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Stiamo per perdere l’ultimo pilastro della nostra sicurezza digitale? L'articolo di Euronews

@Privacy Pride

Se utilizzi app crittografate come WhatsApp, Signal o ProtonMail, dovresti preoccuparti della possibile approvazione di una nuova legge europea.

Date le gravi conseguenze per la vita di molti, soprattutto dei più emarginati, è fondamentale che la privacy di tutti sia garantita, scrivono Viktoria Tomova e Chloé Berthélémy.

euronews.com/2023/09/25/are-we…

in reply to Privacy Pride

Esattamente a questo mi riferivo. La polizia non ha bisogno di forzare la crittografia. Devono solo chiederlo a #Meta. E probabilmente senza dover aspettare un mandato
@informapirata
in reply to Paolo Redaelli

@paoloredaelli sì, Ma questa è una tua assunzione, perché questo tipo di intervento si può fare solo con il mandato di un giudice.

Farlo senza, almeno fino all'approvazione del primo provvedimento chat control, quello che invita i fornitori a farlo base volontaria, tutto ciò era illegale. Oggi è legale, benché sia incompatibile con la Costituzione italiana. Domani continuerà a essere incompatibile con la costituzione italiana ma non sarà solo legale bensì obbligatorio

@privacypride



@Informatica (Italy e non Italy 😁)
Ai dischi serve davvero la cache?

È una curiosità che mi è venuta recentemente quando stavo facendo spesa,
Vedo che la maggior parte dei "dischi" (sia HDD che SSD) che vedo presentano una certa quantità di "cache DRAM",
Da quel che so serve a migliorare le prestazioni, mantenendo blocchi utilizzati di frequente in una memoria più veloce, e, per gli SSD, a ridurre i cicli di scrittura sulla memoria flash.

Ma qualcosa di simile se non mi sbaglio lo fanno anche sistemi operativi come linux e windows, mantenendo in memoria file letti e scritti di recente, quindi mi chiedo, fa davvero molta differenza avere o no una cache anche sul "disco" al di fuori di benchmark, come crystaldiskmark, che disabilitano esplicitamente la cache del sistema operativo?

Unknown parent

friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
Giovanni Petri

@gmg
OK, così ha molto più senso.

Grazie della spiegazione!

in reply to Giovanni Petri

tl;dr Sì, fa davvero molta differenza.

Anzitutto, in generale aggiungere altri livelli di cache, su un bus/dispositivo lento, aiuta sempre.

La cache interna e del sistema hanno ruoli diversi, non sono una in alternativa all'altra.

La cache del sistema operativo è a conoscenza della struttura dei file. Quindi sceglierà il momento migliore per "inviare" le scritture "cached" al disco, e quando "invalidare" la cache costringendoti a rileggere, sapendo quando apri o chiudi un file, e se lo apri in lettura o scrittura, etc.

Viceversa, il disco non sa come sono fatti i file, ma sa come è strutturato fisicamente il disco. Sugli SSD non è detto che dall'indice del blocco può indovinare su quale punto di quale chip si trova, perché questa corrispondenza cambierà nel tempo per rendere il disco più longevo. Quindi con queste informazioni aggiuntive, può sfruttare alcune euristiche basate sulla struttura fisica per migliorare le prestazioni.
Per gli hard disk invece ti serve semplicemente perché sono dannatamente lenti e ogni aiuto fa differenza.

Inoltre, si parla di DRAM, quindi volatile. Quindi più che i blocchi usati spesso sono quelli usati di recente che si trovano nella cache del disco, perché non sopravviverebbe al riavvio.
Alcuni hard disk hanno un piccolo SSD dentro che invece tiene i dati usati più spesso, e sono molto più veloci di un hdd normale. Ma su un ssd questo non ha senso perché se potessi fare una memoria non volatile più veloce faresti direttamente un ssd più veloce.

Sabrina Web 📎 reshared this.



“Privacy Week”


Oggi ho avuto il piacere di intervenire alla Privacy Week per discutere di privacy e age verification.


guidoscorza.it/privacy-week/



Amnesty. I Talebani arrestano Matiullah Wesa, educatore che lotta per l’istruzione femminile


L’Afghanistan è l’unico paese al mondo che proibisce alle donne e alle ragazze di frequentare la scuola o l’università L'articolo Amnesty. I Talebani arrestano Matiullah Wesa, educatore che lotta per l’istruzione femminile proviene da Pagine Esteri. htt

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di Amnesty International

Pagine Esteri, 25 settembre 2023 – L’Afghanistan è l’unico paese al mondo che proibisce alle donne e alle ragazze di frequentare la scuola o l’università. Anche chi si impegna per il diritto all’istruzione femminile sta pagando un prezzo altissimo. Come Matiullah Wesa, un educatore, fondatore e dirigente di PenPath, un collettivo di 3000 volontari che fanno campagne nei distretti e nelle province remote dell’Afghanistan sull’importanza dell’istruzione, in particolare quella femminile. Prima della presa del potere dei Talebani, Wesa e gli altri volontari hanno sempre lavorato con leader religiosi e anziani per combattere l’analfabetismo nelle aree più remote e isolate.

Wesa è molto conosciuto in Afghanistan e, dopo che i Talebani hanno nuovamente assunto il controllo del paese, ha preso posizione e ha lanciato una campagna in favore del diritto all’istruzione femminile. Ma i Talebani non tollerano alcun dissenso e il 27 marzo 2023 Wesa è stato arrestato con accuse pretestuose. La sua famiglia non ha ancora ricevuto il permesso di fargli visita. Ora anche tutti gli altri volontari per il diritto all’istruzione sono a rischio.

Nel suo secondo rapporto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Richard Bennett, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan, ha documentato la rapida contrazione dello spazio civico: le autorità hanno aumentato le limitazioni e la sorveglianza sui difensori dei diritti umani, che sono stati sottoposti a intimidazioni, anche tramite telefonate, ispezioni nelle loro case, aggressioni fisiche e verbali e arresti arbitrari, creando un clima di paura e senso di disperazione. I difensori dei diritti umani cambiano abitazione regolarmente a causa della paura e delle minacce da parte dei talebani. Il relatore Speciale ha anche riferito di irruzioni dei talebani nelle sedi di diverse organizzazioni della società civile durante le quali sono stati richieste le generalità del personale e delle persone associate, e talvolta anche dei loro familiari.

Firma l’appello per la scarcerazione di Matiullah Wesa

Arrestato attivista per l’istruzione femminile


amnesty.it/appelli/arrestato-a…

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pagineesteri.it/2023/09/25/cul…



#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.



PODCAST. CINA: Passa anche per la porta siriana la strategia di Xi Jinping in Medio oriente


Il leader cinese ha incontrato la scorsa settimana a Hangzhou il presidente Bashar Assad e si è offerto di aiutare la ricostruzione della Siria nel quadro di un «partenariato strategico». Non sono ben chiari limiti e possibilità di questa rinnovata allean

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di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 25 settembre 2023. Con il giornalista ed esperto di Cina Michelangelo Cocco abbiamo analizzato i termini del “partenariato strategico” siglato qualche giorno fa dal leader cinese Xi Jinping e il presidente siriano Bashar Assad.

Per Damasco, sempre isolata e sotto sanzioni è ossigeno puro ma non pochi dubitano che Pechino si farà davvero carico della ricostruzione della Siria sfidando apertamente le sanzioni Usa. Di sicuro c’è invece la penetrazione sempre più evidente della Cina nel teatro mediorientale.
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In Cina e Asia – Asian Games: Xi invita alla "pace” e all’unità tra paesi asiatici


In Cina e Asia – Asian Games: Xi invita alla asia games
I titoli di oggi:

Asian Games: Xi invita alla "pace" e all'unità tra paesi asiatici

Cina-Ue, Dombrovskis a Shanghai mette in luce le "nuove preoccupazioni" nelle relazioni
Cina-Usa, la ripresa dei dialoghi passa da economia e finanza

#MeToo, processo a porte chiuse per due attivisti cinesi
Filippine, proteste contro la Cina per l'installazione di una barriera galleggiante nel mar Cinese meridionale
Corea del Sud, approvata legge per tutelare gli insegnanti
Corea del Sud, le medaglie d'oro eSport agli Asian Games saranno esentate dal servizio militare
Cina, grande espansione del settore dei romanzi online

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Bharat, un nuovo nome per l’India?


Bharat, un nuovo nome per l’India? 9446439
Il nuovo appellativo della Repubblica indiana trae le sue origini dalla tradizione vedica ed in particolare (secondo diversi autori) dai Rigveda, che riportavano come i Bharata fossero una delle tribù principali della pianura dell’Indo e del Gange nel secondo millennio avanti Cristo

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L’Azerbaigian piega gli armeni, abbandonati da Russia e Nato


La Repubblica di Artsakh capitola dopo l'assalto dell'Azerbaigian. Migliaia di civili in fuga, l'Azerbaigian prepara la pulizia etnica. La Russia abbandona l'Armenia e anche Ue e Nato pensano al gas azero L'articolo L’Azerbaigian piega gli armeni, abband

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di Marco Santopadre

Pagine Esteri, 22 settembre 2023 – L’ennesimo assalto militare azero alla Repubblica di Artsakh è durato solo poche ore, tra il 19 e il 20 settembre, ma è bastato per costringere gli armeni alla resa.
Isolati e indeboliti da dieci mesi di assedio, durante i quali i nazionalisti azeri travestiti da “ecologisti” hanno bloccato il corridoio di Lachin (l’unico accesso dalla madrepatria all’enclave armena) impedendo il passaggio di cibo e medicinali, gli armeni del Nagorno-Karabakh non sono riusciti a tenere testa alle truppe di Baku armate da Turchiae Israele.
Pur di evitare un bagno di sangue, le autorità di Stepanakert – la capitale della piccola repubblica autoproclamata dagli armeni all’inizio degli anni ’90 all’interno del territorio dello stato azerbaigiano – hanno dovuto capitolare.
Ieri mattina, mentre le delegazioni dell’Artsakh e dell’Azerbaigian si incontravano a Yevlakh per definire i dettagli della resa e dello smantellamento della piccola repubblica armena, a Stepanakert numerosi testimoni hanno denunciato sparatorie e l’avanzata delle truppe azere, in violazione del cessate il fuoco varato il 20 settembre con la mediazione russa.

Inizialmente sembrava che il bilancio dell’ultimo attacco azero al Nagorno-Karabakh avesse provocato poche vittime, ma nelle ultime ore il bilancio è stato elevato a circa 200 morti e 400 feriti, per lo più appartenenti alle forze di autodifesa della Repubblica di Artsakh. Purtroppo il conteggio include anche alcune decine di civili.

Anche una pattuglia di soldati russi, appartenenti alla forza dispiegata da Mosca nel 2020 per monitorare il rispetto del cessate il fuoco raggiunto al termine del conflitto di 44 giorni durante il quale Baku ha ripreso la maggior parte dei territori persi agli inizi degli anni ’90, è caduta in un’imboscata dell’esercito azero nella zona di Dzhanyatag. Sotto il fuoco dei militari di Baku sarebbero morti ben 6 soldati di Mosca, tra cui il vicecomandante del contingente russo Ivan Kovgan. Il dittatore azero Aliyev si è ufficialmente scusato con il Cremlino ed ha sospeso il comandante delle truppe inviate in Nagorno-Karabakh in attesa dell’esito di un’inchiesta sull’accaduto.

