Bharat, un nuovo nome per l’India?
Il nuovo appellativo della Repubblica indiana trae le sue origini dalla tradizione vedica ed in particolare (secondo diversi autori) dai Rigveda, che riportavano come i Bharata fossero una delle tribù principali della pianura dell’Indo e del Gange nel secondo millennio avanti Cristo
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L’Azerbaigian piega gli armeni, abbandonati da Russia e Nato
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di Marco Santopadre
Pagine Esteri, 22 settembre 2023 – L’ennesimo assalto militare azero alla Repubblica di Artsakh è durato solo poche ore, tra il 19 e il 20 settembre, ma è bastato per costringere gli armeni alla resa.
Isolati e indeboliti da dieci mesi di assedio, durante i quali i nazionalisti azeri travestiti da “ecologisti” hanno bloccato il corridoio di Lachin (l’unico accesso dalla madrepatria all’enclave armena) impedendo il passaggio di cibo e medicinali, gli armeni del Nagorno-Karabakh non sono riusciti a tenere testa alle truppe di Baku armate da Turchiae Israele.
Pur di evitare un bagno di sangue, le autorità di Stepanakert – la capitale della piccola repubblica autoproclamata dagli armeni all’inizio degli anni ’90 all’interno del territorio dello stato azerbaigiano – hanno dovuto capitolare.
Ieri mattina, mentre le delegazioni dell’Artsakh e dell’Azerbaigian si incontravano a Yevlakh per definire i dettagli della resa e dello smantellamento della piccola repubblica armena, a Stepanakert numerosi testimoni hanno denunciato sparatorie e l’avanzata delle truppe azere, in violazione del cessate il fuoco varato il 20 settembre con la mediazione russa.
Inizialmente sembrava che il bilancio dell’ultimo attacco azero al Nagorno-Karabakh avesse provocato poche vittime, ma nelle ultime ore il bilancio è stato elevato a circa 200 morti e 400 feriti, per lo più appartenenti alle forze di autodifesa della Repubblica di Artsakh. Purtroppo il conteggio include anche alcune decine di civili.
Anche una pattuglia di soldati russi, appartenenti alla forza dispiegata da Mosca nel 2020 per monitorare il rispetto del cessate il fuoco raggiunto al termine del conflitto di 44 giorni durante il quale Baku ha ripreso la maggior parte dei territori persi agli inizi degli anni ’90, è caduta in un’imboscata dell’esercito azero nella zona di Dzhanyatag. Sotto il fuoco dei militari di Baku sarebbero morti ben 6 soldati di Mosca, tra cui il vicecomandante del contingente russo Ivan Kovgan. Il dittatore azero Aliyev si è ufficialmente scusato con il Cremlino ed ha sospeso il comandante delle truppe inviate in Nagorno-Karabakh in attesa dell’esito di un’inchiesta sull’accaduto.
Lo spettro della pulizia etnica
Le truppe russe hanno affermato di aver evacuato già migliaia di abitanti armeni della regione, e altre migliaia starebbero cercando di abbandonare l’enclave assediata per sottrarsi alle rappresaglie azere. Il difensore civico del Nagorno-Karabakh, Ghegham Stepanian, denuncia una “catastrofe”.
Secondo i termini dell’accordo imposto con le armi da Baku in quella che il regime di Aliyev ha ribattezzato “operazione antiterrorismo”, le forze di autodifesa dell’enclave armena devono consegnare le armi e cedere il controllo del territorio alle truppe azere. Di fatto la prospettiva è quella dello scioglimento dell’entità statuale autoproclamata ormai trent’anni fa dagli armeni dell’Azerbaigian. Si profila un esodo forzato verso l’Armenia dei circa 120 mila abitanti dell’enclave e l’azzeramento della millenaria presenza armena in territori che l’Unione Sovietica aveva deciso di trasformare in una Repubblica Autonoma annessa all’Azerbaigian e che poi, con lo sfaldamento dello stato socialista e in seguito a una sanguinosa guerra con Baku e la conseguente cacciata degli abitanti azeri, si era proclamata indipendente.
Il regime di Ilham Aliyev da una parte esulta per la sconfitta dei “terroristi” e il recupero della sovranità nazionale su tutto il territorio statale, dall’altra assicura che i diritti politici, civili, religiosi e culturali degli armeni saranno garantiti nel rispetto della Costituzione dell’Azerbaigian. Ma, ha avvisato il dittatore (al potere dal 2003 e preceduto da dieci anni di potere assoluto del padre), chi non accetterà di integrarsi dovrà andarsene, come hanno già fatto migliaia di armeni scappati o cacciati dai territori della Repubblica di Artsakh riconquistati da Baku nel 2020 e ripuliti etnicamente.
L’Armenia sempre più sola
La Repubblica Armena è di nuovo sotto shock per l’ennesima e storica disfatta e la consapevolezza di un isolamento quasi assoluto a livello internazionale che mette a rischio la sua stessa sopravvivenza. Il regime azero infatti ha già aggredito lo scorso anno il territorio dello stato armeno e rivendica apertamente il carattere azero di buona parte del suo territorio. Il casus belli è rappresentato dalla contesa per il raggiungimento della continuità territoriale tra l’Azerbaigian e una sua exclave – la Repubblica di Nakhchivan – separata dalla madrepatria da una larga striscia di territorio armeno. Per ottenere il collegamento con l’exclave Baku potrebbe pensare di impossessarsi di una porzione di Armenia approfittando della evidente debolezza di Erevan abbandonata dagli storici alleati e soverchiata dalla potenza militare ed economica di Baku.
Mentre l’Armenia ha davvero poco da offrire, negli ultimi anni l’Azerbaigian è diventato una potenza energetica emergente, sostenuta dalla Turchia e finanziata da una lunga lista di paesi che acquistano i suoi idrocarburi e che, pur solidarizzando con Erevan e criticando gli eccessi di Aliyev, si guardano bene dall’imporre sanzioni al regime di Baku.
Il governo dell’Armenia ha fatto di tutto pur di rimanere fuori dall’ennesimo scontro militare tra i cugini dell’Artsakh e gli azeri, temendo un’espansione dei combattimenti nel suo territorio. D’altronde ormai il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha riconosciuto l’appartenenza all’Azerbaigian del Nagorno-Karabakh, cedendo alle rivendicazioni di Baku.
Pashinyan ci ha tenuto, con varie dichiarazioni, a segnare le distanze con l’amministrazione dell’Artsakh e l’estraneità ai combattimenti – Erevan ha ritirato le sue ultime unità militari dall’enclave armena nel 2021 – accusando anzi “attori interni ed esterni” di voler coinvolgere il paese in un disastro.
«Se le forze di pace russe hanno avanzato la proposta di porre fine alle ostilità e di sciogliere l’esercito dell’Artsakh, significa che si sono completamente assunte l’obbligo di garantire la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh» ha affermato il primo ministro armeno. Secondo Pashinyan le forze di pace russe dovrebbero garantire condizioni adeguate affinché «gli armeni del Nagorno-Karabakh possano godere del pieno diritto di vivere nelle loro case e sul loro suolo».
Il tradimento russo
Tra Erevan e Mosca le relazioni non sono mai state così deteriorate, e in Armenia monta la rabbia per l’inerzia delle truppe russe di fronte all’ennesima aggressione militare azera preceduta dal micidiale assedio durato dieci mesi.
La Russia, impantanata in Ucraina, certo non desidera essere coinvolta in un conflitto nel Caucaso nonostante il patto militare con l’Armenia (sul cui territorio possiede una base militare) e l’impegno, assunto nel 2020 con il dispiegamento di 2000 peacekeepers nei territori contesi, a garantire il rispetto del cessate il fuoco.
Oltretutto Mosca ha sviluppato negli ultimi anni ottime relazioni economiche e anche militari con il regime di Ilham Aliyev, al quale Gazprom fornisce ogni anno 1 miliardo di tonnellate di gas che poi Baku rivende a caro prezzo ai paesi occidentali, gli stessi che dopo l’aggressione militare russa all’Ucraina hanno disdetto i contratti con la Russia e cercato fonti alternative di idrocarburi.
«L’Azerbaigian agisce sul proprio territorio, che l’Armenia ha riconosciuto quindi si tratta di un affare interno dell’Azerbaigian» ha detto il portavoce del Cremlino, Dimitrij Peskov, imitato da Vladimir Putin.
Il “voltafaccia” di Pashinyan
Dimitrij Medvedev, presidente del Consiglio di Sicurezza russo, sui social ha invece fatto intendere che l’Armenia merita il destino che la attende, colpevole di aver flirtato con la Nato.
Che il leader armeno abbia cercato a occidente il sostegno non più proveniente da Mosca è innegabile, d’altronde Pashinyan è diventato premier per la prima volta nel 2018 in seguito a dei moti di piazza filostatunitensi e filoeuropei. Ma la versione russa che punta il dito esclusivamente sulle responsabilità del premier armeno sorvolando su quelle del regime di Putin è quanto mai di parte.
Quando nel 2020 l’Azerbaigian ha aggredito l’Artsakh e le truppe armene, forte dei droni da bombardamento turchi Bayraktar e delle truppe addestrate da ufficiali di Ankara, l’intervento di Mosca impedì una disfatta totale, obbligando però Erevan ad affidarsi completamente alla Russia per non soccombere. Ma il tempo ha dimostrato che la Federazione Russa non aveva alcun interesse a difendere realmente l’Armenia e men che meno l’Artsakh, e non ha mosso un dito per bloccare le ulteriori aggressioni azere. Mosca non è intervenuta a sostegno di Erevan neanche quando, nel settembre 2022, Baku ha attaccato direttamente la Repubblica Armena e questa ha chiesto l’intervento dell’Organizzazione del trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO), un’alleanza militare regionale guidata dalla Russia che oltretutto con Erevan ha un accordo militare di difesa mutua.
Negli ultimi mesi, mentre l’inerzia russa convinceva Baku che era venuto il momento di tentare la spallata finale, Pashinyan e i suoi ministri hanno iniziato a cercare un’alternativa all’inefficace scudo russo, irritando però ancora di più Putin senza al tempo stesso garantirsi una difesa efficace da parte dei nuovi alleati, cioè gli Stati Uniti e la Francia, ma anche l’India e l’Iran.
Quando l’11 settembre una manciata di militari armeni ha iniziato ad addestrarsi insieme a un numero equivalente di soldati statunitensi, il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov ha dichiarato che le esercitazioni (le “Eagles Partner 2023“) congiunte con un paese della Nato violavano lo “spirito” del partenariato militare con Mosca. Pochi giorni prima, Erevan ha ritirato il proprio rappresentante presso il CSTO accusando il blocco militare di complicità oggettiva con l’Azerbaigian, mentre la moglie di Pashinyan visitava Kiev, l’Armenia inviava aiuti umanitari simbolici all’Ucraina e avviava l’iter di adesione alla Corte Penale Internazionale. Per tutta risposta la Russia ha convocato l’ambasciatore armeno per illustrare le proprie rimostranze.
