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Rembrandt, il grande pittore olandese del barocco


Questo famoso artista del XVII secolo fu un maestro delle scene tradizionali e bibliche, oltre a specializzarsi nell’autoritratto e nella creazione di grandi ritratti di gruppo. Senza rimanere confinato in un unico stile, Rembrandt innovò costantemente. Tuttavia, nonostante i suoi innegabili successi artistici, il geniale pittore morì in povertà

storicang.it/a/rembrandt-il-gr…

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Hai una spia in casa? Mentre l’Aspirapolvere impara dalle immagini, la tua privacy è a rischio


I dispositivi intelligenti in movimento, per migliorare le proprie prestazioni, si basano sempre più sulle immagini che acquisiscono. Tuttavia, esiste una linea sottile tra l’uso dei dati per l’innovazione e la tutela della privacy, che richiede un’attenta valutazione.

Recentemente è stato scoperto che i robot aspirapolvere della Ecovacs, soffrono di gravi vulnerabilità in termini di sicurezza informatica . I prodotti raccolgono foto, video e registrazioni vocali scattate nelle case degli utenti per addestrare i modelli di intelligenza artificiale dell’azienda. Ecovacs, il produttore cinese dei famosi modelli Deebot, si è impegnato a sistemare queste vulnerabilità nel più breve tempo possibile.

Ha affermato che gli utenti partecipano volontariamente a un programma di miglioramento del prodotto, anche se quando si collegano tramite un’app per smartphone non specifica quali dati verranno raccolti.

Secondo la politica sulla privacy di Ecovacs , l’azienda può raccogliere mappe delle case 2D e 3D, registrazioni vocali del microfono e immagini della fotocamera del dispositivo a fini di ricerca e del miglioramento del prodotto stesso.

Ma anche dopo che tali dati sono stati cancellati, potrebbero rimanere sui server Ecovacs ed essere utilizzati per ulteriori sviluppi anche da eventuali attacchi informatici da parte di terzi. I rappresentanti dell’azienda hanno confermato che i dati raccolti vengono utilizzati per addestrare l’intelligenza artificiale, mentre le informazioni sarebbero rese anonime a livello di dispositivo.

Tuttavia, gli esperti di sicurezza informatica hanno espresso preoccupazioni sulla capacità dei dispositivi intelligenti di proteggere tali dati. In precedenza, il ricercatore Dennis Giese aveva identificato delle vulnerabilità che consentono l’accesso remoto alle telecamere degli aspirapolvere, mettendo in discussione la sicurezza delle informazioni riservate degli utenti. Il ricercatore ha inoltre sottolineato che, anche se un’azienda non ha intenzioni dolose, potrebbe diventare vittima dello spionaggio industriale o delle azioni di altri Stati.

Ecovacs, valutata 4,6 miliardi di dollari, ha promesso di risolvere i problemi segnalati sui suoi modelli di punta già a novembre. La società ha inoltre affermato che i dati raccolti nell’ambito del programma di miglioramento del prodotto vengono resi anonimi prima di essere inviati ai server e l’accesso agli stessi è limitato da rigorosi protocolli di governance.

Si sono già verificati casi di immagini trapelate scattate da aspirapolvere robotici. Nel 2022, le foto intime scattate dai dispositivi iRobot sono state pubblicate su Facebook, suscitando una tempesta di critiche sulla sicurezza dei dati raccolti da tali dispositivi. Queste perdite erano dovute alle azioni degli appaltatori assunti per analizzare i dati raccolti. Una delle società responsabili della fuga di dati, Scale AI, è specializzata nella creazione di dati per algoritmi di addestramento e i suoi appaltatori hanno precedentemente diffuso immagini degli utenti sui social media.

Nel frattempo, i ricercatori dell’Australian Robotics Centre hanno sviluppato una tecnologia che potrebbe prevenire tali incidenti. Cambia il modo in cui funziona la fotocamera di un robot, rendendo le immagini irriconoscibili pur conservando informazioni sufficienti per la navigazione. Questa soluzione potrebbe essere la chiave per migliorare la privacy in futuro, ma non è ancora pronta per la produzione di massa.

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«IA, così i bias presenti nei dati possono influenzare gli esseri umani»


@Notizie dall'Italia e dal mondo
Il nuovo articolo di @valori@poliversity.it
Intervista a Donata Columbro, giornalista, femminista dei dati e autrice di "Quando i dati discriminano" (Il Margine 2024)
L'articolo «IA, così i bias presenti nei dati possono influenzare gli valori.it/donata-columbro-bias…



Non sono Hacker: si chiamano criminali informatici! Scopriamo le differenze degli attori malevoli del cybercrime


Nel mondo digitale in cui viviamo, termini come “hacker” e “cybercrime” vengono spesso utilizzati in modo intercambiabile, creando confusione su chi siano davvero i protagonisti dietro le crescenti minacce informatiche. Tuttavia, è fondamentale distinguere tra hacker, che possono essere sia alleati che nemici, e veri e propri criminali informatici, responsabili di reati che generano miliardi di dollari di perdite ogni anno. In questo articolo esploreremo le differenze tra questi attori, analizzando chi sono, come operano e quali sono i loro obiettivi, per comprendere meglio il complesso panorama del cybercrime.

Definizione di Hacker e Cyber Crime


Nell’immaginario comune, il termine “hacker” evoca spesso l’immagine di un individuo malevolo che, con competenze tecniche avanzate, penetra sistemi informatici per rubare dati o causare danni. Tuttavia, questa rappresentazione è imprecisa e riduttiva. Hacker, infatti, è un termine che storicamente si riferisce a persone con una profonda conoscenza dei sistemi informatici, le quali spesso utilizzano le loro competenze per migliorare la sicurezza e l’efficienza di questi sistemi. Gli hacker etici, noti anche come white hat, lavorano per identificare e risolvere vulnerabilità, contribuendo a rendere il cyberspazio più sicuro.

Al contrario, il cybercrime è un’attività criminale che sfrutta le tecnologie informatiche per commettere reati. Questa categoria comprende una vasta gamma di atti illeciti, tra cui il furto di dati, le frodi online, il ransomware, lo spionaggio informatico, e molti altri. I veri protagonisti del cybercrime sono i criminali informatici, noti anche come black hat, che utilizzano le loro competenze per scopi dannosi.

Principali attori del Cybercrime

1. Script Kiddies


Gli Script Kiddies sono individui con competenze tecniche limitate che utilizzano strumenti già pronti, come exploit e script automatici, creati da altri per lanciare attacchi informatici. Sebbene non siano sofisticati come altri attori, possono comunque causare danni significativi, specialmente quando operano in gran numero o con l’aiuto di strumenti potenti.

2. Cybercriminali Organizzati


Questi gruppi sono spesso strutturati come vere e proprie organizzazioni criminali, con ruoli ben definiti e operazioni complesse. Utilizzano attacchi mirati come il phishing, il ransomware e il furto di dati per estorcere denaro o rubare informazioni preziose. Questi gruppi operano a livello globale e sono responsabili di una grande parte delle perdite economiche legate al cybercrime.

3. Hacktivisti


Gli hacktivisti utilizzano le loro competenze informatiche per promuovere cause politiche o sociali. Le loro azioni, spesso di tipo denial-of-service (DoS) o defacement, sono finalizzate a portare attenzione su determinate tematiche piuttosto che a ottenere un profitto economico. Tuttavia, le loro attività possono comunque causare gravi danni a livello di reputazione e operativo.

4. Insider Threats


Le minacce interne provengono da dipendenti o collaboratori che, avendo accesso legittimo ai sistemi aziendali, abusano della loro posizione per rubare dati o danneggiare l’organizzazione. Questi attori possono agire per vendetta, guadagno personale o persino essere reclutati da organizzazioni criminali esterne.

5. State-Sponsored Actors


Gli attori sponsorizzati dagli stati sono tra i più sofisticati e pericolosi. Operano spesso sotto la direzione di governi nazionali e utilizzano le loro competenze per condurre operazioni di spionaggio, sabotaggio e guerra cibernetica. Questi gruppi mirano a ottenere vantaggi geopolitici piuttosto che economici, e le loro operazioni possono avere conseguenze devastanti a livello globale.

Scopi e modalità operative

Scopi


Gli scopi del cybercrime variano a seconda dell’attore coinvolto:

  • Profitto Economico: La maggior parte dei criminali informatici è motivata dal guadagno economico. Il ransomware, ad esempio, è uno dei metodi più utilizzati per estorcere denaro alle vittime.
  • Spionaggio: Gli attori sponsorizzati dallo stato cercano informazioni strategiche per ottenere vantaggi economici, politici o militari.
  • Attivismo: Gli hacktivisti mirano a promuovere una causa sociale o politica attraverso azioni di hacking.
  • Vendetta o sabotaggio: Alcuni attori, come le minacce interne, possono essere motivati da risentimento personale o dalla volontà di danneggiare un’organizzazione.


Modalità Operative


Le modalità operative del cybercrime sono varie e sofisticate:

  • Phishing: Utilizzo di e-mail fraudolente per ingannare le vittime e ottenere accesso a informazioni sensibili.
  • Ransomware: Software malevolo che cripta i dati delle vittime, chiedendo un riscatto per il loro rilascio.
  • Distributed Denial of Service (DDoS): Sovraccarico di un server o di una rete con traffico eccessivo per renderlo inaccessibile.
  • Advanced Persistent Threats (APT): Attacchi prolungati e mirati, spesso sponsorizzati da stati, che mirano a rubare informazioni sensibili.
  • Malware: Software creato per infiltrarsi, danneggiare o ottenere il controllo di sistemi informatici.


Statistiche e Impatti Economici


Il cybercrime è diventato uno dei settori più redditizi per i criminali. Secondo alcune stime, il costo globale del cybercrime raggiungerà i 10,5 trilioni di dollari entro il 2025, rispetto ai 3 trilioni del 2015. Questo tasso di crescita esponenziale è alimentato dalla digitalizzazione crescente e dall’aumento del numero di dispositivi connessi a Internet.

Guadagni e Perdite


  • Ransomware: Solo nel 2023, i danni causati dal ransomware hanno superato i 20 miliardi di dollari a livello globale. Le aziende spesso preferiscono pagare i riscatti piuttosto che rischiare la perdita definitiva dei dati, alimentando ulteriormente questo mercato.
  • Frodi Online: Le frodi con carte di credito e altre forme di truffa online hanno generato perdite per oltre 32 miliardi di dollari nel 2022.
  • Furti di Dati: Gli attacchi mirati a rubare dati sensibili hanno colpito milioni di utenti, con il costo medio per ogni violazione di dati che ha raggiunto i 4,24 milioni di dollari.


Confronto con altri crimini


Se paragonato ai crimini tradizionali, il cybercrime si distingue per la sua portata globale e la sua capacità di generare profitti con relativamente pochi rischi per i criminali. A differenza dei crimini fisici, che richiedono la presenza sul luogo, il cybercrime può essere perpetrato a distanza, con conseguenze devastanti per le vittime.

Conclusione


Il mondo del cybercrime è vasto e in continua evoluzione. Con attori sempre più sofisticati e motivati da una varietà di scopi, è fondamentale distinguere tra hacker e criminali informatici per comprendere appieno le minacce che affrontiamo. Mentre gli hacker etici lavorano per proteggere il cyberspazio, i criminali informatici rappresentano una minaccia crescente, con impatti economici e sociali che si fanno sempre più pesanti. La consapevolezza, la formazione e l’adozione di misure di sicurezza adeguate sono essenziali per difendersi in questo scenario complesso e in costante mutamento.

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in reply to Cybersecurity & cyberwarfare

Vero ed infatti non capisco come mai anche voi usate sempre il termine hacker anche quando si parla di soggetti che forse sono più, come si diceva un tempo ora non so, cracker.


Towards Solderless PCB Prototyping


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When we think of assembling a PCB, we’re almost always thinking about solder. Whether in paste form or on the spool, hand-iron or reflow, some molten metal is usually in the cards. [Stephen Hawes] is looking for a solderless alternative for prototyping, and he shows us the progress he’s made toward going solderless in this video.

His ulterior motive? He’s the designer of the LumenPNP open-source pick-and-place machine, and is toying with the idea of a full assembly based just on this one machine. If you strapped a conductive-glue extruder head on the machine in addition to the parts placer, you’d have a full assembly in one step. But we’re getting ahead of ourselves.

[Stephen] first tries Z-tape, which is really cool stuff. Small deformable metal balls are embedded in a gel-like tape, and conduct in only the Z direction when parts are pushed down hard into the tape. But Z-tape is very expensive, requires a bit of force to work reliably, and [Stephen] finds that the circuits are intermittent. In short, Z-tape is not a good fit for the PNP machine.

But what [Stephen] does find works well is a graphite-based conductive glue. In particular, he likes the Bare Conductive paint. He tries another carbon-based paint, but it’s so runny that application is difficult, while the Bare stuff is thick and sticky. (They won’t tell you their secret formula, but it’s no secret how the stuff is basically made.) That ends up looking very promising, but it’s still pretty spendy, and [Stephen] is looking to make his own conductive paste/paint pretty soon. That’s particularly appealing, because he can control the stickiness and viscosity, and he’ll surely let us in on the secret sauce.

(We’re armchair quarterbacking here, but the addition of a small amount of methyl cellulose and xanthan gum works to turn metal powder into a formable, printable metal clay, so it might make a carbon paste similarly adjustably sticky.)

We love the end-goal here: one machine that can apply a conductive paint and then put the parts into the right place, resulting in a rough-and-ready, but completely hands-off assembly. You probably wouldn’t want to use this technique if the joint resistance was critical, or if you needed the PCB to stand up to abuse. There’s a reason that everyone in industry uses molten metal, after all. But for verifying a quick one-off, or in a rapid-prototyping environment? This would be a dream.

We’ve seen other wacky ways to go solderless before. This one uses laser-cut parts to hold the components on the PCB, for instance. And for simply joining a couple wires together, we have many more solutions, many thanks to you all in the comments!

youtube.com/embed/doJgSvhcpjE?…


hackaday.com/2024/10/06/toward…



Reversing Type 1 Diabetes With a Patient’s Own Stem Cells


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Type 1 diabetes is an auto-immune condition whereby the patient’s own immune system attacks the pancreatic islets, destroying them in the process. Since these islets are responsible for producing insulin in response to blood sugar (glucose) levels, the patient is thus required to externally inject insulin for the remainder of their life. That was the expected scenario, but it appears that this form of diabetes may soon be treatable, with one woman now being free of the condition for a year already, as reported in Nature, referencing an article by [Shusen Wang] et al. that describes the treatment and the one-year result.

Most notable with this study is that the researchers didn’t use the regular method to create pluripotent stem cells. These cells were extracted from the patient, to revert back to this earlier developmental stage. They were not modified using genes, but rather singular chemicals (PDF). The advantage of this is that it avoids having to modify the cell’s genomes, which could conceivably cause issues like cancer later on. This was one of the first time that this method was used in a human subject, with islet cells formed and about 1.5 million of them injected into the patient’s abdominal muscles, a novel site for this procedure.