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Lo spettro della pulizia etnica
Le truppe russe hanno affermato di aver evacuato già migliaia di abitanti armeni della regione, e altre migliaia starebbero cercando di abbandonare l’enclave assediata per sottrarsi alle rappresaglie azere. Il difensore civico del Nagorno-Karabakh, Ghegham Stepanian, denuncia una “catastrofe”.
Secondo i termini dell’accordo imposto con le armi da Baku in quella che il regime di Aliyev ha ribattezzato “operazione antiterrorismo”, le forze di autodifesa dell’enclave armena devono consegnare le armi e cedere il controllo del territorio alle truppe azere. Di fatto la prospettiva è quella dello scioglimento dell’entità statuale autoproclamata ormai trent’anni fa dagli armeni dell’Azerbaigian. Si profila un esodo forzato verso l’Armenia dei circa 120 mila abitanti dell’enclave e l’azzeramento della millenaria presenza armena in territori che l’Unione Sovietica aveva deciso di trasformare in una Repubblica Autonoma annessa all’Azerbaigian e che poi, con lo sfaldamento dello stato socialista e in seguito a una sanguinosa guerra con Baku e la conseguente cacciata degli abitanti azeri, si era proclamata indipendente.
Il regime di Ilham Aliyev da una parte esulta per la sconfitta dei “terroristi” e il recupero della sovranità nazionale su tutto il territorio statale, dall’altra assicura che i diritti politici, civili, religiosi e culturali degli armeni saranno garantiti nel rispetto della Costituzione dell’Azerbaigian. Ma, ha avvisato il dittatore (al potere dal 2003 e preceduto da dieci anni di potere assoluto del padre), chi non accetterà di integrarsi dovrà andarsene, come hanno già fatto migliaia di armeni scappati o cacciati dai territori della Repubblica di Artsakh riconquistati da Baku nel 2020 e ripuliti etnicamente.

L’Armenia sempre più sola
La Repubblica Armena è di nuovo sotto shock per l’ennesima e storica disfatta e la consapevolezza di un isolamento quasi assoluto a livello internazionale che mette a rischio la sua stessa sopravvivenza. Il regime azero infatti ha già aggredito lo scorso anno il territorio dello stato armeno e rivendica apertamente il carattere azero di buona parte del suo territorio. Il casus belli è rappresentato dalla contesa per il raggiungimento della continuità territoriale tra l’Azerbaigian e una sua exclave – la Repubblica di Nakhchivan – separata dalla madrepatria da una larga striscia di territorio armeno. Per ottenere il collegamento con l’exclave Baku potrebbe pensare di impossessarsi di una porzione di Armenia approfittando della evidente debolezza di Erevan abbandonata dagli storici alleati e soverchiata dalla potenza militare ed economica di Baku.
Mentre l’Armenia ha davvero poco da offrire, negli ultimi anni l’Azerbaigian è diventato una potenza energetica emergente, sostenuta dalla Turchia e finanziata da una lunga lista di paesi che acquistano i suoi idrocarburi e che, pur solidarizzando con Erevan e criticando gli eccessi di Aliyev, si guardano bene dall’imporre sanzioni al regime di Baku.

Il governo dell’Armenia ha fatto di tutto pur di rimanere fuori dall’ennesimo scontro militare tra i cugini dell’Artsakh e gli azeri, temendo un’espansione dei combattimenti nel suo territorio. D’altronde ormai il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha riconosciuto l’appartenenza all’Azerbaigian del Nagorno-Karabakh, cedendo alle rivendicazioni di Baku.
Pashinyan ci ha tenuto, con varie dichiarazioni, a segnare le distanze con l’amministrazione dell’Artsakh e l’estraneità ai combattimenti – Erevan ha ritirato le sue ultime unità militari dall’enclave armena nel 2021 – accusando anzi “attori interni ed esterni” di voler coinvolgere il paese in un disastro.

«Se le forze di pace russe hanno avanzato la proposta di porre fine alle ostilità e di sciogliere l’esercito dell’Artsakh, significa che si sono completamente assunte l’obbligo di garantire la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh» ha affermato il primo ministro armeno. Secondo Pashinyan le forze di pace russe dovrebbero garantire condizioni adeguate affinché «gli armeni del Nagorno-Karabakh possano godere del pieno diritto di vivere nelle loro case e sul loro suolo».

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Il tradimento russo
Tra Erevan e Mosca le relazioni non sono mai state così deteriorate, e in Armenia monta la rabbia per l’inerzia delle truppe russe di fronte all’ennesima aggressione militare azera preceduta dal micidiale assedio durato dieci mesi.
La Russia, impantanata in Ucraina, certo non desidera essere coinvolta in un conflitto nel Caucaso nonostante il patto militare con l’Armenia (sul cui territorio possiede una base militare) e l’impegno, assunto nel 2020 con il dispiegamento di 2000 peacekeepers nei territori contesi, a garantire il rispetto del cessate il fuoco.
Oltretutto Mosca ha sviluppato negli ultimi anni ottime relazioni economiche e anche militari con il regime di Ilham Aliyev, al quale Gazprom fornisce ogni anno 1 miliardo di tonnellate di gas che poi Baku rivende a caro prezzo ai paesi occidentali, gli stessi che dopo l’aggressione militare russa all’Ucraina hanno disdetto i contratti con la Russia e cercato fonti alternative di idrocarburi.
«L’Azerbaigian agisce sul proprio territorio, che l’Armenia ha riconosciuto quindi si tratta di un affare interno dell’Azerbaigian» ha detto il portavoce del Cremlino, Dimitrij Peskov, imitato da Vladimir Putin.

Il “voltafaccia” di Pashinyan
Dimitrij Medvedev, presidente del Consiglio di Sicurezza russo, sui social ha invece fatto intendere che l’Armenia merita il destino che la attende, colpevole di aver flirtato con la Nato.
Che il leader armeno abbia cercato a occidente il sostegno non più proveniente da Mosca è innegabile, d’altronde Pashinyan è diventato premier per la prima volta nel 2018 in seguito a dei moti di piazza filostatunitensi e filoeuropei. Ma la versione russa che punta il dito esclusivamente sulle responsabilità del premier armeno sorvolando su quelle del regime di Putin è quanto mai di parte.
Quando nel 2020 l’Azerbaigian ha aggredito l’Artsakh e le truppe armene, forte dei droni da bombardamento turchi Bayraktar e delle truppe addestrate da ufficiali di Ankara, l’intervento di Mosca impedì una disfatta totale, obbligando però Erevan ad affidarsi completamente alla Russia per non soccombere. Ma il tempo ha dimostrato che la Federazione Russa non aveva alcun interesse a difendere realmente l’Armenia e men che meno l’Artsakh, e non ha mosso un dito per bloccare le ulteriori aggressioni azere. Mosca non è intervenuta a sostegno di Erevan neanche quando, nel settembre 2022, Baku ha attaccato direttamente la Repubblica Armena e questa ha chiesto l’intervento dell’Organizzazione del trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO), un’alleanza militare regionale guidata dalla Russia che oltretutto con Erevan ha un accordo militare di difesa mutua.
Negli ultimi mesi, mentre l’inerzia russa convinceva Baku che era venuto il momento di tentare la spallata finale, Pashinyan e i suoi ministri hanno iniziato a cercare un’alternativa all’inefficace scudo russo, irritando però ancora di più Putin senza al tempo stesso garantirsi una difesa efficace da parte dei nuovi alleati, cioè gli Stati Uniti e la Francia, ma anche l’India e l’Iran.
Quando l’11 settembre una manciata di militari armeni ha iniziato ad addestrarsi insieme a un numero equivalente di soldati statunitensi, il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov ha dichiarato che le esercitazioni (le “Eagles Partner 2023“) congiunte con un paese della Nato violavano lo “spirito” del partenariato militare con Mosca. Pochi giorni prima, Erevan ha ritirato il proprio rappresentante presso il CSTO accusando il blocco militare di complicità oggettiva con l’Azerbaigian, mentre la moglie di Pashinyan visitava Kiev, l’Armenia inviava aiuti umanitari simbolici all’Ucraina e avviava l’iter di adesione alla Corte Penale Internazionale. Per tutta risposta la Russia ha convocato l’ambasciatore armeno per illustrare le proprie rimostranze.
Nel frattempo l’Azerbaigian ha ammassato per settimane le proprie truppe a ridosso dell’Artsakh, facendo poi scattare i bombardamenti e le incursioni. Putin ha lasciato fare. Forse a Mosca sperano che l’isolamento di Pashinyan e i suoi errori gli costino la carica di primo ministro, magari a vantaggio di un personaggio più vicino ai propri interessi. Ma nel paese il risentimento nei confronti della Russia non ha mai raggiunto livelli così alti e comunque Mosca ha lasciato deteriorare la situazione a tal punto, con la situazione in Nagorno-Karabakh ormai irrimediabilmente compromessa, da avere ormai davvero poco da offrire agli armeni.

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Manifestazioni e scontri a Erevan
Mentre in Azerbaigian la folla nazionalista esulta sventolando bandiere turche e russe, nella capitale armena si susseguono le manifestazioni e gli scontri, con relativi feriti e arresti. Da martedì decine di migliaia di persone, aderenti a movimenti nazionalisti o a partiti di opposizione, al grido di “vergogna” e “assassini” assediano la sede del parlamento e del governo armeni, oltre che la sede diplomatica di Mosca, chiedendo le dimissioni di Nikol Pashinyan e un intervento deciso a favore degli armeni dell’Artsakh.
Per impedire l’ingresso dei dimostranti nelle sedi istituzionali, la polizia in assetto antisommossa ha operato numerosi arresti e ha fatto uso di granate stordenti. Alcuni manifestanti impugnano le bandiere degli Stati Uniti o dell’Unione Europea, della Georgia e della Francia, riponendo false speranze in paesi che, dichiarazioni a parte, non hanno mosso un dito per bloccare l’ennesima offensiva azera.