Nel frattempo l’Azerbaigian ha ammassato per settimane le proprie truppe a ridosso dell’Artsakh, facendo poi scattare i bombardamenti e le incursioni. Putin ha lasciato fare. Forse a Mosca sperano che l’isolamento di Pashinyan e i suoi errori gli costino la carica di primo ministro, magari a vantaggio di un personaggio più vicino ai propri interessi. Ma nel paese il risentimento nei confronti della Russia non ha mai raggiunto livelli così alti e comunque Mosca ha lasciato deteriorare la situazione a tal punto, con la situazione in Nagorno-Karabakh ormai irrimediabilmente compromessa, da avere ormai davvero poco da offrire agli armeni.
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Manifestazioni e scontri a Erevan
Mentre in Azerbaigian la folla nazionalista esulta sventolando bandiere turche e russe, nella capitale armena si susseguono le manifestazioni e gli scontri, con relativi feriti e arresti. Da martedì decine di migliaia di persone, aderenti a movimenti nazionalisti o a partiti di opposizione, al grido di “vergogna” e “assassini” assediano la sede del parlamento e del governo armeni, oltre che la sede diplomatica di Mosca, chiedendo le dimissioni di Nikol Pashinyan e un intervento deciso a favore degli armeni dell’Artsakh.
Per impedire l’ingresso dei dimostranti nelle sedi istituzionali, la polizia in assetto antisommossa ha operato numerosi arresti e ha fatto uso di granate stordenti. Alcuni manifestanti impugnano le bandiere degli Stati Uniti o dell’Unione Europea, della Georgia e della Francia, riponendo false speranze in paesi che, dichiarazioni a parte, non hanno mosso un dito per bloccare l’ennesima offensiva azera.
L’UE protesta con Baku ma pensa al gas
Non sono mancate le dichiarazioni di condanna nei confronti delle mosse di Baku da parte del responsabile della politica estera dell’UE, Josep Borrell, o del Dipartimento di Stato di Washington, o da parte del governo francese. Ma nessuna misura concreta è stata fin qui varata da nessun governo occidentale per convincere il regime di Aliyev a rinunciare all’aggressione militare o alle prevedibili operazioni di pulizia etnica in Nagorno-Karabakh, suscitando la delusione del ministro degli Esteri armeno, mentre l’ambasciatore Edmon Marukyan ha accusato esplicitamente UE e Stati Uniti di essere responsabili della tragedia in corso nell’enclave armena dell’Azerbaigian.
Mentre in numerosi parlamenti europei ed in quello di Strasburgo crescono le richieste di sanzioni nei confronti di Baku, è evidente che l’UE non ha nessun interesse a vararle, anzi.
Lo scorso anno Bruxelles ha siglato un accordo con Baku per raddoppiare entro il 2027 le forniture di gas che, estratto nel Caucaso meridionale, arriva a Melendugno attraverso il TAP. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si è impegnata personalmente per accaparrarsi le forniture azere e poter tagliare quindi quelle russe. Volata a Baku per siglare l’accordo nel luglio scorso, von der Leyen ha descritto l’Azerbaigian come «un partner affidabile e degno di fiducia» sorvolando sulla violazione sistematica dei diritti umani e politici da parte del regime e sul militarismo e lo sciovinismo nei confronti degli armeni.
Nell’ultimo anno in Italia la quota di gas proveniente dall’Azerbaigian è già aumentata dal 10 al 15,1%, eguagliando le importazioni dall’Algeria. Baku ha nel frattempo aumentato gli introiti delle esportazioni di idrocarburi da 20 a 35 miliardi di euro; di questi ben 16,5 provengono dall’Italia. E poi c’è tutto il capitolo degli armamenti: grazie ai crescenti introiti dell’industria petrolifera il regime di Aliyev negli ultimi anni ha fatto il pieno di armi turche e israeliane, ma anche americane ed europee (e russe). – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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“Agenda del 25 settembre”
Qui tutte le informazioni agli eventi di oggi 25 settembre ai quali prenderò parte assodpo.it/programma-congresso ; privacyweek.it/event/opening-c… istitutoitalianoprivacy.it/202…
RUSSIA-UCRAINA. Seymour Hersh: “L’esercito di Zelenskyj non può più vincere”
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Di Seymour Hersh*– 23 Settembre 2023 Modern Diplomacy
Martedì prossimo sarà l’anniversario della distruzione di tre dei quattro gasdotti Nord Stream 1 e 2 da parte dell’amministrazione Biden. Avrei altro da dire al riguardo, ma dovrò aspettare. Perché? Perché la guerra tra Russia e Ucraina, con la Casa Bianca che continua a respingere qualsiasi discorso di cessate il fuoco, è a un punto di svolta.
Ci sono valutazioni di rilievo nella comunità dell’intelligence americana, fondate su rapporti sul campo, che indicano che il demoralizzato esercito ucraino abbia rinunciato alla possibilità di superare le linee di difesa russe a tre livelli, pesantemente minate, e di portare la guerra in Crimea e nelle quattro oblast sequestrate e annesse alla Russia.
La realtà è che il malconcio esercito di Volodymyr Zelenskyj non ha più alcuna possibilità di vittoria.
La guerra continua, mi è stato detto da un funzionario statunitense con accesso all’intelligence, perché Zelenskyj insiste che sia così. Nel suo quartier generale e alla Casa Bianca di Biden non si discute di un cessate il fuoco e non c’è interesse per colloqui che possano portare alla fine del massacro. “Sono tutte bugie”, ha detto il funzionario, parlando delle affermazioni ucraine di progressi incrementali nell’offensiva che ha causato perdite sconcertanti guadagnando terreno in alcune aree che l’esercito ucraino misura in metri a settimana.
“Ci sono state alcune penetrazioni iniziali ucraine nei giorni di avvio dell’offensiva di giugno”, ha detto il funzionario, “vicino” alla prima delle tre formidabili barriere di difesa di cemento della Russia. “I russi si sono ritirati per risucchiarli. Poi (i soldati ucraini) sono stati tutti uccisi”. Dopo settimane di perdite elevate e scarsi progressi, insieme a terribili perdite di carri armati e veicoli blindati, i principali elementi dell’esercito ucraino, senza dichiararlo hanno di fatto annullato l’offensiva. I due villaggi che l’esercito ucraino ha recentemente affermato di aver catturato “sono così piccoli che non potrebbero stare tra due segnali Burma-Shave”.
Il messaggio di Zelenskyj di questa settimana all’Assemblea generale annuale delle Nazioni Unite a New York non ha offerto molte novità e, secondo quanto riportato dal Washington Post, ha ricevuto uno scontato “caloroso benvenuto” da parte dei presenti. Ma, osserva il Post, “ha pronunciato il suo discorso davanti a una sala piena a metà, con molte delegazioni che hanno rifiutato di presentarsi per ascoltare ciò che aveva da dire”. I leader di alcune nazioni in via di sviluppo, aggiunge il rapporto, erano “frustrati” dal fatto che i numerosi miliardi spesi senza responsabilità dall’Amministrazione Biden per finanziare la guerra in Ucraina hanno diminuito il sostegno alle loro lotte contro la povertà e il riscaldamento gobale e per garantire una vita più sicura ai propri cittadini.
In precedenza il presidente Biden rivolgendosi all’Assemblea Generale, non ha affrontato la pericolosa posizione dell’Ucraina nella guerra con la Russia ma ha rinnovato il suo schietto sostegno all’Ucraina. Biden con l’aiuto del segretario di stato Blinken e del consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan – ma con un appoggio in diminuzione altrove in America – ha trasformato il suo incessante sostegno finanziario e morale alla guerra in Ucraina in una questione di vita o di morte per la sua rielezione.
Il funzionario dell’intelligence americana con il quale ho parlato, ha trascorso i primi anni della sua carriera lavorando contro la minaccia sovietica e facendo spionaggio, rispetta l’intelligenza di Putin ma disprezza la sua decisione di entrare in guerra con l’Ucraina e di dare inizio alla morte e alla distruzione che causa ogni conflitto. Mi ha detto, “La guerra è finita. La Russia ha vinto. Non c’è più alcuna offensiva ucraina, ma la Casa Bianca e i media americani devono continuare a mentire. La verità è che se all’esercito ucraino venisse ordinato di continuare l’offensiva, si ammutinerebbe. I soldati non sono più disposti a morire, ma questo non si adatta alle cazzate scritte dalla Casa Bianca di Biden”.
*E’ un famoso giornalista investigativo americano, autore di 11 libri. Ha ottenuto il riconoscimento nel 1969 per aver denunciato il massacro di civili inermi a My Lai e il suo insabbiamento da parte degli Stati uniti durante la guerra del Vietnam. Per quella rivelazione ha ricevuto nel 1970 il Premio Pulitzer. Nel 2004, ha dettagliato torture e abusi compiuti dai militari Usa sui prigionieri ad Abu Ghraib in Iraq. Nel 2013 Hersh rivelò che le forze ribelli siriane, piuttosto che il governo, avevano attaccato i civili con gas sarin a Ghouta. Nel 2015 ha dato un resoconto alternativo del raid statunitense in Pakistan che uccise Osama bin Laden.
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PRIVACYDAILY
Fossilization live 2023
Fossilization da Brasile live in Barrios Milano 18/9
Fossilization live 2023
Fossilization da Brasile live in Barrios Milano 18/9GRAZIE A ROBY TUTTI PAZZICiao! Grazie per aver visto questo videoIL NOSTRO CANALEQuesto è il nostro canal...YouTube
Le classifiche delle migliori università del mondo lasciano il tempo che trovano
@Universitaly: università & universitari
Nonostante l’indubbia attenzione che ottengono, però, queste classifiche sono da anni molto criticate. Un po’ perché si basano su criteri arbitrari, che riflettono poco la moltitudine di ruoli sociali e culturali che le università svolgono sul territorio. Un po’ perché sono progettate quasi sempre sulla base del sistema d’istruzione inglese e statunitense, che riflette male come funzionano le università nel resto del mondo. Un po’, semplicemente, perché non è chiaro a cosa servano, se non a indirizzare attenzione e fondi verso le società che le stilano e le università che figurano ai primi posti.
L'articolo di @Viola Stefanello 👩💻 è qui su Il Post
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Ieri la Commissione Europea pubblica, e poi annulla la pubblicazione della sua propaganda a chatcontrol
A quanto pare, la Commissione Europea sta preparando altro materiale per promuovere la proposta #chatcontrol, ma ha deciso di non pubblicarlo per ragioni sconosciute (anche se il ritardo del voto del Consiglio sembra la causa più probabile).
