Confini tra Eritrea ed Etiopia – Storia dello Stato Regionale del Tigray
Borderless World vs Borders as Walls: approfondimenti da un gruppo di terra di confine nel nord dell’Etiopia
Autore: Alexandra Magnolia Dias
1. Il confine tra Eritrea ed Etiopia ha cambiato frequentemente stato dal XIX secolo fino all’indipendenza dell’Eritrea (Triulzi, 2006: 7). Con la creazione dell’Eritrea come colonia italiana e prima dell’incorporazione dell’Etiopia nell’Impero italiano dell’Africa orientale, il confine fu definito secondo i trattati coloniali. Tuttavia, il confine è aumentato e diminuito nel corso dei decenni della loro convivenza politica. In effetti, lo status del confine è passato da un semplice indicatore amministrativo interno a un confine coloniale, alla dissoluzione, a un confine interstatale durante la federazione decennale, è diventato di nuovo un confine interno, ha attraversato una fase di contesa no-man’s- terra durante la guerra civile e, infine, ha acquisito lo status di confine internazionale tra due stati sovrani. Prima dello scoppio delle ostilità nel maggio 1998 il confine non era mai stato delimitato o demarcato. A tutti gli effetti, i gruppi etnici a cavallo del confine hanno continuato la loro normale attività quotidiana indipendentemente dalla linea di confine. Per i gruppi di confine l’indipendenza dell’Eritrea era di secondaria importanza di fronte al generale senso di sicurezza generato dalla fine della guerra civile contro il Derg.
2 All’indomani della guerra interstatale del 1998-2000 tra Eritrea ed Etiopia, il confine poroso è stato trasformato in un muro che ha portato alla sua chiusura e all’ostacolo dei movimenti stabiliti di persone e merci attraverso il confine. I gruppi etnici a cavallo dei confini particolarmente colpiti sono stati quelli dell’Etiopia settentrionale provenienti dalle regioni del Tigray e dell’Afar.
3 Questo articolo attinge a una ricerca empirica originale all’interno di un gruppo diviso, i Saho sul lato etiope del confine, il gruppo etnico denominato Irob. L’articolo farà luce sulle strategie e sulle identità mutevoli che un gruppo di terra di confine ha creato per adattarsi alla chiusura di un confine precedentemente poroso.
4 La prima parte dell’articolo caratterizza il gruppo delle terre di confine e i luoghi che ricadono nel territorio tradizionale di Irob in relazione al processo di formazione dello stato in Etiopia ed Eritrea, la traiettoria dello stato e l’estensione delle sue istituzioni all’area rurale in esame: l’attuale Irob woreda. 1 La seconda parte valuta l’eredità dei conflitti armati: dalla guerra civile che oppose i movimenti insurrezionali a cavallo del confine tra Etiopia ed Eritrea al regime militare marxista noto come Derg e la guerra di confine interstatale del 1998-2000 tra Eritrea ed Etiopia. L’articolo mostrerà che i due conflitti armati hanno lasciato eredità diverse nell’area rurale e hanno avuto un impatto diverso sulla vita quotidiana degli attori sociali locali. Infine, sullo sfondo delle due parti precedenti, l’articolo analizzerà le strategie del gruppo borderland ei cambiamenti di identità dalla chiusura e militarizzazione del confine tra Eritrea ed Etiopia all’indomani della guerra del 1998-2000.
NOTA 1: Woreda è l’unità amministrativa che corrisponde a un distretto locale secondo il nuovo modello federale post-1991 in Etiopia. Le unità amministrative sono le seguenti in ordine decrescente: regione-zona-woreda-tabia-kushet.
La traiettoria dello stato e l’estensione delle istituzioni statali a un’area rurale: Irob woreda (distretto)
5 Il distretto locale attualmente noto come Irob woreda si trova nella regione del Tigray nella zona orientale e conta 31.000 abitanti, che rappresentano l’1,3% della popolazione dell’Etiopia. La definizione di un distretto locale con il nome del gruppo etnico maggioritario in quest’area, l’etnia indicata come Irob, corrisponde al progetto politico di costruzione dello stato che l’Etiopia People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF) ha introdotto nel post-1991 dopo il rovesciamento del Derg .
6 La capitale dello Stato regionale del Tigray della Repubblica Federale Democratica d’Etiopia è Mekele. La regione del Tigray è divisa in quattro zone amministrative e la capitale è la quinta zona. Le cinque zone, denominate Zoba, sono le seguenti: occidentale, orientale, settentrionale, meridionale e la capitale. Irob woreda si trova nella zona orientale. La capitale della zona orientale è Adigrat. Attualmente, l’Irob woreda ha sette tabia e ventotto kushet . Le tabias sono le seguenti: Alitena, Indalgueda, Agara Lakoma, Ará, Endamosa, Haraza Sabata e Weratle.La vecchia capitale del territorio tradizionale Irob, Alitena, è stata sostituita da Dawhan, una nuova capitale nelle vicinanze nel 1997. Ma non è sempre stato così. In effetti, il riconoscimento della terra di Irob all’interno della struttura amministrativa dello stato è stata una novità introdotta nel contesto del progetto di costruzione dello stato politico dell’EPRDF. Nel periodo imperiale (Haile Selassie) l’Etiopia era divisa in 14 province e il Tigray era una provincia a quel tempo. Il Tigray era diviso in otto unità amministrative chiamate awaraja . Le aree in cui si trova la tradizionale terra Irob erano sotto l’amministrazione dell’Agame awaraja con Adigrat come capitale. Nel periodo Derg, il Tigray era diviso in 11 awaraja. A causa dell’intensità dei movimenti ribelli in Eritrea, Tigray e Ogaden nel 1987, il Derg ha creato cinque regioni amministrative autonome: Eritrea, Tigray, Assab, Dire Daua e Ogaden (Bureau, 1988: 13-16). Durante questo periodo, a causa dell’aumento dei movimenti insurrezionali nel Tigray, la loro crescente ascesa e legittimità fu sottoposta a un’amministrazione tripartita: 1) le aree urbane lungo la limitata infrastruttura stradale che rimase sotto il controllo del Derg; 2) i villaggi ( tabias ) e le frazioni ( kushets ) che erano sotto il controllo del principale movimento ribelle, il Tigray People’s Liberation Front (TPLF), e 3) terra nullis(terra di nessuno) che comprendeva zone periferiche e remote di difficile accesso. Molte delle località dell’attuale Irob woreda rientravano nella categoria 2 o 3.
7 Il modello federale post-1991 segna una rottura significativa con i precedenti progetti politici di costruzione dello stato e ha avuto molteplici implicazioni per Irob, come mostrerà questa parte dell’articolo. La transizione post-1991 prevedeva l’attuazione di un modello federale su base etnica. Questo modello si basava sul principio di uguaglianza tra i diversi gruppi che compongono la struttura sociale dell’Etiopia. Lo scopo del modello era quello di riflettere il carattere multilinguistico, multietnico e multiconfessionale dello stato etiope. Per superare la spinta centrifuga esercitata dalla periferia sul centro, il modello federale si è basato sul principio della devoluzione dell’autonomia alle regioni e ai comuni all’insegna del decentramento.
8 Il modello federale su base etnica mirava a ricostruire lo stato in un modo che riflettesse la distribuzione delle varie nazionalità in Etiopia. L’articolo 39 della nuova Costituzione riconosceva anche il diritto di secessione alle nazioni, nazionalità e popoli dell’Etiopia. In questo contesto, il concetto di nazionalità nella Costituzione del 1994 prevedeva il riconoscimento del carattere multinazionale dello Stato. In pratica, la Costituzione riconosce ogni cittadino come etiope (identità nazionale) e come identificato con il gruppo etnico maggioritario nella sua regione, zona o distretto locale – woreda. In questo senso, le nazionalità dovrebbero essere interpretate come sottonazionalità, che sono sinonimi di gruppi etnici. Le diverse unità amministrative ei confini interni tra di esse sono stati ridefiniti e delimitati secondo la distribuzione dei diversi gruppi etnici in ciascuna regione e unità amministrativa locale. Tuttavia, nel caso dell’Etiopia la distribuzione etnica non è geograficamente o omogeneamente consolidata in ogni regione. La logica alla base dell’espansione dello Stato a partire dal 19secolo , in particolare con l’imperatore Menelik II, fu quello di subordinare i focolai di opposizione allo stato centrale attraverso l’espansione e l’incorporazione di gruppi periferici. Questa logica è stata riprodotta e consolidata dai regimi successivi. Aggiungendosi a questa logica di espansione, i processi migratori volontari e forzati durante i regimi imperiali, l’occupazione italiana (1936-1941) e il regime militare marxista hanno portato alla dispersione geografica di vari gruppi etnici (Donham e James, 1986; James, et al , 2002; Turtone, 2006). Infine, i precedenti progetti politici di costruzione dello stato erano inquadrati attorno al principio di subordinare tutte le altre fonti di identità all’identità nazionale e l’amarico aveva la precedenza su tutte le altre lingue come lingua franca dello stato etiope.
9 Gli Irob e il loro territorio tradizionale sono rimasti alla periferia dello stato fino a tempi molto recenti, come mostrerà la prossima sezione dell’articolo. Il rapporto tra le traiettorie statali dell’Etiopia e dell’Eritrea e il posizionamento di questo gruppo etnico rispetto al confine tra Etiopia ed Eritrea sono fondamentali per comprendere il processo di estensione delle istituzioni e dei rappresentanti dello Stato a questa zona rurale di confine. Ma prima la sezione successiva introdurrà il mito delle origini degli Irob, le loro fonti di identificazione e il sottogruppo Bukenayto. Questo clan è di particolare importanza in quanto l’autore ha raccolto la maggior parte dei dati per il presente articolo attraverso l’osservazione dei partecipanti, interviste di gruppo e semi-strutturate tra gli Irob Bukenayto durante il lavoro sul campo nel novembre 2010, come menzionato nella sezione introduttiva.
Mito(i) di origine e fonti di identità di Irob
10 Nel XIX secolo , una famiglia Irob, i Soubagadi, svolse un ruolo fondamentale nella riconfigurazione del potere del Tigray e nella storia regionale delle rivalità politiche. Dedjatch Soubagadis (1816-1830) riuscì a guadagnare ascendente su altri potenziali candidati grazie alle sue abilità di guerriero e all’astuzia politica. Per gli Irob, in quanto gruppo minoritario nel Tigray, questo ha segnato un momento di ascesa politica in una regione dominata dal gruppo etnico maggioritario, i Tigray.
11 Le fonti e le narrazioni orali contemporanee differiscono in termini di origini dell’Irob. Gli Irob non si identificano con gli altri sette clan Saho che si sono convertiti all’Islam. Una riga difende che sono i discendenti dei greci che arrivarono all’attuale porto eritreo di Adulis, da qui il loro nome Irob che nella pronuncia locale suona come “Europa”. Un altro filone della tradizione orale li lega alla parola Roma. L’ultima collega Irob alla parola in saho che significa “ritorno alle origini”. Forse non è un caso che il mito delle origini colleghi Irob all’Europa, in quanto uno dei suoi lignaggi (Irob Bukenayto) si convertì al cattolicesimo dopo la fondazione di una missione lazzarista da parte di preti francesi nella tradizionale capitale della loro patria, Alitena, intorno al 1846. Gli altri due lignaggi, Irob Adgade e Irob Hasaballa, 2
NOTA 2: L’unica moschea di Irob woreda è stata costruita di recente nella nuova capitale, Dawhan. Le famiglie di Wuratle che si identificano con l’Islam e seguono la religione vivono pacificamente con quelle che si identificano con il cattolicesimo. Tuttavia, l’unico luogo pubblico di professione e culto religioso è una chiesa cattolica.
12 L’ascesa politica regionale di un rappresentante delle famiglie Irob, come accennato in precedenza, ha segnato l’affermazione dei membri di questo gruppo come attori sociali nello spazio politico del Tigray. Il padre di Soubagadis ebbe il merito di riunire i sostenitori delle tre famiglie Irob: Bukenayto, Hasaballa e Adgade (Coulbeaux, 1929: 381). La divisione in tre famiglie di questo sottogruppo dei Saho segue il principio della discendenza da uno dei tre fratelli e capi di questi clan.
13 In termini di organizzazione sociale e di unità di stirpe politica tradizionale le tre famiglie sono indicate come Are , che letteralmente significa casa o luogo di residenza secondo la tradizione di discendenza da una delle autorità tradizionali delle tre casate. Il leader di ogni clan è indicato come Ona ed è eletto a vita. Un consiglio di cinque anziani o di altri membri di riconosciuto prestigio all’interno del gruppo è responsabile della decisione finale. Questa posizione di Ona è rimasta prevalentemente all’interno di alcune famiglie e/o sottoclan in una linea di continuità. L’assemblea dei rappresentanti e altri importanti incontri e cerimonie si sono tradizionalmente tenuti nell’antica capitale di Irob, Alitena, 3in un luogo chiamato Dalubeta. A Weratle, un altro luogo nel territorio tradizionale di Irob, il tradizionale luogo di riunione si trova vicino alla clinica sotto un albero secolare ed è noto come Indharta Daga.
NOTA 3: Si veda la mappa 2 per identificare la posizione geografica di Alitena in relazione alla nuova capitale woreda, Dawhan, alla capitale della zona orientale, Adigrat, e alla città eritrea di Senafe.
14 In termini di organizzazione socio-economica, a differenza di altri sottogruppi Saho che tendono a rimanere nomadi e dediti ad attività pastorali transumanti, gli Irob sono sedentari e si dedicano all’agricoltura e all’allevamento del bestiame.
15 La loro lingua saho è una lingua cuscitica, come nel caso del somalo, dell’oromifa, dell’afar e di altre lingue del Corno d’Africa (Lewis, 1998: 176). In effetti, la loro lingua è molto vicina all’afar. Tuttavia, mentre Afar segue la scrittura latina, Saho segue la scrittura Ge’ez.
16 Più di recente, soprattutto dopo il riconoscimento internazionale dell’Eritrea come stato sovrano (formalmente nel 1993) è emersa un’interessante distinzione secondo un informatore locale: “In Eritrea, Saho si riferisce al popolo e alla lingua. In Etiopia, Saho significa lingua, non popolo”. 4
NOTA 4: Intervista con l’autore, Irob woreda, novembre 2010.
17 Per comprendere un’altra fonte di identità di questo gruppo e l’emergere e il consolidamento di una distinzione del Saho che è rimasto associato allo stato etiope, come l’Irob (Lewis, 1998: 176), la sezione successiva esaminerà lo stato divergente traiettorie degli stati etiope ed eritreo.
L’Irob in relazione alle traiettorie di Etiopia ed Eritrea e al confine
18 L’Etiopia, ad eccezione del periodo di occupazione italiana (1936-1941), non fu sotto il dominio coloniale, a differenza della maggior parte degli stati dell’Africa sub-sahariana. L’Eritrea, d’altra parte, ha intrapreso una traiettoria divergente di formazione dello stato con l’inizio del dominio coloniale italiano nel 1890.