This location made these islets easy to keep track of, and easier to remove in case of any issues compared to the usual injection site within the liver. Fortunately for this woman, no complications occurred and one year later she is still free of any diabetes symptoms. Two other patients in the trial are also seeing very positive results, leaving only the question of whether the auto-immune condition that originally caused the islet destruction still exists. Since this female patient is taking immunosuppressants for a previous liver transplant it’s a hard to thing to judge, especially since we understand the causes behind type 1 diabetes so poorly.

Regardless, this and other trials using pluripotent cells, transplanted islets and more offer the prospect of a permanent treatment for the many people who suffer from type 1 diabetes.

Featured image: “Human induced pluripotent stem cell colony” National Eye Institute/NIH


hackaday.com/2024/10/06/revers…



Io ho fatto una grande cazzata ed ho ferito delle persone che non meritavano. Mi dispiace. Non lo rifarei. Al di la dei motivi per cui l'ho fatto, che ovviamente in quel momento parevano giustificati e sensati. Cedere all'ira è sempre sbagliato. Ma non mi sento in colpa: il senso di colpa della cultura cattolica romana non serve, perché non rende le persone migliori. E' invece utile, al limite, accorgersi degli errori e cercare di non ripeterli. Capire che ferire le persone può essere una difesa, a volte pure una necessità, ma è sempre sbagliato. E questo perché come il senso di colpa, neppure questo porta frutto. Ho anche imparato per persino dal male nasce il bene. E così, nonostante tutto, inaspettatamente, l'amore per il CW è nato. Basta poco a volte per innamorarsi delle cose. Continuerò a studiarlo con il mio ritmo, con le mie necessità, da persona che difficilmente "riconosce" le musicalità. Forse fallirò, ma qualsiasi risultati intermedio per me sarà comunque un arricchimento e sarà soddisfacente, perché lo scopo della vita è solo imparare cose nuove e non servono esami. Non lo farò non per comunicare con qualcuno, perché poche volte c'è qualche essere umano con il quale valga la pena di comunicare davvero, che abbia davvero qualcosa da dire. La maggior parte dell'umanità è composta all'80% da bulli o nel migliore dei casi da insensibili. Ma torniamo all'enorme cazzata. Ok l'ho fatta. Me ne pento e mi dispiace. Chi però non è in grado si passarci sopra o perdonare non può darmi preoccupazione, perché non è una cosa sulla quale posso agire o sotto il mio controllo.


Hackaday Links: October 6, 2024


Hackaday Links Column Banner

Remember that time a giant cylindrical aquarium in a Berlin hotel bar catastrophically failed and left thousands of fish homeless? We sure do, and further recall that at the time, we were very curious about the engineering details of how this structure failed so spectacularly. At the time, we were sure there’d be plenty of follow-up on that score, but life happened and we forgot all about the story. Luckily, a faithful reader named Craig didn’t, and he helpfully ran down a few follow-up articles that came out last year that are worth looking at.

The first is from prosecutors in Berlin with a report offering three possibilities: that the adhesive holding together the acrylic panels of the aquarium failed; that the base of the tank was dented during recent refurbishment; or that the aquarium was refilled too soon after the repairs, leading to the acrylic panels drying out. We’re a little confused by that last one just from an intuitive standpoint, but each of these possibilities seems hand-wavy enough that the report’s executive summary could have been “Meh, Scheiße happens.”

The conclusions reached in the prosecutor’s report come from a forensic analysis conducted by Professor Christian Bonten, who the building owners commissioned to get to the bottom of things. The work began soon after the accident with an on-site analysis of the debris field, followed by laboratory studies of 90 tonnes of recovered shards. They put over 1,100 hours into the effort, examining evidence down to the molecular level via chemical analysis of the polymer chains in the acrylic. Still, the best they could come up with was that the collapse was “sudden and unexpected,” a sentiment the fish would no doubt agree with, and that there was no way anyone could have predicted it. That’s a bit frightening; while the world isn’t exactly littered with giant aquaria like this, they aren’t unknown either, and the idea that any of these structures could fail without warning is chilling. Especially if you’re a fish.

The Covid pandemic lockdowns were difficult for a lot of people, but they did provide a (hopefully) unique opportunity to observe just how much the activity of 8 billion people has on our planet. We recall a ton of non-intuitive results such as decreased background noise in seismic observations, pollution maps that suddenly cleared up, and even changes in the behavior of wildlife. But one impact we really didn’t see coming during “The Anthropause” was a decrease in the surface temperature on the Moon. Researchers looked at data from six sites on the near side of the Moon during lunar nights from 2017 to 2023, and found a subtle but unmistakable dip in temperatures during April and May of 2020, the peak of the lockdowns. They explain that the decrease was due to lower longwave IR emissions from the Earth’s surface thanks to decreased greenhouse gas emissions during the period, which we find pretty fascinating.

One of the benefits of writing for Hackaday is the crazy random rabbit holes that we get to go down, especially when we’re doing research for an article. Such a thing happened this week with a random thought that popped up while reading something about the International Space Station: What would they do if someone died up there? Thankfully, we’ve had precious few space fatalities in the last 70 years, and those have mostly been restricted to launch and reentry, and hence have been — ahem — extremely energetic deaths.

But with two space stations in orbit hosting long-duration crews in an inhospitable environment, eventually the law of averages is going to catch up to us and someone is just going to die up there. Then what? We found an article from 2021 that attempts to answer this with the help of the indispensable Commander Chris Hadfield, who offers insights that suggest his tours on the ISS have given him plenty of time to mull it over. But the real treat in the article is the idea of adapting an idea known as “promession,” which would involve freezing a corpse in liquid nitrogen and then rapidly vibrating it to break it into tiny bits, suitable for rapid composting. The on-orbit version would skip the liquid nitrogen and use the cold of space, with a robotic arm used to vibrate the astronautsicle and pulverize him or her. The article takes some weird turns — Martian cannibals? — which is understandable given that at the time it was written, NASA didn’t really have a plan for what to do with dead astronauts. But fear not, because they seem to be working on it now.

And finally, we stumbled across a video looking into the mysterious inner workings of vintage elevator controls that we found strangely compelling. The elevator in question is a Schindler lift with an odd design; rather than sliding doors on both the car and the landings, this one just has the doors on the landings, and those are swing-type doors. It’s fascinating to watch the doors glide by as the elevator goes up and down the cleanest elevator shaft we’ve ever seen. Even tidier is the hoist room, which is filled with the snappiest relays and coolest old controls you’ll ever see.

youtube.com/embed/3hFryzaGtJc?…


hackaday.com/2024/10/06/hackad…



commento a:
"la frase di Neruda che dice che le guerre si combattono tra persone che si uccidono senza conoscersi... per gli interessi di persone che si conoscono ma non si uccidono."

c'è la narrazione della favola buona, e la favola cattiva. ma entrambe sonno favole. è più complicato di così. il mondo è complicato. prima smetteremo di ragionare in modo lineare, e prima potremo davvero cominciare a risolvere i problemi. quanto detto descrive sicuramente la guerra, ma occorre andare alle cause della guerra. che contrariamente a quello che si crede sono più ideologiche che economiche. l'economia è la scusa, non il motivo. perlomeno molto spesso. è un mito da sfatare. P.S. solitamente ideologie farlocche. chi dice che dietro a tutto ci sono i soldi, sbaglia, c'è semplicemente l'uomo, con le sue imperfezioni. in sostanza la causa delle guerre è molto peggiore e più stupida dei soldi.



Ve lo chiede Tizio, ve lo chiede Caio e ve lo chiede Sempronio.
Ma scusate, la maggioranza degli Italiani vi chiede l'esatto contrario, non conta proprio nulla il volere del popolo Italiano?!



Più droni e più economici. La ricetta del Dipartimento della Difesa Usa

@Notizie dall'Italia e dal mondo

[quote]Il Pentagono sta spingendo per ampliare il proprio arsenale di droni economici e monouso, strumenti fondamentali nel conflitto in Ucraina e nelle logiche di attrito che lo caratterizzano da diversi mesi, esplorando il potenziale di produzione di massa offerto dai fornitori commerciali. In una nuova





Sinistra liberal, il blob che divora la sinistra stessa l Kulturjam

"C’è oggi una sinistra che si autodefinisce liberal progressista che non ha niente a che fare con la propria storia e tradizione. Il suo Occidente non solo non è Marx, e nemmeno è Platone, Spinoza o il cristianesimo ma il mercato e il consumo."