Ma la cache di Google è implacabile: (archiviato qui)
Grazie a @onrust per aver riportato la notizia (qui il suo post su mastodon)
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Decreti grancassa
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L'articolo Decreti grancassa proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Papà invia foto di suo figlio nudo via Gmail e il suo account Google viene bloccato per sempre: notizia dell'anno scorso, ma fa capire bene le implicazioni del regolamento europeo CHATCONTROL
'era una volta un padre che usava Google per tutto: e-mail, calendario, foto, login. Ma poi ha condiviso foto di suo figlio nudo con il medico dei loro figli tramite Gmail. Il suo account Google è stato bloccato. È stato segnalato per la distribuzione di materiale pedopornografico o CSAM (acronimo di child sexual abuse material). Anche se l'indagine è stata rapidamente chiusa, il blocco di Google è rimasto in vigore. Questo padre ha perso l'accesso ad anni di conversazioni e-mail, voci di calendario, foto e altro ancora. Questo esempio dimostra quanto sia dannosa la scansione di materiale CSA. Abbiamo invece bisogno di sicurezza e privacy online!
L'incidente descritto sopra è avvenuto durante la pandemia di COVID, con la chiusura di molti studi medici. Tra i primi a parlarne, il New York Times.
Google gestisce un sistema automatico per analizzare ogni messaggio inviato alla ricerca di potenziale materiale pedopornografico (CSAM).
Ad oggi, questo sistema è volontario, ma l'UE vuole rendere obbligatoria la scansione lato client per la ricerca di materiale CSAM, il che rappresenterebbe una devastante intrusione nella privacy di tutti.
I sistemi di riconoscimento di contenuti sono soggetti a errori e possono rovinare la vita digitale e quella reale degli utenti
Da specificare che non ha mandato "foto del figlio nudo" (che potrebbe essere grave) ma ha fatto una domanda medica al proprio pediatra inviando una foto dettagliata. Non a caso è stato scagionato immediatamente dalle autorità competenti.
Purtroppo Google è completamente gestito da bot e non è possibile contattare un umano per una revisione manuale, il ban in questi casi è permanente perché i bot vedono che c'è un pene nella foto e non possono capire il contesto medico.
Dare ad aziende come Google un obbligo del genere è follia
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> Da specificare che non ha mandato "foto del figlio nudo" (che potrebbe essere grave
)
Tu dici che non è il titolo giusto, ma in realtà quel titolo mette subito il lettore in condizione di pensare che quel padre sia colpevole e in tal modo si capisce il senso di #chatcontrol: tu mandi un messaggio che credi essere riservato e il sistema lo intercetta senza mandato di alcun magistrato, lo interpreta come un messaggio CSAM e fine della storia.
Nel caso migliore tu passi una brutta settimana, ma poi ti si sistema tutto e fai finta che non sia successo nulla, che è la specialità che ogni suddito sviluppa per sopravvivere.
Nel caso peggiore passi i guai, perdi tutto e magari si viene anche a sapere in giro che mandi foto di bambini nudi.
Eh no, mi dispiace, ma il titolo è giusto
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Tutto questo però non rende questo tipo di provvedimenti più digeribili: chi se ne frega dell'interesse delle aziende quando vengono messi a rischio i diritti delle persone!
Tekomepossenomo likes this.
L'eurodeputato Pirata Patrick Breyer invia il proprio augurio e sostegno ai manifestanti del Privacy Pride
peertube.uno/w/r7oLe7rwNUWL6NU…Patrick Breyer europarlamentare del Partito Pirata Europeo, invia un messaggio di saluto agli italiani che partecipano al Privacy Pride: "La vostra manifestazione è un importante supporto per chi, al Parlamento Europeo, sta combattendo per difendere i diritti fondamentali, il diritto alla privacy e ai messaggi confidenziali"
Ringraziamo @Patrick Breyer per il suo supporto alla nostra battaglia contro #chatcontrol e a favore della #privacy e rilanciamo il suo invito!
"chiedete al governo italiano di non appoggiare la proposta #ChatControl, contattate gli europarlamentari italiani che il mese prossimo voteranno su questa proposta e chiedete loro di rispettare il vostro diritto alla privacy e di intraprendere misure mirate, efficaci e rispettose dei diritti, per proteggere i bambini!"
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PRIVACYDAILY
Parere 7/2020 a cura del Garante europeo della protezione dei dati (EDPS - European Data Protection Supervisor) sulla proposta di deroghe temporanee alla direttiva 2002/58/CE al fine di combattere gli abusi sessuali sui minori online
Il parere in oggetto è stato prodotto a cura del Garante europeo della protezione dei dati (EDPS - European Data Protection Supervisor) relativamente alla prima proposta #Chatcontrol che *avrebbe consentito ai gestori solo su base volontaria* il controllo di tutta la messaggistica di tutti i cittadini europei.
"Le misure previste dalla proposta costituirebbero un'ingerenza nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati di tutti gli utenti di servizi di comunicazione elettronica molto diffusi, come le piattaforme e le applicazioni di messaggistica istantanea.
Anche le misure volontarie da parte di aziende private costituiscono un'ingerenza in tali diritti quando le misure comportano il monitoraggio e l'analisi del contenuto delle comunicazioni e il trattamento dei dati personali.Le questioni in gioco non riguardano specificatamente la lotta contro gli abusi sui minori ma qualsiasi iniziativa che miri alla collaborazione del settore privato a fini di applicazione della legge. Se adottata, la proposta costituirà inevitabilmente un precedente per la futura legislazione in questo campo. Il Garante Europeo ritiene pertanto essenziale che la proposta non venga adottata, anche sotto forma di deroga temporanea, finché non saranno integrate tutte le necessarie garanzie stabilite nel presente parere.
Nell’interesse della certezza del diritto, il GEPD ritiene che sia necessario chiarire se la proposta stessa è intesa a fornire una base giuridica per il trattamento ai sensi del GDPR oppure no. In caso contrario, il GEPD raccomanda di chiarire esplicitamente nella proposta quale base giuridica ai sensi del GDPR sarebbe applicabile in questo caso particolare. A questo proposito, il GEPD sottolinea che gli orientamenti delle autorità di protezione dei dati non possono sostituire il rispetto del requisito di legalità. Non è sufficiente prevedere che la deroga temporanea “non pregiudichi” il GDPR e imporre la consultazione preventiva delle autorità di protezione dei dati. Il legislatore deve assumersi la propria responsabilità e garantire che la deroga proposta sia conforme ai requisiti dell’articolo 15, paragrafo 1, come interpretato dalla CGUE.Per soddisfare il requisito di proporzionalità, la legislazione deve stabilire norme chiare e precise che disciplinino la portata e l'applicazione delle misure in questione e impongano garanzie minime, affinché le persone i cui dati personali sono interessati abbiano garanzie sufficienti che i dati siano essere efficacemente tutelati contro il rischio di abusi.
La mancata individuazione precisa delle misure oggetto della deroga rischia di compromettere la certezza del diritto.
Infine, il GEPD è del parere che il periodo di cinque anni proposto non appaia proporzionato data l'assenza di (a) una dimostrazione preventiva della proporzionalità della misura prevista e (b) l'inclusione di garanzie sufficienti all'interno della testo della normativa. Egli ritiene che la validità di qualsiasi misura transitoria non dovrebbe superare i due anni."
Qui il parere integrale da parte del Garante Europeo
Cos'è il Garante europeo della protezione dei dati (GEPD)?
Il Garante europeo della protezione dei dati (GEPD) è un'istituzione indipendente dell'UE, responsabile ai sensi dell'articolo 52, paragrafo 2, del regolamento 2018/1725 "Per quanto riguarda il trattamento dei dati personali..., di garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche, e in particolare il loro diritto alla protezione dei dati, sono rispettati dalle istituzioni e dagli organi dell'Unione» e, ai sensi dell'articolo 52, paragrafo 3, «...per consigliare le istituzioni e gli organi dell'Unione e gli interessati su tutte le questioni relative al trattamento dei dati personali».
Wojciech Wiewiorówski è stato nominato Supervisore il 5 dicembre 2019 per un mandato di cinque anni.
A norma dell'articolo 42, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2018/1725, la Commissione "dopo l'adozione di proposte di atto legislativo, di raccomandazioni o di proposte al Consiglio a norma dell'articolo 218 TFUE o all'atto della preparazione di atti delegati o atti di esecuzione , consultare il GEPD qualora vi sia un impatto sulla tutela dei diritti e delle libertà delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali» e, ai sensi dell'articolo 57, paragrafo 1, lettera g), il GEPD «consiglia di propria iniziativa o su richiesta, tutte le istituzioni e gli organi dell'Unione sulle misure legislative e amministrative relative alla tutela dei diritti e delle libertà delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali».
Il presente parere è emesso dal GEPD, entro il termine di otto settimane dal ricevimento della richiesta di consultazione di cui all'articolo 42, paragrafo 3, del regolamento (UE) 2018/1725, avuto riguardo all'impatto sulla tutela delle persone diritti e libertà riguardo al trattamento dei dati personali della Commissione Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante deroga temporanea a determinate disposizioni della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’uso di tecnologie da parte di fornitori di servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero per il trattamento di dati personali e di altro tipo allo scopo di combattere gli abusi sessuali sui minori online.
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Qui su Twitter la registrazione della "pendolaria" di questa sera sul chatcontrol per promuovere il PrivacyPride di domani e, più in generale, per promuovere il tema della privacy digitale.
Oggi si parla di #PrivacyPride e del Regolamento Europeo CSA #chatcontrol che impone a tutti i gestori di email e messaggistica di setacciare le comunicazioni private in cerca di possibili tracce di abusi su minori.
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Sulla spesa pubblica serve un segnale forte
Non è rassicurante sentire, qualche giorno fa, dal ministro dell’Economia che sulla manovra «siamo in alto mare». Ma è comprensibile: la situazione è quanto mai incerta e i numeri della NaDef, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza che il governo approverà la prossima settimana, ballano. Di certo, come ha osservato ancora Giancarlo Giorgetti, la spesa per interessi sul debito pubblico è cresciuta di 14-15 miliardi per via dell’inflazione e del rialzo dei tassi. Giusto la somma che servirebbe per confermare il taglio del cuneo sulle retribuzioni fino a 35 mila euro lordi e per partire con la riforma dell’Irpef, accorpando primo e secondo scaglione sotto l’aliquota più bassa: quindi il 23% fino a 28 mila euro di imponibile (contro i 15 mila attuali). Eppure, almeno i dieci miliardi necessari per confermare il taglio del cuneo andranno assolutamente trovati, perché non è pensabile che, dal prossimo gennaio, 11 milioni di lavoratori dipendenti subiscano una perdita netta media in busta paga di 98 euro al mese (fonte Inps). E aggiungere al taglio del cuneo l’ulteriore sconto che deriverebbe da una prima rivisitazione dell’Irpef, a ben vedere, non farebbe che dare un doveroso aiuto ai redditi medio-bassi rispetto alla perdita del potere d’acquisto che, proprio ieri, un rapporto di Mediobanca ha quantificato del 22% per i lavoratori dell’industria nel 2022.
