvagi condotti alla sepoltura; ritornando dal luogo santo, in città ci si dimentica del loro modo di agire. Anche questo è vanità. 11Poiché non si pronuncia una sentenza immediata contro una cattiva azione, per questo il cuore degli uomini è pieno di voglia di fare il male; 12infatti il peccatore, anche se commette il male cento volte, ha lunga vita. Tuttavia so che saranno felici coloro che temono Dio, appunto perché provano timore davanti a lui, 13e non sarà felice l'empio e non allungherà come un'ombra i suoi giorni, perché egli non teme di fronte a Dio. 14Sulla terra c'è un'altra vanità: vi sono giusti ai quali tocca la sorte meritata dai malvagi con le loro opere, e vi sono malvagi ai quali tocca la sorte meritata dai giusti con le loro opere. Io dico che anche questo è vanità.15Perciò faccio l'elogio dell'allegria, perché l'uomo non ha altra felicità sotto il sole che mangiare e bere e stare allegro. Sia questa la sua compagnia nelle sue fatiche, durante i giorni di vita che Dio gli concede sotto il sole.

Il fallimento della sapienza umana16Quando mi dedicai a conoscere la sapienza e a considerare le occupazioni per cui ci si affanna sulla terra – poiché l'uomo non conosce sonno né giorno né notte – 17ho visto che l'uomo non può scoprire tutta l'opera di Dio, tutto quello che si fa sotto il sole: per quanto l'uomo si affatichi a cercare, non scoprirà nulla. Anche se un sapiente dicesse di sapere, non potrà scoprire nulla.

_________________Note

8,16-17 La riflessione che qui inizia si conclude in 9,12 e ha come tema la limitatezza del sapere umano e la sua incapacità a penetrare i misteri che circondano l’uomo.

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Approfondimenti


vv. 1-8. Il v. 1 si configura come la domanda del maestro di saggezza, a cui risponde il discepolo nei vv. 2-5 con un'esposizione di che cos'è la sapienza nella vita di corte, ovvero astuzia, prudenza e ipocrisia. Nei vv. 6-8 ritorna Qoelet stesso e ritorce simmetricamente tutte le scaltrezze del perfetto cortigiano, mostrando come queste non valgano nell'esistenza umana, che è ben più seria e ben più tragica della vita di corte. Se si mettono a confronto le parti 1-5 (in particolare 3-5) e 6-8, si scopre che ogni elemento della prima parte viene ripreso nella seconda e ribaltato con tragica ironia.

  • 5/6-7a. Se il saggio cortigiano sa evitare i guai, poiché osserva il comando del re e conosce tempi e procedure, i tempi e le procedure della realtà umana sono in mano non all'uomo ma a Dio, così che la sciagura dell'uomo incombe su di lui, e nessuno sa che cosa accadrà.
  • 4b/7b. Come è indiscutibile l'ordine del re, così è inconoscibile il futuro: ma mentre nel primo caso è un problema di convenienza cortigiana, nel secondo si tratta di drammatica limitatezza esistenziale, e nessuno ci può far nulla.
  • 3d-4a/8abc. Il potere assoluto del re nel suo regno non è che una maschera tragicamente ridicola dell'impotenza totale dell'uomo sulla propria vita.
  • 3bc/8de. Ed ecco infine che il saggio consiglio iniziale di svignarsela quando tira aria cattiva si rivela di nessuna efficacia, anzi, irrealizzabile sul campo di battaglia dell'esistenza umana, dalla quale non c'è scampo per nessuno.

La conclusione non è esplicitata, ma è chiara: se il punto di partenza era una discussione intorno alla sapienza (v. 1), una sapienza che, nel contesto della vita di corte giungeva a identificarsi con la furbizia e l'ipocrisia, questa stessa sapienza sul piano esistenziale fallisce. Ancora una volta è l'inconcludenza umana che viene messa in evidenza.

vv. 9-15. In 8,9 riprende la forma espositiva tipica di Qo, con le pericopi segnate da verbi alla prima persona singolare e da ritornelli come «sotto il sole», «vanità», «vento». Lo stico 9c fa progredire il testo riassumendo le parole caratteristiche della pericope precedente: tempo, potere, uomo, male. In tal modo si passa dall'ipocrisia ossequiosa nei confronti di chi ha autorità, all'iniquità di chi ha autorità e ne approfitta per far del male. La struttura del v. 10 è concentrica. Partendo dal centro abbiamo il “camposanto”, riferimento locale dei due verbi di movimento che lo precedono e lo seguono, “se ne venivano” e “se ne andavano”; il fatto di “essere seppelliti” che ha per soggetto dei “malvagi”, è in relazione con un “dimenticare” che ha per oggetto il comportamento di costoro; a includere l'intero versetto sta la formula abituale in Qoelet: si apre con un annuncio di esperienza diretta e si chiude con una dichiarazione di assurdità.