kulturjam.it/politica-e-attual…



l'unico tipo di esistenza possibile senza sofferenza è la non esistenza


Il Komintern e la questione di Trieste bigarella.wordpress.com/2024/1…


Maribor (Slovenia). Foto: Janezdrilc. Fonte: Wikipedia

Dopo l’invasione della Slovenia da parte dell’Italia e della Germania nell’aprile 1941, tutte le forze politiche riunite nel Fronte di liberazione sloveno (Osvobodilna fronta – Of) si prefissero lo scopo della liberazione e unificazione della loro nazione. Tra queste anche il Kps, che all’interno dell’Of rappresentava la fazione più organizzata e influente. Già dalla fine del 1941 il Fronte aveva istituito una commissione interna per studiare i futuri confini della Slovenia, e il Comitato centrale (Cc) del Kps aveva dichiarato “irrinunciabili” le città di Maribor e Trieste <26. L’accentuazione patriottica nel Kps rispondeva alle direttive del Komintern dell’estate 1941, il quale per bocca di Georgij Dimitrov aveva impartito a tutti i partiti comunisti la linea da seguire dopo l’invasione tedesca dell’Urss: riedizione dei fronti popolari, costruzione di un ampio movimento di liberazione, insistenza sull’elemento nazionale e accantonamento della parola d’ordine della rivoluzione <27. Contemporaneamente, l’Of cercò di radicare la sua presenza su tutto il territorio da esso ritenuto sloveno. A questo fine, un membro del Kps fu inviato nell’agosto 1941 a Trieste e nel Litorale con l’incarico di prendere contatti con i superstiti aderenti al partito di Tomažič. Vennero così costituiti il Comitato regionale del Litorale e il Comitato cittadino del Kps e dell’Of per Trieste <28.
Sia per quanto riguarda la definizione delle rivendicazioni del Kps sul Litorale sloveno, sia per le misure pratiche che vennero ricercate e messe in campo allo scopo, l’anno-chiave può essere considerato il 1942.
Il 1° maggio il Cc del Kps, pressato sulla questione nazionale dalle ali di destra dell’Of, emanava una dichiarazione sui futuri confini sloveni: Trieste era considerata parte della nuova Jugoslavia, con uno status autonomo data la popolazione a maggioranza italiana. Il privilegio dell’autonomia non veniva concesso invece alle città italiane dell’Istria comprese nel Litorale sloveno (Muggia, Capodistria, Isola, Pirano) in quanto ritenute composte prevalentemente da immigrati <29. In questa dichiarazione, il Kps sosteneva che “alla Slovenia liberata e riunificata, oltre al territorio in cui vive la popolazione slovena, appartengono anche i territori snazionalizzati con la forza nell’ultimo periodo imperialista” <30. Per parte sua, l’Of acquisiva e rinforzava tali lineamenti: in un rapporto al Consiglio antifascista di liberazione nazionale della Jugoslavia <31, il confine occidentale della Slovenia fuoriusciva dal cosiddetto ‘territorio etnico sloveno’ per inglobare anche il triangolo esteso tra Ronchi e Monfalcone. L’espansione era giustificata con motivazioni di carattere strategico ed economico (legami dichiarati inscindibili tra Monfalcone e Trieste) <32. Erano rivendicazioni appoggiate sulla teoria della dipendenza delle città dalla campagna, e che trovavano persuasivi riscontri nel corpus dottrinario comunista. Quella che lo storico Carlo Schiffrer chiamava “teoria dei territori etnici compatti”, discendeva dalla predilezione dell’elemento contadino nell’individuazione dei caratteri fondativi della nazione ❤❤: una preferenza, come abbiamo visto, accordata dallo stesso Stalin nelle sue riflessioni sull’argomento. Non a caso un membro della commissione sui confini dell’Of, il geografo Anton Melik, spiegava che attorno a quel criterio erano stati tracciati i confini delle singole repubbliche in Unione Sovietica; e Joža Vilfan, avvocato triestino al quale era stato affidato uno studio analogo dal Kps, faceva perno su quelle tesi di Stalin per affermare l’appartenenza di Trieste al suo entroterra <34.
Ma a monte delle pretese territoriali del Kps, e dell’energia con cui venivano avanzate, oltre a queste di tipo teorico vi erano anche motivazioni strettamente politico-strategiche. Esse erano legate alla lettura che il partito dava del quadro politico europeo durante la guerra e delle sue possibili evoluzioni. Illuminanti a questo proposito sono alcune attestazioni di Edvard Kardelj, leader del Kps e numero due del Kpj, risalenti alla primavera-estate del 1942. In una lettera a Umberto Massola, allora rappresentante del Cc del Pcd’I presso il partito sloveno, Kardelj inquadrava l’argomentazione a favore dell’unione di Trieste a una Slovenia sovietica <35 all’interno di una visione strategico-ideologica ben strutturata: basata sulla prospettiva di un prossimo allargamento della rivoluzione in Germania e, quanto più possibile, nel resto del centro Europa. Tale prospettiva derivava dagli schemi ideologici elaborati nel movimento comunista internazionale tra le due guerre, schemi che avevano ispirato anche la Dichiarazione comune sul problema sloveno firmata dal Pcd’I, dal Kpj e dal Partito comunista austriaco nel 1934 <36. Essi erano figli dell’idea della ‘guerra inevitabile’ e della sua linea politica corrispondente, quella di ‘classe contro classe’; presupponevano un imminente inasprimento dei rapporti tra le potenze della coalizione antitedesca, giocato intorno all’alternativa capitale-anticapitale, in analogia con quanto avvenuto nella Prima guerra mondiale e lo scoppio della Rivoluzione d’ottobre <37. In questo scenario da tempo prefigurato, il problema della declinazione rivoluzionaria della questione nazionale slovena assumeva per Kardelj una valenza cruciale. Non si può attribuire a ragioni esclusivamente retoriche e strumentali il fatto che egli, nella lettera a Massola, presentasse la politica del Kps nel Litorale come un’applicazione dello slogan sull’autodecisione e unificazione della Slovenia enunciato nella Dichiarazione del 1934 <38. Essa, del resto, era stata confermata da Massola a nome del Pcd’I appena due mesi prima, con il Manifesto del Pcd’I per il diritto all’autodeterminazione e alla riunificazione del popolo sloveno <39. Proprio in virtù di quanto da essa previsto e pattuito, dalla primavera Kardelj iniziò a insistere sull’importanza che la lotta rivoluzionaria degli sloveni stava acquistando, finalmente su un piano concreto, per il futuro politico dell’Austria e dell’Italia. Come scrisse a Tito, “i comunisti sloveni hanno ricevuto l’ordine di scatenare la rivoluzione nel centro Europa” <40. Appoggiare e rinforzare l’estensione anche territoriale della loro lotta era interesse di tutto il movimento comunista internazionale. Se fosse riuscita a portare al distacco di intere regioni dal corpo nazionale dominante, infatti, essa avrebbe esasperato le contraddizioni tra la borghesia e il proletariato della nazione maggioritaria, trasformandosi in un poderoso incentivo alla rivoluzione. Da questo retroterra ideologico, prese avvio il tentativo perseguito dal Kpj di estendere la rivoluzione all’Italia, di far valere la propria preminenza nei confronti del Partito comunista italiano, e di incidere sulla sua linea politica (un tentativo destinato a durare fino alla rottura tra Stalin e Tito nel 1948) <41.
Nel contesto della guerra e dei rivolgimenti politico-sociali giudicati prossimi a venire, il possesso del porto di Trieste era visto dai comunisti sloveni come una delle questioni dirimenti. Chi controllava il porto, per il suo posizionamento strategico e per l’elevata concentrazione della sua classe operaia, era destinato a esercitare un’influenza decisiva sul suo entroterra, in gran parte agricolo. E ciò in un’ottica ideologica ‘classe contro classe’ che raggruppava, sin dalla prima metà del 1942, le potenze coinvolte nel conflitto in modo trasversale rispetto alle alleanze in campo. Nella stessa lettera, infatti, Kardelj scriveva a Massola: “A causa dell’atteggiamento filoinglese di gran parte della borghesia italiana, da una parte, e la debolezza dell’azione politica del proletariato italiano, dall’altra, esiste il pericolo che Trieste in futuro possa diventare il trampolino di lancio degli imperialisti reazionari inglesi […]. È chiaro che noi neutralizzeremo tutti questi tentativi – se sarà necessario – anche con le armi […]. Per quanto ci consentirà la nostra forza armata, non lasceremo Trieste a qualche governo reazionario italiano filoinglese, poiché per noi questa sarebbe una minaccia costante” <42.
È un atteggiamento che da lì in poi il Cc del Kps avrebbe ribadito con continuità. Un anno e mezzo più tardi, alla caduta di Mussolini l’eventualità di un’occupazione inglese di Trieste sarà temuta tanto quella di un’occupazione da parte dei tedeschi: “La questione se la Slovenia sarà libera ancor prima di una rivoluzione socialista nell’Europa occidentale, o se diventi, come retroterra di Trieste, colonia britannica, sarà risolta nelle vie di Trieste e quindi dobbiamo arrivare lì prima degli inglesi” <43.
Dal punto di vista sloveno, era questa complessa impostazione ideologica a presupporre la necessità che il Kps articolasse con efficacia e rapidità le sue posizioni nel Litorale. È opportuno sottolineare come questo obiettivo di espansione territoriale fosse concepito, ‘raccontato’ e indirizzato in virtù di categorie ideologiche del marxismo-leninismo; fosse cioè pubblicamente subordinato da Kardelj al superiore obiettivo internazionalista di allargare la rivoluzione all’Italia settentrionale e al centro Europa.
A questo punto, diveniva fondamentale che tali posizioni fossero ufficializzate dall’autorità cui veniva riconosciuta la competenza di stabilire le giurisidizioni e coordinare gli ambiti di azione dei diversi partiti comunisti: il Komintern. Già a Massola Kardelj aveva scritto: “Il Cc del Kpj […] ha automaticamente supposto che anche l’organizzazione politica triestina afferirà al Cc del Kps del Litorale” <44. Nello stesso mese di marzo il dirigente del Kpj faceva pressioni su Tito perché si rivolgesse al segretario del Komintern, Dimitrov, affinché questi inducesse i comunisti italiani a fissare i loro doveri rispetto al movimento comunista sloveno e croato nella Venezia Giulia. Egli sottolineava come un’organizzazione comunista dipendente dal Pcd’I non esistesse di fatto nella regione; faceva presente che il Cc del Kps (su richiesta di Massola) finanziava il ‘centro interno’ del Pcd’I con trentamila lire al mese e badava inoltre al sostentamento integrale di Massola stesso. Pertanto, Kardelj sosteneva che sarebbe stato opportuno rivendicare una forma di controllo da parte del Kps sul denaro versato al Pcd’I <45.
La realtà della presenza del Kps nel Litorale sloveno era riaffermata da Kardelj in un’altra lettera a Tito del 18 maggio: “Noi abbiamo ora lì […] un gran numero di comitati dell’Of, un distaccamento partigiano forte di circa 100 uomini […]. Negli ultimi tempi abbiamo rinnovato saldi legami nella stessa Trieste”. Circa le proteste di Massola verso le rivendicazioni sempre più precise del Kps su Trieste (la dichiarazione del partito sloveno sui futuri confini era stata pubblicata il 1° maggio) e verso le pretese di supremazia che esso avanzava sull’organizzazione comunista del Litorale, Kardelj ostentava sicurezza: “Sul problema del Litorale, si sa, [Massola] non è d’accordo. Comunque non conta […]. Lui parli pure – noi lavoreremo” <46.
La risposta tanto sollecitata alle richieste di Kardelj pervenne da Dimitrov il 3 agosto 1942, tramite una lettera a Tito di cui fu consegnata una copia a Massola due mesi dopo. È questo il documento attraverso cui il Komintern accoglieva in toto le istanze slovene e sanzionava un nuovo equilibrio, nei rapporti tra Kps e Pcd’I nel Litorale, a favore del primo: un equilibrio che, pur tra vicende alterne e tentativi di rinegoziazione da parte italiana, sarebbe sopravvissuto alla guerra per mantenersi tale fino al 1948. Vale la pena riportare per esteso il comunicato di Dimitrov: “Cc Slovenia e Cc Jugoslavia sono tenuti ad esigere dai compagni italiani il rendiconto della loro attività. Costituire gruppi di Kps nei rioni italiani d’un tempo, laddove vivono sloveni e croati – Istria, Trieste ed altrove. Sviluppare colà il movimento partigiano non è soltanto giusto, bensì pure urgente. Così pure è estremamente urgente che il tutto venga condotto a termine dal comando, in contatto con i compagni italiani, nella costituzione delle organizzazioni per la lotta partigiana ed antifascista in Istria, a Trieste ed a Fiume” <47.
Le istruzioni di Dimitrov riconoscevano senza equivoci l’egemonia del movimento comunista sloveno su quello italiano nella Venezia Giulia (anche ammettendo sue estensioni sui territori abitati da croati). Tali regioni, dal punto di vista delle strutture di partito, non dovevano più considerarsi di pertinenza italiana ma zona di operazioni del Kps. L’unica limitazione che si poneva era che ciò fosse svolto mantenendo il contatto con i compagni italiani. Si raccomandava che la direzione degli avvenimenti politici (scambio di giurisdizione tra i partiti) e militari (sviluppo del movimento partigiano) fosse assicurata al “comando”, a chi deteneva cioè il controllo militare della resistenza nella zona: vale a dire, appunto, l’Of e il Kps.
Se Stalin aveva manifestato nel dicembre 1941 una generica disponibilità a sottrarre all’Italia Trieste e gli altri suoi possedimenti nell’Adriatico orientale, la nota del Komintern del 3 agosto 1942 appare una misura coerente con questo orientamento di fondo <48. Si trattava di indirizzi che non tardarono ad avere ricadute pratiche sul territorio. Tra la fine del 1942 e la prima metà del 1943 il Kps stringeva una serie di accordi informali con il rappresentante del Pcd’I a Trieste, Vincenzo Marcon. Entrando a far parte del Consiglio nazionale di liberazione sloveno del Litorale (il governo partigiano della regione), Marcon introduceva il Pcd’I nelle strutture slovene eseguendo alla lettera il testo di Dimitrov. Negli stessi mesi, il Kps e il Pcd’I di Marcon gettavano le basi di Fratellanza operaia, l’organizzazione di massa binazionale che in seguito avrebbe preso il nome di Unità operaia e di Unione antifascista italoslava (Uais) <49. Nel frattempo, alla conferenza regionale del Kps del 4-5 dicembre 1942 il Litorale era di fatto riconosciuto come parte del nuovo Stato sloveno <50.

[NOTE]26 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 111.
27 E. Mark, Revolution by Degrees: Stalin’s National-Front Strategy for Europe 1941-1947, Cold War International History Project, Working Paper n. 31, Woodrow Wilson International Centre for Scholars, Washington D.C. 2001, p. 15.
28 Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., pp. 153-55. L’autore, che si basa sulla ricostruzione di Vid Vremec (Pinko Tomažič in drugi tržaški proces, Lipa e Založništvo tržaškega tiska, Koper 1989), anticipa di un anno l’attività del Kps e dell’Of nel Litorale rispetto a quanto afferma G. Fogar in Trieste in guerra. Società e Resistenza 1940-1945, Irsml-Fvg, Trieste 1999, pp. 73-74.
29 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 113.
30 Cit. in B. Godeša, I comunisti sloveni e la questione di Trieste nella Seconda guerra mondiale, ‘Qualestoria’, a. XXXV (2007), n. 1, pp. 119-32, in partic. p. 24.
31 Antifašističko vijeće narodnog oslobodjenia Jugoslavije (Avnoj), il supremo organo di rappresentanza del nuovo Stato rivoluzionario jugoslavo.
32 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 113. A questo rapporto dell’Of non presta attenzione il saggio di Godeša, pur incentrato sugli stessi problemi.
33 Comitato di liberazione nazionale dell’Istria, Il problema di Trieste. Realtà storica, politica, economica, Trieste 1954 (testo di C. Schiffrer).
34 Godeša, I comunisti sloveni cit., pp. 122, 125-26.
35 In nessun altro modo a mio parere si possono interpretare le parole di Kardelj: “Come città italiana Trieste rappresenterà un settore autonomo nazionalmente italiano […] annessa a quella repubblica sovietica a cui apparterrà l’entroterra triestino”. Lettera di Kardelj a Umberto Massola, seconda metà di marzo 1942, in Godeša, I comunisti sloveni cit., pp. 127-28.
36 La Dichiarazione assegnava un ruolo centrale al problema sloveno in previsione “del nuovo ciclo di guerre e rivoluzioni, di cui siamo alla vigilia”: cfr. supra.
37 A. Di Biagio, La teoria dell’inevitabilità della guerra, in F. Gori (a c. di), Il XX congresso del Pcus, Franco Angeli, Milano 1988; S. Pons, Stalin e la guerra inevitabile: 1936-1941, Einaudi, Torino 1995.
38 Ivi, pp. 127-28.
39 Nel gennaio 1942: Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 112; Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., pp. 162-63.
40 Lettera di Kardelj a Tito, 29 marzo 1942, in Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., ibidem.
41 Alla documentazione che attesta tali tentativi fa riferimento anche Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit. Ursini-Uršič parla esplicitamente di tentativi di “esportare il modello sloveno” in Italia e di “porre sotto il controllo di Tito, cioè del Kpj, l’attività del ‘centro interno’ del Pcd’I”: Attraverso Trieste cit., p. 164.
42 Lettera di Kardelj a Umberto Massola cit.
43 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 114.
44 Lettera di Kardelj a Umberto Massola cit.
45 Lettera di Kardelj a Tito, 29 marzo 1942 cit.
46 Lettera di Kardelj a Tito, 18 maggio 1942, cit. in Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., p. 165.
47 Il documento del Komintern è riportato in Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., p. 183. Qui anche la notizia del ritardo nella notifica a Massola. Commenti al testo anche in Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 112 e in Godeša, I comunisti sloveni cit., p. 127 (quest’ultimo con un’evidente forzatura interpretativa).
48 Durante il colloquio con il ministro degli Esteri della Gran Bretagna Anthony Eden: L.Ja. Gibjanskij, Mosca, il Pci e la questione di Trieste (1943-1948) in F. Gori, S. Pons (a c. di), Dagli archivi di Mosca, L’Urss, il Cominform e il Pci (1943-1951), Carocci, Roma 1998, pp. 85-133, in partic. p. 89.
49 Fogar, Trieste in guerra cit., pp. 129-30.
50 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 114.
Patrick Karlsen, Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale (1941-1955), Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2007-2008

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Il Komintern e la questione di Trieste bigarella.wordpress.com/2024/1…