Ma l’impoverimento rispetto al costo della vita non riguarda solo i redditi da lavoro, bensì anche le pensioni. E dunque c’è da augurarsi che il governo non cada nella tentazione, come l’anno scorso, di far cassa (ben 10 miliardi in tre anni) tagliando l’indicizzazione degli assegni previdenziali. Sono voci di spesa, quelle per contrastare il carovita, da considerare «obbligate». Se non formalmente, nella sostanza. Sia per assicurare la tenuta sociale sia per contrastare i venti di recessione. Così come vanno considerate incomprimibili le spese per la sanità. Non si può non aver imparato la lezione del Covid, né continuare a non vedere che il diritto costituzionale alla salute non è garantito in modo uniforme sul territorio, che il personale sanitario è in fuga, che le liste di attesa si allungano ai danni dei più poveri. E poi ci sono gli interventi a sostegno della natalità, che la premier Giorgia Meloni ha giustamente indicato tra le priorità della legge di Bilancio. Non solo gli asili nido e i sostegni alle mamme lavoratrici, ma un sistema fiscale che consenta di azzerare, almeno per le famiglie a reddito medio-basso, le spese per il mantenimento dei figli.
Misure molto costose, ma che vanno avviate perché siamo in colpevole ritardo sulle politiche per contrastare il declino demografico. Si parla di una manovra di una trentina di miliardi. In realtà ce ne vorrebbero molti di più, per lasciare un segno. Ma bisogna fare i conti con la pesante eredità di un debito pubblico monstre che da molti anni comprime le ambizioni di qualsiasi governo. Anche questa manovra dovrà essere «prudente»,come dice Giorgetti. Bell’aggettivo. In realtà, un ripiego necessitato, non una scelta. Ciò di cui l’Italia avrebbe bisogno è invece una manovra ambiziosa e di lungo respiro. Non si può chiedere al governo Meloni l’impossibile. Ma qualche segnale sì. La prossima sarà la prima legge di Bilancio al 100% di questo esecutivo, dato che quella di un anno fa era già stata impostata dal governo Draghi. A una premier che si dice sicura di restare a Palazzo Chigi per tutta la legislatura si può, per esempio, chiedere il coraggio di affrontare due sfide politicamente delicate. La prima: una spending review che vada ben oltre quel miliardo e mezzo di riduzione della spesa dei ministeri prevista per il 2024. O il governo vuol far credere che la lotta agli sprechi sia finita con la stretta sul Reddito di cittadinanza?
La seconda: il disboscamento delle tax expenditure, quella giungla di 740 fradetrazioni, deduzioni e altre agevolazioni fiscali che sottrae ogni anno gettito per oltre 80 miliardi di euro (4 punti di Pil). È vero che il grosso riguarda gli sconti sulla prima casa e sulle spese sanitarie, che nessuno vuole toccare. Ma è anche vero che un governo, all’inizio del suo cammino, può osare di più. degli 800 milioni-un miliardo di euro di tagli di cui ha parlato il vice ministro dell’Economia, Maurizio Leo. Basta avere coraggio e lungimiranza.
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“Via al Privacy Tour! Obiettivo: sconfiggere cultural data divide e persino le mafie”
Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, tutti i venerdì su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni.
📚 #Scuola, disponibili i primi dati sull’anno scolastico 2023/2024: in classe circa 7,2 mln di studenti.
📊 È disponibile sul sito del MIM l’approfondimento con i primi dati sull’anno appena iniziato.
Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.
Ministero dell'Istruzione
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L'articolo di Wired Italia sul Privacy Pride: manifestazioni contro il regolamento europeo Chatcontrol.
Il regolamento che interviene sul contrato agli abusi sessuali su minori online, pur animato da un nobile intento, rischia di creare un pervasivo sistema di sorveglianza, andando a intercettare automaticamente e senza mandato giudiziario tutte le chat e le email di tutti i cittadini per individuare materiale pedopornografico, in barba al principio dell’inviolabilità della corrispondenza.
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Così, se voi scrivete in una mail
A un vostro amico: "Guarda un po' che stronza
La von der Leyen ch'è, ma ch'epic fail
Che fece", un tribunale di Magonza,
Vi incrimina magari e vi processa
Perché opinion privata avete espressa"
Non pubblica, si badi, ma inter vos,
Ed ecco un altro poco a casa i Ros
Che mandanvi, e capito avrete già
Di questa norma la finalità:
grande fratello d'Orwell, ma chi sei
A petto dei burocrati europei?
#rimemie
lautorecontoterzi.bio.link/
rime e prose numerose: L'autore conto terzi - scrivo per quelli che non scrivon loro
Scrittore ombra, redattore libri, testi in prosa e in rima, ghostwriter, articolista a cottimo. Scrivo versi e rime di ogni tipo e per ogni occasionelautorecontoterzi.bio.link
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Taiwan Files – Jet sullo Stretto, ponti nel Fujian
Record di jet dell'Esercito popolare di liberazione nella regione intorno all'isola principale di Taiwan. Il piano di integrazione economico-infrastrutturale tra Fujian, Kinmen e Matsu presentato da Wang Huning. Il viaggio di Hou Yu-ih negli Stati Uniti. Tsai Ing-wen in eSwatini. Terry Gou sceglie l'attrice di Wave Makers come vice. Semicon e fotonica di silicio. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
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Quanto tempo impiega Xshitter a caricare le pagine di...? Twitter sta ancora limitando i link dei concorrenti: verifica tu stesso
Secondo l'analisi, gli utenti della piattaforma social, ora ufficialmente conosciuta come X, sono costretti ad attendere in media circa due secondi e mezzo dopo aver cliccato sui collegamenti a Bluesky, Facebook, Instagram e Substack. Si tratta di un'attesa più di 60 volte superiore all'attesa media per i collegamenti ad altri siti.
PODCAST. SABRA E SHATILA. Vittorio Rosa. “Il mondo non deve dimenticare”
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della redazione
(la foto è di Enzo Infantino)
Pagine Esteri, 21 settembre 2023 – A Beirut per tenere viva la memoria delle migliaia di vittime del massacro compiuto 41 anni nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila dalle milizie falangiste che agirono sotto l’ala protettiva dell’esercito israeliano che occupava in quel momento la capitale libanese e l’intero sud del Paese dei cedri. Oggi, con quel proposito, decine di italiani della delegazione del “Comitato per non dimenticare Sabra e Shatila” parteciperanno a Beirut alla marcia per la memoria delle vittime del massacro. Abbiamo intervistato con uno di loro, Vittorio Rosa, che a Sabra e Shatila ha vissuto, tra gli 8 e i 20 anni, assieme alla madre, con i rifugiati palestinesi.
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L’Azerbaigian piega gli armeni, abbandonati da Russia e Nato
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di Marco Santopadre
Pagine Esteri, 22 settembre 2023 – L’ennesimo assalto militare azero alla Repubblica di Artsakh è durato solo poche ore, tra il 19 e il 20 settembre, ma è bastato per costringere gli armeni alla resa.
Isolati e indeboliti da dieci mesi di assedio, durante i quali i nazionalisti azeri travestiti da “ecologisti” hanno bloccato il corridoio di Lachin (l’unico accesso dalla madrepatria all’enclave armena) impedendo il passaggio di cibo e medicinali, gli armeni del Nagorno-Karabakh non sono riusciti a tenere testa alle truppe di Baku armate da Turchiae Israele.
Pur di evitare un bagno di sangue, le autorità di Stepanakert – la capitale della piccola repubblica autoproclamata dagli armeni all’inizio degli anni ’90 all’interno del territorio dello stato azerbaigiano – hanno dovuto capitolare.
Ieri mattina, mentre le delegazioni dell’Artsakh e dell’Azerbaigian si incontravano a Yevlakh per definire i dettagli della resa e dello smantellamento della piccola repubblica armena, a Stepanakert numerosi testimoni hanno denunciato sparatorie e l’avanzata delle truppe azere, in violazione del cessate il fuoco varato il 20 settembre con la mediazione russa.
Inizialmente sembrava che il bilancio dell’ultimo attacco azero al Nagorno-Karabakh avesse provocato poche vittime, ma nelle ultime ore il bilancio è stato elevato a circa 200 morti e 400 feriti, per lo più appartenenti alle forze di autodifesa della Repubblica di Artsakh. Purtroppo il conteggio include anche alcune decine di civili.
Anche una pattuglia di soldati russi, appartenenti alla forza dispiegata da Mosca nel 2020 per monitorare il rispetto del cessate il fuoco raggiunto al termine del conflitto di 44 giorni durante il quale Baku ha ripreso la maggior parte dei territori persi agli inizi degli anni ’90, è caduta in un’imboscata dell’esercito azero nella zona di Dzhanyatag. Sotto il fuoco dei militari di Baku sarebbero morti 4 soldati di Mosca.
Lo spettro della pulizia etnica
Le truppe russe hanno affermato di aver evacuato già migliaia di abitanti armeni della regione, e altre migliaia starebbero cercando di abbandonare l’enclave assediata per sottrarsi alle rappresaglie azere. Il difensore civico del Nagorno-Karabakh, Ghegham Stepanian, denuncia una “catastrofe”.
Secondo i termini dell’accordo imposto con le armi da Baku in quella che il regime di Aliyev ha ribattezzato “operazione antiterrorismo”, le forze di autodifesa dell’enclave armena devono consegnare le armi e cedere il controllo del territorio alle truppe azere. Di fatto la prospettiva è quella dello scioglimento dell’entità statuale autoproclamata ormai trent’anni fa dagli armeni dell’Azerbaigian. Si profila un esodo forzato verso l’Armenia dei circa 120 mila abitanti dell’enclave e l’azzeramento della millenaria presenza armena in territori che l’Unione Sovietica aveva deciso di trasformare in una Repubblica Autonoma annessa all’Azerbaigian e che poi, con lo sfaldamento dello stato socialista e in seguito a una sanguinosa guerra con Baku e la conseguente cacciata degli abitanti azeri, si era proclamata indipendente.