19 L’Etiopia e l’Eritrea facevano entrambe parte dell’Impero abissino condividendo così una storia comune, tra gli altri tratti, 5fino a quando l’Italia non colonizzò l’Eritrea (1890-1941). Tuttavia, come afferma giustamente Jacquin-Berdal (citando Halliday e Molyneux, 1981) “né l’Eritrea né l’Etiopia nella loro attuale costituzione esistevano nel periodo precoloniale” (Halliday e Molyneux citati in Jacquin-Berdal, 2002: 85). Quando l’Etiopia sconfisse l’esercito italiano invasore nella storica battaglia di Adwa (1896) e l’Italia fu costretta ad accantonare il suo piano di espansione più a sud del fiume Mereb (il fiume tra Eritrea ed Etiopia) i due paesi seguirono traiettorie divergenti. Tuttavia, i gruppi a nord e a sud del Mereb, in particolare quelli con sede nella regione etiope del Tigray, hanno continuato ad attraversare il confine per sposarsi, visitare parenti, partecipare a matrimoni e funerali, adorare, cercare opportunità di lavoro diverse dall’agricoltura, commercio e ricerca di pascoli e acqua (Abbay, 1997). Insomma, la creazione della colonia italiana non ha impedito ai gruppi separati dal confine (che è rimasto poroso come in altre ex colonie africane) di continuare la loro vita quotidiana tra i loro parenti oltre confine. Ma il dominio coloniale italiano ha trasformato la società eritrea e ha contribuito alla creazione di un senso di differenza tra i gruppi all’interno dell’Eritrea rispetto al paese confinante meridionale.
NOTA 5: Sebbene le regioni costiere dell’Eritrea abbiano subito influenze esterne nel corso dei secoli, gli altopiani dell’Eritrea erano strettamente legati al Tigray dell’Etiopia. In effetti, i tigrini eritrei sono etnicamente legati ai tigrini etiopi. I leader del Fronte popolare di liberazione eritreo (EPLF) e del Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF) erano soliti ricoprire le cariche di capi di Stato. Il presidente Isaias Afewerki dell’Eritrea e il defunto primo ministro Meles Zenawi dell’Etiopia sono entrambi tigrini. Il tigrino eritreo e il tigrino etiope parlano la stessa lingua, il tigrino, e seguono la stessa religione, il cristianesimo ortodosso, tra le altre caratteristiche (Jacquin-Berdal, 2002: 82-83). L’EPLF e il TPLF sono indicati localmente rispettivamente come shabya e woyane .
20 Tra il 1936 e il 1941, quando l’Italia invase e occupò l’Etiopia, sebbene Addis Abeba fosse la capitale dell’Impero italiano dell’Africa orientale, l’Eritrea rimase il principale centro commerciale ed economico. Infatti, nel 1940, il 54,8 per cento delle imprese industriali dell’Impero italiano era localizzato in Eritrea, mentre il 30,6 per cento era localizzato nelle restanti province etiopi (Shewa, Harar, Amara e Oromo & Sidamo) e il restante 14,6 per cento era localizzato in Somalia colonia italiana. Per quanto riguarda le imprese commerciali, la preminenza economica dell’Eritrea all’interno dell’Impero italiano dell’Africa orientale era ancora una volta indiscutibile: il 56,2 per cento delle imprese si trovava in Eritrea, il 30 per cento nelle restanti province etiopi e il 13,8 per cento in Somalia.
21 In conseguenza delle opportunità disponibili nella colonia eritrea italiana, per la maggior parte del XX secolo i contadini della vicina Etiopia, principalmente del Tigray, sono emigrati anche a nord (in Eritrea e soprattutto nella capitale, Asmara) quando avevano bisogno di un reddito supplementare (Giovani, 1997: 72).
22 I gruppi di confine, come Tigrini, Kunama, Saho-Irob e Saho-Afar, come avvenne in altre zone di confine dell’Africa, furono artificialmente divisi dal confine introdotto con la creazione della colonia italiana dell’Eritrea.
23 In effetti, come hanno affermato diversi intervistati riflettendo interpretazioni e narrazioni locali: “L’Eritrea non esisteva. Era l’Etiopia”. 6
NOTA 6: Intervista con l’autore, Irob woreda, novembre 2010.
24 Con la sconfitta dell’Italia nella seconda guerra mondiale, la Gran Bretagna amministrò l’ex colonia italiana fino a quando non fu determinato il futuro dell’Eritrea (1941-1952). Il destino dell’Eritrea è stato fissato dalla Risoluzione 390 A (V) delle Nazioni Unite del 1952 che ne ha stabilito lo status di regione autonoma all’interno della Federazione con l’Etiopia (1952-1962). Tuttavia, il progressivo deterioramento degli assetti federali e la definitiva abrogazione della Federazione da parte dell’Etiopia hanno acceso il dissenso e contribuito all’emergere della lotta armata. L’Etiopia ha incorporato con la forza l’Eritrea come quattordicesimo governatorato o provincia.
25 La guerra per l’indipendenza dell’Eritrea è durata fino alla sconfitta del regime del Derg da parte delle forze combinate dell’EPLF e del TPLF nel 1991. L’indipendenza dell’Eritrea è stata formalmente riconosciuta nel 1993 all’indomani di un referendum che ha sancito i suoi 30 anni di lotta per l’autodeterminazione . In questa fase l’indipendenza dell’Eritrea non ha avuto conseguenze per la vita quotidiana dei gruppi di confine. In effetti, i gruppi di confine hanno continuato la loro attività quotidiana indipendentemente dal confine come avevano fatto in periodi diversi, come menzionato nella sezione introduttiva.
26 Come hanno affermato diversi Irob che vivono in aree rurali remote più vicine ai mercati in Eritrea che in Etiopia, “Tutte le persone andavano a Senafe, non in Etiopia. La nostra città prima della guerra era Senafe. Siamo agricoltori. Abbiamo inviato miele (baska), burro (subay), bue (aurr), mucche (saga), capre (lahe) e pecore al mercato di Senafe. A Senafe abbiamo comprato vestiti, scarpe, cibo e grano”. Tuttavia, questa situazione è cambiata radicalmente con lo scoppio delle ostilità tra Eritrea ed Etiopia nel 1998. All’indomani della guerra del 1998-2000 tra Eritrea ed Etiopia il confine poroso è stato trasformato in un muro che ha portato alla sua chiusura e all’ostacolo dei movimenti consolidati di persone e merci oltre confine.
27 La sezione successiva fornisce un’analisi dell’eredità della guerra civile e della guerra interstatale (1998-2000) per diversi Irob che vivono nell’area di confine.
L’eredità dei conflitti armati in una zona rurale di confine
28 Durante il periodo imperiale in Etiopia, il territorio tradizionale di Irob rimase alla periferia dello stato. La natura montuosa del paesaggio e la sua posizione topografica hanno contribuito al suo isolamento. Infatti, fino al 1969 (sempre durante il regime imperiale) Alitena, l’antica capitale di Irob, era inaccessibile su strada. In quest’anno sono stati fatti i primi sforzi per costruire una strada tra la città di confine di Zalambessa e Alitena. Ciò corrispondeva a una distanza di circa 35 chilometri oa 5-6 ore di viaggio a piedi. La maggior parte dei residenti di quest’area è abituata a svolgere e calcolare le proprie attività quotidiane in termini di distanze e ore di cammino, e questo è ancora il caso in altre località all’interno della woreda di Irob. La costruzione di una strada è stata seguita da un’iniziativa congiunta di un’organizzazione internazionale non governativa (ONG), Caritas-Svizzera, e una ONG locale, Action for the Development of Adigrat Diocese (ADDA) per costruire una diga vicino all’attuale capitale woreda, Dawhan. Il progetto per la costruzione della diga di Assabol è stato avviato negli anni ’70 all’indomani della carestia segnalata a livello internazionale durante la siccità del 1973-75. La siccità unita alla povertà, la situazione politica e la difficoltà di accesso a molte aree del Tigray hanno contribuito a questa carestia su larga scala. Durante il periodo Derg, con la crescente presenza di movimenti insurrezionali in quest’area, il progetto della diga di Assabol fu interrotto. La diga è stata aperta ufficialmente solo il 12 ottobre 2008 (O’Mahoney e Troxler, 2009). Le difficoltà di costruzione delle strade e di completamento di questo progetto confermano ulteriormente lo stato di periferia dell’area. Azione per lo Sviluppo della Diocesi di Adigrat (ADDA) per costruire una diga nei pressi dell’attuale capitale woreda, Dawhan. Il progetto per la costruzione della diga di Assabol è stato avviato negli anni ’70 all’indomani della carestia segnalata a livello internazionale durante la siccità del 1973-75. La siccità unita alla povertà, la situazione politica e la difficoltà di accesso a molte aree del Tigray hanno contribuito a questa carestia su larga scala. Durante il periodo Derg, con la crescente presenza di movimenti insurrezionali in quest’area, il progetto della diga di Assabol fu interrotto. La diga è stata aperta ufficialmente solo il 12 ottobre 2008 (O’Mahoney e Troxler, 2009). Le difficoltà di costruzione delle strade e di completamento di questo progetto confermano ulteriormente lo stato di periferia dell’area. Azione per lo Sviluppo della Diocesi di Adigrat (ADDA) per costruire una diga nei pressi dell’attuale capitale woreda, Dawhan. Il progetto per la costruzione della diga di Assabol è stato avviato negli anni ’70 all’indomani della carestia segnalata a livello internazionale durante la siccità del 1973-75. La siccità unita alla povertà, la situazione politica e la difficoltà di accesso a molte aree del Tigray hanno contribuito a questa carestia su larga scala. Durante il periodo Derg, con la crescente presenza di movimenti insurrezionali in quest’area, il progetto della diga di Assabol fu interrotto. La diga è stata aperta ufficialmente solo il 12 ottobre 2008 (O’Mahoney e Troxler, 2009). Le difficoltà di costruzione delle strade e di completamento di questo progetto confermano ulteriormente lo stato di periferia dell’area. Il progetto per la costruzione della diga di Assabol è stato avviato negli anni ’70 all’indomani della carestia segnalata a livello internazionale durante la siccità del 1973-75. La siccità unita alla povertà, la situazione politica e la difficoltà di accesso a molte aree del Tigray hanno contribuito a questa carestia su larga scala. Durante il periodo Derg, con la crescente presenza di movimenti insurrezionali in quest’area, il progetto della diga di Assabol fu interrotto. La diga è stata aperta ufficialmente solo il 12 ottobre 2008 (O’Mahoney e Troxler, 2009). Le difficoltà di costruzione delle strade e di completamento di questo progetto confermano ulteriormente lo stato di periferia dell’area. Il progetto per la costruzione della diga di Assabol è stato avviato negli anni ’70 all’indomani della carestia segnalata a livello internazionale durante la siccità del 1973-75. La siccità unita alla povertà, la situazione politica e la difficoltà di accesso a molte aree del Tigray hanno contribuito a questa carestia su larga scala. Durante il periodo Derg, con la crescente presenza di movimenti insurrezionali in quest’area, il progetto della diga di Assabol fu interrotto. La diga è stata aperta ufficialmente solo il 12 ottobre 2008 (O’Mahoney e Troxler, 2009). Le difficoltà di costruzione delle strade e di completamento di questo progetto confermano ulteriormente lo stato di periferia dell’area. con la crescente presenza di movimenti insorti in quest’area, il progetto della diga di Assabol è stato interrotto. La diga è stata aperta ufficialmente solo il 12 ottobre 2008 (O’Mahoney e Troxler, 2009). Le difficoltà di costruzione delle strade e di completamento di questo progetto confermano ulteriormente lo stato di periferia dell’area. con la crescente presenza di movimenti insorti in quest’area, il progetto della diga di Assabol è stato interrotto. La diga è stata aperta ufficialmente solo il 12 ottobre 2008 (O’Mahoney e Troxler, 2009). Le difficoltà di costruzione delle strade e di completamento di questo progetto confermano ulteriormente lo stato di periferia dell’area.
29 Il primo movimento insurrezionale emerso nel territorio tradizionale di Irob prendeva il nome da una delle sue montagne, Assimba. Il movimento è stato creato intorno al 1974 (1967 nel calendario etiope) 7e ha mobilitato il sostegno di un certo numero di gruppi etiopi. Il movimento ha anche mobilitato sostenitori tra gli Irob e il suo leader Tesfay Debressae si è identificato con gli Irob. Il movimento si è evoluto fino a diventare il Partito popolare etiope e la sua base era a Gamada, un’altra località remota ben nota nel territorio tradizionale di Irob. Anche il TPLF utilizzava il territorio tradizionale di Irob come base di retroguardia e i suoi combattenti erano basati in diverse località remote, vicino a Weratle, e su una montagna ben nota nel territorio tradizionale di Irob, Dambakoma. Tuttavia, durante il periodo della guerra civile, caratterizzato dall’opposizione armata dei movimenti ribelli contro il regime del Derg, a causa della sua posizione periferica in una remota area di confine, il territorio tradizionale di Irob non era il centro della scena o il teatro del conflitto armato. I movimenti insorti hanno approfittato della lontananza e della situazione periferica dell’area per riposarsi, riunirsi, fuggire, muoversi liberamente, organizzare e preparare le loro operazioni di combattimento contro il Derg. Questo contesto evidenzia ulteriormente l’isolamento del territorio tradizionale di Irob dalle istituzioni e dagli agenti statali.
8 Il dizionario ufficiale è stato finalmente pubblicato nel 2008 nell’ambito del progetto politico EPRDF (…)
NOTA 7: Il calendario etiopico differisce dal calendario gregoriano. Le differenze sono le seguenti. Il calendario etiope ha un totale di 12 mesi con 30 giorni e un 13 ° mese, denominato Pagume, che ha solo cinque o sei giorni, nel caso degli anni bisestili, ed è indietro di sette-otto anni rispetto al calendario gregoriano.
30 Il regime socialista militare del Derg lanciò il primo piano per insegnare la lingua saho nel contesto di una campagna nazionale che divenne nota come zemacha. La campagna nazionale di lavoro (zemacha) faceva parte della politica nazionale di promozione dell’alfabetizzazione del Derg. Prevedeva la distribuzione di studenti universitari in tutto il paese, e in particolare nelle aree rurali, in un programma volontario di un anno per contribuire alla “campagna contro l’analfabetismo generalizzato” e per promuovere l’insegnamento nelle lingue locali. Il primo manuale scritto per l’insegnamento del Saho, scritto in Ge’ez, risale a questo periodo. 8Ma durante il periodo del Derg la presenza di istituzioni o agenti statali era ridotta al minimo e le loro visite nell’area rimasero sporadiche. A tutti gli effetti questa zona di confine ha mantenuto il suo status di periferia rispetto allo stato.
NOTA 8: Il dizionario ufficiale è stato finalmente pubblicato nel 2008 nell’ambito del progetto politico EPRDF di promozione dell’apprendimento delle lingue locali. Nell’attuale sistema educativo, gli studenti di prima elementare imparano a Saho. Dopo il grado 1 fino al grado 8 imparano in tigrino e, tra le altre materie, imparano il saho. Dal grado 9 fino all’università tutte le materie sono insegnate in inglese.
31 Lo scoppio delle ostilità tra Eritrea ed Etiopia nel 1998 e lo scontro armato tra i combattenti dell’Eritrean Defence Force (EDF) e dell’Etiope National Defence Force (ENDF) hanno segnato una significativa rottura con i periodi precedenti. Da un giorno all’altro, il territorio tradizionale di Irob è diventato teatro di conflitti armati ed è stato sotto effettiva occupazione, e in alcune aree più vicine al confine, come Weratle, l’EDF è rimasto fino alla fine delle ostilità (2000).