L’UE protesta con Baku ma pensa al gas
Non sono mancate le dichiarazioni di condanna nei confronti delle mosse di Baku da parte del responsabile della politica estera dell’UE, Josep Borrell, o del Dipartimento di Stato di Washington, o da parte del governo francese. Ma nessuna misura concreta è stata fin qui varata da nessun governo occidentale per convincere il regime di Aliyev a rinunciare all’aggressione militare o alle prevedibili operazioni di pulizia etnica in Nagorno-Karabakh, suscitando la delusione del ministro degli Esteri armeno, mentre l’ambasciatore Edmon Marukyan ha accusato esplicitamente UE e Stati Uniti di essere responsabili della tragedia in corso nell’enclave armena dell’Azerbaigian.
Mentre in numerosi parlamenti europei ed in quello di Strasburgo crescono le richieste di sanzioni nei confronti di Baku, è evidente che l’UE non ha nessun interesse a vararle, anzi.
Lo scorso anno Bruxelles ha siglato un accordo con Baku per raddoppiare entro il 2027 le forniture di gas che, estratto nel Caucaso meridionale, arriva a Melendugno attraverso il TAP. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si è impegnata personalmente per accaparrarsi le forniture azere e poter tagliare quindi quelle russe. Volata a Baku per siglare l’accordo nel luglio scorso, von der Leyen ha descritto l’Azerbaigian come «un partner affidabile e degno di fiducia» sorvolando sulla violazione sistematica dei diritti umani e politici da parte del regime e sul militarismo e lo sciovinismo nei confronti degli armeni.
Nell’ultimo anno in Italia la quota di gas proveniente dall’Azerbaigian è già aumentata dal 10 al 15,1%, eguagliando le importazioni dall’Algeria. Baku ha nel frattempo aumentato gli introiti delle esportazioni di idrocarburi da 20 a 35 miliardi di euro; di questi ben 16,5 provengono dall’Italia. E poi c’è tutto il capitolo degli armamenti: grazie ai crescenti introiti dell’industria petrolifera il regime di Aliyev negli ultimi anni ha fatto il pieno di armi turche e israeliane, ma anche americane ed europee (e russe). – Pagine Esteri

9446404* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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RUSSIA-UCRAINA. Seymour Hersh: “L’esercito di Zelenskyj non può più vincere”


Il famoso giornalista investigativo Usa, vincitore del premio Pulitzer, scrive che nella comunità dell’intelligence americana, si ritiene che l'esercito ucraino abbia rinunciato alla possibilità di superare le linee di difesa russe. L'articolo RUSSIA-UCR

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Di Seymour Hersh*23 Settembre 2023 Modern Diplomacy

Martedì prossimo sarà l’anniversario della distruzione di tre dei quattro gasdotti Nord Stream 1 e 2 da parte dell’amministrazione Biden. Avrei altro da dire al riguardo, ma dovrò aspettare. Perché? Perché la guerra tra Russia e Ucraina, con la Casa Bianca che continua a respingere qualsiasi discorso di cessate il fuoco, è a un punto di svolta.

Ci sono valutazioni di rilievo nella comunità dell’intelligence americana, fondate su rapporti sul campo, che indicano che il demoralizzato esercito ucraino abbia rinunciato alla possibilità di superare le linee di difesa russe a tre livelli, pesantemente minate, e di portare la guerra in Crimea e nelle quattro oblast sequestrate e annesse alla Russia.

La realtà è che il malconcio esercito di Volodymyr Zelenskyj non ha più alcuna possibilità di vittoria.

La guerra continua, mi è stato detto da un funzionario statunitense con accesso all’intelligence, perché Zelenskyj insiste che sia così. Nel suo quartier generale e alla Casa Bianca di Biden non si discute di un cessate il fuoco e non c’è interesse per colloqui che possano portare alla fine del massacro. “Sono tutte bugie”, ha detto il funzionario, parlando delle affermazioni ucraine di progressi incrementali nell’offensiva che ha causato perdite sconcertanti guadagnando terreno in alcune aree che l’esercito ucraino misura in metri a settimana.

“Ci sono state alcune penetrazioni iniziali ucraine nei giorni di avvio dell’offensiva di giugno”, ha detto il funzionario, “vicino” alla prima delle tre formidabili barriere di difesa di cemento della Russia. “I russi si sono ritirati per risucchiarli. Poi (i soldati ucraini) sono stati tutti uccisi”. Dopo settimane di perdite elevate e scarsi progressi, insieme a terribili perdite di carri armati e veicoli blindati, i principali elementi dell’esercito ucraino, senza dichiararlo hanno di fatto annullato l’offensiva. I due villaggi che l’esercito ucraino ha recentemente affermato di aver catturato “sono così piccoli che non potrebbero stare tra due segnali Burma-Shave”.

Il messaggio di Zelenskyj di questa settimana all’Assemblea generale annuale delle Nazioni Unite a New York non ha offerto molte novità e, secondo quanto riportato dal Washington Post, ha ricevuto uno scontato “caloroso benvenuto” da parte dei presenti. Ma, osserva il Post, “ha pronunciato il suo discorso davanti a una sala piena a metà, con molte delegazioni che hanno rifiutato di presentarsi per ascoltare ciò che aveva da dire”. I leader di alcune nazioni in via di sviluppo, aggiunge il rapporto, erano “frustrati” dal fatto che i numerosi miliardi spesi senza responsabilità dall’Amministrazione Biden per finanziare la guerra in Ucraina hanno diminuito il sostegno alle loro lotte contro la povertà e il riscaldamento gobale e per garantire una vita più sicura ai propri cittadini.

In precedenza il presidente Biden rivolgendosi all’Assemblea Generale, non ha affrontato la pericolosa posizione dell’Ucraina nella guerra con la Russia ma ha rinnovato il suo schietto sostegno all’Ucraina. Biden con l’aiuto del segretario di stato Blinken e del consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan – ma con un appoggio in diminuzione altrove in America – ha trasformato il suo incessante sostegno finanziario e morale alla guerra in Ucraina in una questione di vita o di morte per la sua rielezione.

Il funzionario dell’intelligence americana con il quale ho parlato, ha trascorso i primi anni della sua carriera lavorando contro la minaccia sovietica e facendo spionaggio, rispetta l’intelligenza di Putin ma disprezza la sua decisione di entrare in guerra con l’Ucraina e di dare inizio alla morte e alla distruzione che causa ogni conflitto. Mi ha detto, “La guerra è finita. La Russia ha vinto. Non c’è più alcuna offensiva ucraina, ma la Casa Bianca e i media americani devono continuare a mentire. La verità è che se all’esercito ucraino venisse ordinato di continuare l’offensiva, si ammutinerebbe. I soldati non sono più disposti a morire, ma questo non si adatta alle cazzate scritte dalla Casa Bianca di Biden”.

9445869*E’ un famoso giornalista investigativo americano, autore di 11 libri. Ha ottenuto il riconoscimento nel 1969 per aver denunciato il massacro di civili inermi a My Lai e il suo insabbiamento da parte degli Stati uniti durante la guerra del Vietnam. Per quella rivelazione ha ricevuto nel 1970 il Premio Pulitzer. Nel 2004, ha dettagliato torture e abusi compiuti dai militari Usa sui prigionieri ad Abu Ghraib in Iraq. Nel 2013 Hersh rivelò che le forze ribelli siriane, piuttosto che il governo, avevano attaccato i civili con gas sarin a Ghouta. Nel 2015 ha dato un resoconto alternativo del raid statunitense in Pakistan che uccise Osama bin Laden.

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PRIVACYDAILY


N. 166/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Tra poco meno di tre settimane, giovedì 12 ottobre, sarà formalmente aperto al traffico il previsto ponte per i dati tra Regno Unito e Stati Uniti, che consentirà alle aziende e alle organizzazioni britanniche di trasferire dati a organizzazioni certificate negli Stati Uniti.I regolamenti di adeguatezza che istituiscono... Continue reading →


Fossilization live 2023


Fossilization da Brasile live in Barrios Milano 18/9

youtu.be/u6a4og0nsmw



Le classifiche delle migliori università del mondo lasciano il tempo che trovano

@Universitaly: università & universitari

Periodicamente ottengono grandi attenzioni, e l'Italia sembra sempre arrancare, ma non è chiaro a chi servano veramente

Nonostante l’indubbia attenzione che ottengono, però, queste classifiche sono da anni molto criticate. Un po’ perché si basano su criteri arbitrari, che riflettono poco la moltitudine di ruoli sociali e culturali che le università svolgono sul territorio. Un po’ perché sono progettate quasi sempre sulla base del sistema d’istruzione inglese e statunitense, che riflette male come funzionano le università nel resto del mondo. Un po’, semplicemente, perché non è chiaro a cosa servano, se non a indirizzare attenzione e fondi verso le società che le stilano e le università che figurano ai primi posti.

L'articolo di @Viola Stefanello 👩‍💻 è qui su Il Post

in reply to Poliversity - Università ricerca e giornalismo

Fantastico modo di pensare! In effetti è proprio vero: gli osservatori influenzano ciò che osservano in questo caso e come l'hai scritto tu è perfetto.

È deprimente allo stesso modo che qualcosa che teoricamente sarebbe interessante (statistiche delle università a priori sarebbero anche cose utili) finisca per essere una forte fonte di influenza degli studenti e delle università. I fini di queste agenzie di classifiche non sono nobili...

in reply to ConstipatedWatson

@ConstipatedWatson
Legge di Goodhart: quando una misura diventa un obiettivo, cessa di essere una buona misura. L'intero sistema capitalista è costruito in violazione di questa legge.

L reshared this.



Ieri la Commissione Europea pubblica, e poi annulla la pubblicazione della sua propaganda a chatcontrol

@Privacy Pride

A quanto pare, la Commissione Europea sta preparando altro materiale per promuovere la proposta #chatcontrol, ma ha deciso di non pubblicarlo per ragioni sconosciute (anche se il ritardo del voto del Consiglio sembra la causa più probabile).
Ma la cache di Google è implacabile: (archiviato qui)

Grazie a @onrust per aver riportato la notizia (qui il suo post su mastodon)


European Commission publishes, and then unpublishes (?), their #chatcontrol propaganda page.

But google cache is relentless: https://www.consilium.europa.eu/en/policies/protect-against-child-sexual-abuse/" target="_blank" rel="noopener noreferrer">webcache.googleusercontent.com… (archived: archive.ph/kzJV1)

#StopChatcontrol


Questa voce è stata modificata (2 anni fa)


Decreti grancassa


L'articolo Decreti grancassa proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/decreti-grancassa/ https://www.fondazioneluigieinaudi.it/feed


Papà invia foto di suo figlio nudo via Gmail e il suo account Google viene bloccato per sempre: notizia dell'anno scorso, ma fa capire bene le implicazioni del regolamento europeo CHATCONTROL

@Privacy Pride

La scansione automatica di Gmail ha segnalato un account dopo l'invio di foto di un bambino nudo al medico. Ora l'account è bloccato per sempre.

'era una volta un padre che usava Google per tutto: e-mail, calendario, foto, login. Ma poi ha condiviso foto di suo figlio nudo con il medico dei loro figli tramite Gmail. Il suo account Google è stato bloccato. È stato segnalato per la distribuzione di materiale pedopornografico o CSAM (acronimo di child sexual abuse material). Anche se l'indagine è stata rapidamente chiusa, il blocco di Google è rimasto in vigore. Questo padre ha perso l'accesso ad anni di conversazioni e-mail, voci di calendario, foto e altro ancora. Questo esempio dimostra quanto sia dannosa la scansione di materiale CSA. Abbiamo invece bisogno di sicurezza e privacy online!

L'incidente descritto sopra è avvenuto durante la pandemia di COVID, con la chiusura di molti studi medici. Tra i primi a parlarne, il New York Times.

Google gestisce un sistema automatico per analizzare ogni messaggio inviato alla ricerca di potenziale materiale pedopornografico (CSAM).

Ad oggi, questo sistema è volontario, ma l'UE vuole rendere obbligatoria la scansione lato client per la ricerca di materiale CSAM, il che rappresenterebbe una devastante intrusione nella privacy di tutti.