Il regime di Ilham Aliyev da una parte esulta per la sconfitta dei “terroristi” e il recupero della sovranità nazionale su tutto il territorio statale, dall’altra assicura che i diritti politici, civili, religiosi e culturali degli armeni saranno garantiti nel rispetto della Costituzione dell’Azerbaigian. Ma, ha avvisato il dittatore (al potere dal 2003 e preceduto da dieci anni di potere assoluto del padre), chi non accetterà di integrarsi dovrà andarsene, come hanno già fatto migliaia di armeni scappati o cacciati dai territori della Repubblica di Artsakh riconquistati da Baku nel 2020 e ripuliti etnicamente.
L’Armenia sempre più sola
La Repubblica Armena è di nuovo sotto shock per l’ennesima e storica disfatta e la consapevolezza di un isolamento quasi assoluto a livello internazionale che mette a rischio la sua stessa sopravvivenza. Il regime azero infatti ha già aggredito lo scorso anno il territorio dello stato armeno e rivendica apertamente il carattere azero di buona parte del suo territorio. Il casus belli è rappresentato dalla contesa per il raggiungimento della continuità territoriale tra l’Azerbaigian e una sua exclave – la Repubblica di Nakhchivan – separata dalla madrepatria da una larga striscia di territorio armeno. Per ottenere il collegamento con l’exclave Baku potrebbe pensare di impossessarsi di una porzione di Armenia approfittando della evidente debolezza di Erevan abbandonata dagli storici alleati e soverchiata dalla potenza militare ed economica di Baku.
Mentre l’Armenia ha davvero poco da offrire, negli ultimi anni l’Azerbaigian è diventato una potenza energetica emergente, sostenuta dalla Turchia e finanziata da una lunga lista di paesi che acquistano i suoi idrocarburi e che, pur solidarizzando con Erevan e criticando gli eccessi di Aliyev, si guardano bene dall’imporre sanzioni al regime di Baku.
Il governo dell’Armenia ha fatto di tutto pur di rimanere fuori dall’ennesimo scontro militare tra i cugini dell’Artsakh e gli azeri, temendo un’espansione dei combattimenti nel suo territorio. D’altronde ormai il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha riconosciuto l’appartenenza all’Azerbaigian del Nagorno-Karabakh, cedendo alle rivendicazioni di Baku.
Pashinyan ci ha tenuto, con varie dichiarazioni, a segnare le distanze con l’amministrazione dell’Artsakh e l’estraneità ai combattimenti – Erevan ha ritirato le sue ultime unità militari dall’enclave armena nel 2021 – accusando anzi “attori interni ed esterni” di voler coinvolgere il paese in un disastro.
«Se le forze di pace russe hanno avanzato la proposta di porre fine alle ostilità e di sciogliere l’esercito dell’Artsakh, significa che si sono completamente assunte l’obbligo di garantire la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh» ha affermato il primo ministro armeno. Secondo Pashinyan le forze di pace russe dovrebbero garantire condizioni adeguate affinché «gli armeni del Nagorno-Karabakh possano godere del pieno diritto di vivere nelle loro case e sul loro suolo».
Il tradimento russo
Tra Erevan e Mosca le relazioni non sono mai state così deteriorate, e in Armenia monta la rabbia per l’inerzia delle truppe russe di fronte all’ennesima aggressione militare azera preceduta dal micidiale assedio durato dieci mesi.
La Russia, impantanata in Ucraina, certo non desidera essere coinvolta in un conflitto nel Caucaso nonostante il patto militare con l’Armenia (sul cui territorio possiede una base militare) e l’impegno, assunto nel 2020 con il dispiegamento di 2000 peacekeepers nei territori contesi, a garantire il rispetto del cessate il fuoco.
Oltretutto Mosca ha sviluppato negli ultimi anni ottime relazioni economiche e anche militari con il regime di Ilham Aliyev, al quale Gazprom fornisce ogni anno 1 miliardo di tonnellate di gas che poi Baku rivende a caro prezzo ai paesi occidentali, gli stessi che dopo l’aggressione militare russa all’Ucraina hanno disdetto i contratti con la Russia e cercato fonti alternative di idrocarburi.
«L’Azerbaigian agisce sul proprio territorio, che l’Armenia ha riconosciuto quindi si tratta di un affare interno dell’Azerbaigian» ha detto il portavoce del Cremlino, Dimitrij Peskov, imitato da Vladimir Putin.
Il “voltafaccia” di Pashinyan
Dimitrij Medvedev, presidente del Consiglio di Sicurezza russo, sui social ha invece fatto intendere che l’Armenia merita il destino che la attende, colpevole di aver flirtato con la Nato.
Che il leader armeno abbia cercato a occidente il sostegno non più proveniente da Mosca è innegabile, d’altronde Pashinyan è diventato premier per la prima volta nel 2018 in seguito a dei moti di piazza filostatunitensi e filoeuropei. Ma la versione russa che punta il dito esclusivamente sulle responsabilità del premier armeno sorvolando su quelle del regime di Putin è quanto mai di parte.
Quando nel 2020 l’Azerbaigian ha aggredito l’Artsakh e le truppe armene, forte dei droni da bombardamento turchi Bayraktar e delle truppe addestrate da ufficiali di Ankara, l’intervento di Mosca impedì una disfatta totale, obbligando però Erevan ad affidarsi completamente alla Russia per non soccombere. Ma il tempo ha dimostrato che la Federazione Russa non aveva alcun interesse a difendere realmente l’Armenia e men che meno l’Artsakh, e non ha mosso un dito per bloccare le ulteriori aggressioni azere. Mosca non è intervenuta a sostegno di Erevan neanche quando, nel settembre 2022, Baku ha attaccato direttamente la Repubblica Armena e questa ha chiesto l’intervento dell’Organizzazione del trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO), un’alleanza militare regionale guidata dalla Russia che oltretutto con Erevan ha un accordo militare di difesa mutua.
Negli ultimi mesi, mentre l’inerzia russa convinceva Baku che era venuto il momento di tentare la spallata finale, Pashinyan e i suoi ministri hanno iniziato a cercare un’alternativa all’inefficace scudo russo, irritando però ancora di più Putin senza al tempo stesso garantirsi una difesa efficace da parte dei nuovi alleati, cioè gli Stati Uniti e la Francia, ma anche l’India e l’Iran.
Quando l’11 settembre una manciata di militari armeni ha iniziato ad addestrarsi insieme a un numero equivalente di soldati statunitensi, il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov ha dichiarato che le esercitazioni (le “Eagles Partner 2023“) congiunte con un paese della Nato violavano lo “spirito” del partenariato militare con Mosca. Pochi giorni prima, Erevan ha ritirato il proprio rappresentante presso il CSTO accusando il blocco militare di complicità oggettiva con l’Azerbaigian, mentre la moglie di Pashinyan visitava Kiev, l’Armenia inviava aiuti umanitari simbolici all’Ucraina e avviava l’iter di adesione alla Corte Penale Internazionale. Per tutta risposta la Russia ha convocato l’ambasciatore armeno per illustrare le proprie rimostranze.
Nel frattempo l’Azerbaigian ha ammassato per settimane le proprie truppe a ridosso dell’Artsakh, facendo poi scattare i bombardamenti e le incursioni. Putin ha lasciato fare. Forse a Mosca sperano che l’isolamento di Pashinyan e i suoi errori gli costino la carica di primo ministro, magari a vantaggio di un personaggio più vicino ai propri interessi. Ma nel paese il risentimento nei confronti della Russia non ha mai raggiunto livelli così alti e comunque Mosca ha lasciato deteriorare la situazione a tal punto, con la situazione in Nagorno-Karabakh ormai irrimediabilmente compromessa, da avere ormai davvero poco da offrire agli armeni.
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Manifestazioni e scontri a Erevan
Mentre in Azerbaigian la folla nazionalista esulta sventolando bandiere turche e russe, nella capitale armena si susseguono le manifestazioni e gli scontri, con relativi feriti e arresti. Da martedì decine di migliaia di persone, aderenti a movimenti nazionalisti o a partiti di opposizione, al grido di “vergogna” e “assassini” assediano la sede del parlamento e del governo armeni, oltre che la sede diplomatica di Mosca, chiedendo le dimissioni di Nikol Pashinyan e un intervento deciso a favore degli armeni dell’Artsakh.
Per impedire l’ingresso dei dimostranti nelle sedi istituzionali, la polizia in assetto antisommossa ha operato numerosi arresti e ha fatto uso di granate stordenti. Alcuni manifestanti impugnano le bandiere degli Stati Uniti o dell’Unione Europea, della Georgia e della Francia, riponendo false speranze in paesi che, dichiarazioni a parte, non hanno mosso un dito per bloccare l’ennesima offensiva azera.
L’UE protesta con Baku ma pensa al gas
Non sono mancate le dichiarazioni di condanna nei confronti delle mosse di Baku da parte del responsabile della politica estera dell’UE, Josep Borrell, o del Dipartimento di Stato di Washington, o da parte del governo francese. Ma nessuna misura concreta è stata fin qui varata da nessun governo occidentale per convincere il regime di Aliyev a rinunciare all’aggressione militare o alle prevedibili operazioni di pulizia etnica in Nagorno-Karabakh, suscitando la delusione del ministro degli Esteri armeno, mentre l’ambasciatore Edmon Marukyan ha accusato esplicitamente UE e Stati Uniti di essere responsabili della tragedia in corso nell’enclave armena dell’Azerbaigian.
Mentre in numerosi parlamenti europei ed in quello di Strasburgo crescono le richieste di sanzioni nei confronti di Baku, è evidente che l’UE non ha nessun interesse a vararle, anzi.
Lo scorso anno Bruxelles ha siglato un accordo con Baku per raddoppiare entro il 2027 le forniture di gas che, estratto nel Caucaso meridionale, arriva a Melendugno attraverso il TAP. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si è impegnata personalmente per accaparrarsi le forniture azere e poter tagliare quindi quelle russe. Volata a Baku per siglare l’accordo nel luglio scorso, von der Leyen ha descritto l’Azerbaigian come «un partner affidabile e degno di fiducia» sorvolando sulla violazione sistematica dei diritti umani e politici da parte del regime e sul militarismo e lo sciovinismo nei confronti degli armeni.