Maribor (Slovenia). Foto: Janezdrilc. Fonte: Wikipedia

Dopo l’invasione della Slovenia da parte dell’Italia e della Germania nell’aprile 1941, tutte le forze politiche riunite nel Fronte di liberazione sloveno (Osvobodilna fronta – Of) si prefissero lo scopo della liberazione e unificazione della loro nazione. Tra queste anche il Kps, che all’interno dell’Of rappresentava la fazione più organizzata e influente. Già dalla fine del 1941 il Fronte aveva istituito una commissione interna per studiare i futuri confini della Slovenia, e il Comitato centrale (Cc) del Kps aveva dichiarato “irrinunciabili” le città di Maribor e Trieste <26. L’accentuazione patriottica nel Kps rispondeva alle direttive del Komintern dell’estate 1941, il quale per bocca di Georgij Dimitrov aveva impartito a tutti i partiti comunisti la linea da seguire dopo l’invasione tedesca dell’Urss: riedizione dei fronti popolari, costruzione di un ampio movimento di liberazione, insistenza sull’elemento nazionale e accantonamento della parola d’ordine della rivoluzione <27. Contemporaneamente, l’Of cercò di radicare la sua presenza su tutto il territorio da esso ritenuto sloveno. A questo fine, un membro del Kps fu inviato nell’agosto 1941 a Trieste e nel Litorale con l’incarico di prendere contatti con i superstiti aderenti al partito di Tomažič. Vennero così costituiti il Comitato regionale del Litorale e il Comitato cittadino del Kps e dell’Of per Trieste <28.
Sia per quanto riguarda la definizione delle rivendicazioni del Kps sul Litorale sloveno, sia per le misure pratiche che vennero ricercate e messe in campo allo scopo, l’anno-chiave può essere considerato il 1942.
Il 1° maggio il Cc del Kps, pressato sulla questione nazionale dalle ali di destra dell’Of, emanava una dichiarazione sui futuri confini sloveni: Trieste era considerata parte della nuova Jugoslavia, con uno status autonomo data la popolazione a maggioranza italiana. Il privilegio dell’autonomia non veniva concesso invece alle città italiane dell’Istria comprese nel Litorale sloveno (Muggia, Capodistria, Isola, Pirano) in quanto ritenute composte prevalentemente da immigrati <29. In questa dichiarazione, il Kps sosteneva che “alla Slovenia liberata e riunificata, oltre al territorio in cui vive la popolazione slovena, appartengono anche i territori snazionalizzati con la forza nell’ultimo periodo imperialista” <30. Per parte sua, l’Of acquisiva e rinforzava tali lineamenti: in un rapporto al Consiglio antifascista di liberazione nazionale della Jugoslavia <31, il confine occidentale della Slovenia fuoriusciva dal cosiddetto ‘territorio etnico sloveno’ per inglobare anche il triangolo esteso tra Ronchi e Monfalcone. L’espansione era giustificata con motivazioni di carattere strategico ed economico (legami dichiarati inscindibili tra Monfalcone e Trieste) <32. Erano rivendicazioni appoggiate sulla teoria della dipendenza delle città dalla campagna, e che trovavano persuasivi riscontri nel corpus dottrinario comunista. Quella che lo storico Carlo Schiffrer chiamava “teoria dei territori etnici compatti”, discendeva dalla predilezione dell’elemento contadino nell’individuazione dei caratteri fondativi della nazione ❤❤: una preferenza, come abbiamo visto, accordata dallo stesso Stalin nelle sue riflessioni sull’argomento. Non a caso un membro della commissione sui confini dell’Of, il geografo Anton Melik, spiegava che attorno a quel criterio erano stati tracciati i confini delle singole repubbliche in Unione Sovietica; e Joža Vilfan, avvocato triestino al quale era stato affidato uno studio analogo dal Kps, faceva perno su quelle tesi di Stalin per affermare l’appartenenza di Trieste al suo entroterra <34.
Ma a monte delle pretese territoriali del Kps, e dell’energia con cui venivano avanzate, oltre a queste di tipo teorico vi erano anche motivazioni strettamente politico-strategiche. Esse erano legate alla lettura che il partito dava del quadro politico europeo durante la guerra e delle sue possibili evoluzioni. Illuminanti a questo proposito sono alcune attestazioni di Edvard Kardelj, leader del Kps e numero due del Kpj, risalenti alla primavera-estate del 1942. In una lettera a Umberto Massola, allora rappresentante del Cc del Pcd’I presso il partito sloveno, Kardelj inquadrava l’argomentazione a favore dell’unione di Trieste a una Slovenia sovietica <35 all’interno di una visione strategico-ideologica ben strutturata: basata sulla prospettiva di un prossimo allargamento della rivoluzione in Germania e, quanto più possibile, nel resto del centro Europa. Tale prospettiva derivava dagli schemi ideologici elaborati nel movimento comunista internazionale tra le due guerre, schemi che avevano ispirato anche la Dichiarazione comune sul problema sloveno firmata dal Pcd’I, dal Kpj e dal Partito comunista austriaco nel 1934 <36. Essi erano figli dell’idea della ‘guerra inevitabile’ e della sua linea politica corrispondente, quella di ‘classe contro classe’; presupponevano un imminente inasprimento dei rapporti tra le potenze della coalizione antitedesca, giocato intorno all’alternativa capitale-anticapitale, in analogia con quanto avvenuto nella Prima guerra mondiale e lo scoppio della Rivoluzione d’ottobre <37. In questo scenario da tempo prefigurato, il problema della declinazione rivoluzionaria della questione nazionale slovena assumeva per Kardelj una valenza cruciale. Non si può attribuire a ragioni esclusivamente retoriche e strumentali il fatto che egli, nella lettera a Massola, presentasse la politica del Kps nel Litorale come un’applicazione dello slogan sull’autodecisione e unificazione della Slovenia enunciato nella Dichiarazione del 1934 <38. Essa, del resto, era stata confermata da Massola a nome del Pcd’I appena due mesi prima, con il Manifesto del Pcd’I per il diritto all’autodeterminazione e alla riunificazione del popolo sloveno <39. Proprio in virtù di quanto da essa previsto e pattuito, dalla primavera Kardelj iniziò a insistere sull’importanza che la lotta rivoluzionaria degli sloveni stava acquistando, finalmente su un piano concreto, per il futuro politico dell’Austria e dell’Italia. Come scrisse a Tito, “i comunisti sloveni hanno ricevuto l’ordine di scatenare la rivoluzione nel centro Europa” <40. Appoggiare e rinforzare l’estensione anche territoriale della loro lotta era interesse di tutto il movimento comunista internazionale. Se fosse riuscita a portare al distacco di intere regioni dal corpo nazionale dominante, infatti, essa avrebbe esasperato le contraddizioni tra la borghesia e il proletariato della nazione maggioritaria, trasformandosi in un poderoso incentivo alla rivoluzione. Da questo retroterra ideologico, prese avvio il tentativo perseguito dal Kpj di estendere la rivoluzione all’Italia, di far valere la propria preminenza nei confronti del Partito comunista italiano, e di incidere sulla sua linea politica (un tentativo destinato a durare fino alla rottura tra Stalin e Tito nel 1948) <41.
Nel contesto della guerra e dei rivolgimenti politico-sociali giudicati prossimi a venire, il possesso del porto di Trieste era visto dai comunisti sloveni come una delle questioni dirimenti. Chi controllava il porto, per il suo posizionamento strategico e per l’elevata concentrazione della sua classe operaia, era destinato a esercitare un’influenza decisiva sul suo entroterra, in gran parte agricolo. E ciò in un’ottica ideologica ‘classe contro classe’ che raggruppava, sin dalla prima metà del 1942, le potenze coinvolte nel conflitto in modo trasversale rispetto alle alleanze in campo. Nella stessa lettera, infatti, Kardelj scriveva a Massola: “A causa dell’atteggiamento filoinglese di gran parte della borghesia italiana, da una parte, e la debolezza dell’azione politica del proletariato italiano, dall’altra, esiste il pericolo che Trieste in futuro possa diventare il trampolino di lancio degli imperialisti reazionari inglesi […]. È chiaro che noi neutralizzeremo tutti questi tentativi – se sarà necessario – anche con le armi […]. Per quanto ci consentirà la nostra forza armata, non lasceremo Trieste a qualche governo reazionario italiano filoinglese, poiché per noi questa sarebbe una minaccia costante” <42.
È un atteggiamento che da lì in poi il Cc del Kps avrebbe ribadito con continuità. Un anno e mezzo più tardi, alla caduta di Mussolini l’eventualità di un’occupazione inglese di Trieste sarà temuta tanto quella di un’occupazione da parte dei tedeschi: “La questione se la Slovenia sarà libera ancor prima di una rivoluzione socialista nell’Europa occidentale, o se diventi, come retroterra di Trieste, colonia britannica, sarà risolta nelle vie di Trieste e quindi dobbiamo arrivare lì prima degli inglesi” <43.
Dal punto di vista sloveno, era questa complessa impostazione ideologica a presupporre la necessità che il Kps articolasse con efficacia e rapidità le sue posizioni nel Litorale. È opportuno sottolineare come questo obiettivo di espansione territoriale fosse concepito, ‘raccontato’ e indirizzato in virtù di categorie ideologiche del marxismo-leninismo; fosse cioè pubblicamente subordinato da Kardelj al superiore obiettivo internazionalista di allargare la rivoluzione all’Italia settentrionale e al centro Europa.
A questo punto, diveniva fondamentale che tali posizioni fossero ufficializzate dall’autorità cui veniva riconosciuta la competenza di stabilire le giurisidizioni e coordinare gli ambiti di azione dei diversi partiti comunisti: il Komintern. Già a Massola Kardelj aveva scritto: “Il Cc del Kpj […] ha automaticamente supposto che anche l’organizzazione politica triestina afferirà al Cc del Kps del Litorale” <44. Nello stesso mese di marzo il dirigente del Kpj faceva pressioni su Tito perché si rivolgesse al segretario del Komintern, Dimitrov, affinché questi inducesse i comunisti italiani a fissare i loro doveri rispetto al movimento comunista sloveno e croato nella Venezia Giulia. Egli sottolineava come un’organizzazione comunista dipendente dal Pcd’I non esistesse di fatto nella regione; faceva presente che il Cc del Kps (su richiesta di Massola) finanziava il ‘centro interno’ del Pcd’I con trentamila lire al mese e badava inoltre al sostentamento integrale di Massola stesso. Pertanto, Kardelj sosteneva che sarebbe stato opportuno rivendicare una forma di controllo da parte del Kps sul denaro versato al Pcd’I <45.
La realtà della presenza del Kps nel Litorale sloveno era riaffermata da Kardelj in un’altra lettera a Tito del 18 maggio: “Noi abbiamo ora lì […] un gran numero di comitati dell’Of, un distaccamento partigiano forte di circa 100 uomini […]. Negli ultimi tempi abbiamo rinnovato saldi legami nella stessa Trieste”. Circa le proteste di Massola verso le rivendicazioni sempre più precise del Kps su Trieste (la dichiarazione del partito sloveno sui futuri confini era stata pubblicata il 1° maggio) e verso le pretese di supremazia che esso avanzava sull’organizzazione comunista del Litorale, Kardelj ostentava sicurezza: “Sul problema del Litorale, si sa, [Massola] non è d’accordo. Comunque non conta […]. Lui parli pure – noi lavoreremo” <46.
La risposta tanto sollecitata alle richieste di Kardelj pervenne da Dimitrov il 3 agosto 1942, tramite una lettera a Tito di cui fu consegnata una copia a Massola due mesi dopo. È questo il documento attraverso cui il Komintern accoglieva in toto le istanze slovene e sanzionava un nuovo equilibrio, nei rapporti tra Kps e Pcd’I nel Litorale, a favore del primo: un equilibrio che, pur tra vicende alterne e tentativi di rinegoziazione da parte italiana, sarebbe sopravvissuto alla guerra per mantenersi tale fino al 1948. Vale la pena riportare per esteso il comunicato di Dimitrov: “Cc Slovenia e Cc Jugoslavia sono tenuti ad esigere dai compagni italiani il rendiconto della loro attività. Costituire gruppi di Kps nei rioni italiani d’un tempo, laddove vivono sloveni e croati – Istria, Trieste ed altrove. Sviluppare colà il movimento partigiano non è soltanto giusto, bensì pure urgente. Così pure è estremamente urgente che il tutto venga condotto a termine dal comando, in contatto con i compagni italiani, nella costituzione delle organizzazioni per la lotta partigiana ed antifascista in Istria, a Trieste ed a Fiume” <47.
Le istruzioni di Dimitrov riconoscevano senza equivoci l’egemonia del movimento comunista sloveno su quello italiano nella Venezia Giulia (anche ammettendo sue estensioni sui territori abitati da croati). Tali regioni, dal punto di vista delle strutture di partito, non dovevano più considerarsi di pertinenza italiana ma zona di operazioni del Kps. L’unica limitazione che si poneva era che ciò fosse svolto mantenendo il contatto con i compagni italiani. Si raccomandava che la direzione degli avvenimenti politici (scambio di giurisdizione tra i partiti) e militari (sviluppo del movimento partigiano) fosse assicurata al “comando”, a chi deteneva cioè il controllo militare della resistenza nella zona: vale a dire, appunto, l’Of e il Kps.
Se Stalin aveva manifestato nel dicembre 1941 una generica disponibilità a sottrarre all’Italia Trieste e gli altri suoi possedimenti nell’Adriatico orientale, la nota del Komintern del 3 agosto 1942 appare una misura coerente con questo orientamento di fondo <48. Si trattava di indirizzi che non tardarono ad avere ricadute pratiche sul territorio. Tra la fine del 1942 e la prima metà del 1943 il Kps stringeva una serie di accordi informali con il rappresentante del Pcd’I a Trieste, Vincenzo Marcon. Entrando a far parte del Consiglio nazionale di liberazione sloveno del Litorale (il governo partigiano della regione), Marcon introduceva il Pcd’I nelle strutture slovene eseguendo alla lettera il testo di Dimitrov. Negli stessi mesi, il Kps e il Pcd’I di Marcon gettavano le basi di Fratellanza operaia, l’organizzazione di massa binazionale che in seguito avrebbe preso il nome di Unità operaia e di Unione antifascista italoslava (Uais) <49. Nel frattempo, alla conferenza regionale del Kps del 4-5 dicembre 1942 il Litorale era di fatto riconosciuto come parte del nuovo Stato sloveno <50.

[NOTE]26 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 111.
27 E. Mark, Revolution by Degrees: Stalin’s National-Front Strategy for Europe 1941-1947, Cold War International History Project, Working Paper n. 31, Woodrow Wilson International Centre for Scholars, Washington D.C. 2001, p. 15.
28 Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., pp. 153-55. L’autore, che si basa sulla ricostruzione di Vid Vremec (Pinko Tomažič in drugi tržaški proces, Lipa e Založništvo tržaškega tiska, Koper 1989), anticipa di un anno l’attività del Kps e dell’Of nel Litorale rispetto a quanto afferma G. Fogar in Trieste in guerra. Società e Resistenza 1940-1945, Irsml-Fvg, Trieste 1999, pp. 73-74.
29 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 113.
30 Cit. in B. Godeša, I comunisti sloveni e la questione di Trieste nella Seconda guerra mondiale, ‘Qualestoria’, a. XXXV (2007), n. 1, pp. 119-32, in partic. p. 24.
31 Antifašističko vijeće narodnog oslobodjenia Jugoslavije (Avnoj), il supremo organo di rappresentanza del nuovo Stato rivoluzionario jugoslavo.
32 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 113. A questo rapporto dell’Of non presta attenzione il saggio di Godeša, pur incentrato sugli stessi problemi.
33 Comitato di liberazione nazionale dell’Istria, Il problema di Trieste. Realtà storica, politica, economica, Trieste 1954 (testo di C. Schiffrer).
34 Godeša, I comunisti sloveni cit., pp. 122, 125-26.
35 In nessun altro modo a mio parere si possono interpretare le parole di Kardelj: “Come città italiana Trieste rappresenterà un settore autonomo nazionalmente italiano […] annessa a quella repubblica sovietica a cui apparterrà l’entroterra triestino”. Lettera di Kardelj a Umberto Massola, seconda metà di marzo 1942, in Godeša, I comunisti sloveni cit., pp. 127-28.
36 La Dichiarazione assegnava un ruolo centrale al problema sloveno in previsione “del nuovo ciclo di guerre e rivoluzioni, di cui siamo alla vigilia”: cfr. supra.
37 A. Di Biagio, La teoria dell’inevitabilità della guerra, in F. Gori (a c. di), Il XX congresso del Pcus, Franco Angeli, Milano 1988; S. Pons, Stalin e la guerra inevitabile: 1936-1941, Einaudi, Torino 1995.
38 Ivi, pp. 127-28.
39 Nel gennaio 1942: Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 112; Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., pp. 162-63.
40 Lettera di Kardelj a Tito, 29 marzo 1942, in Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., ibidem.
41 Alla documentazione che attesta tali tentativi fa riferimento anche Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit. Ursini-Uršič parla esplicitamente di tentativi di “esportare il modello sloveno” in Italia e di “porre sotto il controllo di Tito, cioè del Kpj, l’attività del ‘centro interno’ del Pcd’I”: Attraverso Trieste cit., p. 164.
42 Lettera di Kardelj a Umberto Massola cit.
43 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 114.
44 Lettera di Kardelj a Umberto Massola cit.
45 Lettera di Kardelj a Tito, 29 marzo 1942 cit.
46 Lettera di Kardelj a Tito, 18 maggio 1942, cit. in Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., p. 165.
47 Il documento del Komintern è riportato in Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., p. 183. Qui anche la notizia del ritardo nella notifica a Massola. Commenti al testo anche in Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 112 e in Godeša, I comunisti sloveni cit., p. 127 (quest’ultimo con un’evidente forzatura interpretativa).
48 Durante il colloquio con il ministro degli Esteri della Gran Bretagna Anthony Eden: L.Ja. Gibjanskij, Mosca, il Pci e la questione di Trieste (1943-1948) in F. Gori, S. Pons (a c. di), Dagli archivi di Mosca, L’Urss, il Cominform e il Pci (1943-1951), Carocci, Roma 1998, pp. 85-133, in partic. p. 89.
49 Fogar, Trieste in guerra cit., pp. 129-30.
50 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 114.
Patrick Karlsen, Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale (1941-1955), Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2007-2008