Strategie e identità mutevoli di un gruppo di zone di confine in un contesto postbellico (2000-2011)
32 Le leadership dei due paesi hanno negoziato mentre combattevano. Quella che era iniziata come una piccola disputa di confine in una zona di confine, Badme, si è intensificata oltre ogni aspettativa portando a un bilancio stimato di 100.000 morti (Steves, 2003; Triulzi, 2002). Le analisi delle cause della guerra hanno portato a interpretazioni divergenti, alcune ponendo l’accento sulla dimensione politica e sullo scontro tra le leadership dei due paesi (Negash e Tronvoll, 2000; Abbink, 1998) e altre sostenendo che il territorio era il pomo centrale della discordia (Dias, 2008; Jacquin-Berdal e Plaut, 2005). In effetti, con l’indipendenza dell’Eritrea, l’Etiopia è diventata un paese senza sbocco sul mare. Il porto eritreo di Assab è rimasto centrale per tutte le importazioni e le esportazioni da e verso l’Etiopia.
33 Secondo i resoconti locali, quando iniziarono le ostilità, i residenti di Irob furono colti di sorpresa e molti presero le armi per ostacolare l’avanzata dell’EDF nel tradizionale territorio di Irob. Per la prima volta, il territorio tradizionale di Irob è stato teatro di un conflitto armato. Le trincee scavate nel terreno montuoso rimangono il segno fisico della guerra di confine durata 36 mesi. Al momento della prima offensiva eritrea l’EDF aveva il sopravvento. Infatti, il servizio militare continuo e obbligatorio in Eritrea ha fatto sì che il regime dell’EPLF/Fronte popolare per la democrazia e la giustizia (PFDJ) potesse contare su almeno 150.000 nuovi coscritti, addestrati, equipaggiati e pronti per il dispiegamento, mentre l’Etiopia aveva bisogno di reclutare e addestrare nuovi contingenti di truppe. 9L’ultima offensiva etiope del 12 maggio 2000 ha permesso all’EPRDF di ottenere una vittoria indiscutibile sul campo di battaglia.
34Durante le ostilità, i residenti di Irob woreda e altri gruppi nelle zone di confine hanno cercato rifugio, indipendentemente dal confine. Con l’escalation dell’intensità dei combattimenti, hanno iniziato a temere rappresaglie da parte dell’EDF e hanno cercato vie alternative per tornare in Etiopia (Dias, 2008; Abebe, 2004).
NOTA 9: Intervista, Addis Abeba, luglio 2005.
35 Poiché l’EDF è stato costretto a ritirarsi da diverse località all’interno del territorio eritreo in occasione della celebrazione del 7° anniversario dell’indipendenza dell’Eritrea (24 maggio 2000), il governo eritreo ha annunciato che le sue truppe si erano ritirate da tutte le aree di confine contese che erano state occupate dopo il 6 maggio incidente a Badme. L’accordo di cessate il fuoco è stato firmato il 18 giugno 2000. L’accordo di pace è stato finalmente firmato ad Algeri il 12 dicembre 2000.
36 Nell’accordo di pace di Algeri le parti hanno concordato la creazione di una missione delle Nazioni Unite per l’Eritrea e l’Etiopia (UNMEE) il cui mandato era quello di monitorare l’attuazione dell’accordo di pace e della zona di sicurezza temporanea (TSZ). La TSZ era una zona cuscinetto lungo il confine di 1.000 chilometri, con un margine di 25 chilometri che rimaneva per lo più all’interno del territorio eritreo. Le parti hanno inoltre convenuto di creare due commissioni indipendenti. La prima, la Eritrea – Ethiopia Border Commission (EEBC) aveva totale indipendenza e autonomia per decidere sulla delimitazione del confine sulla base dei trattati coloniali del 1900, 1902 e 1908. La Eritrea-Ethiopia Claims Commission doveva decidere sul risarcimento rivendicazioni da entrambe le parti.
37 Inizialmente, la linea di buona volontà, accettata incondizionatamente dall’Eritrea, ha lasciato a Irob la terra all’interno della TSZ. L’incapacità dell’Etiopia di fornire una mappa del confine con coordinate precise ha portato l’UNMEE a includere ampie fasce di territorio che erano state precedentemente amministrate dall’Etiopia all’interno della zona di sicurezza temporanea. Dopo essersi resa conto di questa inesattezza, l’Etiopia si è lamentata e ha esortato l’UNMEE a ridisegnare la linea, posizionandola più a nord. L’UNMEE è stata in seguito in grado di fornire una mappa operativa che includeva già la terra Irob all’interno della giurisdizione territoriale dell’Etiopia. Gli attori locali hanno contestato la decisione dell’EEBC di riconoscere la giurisdizione dell’Eritrea sui luoghi di Indalgueda che sono considerati territorio tradizionale Irob. In questo senso, il ruolo di un attore non statale transnazionale, i rappresentanti locali della Chiesa cattolica,
38 Questo ridisegno della linea secondo le successive coordinate dell’Etiopia ha indotto l’Eritrea a protestare e ad affermare che l’Etiopia non si era ritirata dal “territorio occupato”. Alla fine, questo malinteso ha sollevato i sospetti dell’Eritrea sull’imparzialità dell’UNMEE nei rapporti con entrambi gli stati. Infine, la TSZ è stata formalmente dichiarata a metà aprile 2001.
39 La commissione indipendente per i confini per decidere sulla delimitazione e demarcazione del confine (EEBC) è stata istituita sulla premessa che la decisione finale sulle aree di confine contese sarebbe stata definitiva e vincolante. L’EEBC ha finalmente annunciato la sua decisione il 13 aprile 2002. Dopo l’euforia iniziale e le affermazioni di una vittoria eccezionale da entrambe le parti, le ambiguità hanno contribuito a esacerbare il sospetto e l’animosità tra di loro. Il problema chiave era l’ambiguità con cui veniva affrontato il premio di Badme. L’EEBC ha menzionato Badme solo due volte ed entrambe le parti hanno manipolato questa ambiguità iniziale per affermare che la città era stata loro assegnata. Badme è stato il luogo in cui è avvenuto l’incidente che ha scatenato la crisi. Alla fine, la situazione controversa intorno a Badme ha prevalso sulle vaste aree in cui si sarebbe potuto raggiungere un accordo, che offrivano spazi promettenti per misure incrementali verso un riavvicinamento tra le parti. Questa resistenza iniziale ha portato entrambe le parti a presentare le proprie osservazioni e prove per contestare la decisione dell’aprile 2002 dell’EEBC. Dopo aver esaminato le cause presentate dalle parti, il 21 marzo 2003 la EEBC ha annunciato la decisione definitiva e vincolante di riconoscere la legittima sovranità dell’Eritrea su Badme sulla base del Trattato coloniale e, soprattutto, della linea giuridica che si era cristallizzata nel 1935, prima all’invasione italiana e all’occupazione forzata dell’Etiopia.
40 A causa dei problemi tra l’UNMEE e il governo eritreo, il personale civile e militare dell’UNMEE ha lasciato l’Eritrea nel gennaio 2008 e la risoluzione 1827 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 30 luglio 2008 ha formalmente estinto la missione. Di conseguenza, la zona di sicurezza temporanea ha cessato di esistere e, al momento in cui scrivo, l’EDF e l’ENDF continuano a mantenere soldati schierati lungo il confine internazionale. In alcuni luoghi i soldati sono letteralmente faccia a faccia.
41 Per l’Irob, l’occupazione dell’area da parte di EDF è stata risentita a causa della distruzione e del saccheggio di proprietà e della mancanza di rispetto per i luoghi di pratica religiosa, come le chiese. Un senso di sicurezza è stato recuperato quando le truppe eritree sono state finalmente cacciate dall’esercito etiope. Tuttavia, le comunità nel settore centrale risentono ancora della persistente militarizzazione del confine. La frontiera è stata trasformata in un’area di presidio e la continua presenza di soldati nella regione è stata una trasformazione operata dalla guerra con notevoli implicazioni sociali per il gruppo di frontiera in questo settore.
42 I movimenti di merci e persone sono formalmente ostacolati dalla chiusura della frontiera. Come ha affermato un intervistato locale, “Non andiamo in Eritrea perché ci sono i soldati. Sono pericolosi. Se andiamo lì siamo nemici”. Un altro ha aggiunto: “Se vado in Eritrea, vengo trattato come il nemico. Possono venire qui. Se andiamo là veniamo trattati come spie”. 10 La circolazione delle persone attraverso il confine non è stata completamente ridotta. Molti hanno preso la rischiosa opzione di attraversare il confine sotto la copertura della notte. Dal 2000 il numero di eritrei a cui è stato concesso lo status di rifugiato in Etiopia è in costante aumento. Ufficiosamente, le stime indicano un totale di 20.000 rifugiati eritrei in Etiopia.
NOTA 10: Intervista, Irob woreda, novembre 2010.
43 L’attività quotidiana dei cittadini Irob che vivono al confine è diventata più difficile in quanto devono affrontare da cinque a otto ore a piedi per andare al mercato di Adigrat, mentre prima della guerra ci volevano dai 30 minuti a un’ora per arrivare a il mercato eritreo di Senafe.
44 Inoltre, coloro che intraprendono il lungo viaggio della migrazione irregolare verso l’Arabia Saudita, Israele o l’Europa sono stati costretti a tentare itinerari molto più difficili e cadere preda di reti criminali organizzate intorno ai migranti irregolari. Mentre prima della chiusura del confine prendevano le barche dai piccoli porti eritrei vicino ad Adulis, oggi o intraprendono il pericoloso itinerario attraverso il Somaliland e il Puntland (Somalia) per raggiungere il porto di Bosasso, oppure attraversano il Sudan e tentano di raggiungere l’Europa o intraprendere il pericoloso viaggio attraverso il deserto del Sinai per raggiungere Israele.
45 Lo sviluppo della regione resta ostaggio della situazione “niente pace, niente guerra”. Sebbene la guerra di confine abbia contribuito all’estensione delle istituzioni e degli agenti dello stato alla terra di confine, la continua militarizzazione del confine e la sua chiusura ha portato al continuo isolamento di diverse località all’interno dell’Irob woreda vicino al confine.
46 All’inizio della guerra e nell’immediato dopo molti affermavano che loro e gli eritrei erano la stessa gente, ripetendo anche il loro stupore con affermazioni del tipo: “Come possiamo combattere i nostri fratelli? Siamo le stesse persone”. 11 La nozione degli eritrei come cittadini stranieri è ora più radicata e menzionata frequentemente. Il luogo in cui si trovano quasi 100 cittadini Irob rimane sconosciuto poiché sono stati portati con la forza in Eritrea quando l’EDF si è ritirato dal territorio tradizionale Irob. 12
NOTA 11: Intervista, Irob woreda luglio 2005.
NOTA 12: Intervista, Irob woreda novembre 2010.
Conclusione
47 Il processo di formazione dello Stato e di estensione delle istituzioni statali ad un’area periferica è stato accelerato e consolidato dal conflitto armato tra Eritrea ed Etiopia (1998-2000). Tuttavia, la mancata normalizzazione dei rapporti tra i partiti al potere ad Asmara (Eritrea) e Addis Abeba (Etiopia) compromette lo sviluppo della regione e le attività quotidiane del gruppo di confine.
48 Il gruppo borderland è ostaggio dello status contestato del confine internazionale e della mancata normalizzazione dei rapporti tra i due governi. Da confine poroso, la situazione postbellica lo ha trasformato in un muro invisibile.
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ALLEGATI: IllustrazioneMappa 1: regione del Tigray (capitale: Mekele), zona orientale (capitale: Adigrat) e distretto locale (Irob woreda, capitale: Dawhan).
Map 2: Areas of contested sovereignty according to the EEBC decision.
Autore
Alexandra Magnólia Dias
Centre for African Studies (CEA-IUL) ISCTE-IUL, Instituto Universitário de Lisboa
alexmagnolia.dias@gmail.com
FONTE: books.openedition.org/cei/222?…
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Dossier, risultati e una notazione sul Vertice Nato di Vilnius. Il bilancio di Alli
Il Vertice Nato di Vilnius non ha certamente deluso le aspettative. Anzitutto, ha ottenuto un risultato importante già prima del proprio inizio, con il via libera della Turchia alla adesione della Svezia. Erdogan è stato, come sempre, un abile negoziatore. Tuttavia mi permetto di dissentire rispetto ai molti che hanno sottolineato come la sua merce di scambio sia stata la fornitura degli F-16 da parte degli Stati Uniti. In realtà, questa decisione era già stata concordata da tempo con Biden, anche perché fa comodo agli stessi Usa e, in fondo, all’intera Alleanza Atlantica, memore dello sgarbo di qualche anno fa, quando Ankara acquistò i sistemi missilistici S-400 dalla Russia.
L’abilità di Erdogan, forse in modo concordato con lo stesso Biden, è stata quella di far coincidere l’annuncio dell’accordo con il vertice, in modo da avere una giustificazione in più per il suo ennesimo cambio di rotta. Un dato che mi sembra invece significativo è che Erdogan ha incassato l’impegno della Svezia a sostenere l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, discorso che apre interessanti prospettive.
Il dato di fatto politicamente rilevante è che l’entrata della Svezia nella Nato, dopo quella della Finlandia, aumenta ulteriormente la sovrapponibilità tra Alleanza Atlantica e Unione Europea. Oggi, con 23 paesi su 27 che appartengono a entrambe le organizzazioni, il 96,5% dei cittadini della Ue è protetto dalla Nato.
Il dossier più spinoso sul tavolo del vertice era sicuramente quello ucraino. Il presidente Zelensky avrebbe auspicato un invito esplicito e ha lamentato la mancanza di una tempistica precisa per l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Se ciò è comprensibile alla luce dei problemi di comunicazione che Kiev ha verso il proprio popolo, martoriato da una guerra assurda, lo stesso Zelensky sa benissimo quanto complessa sia la posizione della Nato, al punto che nella conferenza stampa finale ha attenuato i toni rispetto alle prime reazioni.
Il segretario generale Stoltenberg ha affermato che l’Ucraina non è mai stata così vicina all’Alleanza, e questo è certamente vero alla luce di almeno tre considerazioni.
- L’eliminazione del requisito del Map (Membership Action Plan), cioè dell’iter normale al quale un Paese aspirante deve sottoporsi, rappresenta un’accelerazione importante del percorso di adesione. E questo non è in contraddizione con l’affermazione che ancora non esistono tutte le condizioni per una entrata immediata, perché comunque quando gli alleati riterranno che tali condizioni siano soddisfatte, l’adesione sarà praticamente automatica. Se un’osservazione si deve da fare, è che l’affermazione esplicita di Stoltenberg circa il fatto che l’entrata dell’Ucraina nella Nato non potrà avvenire prima della fine della guerra, se pure formalmente corretta, costituirà per Putin una ragione in più per giustificare il protrarsi del conflitto.
- L’istituzione del Nato-Ukraine Council, che ha già tenuto il suo primo incontro con la presenza dei Capi di Stato e di Governo, rappresenta un segnale rilevante, in quanto crea un organismo di consultazione permanente sul modello di quello che fu il Nato-Russia Council che operò dal 2002 al 2022. La sua importanza sul piano politico è senz’altro superiore a quella della preesistente Nato-Ukraine Commission, attiva fin dal 1997.
- La decisione di arrivare alla completa interoperabilità tra le forze armate ucraine e quelle della Alleanza Atlantica costituisce, infine, un impegno che si tradurrà non solo in ulteriori attività di addestramento, ma anche nella continuità di forniture di apparecchiature e mezzi all’Ucraina da parte degli Alleati.