I sistemi di riconoscimento di contenuti sono soggetti a errori e possono rovinare la vita digitale e quella reale degli utenti

in reply to Privacy Pride

Da specificare che non ha mandato "foto del figlio nudo" (che potrebbe essere grave) ma ha fatto una domanda medica al proprio pediatra inviando una foto dettagliata. Non a caso è stato scagionato immediatamente dalle autorità competenti.

Purtroppo Google è completamente gestito da bot e non è possibile contattare un umano per una revisione manuale, il ban in questi casi è permanente perché i bot vedono che c'è un pene nella foto e non possono capire il contesto medico.

Dare ad aziende come Google un obbligo del genere è follia

in reply to Moonrise2473

@Moonrise2473

> Da specificare che non ha mandato "foto del figlio nudo" (che potrebbe essere grave


)

Tu dici che non è il titolo giusto, ma in realtà quel titolo mette subito il lettore in condizione di pensare che quel padre sia colpevole e in tal modo si capisce il senso di #chatcontrol: tu mandi un messaggio che credi essere riservato e il sistema lo intercetta senza mandato di alcun magistrato, lo interpreta come un messaggio CSAM e fine della storia.
Nel caso migliore tu passi una brutta settimana, ma poi ti si sistema tutto e fai finta che non sia successo nulla, che è la specialità che ogni suddito sviluppa per sopravvivere.
Nel caso peggiore passi i guai, perdi tutto e magari si viene anche a sapere in giro che mandi foto di bambini nudi.

Eh no, mi dispiace, ma il titolo è giusto

Unknown parent

friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
Privacy Pride
@qwe Sinceramente non mi ricordavo di questo dettaglio che, se confermato, Sarebbe ancora più inquietante. A parziale giustificazione di Google (parziale eh, Google è uno dei più accesi sostenitori di questo tipo di controlli sciagurati), c'è da dire che per un provider di servizi che offre spazio web agli utenti, il fatto che a causa di alcune immagini si rischia il sequestro dei server (e nel caso del Cloud un sequestro dei server può significare un interruzione di servizio su tutti i server Che condividono quel contenuto!), comporta un pericolo estremamente grande per una società abituata a fatturare continuativamente cifre immense...
Tutto questo però non rende questo tipo di provvedimenti più digeribili: chi se ne frega dell'interesse delle aziende quando vengono messi a rischio i diritti delle persone!


L'eurodeputato Pirata Patrick Breyer invia il proprio augurio e sostegno ai manifestanti del Privacy Pride

@Privacy Pride

peertube.uno/w/r7oLe7rwNUWL6NU…Patrick Breyer europarlamentare del Partito Pirata Europeo, invia un messaggio di saluto agli italiani che partecipano al Privacy Pride: "La vostra manifestazione è un importante supporto per chi, al Parlamento Europeo, sta combattendo per difendere i diritti fondamentali, il diritto alla privacy e ai messaggi confidenziali"

Ringraziamo @Patrick Breyer per il suo supporto alla nostra battaglia contro #chatcontrol e a favore della #privacy e rilanciamo il suo invito!

"chiedete al governo italiano di non appoggiare la proposta #ChatControl, contattate gli europarlamentari italiani che il mese prossimo voteranno su questa proposta e chiedete loro di rispettare il vostro diritto alla privacy e di intraprendere misure mirate, efficaci e rispettose dei diritti, per proteggere i bambini!"

#StopChatcontrol


Stop chatcontrol: il sostegno dell'Europarlamentare Patrick Breyer al Privacy Pride. "La privacy ci rende sereni"


Patrick Breyer, dei Pirati Europei, invia un messaggio di saluto agli italiani che partecipano al Privacy Pride: "La vostra manifestazione è un importante supporto per chi, al Parlamento Europeo, sta combattendo per difendere i diritti fondamentali, il diritto alla privacy e ai messaggi confidenziali"




PRIVACYDAILY


N. 165/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Sul palco del TechCrunch Disrupt 2023, Meredith Whittaker, presidente della Signal Foundation, che gestisce l’app di messaggistica senza scopo di lucro Signal, ha ribadito che Signal lascerà il Regno Unito se la legge sulla sicurezza online recentemente approvata dal Paese costringerà Signal a inserire “backdoor” nella sua crittografia... Continue reading →


Parere 7/2020 a cura del Garante europeo della protezione dei dati (EDPS - European Data Protection Supervisor) sulla proposta di deroghe temporanee alla direttiva 2002/58/CE al fine di combattere gli abusi sessuali sui minori online

@Privacy Pride

Il parere in oggetto è stato prodotto a cura del Garante europeo della protezione dei dati (EDPS - European Data Protection Supervisor) relativamente alla prima proposta #Chatcontrol che *avrebbe consentito ai gestori solo su base volontaria* il controllo di tutta la messaggistica di tutti i cittadini europei.


"Le misure previste dalla proposta costituirebbero un'ingerenza nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati di tutti gli utenti di servizi di comunicazione elettronica molto diffusi, come le piattaforme e le applicazioni di messaggistica istantanea.
Anche le misure volontarie da parte di aziende private costituiscono un'ingerenza in tali diritti quando le misure comportano il monitoraggio e l'analisi del contenuto delle comunicazioni e il trattamento dei dati personali.

Le questioni in gioco non riguardano specificatamente la lotta contro gli abusi sui minori ma qualsiasi iniziativa che miri alla collaborazione del settore privato a fini di applicazione della legge. Se adottata, la proposta costituirà inevitabilmente un precedente per la futura legislazione in questo campo. Il Garante Europeo ritiene pertanto essenziale che la proposta non venga adottata, anche sotto forma di deroga temporanea, finché non saranno integrate tutte le necessarie garanzie stabilite nel presente parere.
Nell’interesse della certezza del diritto, il GEPD ritiene che sia necessario chiarire se la proposta stessa è intesa a fornire una base giuridica per il trattamento ai sensi del GDPR oppure no. In caso contrario, il GEPD raccomanda di chiarire esplicitamente nella proposta quale base giuridica ai sensi del GDPR sarebbe applicabile in questo caso particolare. A questo proposito, il GEPD sottolinea che gli orientamenti delle autorità di protezione dei dati non possono sostituire il rispetto del requisito di legalità. Non è sufficiente prevedere che la deroga temporanea “non pregiudichi” il GDPR e imporre la consultazione preventiva delle autorità di protezione dei dati. Il legislatore deve assumersi la propria responsabilità e garantire che la deroga proposta sia conforme ai requisiti dell’articolo 15, paragrafo 1, come interpretato dalla CGUE.

Per soddisfare il requisito di proporzionalità, la legislazione deve stabilire norme chiare e precise che disciplinino la portata e l'applicazione delle misure in questione e impongano garanzie minime, affinché le persone i cui dati personali sono interessati abbiano garanzie sufficienti che i dati siano essere efficacemente tutelati contro il rischio di abusi.

La mancata individuazione precisa delle misure oggetto della deroga rischia di compromettere la certezza del diritto.

Infine, il GEPD è del parere che il periodo di cinque anni proposto non appaia proporzionato data l'assenza di (a) una dimostrazione preventiva della proporzionalità della misura prevista e (b) l'inclusione di garanzie sufficienti all'interno della testo della normativa. Egli ritiene che la validità di qualsiasi misura transitoria non dovrebbe superare i due anni."

Qui il parere integrale da parte del Garante Europeo

Cos'è il Garante europeo della protezione dei dati (GEPD)?

Il Garante europeo della protezione dei dati (GEPD) è un'istituzione indipendente dell'UE, responsabile ai sensi dell'articolo 52, paragrafo 2, del regolamento 2018/1725 "Per quanto riguarda il trattamento dei dati personali..., di garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche, e in particolare il loro diritto alla protezione dei dati, sono rispettati dalle istituzioni e dagli organi dell'Unione» e, ai sensi dell'articolo 52, paragrafo 3, «...per consigliare le istituzioni e gli organi dell'Unione e gli interessati su tutte le questioni relative al trattamento dei dati personali».


Wojciech Wiewiorówski è stato nominato Supervisore il 5 dicembre 2019 per un mandato di cinque anni.

A norma dell'articolo 42, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2018/1725, la Commissione "dopo l'adozione di proposte di atto legislativo, di raccomandazioni o di proposte al Consiglio a norma dell'articolo 218 TFUE o all'atto della preparazione di atti delegati o atti di esecuzione , consultare il GEPD qualora vi sia un impatto sulla tutela dei diritti e delle libertà delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali» e, ai sensi dell'articolo 57, paragrafo 1, lettera g), il GEPD «consiglia di propria iniziativa o su richiesta, tutte le istituzioni e gli organi dell'Unione sulle misure legislative e amministrative relative alla tutela dei diritti e delle libertà delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali».

Il presente parere è emesso dal GEPD, entro il termine di otto settimane dal ricevimento della richiesta di consultazione di cui all'articolo 42, paragrafo 3, del regolamento (UE) 2018/1725, avuto riguardo all'impatto sulla tutela delle persone diritti e libertà riguardo al trattamento dei dati personali della Commissione Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante deroga temporanea a determinate disposizioni della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’uso di tecnologie da parte di fornitori di servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero per il trattamento di dati personali e di altro tipo allo scopo di combattere gli abusi sessuali sui minori online.

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Qui su Twitter la registrazione della "pendolaria" di questa sera sul chatcontrol per promuovere il PrivacyPride di domani e, più in generale, per promuovere il tema della privacy digitale.

@Privacy Pride

Pendolaria è uno spazio Twitter dedicato alla discussione nell'ora in cui i pendolari rientrano a casa dal lavoro.

Oggi si parla di #PrivacyPride e del Regolamento Europeo CSA #chatcontrol che impone a tutti i gestori di email e messaggistica di setacciare le comunicazioni private in cerca di possibili tracce di abusi su minori.

Questa voce è stata modificata (2 anni fa)


Sulla spesa pubblica serve un segnale forte


Non è rassicurante sentire, qualche giorno fa, dal ministro dell’Economia che sulla manovra «siamo in alto mare». Ma è comprensibile: la situazione è quanto mai incerta e i numeri della NaDef, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza ch

Non è rassicurante sentire, qualche giorno fa, dal ministro dell’Economia che sulla manovra «siamo in alto mare». Ma è comprensibile: la situazione è quanto mai incerta e i numeri della NaDef, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza che il governo approverà la prossima settimana, ballano. Di certo, come ha osservato ancora Giancarlo Giorgetti, la spesa per interessi sul debito pubblico è cresciuta di 14-15 miliardi per via dell’inflazione e del rialzo dei tassi. Giusto la somma che servirebbe per confermare il taglio del cuneo sulle retribuzioni fino a 35 mila euro lordi e per partire con la riforma dell’Irpef, accorpando primo e secondo scaglione sotto l’aliquota più bassa: quindi il 23% fino a 28 mila euro di imponibile (contro i 15 mila attuali). Eppure, almeno i dieci miliardi necessari per confermare il taglio del cuneo andranno assolutamente trovati, perché non è pensabile che, dal prossimo gennaio, 11 milioni di lavoratori dipendenti subiscano una perdita netta media in busta paga di 98 euro al mese (fonte Inps). E aggiungere al taglio del cuneo l’ulteriore sconto che deriverebbe da una prima rivisitazione dell’Irpef, a ben vedere, non farebbe che dare un doveroso aiuto ai redditi medio-bassi rispetto alla perdita del potere d’acquisto che, proprio ieri, un rapporto di Mediobanca ha quantificato del 22% per i lavoratori dell’industria nel 2022.