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Maribor (Slovenia). Foto: Janezdrilc. Fonte: Wikipedia

Dopo l’invasione della Slovenia da parte dell’Italia e della Germania nell’aprile 1941, tutte le forze politiche riunite nel Fronte di liberazione sloveno (Osvobodilna fronta – Of) si prefissero lo scopo della liberazione e unificazione della loro nazione. Tra queste anche il Kps, che all’interno dell’Of rappresentava la fazione più organizzata e influente. Già dalla fine del 1941 il Fronte aveva istituito una commissione interna per studiare i futuri confini della Slovenia, e il Comitato centrale (Cc) del Kps aveva dichiarato “irrinunciabili” le città di Maribor e Trieste <26. L’accentuazione patriottica nel Kps rispondeva alle direttive del Komintern dell’estate 1941, il quale per bocca di Georgij Dimitrov aveva impartito a tutti i partiti comunisti la linea da seguire dopo l’invasione tedesca dell’Urss: riedizione dei fronti popolari, costruzione di un ampio movimento di liberazione, insistenza sull’elemento nazionale e accantonamento della parola d’ordine della rivoluzione <27. Contemporaneamente, l’Of cercò di radicare la sua presenza su tutto il territorio da esso ritenuto sloveno. A questo fine, un membro del Kps fu inviato nell’agosto 1941 a Trieste e nel Litorale con l’incarico di prendere contatti con i superstiti aderenti al partito di Tomažič. Vennero così costituiti il Comitato regionale del Litorale e il Comitato cittadino del Kps e dell’Of per Trieste <28.
Sia per quanto riguarda la definizione delle rivendicazioni del Kps sul Litorale sloveno, sia per le misure pratiche che vennero ricercate e messe in campo allo scopo, l’anno-chiave può essere considerato il 1942.
Il 1° maggio il Cc del Kps, pressato sulla questione nazionale dalle ali di destra dell’Of, emanava una dichiarazione sui futuri confini sloveni: Trieste era considerata parte della nuova Jugoslavia, con uno status autonomo data la popolazione a maggioranza italiana. Il privilegio dell’autonomia non veniva concesso invece alle città italiane dell’Istria comprese nel Litorale sloveno (Muggia, Capodistria, Isola, Pirano) in quanto ritenute composte prevalentemente da immigrati <29. In questa dichiarazione, il Kps sosteneva che “alla Slovenia liberata e riunificata, oltre al territorio in cui vive la popolazione slovena, appartengono anche i territori snazionalizzati con la forza nell’ultimo periodo imperialista” <30. Per parte sua, l’Of acquisiva e rinforzava tali lineamenti: in un rapporto al Consiglio antifascista di liberazione nazionale della Jugoslavia <31, il confine occidentale della Slovenia fuoriusciva dal cosiddetto ‘territorio etnico sloveno’ per inglobare anche il triangolo esteso tra Ronchi e Monfalcone. L’espansione era giustificata con motivazioni di carattere strategico ed economico (legami dichiarati inscindibili tra Monfalcone e Trieste) <32. Erano rivendicazioni appoggiate sulla teoria della dipendenza delle città dalla campagna, e che trovavano persuasivi riscontri nel corpus dottrinario comunista. Quella che lo storico Carlo Schiffrer chiamava “teoria dei territori etnici compatti”, discendeva dalla predilezione dell’elemento contadino nell’individuazione dei caratteri fondativi della nazione ❤❤: una preferenza, come abbiamo visto, accordata dallo stesso Stalin nelle sue riflessioni sull’argomento. Non a caso un membro della commissione sui confini dell’Of, il geografo Anton Melik, spiegava che attorno a quel criterio erano stati tracciati i confini delle singole repubbliche in Unione Sovietica; e Joža Vilfan, avvocato triestino al quale era stato affidato uno studio analogo dal Kps, faceva perno su quelle tesi di Stalin per affermare l’appartenenza di Trieste al suo entroterra <34.
Ma a monte delle pretese territoriali del Kps, e dell’energia con cui venivano avanzate, oltre a queste di tipo teorico vi erano anche motivazioni strettamente politico-strategiche. Esse erano legate alla lettura che il partito dava del quadro politico europeo durante la guerra e delle sue possibili evoluzioni. Illuminanti a questo proposito sono alcune attestazioni di Edvard Kardelj, leader del Kps e numero due del Kpj, risalenti alla primavera-estate del 1942. In una lettera a Umberto Massola, allora rappresentante del Cc del Pcd’I presso il partito sloveno, Kardelj inquadrava l’argomentazione a favore dell’unione di Trieste a una Slovenia sovietica <35 all’interno di una visione strategico-ideologica ben strutturata: basata sulla prospettiva di un prossimo allargamento della rivoluzione in Germania e, quanto più possibile, nel resto del centro Europa. Tale prospettiva derivava dagli schemi ideologici elaborati nel movimento comunista internazionale tra le due guerre, schemi che avevano ispirato anche la Dichiarazione comune sul problema sloveno firmata dal Pcd’I, dal Kpj e dal Partito comunista austriaco nel 1934 <36. Essi erano figli dell’idea della ‘guerra inevitabile’ e della sua linea politica corrispondente, quella di ‘classe contro classe’; presupponevano un imminente inasprimento dei rapporti tra le potenze della coalizione antitedesca, giocato intorno all’alternativa capitale-anticapitale, in analogia con quanto avvenuto nella Prima guerra mondiale e lo scoppio della Rivoluzione d’ottobre <37. In questo scenario da tempo prefigurato, il problema della declinazione rivoluzionaria della questione nazionale slovena assumeva per Kardelj una valenza cruciale. Non si può attribuire a ragioni esclusivamente retoriche e strumentali il fatto che egli, nella lettera a Massola, presentasse la politica del Kps nel Litorale come un’applicazione dello slogan sull’autodecisione e unificazione della Slovenia enunciato nella Dichiarazione del 1934 <38. Essa, del resto, era stata confermata da Massola a nome del Pcd’I appena due mesi prima, con il Manifesto del Pcd’I per il diritto all’autodeterminazione e alla riunificazione del popolo sloveno <39. Proprio in virtù di quanto da essa previsto e pattuito, dalla primavera Kardelj iniziò a insistere sull’importanza che la lotta rivoluzionaria degli sloveni stava acquistando, finalmente su un piano concreto, per il futuro politico dell’Austria e dell’Italia. Come scrisse a Tito, “i comunisti sloveni hanno ricevuto l’ordine di scatenare la rivoluzione nel centro Europa” <40. Appoggiare e rinforzare l’estensione anche territoriale della loro lotta era interesse di tutto il movimento comunista internazionale. Se fosse riuscita a portare al distacco di intere regioni dal corpo nazionale dominante, infatti, essa avrebbe esasperato le contraddizioni tra la borghesia e il proletariato della nazione maggioritaria, trasformandosi in un poderoso incentivo alla rivoluzione. Da questo retroterra ideologico, prese avvio il tentativo perseguito dal Kpj di estendere la rivoluzione all’Italia, di far valere la propria preminenza nei confronti del Partito comunista italiano, e di incidere sulla sua linea politica (un tentativo destinato a durare fino alla rottura tra Stalin e Tito nel 1948) <41.
Nel contesto della guerra e dei rivolgimenti politico-sociali giudicati prossimi a venire, il possesso del porto di Trieste era visto dai comunisti sloveni come una delle questioni dirimenti. Chi controllava il porto, per il suo posizionamento strategico e per l’elevata concentrazione della sua classe operaia, era destinato a esercitare un’influenza decisiva sul suo entroterra, in gran parte agricolo. E ciò in un’ottica ideologica ‘classe contro classe’ che raggruppava, sin dalla prima metà del 1942, le potenze coinvolte nel conflitto in modo trasversale rispetto alle alleanze in campo. Nella stessa lettera, infatti, Kardelj scriveva a Massola: “A causa dell’atteggiamento filoinglese di gran parte della borghesia italiana, da una parte, e la debolezza dell’azione politica del proletariato italiano, dall’altra, esiste il pericolo che Trieste in futuro possa diventare il trampolino di lancio degli imperialisti reazionari inglesi […]. È chiaro che noi neutralizzeremo tutti questi tentativi – se sarà necessario – anche con le armi […]. Per quanto ci consentirà la nostra forza armata, non lasceremo Trieste a qualche governo reazionario italiano filoinglese, poiché per noi questa sarebbe una minaccia costante” <42.
È un atteggiamento che da lì in poi il Cc del Kps avrebbe ribadito con continuità. Un anno e mezzo più tardi, alla caduta di Mussolini l’eventualità di un’occupazione inglese di Trieste sarà temuta tanto quella di un’occupazione da parte dei tedeschi: “La questione se la Slovenia sarà libera ancor prima di una rivoluzione socialista nell’Europa occidentale, o se diventi, come retroterra di Trieste, colonia britannica, sarà risolta nelle vie di Trieste e quindi dobbiamo arrivare lì prima degli inglesi” <43.
Dal punto di vista sloveno, era questa complessa impostazione ideologica a presupporre la necessità che il Kps articolasse con efficacia e rapidità le sue posizioni nel Litorale. È opportuno sottolineare come questo obiettivo di espansione territoriale fosse concepito, ‘raccontato’ e indirizzato in virtù di categorie ideologiche del marxismo-leninismo; fosse cioè pubblicamente subordinato da Kardelj al superiore obiettivo internazionalista di allargare la rivoluzione all’Italia settentrionale e al centro Europa.
A questo punto, diveniva fondamentale che tali posizioni fossero ufficializzate dall’autorità cui veniva riconosciuta la competenza di stabilire le giurisidizioni e coordinare gli ambiti di azione dei diversi partiti comunisti: il Komintern. Già a Massola Kardelj aveva scritto: “Il Cc del Kpj […] ha automaticamente supposto che anche l’organizzazione politica triestina afferirà al Cc del Kps del Litorale” <44. Nello stesso mese di marzo il dirigente del Kpj faceva pressioni su Tito perché si rivolgesse al segretario del Komintern, Dimitrov, affinché questi inducesse i comunisti italiani a fissare i loro doveri rispetto al movimento comunista sloveno e croato nella Venezia Giulia. Egli sottolineava come un’organizzazione comunista dipendente dal Pcd’I non esistesse di fatto nella regione; faceva presente che il Cc del Kps (su richiesta di Massola) finanziava il ‘centro interno’ del Pcd’I con trentamila lire al mese e badava inoltre al sostentamento integrale di Massola stesso. Pertanto, Kardelj sosteneva che sarebbe stato opportuno rivendicare una forma di controllo da parte del Kps sul denaro versato al Pcd’I <45.
La realtà della presenza del Kps nel Litorale sloveno era riaffermata da Kardelj in un’altra lettera a Tito del 18 maggio: “Noi abbiamo ora lì […] un gran numero di comitati dell’Of, un distaccamento partigiano forte di circa 100 uomini […]. Negli ultimi tempi abbiamo rinnovato saldi legami nella stessa Trieste”. Circa le proteste di Massola verso le rivendicazioni sempre più precise del Kps su Trieste (la dichiarazione del partito sloveno sui futuri confini era stata pubblicata il 1° maggio) e verso le pretese di supremazia che esso avanzava sull’organizzazione comunista del Litorale, Kardelj ostentava sicurezza: “Sul problema del Litorale, si sa, [Massola] non è d’accordo. Comunque non conta […]. Lui parli pure – noi lavoreremo” <46.
La risposta tanto sollecitata alle richieste di Kardelj pervenne da Dimitrov il 3 agosto 1942, tramite una lettera a Tito di cui fu consegnata una copia a Massola due mesi dopo. È questo il documento attraverso cui il Komintern accoglieva in toto le istanze slovene e sanzionava un nuovo equilibrio, nei rapporti tra Kps e Pcd’I nel Litorale, a favore del primo: un equilibrio che, pur tra vicende alterne e tentativi di rinegoziazione da parte italiana, sarebbe sopravvissuto alla guerra per mantenersi tale fino al 1948. Vale la pena riportare per esteso il comunicato di Dimitrov: “Cc Slovenia e Cc Jugoslavia sono tenuti ad esigere dai compagni italiani il rendiconto della loro attività. Costituire gruppi di Kps nei rioni italiani d’un tempo, laddove vivono sloveni e croati – Istria, Trieste ed altrove. Sviluppare colà il movimento partigiano non è soltanto giusto, bensì pure urgente. Così pure è estremamente urgente che il tutto venga condotto a termine dal comando, in contatto con i compagni italiani, nella costituzione delle organizzazioni per la lotta partigiana ed antifascista in Istria, a Trieste ed a Fiume” <47.
Le istruzioni di Dimitrov riconoscevano senza equivoci l’egemonia del movimento comunista sloveno su quello italiano nella Venezia Giulia (anche ammettendo sue estensioni sui territori abitati da croati). Tali regioni, dal punto di vista delle strutture di partito, non dovevano più considerarsi di pertinenza italiana ma zona di operazioni del Kps. L’unica limitazione che si poneva era che ciò fosse svolto mantenendo il contatto con i compagni italiani. Si raccomandava che la direzione degli avvenimenti politici (scambio di giurisdizione tra i partiti) e militari (sviluppo del movimento partigiano) fosse assicurata al “comando”, a chi deteneva cioè il controllo militare della resistenza nella zona: vale a dire, appunto, l’Of e il Kps.
Se Stalin aveva manifestato nel dicembre 1941 una generica disponibilità a sottrarre all’Italia Trieste e gli altri suoi possedimenti nell’Adriatico orientale, la nota del Komintern del 3 agosto 1942 appare una misura coerente con questo orientamento di fondo <48. Si trattava di indirizzi che non tardarono ad avere ricadute pratiche sul territorio. Tra la fine del 1942 e la prima metà del 1943 il Kps stringeva una serie di accordi informali con il rappresentante del Pcd’I a Trieste, Vincenzo Marcon. Entrando a far parte del Consiglio nazionale di liberazione sloveno del Litorale (il governo partigiano della regione), Marcon introduceva il Pcd’I nelle strutture slovene eseguendo alla lettera il testo di Dimitrov. Negli stessi mesi, il Kps e il Pcd’I di Marcon gettavano le basi di Fratellanza operaia, l’organizzazione di massa binazionale che in seguito avrebbe preso il nome di Unità operaia e di Unione antifascista italoslava (Uais) <49. Nel frattempo, alla conferenza regionale del Kps del 4-5 dicembre 1942 il Litorale era di fatto riconosciuto come parte del nuovo Stato sloveno <50.