Queste importanti decisioni hanno visto una unità di intenti e una unanimità tra i Paesi membri che ha pochi precedenti nella storia della Nato, e questo è un dato fondamentale che attesta il rafforzamento dell’Alleanza.
È poi evidente come il livello di deterrenza raggiunto nei confronti della Russia dopo 500 giorni di guerra sia ormai a livelli molto alti. Resta il tema dei costi che ciò ha comportato e comporterà in futuro. Questo ha fatto affermare a qualche leader che l’impiego del 2% del Pil per le spese della difesa non possa più costituire un obiettivo finale, ma sia ora il punto di partenza per un maggiore impegno, anche alla luce delle mutate caratteristiche della sicurezza. È infatti evidente come la guerra in Ucraina non sia legata al solo spazio fisico, ma investa il dominio cibernetico, il controllo dello spazio extra atmosferico, l’uso di tutti gli strumenti della guerra ibrida, dalla disinformazione all’utilizzo dell’energia e delle leve economiche come armi di guerra, e così via.
In questo contesto, è ormai consapevolezza comune che la pace non possa che essere una pace giusta e che essa comporti necessariamente la vittoria sul campo dell’Ucraina. La completa ricostruzione del Paese non potrà avvenire se non in un contesto di libertà, giustizia e sicurezza, e questa sarà pienamente garantita solo con l’entrata nella Nato, unica soluzione che le possa fornire anche l’ombrello nucleare.
Da ultimo – ed è probabilmente l’aspetto più importante – mi è parso che sia chiaro a tutti gli Alleati che la guerra in corso sul fianco est sarà decisiva per il nuovo ordine mondiale che si costruirà dopo la fine del conflitto. Quello attuale, creato dopo la seconda guerra mondiale, è ormai messo in discussione dal crescere dei regimi autocratici che vorrebbero rimodellarlo a proprio uso e consumo. La difesa del popolo ucraino, del quale tutti hanno riconosciuto il quotidiano eroismo nell’affrontare una situazione drammatica e profondamente ingiusta, è la difesa di tutte le democrazie occidentali. E il fatto che la sicurezza sia globale è stato evidente nella presenza a Vilnius delle delegazioni di Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Un segnale di visione strategica soprattutto per la Cina, vero convitato di pietra al tavolo del Summit.
Una sola notazione critica: la sensazione che si sia molto – forse troppo – abbassata l’attenzione rispetto alle minacce provenienti dal fianco sud, di cui ha parlato solo il ministro Tajani nel suo intervento al Public Forum. Pur nell’emergenza assoluta costituita dalla guerra in Ucraina, non possiamo abbassare la guardia neanche sul fronte mediterraneo e medio orientale.
La consapevolezza che ci si trovi di fronte a una decisiva svolta della storia si è respirata a Vilnius in questi due giorni di summit, e ne costituisce forse il dato più rilevante. Al di là dell’affermazione, continuamente ripetuta, che dobbiamo difendere ogni centimetro del territorio dei nostri Paesi, sullo sfondo aleggia la drammatica sensazione che la vera posta in gioco sia la sopravvivenza stessa della democrazia nel mondo.
“AI+: Generative AI for Business. Una nuova intelligenza artificiale per il business”
Ecov(u)oto
Avete presente quando, specie di notte, parte l’allarme antifurto in un appartamento o in una vettura parcheggiata sotto casa? Più che a fermare i ladri, sempre che esistano e comunque non avendone i mezzi, si pensa che si dovrebbe fermare l’allarme. Temo che lo stesso effetto abbiano gli allarmi sul clima, tanto più che – se si pubblicano i dati che provano a dimostrare le morti in eccesso dovute al troppo caldo (61.672 in 35 Paesi europei fra il 30 maggio e il 4 settembre 2022, di cui 18.010 in Italia) – si allarma chi è già allarmato e si lasciano indifferenti gli altri, che non credono sia una realtà o non credono che sia dovuta all’attività umana e comunque non ci credono. Dai sondaggi risulta che un terzo sono gli allarmati e un terzo quelli che non ci credono, il rimanente terzo ammette di non averci capito nulla.
Siccome è evidente che il problema esiste e che se il termometro si sposta (più delle altre estati) verso il rosso non si tratta di una scelta politica, tanto il Parlamento europeo quanto i governi nazionali, riuniti nel Consiglio europeo, puntano a varare regole che limitino e progressivamente cancellino le emissioni che alterano il clima. Se la temperatura globale continuerà l’andamento degli ultimi decenni, sicuramente saranno dolori assai seri e progressivamente irreparabili. Ma, al tempo stesso, è un gioco politico da ragazzi cancellare dalla lavagna il problema climatico, semplicemente negando che esista o che ci si possa fare qualche cosa, lasciarci l’elenco delle misure prese e programmate e additarle come strumenti atti a impoverirci tutti. Il fatto che siano regole europee aiuta a lasciar credere che siano ‘esterne’. E quando sono regole nazionali si dice di averle subite o si fa fatica a difenderle.
Prima di risolvere la faccenda dando del “negazionista” fascisteggiante a chi assume questo atteggiamento, sarà bene comprendere la radice del successo che riscuote. Noi cittadini dell’Unione europea siamo il 6% della popolazione globale, produciamo il 7% delle emissioni che alterano il clima e generiamo il 25% della ricchezza annua globale. Siccome già diminuiamo come popolazione, visto che facciamo pochi figli – mentre, se cancellassimo quel 7%, resterebbe nell’atmosfera (e ne subiremmo le conseguenze) il 93% prodotto da altri – se ne deduce che è in atto un attacco al 25% della ricchezza globale prodotta. In altre parole: ce la portano via. E se si è concordi vuol dire che si è masochisti al servizio di interessi altrui. Se occulti è pure meglio, perché rende più suggestivo il racconto.
Francamente non credo che un uomo di 56 anni come il capo del governo olandese Mark Rutte – che ha guidato quattro governi nel corso di 13 anni, dimostrandosi immune agli attacchi scandalistici e politici – getti la spugna per la questione del ricongiungimento familiare degli immigrati. Problema mediabile e governabile. A spingerlo al ritiro è più probabile che sia la crescita impressionante del Movimento civico-contadino, che in nome degli interessi del contado e della sovranità olandese nega ogni vincolo ambientale relativo a coltivazioni e allevamenti. Il Movimento si avvia a essere il secondo partito olandese e il governo Rutte, nell’interesse dell’Olanda, aveva stretto quei vincoli. Roba simile succede in Svezia, in Finlandia e altrove, mentre le opposizioni (che nella loro radicalità sono prevalentemente di destra) cavalcano il rifiuto di ogni vincolo, come capita a Vox in Spagna, ad AfD in Germania e a Le Pen in Francia.
Se ne deduce che chi è di sinistra vuole salvare l’ambiente mentre chi è di destra no? Piace sostenerlo alla sinistra che non riesce a dire altro, ma è una bubbola. Intanto perché Rutte non è di sinistra, poi perché il confine non passa per via ideologica ma fattuale: chi governa non può non tenere conto della realtà, mentre chi non ha responsabilità raccoglie i voti facendo l’irresponsabile. Epperò le nostre sono democrazie, i voti non possono essere ignorati o considerati un fastidio. Quest’oggi il Parlamento europeo deve votare una direttiva ambientale e il Partito popolare europeo – che di sicuro non è di sinistra e che ne ha condiviso l’elaborazione – si spacca perché i partiti nazionali componenti sentono l’avanzare di quelle opposizioni.
Ciò significa che si deve cambiare filastrocca. Non si deve fare penitenza oggi per avere un mondo migliore domani, giacché consumo oggi e domani si vedrà. Si deve far capire che le scelte del Green New Deal servono anche a far crescere industria europea ecocompatibile, ovvero a mantenere quella quota di ricchezza prodotta e a innovare. Altrimenti il 25% si rattrappisce, il 6% defunge lentamente e la difesa del 7% è la cosa più fessa che si possa immaginare. La discussione delle specifiche misure, dell’equilibrio e della tempistica è ordinaria amministrazione politica.
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Mortaio
C’è un comune interesse della maggioranza e dell’opposizione, un interesse che è poi quello della politica che abbia a cuore la salute delle istituzioni e la propria libertà: passare al lavoro del legislatore, discutere di testi redatti in articolati, evitare di correre appresso a questa o quella iniziativa delle Procure. Tanto si sa noiosamente a memoria come va a finire. Mentre quello che si fatica a comprendere è che ci si perde tutti.
Se il governo pensa di affrontare in questo modo le inchieste già aperte e quelle che si apriranno – su componenti dell’esecutivo o della maggioranza – ha già perso prima di cominciare. Fra le cose perse c’è anche il senso dei limiti e del ridicolo, che soltanto tale smarrimento può giustificare il paragone con Enzo Tortora (che non solo fu arrestato e lungamente detenuto, ma si dimise da parlamentare europeo per affrontare il processo senza alcuna immunità e contestò la scelta di Toni Negri, eletto deputato, di sottrarsi alla giustizia). Che i parenti o gli amici o i colleghi considerino Tizio o Caio innocenti è del tutto irrilevante oltre che fastidioso; quel che conta è che tutti si è innocenti fino a sentenza definitiva che attesti il contrario.
Se l’opposizione pensa di guadagnare un vantaggio dalle indagini aperte su questo o quell’esponente del fronte avverso, ha già perso la partita politica prima di cominciarla. Perché, eventualmente, a vincere sarà un potere esterno e inquietante, che non è affatto quello della “giustizia” bensì quello dell’“accusa”. Prendere il posto dell’avversario demolito per via giudiziaria serve solo ed esclusivamente a ereditarne la sorte di demolito per via giudiziaria.
Che i primi aizzino l’opinione pubblica denunciando il complotto, affermando che non appena si parla di riforma della giustizia ecco che partono le inchieste, è senza senso. Perché sono trent’anni che va avanti così. Altro che sospette coincidenze. Che i secondi aizzino il pubblico invocando la moralità e la giustizia, incapaci di distinguere fra indagine e sentenza, pretendendo conseguenze dalla prima è sconclusionato. Non ci crede più nessuno. Entrambi si rivolgono alle proprie tifoserie, mentre dilaga la sfiducia su quale che sia cosa ed esito costruttivo.
Ed ecco il comune interesse: avviino subito la discussione parlamentare sulle riforme. Alla maggioranza sarà utile per dimostrare che non lasciarsi intimidire non significa rispondere agli avvisi di garanzia con insulti e minacce, ma affrontando il problema di milioni di cittadini la cui vita è rimasta incagliata fra le ruote dentate della malagiustizia. Alle opposizioni sarà possibile non soltanto interloquire fattivamente sulle proposte presentate, ma segnalare quelle mai presentate, perché i mesi passano e il solo testo di cui si dispone è un mozzicone di quel che Carlo Nordio espose come programma al Parlamento. Ci guadagnerebbero entrambi, se solo avessero come orizzonte la sorte collettiva e non unicamente quella dei propri voti e della propria salvezza.
Sarebbe infinitamente più civile il Paese in cui amici e avversari suggerissero agli eventualmente accusati di difendersi nella sola sede propria, ovvero le Aule di giustizia, rinunciando alla sfiancante commedia delle vittime e dei malfattori. Sarebbe un Paese in cui restano, ed è bene che restino, visioni diverse del bene comune e anche della giustizia, ma si condividerebbe il minimo indispensabile, ovvero la convinzione che essere denunciati non significa essere criminali, giacché si potrebbe essere calunniati, ed essere indagati non significa essere colpevoli, perché i prosciolti e gli assolti sono una marea di cittadini.
Se qualcuno pensa di usare le inchieste come mortaio, nel senso di arma, non ha capito niente di trenta e più anni di storia italiana. Ma il guaio è che rischia di finire con l’essere un mortaio da cucina, in cui si pesta inutilmente l’acqua. Che siccome è sporca finisce con il sozzare tutti quelli che si distinguono in questa deprecabile disciplina.
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In Cina e in Asia – Le big tech cinesi elogiate dal governo di Pechino
I titoli di oggi: Le big tech cinesi elogiate dal governo di Pechino Gli hacker cinesi hanno usato Microsoft per colpire il governo americano Ambasciatore cinese visita il Pentagono Putin atteso a Pechino a ottobre Le Filippine celebrano con un sito web la sentenza dell’Aja contro la Cina Hong Kong pensa di vietare i prodotti ittici del Giappone Il ministro ...
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Summit Nato, il documento finale dice Cina 15 volte
Lo spazio riservato a Pechino è senza precedenti. «Opera dannose disinformazioni», «sovverte l’ordine internazionale», «è partner di Mosca». La Repubblica popolare reagisce a livello politico e operativo, con una prova di forza aerea sullo Stretto di Taiwan. E la Corea del nord lancia un nuovo missile intercontinentale
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La Nato di domani oltre Vilnius. Meloni punta tutto su Mediterraneo
Fianco orientale e Mediterraneo: sono questi i due “coni di interesse” che Giorgia Meloni da Vilnius attribuisce alla Nato di domani. Il ragionamento di fondo, in un mondo sempre più incerto, è che questo vertice è riuscito a ribadire una delle certezze che abbiamo avuto in questo tempo: “l’unità dell’Alleanza atlantica e la determinazione a difendere i valori e le regole del diritto internazionale senza le quali nessuno di noi sarebbe al sicuro”. Ma per difendere le regole del diritto internazionale e i suoi cittadini, la Nato deve guardare anche oltre l’emergenza orientale. Ovvero al fronte sud dell’Europa.
Ruolo e proiezioni
Quando spiega che l’Italia sostiene gli adattamenti in corso della Nato come confermato dagli importanti contributi nel fianco orientale e nel Mediterraneo, Giorgia Meloni mette l’accento su un passaggio nevralgico: la rivendicazione da parte italiana del ruolo all’interno dell’Alleanza dopo le “incertezze” pro Cina dei governi Conte e il voler assumere decisioni all’altezza in tema di deterrenza e difesa in un momento eccezionale come l’attuale.
E qui si inserisce l’elemento legato all’impegno sul 2% di Pil per la difesa, che secondo il premier deve tenere conto della progressione, della sostenibilità e della responsabilità e della partecipazione al funzionamento dell’Alleanza che ogni alleato assume. “Lo dico da premier di una nazione che con quasi 3 mila uomini è il principale contributore in termini di presenza nelle missioni di pace”.
La considerazione italiana è che occorre fare il meglio per rafforzare autonomia, indipendenza e capacità di difesa. Senza garanzie di sicurezza per l’Ucraina sarebbe molto difficile arrivare alla pace, ha poi osservato, perché lo considera “un tema propedeutico a favorire il processo pace e come Italia abbiamo lavorato a sostenere queste garanzie”.
Migranti e primi risultati
Non solo, quindi, Meloni rivendica il proprio status nella Nato, ma utilizza lo sforzo comune fatto di politiche dedicate, strumenti a supporto e costruzioni di modelli (come quello per la Tunisia), per certificare un passo in avanti alla voce migranti: “Abbiamo un domino di conseguenze che partono dall’Afghanistan e arrivano nel Sahel e nel Corno d’Africa. L’approccio deve essere diverso, ed è il motivo per cui agli occhi di molti italiani non siamo risolutivi. Ma io preferisco metterci di più ma trovare soluzioni strutturali piuttosto che fingere di trovare iniziative spot. È quello a cui sto dedicando maggiore attenzione. Si cominciano a vedere i risultati”.