Il v. 11 è abbastanza vago da poter indicare la latitanza della giustizia umana forense (che è perennemente corrotta) così come di quella divina (che non si manifesta, anzi, che concede al peccatore lunga vita, cfr. v. 12 e Gb 21,7.13).

Protagonisti dei vv. 12-13 sono coloro che hanno timor di Dio (12) e l'empio (13). Il “non andar bene” è identificato con il “non prolungare i propri giorni”; dunque ci si trova nella tensione polare tra vita e morte. Nello spiegare la teoria della retribuzione appare evidente una “petizione di principio” almeno nel primo caso («andrà bene a coloro che temono Dio, perché temono Dio»), e per estensione nel secondo. Il verbo che apre il v. 12 è nell'ebraico un participio, ed è probabile (se vale quanto si è detto per 7,26) che introduca un elemento da valutare.

Al v. 14 viene portata l'esperienza che smentisce il valore della teoria sulla retribuzione del timor di Dio. Questo contrasto tra teoria tradizionale ed esperienza pratica viene doppiamente qualificato di “assurdità”: hebel forma una perfetta inclusione di tutto il v. 14. Tuttavia attenzione: non è qualificato di assurdo il timor di Dio (che in molti altri luoghi è realmente raccomandato come unico atteggiamento possibile dell'uomo verso Dio), ma la relazione di causa-effetto che dovrebbe eventualmente instaurarsi tra il timor di Dio e una vita fortunata, quasi a dire che il timor di Dio è necessario, ma non garantisce affatto all'uomo di evitare la limitatezza e la difficoltà della condizione umana. A proposito di 8,14 il commentario biblico giudeo-spagnolo del XVIII secolo Me'am Lo'ez (cit. in Scherman – Zlotowitz, 160) afferma che Dio permette ai malvagi di prosperare per immergere l'umanità nella perplessità.

In 8,15 il parallelismo tra i membri che contengono l'espressione «sotto il sole» giunge ad affermare che, se un bene per l'uomo esiste, non può che essergli dato da Dio. Gli elementi interni del chiasmo chiariscono che cosa sia tale «bene per l'uomo»: mangiare, bere, stare allegro, e ne fanno un augurio: «possa questo (bene) fargli (all'uomo) compagnia nella sua fatica nei giorni della sua vita». Osserviamo che, se in 11-13 si postulava e poi si smentiva una connessione retributiva tra l'agire morale, che non può prescindere dal rapporto con Dio (timor di Dio o empietà), e la lunghezza della vita, qui si riafferma con vigore che i giorni della vita dipendono dal dono di Dio, ma non c'è più traccia di distinzione tra giusto e malvagio.

vv. 16-17. La parte è organizzata in modo concentrico; il primo pezzo comprende tutto il v. 16 e il primo membro del v. 17; è segnato dal triplice ritorno del verbo «vedere» (r'b), che esprime un'esperienza che fa seguito all'impegno di ricerca sapienziale. Il secondo pezzo vede la triplice negazione del verbo «capire», negazione che non si pone solo su un piano fattuale, ma che denuncia una limitatezza costituzionale dell'uomo, un'incapacità radicale di comprendere. Notiamo che la triplice negazione del risultato conoscitivo risponde alla triplice osservazione: la simbologia del numero tre evidenzia qui la totalità e assolutezza di quanto affermato e negato.