[NOTE]26 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 111.
27 E. Mark, Revolution by Degrees: Stalin’s National-Front Strategy for Europe 1941-1947, Cold War International History Project, Working Paper n. 31, Woodrow Wilson International Centre for Scholars, Washington D.C. 2001, p. 15.
28 Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., pp. 153-55. L’autore, che si basa sulla ricostruzione di Vid Vremec (Pinko Tomažič in drugi tržaški proces, Lipa e Založništvo tržaškega tiska, Koper 1989), anticipa di un anno l’attività del Kps e dell’Of nel Litorale rispetto a quanto afferma G. Fogar in Trieste in guerra. Società e Resistenza 1940-1945, Irsml-Fvg, Trieste 1999, pp. 73-74.
29 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 113.
30 Cit. in B. Godeša, I comunisti sloveni e la questione di Trieste nella Seconda guerra mondiale, ‘Qualestoria’, a. XXXV (2007), n. 1, pp. 119-32, in partic. p. 24.
31 Antifašističko vijeće narodnog oslobodjenia Jugoslavije (Avnoj), il supremo organo di rappresentanza del nuovo Stato rivoluzionario jugoslavo.
32 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 113. A questo rapporto dell’Of non presta attenzione il saggio di Godeša, pur incentrato sugli stessi problemi.
33 Comitato di liberazione nazionale dell’Istria, Il problema di Trieste. Realtà storica, politica, economica, Trieste 1954 (testo di C. Schiffrer).
34 Godeša, I comunisti sloveni cit., pp. 122, 125-26.
35 In nessun altro modo a mio parere si possono interpretare le parole di Kardelj: “Come città italiana Trieste rappresenterà un settore autonomo nazionalmente italiano […] annessa a quella repubblica sovietica a cui apparterrà l’entroterra triestino”. Lettera di Kardelj a Umberto Massola, seconda metà di marzo 1942, in Godeša, I comunisti sloveni cit., pp. 127-28.
36 La Dichiarazione assegnava un ruolo centrale al problema sloveno in previsione “del nuovo ciclo di guerre e rivoluzioni, di cui siamo alla vigilia”: cfr. supra.
37 A. Di Biagio, La teoria dell’inevitabilità della guerra, in F. Gori (a c. di), Il XX congresso del Pcus, Franco Angeli, Milano 1988; S. Pons, Stalin e la guerra inevitabile: 1936-1941, Einaudi, Torino 1995.
38 Ivi, pp. 127-28.
39 Nel gennaio 1942: Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 112; Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., pp. 162-63.
40 Lettera di Kardelj a Tito, 29 marzo 1942, in Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., ibidem.
41 Alla documentazione che attesta tali tentativi fa riferimento anche Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit. Ursini-Uršič parla esplicitamente di tentativi di “esportare il modello sloveno” in Italia e di “porre sotto il controllo di Tito, cioè del Kpj, l’attività del ‘centro interno’ del Pcd’I”: Attraverso Trieste cit., p. 164.
42 Lettera di Kardelj a Umberto Massola cit.
43 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 114.
44 Lettera di Kardelj a Umberto Massola cit.
45 Lettera di Kardelj a Tito, 29 marzo 1942 cit.
46 Lettera di Kardelj a Tito, 18 maggio 1942, cit. in Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., p. 165.
47 Il documento del Komintern è riportato in Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., p. 183. Qui anche la notizia del ritardo nella notifica a Massola. Commenti al testo anche in Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 112 e in Godeša, I comunisti sloveni cit., p. 127 (quest’ultimo con un’evidente forzatura interpretativa).
48 Durante il colloquio con il ministro degli Esteri della Gran Bretagna Anthony Eden: L.Ja. Gibjanskij, Mosca, il Pci e la questione di Trieste (1943-1948) in F. Gori, S. Pons (a c. di), Dagli archivi di Mosca, L’Urss, il Cominform e il Pci (1943-1951), Carocci, Roma 1998, pp. 85-133, in partic. p. 89.
49 Fogar, Trieste in guerra cit., pp. 129-30.
50 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 114.
Patrick Karlsen, Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale (1941-1955), Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2007-2008

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Maribor (Slovenia). Foto: Janezdrilc. Fonte: Wikipedia

Dopo l’invasione della Slovenia da parte dell’Italia e della Germania nell’aprile 1941, tutte le forze politiche riunite nel Fronte di liberazione sloveno (Osvobodilna fronta – Of) si prefissero lo scopo della liberazione e unificazione della loro nazione. Tra queste anche il Kps, che all’interno dell’Of rappresentava la fazione più organizzata e influente. Già dalla fine del 1941 il Fronte aveva istituito una commissione interna per studiare i futuri confini della Slovenia, e il Comitato centrale (Cc) del Kps aveva dichiarato “irrinunciabili” le città di Maribor e Trieste <26. L’accentuazione patriottica nel Kps rispondeva alle direttive del Komintern dell’estate 1941, il quale per bocca di Georgij Dimitrov aveva impartito a tutti i partiti comunisti la linea da seguire dopo l’invasione tedesca dell’Urss: riedizione dei fronti popolari, costruzione di un ampio movimento di liberazione, insistenza sull’elemento nazionale e accantonamento della parola d’ordine della rivoluzione <27. Contemporaneamente, l’Of cercò di radicare la sua presenza su tutto il territorio da esso ritenuto sloveno. A questo fine, un membro del Kps fu inviato nell’agosto 1941 a Trieste e nel Litorale con l’incarico di prendere contatti con i superstiti aderenti al partito di Tomažič. Vennero così costituiti il Comitato regionale del Litorale e il Comitato cittadino del Kps e dell’Of per Trieste <28.
Sia per quanto riguarda la definizione delle rivendicazioni del Kps sul Litorale sloveno, sia per le misure pratiche che vennero ricercate e messe in campo allo scopo, l’anno-chiave può essere considerato il 1942.
Il 1° maggio il Cc del Kps, pressato sulla questione nazionale dalle ali di destra dell’Of, emanava una dichiarazione sui futuri confini sloveni: Trieste era considerata parte della nuova Jugoslavia, con uno status autonomo data la popolazione a maggioranza italiana. Il privilegio dell’autonomia non veniva concesso invece alle città italiane dell’Istria comprese nel Litorale sloveno (Muggia, Capodistria, Isola, Pirano) in quanto ritenute composte prevalentemente da immigrati <29. In questa dichiarazione, il Kps sosteneva che “alla Slovenia liberata e riunificata, oltre al territorio in cui vive la popolazione slovena, appartengono anche i territori snazionalizzati con la forza nell’ultimo periodo imperialista” <30. Per parte sua, l’Of acquisiva e rinforzava tali lineamenti: in un rapporto al Consiglio antifascista di liberazione nazionale della Jugoslavia <31, il confine occidentale della Slovenia fuoriusciva dal cosiddetto ‘territorio etnico sloveno’ per inglobare anche il triangolo esteso tra Ronchi e Monfalcone. L’espansione era giustificata con motivazioni di carattere strategico ed economico (legami dichiarati inscindibili tra Monfalcone e Trieste) <32. Erano rivendicazioni appoggiate sulla teoria della dipendenza delle città dalla campagna, e che trovavano persuasivi riscontri nel corpus dottrinario comunista. Quella che lo storico Carlo Schiffrer chiamava “teoria dei territori etnici compatti”, discendeva dalla predilezione dell’elemento contadino nell’individuazione dei caratteri fondativi della nazione ❤❤: una preferenza, come abbiamo visto, accordata dallo stesso Stalin nelle sue riflessioni sull’argomento. Non a caso un membro della commissione sui confini dell’Of, il geografo Anton Melik, spiegava che attorno a quel criterio erano stati tracciati i confini delle singole repubbliche in Unione Sovietica; e Joža Vilfan, avvocato triestino al quale era stato affidato uno studio analogo dal Kps, faceva perno su quelle tesi di Stalin per affermare l’appartenenza di Trieste al suo entroterra <34.
Ma a monte delle pretese territoriali del Kps, e dell’energia con cui venivano avanzate, oltre a queste di tipo teorico vi erano anche motivazioni strettamente politico-strategiche. Esse erano legate alla lettura che il partito dava del quadro politico europeo durante la guerra e delle sue possibili evoluzioni. Illuminanti a questo proposito sono alcune attestazioni di Edvard Kardelj, leader del Kps e numero due del Kpj, risalenti alla primavera-estate del 1942. In una lettera a Umberto Massola, allora rappresentante del Cc del Pcd’I presso il partito sloveno, Kardelj inquadrava l’argomentazione a favore dell’unione di Trieste a una Slovenia sovietica <35 all’interno di una visione strategico-ideologica ben strutturata: basata sulla prospettiva di un prossimo allargamento della rivoluzione in Germania e, quanto più possibile, nel resto del centro Europa. Tale prospettiva derivava dagli schemi ideologici elaborati nel movimento comunista internazionale tra le due guerre, schemi che avevano ispirato anche la Dichiarazione comune sul problema sloveno firmata dal Pcd’I, dal Kpj e dal Partito comunista austriaco nel 1934 <36. Essi erano figli dell’idea della ‘guerra inevitabile’ e della sua linea politica corrispondente, quella di ‘classe contro classe’; presupponevano un imminente inasprimento dei rapporti tra le potenze della coalizione antitedesca, giocato intorno all’alternativa capitale-anticapitale, in analogia con quanto avvenuto nella Prima guerra mondiale e lo scoppio della Rivoluzione d’ottobre <37. In questo scenario da tempo prefigurato, il problema della declinazione rivoluzionaria della questione nazionale slovena assumeva per Kardelj una valenza cruciale. Non si può attribuire a ragioni esclusivamente retoriche e strumentali il fatto che egli, nella lettera a Massola, presentasse la politica del Kps nel Litorale come un’applicazione dello slogan sull’autodecisione e unificazione della Slovenia enunciato nella Dichiarazione del 1934 <38. Essa, del resto, era stata confermata da Massola a nome del Pcd’I appena due mesi prima, con il Manifesto del Pcd’I per il diritto all’autodeterminazione e alla riunificazione del popolo sloveno <39. Proprio in virtù di quanto da essa previsto e pattuito, dalla primavera Kardelj iniziò a insistere sull’importanza che la lotta rivoluzionaria degli sloveni stava acquistando, finalmente su un piano concreto, per il futuro politico dell’Austria e dell’Italia. Come scrisse a Tito, “i comunisti sloveni hanno ricevuto l’ordine di scatenare la rivoluzione nel centro Europa” <40. Appoggiare e rinforzare l’estensione anche territoriale della loro lotta era interesse di tutto il movimento comunista internazionale. Se fosse riuscita a portare al distacco di intere regioni dal corpo nazionale dominante, infatti, essa avrebbe esasperato le contraddizioni tra la borghesia e il proletariato della nazione maggioritaria, trasformandosi in un poderoso incentivo alla rivoluzione. Da questo retroterra ideologico, prese avvio il tentativo perseguito dal Kpj di estendere la rivoluzione all’Italia, di far valere la propria preminenza nei confronti del Partito comunista italiano, e di incidere sulla sua linea politica (un tentativo destinato a durare fino alla rottura tra Stalin e Tito nel 1948) <41.
Nel contesto della guerra e dei rivolgimenti politico-sociali giudicati prossimi a venire, il possesso del porto di Trieste era visto dai comunisti sloveni come una delle questioni dirimenti. Chi controllava il porto, per il suo posizionamento strategico e per l’elevata concentrazione della sua classe operaia, era destinato a esercitare un’influenza decisiva sul suo entroterra, in gran parte agricolo. E ciò in un’ottica ideologica ‘classe contro classe’ che raggruppava, sin dalla prima metà del 1942, le potenze coinvolte nel conflitto in modo trasversale rispetto alle alleanze in campo. Nella stessa lettera, infatti, Kardelj scriveva a Massola: “A causa dell’atteggiamento filoinglese di gran parte della borghesia italiana, da una parte, e la debolezza dell’azione politica del proletariato italiano, dall’altra, esiste il pericolo che Trieste in futuro possa diventare il trampolino di lancio degli imperialisti reazionari inglesi […]. È chiaro che noi neutralizzeremo tutti questi tentativi – se sarà necessario – anche con le armi […]. Per quanto ci consentirà la nostra forza armata, non lasceremo Trieste a qualche governo reazionario italiano filoinglese, poiché per noi questa sarebbe una minaccia costante” <42.
È un atteggiamento che da lì in poi il Cc del Kps avrebbe ribadito con continuità. Un anno e mezzo più tardi, alla caduta di Mussolini l’eventualità di un’occupazione inglese di Trieste sarà temuta tanto quella di un’occupazione da parte dei tedeschi: “La questione se la Slovenia sarà libera ancor prima di una rivoluzione socialista nell’Europa occidentale, o se diventi, come retroterra di Trieste, colonia britannica, sarà risolta nelle vie di Trieste e quindi dobbiamo arrivare lì prima degli inglesi” <43.
Dal punto di vista sloveno, era questa complessa impostazione ideologica a presupporre la necessità che il Kps articolasse con efficacia e rapidità le sue posizioni nel Litorale. È opportuno sottolineare come questo obiettivo di espansione territoriale fosse concepito, ‘raccontato’ e indirizzato in virtù di categorie ideologiche del marxismo-leninismo; fosse cioè pubblicamente subordinato da Kardelj al superiore obiettivo internazionalista di allargare la rivoluzione all’Italia settentrionale e al centro Europa.
A questo punto, diveniva fondamentale che tali posizioni fossero ufficializzate dall’autorità cui veniva riconosciuta la competenza di stabilire le giurisidizioni e coordinare gli ambiti di azione dei diversi partiti comunisti: il Komintern. Già a Massola Kardelj aveva scritto: “Il Cc del Kpj […] ha automaticamente supposto che anche l’organizzazione politica triestina afferirà al Cc del Kps del Litorale” <44. Nello stesso mese di marzo il dirigente del Kpj faceva pressioni su Tito perché si rivolgesse al segretario del Komintern, Dimitrov, affinché questi inducesse i comunisti italiani a fissare i loro doveri rispetto al movimento comunista sloveno e croato nella Venezia Giulia. Egli sottolineava come un’organizzazione comunista dipendente dal Pcd’I non esistesse di fatto nella regione; faceva presente che il Cc del Kps (su richiesta di Massola) finanziava il ‘centro interno’ del Pcd’I con trentamila lire al mese e badava inoltre al sostentamento integrale di Massola stesso. Pertanto, Kardelj sosteneva che sarebbe stato opportuno rivendicare una forma di controllo da parte del Kps sul denaro versato al Pcd’I <45.
La realtà della presenza del Kps nel Litorale sloveno era riaffermata da Kardelj in un’altra lettera a Tito del 18 maggio: “Noi abbiamo ora lì […] un gran numero di comitati dell’Of, un distaccamento partigiano forte di circa 100 uomini […]. Negli ultimi tempi abbiamo rinnovato saldi legami nella stessa Trieste”. Circa le proteste di Massola verso le rivendicazioni sempre più precise del Kps su Trieste (la dichiarazione del partito sloveno sui futuri confini era stata pubblicata il 1° maggio) e verso le pretese di supremazia che esso avanzava sull’organizzazione comunista del Litorale, Kardelj ostentava sicurezza: “Sul problema del Litorale, si sa, [Massola] non è d’accordo. Comunque non conta […]. Lui parli pure – noi lavoreremo” <46.
La risposta tanto sollecitata alle richieste di Kardelj pervenne da Dimitrov il 3 agosto 1942, tramite una lettera a Tito di cui fu consegnata una copia a Massola due mesi dopo. È questo il documento attraverso cui il Komintern accoglieva in toto le istanze slovene e sanzionava un nuovo equilibrio, nei rapporti tra Kps e Pcd’I nel Litorale, a favore del primo: un equilibrio che, pur tra vicende alterne e tentativi di rinegoziazione da parte italiana, sarebbe sopravvissuto alla guerra per mantenersi tale fino al 1948. Vale la pena riportare per esteso il comunicato di Dimitrov: “Cc Slovenia e Cc Jugoslavia sono tenuti ad esigere dai compagni italiani il rendiconto della loro attività. Costituire gruppi di Kps nei rioni italiani d’un tempo, laddove vivono sloveni e croati – Istria, Trieste ed altrove. Sviluppare colà il movimento partigiano non è soltanto giusto, bensì pure urgente. Così pure è estremamente urgente che il tutto venga condotto a termine dal comando, in contatto con i compagni italiani, nella costituzione delle organizzazioni per la lotta partigiana ed antifascista in Istria, a Trieste ed a Fiume” <47.
Le istruzioni di Dimitrov riconoscevano senza equivoci l’egemonia del movimento comunista sloveno su quello italiano nella Venezia Giulia (anche ammettendo sue estensioni sui territori abitati da croati). Tali regioni, dal punto di vista delle strutture di partito, non dovevano più considerarsi di pertinenza italiana ma zona di operazioni del Kps. L’unica limitazione che si poneva era che ciò fosse svolto mantenendo il contatto con i compagni italiani. Si raccomandava che la direzione degli avvenimenti politici (scambio di giurisdizione tra i partiti) e militari (sviluppo del movimento partigiano) fosse assicurata al “comando”, a chi deteneva cioè il controllo militare della resistenza nella zona: vale a dire, appunto, l’Of e il Kps.
Se Stalin aveva manifestato nel dicembre 1941 una generica disponibilità a sottrarre all’Italia Trieste e gli altri suoi possedimenti nell’Adriatico orientale, la nota del Komintern del 3 agosto 1942 appare una misura coerente con questo orientamento di fondo <48. Si trattava di indirizzi che non tardarono ad avere ricadute pratiche sul territorio. Tra la fine del 1942 e la prima metà del 1943 il Kps stringeva una serie di accordi informali con il rappresentante del Pcd’I a Trieste, Vincenzo Marcon. Entrando a far parte del Consiglio nazionale di liberazione sloveno del Litorale (il governo partigiano della regione), Marcon introduceva il Pcd’I nelle strutture slovene eseguendo alla lettera il testo di Dimitrov. Negli stessi mesi, il Kps e il Pcd’I di Marcon gettavano le basi di Fratellanza operaia, l’organizzazione di massa binazionale che in seguito avrebbe preso il nome di Unità operaia e di Unione antifascista italoslava (Uais) <49. Nel frattempo, alla conferenza regionale del Kps del 4-5 dicembre 1942 il Litorale era di fatto riconosciuto come parte del nuovo Stato sloveno <50.