Il riferimento è allo stanziamento da parte della Commissione europea di un investimento che può arrivare a 15 miliardi sulla dimensione esterna, che corrisponde alla proposta avanzata da Palazzo Chigi.
Africa e Piano Mattei
Ma non è tutto, perché l’analisi del premier va oltre e si spinge nei meandri del continente africano e delle sue contraddizioni, su tutte l’influenza di attori esterni. Quando auspica che molti in Africa aprano gli occhi sulla Wagner scopre un nervo scoperto dell’Ue, che fino ad oggi è stata anticipata sul campo dalla Cina e dalla brigata di Prigozhin a quelle latitudini. Per cui il modo migliore per operare in questo senso è una presenza diversa e maggiore.
“Sono andata a rileggere Machiavelli: qualche secolo fa cercava di spiegare a chi governa una nazione che privarsi del controllo della sicurezza per affidarlo a soggetti esterni poteva essere molto pericoloso – ha aggiunto -. Oggi confido che molti possano aprire gli occhi dopo quello accaduto in Russia, con milizie che si rivoltano contro la propria capitale. A maggior ragione bisogna fare attenzione quando si trovano in terra straniera”. Questi mercenari, ha spiegato, sono “soggetti che possono non avere interessi alla stabilizzazione. L’interesse alla stabilizzazione lo abbiamo noi”. Tradotto in due parole: Libia e Piano Mattei.
Vilnius, conferenza stampa. Seguitemi in diretta. t.co/W5jr8fQnQn— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) July 12, 2023
Nato, un vertice di successo con l’impronta di Erdogan. Scrive D’Anna
Se non apparisse ironico si potrebbe dire che a Vilnius Zelensky è quasi Nato. Nei protocolli della diplomazia formale del vertice dell’Alleanza Atlantica, l’adesione dell’Ucraina viene classificata come ancora da decidersi, anche se in realtà é virtualmente stabilita ed in parte sostanzialmente operativa da 505 giorni, dal momento stesso della brutale invasione da parte della Russia di Putin.
Il gioco della parti sull’ingresso di Kiev nella Nato viene comunque utilizzato da Stati Uniti e Francia per considerare come una compensazione l’invio di missili a lunga gittata che consentiranno alle forze di liberazione ucraine di colpire le retrovie dell’armata d’invasione di Mosca.
In attesa dell’ok della Casa Bianca per il sofisticato sistema di missili tattici Atmcs, il presidente Macron ha già disposto la consegna degli Scalp, acronimo di Système de Croisière Autonome à Longue Portée, la versione francese dei missili inglesi Storm Shadow, che Londra sta già fornendo Kiev dal maggio scorso.
Il governo ucraino, a cominciare da Zelensky, ha realisticamente preso atto delle problematiche strategiche che impongono ai paesi Nato di non offrire alibi a Putin per scatenare una guerra mondiale. Intransigente sulla cooptazione immediata dell’Ucraina, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden è stato inveceaperturista sull’altra richiesta avanzata da Kiev: la concessione di garanzie di sicurezza anche prima dell’entrata nella Nato.
Biden ha dato un’indicazione precisa, paragonandola all’accordo per il sostegno militare che Washington ha con Israele: non quindi un’alleanza formalizzata in un trattato, ma un accordo di partenariato strategico volto ad accrescere la capacità dell’Ucraina di difendersi dalla Russia.
In primo piano, all’attivo del summit Nato lituano c’è la svolta del presidente turco Recep Erdogan che in pochi giorni ha letteralmente ribaltato la posizione che definiva testualmente di “amico fedele” di Putin.
In attesa di verificare se davvero ad agosto, come annunciato nelle settimane scorse, il Presidente russo si recherà in Turchia, l’Alleanza Atlantica sta analizzando gli effetti delle tre recentissime clamorose mosse anti Cremlino di Erdogan: ha ricevuto con grande enfasi Zelensky a Instambul col quale avrebbe parlato a porte chiuse del dopo conflitto; ha restituito all’Ucraina i comandanti del Battaglione Azov che hanno combattuto i russi asserragliandosi nell’acciaieria Azovstal di Mariupol e che erano stati consegnati da Mosca come ostaggi alla Turchia; e soprattutto dall’oggi al domani ha rimosso il veto che impediva l’ingresso nella Nato della Svezia, scoprendo così totalmente il fronte nord della Russia.
A Vilnius non trapela nei comunicati ufficiali, ma il non detto del vertice Nato confida nel fiuto di Erdogan che potrebbe aver captato segnali d’implosione del regime di Putin. Il bilancio oltremodo positivo di Vilnius comprende, oltre al notevole potenziamento apportato all’Alleanza dall’ ingresso della Svezia, che con la Finlandia completa lo schieramento nord europeo, l’approvazione di nuovi piani di difesa più capillari e completi dalla fine della Guerra Fredda, che tra l’altro prevedono una forza d’intervento rapido di 300.000 truppe comprendente lo schieramento di notevoli forze aero navali, e l’ extension della copertura asiatica della Nato a Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud.
Una extension per rafforzare la cooperazione di sicurezza tra la regione indo-pacifica e euro-atlantica, tenendo conto della Cina, sottolineata dalla significativa partecipazione al vertice di Vilnius del premier giapponese Fumio Kishida e del leader della Corea del Sud. Discorso diverso per Australia e Nuova Zelanda da sempre considerate gemellate alla Nato in quanto facenti parte dei Five Eyes, acronimo dell’alleanza di sorveglianza elettronica globale comprendente anche Canada, Regno Unito e Stati Uniti. In vista delle celebrazioni dell’anno prossimo del 75 esimo anniversario della fondazione della Nato, l’alleanza nella prospettiva del dopo Ucraina si appresta infatti a valutare l’evoluzione di una situazione strategica internazionale che vedrà in primo piano l’ulteriore contrapposizione con la Russa e con La Cina.
Se la Russia è la minaccia attuale, la Cina assume un rilievo di problematicità a più lungo termine. “La minaccia cinese è a lungo termine perché l’economia cinese è molto più forte, pervasiva e totalmente autonoma rispetto a quella russa” spiega Satoru Nagao, esperto di politiche di difesa e sicurezza del think tank statunitense Hudson Institute. E poiché la Russia fa affidamento sulla Cina nell’attuale situazione di guerra e l’influenza di Pechino su Vladimir Putin sta crescendo, la Nato intensificherà i rapporti con Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud e moltiplicherà i contatti con India e Indonesia.
Una Nato globale, allineata anche con i non allineati, ma con baricentro europeo.
Alla Presentazione del Rapporto nazionale “Le prove Invalsi 2023” il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara è intervenuto su diverse tematiche riguardanti il sistema scolastico.
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La NATO esce dal vertice di Vilnius più ricca, più aggressiva e più armata
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di Antonio Mazzeo –
Pagine Esteri, 12 luglio 2023. Se invece del summit Nato la capitale della Lituania Vilnius avesse ospitato un’Olimpiade, sul podio dei vincitori sicuramente sarebbero saliti il segretario generale dell’alleanza Jens Stoltenberg, il presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden e il premier-ras turco Recep Tayyip Erdogan. Il primo è stato premiato con l’ulteriore estensione temporale del suo mandato per aver allargato l’adesione de iure alla Nato di Finlandia e Svezia e de facto di mezzo mondo. Il secondo per aver imposto a tutti gli alleati la visione geostrategica di Washington e del Pentagono, riaffermando l’incontrastata supremazia militare-nucleare Usa e convertendo a bancomat l’Unione europea e le medie potenze del vecchio continente per finanziare la folle corsa al riarmo globale. Il terzo per aver ottenuto il consenso unanime degli alleati per il piano di liquidazione della questione kurda a suon di raid e bombe in cambio di un sì all’ingresso dell’ex neutrale Svezia nella Nato. Grande sconfitto ai “giochi olimpici” di Vilnius 2023 il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: si attendeva di essere accolto subito e a braccia aperte da chi gli ha garantito armi e munizioni per decine e decine di miliardi di euro per le controffensive anti-Mosca, ma alla fine è stato congedato con un “ti vogliamo, ma ci rivediamo domani” assai malamente digerito. Assai deludenti le performance dei leader diplomatici e militari di Londra, Parigi, Berlino, Roma e Bruxelles, opache comparse in una competizione che ha sancito lo strapotere del complesso militare-industriale e nucleare transnazionale, grande sponsor e nume tutelare della Nato del terzo millennio. Un’alleanza che esce da Vilnius tutt’altro che monolitica ma ancora più aggressiva e armata, sempre più anti-russa e anti-cinese, e più pronta a intervenire rapidamente per imporre la pax americana in ogni angolo del pianeta.
“L’ingresso della Finlandia è un passo storico per la Nato e saremo ancora più grandi e più forti quando si concluderà l’iter di adesione della Svezia”, ha enfatizzato il segretario Jens Stoltenberg a conclusione del vertice in terra lituana. “Siamo davvero felici dell’impegno assunto dal presidente turco di presentare prima possibile all’assemblea parlamentare nazionale il protocollo di ratifica all’ingresso della Svezia nella Nato. La Turchia e la Svezia continueranno a cooperare nella lotta al terrorismo. Le autorità di Stoccolma hanno emendato la costituzione, cambiato le leggi e accresciuto in modo significativo la cooperazione anti-terrorismo contro il PKK, riprendendo l’esportazione di armi alla Turchia”. (1) Anche Washington ha operato in prima persona per ottenere l’ok di Erdogan alla Svezia 32^ stella della Nato: alla vigilia del summit di Vilnius il capo del Pentagono Lloyd Austin ha fatto sapere al leader turco di essere deciso ad autorizzare il trasferimento ad Ankara di 40 cacciabombardieri F-16, una commessa anelata da diversi anni dall’aeronautica militare turca. (2)
Ospiti d’onore in Lituania accanto ai leader di governo dei due nuovi paesi membri dell’alleanza anche i rappresentanti dell’Unione europea con cui la Nato condivide missioni strategiche e oneri finanziari per potenziare la produzione bellica e le reti infrastrutturali per la mobilità di uomini e mezzi militari; i ministri degli esteri di Georgia, Repubblica di Moldavia e Bosnia ed Herzegovina e quelli di Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud. Per la Nato la regione indo-pacifica ha assunto un ruolo fondamentale “per la sicurezza euro-atlantica e l’impegno a difesa dell’Ucraina” e nella “cooperazione nel settore della cyber-difesa, della lotta al terrorismo e della produzione di armi e nuove tecnologie”. Nel documento finale del vertice di Vilnius i paesi membri dell’Alleanza Atlantica rivendicano pure una più stretta partnership con alcune delle maggiori organizzazioni internazionali e regionali come l’Onu, l’Osce e l’Unione africana. “Noi rafforzeremo queste interazioni per promuovere i nostri interessi comuni e contribuire alla sicurezza globale”, promette la Nato. “Stiamo inoltre esplorando la possibilità di stabilire un ufficio di collegamento a Ginevra per un ulteriore rafforzamento dei nostri legami con le Nazioni Unite”.
Buona parte del comunicato finale del vertice in Lituania è dedicato al nemico numero uno dell’Alleanza militare, la Russia di Putin. “La Federazione Russa ha violato le norme e i principi che contribuiscono a un ordine di sicurezza europeo stabile e affidabile”, scrivono i paesi Nato. “La Federazione Russa rappresenta la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza dell’Alleanza e alla pace e alla stabilità nell’area euro-atlantica (…) La Russia è del tutto responsabile della sua illegale, ingiustificabile e non provocata guerra di aggressione contro l’Ucraina, che ha gravemente compromesso la sicurezza euro-atlantica e globale. Noi non riconosciamo né riconosceremo mai le illegali e illegittime annessioni russe, inclusa quella della Crimea. La distruzione della diga di Kakhovka è tra le più gravi e brutali conseguenze della guerra avviata dalla Russia”.
La Nato stigmatizza inoltre il piano di ammodernamento dell’arsenale nucleare e convenzionale di Mosca. “Noi condanniamo l’intenzione della Russia di volere installare armi nucleari e sistemi a capacità nucleare nel territorio della Bielorussia, un’ulteriore dimostrazione delle ripetute azioni di Mosca si minare la stabilità strategica e la sicurezza generale nell’area euro-atlantica”, aggiunge la Nato. “La Russia ha intensificato le sue azioni ibride contro gli alleati e i partner Nato, inclusi quelli a lei confinanti. Ciò include l’interferenza nei processi democratici, la coercizione politica ed economica, le estese campagne di disinformazione, le minacce informatiche dannose, le operazioni illegali e distruttive dei servizi d’intelligence russi”. E sarà ancora il conflitto in Ucraina il banco di prova dell’Alleanza per contrastare e indebolire il regime di Putin. “Il summit di Vilnius ha reso l’Ucraina più forte e ha rafforzato le capacità di deterrenza e difesa della Nato”, ha enfatizzato il segretario generale Stoltenberg. “Mi aspetto che i leader dell’Alleanza assicurino un pacchetto di aiuti e interventi che avvicinino ancora di più l’Ucraina alla Nato. Esso includerà un programma di assistenza pluriannuale per assicurare l’interoperabilità; il rafforzamento dei legami politici grazie a un nuovo Consiglio Nato-Ucraina; la riaffermazione che l’Ucraina diventerà un membro della Nato”. Impegni ritenuti del tutto generici e deludenti dal premier Zelenskyy, ma ribaditi integralmente nel documento finale del summit. “Il futuro dell’Ucraina è nella Nato”, afferma l’Allenza. “Noi ribadiamo l’impegno assunto al Summit 2008 di Bucarest e oggi riconosciamo che il sentiero tracciato dall’Ucraina per una piena integrazione euro-atlantica è andato oltre di quanto previsto dal Membership Action Plan. L’Ucraina è divenuta sempre più interoperativa e politicamente integrata con l’Alleanza e ha fatto progressi sostanziali nel suo piano di riforma”. Ciononostante, così come richiesto dall’amministrazione Biden, non è stata decisa nessuna data per formalizzare l’ingresso di Kiev nella Nato. Tuttavia non verranno fatte mancare all’Ucraina le armi e le munizioni per condurre il sanguinoso conflitto fratricida con la Russia. “La continua e urgente consegna di assistenza non letale all’Ucraina attraverso il Pacchetto di assistenza completo (Pac) rimane una priorità della Nato”, si aggiunge nel documento finale del vertice di Vilnius. “A partire dallo scorso vertice di Madrid gli Alleati e i partner hanno fornito più di 500 milioni di euro al Pac. Per supportare la deterrenza e la difesa dell’Ucraina a breve, medio e lungo termine, abbiamo deciso oggi di sviluppare ulteriormente il Pac con un programma pluriannuale di assistenza che aiuterà a ricostruire il settore di difesa e sicurezza del paese e a garantire la sua transizione fino alla piena interoperabilità con la Nato”.