Lo sviluppo del c. 8.Va segnalata innanzitutto una grande inclusione che abbraccia tutto il capitolo: al v. 1 e al v. 17 ritornano il saggio e il verbo conoscere, ma vediamo in che senso. Al v. 1 si chiede: «chi è saggio? Chi sa l'interpretazione del detto...», e c'è qualcuno che risponde alla domanda e dà una spiegazione. Al v. 17 invece si afferma: «quand'anche dica il saggio di sapere, non può capire». Si nota allora che l'intero capitolo verte sul problema della conoscenza umana: parte da conoscenze apparenti, per poi mostrarne l'inadeguatezza e decretarne infine il fallimento. Vediamo i dettagli. Già abbiamo esposto come in 2-5 la sapienza sia identificata con la scaltrezza e l'ipocrisia del cortigiano, e come in 6-8 si metta in evidenza l'insufficienza della scaltrezza e dell'ipocrisia sul piano esistenziale. Il v. 8 si era concluso con la menzione dell'iniquità e la smentita della sua efficacia; i vv. 9-13 rifletteranno proprio sul problema della malvagità. Il problema della malvagità viene impostato sulla base di un fatto d'esperienza: vi sono dei malvagi che vengono seppelliti con tutti gli onori e subito ci si dimentica della loro malvagità; questa è una smentita implicita del principio della retribuzione, poiché né in punto di morte, né dopo, nel ricordo che resta, si vede una qualche punizione in atto. Di qui la riflessione che il cuore umano è sempre pronto ad agire male proprio perché manca una punizione. A questo punto Qoelet ripropone la dottrina tradizionale: si è sempre saputo che il timor di Dio dovrebbe garantire una vita lunga e felice, mentre l'empietà dovrebbe abbreviare e rendere infelice la vita. Tuttavia i principi vanno sottoposti alla prova dei fatti, che in questo caso li smentisce: l'esperienza mostra che c'è chi si comporta bene, e la vita gli va male, e c'è chi si comporta male, e la vita gli va bene. Tutto ciò è palesemente assurdo, e comunque innegabile. Chi esce indebolito dal confronto non è la realtà, non è l'immagine di Dio, ma è la capacità umana di capire la realtà. Prima, però, di sviluppare il fallimento dell'impresa sapienziale, Qoelet canta il suo inno alla gioia, che è pure un inno di fede: la realtà è complessa, l'uomo ci capisce poco, pur tuttavia la vita viene da Dio ed è buona, e l'uomo deve imparare a cogliere il bene che vi si trova. La conclusione (16-17) riprende in mano il problema della sapienza; il campo d'osservazione è tutta la realtà e l'attività umana frenetica: poiché dietro tutto si intravvede la mano di Dio, con il mistero che l'avvolge, il risultato è una confessione di incompetenza radicale: non c'è sapiente che possa dire di avere realmente capito.

(cf. PAOLO PAPONE, Qoelet – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Tamikrest - Chama (2013)


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Una foto in bianco e nero di un viso di una giovane donna tuareg circondato da uno scialle nero e due occhi chiari profondissimi da cui è impossibile staccarsi, uno sguardo che racchiude in sé dolore, nostalgia e fierezza. E’ questa la bellissima copertina dell’ultimo album dei maliani Tamikrest, “Chatma” che in lingua tamashek vuol dire sorelle e rispecchia lo spirito della musica della band del Mali. Il disco è dedicato alle donne tuareg «sono il simbolo della libertà e della speranza, la base di un cambiamento verso un mondo migliore. Spesso stanno nell’oblio, all’ombra di conflitti, questo album rende loro onore». Il bel libretto che correda il cd contiene le traduzioni dei testi sia in francese che in inglese, permettendoci così di avere un’ampia comprensione delle canzoni. Ormai giunti al terzo album e con una consolidata fama, grazie anche ad un’intensa attività live, i Tamikrest continuano il loro sodalizio con Chris Eckman (Walkabouts, Dirtmusic) ancora una volta nel ruolo di produttore, e realizzano il loro album migliore, nel quale trovano compiutezza espressiva le diverse influenze che caratterizzano il loro percorso musicale: la tradizione musicale tuareg, il blues, il rock, la psichedelia, il funk... distorsioni.net/canali/dischi/…


Ascolta: album.link/i/679781665



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Tamikrest - Chama (2013)


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Una foto in bianco e nero di un viso di una giovane donna tuareg circondato da uno scialle nero e due occhi chiari profondissimi da cui è impossibile staccarsi, uno sguardo che racchiude in sé dolore, nostalgia e fierezza. E’ questa la bellissima copertina dell’ultimo album dei maliani Tamikrest, “Chatma” che in lingua tamashek vuol dire sorelle e rispecchia lo spirito della musica della band del Mali. Il disco è dedicato alle donne tuareg «sono il simbolo della libertà e della speranza, la base di un cambiamento verso un mondo migliore. Spesso stanno nell’oblio, all’ombra di conflitti, questo album rende loro onore». Il bel libretto che correda il cd contiene le traduzioni dei testi sia in francese che in inglese, permettendoci così di avere un’ampia comprensione delle canzoni. Ormai giunti al terzo album e con una consolidata fama, grazie anche ad un’intensa attività live, i Tamikrest continuano il loro sodalizio con Chris Eckman (Walkabouts, Dirtmusic) ancora una volta nel ruolo di produttore, e realizzano il loro album migliore, nel quale trovano compiutezza espressiva le diverse influenze che caratterizzano il loro percorso musicale: la tradizione musicale tuareg, il blues, il rock, la psichedelia, il funk... distorsioni.net/canali/dischi/…


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