[NOTE]26 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 111.
27 E. Mark, Revolution by Degrees: Stalin’s National-Front Strategy for Europe 1941-1947, Cold War International History Project, Working Paper n. 31, Woodrow Wilson International Centre for Scholars, Washington D.C. 2001, p. 15.
28 Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., pp. 153-55. L’autore, che si basa sulla ricostruzione di Vid Vremec (Pinko Tomažič in drugi tržaški proces, Lipa e Založništvo tržaškega tiska, Koper 1989), anticipa di un anno l’attività del Kps e dell’Of nel Litorale rispetto a quanto afferma G. Fogar in Trieste in guerra. Società e Resistenza 1940-1945, Irsml-Fvg, Trieste 1999, pp. 73-74.
29 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 113.
30 Cit. in B. Godeša, I comunisti sloveni e la questione di Trieste nella Seconda guerra mondiale, ‘Qualestoria’, a. XXXV (2007), n. 1, pp. 119-32, in partic. p. 24.
31 Antifašističko vijeće narodnog oslobodjenia Jugoslavije (Avnoj), il supremo organo di rappresentanza del nuovo Stato rivoluzionario jugoslavo.
32 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 113. A questo rapporto dell’Of non presta attenzione il saggio di Godeša, pur incentrato sugli stessi problemi.
33 Comitato di liberazione nazionale dell’Istria, Il problema di Trieste. Realtà storica, politica, economica, Trieste 1954 (testo di C. Schiffrer).
34 Godeša, I comunisti sloveni cit., pp. 122, 125-26.
35 In nessun altro modo a mio parere si possono interpretare le parole di Kardelj: “Come città italiana Trieste rappresenterà un settore autonomo nazionalmente italiano […] annessa a quella repubblica sovietica a cui apparterrà l’entroterra triestino”. Lettera di Kardelj a Umberto Massola, seconda metà di marzo 1942, in Godeša, I comunisti sloveni cit., pp. 127-28.
36 La Dichiarazione assegnava un ruolo centrale al problema sloveno in previsione “del nuovo ciclo di guerre e rivoluzioni, di cui siamo alla vigilia”: cfr. supra.
37 A. Di Biagio, La teoria dell’inevitabilità della guerra, in F. Gori (a c. di), Il XX congresso del Pcus, Franco Angeli, Milano 1988; S. Pons, Stalin e la guerra inevitabile: 1936-1941, Einaudi, Torino 1995.
38 Ivi, pp. 127-28.
39 Nel gennaio 1942: Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 112; Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., pp. 162-63.
40 Lettera di Kardelj a Tito, 29 marzo 1942, in Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., ibidem.
41 Alla documentazione che attesta tali tentativi fa riferimento anche Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit. Ursini-Uršič parla esplicitamente di tentativi di “esportare il modello sloveno” in Italia e di “porre sotto il controllo di Tito, cioè del Kpj, l’attività del ‘centro interno’ del Pcd’I”: Attraverso Trieste cit., p. 164.
42 Lettera di Kardelj a Umberto Massola cit.
43 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 114.
44 Lettera di Kardelj a Umberto Massola cit.
45 Lettera di Kardelj a Tito, 29 marzo 1942 cit.
46 Lettera di Kardelj a Tito, 18 maggio 1942, cit. in Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., p. 165.
47 Il documento del Komintern è riportato in Ursini-Uršič, Attraverso Trieste cit., p. 183. Qui anche la notizia del ritardo nella notifica a Massola. Commenti al testo anche in Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 112 e in Godeša, I comunisti sloveni cit., p. 127 (quest’ultimo con un’evidente forzatura interpretativa).
48 Durante il colloquio con il ministro degli Esteri della Gran Bretagna Anthony Eden: L.Ja. Gibjanskij, Mosca, il Pci e la questione di Trieste (1943-1948) in F. Gori, S. Pons (a c. di), Dagli archivi di Mosca, L’Urss, il Cominform e il Pci (1943-1951), Carocci, Roma 1998, pp. 85-133, in partic. p. 89.
49 Fogar, Trieste in guerra cit., pp. 129-30.
50 Troha, Il movimento di liberazione sloveno cit., p. 114.
Patrick Karlsen, Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale (1941-1955), Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2007-2008

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Oggi, 6 ottobre, nel 1960


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Il film d'avventura americano Spartacus, diretto da Stanley Kubrick e interpretato da Kirk Douglas, è presentato in anteprima mondiale. La pellicola vincerà diversi Academy Awards, incluso quello come miglior attore non protagonista per Peter Ustinov.
@Storia
#otd

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Domani si rientra a Berlino dopo aver passato il weekend lungo a Lipsia.
Occasione: la festa nazionale della riunificazione, il 3/10.

Highlights (per chi non è in pellegrinaggio musicale nei luoghi di Bach): il memoriale ENORME della battaglia di Lipsia, che è una roba che dovrebbe trovarsi nei vocabolari alla voce "monumentale", e il museo dell'arte stampata.

Ci sono presse vecchie 100 anni o più ancora funzionanti e in effetti ancora usate dal museo stesso per stampare i propri poster e altri materiali. Ho avuto il culo di vederne due-tre azionate da un addetto. Meraviglie meccaniche, una complessità intricatissima per fondere sul momento intere frasi, comporre una pagina e stamparne centinaia di copie.

La voglia che mi viene di imparare a fare certe cose è fortissima. 😍

maps.app.goo.gl/iwshSbfiVH16sG…

#lipsia #leipzig #viaggi #viaggiaescopri #consiglidiviaggio



Quantum Wars. Al Senato Usa cresce l’interesse verso il rilevamento quantisti

@Notizie dall'Italia e dal mondo

[quote]Le Emerging Disruptive Technologies sono uno dei settori principali in cui si dipana il confronto tra gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Cinese, poiché esse sono potenzialmente in grado di sconvolgere i caratteri della guerra moderna, garantendo così un inestimabile vantaggio all’attore che per




Insomma, gli esempi di finzione burlesca che si possono estrarre dalle pagine dei memorialisti della Resistenza sono infiniti bigarella.wordpress.com/2024/1…


Anche Elsa Oliva racconta alcune delle sue imprese sottolineando di dover continuamente fingere, celare la sua vera natura dietro le apparenze della ragazza ingenua e sprovveduta durante le azioni compiute in clandestinità: “Ma di me chi può sospettare? Vesto come una collegiale con i libri di scuola sotto il braccio, pettino i capelli in due lunghe trecce che mi fanno un’aria da bambina impertinente. Mi lascio avvicinare da ufficiali tedeschi per carpire loro informazioni che a noi servono per poi agire contro di loro”. <531
La simulazione è un punto di forza di fronte al nemico perché questo non conosce la multiforme realtà partigiana: spesso diventa espediente indispensabile per sopperire alla mancanza di armi. Si veda questo esempio tratto da Mario Manzoni, in cui i partigiani minacciano di usare armi che non possiedono: “Individuata la cascina ci appostiamo e intimiamo di uscire. Nessuna risposta. Allora grido che se non escono entro un minuto lancio una granata (e chi ce l’ha?) che li farà saltare in aria. Siamo sicuri che sono all’interno perché li hanno visti entrare poco prima”. <532
L’impatto che il gruppo partigiano – poco equipaggiato di mezzi e uomini – non riesce a ottenere nella realtà viene colmato con la finzione. Decisamente teatrale è l’incontro tra partigiani e nazifascisti a Ponte Falmenta descritto da Mario Manzoni nella pagina seguente. Il gruppo partigiano organizza la propria discesa in modo quasi cinematografico, per dare al nemico l’idea di un movimento ben organizzato e ricco di armi, quando in realtà non è così: “Quando spunta una nostra macchina gli ufficiali tedeschi si assettano la divisa, convinti che si tratti dell’arrivo dei nostri ufficiali. Invece nella macchina, oltre che all’autista, c’è la nostra staffetta che annuncia, pomposamente, l’arrivo della nostra delegazione. Mentre scendo da una postazione, sulla strada si profila una lunga teoria di macchine in coda alla quale c’è un camion: intuisco la regia di Arca, al quale piacciono queste dimostrazioni come azioni psicologiche! I tedeschi accolgono i nostri con teutonica impassibilità, ma i repubblichini nascondono a fatica la loro meraviglia. Qualcuno di loro chiederà a tu per tu e più o meno scherzosamente a qualche nostro compagno come devono fare per venire con noi”. <533
La «regia» del comandante partigiano ha sortito l’effetto voluto, facendo vacillare la sicurezza dei repubblichini. Il fascista-tipo, nella narrazione, è sempre il raggirato, il sempliciotto beffato: mai che egli si renda conto delle finzioni attuate dai partigiani. In questo episodio narrato da Vandoni, i partigiani riescono a spostare un ferito grazie alla complicità divertita delle suore e delle infermiere dell’ospedale di Omegna: “In silenzio perfetto con la suora di turno per la notte, furono avvisate tutte le suore e le infermiere perché venissero tutte ad aiutare il trafugamento del tenentino, che viveva di Eucarestia e che era un po’ il beniamino di tutti. […] Bisognava evitare al personale, infermiere e suore, tutte svegliate e complici, una eventuale rappresaglia, per la loro collaborazione. Si scelse una stanza di sotto, con le finestre sbarrate da inferriate e con le armi in pugno, perché le suore potessero
affermare senza dire bugie che i ribelli erano armati, si rinchiusero dentro tutte, suore ed infermiere. […] La mattina dopo all’ospedale gli ammalati aspettavano invano che si facesse viva qualche suora […]. Furono chiamati i nazifascisti a constatare l’accaduto e questi maledirono quei vigliacchi di partigiani, che avevano avuto il coraggio di spaventare le povere suore e di trattarle a quel modo, proprio loro i difensori della religione. Quelle invece divertite ridevano dentro di sé […]”. <534
Si vede bene quale immagine dei fascisti – raggirati anche dalle candide suore – si delinei in questi episodi. Insomma, gli esempi di finzione burlesca che si possono estrarre dalle pagine dei memorialisti sono infinite. Ecco il finto assalto ai ponti della valle ossolana inventato dal partigiano “Moro” per far arrendere i Tedeschi, narrato da Bruno Francia: “Comprendendo che non bisognava lasciare al nemico il tempo di valutare le reali forze partigiane, Moro irruppe nel comando e incitando un’immediata decisione disse: «Il treno blindato non arriverà mai perché i miei uomini hanno fatto saltare il ponte. L’entrata delle valli è bloccata e voi siete circondati. Noi siamo in cinquecento. O vi arrendete subito o per voi è finita…» Impressionato, il nemico depose le armi”. <535
Un altro esempio è la candida Ester che, per svolgere i collegamenti da staffetta, viaggia in bici con la sporta piena di libri di scuola, raccontando al fascista, con un certo gusto, di essere andata da un’amica a studiare: “«Dove sta andando di bello?» mi chiede. «A casa, abito là», e indico un vago punto davanti a noi. «Cos’ha di bello nella sporta?» La sua è semplice curiosità, un modo per attaccare discorso. «Lettere di partigiani», rispondo ridendo. La verità è spesso la migliore bugia. «Caspita, interessante, vediamo un po’ queste lettere.» Allunga una mano, estrae uno dei libri e lo apre. […] Sudo freddo ma continuo nello scherzo. Lo sfoglia […]. «Cosa fa, li porta a spasso?» «Certo, hanno bisogno di un po’ d’aria, poverini, sempre chiusi in casa!» rispondo allegramente, poi preferisco puntualizzare: «No, sono andata da una mia amica a studiare; visto che non possiamo andare a scuola ogni tanto studiamo assieme, non vogliamo perdere l’anno». (Storie, lei è più grande di me e fa le magistrali.)” <536
La burla messa in scena tramite la finzione e il travestimento contribuisce a smorzare la tensione del pericolo, proprio come la risata liberatoria con cui molti di questi episodi si concludono. L’attenzione dei memorialisti punta sempre a far emergere non tanto il pericolo affrontato ma il gusto che si è provato nell’attuare personalmente l’azione. Questo è un elemento su cui riflettere. Il regime fascista aveva abituato le persone alla passività, all’obbedienza assoluta verso le decisioni del duce; di conseguenza, all’annullamento della propria persona. Con il partigianato invece i giovani ribelli riscoprono la possibilità di decidere per sé delle proprie azioni, del proprio futuro. Anzi, si può affermare che la dimensione partigiana abbia nella riscoperta della libertà di azione individuale uno dei suoi punti di forza. Il divertimento provato nell’orchestrare e attuare queste azioni deriva anche dalla riscoperta della propria individualità, dell’inventiva personale e libera di agire di fronte al nemico. È per questo che, nella narrazione di quei momenti, l’emozione predominante nell’animo dei protagonisti è la soddisfazione, il godimento personale piuttosto che la paura.