Nell’ultimo anno in Italia la quota di gas proveniente dall’Azerbaigian è già aumentata dal 10 al 15,1%, eguagliando le importazioni dall’Algeria. Baku ha nel frattempo aumentato gli introiti delle esportazioni di idrocarburi da 20 a 35 miliardi di euro; di questi ben 16,5 provengono dall’Italia. E poi c’è tutto il capitolo degli armamenti: grazie ai crescenti introiti dell’industria petrolifera il regime di Aliyev negli ultimi anni ha fatto il pieno di armi turche e israeliane, ma anche americane ed europee (e russe). – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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In Cina e Asia – Cina, inizia la visita del presidente siriano Assad
Cina, inizia la visita del presidente siriano Assad
Corea del Sud, approvato mandato d’arresto contro il leader dell’opposizione
Stretta sulla corruzione: calano le fortune dei magnati della sanità
Cina: botta e risposta tra funzionari cinesi, europei e americani su de-risking e decarbonizzazione
L'Università di Xi'an rimuove l'inglese come requisito per la laurea
Thailandia, il nuovo premier promette crescita economica e una riforma della legge sulla cannabis
L’India sospende i servizi di visto per i cittadini canadesi
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PRIVACYDAILY
Privacy Pride: il 23 settembre nelle città italiane per rivendicare il diritto alla privacy contro il regolamento europeo CHATCONTROL
#Chatcontrol: i bambini come pretesto per aumentare la sorveglianza
Il 28 settembre 2023, i governi degli Stati membri dell’UE avalleranno il regolamento sugli abusi sessuali su minori (più brevemente ChatControl).
Con la nobile scusa di fermare gli abusi sui minori, riusciranno finalmente a intercettare automaticamente e senza mandato giudiziario tutte le chat e le email di tutti i cittadini per individuare (con ampio margine di errore!) materiale pedopornografico, in barba al principio dell’inviolabilità della corrispondenza e all’art. 15 della Costituzione italiana e dell’art. 12 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Noi sappiamo che gli abusi sui minori non si combattono intercettando indiscriminatamente i cittadini, ma intervenendo sul degrado sociale ed economico delle loro famiglie.
Se vogliamo implementare provvedimenti tecnici a favore dei bambini, allora la politica potrebbe concentrarsi piuttosto su come lo Stato promuove oggi la sorveglianza sugli studenti proprio attraverso l’adozione nella scuola pubblica di piattaforme cloud extraeuropee che drenano dati senza alcun reale controllo sovrano italiano ed europeo e senza alcuna possibilità di opporsi seriamente da parte del singolo studente o della singola famiglia.
Siccome l’opinione pubblica italiana è stata tenuta all’oscuro sia su chatcontrol, sia sulla questione delle piattaforme cloud della scuola, cercheremo di informare i cittadini con dei sit-in nelle più importanti città d’Italia:
• Roma, Largo della Torre Argentina (angolo Via S. Nicola de’ Cesarini)
• Milano, Piazza XXIV Maggio
• Torino, Via Garibaldi, angolo piazza Castello
• Genova, Via Vado 41R, COL – Sala Bruno Nanì La Terra, nel quadro dell’evento formativo “Introduzione alla protezione dei dati personali e sicurezza digitale”
• Venezia, Fondamenta delle Zattere (ancora in forse)
È importante che i cittadini chiedano subito ai propri governi e ai propri europarlamentari di fermare l’approvazione di questo regolamento, altrimenti a breve potremmo ritrovarci con un sistema in grado di intercettare tutti i cittadini in cerca di immagini di abusi; e se domani questo sistema venisse esteso per ricercare qualsiasi contenuto che non sia ritenuto consono alle posizioni ideologiche del governo pro tempore?
LA PRIVACY È UN DIRITTO UMANO E LA LOTTA PER LA PRIVACY È LOTTA PER LA DEMOCRAZIA!
Membri del comitato promotore del Privacy Pride: Giacomo Alessandroni (Associazione PeaceLink), Pietro Biase (Open Genova APS), Marco Confalonieri (International PP, Pirati.io), Filippo Della Bianca (Fondatore Devol e Mastodon.uno), Alessandra De Rossi (Univ. di Torino), Fedro Fornara (Membro Etica Digitale), Andrea Guani (Fondatore Le Alternative), Carlo Gubitosa (Fondatore Sociale.network), Enzo Ganci (NoSmartControlRoom Venezia) Andrea Laisa (@amreo) (Membro Etica Digitale), Francesco Macchia (Informapirata, Pirati.io), Enrico Nardelli (Univ. Tor Vergata), Maria Chiara Pievatolo (Univ. di Pisa)
Realtà che hanno aderito al Privacy Pride: Enti e associazioni: Laboratorio Nazionale Informatica e Scuola del Consorzio CINI, Eumans, Open Genova APS, Peacelink, Pirati.io; Collettivi e blog: Devol, Le Alternative, Progetto Winston Smith, Privacy Chronicles, Cittadino Medio, Informapirata; Istanze del fediverso: Mobilizon.it, Peertube.uno, Mastodon.uno, Sociale.network, Pixelfed.uno, Poliverso.org, Feddit.it, Poliversity.it
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Meloni e la necessità di “aprire al centro”
A chi conosce un po’ di storia d’Italia e vede la piega che sta prendendo il governo Meloni vengono subito alla mente due confronti, due ricordi, pur sapendo bene che il primo non piacerà molto all’attuale presidente del Consiglio. È il confronto con il governo che costituì Mussolini all’indomani della marcia su Roma, e con quello che costituì De Gasperi dopo la vittoria del 18 aprile. Nel novembre del 1922 il futuro duce si guardò bene dall’assegnare il ministero della Guerra ad Amerigo Dumini o a qualche altro scherano dello squadrismo: lo diede invece al maresciallo Diaz; tanto meno si rivolse a Roberto Farinacci per il ministero dell’Istruzione: chiamò Giovanni Gentile.
Ancor più e meglio De Gasperi, il quale, pur disponendo nel ’48 di una maggioranza assoluta in Parlamento non chiese a don Sturzo di fare il presidente della Repubblica. Lo chiese al liberale Luigi Einaudi, e allo stesso modo non diede lo strategico ministero degli Esteri a Dossetti o a un suo fedelissimo, lo diede al repubblicano Sforza. Ora, sia Mussolini che De Gasperi avevano, benché su scala maggiore, lo stesso problema cha si è presentato a Meloni. Entrambi i loro governi rappresentavano due fratture di portata drammatica rispetto al corso precedente della storia del Paese, due veri e propri terremoti politici carichi di un forte significato anche simbolico. Nel primo caso era la fine dell’Italia liberale, nel secondo la fine della conventi o ad excludendum dei cattolici dalla direzione dello Stato, che risaliva al Risorgimento. Ebbene, sia Mussolini che De Gasperi capirono che era loro interesse, proprio perciò, formare due esecutivi e addirittura scegliere un capo dello Stato che grazie ad una oculata scelta di nomi, cercassero di attutire quanto più possibile, agli occhi del Paese prima che a quelli dei loro avversari, la portata della rottura di cui sopra.
Capirono cioè che era un loro interesse mostrarsi, come si dice, inclusivi, scegliendo di essere affiancati da persone non appartenenti alla propria parte anche se naturalmente non ostili. E sicuramente lo fecero, si badi, non già per una qualche forma di debolezza o di sfiducia nelle proprie capacità. Al contrario: perché non solo si sentivano sicuri del fatto loro ma perché ognuno di essi intendeva che il proprio governo rappresentasse una vera rottura e l’apertura di una fase politica davvero nuova e destinata a durare, come in effetti fu. Immagino che una eguale ambizione abbia tuttora anche la nostra attuale presidente del Consiglio. Si dà il caso però che il risultato elettorale le abbia consegnato la guida di una coalizione nella quale il principale interesse dei suoi alleati è quello di renderle la vita difficile, mettendo ogni giorno potenzialmente in crisi il suo governo. Ne risulta che un obiettivo più che mai vitale di Giorgia Meloni non possa che essere quello di accrescere al massimo il proprio bottino di voti alla prossima occasione elettorale. Magari a spese dei suddetti alleati, ma ben più plausibilmente andando a pescare nel grande bacino costituito dagli italiani i quali la volta scorsa non le hanno dato il voto, o non hanno votato o hanno disperso il proprio voto parcheggiandolo da qualche parte. E cioè nell’elettorato definibile genericamente moderato o centrista che dir si voglia, il quale prima di darle il suo consenso ha voluto però vederla all’opera.
A Giorgia Meloni doveva essere evidente, insomma, che il suo interesse, una volta divenuta presidente del Consiglio, era quello di aprire al centro, come si dice. Che solo da lì poteva venirle la forza per consolidare la sua leadership realizzando il disegno di dar vita a una grande forza liberal-conservatrice, così da rimodellare il sistema politico italiano dando inizio a una fase davvero nuova della sua storia. Viceversa la presidente del Consiglio, lungi dal battere questa strada ha preso quella opposta. A cominciare dalla composizione del governo, infatti, invece di cercare di dare a questo un respiro nazionale, invece di aprire nelle molte nomine successive a chi rappresentava mondi e culture diverse dalle sue, invece di mostrarsi capace di ricercare e di accogliere nella propria compagine qualche significativa eccellenza del Paese disposta a collaborare con il suo tentativo, Giorgia Meloni si è rinchiusa in una sorta di «ridotto della Valtellina» identitario o, se si preferisce evitare infelici memorie, in una sorta di quadrato di Villafranca costituito da compagni quasi di scuola, da fedelissimi della prim’ora, da vecchi militanti amici, da congiunti e parenti stretti: che tutti quindi le devono tutto.
Il carattere schietto della presidente, abituata al parlare franco, non se la prenderà se le diciamo che non è così, però, che si costruisce una leadership autorevole. Non è così che si entra in sintonia con la maggioranza effettiva del Paese e se ne diventa la guida, non è così che si attua una grande svolta politica, e soprattutto non è così che si ottengono buoni risultati di governo. In politica la fedeltà a tutta prova può servire nel momento aspro dello scontro; ma quando invece si tratta di decidere, di organizzare e di agire nell’interesse della collettività, allora serve altro. Servono le competenze, le idee, l’immagine pubblica, le relazioni, le capacità. Serve l’impegno sincero a far parte di una squadra, di un governo appunto: che è cosa diversa da una schiera di pretoriani.
L'articolo Meloni e la necessità di “aprire al centro” proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Chatcontrol, il regolamento europeo che spia tutti i cittadini con la scusa di proteggere i minori dagli abusi on line, può favorire la colpevolizzazione delle vittime
Il video mostra meglio di qualunque discorso quanto la scansione indiscriminata di testi, immagini e video causata da #chatcontrol potrebbe essere utilizzata per inibire, colpevolizzare o, addirittura, ricattare le vittime!
Il post di @Patrick Breyer
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La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. Ecco perché CHATCONTROL è incompatibile con l'art. 15 della Costituzione Italiana
In particolare, vogliamo estrapolare questi passaggi, estremamente interessanti alla luce del Regolamento #chatcontrol:
Una inviolabilità della libertà e segretezza che stabilisce un collegamento immediatamente percepibile con l’art. 2 Cost. e qualifica il diritto in parola quale espressione del nucleo essenziale dei valori della personalità, il cui contenuto “non può subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante” e “sempreché l’intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell’interesse” e nei limiti stabiliti dallo stesso art. 15 Cost. [Corte cost. sent. n. 366/1991]
Senza la previsione dell’inviolabilità della comunicazione privata verrebbe pregiudicato lo spazio vitale che circonda la persona e, con esso, la stessa possibilità di esistere e svilupparsi in armonia con i postulati della dignità umana.