Ma l’impoverimento rispetto al costo della vita non riguarda solo i redditi da lavoro, bensì anche le pensioni. E dunque c’è da augurarsi che il governo non cada nella tentazione, come l’anno scorso, di far cassa (ben 10 miliardi in tre anni) tagliando l’indicizzazione degli assegni previdenziali. Sono voci di spesa, quelle per contrastare il carovita, da considerare «obbligate». Se non formalmente, nella sostanza. Sia per assicurare la tenuta sociale sia per contrastare i venti di recessione. Così come vanno considerate incomprimibili le spese per la sanità. Non si può non aver imparato la lezione del Covid, né continuare a non vedere che il diritto costituzionale alla salute non è garantito in modo uniforme sul territorio, che il personale sanitario è in fuga, che le liste di attesa si allungano ai danni dei più poveri. E poi ci sono gli interventi a sostegno della natalità, che la premier Giorgia Meloni ha giustamente indicato tra le priorità della legge di Bilancio. Non solo gli asili nido e i sostegni alle mamme lavoratrici, ma un sistema fiscale che consenta di azzerare, almeno per le famiglie a reddito medio-basso, le spese per il mantenimento dei figli.

Misure molto costose, ma che vanno avviate perché siamo in colpevole ritardo sulle politiche per contrastare il declino demografico. Si parla di una manovra di una trentina di miliardi. In realtà ce ne vorrebbero molti di più, per lasciare un segno. Ma bisogna fare i conti con la pesante eredità di un debito pubblico monstre che da molti anni comprime le ambizioni di qualsiasi governo. Anche questa manovra dovrà essere «prudente»,come dice Giorgetti. Bell’aggettivo. In realtà, un ripiego necessitato, non una scelta. Ciò di cui l’Italia avrebbe bisogno è invece una manovra ambiziosa e di lungo respiro. Non si può chiedere al governo Meloni l’impossibile. Ma qualche segnale sì. La prossima sarà la prima legge di Bilancio al 100% di questo esecutivo, dato che quella di un anno fa era già stata impostata dal governo Draghi. A una premier che si dice sicura di restare a Palazzo Chigi per tutta la legislatura si può, per esempio, chiedere il coraggio di affrontare due sfide politicamente delicate. La prima: una spending review che vada ben oltre quel miliardo e mezzo di riduzione della spesa dei ministeri prevista per il 2024. O il governo vuol far credere che la lotta agli sprechi sia finita con la stretta sul Reddito di cittadinanza?

La seconda: il disboscamento delle tax expenditure, quella giungla di 740 fradetrazioni, deduzioni e altre agevolazioni fiscali che sottrae ogni anno gettito per oltre 80 miliardi di euro (4 punti di Pil). È vero che il grosso riguarda gli sconti sulla prima casa e sulle spese sanitarie, che nessuno vuole toccare. Ma è anche vero che un governo, all’inizio del suo cammino, può osare di più. degli 800 milioni-un miliardo di euro di tagli di cui ha parlato il vice ministro dell’Economia, Maurizio Leo. Basta avere coraggio e lungimiranza.

Corriere della Sera

L'articolo Sulla spesa pubblica serve un segnale forte proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



“Via al Privacy Tour! Obiettivo: sconfiggere cultural data divide e persino le mafie”


Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, tutti i venerdì su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni.


guidoscorza.it/via-al-privacy-…



📚 #Scuola, disponibili i primi dati sull’anno scolastico 2023/2024: in classe circa 7,2 mln di studenti.
📊 È disponibile sul sito del MIM l’approfondimento con i primi dati sull’anno appena iniziato.

Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.



Dirigenti scolastici: con valuta odierna sono stati liquidati gli stipendi di settembre con l’incremento della posizione di parte variabile, su precisa indicazione del Ministro Giuseppe Valditara e grazie alla collaborazione istituzionale con il MEF.


La società giapponese Calsonic Kansei controllata dal fondo statunitense Kkr ha deciso di chiudere il proprio stabilimento Magneti Marelli di Crevalcore per sp


L'articolo di Wired Italia sul Privacy Pride: manifestazioni contro il regolamento europeo Chatcontrol.

@Privacy Pride

Le organizza in Italia #PrivacyPride per protestare contro il regolamento europeo che autorizza controlli e intercettazioni su tutte le email dei cittadini europei

Il regolamento che interviene sul contrato agli abusi sessuali su minori online, pur animato da un nobile intento, rischia di creare un pervasivo sistema di sorveglianza, andando a intercettare automaticamente e senza mandato giudiziario tutte le chat e le email di tutti i cittadini per individuare materiale pedopornografico, in barba al principio dell’inviolabilità della corrispondenza.

Manifestazioni contro il regolamento Chatcontrol dell'Unione europea, che gli Stati intendono avallare il prossimo 28 settembre. L'articolo di wired Italia

in reply to Privacy Pride

Così, se voi scrivete in una mail
A un vostro amico: "Guarda un po' che stronza
La von der Leyen ch'è, ma ch'epic fail
Che fece", un tribunale di Magonza,
Vi incrimina magari e vi processa
Perché opinion privata avete espressa"

Non pubblica, si badi, ma inter vos,
Ed ecco un altro poco a casa i Ros
Che mandanvi, e capito avrete già
Di questa norma la finalità:
grande fratello d'Orwell, ma chi sei
A petto dei burocrati europei?

#rimemie
lautorecontoterzi.bio.link/

Questa voce è stata modificata (2 anni fa)


Taiwan Files – Jet sullo Stretto, ponti nel Fujian


Taiwan Files – Jet sullo Stretto, ponti nel Fujian 9403662
Record di jet dell'Esercito popolare di liberazione nella regione intorno all'isola principale di Taiwan. Il piano di integrazione economico-infrastrutturale tra Fujian, Kinmen e Matsu presentato da Wang Huning. Il viaggio di Hou Yu-ih negli Stati Uniti. Tsai Ing-wen in eSwatini. Terry Gou sceglie l'attrice di Wave Makers come vice. Semicon e fotonica di silicio. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

L'articolo Taiwan Files – Jet sullo Stretto, ponti nel Fujian proviene da China Files.



Quanto tempo impiega Xshitter a caricare le pagine di...? Twitter sta ancora limitando i link dei concorrenti: verifica tu stesso

@Etica Digitale (Feddit)

Secondo l'analisi, gli utenti della piattaforma social, ora ufficialmente conosciuta come X, sono costretti ad attendere in media circa due secondi e mezzo dopo aver cliccato sui collegamenti a Bluesky, Facebook, Instagram e Substack. Si tratta di un'attesa più di 60 volte superiore all'attesa media per i collegamenti ad altri siti.


Quanto tempo impiega Xshitter a caricare le pagine di questi concorrenti?

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PODCAST. SABRA E SHATILA. Vittorio Rosa. “Il mondo non deve dimenticare”


Intervista a Vittorio Rosa, della delegazione del "Comitato italiano per non dimenticare Sabra e Shatila" che nei campi profughi palestinesi teatro nel 1982 del massacro di migliaia di persone inermi ha vissuto per molti anni. L'articolo PODCAST. SABRA E

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della redazione

(la foto è di Enzo Infantino)

Pagine Esteri, 21 settembre 2023 – A Beirut per tenere viva la memoria delle migliaia di vittime del massacro compiuto 41 anni nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila dalle milizie falangiste che agirono sotto l’ala protettiva dell’esercito israeliano che occupava in quel momento la capitale libanese e l’intero sud del Paese dei cedri. Oggi, con quel proposito, decine di italiani della delegazione del “Comitato per non dimenticare Sabra e Shatila” parteciperanno a Beirut alla marcia per la memoria delle vittime del massacro. Abbiamo intervistato con uno di loro, Vittorio Rosa, che a Sabra e Shatila ha vissuto, tra gli 8 e i 20 anni, assieme alla madre, con i rifugiati palestinesi.
widget.spreaker.com/player?epi…

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L'articolo PODCAST. SABRA E SHATILA. Vittorio Rosa. “Il mondo non deve dimenticare” proviene da Pagine Esteri.



L’Azerbaigian piega gli armeni, abbandonati da Russia e Nato


La Repubblica di Artsakh capitola dopo l'assalto dell'Azerbaigian. Migliaia di civili in fuga, l'Azerbaigian prepara la pulizia etnica. La Russia abbandona l'Armenia e anche Ue e Nato pensano al gas azero L'articolo L’Azerbaigian piega gli armeni, abband

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di Marco Santopadre

Pagine Esteri, 22 settembre 2023 – L’ennesimo assalto militare azero alla Repubblica di Artsakh è durato solo poche ore, tra il 19 e il 20 settembre, ma è bastato per costringere gli armeni alla resa.
Isolati e indeboliti da dieci mesi di assedio, durante i quali i nazionalisti azeri travestiti da “ecologisti” hanno bloccato il corridoio di Lachin (l’unico accesso dalla madrepatria all’enclave armena) impedendo il passaggio di cibo e medicinali, gli armeni del Nagorno-Karabakh non sono riusciti a tenere testa alle truppe di Baku armate da Turchiae Israele.
Pur di evitare un bagno di sangue, le autorità di Stepanakert – la capitale della piccola repubblica autoproclamata dagli armeni all’inizio degli anni ’90 all’interno del territorio dello stato azerbaigiano – hanno dovuto capitolare.
Ieri mattina, mentre le delegazioni dell’Artsakh e dell’Azerbaigian si incontravano a Yevlakh per definire i dettagli della resa e dello smantellamento della piccola repubblica armena, a Stepanakert numerosi testimoni hanno denunciato sparatorie e l’avanzata delle truppe azere, in violazione del cessate il fuoco varato il 20 settembre con la mediazione russa.

Inizialmente sembrava che il bilancio dell’ultimo attacco azero al Nagorno-Karabakh avesse provocato poche vittime, ma nelle ultime ore il bilancio è stato elevato a circa 200 morti e 400 feriti, per lo più appartenenti alle forze di autodifesa della Repubblica di Artsakh. Purtroppo il conteggio include anche alcune decine di civili.

Anche una pattuglia di soldati russi, appartenenti alla forza dispiegata da Mosca nel 2020 per monitorare il rispetto del cessate il fuoco raggiunto al termine del conflitto di 44 giorni durante il quale Baku ha ripreso la maggior parte dei territori persi agli inizi degli anni ’90, è caduta in un’imboscata dell’esercito azero nella zona di Dzhanyatag. Sotto il fuoco dei militari di Baku sarebbero morti 4 soldati di Mosca.