Contro la Russia sarà rafforzata la presenza di reparti di pronto intervento delle forze armate dei paesi Nato nel cosiddetto fianco orientale (Polonia, Lettonia, Estonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Ungheria e Bulgaria), a cui si aggiungerà una forza di dispiegamento rapido di oltre 300.000 militari pronti ad essere trasferiti ai confini con Russia e Bielorussia in caso di allerta, insieme a una sostanziale “potenza di combattimento” aerea e navale. Al summit di Vilnius è stato deciso di accelerare il processo di elevazione degli esistenti otto battlegroup dispiegati nei paesi dell’Europa orientale a unità di dimensione di brigata “dove e quando richiesto”, con una maggiore dotazione di mezzi da guerra, equipaggiamenti e sistemi di comando e controllo preposizionati. “Con il nuovo NATO Force Model varato al Summit di Madrid, gli Alleati stanno predisponendo un più ampio pool di forze da combattimento, incluse le unità di alta prontezza operativa, rafforzando la nostra capacità di risposta militare e sfruttando l’esperienza regionale e la vicinanza geografica”, riporta il documento finale del Summit. “Noi stiamo stabilendo anche una nuova Forza di Reazione Alleata multinazionale e multi-dominio, che garantirà più opzioni nella risposta in tempi rapidissimi alle minacce e alle crisi in tutte le direzioni. Abbiamo raggiunto l’accordo di potenziare il sistema di comando e controllo della Nato per assicurare che esso sia sufficientemente agile, resiliente e dotato del personale in grado di eseguire i nostri piani d’intervento”.
Particolare e preoccupante enfasi al vertice di Vilnius è stata data alle capacità di deterrenza nucleare dell’Alleanza militare. “Noi forniremo individualmente e collettivamente uno spettro completo di forze, capacità, piani, risorse, assetti e infrastrutture necessari alla deterrenza e alla difesa, inclusi quelli per una guerra ad alta intensità contro i nostri peggiori competitori armati di testate nucleari”, aggiungono i paesi Nato. “In accordo, rafforzeremo l’addestramento e le esercitazioni che simulano una dimensione di crisi e conflitto convenzionale e, per gli Alleati interessati, nucleare, facilitando una maggiore coerenza tra componenti convenzionali e nucleari nella postura di deterrenza e difesa della Nato in tutti i domini e nell’intero spettro di conflitto”. Scopo fondamentale della capacità nucleare della Nato – si ribadisce a Vilnius – è quello di preservare la pace, prevenire la coercizione e scoraggiare l’aggressione. “Le armi nucleari sono uniche e fino a quando esse esisteranno la Nato resterà un’alleanza nucleare. Le circostanze in cui la Nato potrebbe usare armi nucleari sono estremamente remote. Ogni impiego di armi nucleari contro la Nato altererebbe fondamentalmente la natura di un conflitto. L’Alleanza ha le capacità e la determinazione di imporre costi a un avversario che sarebbero inaccettabili e che superebbero di gran lunga i benefici che egli spererebbe di poter ottenere”. E onde rendere ancora più credibili le minacce di risposta e ritorsione nucleare, il vertice Nato ha annunciato nuovi passi per rendere ancora più efficienti e distruttivi i propri arsenali atomici. “Continueremo a modernizzare la dotazione nucleare Nato e stiamo aggiornando la pianificazione per accrescere la flessibilità e l’adattabilità di tutte le forze nucleari dell’Alleanza, mentre continueremo ad esercitare un forte controllo politico in ogni tempo”, si riporta nel documento finale.
Elemento chiave delle strategie belliche della Nato continuerà ad essere il sistema di Difesa integrata aerea e missilistica (IAMD). “Lo IAMD Nato è una missione essenziale e permanente in tempo di pace, durante una crisi e in caso di conflitto”, riporta il documento finale del vertice in Lituania. “Esso incorpora tutte le misure che contribuiscono alla deterrenza di ogni minaccia aerea e missilistica o ad annullare o ridurre la loro efficienza. Questa missione è condotta con un approccio a 360 gradi ed è indirizzata su misura e in tutte le direzione strategiche contro le minacce predisposte dagli attori statali e non”.
La difesa missilistica è ritenuta del tutto complementare alla deterrenza nucleare. “Lo spirito e i principi politici della Nato Ballistic Missile Defence (BMD) rimane immutata dal Summit di Lisbona del 2010”, annotano i paesi partecipanti al vertice di Vilnius. “La BMD è puramente difensiva ed è finalizzata a contrastare le minacce dei missili balistici che provengono da fuori dell’area euro-atlantica. Gli Alleati continuano ad essere impegnati al completo sviluppo della Nato BMD per contribuire alla difesa collettiva dell’Alleanza ed assicurare la piena copertura e protezione all’intera popolazione, ai territori e alle forze dell’Europa contro la crescente minaccia rappresentata dalla proliferazione di missili balistici”. Alla Nato Ballistic Missile Defence continueranno ad operare le unità anti-missile delle forze armate Usa schierate in Romania, Turchia, Spagna e Polonia, ma gli Alleati si dichiarano pronti a completare l’installazione di “componenti addizionali” del sistema anti-missili balistici e dei relativi centri di comando e controllo “in quanto necessari a raggiungere la completa capacità operativa”.
Un occhio di Washington e degli alleati euro-atlantici anche verso il cosiddetto Fianco Sud della Nato, comprendente il Mediterraneo allargato, il nord Africa, le regioni del Sahel e il Medio oriente. “I confini meridionali della Nato sono interconnessi con la sua sicurezza e rappresentano una sfida demografica, economica e politica”, aggiunge il documento approvato a Vilnius. “Ciò è aggravato dall’impatto del cambiamento climatico, dalla fragilità delle istituzioni, dalle emergenze sanitarie e dall’insicurezza alimentare. Questa situazione assicura un terreno fertile per la proliferazione di gruppi armati non statali, comprese le organizzazioni terroristiche. A ciò si aggiunge la destabilizzazione e l’interferenza coercitiva dei competitori strategici. La Russia sta alimentando le tensioni e l’instabilità in queste regioni. L’instabilità pervasiva sfocia nella violenza contro i civili, inclusa la violenza sessuale legata ai conflitti, così come negli attacchi contro i beni culturali e i danneggiamenti ambientali. Ciò contribuisce ai trasferimenti forzati delle popolazioni e ad alimentare il traffico di esseri umani e la migrazione irregolare”. La Nato globale si dichiara dunque pronta ad assumere il ruolo di protagonista nella gestione delle crisi sociali, economiche, ambientali, climatiche che affliggono il pianeta e nel “contenimento” di fenomeni strutturali come le migrazioni da sud a nord. “In risposta alle implicazioni profonde di queste minacce e sfide all’interno e in prossimità dell’area euro-atlantica, oggi noi abbiamo incaricato il Consiglio Nord Atlantico in sessione permanente a lanciare una riflessione completa e profonda su di esse e sulle opportunità di relazione con altre nazioni partner, organizzazioni internazionali e altri rilevanti attori nella regione, i cui risultati saranno presentati al prossimo Summit Nato del 2024”.
Per soddisfare le smisurate ambizioni Nato di global player mondiale, al vertice di Vilnius si è condiviso l’impegno ad investire sempre maggiori risorse finanziarie in armi e strutture militari. Tutti i paesi membri dell’Alleanza sono stati richiamati a rispettare “le obbligazioni sancite dall’art. 3 del Trattato di Washington” destinando annualmente non meno del 2% del Prodotto interno lordo al settore difesa. “Noi lo facciamo riconoscendo che ciò è ancora più necessario e urgente per rispondere agli impegni dell’Alleanza incluso le richieste di maggiori apparecchiature di lunga durata e per contribuire ai nuovi piani di difesa e al modello di forza Nato, così come alle operazioni, alle missioni e alle attività dell’Alleanza”, si aggiunge nel documento finale. “Noi affermiamo che in molti casi, la spesa oltre il 2% del Pil sarà necessaria per rimediare alle deficienze esistenti e rispondere ai bisogni di tutti i domini che giungono da un ordine di sicurezza contestato”. (3)
Ancora dunque maggiori spese in armi e strumenti di morte e conseguenti tagli al welfare e alle spese sociali nonostante le cifre record attestate nell’ultimo biennio nei budget delle forze armate dei paesi Nato. Alla vigilia del summit di Vilnius, lo stesso segretario generale Jens Stoltenberg si è dichiarato più che soddisfatto per gli sforzi di bilancio sostenuti dall’Alleanza, con una crescita in termini reali dell’8.3% nell’ultimo anno da parte degli alleati europei e del Canada. “Questo è il maggior incremento delle ultime decadi ed è il nono anno consecutivo che aumentano le nostre spese militari”, ha dichiarato Stoltenberg. “In questo modo gli alleati europei e il Canada hanno investito più di 450 miliardi di dollari da quando abbiamo deciso di accrescere gli investimenti nel 2014”. (4)
A Vilnius la Nato si è impegnata a destinare non meno del 20% del budget difesa alla ricerca, sviluppo e acquisizione di nuovi sistemi d’arma. “Stiamo accelerando i nostri sforzi per assicurare che l’Alleanza mantenga il suo vantaggio tecnologico nelle tecnologie emergenti e dirompenti per conservare la nostra interoperabilità ed efficienza militare, includendo anche soluzioni dual-use”, si riporta alla fine del documento del Summit. “Stiamo lavorando insieme per adottare e integrare nuove tecnologie, cooperare con il settore privato, proteggere i nostri ecosistemi innovativi, i modelli standard, ecc..”. In quest’ambito si inserisce il Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (DIANA) lanciato lo scorso anno per promuovere network di ricerca e sviluppo tra centri accademici, start-up e grandi e piccole aziende. A DIANA è stata destinata una prima tranche di un miliardo di euro circa grazie al NATO Innovation Fund, il fondo di investimenti finanziari varato al vertice di Madrid da 23 paesi (Belgio, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno unito, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Spagna, Turchia, Ungheria). Il fondo finanzierà in particolare i settori ritenuti strategici e prioritari dalla Nato: sistemi aerospaziali, intelligenza artificiale, biotecnologie e bioingegneria, computer quantistici, cyber security, motori ipersonici, robotica e sistemi terrestri, navali, aerei e subacquei a pilotaggio remoto, industria navale e delle telecomunicazioni, energia, sistemi di propulsione, ecc.. (5) Nel board dei direttori del NATO Innovation Fund è stato chiamato, tra gli altri, l’ex ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani.
Alla realizzazione dei programmi di ricerca DIANA concorreranno nove acceleratori e 63 Centri test da insediare in Europa e in Nord America. Uno di questi acceleratori Nato sorgerà nella città di Torino, mentre ancora in Italia sono previsti due Centri Test, il primo al Centro di sperimentazione e supporto navale (Cssn) di La Spezia e il secondo a Capua (Caserta) presso il Centro italiano di ricerche aerospaziali (Cira), società partecipata dall’Agenzia Spaziale Italiana, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dalla Regione Campania.
Note:
- nato.int/cps/en/natohq/news_21…
- avionews.com/item/1252468-stat…
- nato.int/cps/en/natohq/officia…
- france24.com/en/europe/2023071…
- nato.int/cps/en/natohq/news_19…
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L'articolo La NATO esce dal vertice di Vilnius più ricca, più aggressiva e più armata proviene da Pagine Esteri.
GHAJAR. Vite sospese al confine tra Libano e Israele
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di Michele Giorgio –
(Articolo pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto)
Pagine Esteri, 12 luglio 2023. Una vita sospesa, senza sapere se Ghajar tornerà un giorno sotto il controllo di Damasco, come vorrebbero i suoi abitanti alawiti che si sentono siriani, se, almeno per metà, sarà parte in modo permanente del Libano o se invece, come sembra in questi giorni, resterà tutto sotto l’autorità di Israele. È questa la condizione di questo villaggio al confine tra il Libano e le alture siriane del Golan, attraversato dalla Linea Blu tracciata nel 2000 dall’Onu e abitato da duemila persone che Israele, alzando nei giorni scorsi una recinzione, ha voluto mettere sotto la sua sovranità (che l’Onu riconosce solo a metà). La vicenda è passata quasi inosservata perché i riflettori la settimana passata sono rimasti puntati sull’invasione israeliana del campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. Ed è emersa per lo scontro a fuoco lungo il confine – lancio di un razzo da parte di (pare) uomini di Hamas in Libano e reazione dell’artiglieria israeliana – avvenuto il 5 luglio. Una fiammata preceduta dalla mossa del movimento sciita Hezbollah di allestire due tende di osservazione nell’area delle colline di Kfar Shuba e delle fattorie di Shebaa occupate da Israele.
In sostanza gli israeliani hanno messo in discussione la demarcazione del confine terrestre fatta dall’Onu allo scopo di fare pressione su Hezbollah. Con i suoi avamposti «militari avanzati» nell’area delle fattorie di Shebaa, il movimento sciita libanese ha voluto riaffermare la sua resistenza armata e la legittimità del suo arsenale per la liberazione di quel fazzoletto di terra occupato da Israele rivendicato da Beirut sebbene sia considerato siriano dalla comunità internazionale. Il confine israelo-libanese da alcuni mesi vive una crescente tensione, in conseguenza della riconciliazione tra Iran e Arabia saudita, per decenni i principali giocatori sullo scacchiere politico interno libanese. La svolta ha complicato i piani di Tel Aviv di creare una coalizione araba a guida israeliana contro l’Iran. E ha dato agli alleati di Teheran nella regione, a cominciare da Hezbollah, maggior riconoscimento e legittimità di azione con riflessi immediati sul terreno. La leadership di Hezbollah intende unificare l’«asse della resistenza», dai Pasdaran (Guardie rivoluzionarie iraniane) alle fazioni armate palestinesi. Perciò, durante le recenti offensive militari israeliane in Cisgiordania e Gaza, si è detto pronta a sostenere la lotta armata palestinese. Ad aprile Hezbollah ha lanciato razzi verso il territorio israeliano e a giugno ha tenuto una esercitazione militare su vasta scala a Kfar Shuba. Quindi la scorsa settimana i combattenti sciiti hanno abbattuto un drone israeliano che aveva violato lo spazio aereo libanese.
Israele ha replicato inviando i suoi bulldozer oltre la recinzione tecnica e la Linea Blu a Houla e i suoi soldati hanno sparato proiettili di gomma e lanciato granate stordenti e lacrimogeni contro i civili libanesi che protestavano. Infine, è cominciata la battaglia della comunicazione. La stampa israeliana ha riferito che Hezbollah ha rimosso uno dei suoi avamposti militari a Kfar Shuba a seguito delle pressioni della comunità internazionale. L’Unifil, il contingente di interposizione dell’Onu sulla Linea Blu non è stato in grado di confermare. Il portavoce del movimento sciita ha negato: «Gli avamposti sono ancora dove dovrebbero essere e intendiamo persino aumentarne il numero in base alle esigenze della resistenza». Giovedì scorso Hezbollah ha esortato il governo e tutti i libanesi ad agire per impedire un insediamento israeliano permanente nella parte settentrionale di Ghajar. Gli abitanti del villaggio sono divisi. Quelli, nella zona nord, invocano la piena sovranità libanese e quelli, nella parte meridionale, che preferiscono restare almeno per ora con Israele, per ragioni di lavoro.
La disputa territoriale è iniziata nel 2000 quando Israele si è ritirato dal sud del Libano dopo 22 anni di occupazione, decidendo però di mantenere il controllo di una porzione del villaggio. Dopo 23 anni, la questione si è riaperta completamente e rischia di essere la scintilla di una nuova guerra tra Israele e Hezbollah. L’Unifil è presa tra due fuochi. Il suo mandato dovrà essere rinnovato dall’Onu ad agosto. Israele e Usa premono affinché i caschi blu svolgano un azione di contrasto di Hezbollah non prevista però dai compiti dei soldati delle Nazioni unite, in buona parte italiani.