"...la disposizione costituzionale riserva all’autorità giudiziaria (da intendersi come pubblico ministero, giudice per indagini preliminari, giudice del dibattimento) la concreta limitazione della libertà e della segretezza, escludendo l’intervento di organi e poteri diversi, così come la richiesta che il provvedimento sia motivato per assicurare il controllo giurisdizionale nei gradi successivi di giudizio." e "Diversamente dagli articoli 13 e 14 Cost., l’art. 15 Cost. non prevede espressamente l’intervento preventivo, nel caso di urgenza, dell’autorità di pubblica sicurezza."
Il commento completo della prof.ssa Califano, è disponibile qui
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Khaled El Qaisi, ennesima proroga: altri 11 giorni di detenzione senza accuse
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Pagine Esteri, 21 settembre 2023. È da poco terminata l’udienza prevista per oggi, 21 settembre, in merito alla situazione del ricercatore italo-palestinese Khaled El Qaisi, arrestato lo scorso 31 agosto dalle autorità israeliane al valico di Allenby, al confine tra Cisgiordania e Giordania. In un comunicato stampa l’avvocato della famiglia del ricercatore ha fatto sapere che il tribunale ha deciso di estendere di ulteriori 11 giorni il periodo di detenzione. Khaled El Qaisi rimane quindi recluso nella prigione di Petah Tikwa, dove viene sottoposto a interrogatori quotidiani, senza la presenza del suo legale.
Di seguito il comunicato:
COMUNICATO 21 settembre 2023
Aggiornamento sulla detenzione di Khaled El Qaisi, italo-palestinese, trattenuto dalle autorità israeliane al valico di frontiera di “Allenby” e tuttora detenuto.
Il 21 settembre, come previsto, si è tenuta l’udienza relativa alla proroga del suo trattenimento in carcere conclusasi con un’ulteriore estensione della detenzione per altri 11 giorni.
Il tribunale ha deciso che, al termine di questa lunga proproga, sempre finalizzata alla raccolta di elementi, entro un massimo di 3 giorni a partire dal 1° ottobre, le investigazioni dovranno presentare delle accuse poiché il termine per questa forma di detenzione cautelare decadrebbe.
Khaled dunque fino ad allora, senza che siano state formulate delle accuse a suo carico, resterà recluso nella prigione di Petah Tikwa nella quale è stato quotidianamente sottoposto a interrogatorio, sempre senza la presenza del suo difensore.
Vista la perdurante e allarmante situazione detentiva di Khaled e del mancato rispetto dei suoi diritti facciamo nuovamente appello per la sua immediata liberazione.
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Welfare State e Welfare Society
Messina, 13 Ottobre 2023 ore 10:00 – Aula Magna I, Dipartimento di Economia, Università di Messina
Saluti istituzionali
Prof. Antonino Metro, Direttore della Classe III, Accademia Peloritana dei Pericolanti Prof. Michele Limosani, Direttore del Dipartimento di Economia, Università di Messina
Relatori:
Introduzione ai lavori
Prof.ssa Emma Galli, Ordinario di Scienza delle Finanze, Università La Sapienza, Roma
Seguendo le orme di Luigi Einaudi: l’uguaglianza dei punti di partenza a livello individuale e territoriale
Prof. Giuseppe Sobbrio, Emerito di Scienza delle Finanze, Università di Messina
Rischi, sistemi di welfare e mercati assicurativi in un mondo globalizzato
Prof.ssa Elsa Fornero, Ordinario di Politica Economica, Università di Torino
Autonomia regionale differenziata: la riforma delle disuguaglianze?
Prof. Pietro Navarra, Ordinario di Scienza delle Finanze, Università di Messina
Politiche di welfare e servizi sociali nell’ottica del PNRR
Prof.ssa Veronica Grembi, Ordinario di Scienza delle Finanze, Università La Sapienza, Roma
Interventi programmati:
Prof.ssa Elena D’Agostino, Associato di Scienza delle Finanze, Università di Messina
Prof. Marco Alberto De Benedetto, Associato di Scienza delle Finanze, Università della Calabria
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Real child protection instead of Big Brother scanning: 5-point plan for the deadlocked EU Council negotiations on child sexual abuse bill (chat control)
Due to the massive protests against the EU plans for the indiscriminate searching of all private messages using error-prone algorithms (CSAR), there is currently no qualified majority for the Spanish Council Presidency’s plan to have an even more extreme form of the proposal adopted by EU governments on 28 September. Germany now proposes to first adopt the draft regulation without the provisions on „detection orders“ (dubbed „chat control“). Pirate Party Member of the European Parliament and negotiator for the Greens/European Free Alliance group, Patrick Breyer, has a different proposal:
“Neither the extreme proposal of EU Commission and Council Presidency nor blocking the entire regulation have majority support. The proposed scanning of private messages is the most toxic part of the plans, but the problems go far beyond that. We therefore need a new approach that focuses on preventive child protection instead of mass surveillance and paternalism. The latest text proposal by the Council Presidency needs to be fundamentally revised in at least 5 points to achieve a consensus:
- No indiscriminate chat control: Instead of blanket scanning of private messages, the judiciary should only be able to order searches of the messages and uploads of suspects. This is the only way to avoid a disproportionate mass surveillance regime inevitably failing in court and achieving nothing at all for children. There must also be no untargeted ‘voluntary chat control’ by internet corporations.
- Protect secure encryption: So-called client-side scanning to subvert secure encryption must be explicitly ruled out in the text. The proposed general committments to encryption in the text are worthless if scanning and diverting of messages take place even before the process of encryption has taken place. Our personal devices must not be perverted into scanners and bugs in our pockets.
- Protect the right to anonymity: Remove the proposed mandatory age checks by all communication services to safeguard the right to communicate anonymously. Whistleblowers risk falling silent if they would have to show ID or their face before being able to leak violations of the law.
- Content removal instead of mere blocking: Instead of trying and failing to block illegal content via access providers or search engines, it should become mandatory for hosters and law enforcement agencies to remove or have removed reported illegal material at the source.
- No app censorship for young people: Excluding young people from commonplace apps like Whatsapp, Instagram or games as proposed is an entirely unacceptable means of protecting them from grooming risks. Instead, the default settings of the services must become more privacy-friendly and secure by design.
The EU’s push for introducing blanket chat control scanning of private correspondence is unprecedented in the free world. It divides child protection organisations, victims of abuse, other stakeholders, the Parliament and the Council. It is time for a fresh start that is based on consensus. I am convinced that we can protect children much better by adopting a new, consensual approach now, and I call on governments to open up for a fresh start.”
Oggi, dalle ore 10.00, presso la Sala “Aldo Moro” del MIM si svolge l’evento #BackToSchool 2023.
Potete seguire la diretta qui ▶️ youtube.com/watch?v=hF1i0WWrUO…
Ministero dell'Istruzione
Oggi, dalle ore 10.00, presso la Sala “Aldo Moro” del MIM si svolge l’evento #BackToSchool 2023. Potete seguire la diretta qui ▶️ https://www.youtube.com/watch?v=hF1i0WWrUO4Telegram
“Il neurodato non sia merce di scambio”
Neuroscienze e neurotecnologie hanno travalicato i confini clinici e terapeutici e si avviano alla conquista dei mercati. Dobbiamo scongiurare il rischio che i nostri pensieri diventino “merci digitali” scambiate sui mercati globali. Ne ho parlato con Raffaele D’Ettore in una lunga intervista sul Messaggero
MAMADOU. Immigrazione: “20 anni di fallimenti. Il governo spreca denaro”
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di Daniela Volpecina –
Pagine Esteri, 21 settembre 2023. Mamadou Kouassi Pli Adama è il mediatore culturale che, con la sua storia, ha ispirato il film di Matteo Garrone “Io, Capitano“, vincitore del Leone d’argento all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. Quindici anni fa Mamadou ha intrapreso infatti il viaggio della speranza che lo ha condotto in Italia.
Lo abbiamo incontrato all’indomani della presentazione del film in sala per affrontare alcuni temi caldi del momento. Dal caso Lampedusa al nuovo decreto anticlandestini del governo Meloni passando per gli accordi con Libia e Tunisia, le politiche europee e la proposta del presidente Mattarella sui canali di ingresso regolari.
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In Cina e in Asia – La Cina accusa gli Usa di spiare Huawei
La Cina accusa gli Usa di spiare Huawei
L’Ue chiede alla Cina di fare di più per la pace in Ucraina
L’ex viceministro Lui alla guida del dipartimento reclami del Partito comunista cinese
La Cina facilita il processo di richiesta del visto per gli stranieriù
Al via le prime manovre navali congiunte dell’ASEAN
Il Giappone chiede alla Cina di rimuovere una boa dalla ZEE giapponese
Corea del Sud: indagini nelle basi Usa su contrabbando di stupefacenti
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“L’utilizzo legale della videosorveglianza come strumento di prova”
A partire dale 10.00 avrò il piacere di intervenire ai lavori delle GIORNATE DELLA POLIZIA LOCALE 2023 organizzata dall’Unione Polizia locale italiana per discutere di “L’utilizzo legale della videosorveglianza come strumento di prova” Qui tutte le informazioni all’evento unionepolizialocaleitaliana.it…
ARMENIA-AZERBAIJAN. Tajani si propone mediatore ma l’Italia sta con Baku
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di Antonio Mazzeo
Pagine Esteri, 21 settembre 2023 – “Alla luce delle tensioni in atto, a New York ho voluto incontrare il ministro degli Esteri azero Jeyhun Bayramov sottolineando la necessità di dialogo e moderazione per trovare una soluzione diplomatica nel Nagorno Karabakh; l’ Azerbaijan è un partner importante: lavoriamo insieme anche contro i trafficanti di esseri umani”. Il vicepresidente del Consiglio e titolare della Farnesina, Antonio Tajani, si è autoproposto come mediatore tra i governi di Azerbaijan e Armenia per scongiurare l’escalation bellica nel Caucaso meridionale. Peccato però che in questi anni l’Italia e il suo complesso militare-industriale abbiano scelto di schierarsi solo a fianco delle autorità azere e non certo per contrastare il traffico di persone. Baku è stata fondamentale infatti per gli affari e i profitti delle grandi holding dell’energia e delle armi italiane.