9402726

Lo spettro della pulizia etnica
Le truppe russe hanno affermato di aver evacuato già migliaia di abitanti armeni della regione, e altre migliaia starebbero cercando di abbandonare l’enclave assediata per sottrarsi alle rappresaglie azere. Il difensore civico del Nagorno-Karabakh, Ghegham Stepanian, denuncia una “catastrofe”.
Secondo i termini dell’accordo imposto con le armi da Baku in quella che il regime di Aliyev ha ribattezzato “operazione antiterrorismo”, le forze di autodifesa dell’enclave armena devono consegnare le armi e cedere il controllo del territorio alle truppe azere. Di fatto la prospettiva è quella dello scioglimento dell’entità statuale autoproclamata ormai trent’anni fa dagli armeni dell’Azerbaigian. Si profila un esodo forzato verso l’Armenia dei circa 120 mila abitanti dell’enclave e l’azzeramento della millenaria presenza armena in territori che l’Unione Sovietica aveva deciso di trasformare in una Repubblica Autonoma annessa all’Azerbaigian e che poi, con lo sfaldamento dello stato socialista e in seguito a una sanguinosa guerra con Baku e la conseguente cacciata degli abitanti azeri, si era proclamata indipendente.
Il regime di Ilham Aliyev da una parte esulta per la sconfitta dei “terroristi” e il recupero della sovranità nazionale su tutto il territorio statale, dall’altra assicura che i diritti politici, civili, religiosi e culturali degli armeni saranno garantiti nel rispetto della Costituzione dell’Azerbaigian. Ma, ha avvisato il dittatore (al potere dal 2003 e preceduto da dieci anni di potere assoluto del padre), chi non accetterà di integrarsi dovrà andarsene, come hanno già fatto migliaia di armeni scappati o cacciati dai territori della Repubblica di Artsakh riconquistati da Baku nel 2020 e ripuliti etnicamente.

L’Armenia sempre più sola
La Repubblica Armena è di nuovo sotto shock per l’ennesima e storica disfatta e la consapevolezza di un isolamento quasi assoluto a livello internazionale che mette a rischio la sua stessa sopravvivenza. Il regime azero infatti ha già aggredito lo scorso anno il territorio dello stato armeno e rivendica apertamente il carattere azero di buona parte del suo territorio. Il casus belli è rappresentato dalla contesa per il raggiungimento della continuità territoriale tra l’Azerbaigian e una sua exclave – la Repubblica di Nakhchivan – separata dalla madrepatria da una larga striscia di territorio armeno. Per ottenere il collegamento con l’exclave Baku potrebbe pensare di impossessarsi di una porzione di Armenia approfittando della evidente debolezza di Erevan abbandonata dagli storici alleati e soverchiata dalla potenza militare ed economica di Baku.
Mentre l’Armenia ha davvero poco da offrire, negli ultimi anni l’Azerbaigian è diventato una potenza energetica emergente, sostenuta dalla Turchia e finanziata da una lunga lista di paesi che acquistano i suoi idrocarburi e che, pur solidarizzando con Erevan e criticando gli eccessi di Aliyev, si guardano bene dall’imporre sanzioni al regime di Baku.

Il governo dell’Armenia ha fatto di tutto pur di rimanere fuori dall’ennesimo scontro militare tra i cugini dell’Artsakh e gli azeri, temendo un’espansione dei combattimenti nel suo territorio. D’altronde ormai il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha riconosciuto l’appartenenza all’Azerbaigian del Nagorno-Karabakh, cedendo alle rivendicazioni di Baku.
Pashinyan ci ha tenuto, con varie dichiarazioni, a segnare le distanze con l’amministrazione dell’Artsakh e l’estraneità ai combattimenti – Erevan ha ritirato le sue ultime unità militari dall’enclave armena nel 2021 – accusando anzi “attori interni ed esterni” di voler coinvolgere il paese in un disastro.

«Se le forze di pace russe hanno avanzato la proposta di porre fine alle ostilità e di sciogliere l’esercito dell’Artsakh, significa che si sono completamente assunte l’obbligo di garantire la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh» ha affermato il primo ministro armeno. Secondo Pashinyan le forze di pace russe dovrebbero garantire condizioni adeguate affinché «gli armeni del Nagorno-Karabakh possano godere del pieno diritto di vivere nelle loro case e sul loro suolo».

9402728

Il tradimento russo
Tra Erevan e Mosca le relazioni non sono mai state così deteriorate, e in Armenia monta la rabbia per l’inerzia delle truppe russe di fronte all’ennesima aggressione militare azera preceduta dal micidiale assedio durato dieci mesi.
La Russia, impantanata in Ucraina, certo non desidera essere coinvolta in un conflitto nel Caucaso nonostante il patto militare con l’Armenia (sul cui territorio possiede una base militare) e l’impegno, assunto nel 2020 con il dispiegamento di 2000 peacekeepers nei territori contesi, a garantire il rispetto del cessate il fuoco.
Oltretutto Mosca ha sviluppato negli ultimi anni ottime relazioni economiche e anche militari con il regime di Ilham Aliyev, al quale Gazprom fornisce ogni anno 1 miliardo di tonnellate di gas che poi Baku rivende a caro prezzo ai paesi occidentali, gli stessi che dopo l’aggressione militare russa all’Ucraina hanno disdetto i contratti con la Russia e cercato fonti alternative di idrocarburi.
«L’Azerbaigian agisce sul proprio territorio, che l’Armenia ha riconosciuto quindi si tratta di un affare interno dell’Azerbaigian» ha detto il portavoce del Cremlino, Dimitrij Peskov, imitato da Vladimir Putin.

Il “voltafaccia” di Pashinyan
Dimitrij Medvedev, presidente del Consiglio di Sicurezza russo, sui social ha invece fatto intendere che l’Armenia merita il destino che la attende, colpevole di aver flirtato con la Nato.
Che il leader armeno abbia cercato a occidente il sostegno non più proveniente da Mosca è innegabile, d’altronde Pashinyan è diventato premier per la prima volta nel 2018 in seguito a dei moti di piazza filostatunitensi e filoeuropei. Ma la versione russa che punta il dito esclusivamente sulle responsabilità del premier armeno sorvolando su quelle del regime di Putin è quanto mai di parte.
Quando nel 2020 l’Azerbaigian ha aggredito l’Artsakh e le truppe armene, forte dei droni da bombardamento turchi Bayraktar e delle truppe addestrate da ufficiali di Ankara, l’intervento di Mosca impedì una disfatta totale, obbligando però Erevan ad affidarsi completamente alla Russia per non soccombere. Ma il tempo ha dimostrato che la Federazione Russa non aveva alcun interesse a difendere realmente l’Armenia e men che meno l’Artsakh, e non ha mosso un dito per bloccare le ulteriori aggressioni azere. Mosca non è intervenuta a sostegno di Erevan neanche quando, nel settembre 2022, Baku ha attaccato direttamente la Repubblica Armena e questa ha chiesto l’intervento dell’Organizzazione del trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO), un’alleanza militare regionale guidata dalla Russia che oltretutto con Erevan ha un accordo militare di difesa mutua.
Negli ultimi mesi, mentre l’inerzia russa convinceva Baku che era venuto il momento di tentare la spallata finale, Pashinyan e i suoi ministri hanno iniziato a cercare un’alternativa all’inefficace scudo russo, irritando però ancora di più Putin senza al tempo stesso garantirsi una difesa efficace da parte dei nuovi alleati, cioè gli Stati Uniti e la Francia, ma anche l’India e l’Iran.
Quando l’11 settembre una manciata di militari armeni ha iniziato ad addestrarsi insieme a un numero equivalente di soldati statunitensi, il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov ha dichiarato che le esercitazioni (le “Eagles Partner 2023“) congiunte con un paese della Nato violavano lo “spirito” del partenariato militare con Mosca. Pochi giorni prima, Erevan ha ritirato il proprio rappresentante presso il CSTO accusando il blocco militare di complicità oggettiva con l’Azerbaigian, mentre la moglie di Pashinyan visitava Kiev, l’Armenia inviava aiuti umanitari simbolici all’Ucraina e avviava l’iter di adesione alla Corte Penale Internazionale. Per tutta risposta la Russia ha convocato l’ambasciatore armeno per illustrare le proprie rimostranze.
Nel frattempo l’Azerbaigian ha ammassato per settimane le proprie truppe a ridosso dell’Artsakh, facendo poi scattare i bombardamenti e le incursioni. Putin ha lasciato fare. Forse a Mosca sperano che l’isolamento di Pashinyan e i suoi errori gli costino la carica di primo ministro, magari a vantaggio di un personaggio più vicino ai propri interessi. Ma nel paese il risentimento nei confronti della Russia non ha mai raggiunto livelli così alti e comunque Mosca ha lasciato deteriorare la situazione a tal punto, con la situazione in Nagorno-Karabakh ormai irrimediabilmente compromessa, da avere ormai davvero poco da offrire agli armeni.

youtube.com/embed/LsWq5ES9_xU?…

Manifestazioni e scontri a Erevan
Mentre in Azerbaigian la folla nazionalista esulta sventolando bandiere turche e russe, nella capitale armena si susseguono le manifestazioni e gli scontri, con relativi feriti e arresti. Da martedì decine di migliaia di persone, aderenti a movimenti nazionalisti o a partiti di opposizione, al grido di “vergogna” e “assassini” assediano la sede del parlamento e del governo armeni, oltre che la sede diplomatica di Mosca, chiedendo le dimissioni di Nikol Pashinyan e un intervento deciso a favore degli armeni dell’Artsakh.
Per impedire l’ingresso dei dimostranti nelle sedi istituzionali, la polizia in assetto antisommossa ha operato numerosi arresti e ha fatto uso di granate stordenti. Alcuni manifestanti impugnano le bandiere degli Stati Uniti o dell’Unione Europea, della Georgia e della Francia, riponendo false speranze in paesi che, dichiarazioni a parte, non hanno mosso un dito per bloccare l’ennesima offensiva azera.

L’UE protesta con Baku ma pensa al gas
Non sono mancate le dichiarazioni di condanna nei confronti delle mosse di Baku da parte del responsabile della politica estera dell’UE, Josep Borrell, o del Dipartimento di Stato di Washington, o da parte del governo francese. Ma nessuna misura concreta è stata fin qui varata da nessun governo occidentale per convincere il regime di Aliyev a rinunciare all’aggressione militare o alle prevedibili operazioni di pulizia etnica in Nagorno-Karabakh, suscitando la delusione del ministro degli Esteri armeno, mentre l’ambasciatore Edmon Marukyan ha accusato esplicitamente UE e Stati Uniti di essere responsabili della tragedia in corso nell’enclave armena dell’Azerbaigian.
Mentre in numerosi parlamenti europei ed in quello di Strasburgo crescono le richieste di sanzioni nei confronti di Baku, è evidente che l’UE non ha nessun interesse a vararle, anzi.
Lo scorso anno Bruxelles ha siglato un accordo con Baku per raddoppiare entro il 2027 le forniture di gas che, estratto nel Caucaso meridionale, arriva a Melendugno attraverso il TAP. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si è impegnata personalmente per accaparrarsi le forniture azere e poter tagliare quindi quelle russe. Volata a Baku per siglare l’accordo nel luglio scorso, von der Leyen ha descritto l’Azerbaigian come «un partner affidabile e degno di fiducia» sorvolando sulla violazione sistematica dei diritti umani e politici da parte del regime e sul militarismo e lo sciovinismo nei confronti degli armeni.
Nell’ultimo anno in Italia la quota di gas proveniente dall’Azerbaigian è già aumentata dal 10 al 15,1%, eguagliando le importazioni dall’Algeria. Baku ha nel frattempo aumentato gli introiti delle esportazioni di idrocarburi da 20 a 35 miliardi di euro; di questi ben 16,5 provengono dall’Italia. E poi c’è tutto il capitolo degli armamenti: grazie ai crescenti introiti dell’industria petrolifera il regime di Aliyev negli ultimi anni ha fatto il pieno di armi turche e israeliane, ma anche americane ed europee (e russe). – Pagine Esteri