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WaveMakers la serie che ha dato il via a un’ondata MeToo a Taiwan
WaveMakers, serie Netflix uscita nel 2023, racconta le vicissitudini dell'ufficio stampa di un partito politico taiwanese, impegnato nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali. Al centro della vicenda vi è la storia di una ragazza dell'ufficio stampa del partito, che accusa un collega di molestie sessuali. WaveMakers ha rafforzato il movimento #MeToo a Taiwan. Articolo realizzato in collaborazione con Gariwo - La Foresta dei Giusti
L'articolo WaveMakers la serie che ha dato il via a un’ondata MeToo a Taiwan proviene da China Files.
#38 / Geopolitica dei dati e coincidenze
Stati Uniti e Unione Europea hanno fatto pace
La notizia della settimana è che la Commissione Europea ha adottato una decisione di adeguatezza per il nuovo accordo internazionale per il trasferimento di dati verso gli Stati Uniti: lo EU-US Data Privacy Framework, che ha sostituito il Privacy Shield.
Dice la Commissione che ora le aziende europee potranno esportare dati verso gli Stati Uniti, come facevano fino al 2020, senza doversi preoccupare di adottare particolari misure di sicurezza per la salvaguardia dei nostri interessi.
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Il motivo di questo rinnovato amore dopo anni di guerra fredda sui dati — di cui anche chatGPT fu vittima recente — è che gli Stati Uniti avrebbero previsto delle misure di salvaguardia per i diritti dei cittadini europei, inclusa la limitazione dell’accesso ai nostri dati da parte dell’intelligence statunitense.
Eh sì, perché nel 2020 abbiamo deciso che esportare dati verso gli Stati Uniti era illegale proprio a causa di una sentenza della Corte di Giustizia Europea che dopo una causa lunga quasi 10 anni decise che le attività di sorveglianza di massa dell’intelligence statunitense erano troppo pervasive e penetranti per poter anche solo sperare di proteggere i diritti e interessi dei cittadini europei.
Abbiamo passato gli ultimi 3 anni a fare terrorismo psicologico alle aziende, con tanto di sanzioni del Garante Privacy, ma si scherzava: col nuovo pezzo di carta magico firmato da Biden e dalla Von der Leyen ora siamo tutti di nuovo al sicuro e i nostri dati potranno liberamente transitare verso i nostri padr… ehm — alleati: gli Stati Uniti.
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BRITcoin sarà uno strumento di controllo dell’immigrazione?
Britcoin, il nome con cui è conosciuto amichevolmente il progetto inglese di CBDC (Central Bank Digital Currency) — da non confondersi con Bitcoin — potrebbe essere collegato a un sistema di age check e nationality check automatizzati1.
In altre parole, questa nuova versione della Sterlina potrebbe essere programmabile in modo tale da bloccare l’acquisto di prodotti vietati ai minori di 18 anni o magari applicare condizioni di utilizzo diverse in base alla nazionalità. Magari potrebbero essere previsti limiti temporali per l’uso della CBDC nazionale da parte dei turisti o di tutti coloro che per qualche motivo si trovano in UK senza avere la cittadinanza.
La programmabilità è una caratteristica funzionale di molti progetti di CBDC, e la Bank of Englad non ha mai fatto mistero della volontà di approfondire proprio questo aspetto. I soldi del futuro potrebbero diventare un’importante arma geopolitica, ancora più di adesso.
Facebook era un progetto del Pentagono?
Noi ci fidiamo degli Stati Uniti perché sono nostri grandi amiconi, ma non dimentichiamo che hanno da sempre avuto il pallino della sorveglianza di massa.
Parliamo ad esempio di un peculiare progetto finanziato nel 2003 dalla US Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), che aveva lo scopo di creare una piattaforma pubblica per la raccolta massiva di dati personali utili ad allenare algoritmi di intelligenza artificiale.
Il progetto si chiamava “LifeLog” e l’idea era molto semplice: creare uno strumento — una sorta di diario elettronico — che permettesse alle persone di registrare digitalmente la loro vita: spostamenti, conversazioni, letture, relazioni, acquisti e molto altro.
"LifeLog will be able … to infer the user’s routines, habits and relationships with other people, organizations, places, and objects," the pamphlet explained, "and to exploit these patterns to ease its task."2
Inspiegabilmente DARPA chiuse però i rubinetti al progetto LifeLog poco meno di un anno dopo la sua nascita, precisamente a febbraio 2004…
Per una assoluta coincidenza, proprio in quegli stessi giorni veniva fondato Facebook.
Stasera webinar su privacy, sicurezza e hard-wallet
Se possiedi un Ledger o un altro hard wallet potrebbe interessarti il webinar di stasera organizzato da Etherevolution, in cui si parlerà di privacy, sicurezza e hard wallet.
Spiegheranno come evitare rischi, le caratteristiche ottimali, le vulnerabilità e l'importanza di agire responsabilmente ed evitare scorciatoie quando si tratta della sicurezza dei propri fondi.
Parteciperò anch’io, anche se solo come ospite.
Per chi volesse iscriversi: questo è il link.
Meme del giorno
Citazione del giorno
“In the West, we have been withdrawing from our tradition-, religion- and even nation-centred cultures, partly to decrease the danger of group conflict. But we are increasingly falling prey to the desperation of meaninglessness, and that is no improvement at all.”
Jordan B. Peterson
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Open Letter: Commissioner Reynders asked to correct unacceptable accusations against NGOs
Lettera aperta: Il Commissario Reynders chiede di correggere le accuse inaccettabili contro le ONG Il commissario europeo Reynders ha ripetutamente attaccato le "organizzazioni non profit" come la noyb, sostenendo che esse portano i casi davanti alla CGUE come "modello di business".
A proposito di Zeri, ricordiamo il grande Federico
Federico Zeri (Roma, 12 agosto 1921 – Mentana, 5 ottobre 1998) è stato uno storico dell'arte e critico d'arte italiano.
Ricordiamo chi ha inventato lo Zero
मुक्त ज्ञानकोश विकिपीडिया से
शून्य
Estela C de Tres Zapotes.jpg
ईपीआई-ओल्मेक स्क्रिप्ट।
शून्य (०) एक अंक है जो संख्याओं के निरूपण के लिये प्रयुक्त आजकी सभी स्थानीय मान पद्धतियों का अपरिहार्य प्रतीक है। इसके अलावा यह एक संख्या भी है। दोनों रूपों में गणित में इसकी अत्यन्त महत्वपूर्ण भूमिका है। पूर्णांकों तथा वास्तविक संख्याओं के लिये यह योग का तत्समक अवयव है।
ग्वालियर दुर्ग में स्थित एक छोटे से मन्दिर की दीवार पर शून्य (०) उकेरा गया है जो शून्य के लेखन का दूसरा सबसे पुराना ज्ञात उदाहरण है। यह शून्य आज से लगभग १५०० वर्ष पहले उकेरा गया था।[1]
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La Commissione europea assegna il terzo round ai trasferimenti di dati UE-USA alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea
Nuovo Trans-Atlantic Data Privacy Framework in gran parte una copia di "Privacy Shield". #noyb contesterà la decisione.
Il terzo tentativo della Commissione europea di ottenere un accordo stabile sui trasferimenti di dati UE-USA tornerà probabilmente alla Corte di giustizia (CGUE) nel giro di pochi mesi. Il presunto "nuovo" Trans-Atlantic Data Privacy Framework è in gran parte una copia del fallito "Privacy Shield". Nonostante gli sforzi di pubbliche relazioni della Commissione europea, ci sono pochi cambiamenti nella legge statunitense o nell'approccio adottato dall'UE. Il problema fondamentale con FISA 702 non è stato affrontato dagli Stati Uniti, in quanto gli Stati Uniti continuano a ritenere che solo le persone statunitensi siano degne di diritti costituzionali
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Perché in ufficio c'è stato un trillo in tutti i cellulari tranne il mio 😑
European Commission gives EU-US data transfers third round at CJEU
La Commissione europea concede il terzo round ai trasferimenti di dati tra UE e USA presso la CGUE La Commissione europea annuncia il terzo "Safe Harbor", senza modifiche sostanziali. noyb riporterà la terza decisione di adeguatezza alla CGUE.
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Come uccidere una rete decentralizzata (come il Fediverso)
di Ploum il 2023-06-23
In questo articolo molto interessante, Lionel Dricot ricostruisce la strategia dei #Gafam che sta dietro all'operazione Threads di Meta.
Un grosso grazie all'autore.
Buona lettura
L'anno è il 2023. L'intera Internet è sotto il controllo dell'impero GAFAM. Tutto? Beh, non del tutto. Perché alcuni piccoli villaggi stanno resistendo all'oppressione. E alcuni di questi villaggi hanno iniziato ad aggregarsi, formando il "Fediverso".
Con i dibattiti su Twitter e Reddit, il Fediverso ha iniziato a guadagnare fama e attenzione. La gente ha iniziato a usarlo davvero. L'impero ha cominciato ad accorgersene.
Capitalisti contro la concorrenza
Come ha detto Peter Thiel, uno dei principali investitori di Facebook: "La concorrenza è per i perdenti". Già, questi pseudo "il mercato ha sempre ragione" non vogliono un mercato quando ci sono dentro. Vogliono un monopolio. Fin dalla sua nascita, Facebook è stato molto attento a uccidere ogni concorrenza. Il modo più semplice per farlo è stato quello di acquistare le aziende che un giorno avrebbero potuto diventare dei concorrenti. Instagram e WhatsApp, per citarne alcune, sono state acquistate solo perché il loro prodotto attirava utenti e poteva gettare un'ombra su Facebook.
Ma il Fediverso non può essere comprato. Il Fediverso è un gruppo informale di server che discutono attraverso un protocollo (ActivityPub). Questi server possono anche eseguire software diversi (Mastodon è il più famoso, ma ci possono essere anche Pleroma, Pixelfed, Peertube, WriteFreely, Lemmy e molti altri).
Non si può comprare una rete decentralizzata!
Ma c'è un altro modo: renderla irrilevante. Questo è esattamente ciò che Google ha fatto con XMPP.
Come Google è entrato a far parte della federazione XMPP
Alla fine del XX secolo, i programmi di messaggeria istantanea (IM) erano di gran moda. Uno dei primi di grande successo fu ICQ, seguito rapidamente da MSN messenger. MSN Messenger era il Tiktok dell'epoca: un mondo in cui gli adolescenti potevano trascorrere ore e giorni senza adulti.
Poiché MSN faceva parte di Microsoft, Google ha voluto fargli concorrenza e nel 2005 ha presentato Google Talk, includendolo nell'interfaccia di Gmail. Ricordiamo che all'epoca non esistevano smartphone e pochissime applicazioni web. Le applicazioni dovevano essere installate sul computer e l'interfaccia web di Gmail era innovativa. MSN a un certo punto è stato persino fornito in bundle con Microsoft Windows ed era davvero difficile rimuoverlo. La creazione della chat di Google con l'interfaccia web di Gmail era un modo per essere ancora più vicini ai clienti rispetto a un software integrato nel sistema operativo.
Mentre Google e Microsoft lottavano per conquistare l'egemonia, gli appassionati di software libero cercavano di costruire una messaggistica istantanea decentralizzata. Come la posta elettronica, XMPP era un protocollo federato: più server potevano dialogare tra loro attraverso un protocollo e ogni utente si connetteva a un particolare server attraverso un client. Quell'utente poteva poi comunicare con qualsiasi utente su qualsiasi server utilizzando qualsiasi client. Questo è ancora il modo in cui ActivityPub e quindi il Fediverso funzionano.
Nel 2006, Google talk è diventato compatibile con XMPP. Google stava prendendo seriamente in considerazione XMPP. Nel 2008, mentre ero al lavoro, squillò il telefono. In linea, qualcuno mi disse: "Salve, siamo di Google e vogliamo assumerla". Ho fatto diverse telefonate e si è scoperto che mi avevano trovato attraverso la dev-list di XMPP.Stavano cercando degli amministratori di sistema per XMPP.
Quindi Google stava davvero adottando la federazione. Non era geniale? Significava che, improvvisamente, ogni singolo utente di Gmail diventava un utente XMPP. Questo non poteva che essere un bene per XMPP, giusto? Ero estasiato.
Come Google ha ucciso XMPP
Naturalmente, la realtà era un po' meno brillante. Innanzitutto, nonostante la collaborazione per lo sviluppo dello standard XMPP, Google stava realizzando una propria implementazione chiusa che nessuno poteva controllare. Si è scoperto che non sempre rispettavano il protocollo che stavano sviluppando. Non stavano implementando tutto. Questo ha costretto lo sviluppo di XMPP a rallentare, ad adattarsi. Nuove funzionalità interessanti non sono state implementate o non sono state utilizzate nei client XMPP perché non erano compatibili con Google Talk (gli avatar hanno impiegato moltissimo tempo per arrivare su XMPP). La federazione a volte si interrompeva: per ore o giorni non era possibile comunicare tra i server Google e i server XMPP regolari. La comunità XMPP fungeva da osservatrice e debugger dei server di Google, segnalando le irregolarità e i tempi di inattività (io l'ho fatto più volte, e questo è probabilmente il motivo dell'offerta di lavoro).
E poiché gli utenti di Google Talk erano molto più numerosi dei "veri utenti XMPP", c'era poco spazio per "non preoccuparsi degli utenti di Google Talk". I nuovi arrivati che scoprivano XMPP e non erano utenti di Google Talk avevano un'esperienza molto frustrante perché la maggior parte dei loro contatti erano utenti di Google Talk. Pensavano di poter comunicare facilmente con loro, ma in realtà si trattava di una versione degradata di ciò che avevano quando usavano Google Talk. Un tipico gruppo di utenti XMPP era composto principalmente da utenti di Google Talk e da alcuni geek.
Nel 2013, Google ha capito che la maggior parte delle interazioni XMPP avveniva comunque tra utenti di Google Talk. Non gli interessava rispettare un protocollo che non controllava al 100%. Quindi ha staccato la spina e ha annunciato che non sarebbe più stato federato. E ha iniziato una lunga ricerca per creare un servizio di messaggistica, a partire da Hangout (a cui sono seguiti Allo, Duo e poi ho perso il conto).
Come previsto, nessun utente di Google ha battuto ciglio. In effetti, nessuno di loro se n'è accorto. Nel peggiore dei casi, alcuni dei loro contatti sono diventati offline. Tutto qui. Ma per la federazione XMPP è stato come se la maggior parte degli utenti fosse improvvisamente scomparsa. Persino gli irriducibili fanatici di XMPP, come il vostro servitore, hanno dovuto creare account Google per mantenere i contatti con gli amici. Ricordate: per loro eravamo semplicemente offline. Era colpa nostra.
Sebbene XMPP esista ancora e sia una comunità molto attiva, non si è mai ripreso da questo colpo. Le aspettative troppo alte sull'adozione da parte di Google hanno portato a un'enorme delusione e a una silenziosa caduta nell'oblio. XMPP è diventato di nicchia. Così di nicchia che quando le chat di gruppo sono diventate di moda (Slack, Discord), la comunità del software libero le ha reinventate (Matrix) per competere mentre le chat di gruppo erano già possibili con XMPP. (Disclaimer: non ho mai studiato il protocollo Matrix, quindi non ho idea di come si comporti tecnicamente rispetto a XMPP. Credo semplicemente che risolva lo stesso problema e competa nello stesso spazio di XMPP).
XMPP sarebbe diverso oggi se Google non vi avesse mai aderito o non fosse mai stato considerato come parte di esso? Nessuno può dirlo. Ma sono convinto che sarebbe cresciuto più lentamente e, forse, in modo più sano. Che sarebbe più grande e più importante di oggi. Che sarebbe stata la piattaforma di comunicazione decentralizzata di default. Una cosa è certa: se Google non avesse aderito, XMPP non sarebbe peggiore di quello che è oggi.