Appena tre mesi fa, in occasione della visita a Roma di un’alta delegazione militare azera, Leonardo Spa (società controllata per il 30,2% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze) ha firmato con il governo dell’Azerbaijan un contratto per la fornitura di due aerei da trasporto tattico C-27J “Spartan”. Prodotti presso il sito produttivo di Torino Caselle, i C-27J sono velivoli in grado di svolgere diverse tipologie di missioni, dal trasporto di uomini e mezzi da guerra, agli aviolanci di paracadutisti e materiali, al supporto alle truppe schierate in combattimento. Con una lunghezza di 22,70 metri e una larghezza di 28,70, l’aereo cargo può raggiungere la velocità di crociera di 583 Km/h e un’autonomia di volo poco inferiore ai 6.000 km. Lo “Spartan” è già operativo con le forze armate di Italia, Slovenia, Grecia, Romania, Bulgaria, Stati Uniti d’America, Australia, Lituania, Messico, Perù, Slovacchia, Marocco, Zambia, Kenia e Ciad. In Azerbaijan i due cargo di Leonardo andranno ad affiancare la coppia di Ilyushin Il-76 di fabbricazione russa a disposizione del reparto di trasporto e proiezione aerea dell’Aeronautica militare azera.
“Inizialmente legata ai settori energetici, la collaborazione tra Italia e Azerbaijan si estende anche ai prodotti dell’industria della Difesa grazie al prezioso contributo offerto dal gruppo di lavoro del Ministero della Difesa italiano”, si legge nella nota stampa di Leonardo Spa con cui l’8 giugno 2023 è stata annunciata la vendita dei due velivoli da trasporto. “Il programma di acquisto del C-27J è stato perfezionato nell’ambito di un tavolo tecnico tra il Ministero della Difesa Italiano e la controparte Azera. L’intesa si inserisce nell’ambito dell’ampio programma di ammodernamento delle Forze Armate Azere che guardano con sempre maggiore interesse ai prodotti dell’industria italiana”. (1)
Come sempre accade nel nostro paese in tema di esportazione di materiale bellico, nessuna forza politica di governo o di opposizione ha ritenuto opportuno esprimere preoccupazione per le pericolose conseguenze della commessa di Leonardo. L’accordo è stato invece stigmatizzato dal Coordinamento delle Organizzazioni e Associazioni Armene in Italia. “Osserviamo con estrema preoccupazione non solo il rafforzamento dell’arsenale bellico azero, con crescenti forniture e addestramenti anche dallo Stato italiano, ma soprattutto l’assoluta assenza di Roma, ormai appiattita sulle posizioni del regime azero, nelle discussioni internazionali sul contenzioso armeno-azero, come peraltro ben evidenziato dalla mancata partecipazione ai recenti vertici organizzati sul tema dall’Unione europea”, rilevava il Coordinamento.
Contro il governo Meloni è stata lanciata anche l’accusa di “immobilismo” di fronte alla crisi umanitaria in Nagorno Karabakh. “La popolazione armena è isolata da oltre sei mesi dal resto del mondo a causa del blocco azero lungo il corridoio di Lachin”, aggiungevano le associazioni armene. “L’Italia non ha inoltre inteso intervenire, a differenza di quanto fatto da altre nazioni europee, per ottenere la liberazione di almeno alcuni prigionieri di guerra armeni ancora illegalmente detenuti nelle carceri azere a quasi tre anni dalla fine della guerra”. (2)
La cooperazione industriale-strategica tra il regime azero e il gruppo Leonardo ha preso il via nel 2012 con la vendita di 10 elicotteri prodotti dalla controllata Augusta Westland alla compagnia aerea nazionale “Azerbaijan Airlines” per il trasporto offshore e del personale VIP, i servizi medici d’emergenza, la ricerca e il salvataggio. Gli otto velivoli modello AW139 e i due AW189 sono stati consegnati a partire del 2013; il loro valore è stato stimato in 115 milioni di euro.
Il 20 febbraio 2020, alla vigilia dell’ennesimo scontro a fuoco tra Armenia e Azerbaijan che ha causato la morte di centinaia di civili, l’allora amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo e il ministro della Difesa azero Zakir Hasanov, avevano sottoscritto una Dichiarazione d’Intenti in vista di un più articolato accordo di cooperazione industriale per la fornitura alle forze armate del paese caucasico di caccia-addestratori avanzati Alenia Aermacchi M-346 “Master”. Insieme ai velivoli l’Azerbaijan ha espresso l’intenzione di acquisire il Ground Based Training System, un sistema integrato che consente agli allievi pilota di familiarizzare con le procedure addestrative e anticipare a terra le attività che saranno sviluppate in volo.
L’intesa è stata raggiunta in occasione della visita in Italia del Presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, dove ha incontrato il Presidente della Repubblica Sergio Matteralla ed il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. “Quello con Leonardo sarà un accordo davvero importante”, ha dichiarato Ilham Aliyev sul sito web ufficiale della Presidenza della Repubblica dell’Azerbaijan. “Esso consentirà di aprire una nuova pagina nella nostra collaborazione e di modernizzare ancora di più la nostra infrastruttura difensiva, una delle mie priorità di governo”.
L’Aermacchi M-346FA (foto Leonardo)
L’M-346 “Master” è stato progettato per l’addestramento dei piloti dei cacciabombardieri di quinta generazione come l’Eurofighter “Typhoon” e l’F-35A Joint Strike Fighter di Lockheed Martin, ma l’Aeronautica azera ha espresso l’intenzione di includere nella commessa anche la versione del velivolo per l’attacco aereo già consegnata da Leonardo a Israele. “In questo modo gli azeri potrebbero implementare i missili da crociera turchi della Roketsan SOM-B1 appena acquistati e modernizzare di conseguenza la componente aerotattica”, ha rivelato Ares Osservatorio Difesa. (3)
Leonardo Spa ha inoltre firmato l’1 marzo 2017 un accordo con la società petrolifera statale azera SOCAR per “incrementare la sicurezza fisica e cyber delle infrastrutture per gli approvvigionamenti energetici e garantire maggiore efficienza alle attività della società azera attraverso proprie tecnologie”. Al centro dell’accordo, in particolare, la “sicurezza” del gasdotto in via di realizzazione da parte di SOCAR per fare arrivare in Europa oltre 20 miliardi di metri cubi l’anno di metano azero. Lungo oltre 4.000 km., il gasdotto parte dal Caucaso meridionale, attraversa la Georgia (tratto Scpx), quindi la Turchia (Tanap), la Grecia e l’Albania per arrivare in Puglia (Tap). Tra le aziende italiane partner di questo maxi-progetto energetico spicca in particolare il gruppo Snam S.p.A. di San Donato Milanese, mentre in qualità di sub-contractor compaiono ENI, Maire Tecnimont e Saipem. (4)
Anche il ministro della Difesa Guido Crosetto si è speso recentemente per perorare gli interessi delle grandi holding italiane dell’energia e delle armi. Il 12 gennaio 2023 Crosetto si è recato in visita ufficiale in Azerbaijan per una serie di colloqui istituzionali, primo fra tutti quello con il Presidente della Repubblica Ilham Aliyev. “Il Ministro Crosetto e il Presidente Aliyev si sono confrontati sulle prospettive di espansione della cooperazione nei settori dell’energia, delle costruzioni, del turismo, dell’agricoltura, dell’industria della difesa e altri ancora”, riporta la nota della Difesa. Aliyev ha definito “particolarmente proficua” la relazione bilaterale con l’Italia, citando proprio il funzionamento del Corridoio meridionale del gas, il maxi-gasdotto realizzato con i fondi dell’Unione europea. “L’iniziativa, lanciata nel 2008, aveva l’obiettivo di ridurre la dipendenza energetica dell’Europa da Mosca, una necessità resa più urgente dopo l’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio scorso, e che ha reso ancora più strategica la regione del Caucaso”, annota Formiche.net. “Aumentare la capacità dell’infrastruttura, dunque, potrebbe far crescere i metri cubi di gas naturale che arrivano in Italia”. (5)
A Baku, Guido Crosetto ha incontrato anche il Ministro della Difesa, generale Zakir Hasanov (con il quale ha firmato un protocollo d’intenti sulla cooperazione nel campo della formazione e dell’istruzione delle forze armate), nonché il Capo dei Servizi di Sicurezza, generale Ali Naghiyev. Grande enfasi nelle parole espresse a conclusione della missione: “L’Italia conferma il suo contributo per un ulteriore rafforzamento delle relazioni tra Azerbaigian e NATO e tra Azerbaigian e Unione Europea”, ha dichiarato Crosetto. (6) Pagine Esteri
Note:
- leonardo.com/it/press-release-…
- crisiswatch.it/2023/06/22/aere…
- aresdifesa.it/gli-m-346-conqui…
- leonardocompany.com/it/press-r…
- formiche.net/2023/01/difesa-en…
- difesa.it/Primo_Piano/Pagine/I…
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L'articolo ARMENIA-AZERBAIJAN. Tajani si propone mediatore ma l’Italia sta con Baku proviene da Pagine Esteri.
ConstipatedWatson
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Poliversity - Università ricerca e giornalismo
in reply to ConstipatedWatson • •@ConstipatedWatson In effetti si tratta di un fenomeno assolutamente normale.
In primo luogo, sistema di misurazione incide sempre sull'oggetto della misurazione.
Inoltre, come se non bastasse, è un principio base della società quello per cui, date certe regole del gioco, chiunque riesca a interpretarle meglio o chiunque ne individui i punti deboli, si trova a ottenere un vantaggio competitivo nei confronti degli altri.
L'ambiente universitario è oggettivamente una fucina di hacker: tra studee che cercano di ottenere il voto più alto studiando il meno possibile, ricercatori che "aiutano" la riuscita degli esperimenti, docenti che liberano la loro fantasia per conseguire assegni di ricerca, funzionari amministrativi che [beh, qui meglio fermarsi per evitare denunce...], non è così strano pensare che abbiano potuto hackerare dei semplici test... 😁
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macfranc e informapirata ⁂ reshared this.
ConstipatedWatson
in reply to Poliversity - Università ricerca e giornalismo • • •Fantastico modo di pensare! In effetti è proprio vero: gli osservatori influenzano ciò che osservano in questo caso e come l'hai scritto tu è perfetto.
È deprimente allo stesso modo che qualcosa che teoricamente sarebbe interessante (statistiche delle università a priori sarebbero anche cose utili) finisca per essere una forte fonte di influenza degli studenti e delle università. I fini di queste agenzie di classifiche non sono nobili...
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Poliversity - Università ricerca e giornalismo, rag. Gustavino Bevilacqua e Oblomov reshared this.
Oblomov
in reply to ConstipatedWatson • • •Legge di Goodhart: quando una misura diventa un obiettivo, cessa di essere una buona misura. L'intero sistema capitalista è costruito in violazione di questa legge.
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