[NOTE]531 E. OLIVA, Ragazza partigiana, cit., p. 15.
532 M. MANZONI, Partigiani nel Verbano, cit., p. 57.
533 Ivi, p. 126.
534 A. VANDONI, Una vita per l’Italia (vita partigiana), cit., pp. 98-99.
535 B. FRANCIA, I garibaldini nell’Ossola, cit., p. 89.
536 E. MAIMERI PAOLETTI, La staffetta azzurra. Una ragazza nella Resistenza. Ossola 1944-1945, cit., pp. 124-125.
Sara Lorenzetti, Ricordare e raccontare. Memorialistica e Resistenza in Val d’Ossola, Tesi di Laurea, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” – Vercelli, Anno accademico 2008-2009

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#burle #fascisti #finzioni #letteratura #memorie #Ossola #partigiani #Resistenza #SaraLorenzetti #tedeschi #trucchi #Verbano




La Benita ha ritirato la querela a Canfora, che l'aveva definita "nazista nell'animo".
Dopo le consultazioni con i suoi avvocati si è resa conto che è vero, e che non può andare al processo a dirlo 🤣


📚Oggi #5ottobre è la Giornata Mondiale degli #Insegnanti!

Quest’anno l’Unesco, che ha istituito la giornata nel 1996, dedica l’iniziativa al tema “Valorizzare la voce degli insegnanti: verso un nuovo contratto sociale per l’istruzione”.




T’as qui en Histoire?


cristianobacchieri.com/blog/ta…
“T’as qui en Histoire?“, un podcast dedicato alla storia, creato e condotto da Stéphane Genêt, insegnante di storia e autore di libri sull’argomento.
Naturalmente, in francese 😉

@Storia
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@Podcast
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Assange a Strasburgo: “Oggi sono libero perché mi sono dichiarato colpevole di giornalismo”


Julian Assange è intervenuto all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE), tenutasi a Strasburgo, con le sue prime dichiarazioni da uomo libero. Una testimonianza che ha spinto la quasi totalità dei parlamentari a riconoscere Assange come prigioniero politico “Signor Presidente, stimati membri dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, signore e signori. […]L’esperienza dell’isolamento per anni in una […]


freeassangeitalia.it/assange-a…



🔴Julian Assange è intervenuto all'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa (PACE), tenutasi a Strasburgo, con le sue prime dichiarazioni da uomo libero.


HAITI. 70 persone massacrate dalle bande criminali


@Notizie dall'Italia e dal mondo
I membri della banda Gran Grif hanno usato fucili automatici per sparare alla popolazione, uccidendo almeno 70 persone, tra cui circa 10 donne e tre neonati.
L'articolo HAITI. 70 persone massacrate dallehttps://pagineesteri.it/2024/10/04/america-latina/haiti-70-persone-massacrate-dalle-bande-criminali/



Fincantieri consegna alla Marina Usa la nave litoranea Uss Beloit

@Notizie dall'Italia e dal mondo

[quote]C’è sempre più Italia tra i ranghi Us Navy, che vede aggiungersi alla propria flotta la Uss Beloit, costruita in collaborazione tra Fincantieri e Lockheed-Martin. La Beloit, 29sima del programma per le Navi litoranee da combattimento (Lcs) e 15esima della variante a progettazione monoscafo Freedom,



This is Behind the Blog, where we share our behind-the-scenes thoughts about how a few of our top stories of the week came together. This week, we discuss FOIAing after those racist pet-eating claims, the art and science of paywalling, and gambling with journalism.#BehindTheBlog


Mi fa piacere che anche a Lipsia le corse della S-Bahn vengano cancellate perché all'improvviso qualcuno si ammala.


Basterà l’accordo tra tra Eda e Bei per sostenere l’industria della difesa europea?

@Notizie dall'Italia e dal mondo

[quote]A piccoli, a tratti microscopici, passi, l’Unione europea si muove per rafforzare il proprio comparto industriale della Difesa. L’accordo stretto tra il Gruppo Banca europea per gli investimenti (Bei) e l’Agenzia Europea per la Difesa (Eda) si pone l’obiettivo di rafforzare le capacità



Da Trump a Salvini, da Meloni a Orbán: la politica nel nome di Dio


@Politica interna, europea e internazionale
Dio vuole che io sia il presidente. Lo ha fatto intendere Donald Trump all’indomani all’indomani del secondo tentativo di ucciderlo, subito lo scorso 15 settembre. Di una «grande battaglia per difendere l’identità della famiglia, difendere Dio» parlò anche Giorgia Meloni, un anno fa, in



La Russia fa causa alla multinazionale petrolifera Shell


@Notizie dall'Italia e dal mondo
Al centro della faccenda ci sarebbe l'impianto di Sakhalin, un'isola russa del pacifico le cui autorità, insieme al Ministero dell'energia e alla Gazprom Export hanno presentato regolare denuncia
pagineesteri.it/2024/10/04/var…



In this special podcast episode, we talk subscriber numbers, what people value, how to get our articles in front of people, and what we're looking to do next year.

In this special podcast episode, we talk subscriber numbers, what people value, how to get our articles in front of people, and what wex27;re looking to do next year.#Podcast



Un report racconta la marcia inarrestabile delle multinazionali


@Notizie dall'Italia e dal mondo
Il nuovo articolo di @valori@poliversity.it
Le multinazionali controllano il 30% del PIL mondiale, e non smettono di crescere. Un report mette nero su bianco le cifre
L'articolo Un report racconta la marcia inarrestabile delle multinazionali proviene da Valori.

valori.it/report-multinazional…



#NoiSiamoLeScuole questa settimana è dedicato a due scuole palermitane: l’Istituto Superiore “Majorana”, che con i fondi del #PNRR “Scuola 4.


La seconda carica dello Stato :
"...un po' di verità sarebbe una goccia d'acqua contro le bugie che la sinistra dice ai bambini"
È da capire, lui vorrebbe "revisionare" i libri di Storia perché parlano male del suo "eroe" #atestaingiu
Per cui, i libri di storia raccontano bugie, 🤬
e allora bisogna imporre a scuola il nuovo libro del fascista Italo #Bocchino
Brucio in piazza quel libro se lo danno a mia nipote.
Ormai così, alla luce del sole.
Neanche si nascondono più.
#OraeSempreResistenza


quattro link
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raid dell'aviazione sionista: massacro al campo di Nuseirat
https://x.com/gianlucamart1/status/1838579911654580627

l'unità investigativa di Al Jazeera, sugli abusi perpetrati dall'esercito sionista
youtu.be/kPE6vbKix6A?feature=s…

Sde Teiman is a torture site
theintercept.com/2024/08/09/is…

un Paese che vive di sangue
globalist.it/world/2024/09/28/…

#izrahell #izrahellterroriststate
#Gaza #Palestina #Palestine
#genocide #genocidio



Si saranno baciati? 🤔🤔🤔🤣🤣. Gente, ma vi rendete conto dove sono arrivati questi pennivendoli?



Le tasse agitano il Governo. Giorgetti: “Nella manovra chiederemo sacrifici a tutti”


@Politica interna, europea e internazionale
“Approveremo una Legge di Bilancio in cui saranno chiesti sacrifici a tutti”. Lo dice il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in un’intervista pubblicata ieri, giovedì 3 ottobre, dall’agenzia di stampa statunitense Bloomberg. Parole che hanno provocato fibrillazioni



Le grandi banche rischiano di farsi travolgere dalla crisi climatica


@Notizie dall'Italia e dal mondo
Il nuovo articolo di @valori@poliversity.it
Pubblicato il primo report sulle strategie di adattamento alla crisi climatica delle 50 più grandi banche globali. I dati sono impietosi
L'articolo Le grandi banche rischiano di farsi travolgere dalla crisi climatica valori.it/grandi-banche-adatta…



CGUE: Meta deve "minimizzare" l'uso dei dati personali per gli annunci pubblicitari
Con la sentenza odierna nella causa C-446/21 (Schrems contro Meta), la Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) ha dato pieno appoggio a una causa intentata contro Meta per il suo servizio Facebook.
mr04 October 2024
cjeu


noyb.eu/it/cjeu-meta-must-mini…



in merito alla dichiarazione da bullo di salvini. occorre spiegare come funziona il lavoro in italia, perché forse non tutti ce l'hanno chiaro. no chi è al potere perlomeno. nella ditta media italiana, da 10-12 dipendenti, dove lavorano dipendenti cronicamente sottopagati, un dipendente non riceve alcuna istruzione e viene messi a fare a caso le cose al momento del bisogno. se fa bene il merito è del suo capo. se sbaglia la colpa e sua, e il suo "responsabile" si posta e schiva il colpo che va assegno sul dipendente. forse avrebbe più senso chiedersi come venga controllato il lavoro svolto, specie in sub-appalto, in italia e quanto si spende per valorizzare le persone perché siano motivate e quanto per la loro istruzione e addestramento, oltreché quali e quanti strumenti siano forniti sul lavoro. riforme strutturali vere. anche se in italia è comunque un problema culturale di una classe imprenditoriale piccola e marcia. un po' come la qualità dei caffè che trovi nel bar medio italiano: tutti dilettanti. in italia è sempre al potere la generazione di quelli nati nel 1970, se non addirittura la generazione prima della mia e non c'è mai stato alcun cambio generazionale. non parlo anagraficamente: anche la meloni alla fine appartiene alla stessa cultura vecchia e decrepita. e a dire la verità un po' di colpa di tutto questo va pure alla politica estera USA... (anche se al momento è più battente la propaganda russa in italia)


la specie umana è più carente di altre di empatia. questo è corretto dirlo. altri confronti lasciano un po' il tempo che trovano. di certo non ha senso dire che "gli animali sonno meglio delle persone". ma occorre sfatare anche il mito che esista un gradino specifico chiamato anima tra uomo e resto degli animali. ogni specie ha sue caratteristiche. molte non hanno magari strumenti di intelligenza evoluta ma sicuramente provano emozioni e sofferenza, e le comunicano. occorrerebbe essere obiettivi, non ciechi, informati, quando si parla. di certo la bibbia non è una buona fonte per apprendere le caratteristiche del regno animale, uomo incluso. anche perché la bibbia nasce come manuale per un principe per amministrare saggiamente un popolo. è psicologia e gestione del potere concentrato. in sostanza è utile a chi deve imporre regole in una società sottosviluppata ma non educa correttamente le masse, anche perché per le masse ha lo scopo speculare di porle sotto il controllo del principe. è un manuale di governo. tecnicamente parlando. è una buona lettura per putin ma non per i suoi sudditi insomma. e lo dimostra il fatto che la gente lo legga senza neppure rendersene conto. anche ben libro, pure utile in ultima analisi se letto correttamente, questo lo concedo. una grande opera. usato però dagli assolutismi religiosi. valdesi & riformati ne fanno una lettura già più matura.


Uzeda, arriva nei cinema il docufilm “Do it yourself”


“Uzeda – Do it yourself” è un docufilm, realizzato dalla regista Maria Arena (e prodotto da DNA audiovisivi e dalla casa di produzione indipendente Point Nemo) che racconta la storia degli Uzeda, fondamentale alternative/math/noise rock band italiana, formatasi nel 1987, che ha tracciato il proprio percorso musicale senza scinderlo da quello umano, fortemente etico.... @Musica Agorà

iyezine.com/uzeda-arriva-nei-c…

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Recensione : Monos – “Road to Perversion” e quattro chiacchiere


Monos : la realtà vuole però che la band nasca da una folgorazione (probabilmente non di origine divina) avuta da Mr. Bonobo e Mr. Gorilla rispettivamente alla chitarra e alla batteria. La loro prima uscita è datata 2019 mentre il nuovo album è alle porte.

@Musica Agorà

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Khost – Many Things Afflict Us Few Things Console Us


I Khost sono un pianeta oscuro che vaga per lo spazio cerebrale mietendo vittime, portando con sé un rumorismo molto potente, e fatto di industrial, doom, drone, dark ambient, nosie geneticamente modificato e molto di più.
@Musica Agorà

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Sangiuliano: “Al telefono dissi a Boccia che non potevo nominare una donna incinta di me”


@Politica interna, europea e internazionale
La nomina “non la posso fare e il motivo tu lo conosci. E poi comunque non mi va di parlare al telefono”. “Perché il mio telefono in questo momento… Allora facciamo una cosa, io mi compero un altro telefonino domani, ti darò il numero e potremo



Shi Pei Pu cantante lirico cinese e spia, che si finse donna per venti anni


storicang.it/foto-del-giorno/s…

@Storia
@Storiaweb

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CISGIORDANIA. Massacro nel campo profughi di Tulkarem: uccisi 18 palestinesi


@Notizie dall'Italia e dal mondo
Un cacciabombardiere ha colpito la scorsa notte un caffè dove erano riuniti numerosi giovani. Sterminata una famiglia in una casa vicina. Israele sostiene di aver preso di mira un leader di Hamas, Zahi Awfi
L'articolo CISGIORDANIA. Massacro nel campo



I migranti climatici non esistono


@Notizie dall'Italia e dal mondo
Il nuovo articolo di @valori@poliversity.it
Oblò è un podcast di Valori.it che guarda al mondo là fuori. Questo mese intervistiamo Grammenos Mastrojeni, Segretario generale dell'Unione per il Mediterraneo
L'articolo I migranti climatici non esistono proviene da Valori.

valori.it/oblo-migranti-climat…