9402730* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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In Cina e Asia – Cina, inizia la visita del presidente siriano Assad


In Cina e Asia – Cina, inizia la visita del presidente siriano Assad visita Assad Hangzhou
I titoli di oggi:

Cina, inizia la visita del presidente siriano Assad
Corea del Sud, approvato mandato d’arresto contro il leader dell’opposizione
Stretta sulla corruzione: calano le fortune dei magnati della sanità
Cina: botta e risposta tra funzionari cinesi, europei e americani su de-risking e decarbonizzazione
L'Università di Xi'an rimuove l'inglese come requisito per la laurea
Thailandia, il nuovo premier promette crescita economica e una riforma della legge sulla cannabis
L’India sospende i servizi di visto per i cittadini canadesi

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PRIVACYDAILY


N. 164/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: ll servizio postale canadese sta violando la legge raccogliendo informazioni dall’esterno di buste e pacchi per contribuire alla creazione di liste di marketing da vendere alle aziende.L’ufficio del commissario per la privacy Philippe Dufresne afferma che le informazioni raccolte per il programma di marketing includono dati su dove... Continue reading →


Privacy Pride: il 23 settembre nelle città italiane per rivendicare il diritto alla privacy contro il regolamento europeo CHATCONTROL

@Privacy Pride

#Chatcontrol: i bambini come pretesto per aumentare la sorveglianza

Il 28 settembre 2023, i governi degli Stati membri dell’UE avalleranno il regolamento sugli abusi sessuali su minori (più brevemente ChatControl).

Con la nobile scusa di fermare gli abusi sui minori, riusciranno finalmente a intercettare automaticamente e senza mandato giudiziario tutte le chat e le email di tutti i cittadini per individuare (con ampio margine di errore!) materiale pedopornografico, in barba al principio dell’inviolabilità della corrispondenza e all’art. 15 della Costituzione italiana e dell’art. 12 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Noi sappiamo che gli abusi sui minori non si combattono intercettando indiscriminatamente i cittadini, ma intervenendo sul degrado sociale ed economico delle loro famiglie.

Se vogliamo implementare provvedimenti tecnici a favore dei bambini, allora la politica potrebbe concentrarsi piuttosto su come lo Stato promuove oggi la sorveglianza sugli studenti proprio attraverso l’adozione nella scuola pubblica di piattaforme cloud extraeuropee che drenano dati senza alcun reale controllo sovrano italiano ed europeo e senza alcuna possibilità di opporsi seriamente da parte del singolo studente o della singola famiglia.

Siccome l’opinione pubblica italiana è stata tenuta all’oscuro sia su chatcontrol, sia sulla questione delle piattaforme cloud della scuola, cercheremo di informare i cittadini con dei sit-in nelle più importanti città d’Italia:

Roma, Largo della Torre Argentina (angolo Via S. Nicola de’ Cesarini)
Milano, Piazza XXIV Maggio
Torino, Via Garibaldi, angolo piazza Castello
Genova, Via Vado 41R, COL – Sala Bruno Nanì La Terra, nel quadro dell’evento formativo “Introduzione alla protezione dei dati personali e sicurezza digitale”
• Venezia, Fondamenta delle Zattere (ancora in forse)

È importante che i cittadini chiedano subito ai propri governi e ai propri europarlamentari di fermare l’approvazione di questo regolamento, altrimenti a breve potremmo ritrovarci con un sistema in grado di intercettare tutti i cittadini in cerca di immagini di abusi; e se domani questo sistema venisse esteso per ricercare qualsiasi contenuto che non sia ritenuto consono alle posizioni ideologiche del governo pro tempore?

LA PRIVACY È UN DIRITTO UMANO E LA LOTTA PER LA PRIVACY È LOTTA PER LA DEMOCRAZIA!

Membri del comitato promotore del Privacy Pride: Giacomo Alessandroni (Associazione PeaceLink), Pietro Biase (Open Genova APS), Marco Confalonieri (International PP, Pirati.io), Filippo Della Bianca (Fondatore Devol e Mastodon.uno), Alessandra De Rossi (Univ. di Torino), Fedro Fornara (Membro Etica Digitale), Andrea Guani (Fondatore Le Alternative), Carlo Gubitosa (Fondatore Sociale.network), Enzo Ganci (NoSmartControlRoom Venezia) Andrea Laisa (@amreo) (Membro Etica Digitale), Francesco Macchia (Informapirata, Pirati.io), Enrico Nardelli (Univ. Tor Vergata), Maria Chiara Pievatolo (Univ. di Pisa)

Realtà che hanno aderito al Privacy Pride: Enti e associazioni: Laboratorio Nazionale Informatica e Scuola del Consorzio CINI, Eumans, Open Genova APS, Peacelink, Pirati.io; Collettivi e blog: Devol, Le Alternative, Progetto Winston Smith, Privacy Chronicles, Cittadino Medio, Informapirata; Istanze del fediverso: Mobilizon.it, Peertube.uno, Mastodon.uno, Sociale.network, Pixelfed.uno, Poliverso.org, Feddit.it, Poliversity.it

Con chatcontrol leggeranno tutte le tue chat


Privacy Pride Roma - H. 16:00-18:00


Privacy Pride Roma - H. 16:00-18:00
Inizia: Sabato Settembre 23, 2023 @ 4:00 PM GMT+02:00 (Europe/Rome)
Finisce: Sabato Settembre 23, 2023 @ 6:00 PM GMT+02:00 (Europe/Rome)
Uno dei cavalli di battaglia dei nemici della privacy è la tutela dei bambini, proprio quei bambini che gli stati abbandonano nelle mani delle grandi piattaforme centralizzate ormai universalmente adottate nelle scuole. Ma si sa, c’è privacy dei bambini e privacy dei bambini!</p><p></p><h4>• CHATCONTROL: I BAMBINI COME PRETESTO? •</h4><p><br>I governi degli Stati membri dell’UE stanno pianificando di adottare la loro posizione ufficiale, denominata “approccio generale”, sul regolamento sugli abusi sessuali su minori (più brevemente ChatControl) alla riunione dei ministri della giustizia e degli affari interni del 28 settembre 2023. La motivazione è sempre la stessa: di fronte ai mostri che minacciano i bambini vale la pena <b>intercettare automaticamente e senza mandato giudiziario tutte le chat e le email di tutti i cittadini</b> per individuare <i>(con ampio margine di errore!)</i> materiale pedopornografico, in barba al principio dell’inviolabilità della corrispondenza.</p><p>Gli abusi sui minori non si combattono intercettando indiscriminatamente i cittadini, ma intervenendo sul degrado sociale ed economico delle loro famiglie. Se vogliamo implementare provvedimenti tecnici a favore i bambini, allora la politica potrebbe concentrarsi piuttosto su come lo Stato promuove oggi la sorveglianza sugli studenti proprio attraverso l’adozione nella scuola pubblica di piattaforme cloud extraeuropee che drenano dati senza alcun reale controllo sovrano italiano ed europeo e senza alcuna possibilità di opporsi seriamente da parte del singolo studente o della singola famiglia.</p><p>Naturalmente l’attenzione dell’opinione pubblica italiana (e di parte di quella europea) è stata mantenuta dormiente sia su <b>chatcontrol</b>, sia sulla questione <b>delle piattaforme cloud della scuola</b>: politica e giornali si sono ben guardati dall’affrontare la questione e per questo diventa opportuno mobilitarsi velocemente, al fine di alzare l’attenzione dell’opinione pubblica, finora incredibilmente insensibile, su questo epocale cambiamento dello stato di diritto e della inviolabilità della corrispondenza: oggi ci preparano un sistema per intercettare tutti i cittadini in cerca di immagini di abusi; <b><i>e se domani lo estendessero per ricercare qualsiasi contenuto che non sia ritenuto consono alle posizioni ideologiche del governo pro tempore?</i></b></p><p></p><h4>• COSA VOGLIAMO? •</h4><p><br>☮️ Rivendicazione della privacy come diritto umano</p><p>👩‍👩‍👦‍👦 Ricordare che non c’è privacy del singolo senza privacy della comunità</p><p>ℹ️ Richiesta di campagne informative che educhino sui diritti digitali</p><p>🛡 Difesa della sfera privata dall’invadenza dello Stato e dei privati</p><p>🔧 Programmi per servizi pubblici progettati con codice pubblico (cioè libero, componente necessario per poter parlare di privacy digitale)</p><p>🌼 Affermare che la privacy è sia diritto individuale che bene comune</p><p>🤝 Dimostrare la piena compatibilità tra sfera privata e sfera pubblica</p><p></p><h4>• PROGRAMMA DELLA MANIFESTAZIONE •</h4><p><br>Durante l'evento ci saranno diversi discorsi da parte degli organizzatori e dai manifestanti che potranno improvvisare con i loro discorsi.</p><p>Come in qualunque manifestazione che si rispetti portate il vostro cartellone con un vostro slogan!</p><p></p><h4>• DOVE •</h4><p><br>Largo della Torre Argentina (angolo Via S. Nicola de' Cesarini)

in reply to Privacy Pride

Peraltro noi possiamo prendere tutte le misure che vogliamo non usando Google e Microsoft, stando attenti a quali client utilizziamo...ma se poi scrivi al medico di base delle tue patologie e questo ti risponde e ti invia le ricette e questo te le manda da cicci0capricci069@hot*mail.it...
in reply to Dabliu

@Dabliu esatto, ma se pensi che il SSN è sottoposto a un deliberato processo di impoverimento e distruzione e che l'ordine dei medici impiega anni anche solo per decidere se uno stregone ciarlatano è uno stregone ciarlatano, sembrerebbe che l'unico attore in grado di incidere positivamente sulla questione sia, come al solito, l'autorità garante per la protezione dei dati personali...


Il venerdì di Rifondazione: Pablo Iglesias, Michele Santoro e salario minimo Bologna, 21 settembre 2023 Continua la Festa nazionale di Rifondazione Comun


Meloni e la necessità di “aprire al centro”


A chi conosce un po’ di storia d’Italia e vede la piega che sta prendendo il governo Meloni vengono subito alla mente due confronti, due ricordi, pur sapendo bene che il primo non piacerà molto all’attuale presidente del Consiglio. È il confronto con il g

A chi conosce un po’ di storia d’Italia e vede la piega che sta prendendo il governo Meloni vengono subito alla mente due confronti, due ricordi, pur sapendo bene che il primo non piacerà molto all’attuale presidente del Consiglio. È il confronto con il governo che costituì Mussolini all’indomani della marcia su Roma, e con quello che costituì De Gasperi dopo la vittoria del 18 aprile. Nel novembre del 1922 il futuro duce si guardò bene dall’assegnare il ministero della Guerra ad Amerigo Dumini o a qualche altro scherano dello squadrismo: lo diede invece al maresciallo Diaz; tanto meno si rivolse a Roberto Farinacci per il ministero dell’Istruzione: chiamò Giovanni Gentile.