Non è stata la prima volta: la strategia di Microsoft
Quello che Google ha fatto a XMPP non è una novità. Infatti, nel 1998, l'ingegnere Microsoft Vinod Vallopllil scrisse esplicitamente un testo intitolato "Blunting OSS attacks" in cui suggeriva di "differenziare (de-commoditize) i protocolli e le applicazioni [...]. Estendendo questi protocolli e sviluppandone di nuovi, possiamo impedire ai progetti OSS di entrare nel mercato".
Microsoft ha messo in pratica questa teoria con il rilascio di Windows 2000, che supportava il protocollo di sicurezza Kerberos. Ma il protocollo è stato esteso. Le specifiche di tali estensioni potevano essere scaricate liberamente, ma era necessario accettare una licenza che vietava di implementare tali estensioni. Non appena si cliccava su "OK", non si poteva lavorare su nessuna versione open source di Kerberos. L'obiettivo era esplicitamente quello di uccidere qualsiasi progetto di rete concorrente, come Samba.
Questo aneddoto è stato raccontato da Glyn Moody nel suo libro "Rebel Code" e dimostra che l'uccisione di progetti open source e decentralizzati è un obiettivo davvero consapevole. Non accade mai a caso e non è mai causato dalla sfortuna.
Microsoft ha utilizzato una tattica simile per assicurarsi il dominio nel mercato dell'office con Microsoft Office, utilizzando formati proprietari (un formato di file può essere visto come un protocollo per lo scambio di dati). Quando le alternative (OpenOffice e poi LibreOffice) sono diventate abbastanza brave ad aprire i formati doc/xls/ppt, Microsoft ha rilasciato un nuovo formato che ha definito "aperto e standardizzato". Il formato era, di proposito, molto complicato (20.000 pagine di specifiche!) e, soprattutto, sbagliato. Sì, sono stati introdotti alcuni bug nelle specifiche, il che significa che un software che implementa il formato OOXML completo si comporta in modo diverso da Microsoft Office.
Questi bug, insieme alle pressioni politiche, sono stati uno dei motivi che hanno spinto la città di Monaco a tornare indietro dalla migrazione verso Linux. Quindi sì, la strategia funziona bene. Oggi, docx, xlsx e pptx sono ancora la norma. Fonte: Ero presente, indirettamente pagato dalla città di Monaco per rfar sì che il rendering di LibreOffice OOXML fosse più simile a quello di Microsoft invece di seguire le specifiche.
AGGIORNAMENTO:
Questa tattica ha persino una pagina di Wikipedia
Meta e il Fediverso
Chi non conosce la storia è destinato a ripeterla. Il che è esattamente ciò che sta accadendo con Meta e il Fediverso.
Si dice che Meta diventerà "compatibile con Fediverso". Potrete seguire le persone su Instagram dal vostro account Mastodon.
Non so se queste voci abbiano un fondo di verità, se sia possibile che Meta prenda in considerazione l'idea. Ma una cosa mi ha insegnato la mia esperienza con XMPP e OOXML: se Meta si unisce al Fediverso, Meta sarà l'unico a vincere. In effetti, le reazioni mostrano che stanno già vincendo: il Fediverso è diviso tra il bloccare Meta o meno. Se ciò accadesse, significherebbe un mediverso a due livelli, frammentato e frustrante, con poca attrattiva per i nuovi arrivati.
AGGIORNAMENTO: Queste voci sono state confermate: almeno un amministratore di Mastodon, kev, di fosstodon.org, è stato contattato per partecipare a un incontro ufficioso con Meta. Ha avuto la migliore reazione possibile: ha rifiutato gentilmente e, soprattutto, ha pubblicato l'e-mail per essere trasparente con i suoi utenti. Grazie kev!
• Mail di Meta a Kev, da Fosstodon, e risposta
So che tutti sogniamo di avere tutti i nostri amici e familiari sul Fediverso, in modo da evitare completamente le reti proprietarie. Ma il Fediverso non cerca il dominio del mercato o il profitto. Il Fediverso non cerca la crescita. Offre un luogo di libertà. Le persone che si uniscono al Fediverso sono quelle che cercano la libertà. Se le persone non sono pronte o non cercano la libertà, va bene. Hanno il diritto di rimanere su piattaforme proprietarie. Non dovremmo costringerle a entrare nel Fediverso. Non dovremmo cercare di includere il maggior numero di persone a tutti i costi. Dovremmo essere onesti e fare in modo che le persone si uniscano al Fediverso perché condividono alcuni dei valori che lo animano.
Competendo contro Meta nella cervellotica ideologia della crescita a tutti i costi, siamo certi di perdere. Loro sono i maestri di questo gioco. Stanno cercando di portare tutti nel loro campo, per far sì che le persone competano contro di loro usando le armi che vendono.
Il Fediverso può vincere solo mantenendo la sua posizione, parlando di libertà, morale, etica, valori. Avviando discussioni aperte, non commerciali e non campate in aria. Riconoscendo che l'obiettivo non è vincere. Non è aderire. L'obiettivo è rimanere uno strumento. Uno strumento dedicato a offrire un luogo di libertà agli esseri umani connessi. Qualcosa che nessuna entità commerciale potrà mai offrire.
Testo originale: https://ploum.net/2023-06-23-how-to-kill-decentralised-networks.html
Distribuito con licenza Creative Commons BY-SA
Traduzione italiana: framapiaf.org/@nilocram
• Illustrazione di David Revoy
• Traduction en Français par Nicolas Vivant
• Traducción Española de Matii
• Deutsche Übersetzung von Janet und anderen
#Fediverso #Fediverse #Gafam #XMPP #Mastodon #SoftwareLibero
@Informa Pirata @Scuola - Gruppo Forum @Devol :fediverso: @maupao
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Scuola - Gruppo Forum reshared this.
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Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.Telegram
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Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ likes this.
Ma in definitiva io sono per semplificare e secondo me i progetti minori dovrebbero approffittare dell'enorme popolarità di mastodon.
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Feddit: come può un utente #Mastodon seguire una comunità #Lemmy? Quali sono le comunità italiane nate dopo l'esplosione della redditmigration? Quali sono quelle nate prima? Si può aprire un nuovo thread da Mastodon?
Tutte le risposte nel post linkato (qui leggibile su feddit)
Godflesh - Purge
@Musica Agorà iyezine.com/godflesh-purge
Conoscere ADHD
Conoscere ADHD è importante, in particolare per gli insegnanti, e la sanità pubblica deve essere dalla parte delle famiglie rilasciando le certificazioni in tempi brevi
Aiuta Alberto Vallortigara a far crescere questa petizione! 🚀
Certi bambini non dovrebbero neanche nascereChange.org
Beat!
Ecco un altro libro di quelli che suonano - questo però oltre che suonare, urla pure, protesta e soprattutto cerca di difendersi.
Dentro ci sono "quei ragazzi e ragazze che nella metà degli anni Sessanta hanno desiderato la libertà totale al posto dell'ipocrisia e la dignità umana al posto dell'arrivismo". Quelli che hanno anticipato le grandi rivolte del Sessantotto, quelli che "hanno trovato l'anarchia sulla loro strada, spesso senza saperlo, spesso senza alcun filo diretto con quel movimento, pur parlando la stessa lingua senza che alcuno l'abbia insegnata".
Cosa ci guadagna Meta a "entrare nel Fediverso"? Nulla di economicamente rilevante, almeno nell'immediato. Il progetto è "soltanto" di natura strategica
Riportiamo per intero la nostra risposta a un thread comparso su feddit.it e in particolare all'osservazione di @Darjuz (È un’azienda è ovvio che cerca di inserirsi in un ambito che le sembra promettente per farsi i soldi…)
Non saprei. Il Fediverso non è facilmente monetizzabile e quella che sta facendo Meta non è un’operazione ad alto rendimento sebbene sia sicuramente un’operazione a bassissimo costo.Quello che Facebook non può sopportare è il fatto che gli utenti socializzino al di fuori del suo giardino recintato, in cui le persone sono costrette a consumare nel baretto aziendale! Per il momento sono pochi utenti, ma la minaccia può essere devastante sul lungo termine.
Ora, in qualsiasi azienda, se esiste un rischio esistenziale, si cerca di di battersi fino in fondo per eliminarlo o mitigarne gli effetti. Come ultima soluzione ci si può assicurare contro quel rischio.
Siamo arrivati al nocciolo della questione: questa iniziativa di Meta, non è altro che un piccolo costo assicurativo.
Come funziona questa assicurazione? Mi sembra abbastanza chiaro: Meta si trova a muovere truppe in un terreno sconosciuto per portare, come direbbe un’altra simpatica realtà che abbiamo imparato a conoscere meglio in quest’ultimo anno e mezzo, un’operazione speciale per degratuitizzare il Fediverso.
Questa operazione presenta una grandissima possibilità di successo, considerando l’immensa sproporzione a favore di Meta. Inoltre, sempre per riprendere la metafora Ucraina, Zuckerberg confida nell’avidità di alcuni importanti amministratori di istanza: «questi amministratori hanno concentrato sulle proprie istanze la maggior parte degli utenti del Fediverso, quindi parlano la mia stessa lingua e quindi saranno alleati della mia impresa contro il temibile spettro della gratuità. Basterà far avere loro quattro spicci e un piatto di lenticchie»
Funzionerà questa strategia? Ci sono molti elementi che suggeriscono di sì. Esattamente come la Russia aveva sufficienti elementi per immaginare una conquista dell’Ucraina in tempi piuttosto rapidi, perché « Noi siamo una superpotenza e tutti i russofoni d’Ucraina ci saluteranno come liberatori e imbraceranno le armi contro il loro governo antirusso»
Naturalmente, Questa è l’unica cosa che insegni la storia, anche i piani ben studiati non per questo si concretizzano…
Ecco perché è importante dare seguito alla proposta di defederazione delle istanze di Zuckerberg: Il motivo è che non bisogna mai dare nulla per scontato!
PS: riportiamo anche le osservazioni completamente diverse di @Uriel Fanelli (no, molto probabilmente non lo troverete perché avrà bloccato voi o la vostra istanza... 🙃) che prevede la volontaria non federazione da parte di Meta.
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Threads e il Fediverso. Alcune considerazioni sul nuovo social di Meta e la federazione con le altre istanze ActivityPub
C'e' una certa eccitazione nel Fediverso (o "Mastodon" per i cefalopodi) per via della notizia che "Threads" abbia un'interfaccia ActivityPub, ovvero sarebbe capace di federarsi con il Fediverso, cioe' con qualsiasi altra cosa parli ActivityPub. Ci sono gia' le petizioni dei sysadmin , che rifiutano a priori di federarsi. E che a mio avviso sono tempo perso.
#37 / Pesca a strascico
Causa miliardaria contro OpenAI (chatGP)
Dopo le peripezie italiche arrivano guai anche oltre oceano per OpenAI, l’azienda acquisita da Microsoft che sviluppa e gestisce chatGPT. Pare infatti che il 28 giugno un gruppo di persone abbiano intentato un’azione legale congiunta per chiedere a OpenAI un risarcimento danni di ben tre miliardi di dollari.
OpenAI è accusata di aver allenato il suo algoritmo usando dati acquisiti illegalmente dal web1 con la tecnica dello scraping. In italiano si potrebbe tradurre con raschiare o grattare, ed è quella tecnica automatizzata che permette di raccogliere a strascico dati disponibili pubblicamente su Internet — come ad esempio post e foto sui social network.
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I casi analoghi non mancano, come ad esempio quello di ClearViewAI che ha raccolto ben trenta miliardi di foto dal web per allenare i suoi algoritmi di riconoscimento facciale e poi vendere i servizi a polizia e intelligence statunitensi. In quel caso ci furono diverse sanzioni milionarie da parte delle autorità ma non mi risulta che l’azienda se ne sia curata più di tanto.
In almeno un caso la Federal Trade Commission ha intimato la distruzione di algoritmi allenati senza il consenso dei soggetti a cui facevano riferimento i dati. Se i giudici dovessero decidere che OpenAI ha allenato i suoi modelli in modo illecito, giungerebbero alla stessa decisione? Probabilmente no, dato che anche ClearViewAI è ancora in piedi.
Le reti a strascico di Google
Un recente aggiornamento alla privacy policy di Google lascia intendere che è ufficialmente iniziata una gara con OpenAI che sarà combattuta a suon di reti da pesca virtuali.
Nell’ultima versione dell’informativa si legge che l’azienda userà dati disponibili pubblicamente per allenare i suoi modelli di intelligenza artificiale come Google Translate, Bard (il competitor di ChatGPT) e altri servizi in Cloud2.
“Se tu o le tue informazioni sono presenti su un sito web, potremmo indicizzarle ed esporle sui servizi Google”.
Sembra davvero non esserci scampo. Siamo tutti condannati ad essere cavie da laboratorio e fattori di produzione per i nuovi scintillanti strumenti di intelligenza artificiale che amiamo. Ora scusate ma vado a rinnovare l’abbonamento a ChatGPT, che mi è più simpatico di Bard.
Alcuni documenti interni a Twitter mostrano che l’FBI ha collaborato con l’intelligence Ucraina (SBU - Security Service of Ukraine) per censurare alcuni account Twitter e ottenere informazioni personali sui proprietari.
Non dovrebbe essere una novità per chi ha seguito le vicende dei Twitter Files, di cui fanno parte anche questi documenti più recenti, ma dovrebbe certamente ricordarci il livello di sorveglianza e censura costante a cui siamo assoggettati noi altri del mondo libero.
“Thank you very much for your time to discuss the assistance to Ukraine, I am including a list of accounts I received over a couple of weeks from the Security Service of Ukraine. These accounts are suspected by the SBU in spreading fear and disinformation. For your review and consideration.”
La lista è di circa 163 account, tra cui alcuni di giornalisti americani e canadesi colpevoli di aver espresso la loro opinione sulla guerra in Ucraina in termini non favorevoli alla propaganda occidentale.
Il referente interno, Yoel Roth, il dirigente che gestiva direttamente i rapporti con l’FBI, è stato licenziato a novembre 2022 da Elon Musk poco prima della diffusione dei Twitter Files.
Per chi avesse perso le puntate precedenti, consiglio questo breve ripasso:
Strike: news e trend topic di privacy
Per chi bazzica LinkedIn, ogni lunedì sera c’è STRIKE, un nuovo format video in cui insieme a due colleghi parlo di news e trend topic di privacy.
Sono già usciti i primi due episodi, in cui abbiamo parlato della nuova stagione di Black Mirror (spoiler alert) e del nuovo sistema IT-Alert.
È probabile che nel prossimo futuro verrà proposto anche su altre piattaforme social, ma per ora è solo su LinkedIn. È una produzione di Privacy Week, la media company che si occupa di privacy, cybersecurity, nuove tecnologie e diritti umani.
Qui trovate i primi due episodi:
Meme del giorno
Citazione del giorno
“On matters of style, swim with the current, on matters of principle, stand like a rock.”
Thomas Jefferson
Articolo consigliato
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Dante Alighieri - Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
Immaginare di fare un viaggio in barca a vela con i due amici del cuore. Senza una meta precisa, in compagnia delle tre donne amate, passando il tempo a parlare(?!) di amore. Dante.
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:
e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi
informapirata
in reply to Nome Cognome😅 • • •