Ancor più e meglio De Gasperi, il quale, pur disponendo nel ’48 di una maggioranza assoluta in Parlamento non chiese a don Sturzo di fare il presidente della Repubblica. Lo chiese al liberale Luigi Einaudi, e allo stesso modo non diede lo strategico ministero degli Esteri a Dossetti o a un suo fedelissimo, lo diede al repubblicano Sforza. Ora, sia Mussolini che De Gasperi avevano, benché su scala maggiore, lo stesso problema cha si è presentato a Meloni. Entrambi i loro governi rappresentavano due fratture di portata drammatica rispetto al corso precedente della storia del Paese, due veri e propri terremoti politici carichi di un forte significato anche simbolico. Nel primo caso era la fine dell’Italia liberale, nel secondo la fine della conventi o ad excludendum dei cattolici dalla direzione dello Stato, che risaliva al Risorgimento. Ebbene, sia Mussolini che De Gasperi capirono che era loro interesse, proprio perciò, formare due esecutivi e addirittura scegliere un capo dello Stato che grazie ad una oculata scelta di nomi, cercassero di attutire quanto più possibile, agli occhi del Paese prima che a quelli dei loro avversari, la portata della rottura di cui sopra.

Capirono cioè che era un loro interesse mostrarsi, come si dice, inclusivi, scegliendo di essere affiancati da persone non appartenenti alla propria parte anche se naturalmente non ostili. E sicuramente lo fecero, si badi, non già per una qualche forma di debolezza o di sfiducia nelle proprie capacità. Al contrario: perché non solo si sentivano sicuri del fatto loro ma perché ognuno di essi intendeva che il proprio governo rappresentasse una vera rottura e l’apertura di una fase politica davvero nuova e destinata a durare, come in effetti fu. Immagino che una eguale ambizione abbia tuttora anche la nostra attuale presidente del Consiglio. Si dà il caso però che il risultato elettorale le abbia consegnato la guida di una coalizione nella quale il principale interesse dei suoi alleati è quello di renderle la vita difficile, mettendo ogni giorno potenzialmente in crisi il suo governo. Ne risulta che un obiettivo più che mai vitale di Giorgia Meloni non possa che essere quello di accrescere al massimo il proprio bottino di voti alla prossima occasione elettorale. Magari a spese dei suddetti alleati, ma ben più plausibilmente andando a pescare nel grande bacino costituito dagli italiani i quali la volta scorsa non le hanno dato il voto, o non hanno votato o hanno disperso il proprio voto parcheggiandolo da qualche parte. E cioè nell’elettorato definibile genericamente moderato o centrista che dir si voglia, il quale prima di darle il suo consenso ha voluto però vederla all’opera.

A Giorgia Meloni doveva essere evidente, insomma, che il suo interesse, una volta divenuta presidente del Consiglio, era quello di aprire al centro, come si dice. Che solo da lì poteva venirle la forza per consolidare la sua leadership realizzando il disegno di dar vita a una grande forza liberal-conservatrice, così da rimodellare il sistema politico italiano dando inizio a una fase davvero nuova della sua storia. Viceversa la presidente del Consiglio, lungi dal battere questa strada ha preso quella opposta. A cominciare dalla composizione del governo, infatti, invece di cercare di dare a questo un respiro nazionale, invece di aprire nelle molte nomine successive a chi rappresentava mondi e culture diverse dalle sue, invece di mostrarsi capace di ricercare e di accogliere nella propria compagine qualche significativa eccellenza del Paese disposta a collaborare con il suo tentativo, Giorgia Meloni si è rinchiusa in una sorta di «ridotto della Valtellina» identitario o, se si preferisce evitare infelici memorie, in una sorta di quadrato di Villafranca costituito da compagni quasi di scuola, da fedelissimi della prim’ora, da vecchi militanti amici, da congiunti e parenti stretti: che tutti quindi le devono tutto.

Il carattere schietto della presidente, abituata al parlare franco, non se la prenderà se le diciamo che non è così, però, che si costruisce una leadership autorevole. Non è così che si entra in sintonia con la maggioranza effettiva del Paese e se ne diventa la guida, non è così che si attua una grande svolta politica, e soprattutto non è così che si ottengono buoni risultati di governo. In politica la fedeltà a tutta prova può servire nel momento aspro dello scontro; ma quando invece si tratta di decidere, di organizzare e di agire nell’interesse della collettività, allora serve altro. Servono le competenze, le idee, l’immagine pubblica, le relazioni, le capacità. Serve l’impegno sincero a far parte di una squadra, di un governo appunto: che è cosa diversa da una schiera di pretoriani.

Corriere della Sera

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Chatcontrol, il regolamento europeo che spia tutti i cittadini con la scusa di proteggere i minori dagli abusi on line, può favorire la colpevolizzazione delle vittime

@Privacy Pride

In Ohio, un padre chiama la polizia perché la figlia di 11 anni potrebbe avere subito molestie online, ma il poliziotto, invece di aiutare la vittima, lascia intendere che anche lei potrebbe essere accusata di pedopornografia.

Il video mostra meglio di qualunque discorso quanto la scansione indiscriminata di testi, immagini e video causata da #chatcontrol potrebbe essere utilizzata per inibire, colpevolizzare o, addirittura, ricattare le vittime!

#StopChatcontrol

Il post di @Patrick Breyer


🇬🇧11-year-old daughter was groomed by adult into sending nude photos. After reporting, police investigate HER for creating CSAM.
You can imagine countless children will be criminalised if blanket #chatcontrol scanning is implemented... apnews.com/article/ohio-police…
Questa voce è stata modificata (2 anni fa)


La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. Ecco perché CHATCONTROL è incompatibile con l'art. 15 della Costituzione Italiana

@Privacy Pride

Segnaliamo questo commento dell'art. 15 della Costituzione da parte della prof.ssa Licia Califano, docente ordinaria di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

In particolare, vogliamo estrapolare questi passaggi, estremamente interessanti alla luce del Regolamento #chatcontrol:

Una inviolabilità della libertà e segretezza che stabilisce un collegamento immediatamente percepibile con l’art. 2 Cost. e qualifica il diritto in parola quale espressione del nucleo essenziale dei valori della personalità, il cui contenuto “non può subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante” e “sempreché l’intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell’interesse” e nei limiti stabiliti dallo stesso art. 15 Cost. [Corte cost. sent. n. 366/1991]


Senza la previsione dell’inviolabilità della comunicazione privata verrebbe pregiudicato lo spazio vitale che circonda la persona e, con esso, la stessa possibilità di esistere e svilupparsi in armonia con i postulati della dignità umana.
"...la disposizione costituzionale riserva all’autorità giudiziaria (da intendersi come pubblico ministero, giudice per indagini preliminari, giudice del dibattimento) la concreta limitazione della libertà e della segretezza, escludendo l’intervento di organi e poteri diversi, così come la richiesta che il provvedimento sia motivato per assicurare il controllo giurisdizionale nei gradi successivi di giudizio." e "Diversamente dagli articoli 13 e 14 Cost., l’art. 15 Cost. non prevede espressamente l’intervento preventivo, nel caso di urgenza, dell’autorità di pubblica sicurezza."

Il commento completo della prof.ssa Califano, è disponibile qui



Khaled El Qaisi, ennesima proroga: altri 11 giorni di detenzione senza accuse


Nell'udienza del 21 settembre il tribunale ha deciso di estendere ancora una volta il periodo di detenzione del ricercatore italo-palestinese arrestato dalle autorità israeliane il 31 agosto. L'articolo Khaled El Qaisi, ennesima proroga: altri 11 giorni

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Pagine Esteri, 21 settembre 2023. È da poco terminata l’udienza prevista per oggi, 21 settembre, in merito alla situazione del ricercatore italo-palestinese Khaled El Qaisi, arrestato lo scorso 31 agosto dalle autorità israeliane al valico di Allenby, al confine tra Cisgiordania e Giordania. In un comunicato stampa l’avvocato della famiglia del ricercatore ha fatto sapere che il tribunale ha deciso di estendere di ulteriori 11 giorni il periodo di detenzione. Khaled El Qaisi rimane quindi recluso nella prigione di Petah Tikwa, dove viene sottoposto a interrogatori quotidiani, senza la presenza del suo legale.

Di seguito il comunicato:

COMUNICATO 21 settembre 2023

Aggiornamento sulla detenzione di Khaled El Qaisi, italo-palestinese, trattenuto dalle autorità israeliane al valico di frontiera di “Allenby” e tuttora detenuto.

Il 21 settembre, come previsto, si è tenuta l’udienza relativa alla proroga del suo trattenimento in carcere conclusasi con un’ulteriore estensione della detenzione per altri 11 giorni.

Il tribunale ha deciso che, al termine di questa lunga proproga, sempre finalizzata alla raccolta di elementi, entro un massimo di 3 giorni a partire dal 1° ottobre, le investigazioni dovranno presentare delle accuse poiché il termine per questa forma di detenzione cautelare decadrebbe.

Khaled dunque fino ad allora, senza che siano state formulate delle accuse a suo carico, resterà recluso nella prigione di Petah Tikwa nella quale è stato quotidianamente sottoposto a interrogatorio, sempre senza la presenza del suo difensore.

Vista la perdurante e allarmante situazione detentiva di Khaled e del mancato rispetto dei suoi diritti facciamo nuovamente appello per la sua immediata liberazione.

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Welfare State e Welfare Society


Messina, 13 Ottobre 2023 ore 10:00 – Aula Magna I, Dipartimento di Economia, Università di Messina Saluti istituzionali Prof. Antonino Metro, Direttore della Classe III, Accademia Peloritana dei Pericolanti Prof. Michele Limosani, Direttore del Dipartime

Messina, 13 Ottobre 2023 ore 10:00 – Aula Magna I, Dipartimento di Economia, Università di Messina

Saluti istituzionali

Prof. Antonino Metro, Direttore della Classe III, Accademia Peloritana dei Pericolanti Prof. Michele Limosani, Direttore del Dipartimento di Economia, Università di Messina

Relatori:

Introduzione ai lavori
Prof.ssa Emma Galli, Ordinario di Scienza delle Finanze, Università La Sapienza, Roma

Seguendo le orme di Luigi Einaudi: l’uguaglianza dei punti di partenza a livello individuale e territoriale
Prof. Giuseppe Sobbrio, Emerito di Scienza delle Finanze, Università di Messina

Rischi, sistemi di welfare e mercati assicurativi in un mondo globalizzato
Prof.ssa Elsa Fornero, Ordinario di Politica Economica, Università di Torino

Autonomia regionale differenziata: la riforma delle disuguaglianze?
Prof. Pietro Navarra, Ordinario di Scienza delle Finanze, Università di Messina

Politiche di welfare e servizi sociali nell’ottica del PNRR
Prof.ssa Veronica Grembi, Ordinario di Scienza delle Finanze, Università La Sapienza, Roma

Interventi programmati:

Prof.ssa Elena D’Agostino, Associato di Scienza delle Finanze, Università di Messina

Prof. Marco Alberto De Benedetto, Associato di Scienza delle Finanze, Università della Calabria

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